Artigianato 47

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con un nuovo lavoro “autonomo” (autoprogettato, autocostruito, autocommercializzato) e non mi interessa più che tanto, in una prima fase, eccepire su insufficienze o eccessi espressivi, e men che meno sull’adozione di materiali o tecniche “bassi” (riconoscerò pari dignità in questa prospettiva al tatuatore e al ceramografo). Dall’altra, dovremo proseguire su un cammino già iniziato con la proposta del Manifesto per le Arti Applicate del Nuovo Secolo promosso da Confartigianato e CNA: come nel manifesto del 1902, che vedeva

affiancate le firme del decoratore e quella dell’architetto, in questo nostro erano congiunte quella del filosofo e del liutaio, dell’orefice e del critico d’arte. È, formalmente, il rifiuto di vecchie e nuove gerarchie, della riduzione dell’artiere a un ruolo solo esecutivo. L’ho ribadito recentemente proprio su queste pagine: non bisogna assolutamente ritenere che l’artigiano abbia esaurito la sua carica creativa e che sia incapace di rinnovare la tradizione (Vietri sul Mare. Elogio del volgare, in “Artigianato” n. 45 apr/giu 2002). Basta conoscere un

poco la storia: un tempo era grande Gio Ponti, ma lo era anche Pietro Melandri (e i pezzi creati dalla interferenza di gusto PontiMelandri non sono poi così memorabili…). E oggi forse non ci mancano i Ponti e i Ponticelli, ci mancano i Melandri e i Bucci… Sia chiaro: mi rendo ben conto della complessità dell’argomento e della fondatezza di alcune argomentazioni avverse. So che non si può aprire la sola “via della mano sinistra”, con qualche rischio demagogico e populistico; ma che si deve anche perseguire una “via della mano

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