“Vetrinegotiche”. Schizzi di Ugo La Pietra
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Sono arruolato, non da oggi, tra i promotori e i difensori della “linea gotica”. Chiariamoci subito però: intendo riferirmi a battaglie culturali, non militari. Mi sono dedicato a questo tipo di lotta sul terreno dell’architettura e delle arti applicate. Dove la guerra è più dura, nonostante la cultura postmoderna del progetto sia onnivora, e divori la storia, e si pensi, negli ultimi anni, di quanti stili l’architetto o il designer si sia cibato (e quanti altri abbia citato). Ma mentre a esempio il barocco impazza, sino al dolciastro rococò - i nomi di autori e aziende li conoscono tutti: Alessandro Mendini e Ferruccio Laviani, Maarten Baas per Moooi e Marcel Wanders per Cappellini, e la superstar Philippe Starck, tra l’umile policarbonato di Kartell e l’aristocratico Cristal de Baccarat, in un crescendo di frastuono, sino allo spudorato Barock ‘n Roll di Sawaya e Moroni… tutte pompe che ci hanno un po’ rotto i maroni - il gotico latita, rappresenta un’eccezione in questa regola dell’ingestione-indigestione stilistica. Curiosamente, perché l’immaginario gotico non è mai esaurito: nella moda è revenant, ed è sempre straordinariamente fiorito nella cultura di massa e in quella giovanile… Già tre lustri fa, a metà degli anni ‘90, decisi di reagire a questa rimozione del gotico nell’architettura e negli interni con Delirium Design, una mostra allestita ad Abitare il Tempo a Verona, in modalità scenografiche forse eccessive, quasi horror (per dovere, ospite d’onore era Hans Ruedi Giger, premio Oscar per Alien, nelle meno note vesti di mobiliere…). Recentemente invece un mio vecchio amico,