Artigianato 47

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LIBRI SAN FRANCESCO AD AMALFI

Una delle più belle tradizioni artigianali campane è la carta di Amalfi. Amalfitani doc sono i fratelli De Luca che, trasferitisi a Salerno dagli anni ’60 pur essendo oggi grandi del settore (“La Carta è De Luca”, è il loro slogan) hanno mantenuto il legame col luogo natio, ossia il gusto per l’editoria di qualità. Dai loro torchi è uscita di recente “una chicca” dovuta ad Aurelio Fierro, indimenticato interprete di canzonette napoletane anni ’50-’60, (ricordate “’A pizza!”). L’inossidabile Fierro si è “sfiziato” a tradurre in napoletano il “Cantico delle Creature di San Francesco”, confezionando una pubblicazione che gode dell’intelligente prefazione di Aldo Trione. La musicalità delle parole del poeta Francesco limpido volgare umbro del XII sec.sono rivissute e trasferite molto bene in lingua napoletana d’inizio terzo millennio, da Aurelio Fierro. I torchi di Peppe De Luca, la carta d’Amalfi, costituiscono “il letto” in cui queste parole son cullate. Eduardo Alamaro

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Sacro e Profano. Dall’antichità ai giorni nostri”, raccoglie tredici agili saggi, preziosi per contenuto e apparato fotografico, che testimoniano ancora una volta la grande varietà di punti di vista attraverso cui il mondo affascinante del gioiello può essere indagato ed approfondito. Gli atti del convegno, tenutosi a febbraio al Museo degli Argenti a Palazzo Pitti, risultato concreto delle due giornate di studio con la collaborazione e sostegno di prestigiose istituzioni museali e pubbliche, hanno avuto come filo conduttore il connubio vitale e proficuo tra sacro e profano che da l’antichità ai giorni nostri ha caratterizzato ideazione, fruizione e uso del gioiello. Ricche di spunti e suggestioni le relazioni sul vasto e ancor poco conosciuto patrimonio orafo conservato nelle chiese e nei musei italiani: l’anello sacro del Duomo di Perugia; le tiare della Sacrestia Papale; i cammei del museo archeologico di Firenze; la raccolta di amuleti preziosi del Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Roma; la targa devozionale del Museo Poldi Pezzoli di Milano.(S. C.)

MOSTRE

Una pagina de “’O Canto d’’e Criature e Dio!”.

Padova: DUE mostre di fotografia

GIOIELLI IN ITALIA Sacro e Profano

La collana “Gioielli d’Italia”, nata nel 1996 con il costante sostegno dell’Associazione Orafa Veneziana, in questo terzo volume, edito da Marsilio e curato da Lia Lenti e Dora Liscia Bemporad, dal titolo “Gioielli in Italia.

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Si sono tenute a Padova due mostre di fotografia d’autore: “Elio Ciol. L’incanto della visione” a Palazzo del Monte di Pietà e “Mario Giacomelli. Poesia come realtà” al Museo Civico, promosse da Assessorato alla Cultura e Centro Nazionale Fotografia. Elio Ciol, friulano classe 1929, attraverso le opere in mostra (130 fotografie in bianco e nero) ci ha regalato un viaggio, un cammino, attraverso “il paesaggio”. Il suo paesaggio non è mai stereotipata descrizione della natura, ma espressione del sentimento nato dal rapporto uomo-paesaggio. Paesaggio con al centro l’uomo, sia che si parli di campagna friulana, di una città sacra come Assisi o della natura selvaggia del Kenia: fisicità e spiritualità dei luoghi coniugate dallo stile di Ciol che, grazie al bianco e nero, interviene sul soggetto anche in fase di stampa interpretando, a volte trasfigurando la realtà, giocando con luci e ombre, con contrasti netti che richiamano atmosfere metafisiche. Il suo lavoro esprime contemplazione di un luogo ma è anche in grado di ricreare “l’esperienza” diretta,

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vissuta, del luogo stesso. Nella sezione “Gli alberi della vita”, a volte, sembra che gli alberi, presenza costanze nelle immagini di Elio Ciol, entrino nell’obiettivo quasi per caso, in modo semplice e spontaneo, proprio per il solo fatto di esistere, e proprio per questo manifestano tutta la forza, e diventano simbolo di vita. In “Architetture nella natura” Ciol descrive un altro paesaggio, quello costruito dall’uomo, ma cogliendo l’armonia tra le architetture -siano esse chiese, fortezze, edifici moderni o rovine- e la natura che le circonda. Le sue foto offrono una visione “equilibrata” del rapporto natura-uomo, mostrandoci come la natura accoglie in sé una città, come se tutto fosse stato pensato e progettato insieme: il lirismo di Elio Ciol. Se Elio Ciol ci fa attraversare luoghi, Mario Giacomelli (Senigallia, 1925 – 2000), attraverso le sue opere, ci racconta delle storie, o meglio poesie. Poesie che amava leggere e interpretare attraverso la sua arte. Così, nella famosa serie dei “Pretini” (ovvero “Io non ho mani che mi acca-rezzino il volto”, titolo preso da Da-vid Maria Turoldo) del ’63, un giro-tondo di giovani sacerdoti, in lunghe tuniche nere, trasmette leggerezza e spensieratezza d’un momento di svago di questi ragazzi nel seminario di Senigallia. La sequenza ricrea storie articolate che immergono lo spettatore nella vita religiosa seminariale fatta di solitudine e chiusura. Tra il ’71 e il ’73 il fotografo si confronta con Edgar Lee Masters che, con la “Antologia di Spoon River”, capolavoro della poesia americana, ha influenzato non pochi artisti. Giacomelli realizza la serie “Caroline Branson, da Spoon River”, che commenta così: “In Spoon River ho fotografato il ricordo; non è un riandare ai fatti, è la dimensione della memoria... Non puoi mentire alla fotografia. In Spoon River distruggo la realtà e fotografo il ricordo, deformo per rifare la realtà, quelle che io vedo e scatto sono copie della realtà". Eugenio Montale, Francesco Permu-nian, Giaco mo L eo p ar d i, V in cen zo Cardarelli, Emily Dickinson, Sergio Corazzini, Mario Luzi, sono i poeti su cui Giacomelli ha lavorato negli anni a seguire e su cui realizza diver-se serie di foto poetiche. Tra il ’98 e il 2000 realizza la serie “La mia vita intera” nella quale le immagini raccontano la poesia-testamento di Jor-ge Luis Borges e dove emergono le affinità poeta-fotografo: entrambi amano


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