Mestieri d'Arte n°1

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Fatto ad Arte

IN DIFESA DI UNA VERA CULTURA DEL FARE Negli ultimi anni molti Istituti d’Arte hanno smantellato i laboratori dove generazioni di giovani hanno appreso i segreti di un lavoro di qualità

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n Italia, fin dalla «riforma Gentile» è sempre stata più importante la cultura umanistica rispetto a quella materiale, al punto tale che per quasi un secolo fare arte è sempre stata una pratica con meno diritti, e a cui sono state date meno risorse (vedi gli istituti d’arte, le accademie di belle arti e di musica). Ciò nonostante l’arte applicata è stata per molti anni coltivata all’interno di un notevole numero di istituti d’arte distribuiti su tutto il territorio italiano. Erano luoghi nati in stretto rapporto con le risorse del territorio: ecco quindi che a Volterra erano attivi i laboratori per la lavorazione dell’alabastro, come a Caltagirone quelli per la ceramica… Così, anche se non esistevano vere e proprie convenzioni tra gli istituti e le botteghe artigiane, vi era un continuo e utile scambio tra scuola e realtà esterna, attraverso la presenza, generazione dopo generazione, degli allievi che andavano a lavorare nelle strutture produttive esterne alla scuola stessa. Chi, negli ultimi tempi, ha frequentato gli istituti d’arte, ha sicuramente riscontrato una situazione estremamente diversa e compromessa rispetto al modello originario: molti istituti, soprattutto al Nord, da tempo hanno smantellato i laboratori dedicandosi a sviluppare sempre di più la cultura del progetto, e oggi la loro decadenza è ancor più accentuata per le recenti riforme che li assimilano sempre più ai licei. Una curiosa inversione di tendenza proprio in un momento in cui sembra che la cultura del progetto stia recuperando il valore aggiunto del «fatto ad arte» e della manualità artigianale, anche grazie alle tante manifestazioni (vedi le mostre tematiche tra il 1986 e il 2000 ad Abitare il Tempo,

«Genius Loci» e «Progetto e territori»; le collezioni presentate alla fine degli 80 e 90 nelle mostre Abitare con Arte a Milano e Le diversità a Firenze presso la Fiera di artigianato realizzata all’interno della Fortezza da Basso) in cui per la prima volta sono stati invitati architetti e designer a progettare oggetti che sarebbero stati realizzati da aziende che non avevano mai avuto l’occasione di relazionarsi con la cultura del progetto, come i mobilifici classici o in stile, i ceramisti della tradizione come quelli di Deruta o Vietri sul Mare.

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Da tempo, in un mercato sempre più globale, il nostro design sta cercando di sviluppare una propria produttività proporzionata alla propria realtà e così non ama più chiamarsi «disegno industriale» e guarda con attenzione a tutte le forme di piccola produzione in cui l’elevato livello di eccellenza è raggiungibile attraverso l’uso di nuovi materiali ma anche e soprattutto attraverso i valori raggiunti da un «alto» artigianato. Questa consapevolezza dovrebbe spingere la nostra società a riportare nel suo giusto valore la «cultura del fare» operando una profonda trasformazione nell’assetto didattico-disciplinare, costituendo strutture culturali e istituzionali come «musei di arti applicate», incentivando convenzioni tra strutture didattiche e i laboratori esterni (quelli sopravvissuti), cercando momenti di confronto (seminari, mostre, dibattiti) in grado di verificare le linee di conflitto e/o di contaminazione tra l’arte, l’arte applicata e il design, mettendo in evidenza i valori di un’area disciplinare come quella dell’arte applicata che si distingue dall’arte e dal design per dare un percorso artistico creativo che parte dalla materia e dalla sua manipolazione.


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