Artigianato 53

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Nella pagina a fronte, dall’alto: “Autoritratto”, 1944; “Autoritratto”, 1948; ingresso della mostra a Palazzo Sant’Agostino (foto V. D’Antonio). In questa pagina, dall’alto: ulltima sala, con al centro i primi grès anni ’50, dell’allestimento della mostra progettata da Gelsomino D’Ambrosio; pannello in ceramica maiolicata, 1948.

Gambone, la sua pittura e, ancora prima, la ceramica, si sentono dentro questo magma, nella vivacità che un popolo ha d’esprimere l’immaginario, ridisegnare, cioè, lo spazio dell’essere, scandire i tempi di reiterate ritualità, custodire il sapere di mani creative, tessere i fili tra il passato e il futuro. I fili di una continuità, attesa come segno della morte e, al tempo stesso, della rinascita. “Noi siamo mortali - scrive Borges nell’ultima delle sei lezioni tenute ad Harvard dall’autunno 1967 a primavera 1968 - perché viviamo nel passato e nel futuro, perché ricordiamo un tempo in cui non

esistevamo e prevediamo un tempo in cui saremo morti”. Salerno prima, ove compie gli studi ginnasiali, poi Vietri, sono i luoghi della sua formazione, lì dove, di continuo, la sua memoria, la sua arte ha fatto ritorno. Gambone - azzardo un paradosso - non ha mai lasciato le spiagge di quel Mediterraneo che ha visto far capolino tra le montagne che incorniciavano la piccola Montella, un paesino dei monti dell’avellinese, ove nasce nel 1909: non l’ha fatto neanche quando, nell’aprile del 1949, all’inizio della notorietà che in breve l’avrebbe portato ai vertici della ceramica

nazionale ed internazionale, decide di trasferirsi a Firenze e rompere ogni legame con il passato. Non lascia idealmente Salerno, perché qui ha i suoi amici, Alfonso Gatto, Matteo Della Corte, Tullio e Francesco Lenza, Pietro Laveglia, ma anche perché è la città ove consuma il primo scontro con la pittura accademica, che surrogava un’impropria visione classicista. Già dai primi esiti, infatti, la sua pittura si attesta a difesa di un concetto moderno di “classico”, ovvero di quel corpo vivo che dialoga con il tempo, scuotendo, proprio nel terzo decennio del Ventesimo secolo, l’intera

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