DALLA CELLULA AL MODULO: ricerche architettoniche sulla misura dell'abitare

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DALLA CELLULA AL MODULO ricerche architettoniche sulla misura dell’abitare



Politecnico di Milano Facoltà di Architettura e Società Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura Anno Accademico: 2006_2007 Relatore: Prof.ssa Ilaria Valente

Andrea Quaranta 196462

DALLA CELLULA AL MODULO ricerche architettoniche sulla misura dell’abitare


L’UOMO COME MISURA DEL PROGETTO

LOGICHE AGGREGATIVE: IL RAPPROTO CON IL SUOLO

LOGICHE AGGREGATIVE: SPAZIO INDIVIDUALE E SPAZIO COMUNE

LOGICHE AGGREGATIVE: PERCORSI

LO SPAZIO INTERNO E LA LUCE NATURALE

APPENDICE

BIBLIOGRAFIA

1 2 3 4 5 6 7



0 INTRODUZIONE

05

CELLULA_MODULO L’EXISTENZ_MINIMUM

07 12

1 L’UOMO COME MISURA DEL PROGETTO

15

1.1 1.2 1.3

L’UNITE’ D’HABITATION_LE CORBUSIER LE CABANON_LE CORBUSIER CONVENTO DI ST. MARIE DE LA TOURETTE_LE COEBUSIER

2 LOGICHE AGGREGATIVE: IL RAPPORTO CON IL SUOLO 2.1 2.2 2.3

ROKKO HOUSING_TADAO ANDO COLLEGIO DEL TRIDENTE_GIANCARLO DE CARLO QUARTIRE FORTE QUEZZI_LUIGI CARLO DANERI

3 LOGICHE AGGREGATIVE: SPAZIO INDIVIDUALE E SPAZIO COMUNE 3.1 3.2 3.3

HABITAT ‘67_MOSHE SAFDIE HOUSING UNITS GIFU_KAZUYO SEJIMA TORRE VELASCA_BBPR

4 LOGICHE AGGREGATIVE: PERCORSI 4.1 4.2 4.3

DORMITORIO SHUNKAN_KAZUYO SEJIMA GOLDEN LANE HOUSING_A+P SMITHSON SHINONOME APARTEMENT BUILDING_KENGO KUMA

20 28 36

43 48 54 62

69 74 82 90

97 102 110 118


5 LO SPAZIO INTERNO E LA LUCE NATURALE 5.1 5.2 5.3

SIMMONS HALL_STEVEN HOLL OSPEDALE DI VENEZIA_LE CORBUSIER GASOMETER A_JEAN NOUVEL

6 APPENDICE TORRE DESTINATA AD ALLOGGI PER STUDENTI E SPAZI COLLETTIVI ALLA BICOCCA_MILANO

7 BIBLIOGRAFIA

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153 155

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L’obiettivo della tesi è di cercare di comprendere le logiche risolutive legati alle costruzioni modulari progettate tramite l’aggregazione di cellule. Per fare questo è stata svolta una ricerca di casi studio per rispondere a cinque quesiti che mi sono posto durante il mio percorso di studi: quale rapporto si deve mantenere tra le misure umane e le misure del manufatto? (capitolo 1: l’uomo come misura del progetto), quale rapporto deve legare la cellula, il modulo e l’edificio al suolo? (capitolo 2: logiche aggregative: il rapporto con il suolo), quale relazione si forma fra lo spazio individuale e lo spazio comune? (capitolo 3: logiche aggregative: spazi individuale e spazi comuni), come si devono definire i percorsi di collegamento e di passaggio che relazionano le cellule con i loro spazi serventi? (capitolo 4: logiche aggregative: percorsi) e come interviene la luce naturale nello spazio interno? (capitolo 6: lo spazio interno e la luce naturale). I progetti scelti non hanno come unica caratteristica quella per cui sono stati scelti, ma rispondono in modo esaustivo a molte più questioni.

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La scelta si è basata quindi unicamente sull’originalità delle soluzioni adottate dai progettisti nell’assoluzione dei problemi che di volta in volta si venivano a creare, siano essi definiti dal sito di progetto, da normative o da logiche produttive. È stato aggiunto in appendice il progetto svolto nel laboratorio di progettazione 3 di una torre adibita ad alloggi per studenti, alloggi per giovani coppie, spazi culturali e spazi commerciali nella zona della Bicocca a Milano. Durante la progettazione si è cercato di dare una soluzione logica alle cinque domande che definiscono i capitoli. La tesi non vuole essere una “definizione universale” del problema dell’aggregazione delle cellule abitative, ma vuole mostrare e cogliere le logiche adottate da grandi architetti.

PREFAZIONE


CELLULA – MODULO

“[...] forme elementari che si combinano fra loro a costituire la cellula pienamente formata (l’abitazione, il luogo dove vivere), e dalla combinazione di queste cellule ha luogo il formarsi dell’organismo complesso (la casa d’abitazione, l’albergo, gli uffici, ecc.).”1

All’interno del concetto di cellula è riscontrabile il concetto di aggregazione. In questa direzione si sono mossi gli architetti moderni già dal congresso C.I.A.M. del 1929, con l’obiettivo di risolvere il problema dell’alloggio minimo. Le tipologie abitative studiate e confrontate erano tre: la casa bassa, a uno o due piani, la casa media, da tre a sei piani e la casa alta da sette piani o più. La casa media è quella che ha avuto il maggior numero di applica-

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Luigi Spinelli, JOSÈ ANTONIO CODERCH, LA CELLULA E LA LUCE, testo&immagine, Torino, 2003 2 Giuseppe Samonà, L’UNITÀ ARCHITETTURA-URBANISTICA, Franco Angeli editore, Milano, 1975


zioni pratiche in quanto è un compromesso fra le due soluzioni estreme, ma dagli studi svolti nel congresso si è delineato come fabbricato con il miglior rendimento economico quello composto da 10 a 12 piani. Concentrando le abitazioni in altezza è possibile ridurre le aree costruite e di conseguenza le distanze da percorrere fra l’abitazione e i luoghi di interesse. La tipologia che maggiormente è stata realizzata è quella in linea con l’orientamento definito dall’irraggiamento solare, in cui si è data importanza alla determinazione e all’aggregazione delle cellule. La cellula deve essere così ridotta agli elementi essenziali per determinare in seguito la cellula tipo. “il programma di una cellula tipo si è fatto corrispondere dunque agli elementi primordiali della vita, che impongono una parte principale destinata all’abitazione e un’altra destinata a servizi indispensabili.”2

La cellula viene quindi suddivisa in due parti: la prima comprende uno o più ambienti per il riposo (camera da letto) e un ambiente per

INTRODUZIONE


svolgere le attività diurne (mangiare, lavorare, studiare), la seconda comprende la cucina e la zona igienica. Non deve essere ammesso nessun elemento in eccesso, infatti è indispensabile economizzare al massimo la superficie disponibile. “ogni cellula ha una disposizione planimetrica che dipende da tre fattori: (1) dalla disposizione tipica dei servizi; (2) dal valore dato a certi elementi che compongono in riferimento alle caratteristiche etniche e sociali del popolo che vi abita; (3) dal tipo di organismo edilizio di cui la cellula fa parte.”3

La cellula tipo subirà variazioni a seconda dell’edificio in cui è inserita, per esempio nella casa bassa la tendenza è quella di disporre l’alloggio su due piani (zona giorno e zona notte su due livelli differenti), nella casa media e alta, per la disposizione, si deve tener conto degli elementi accessori, ma necessari, come gli elementi di risalita. Il modulo è un’entità numerica o geometrica a cui ci si deve riferire per la costruzione di un’architettura. È l’elemento base dell’architettura, esso non deve definire la forma di un edificio, ma deve delineare

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Giuseppe Samonà, L’UNITÀ ARCHITETTURA-URBANISTICA, Franco Angeli editore, Milano, 1975 4 Ludovico Quaroni, PROGETTARE UN EDIFICIO, OTTO LEZIONI DI ARCHITETTURA, Gangemi editore, Roma 5 Ludovico Quaroni, PROGETTARE UN EDIFICIO, OTTO LEZIONI DI ARCHITETTURA, Gangemi editore, Roma


una maglia al cui interno sviluppare l’architettura. “le varie parti di un edificio debbono stare insieme secondo una relazione matematica determinata dal progettista”4

Fin dall’antichità il modulo è stato l’elemento generatore del progetto armonico; nell’antica Grecia fu scelto il diametro della colonna come elemento generatore e armonizzatore del progetto, in Giappone per l’architettura domestica è il tatami ad assolvere a questo compito. Il modulo comprende due concetti basilari e distinti, può essere concepito come unità di misura, o come misura base per il dimensionamento di elementi edilizi riproducibili a livello industriale, oppure come fattore numerico, che stabilisce una regola a cui tutti i numeri e le dimensioni del progetto devono sottostare, un esempio è il Modulor di Le Corbusier che utilizza un determinato modulo come fattore di moltiplicazione. È comunque sempre valido il concetto di ricercare il rapporto fra la misura dell’uomo e le dimensioni dell’oggetto. “ sono stati molti, e non solo nel periodo del Movimento Moderno, colore che hanno sostenuto la necessità di fare le cose a misura d’uomo, forse de-

INTRODUZIONE


rivando dall’idea […] che l’uomo si sente ‘meglio’ fra membrature architettoniche che non siano né troppo grandi né troppo piccole”5

Il largo impiego di elementi modulari prefabbricati e di griglie modulari non interferisce con la libertà dell’architetto, lo standard non è da considerarsi come un tipo di forma, ma come un oggetto. “La grande scoperta dell’architettura moderna è la sostituzione del modulo oggetto al modulo misura”6

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Ludovico Quaroni, PROGETTARE UN EDIFICIO, OTTO LEZIONI DI ARCHITETTURA, Gangemi editore, Roma


EXISTENZ-MINIMUM Lo studio della questione degli alloggi è si è reso necessario da quando l’industrializzazione ha fatto sì che grandi masse di persone si concentrassero in un luogo determinato per svolgere un lavoro e l’unica offerta “abitativa” proponeva spazi minimi, insalubri e sovraffollati. Nel congresso del C.I.A.M. del 1929 fu definita come superficie minima pro capite 14mq, destinata all’uomo comune, al cui interno esso possa lavorare, riposare e distrarsi. Per existenz-minimum non si deve considerare la porzione di abitazione ridotta e frammentata fino a raggiungere livelli speculativi, il livello minimo non deve essere inteso come minimo assoluto, ma come minimo relativo. Per definire il minimo non si deve considerare la superficie dell’abitazione, ma il numero di letti, non lo spazio fisico occupato dal mobile letto, ma tutti gli spazi che permettono la fruibilità e l’utilizzo di quest’ultimo da parte dell’uomo in maniera autonoma. Il metro di giudizio del minimo abitativo è quindi il letto a cui sono an-

INTRODUZIONE


nessi i servizi familiari. La razionalizzazione della distribuzione e dell’organizzazione dell’alloggio deve avere come esigenza, non solo la definizione di standard applicabili, ma anche le necessità del nucleo familiare. “ancor oggi per molti architetti è difficile comprendere che, nel costruire abitazioni, non devono essere assolutamente considerati come compiti principali l’aspetto esterno dell’edificio e la composizione della facciata, ma che l’essenza del problema è costituita dalla costruzione della singola unità di abitazione è […]”7

Si deve inoltre tener conto dei passaggi successivi che portano alla definizione dell’alloggio minimo. Un percorso logico porterebbe alla conclusione che: la sommatoria dei letti forma l’alloggio, la sommatoria degli alloggi forma l’edificio, la sommatoria degli edifici forma il quartiere e la sommatoria dei quartieri forma la città. Questo processo apparentemente logico però non tiene conto dei numerosi parametri che in questo modo vengono annessi ad ogni

13_14 7 Carlo Aymonino, ABITAZIONE RAZIONALE, ATTI DEI CONGRESSI C.I.A.M. 1929-1930, Marsilio editore, Padova, 1971 8 Carlo Aymonino, ABITAZIONE RAZIONALE, ATTI DEI CONGRESSI C.I.A.M. 1929-1930, Marsilio editore, Padova, 1971


passaggio,come ad esempio gli spazi che sono definiti dall’individualità. “[…] questa assicurazione si verifica nel momento in cui la costruzione di abitazioni diventa una produzione di merce su base speculativa e senza committente fisso”8

INTRODUZIONE


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L’UOMO COME MISURA DEL PROGETTO



L’obiettivo del capitolo è di percorrere tramite casi studio il tema della “misura umana” come strumento di definizione architettonica di moduli abitativi. All’inizio del secolo scorso, con l’industrializzazione in costante crescita si è sentito il bisogno di definire e progettare l’alloggio minimo per “l’uomo comune”, per trovare gli strumenti di soluzione nel campo della progettazione dell’architettura alla sempre più pressante “questione delle abitazioni”, nata dall’inurbamento conseguente all’industrializzazione. Molti studi sono stati condotti per permettere il migliore sfruttamento della superficie disponibile, perseguendo un principio di economia che consentisse di ridurre il costo di produzione. Tuttavia non solo il principio di economia era sotteso alla sperimentazione progettuale degli architetti del movimento moderno. Il Modulor di Le Corbusier che utilizza, dopo una serie di osservazioni sulle misure della natura, le “misure dell’uomo comune” come unità di misura del progetto, rimette al centro della riflessione la questione della misura umana, che già aveva influenzato l’architettura dell’umanesimo.

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L’idea trainante del Modulor è la ricerca dell’armonia fra il manufatto e il fruitore, infatti il sitema di misura pensato da Le Corbusier può essere applicato a qualunque oggetto, sia esso una sedia, un letto o l’edificio stesso. “una misura armonica, umana e matematica (il Modulor) da la sicurezza, le proporzioni secondo metodi analoghi e quelli che anche nelle più grandi epoche, hanno garantito una ricchezza di combinazioni (variabili, graduate, contrastate, ecc.) attraverso i segreti dei maestri e la tradizione dei costruttori. Mezzo di normalizzazione straordinario che raggiunge l’economia dei materiali e soprattutto apre la via all’organizzazione industriale delle costruzioni”1

In questo primo capitolo sono state prese in considerazione tre opere di Le Corbusier. Ognuno dei tre progetti/esempi applica il sistema del Modulor a tre diverse scale: la stanza, l’alloggio, l’edificio.

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Le Corbusier, IL MODULOR 2, Gabriele Mazzotta editore, Milano, 1974



PROGETTISTA_LE CORBUSIER UBICAZIONE_MARSIGLIA_FRANCIA ANNO_1945_1952

L’UNITE’ D’HABITATION DI MARSIGLIA


L’idea per il progetto dell’unità di abitazione è di costruire una parte di città a sviluppo verticale, in opposizione alle costruzioni a sviluppo orizzontale che occupano una quantità di territorio molto elevata. L’edificio è destinato a 1600 persone in 337 alloggi, suddivisi in 17 piani. Gli appartamenti sono stati studiati per offrire il miglior comfort in spazi ridotti, inoltre sono orientati secondo l’asse eliotermico, in modo da sfruttare la luce solare sia per l’illuminazione che per il riscaldamento. L’idea sottesa al progetto dell’Unitè d’Habitation era di definire l’elemento generatore di una nuova città, composta da una serie di edifici immersi nel verde. L’utilizzo di elementi prefabbricati avrebbe dovuto ridurre notevolmente sia i tempi di posa che i costi di costruzione. Nellarealizzazione della prima unità, per problemi legati a finanziamenti e autorizzazioni, il cantiere, lacui durata prevista era di dodici mesi, si prolungò per cinque anni. “il numero degli abitatati corrisponde all’unità sociologica di quartiere urbano tradizionale, nel quale, quindi, l’edificio deve riflettere la complessità funzionale, la compresenza di servizi e il sistema di relazioni sociali”1

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Giovanni Denti, Chiara Toscanini, LE CORBUSIER, libreria clup, Milano, 2002


Assonometria dell’Unitè d’Habitation


La struttura dell’edificio è formata da pilotis, che collegano il corpo principale al terreno, da una griglia di travi e pilastri che viene sfruttata come un “portabottiglie”, per ospitare i moduli abitativi e dalla piastra dei servizi tecnici. L’unità costituisce lo sviluppo dei cinque punti dell’architettura di Le Corbusier: Pilotis, che sostengono l’edificio e lo collegano al terreno lasciando libero il passaggio sotto di esso. Tetto-giardino, utilizzato come spazio comune con la presenza di una palestra e di un asilo. Pianta libera, sviluppata con l’idea del “portabottiglie”, in modo da poter meglio utilizzare gli spazi. Facciata libera, deriva dalla struttura portante su travi e pilastri. Finestra a nastro, sostituita in questo progetto dalle grandi logge, che denunciano la suddivisione dell’interno in moduli abitativi. L’alloggio tipo si sviluppa in duplex con sezione a L. Tramite la strada interna, posta ogni tre piani, è possibile accedere agli appartamenti. L’ingresso è seguito dalla cucina e dal soggiorno che si sviluppa a

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Piante e sezione dell’alloggio tipo dell’Unitè d’Habitation


doppia altezza chiuso da una grande vetrata verso loggia. Tramite una scala si accede al piano superiore del duplex, arretrato e affacciato sul piano inferiore, e sviluppato in profondità, fino a raggiungere l’altro lato dell’edificio, a questo livello sono disposti le camere da letto e i servizi. Dall’altro lato della strada interna si trovano gli altri alloggi in duplex che presentano solo la cucina al piano di accesso, mentre tutti gli altri ambienti si trovano al piano superiore che si sviluppa in modo analogo al precedente. Le dimensioni degli alloggi e degli arredi sono pensati sulla scala del Modulor. L’altezza di un piano è di 2.26m, mentre il soggiorno a doppia altezza raggiunge i 4.80m. Il modulo su cui è sviluppato l’edificio è formato dall’incastro di due alloggi. Gli ambienti con le medesime funzioni, per aumentare la privacy, non sono in contatto.

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1_sezione trasversale, le linee rosse indicano l’apertura del modulo sui due fronti. 2_sezione trasversale, le linee rosse indicano l’alternarsi delle altezze. 3_assonometria di una cellula, la linea blu indica il percorso interno, mentre le linee rosse indicano gli affacci.



PROGETTISTA_LE CORBUSIER UBICAZIONE_CAMP_MARTIN_FRANCIA ANNO_1952

LE CABANON


L’idea del progetto consiste nel costruire un rifugio estivo, un “ modeste cabanon”, pensato come uno spazio finito. Il capanno manifesta la capacità dell’architetto di attribuirne un carattere di sperimentazione tipologica basata sul Modulor. Pur essendo stato pensato come una semplice cabina estiva di 14mq, lo sviluppo è molto più complesso in quanto sono stati considerati molti più temi, ad esempio la disposizione interna è una trasposizione della pianta libera su scala ridotta, dove gli elementi separatori degli spazi non hanno funzione strutturale. Una delle caratteristiche fondamentali di questo manufatto è di unire la parte “utile”, definita dalla standardizzazione e dalla modulazione, con la parte “futile”, come le pareti dipinte, cioè la parte estetica. L’arredo, pensato in modo dichiaratamente funzionale, riprende direttamente l’idea dell’existenzminimun, con i due letti, il tavolo, gli sgabelli, l’armadio, la libreria e il bagno pensai e progettati secondo il Modulor. La pianta è definita sulla base di un quadrato di 3.66x3.66m (13.40mq)

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La pianta del manufatto è suddivisa in quattro zone, il colore rosso indica la zona giorno, il blu la zona notte, il verde la zona wc e il giallo l’ingresso.


che, sommata alla zona igienica di 0.70x0.80m (6.02mq), determina una superficie totale di 14mq. Questa superficie era fissata come lo standard di superficie minima pro capite per la nuova abitazione nel congresso C.I.A.M. del 1929. I 14mq non sono definiti come superficie minima per “l’uomo povero”, ma per “l’uomo qualunque”. Il Cabanon non contiene i servizi come la cucina e la lavanderia, ma nel pensiero di Le Corbusier sono servizi accessori e quindi non devono obbligatoriamente essere presenti all’interno dell’unità di base. Anche il soggiorno, come gli ambienti accessori è uno spazio esterno al Cabanon, definito da uno spazio aperto che in questo modo assume anche il paesaggio, dal giardino al mare. “le città hanno rotto i rapporti con le divinità dei luoghi che reggevano le condizioni di natura. Queste condizioni bisogna riconoscerle e ritrovarle”1

Il mobilio è innovativo, è composto principalmente da arredi fissi, e separa tra loro gli ambienti. La zona giorno è definita dalla colonna del lavabo e da un’armadiatura, il bagno è limitato dall’appendiabiti

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Le Corbusier, LE TROIS ETABLISEMENTS, edizione De Noel, 1945, Parigi


Assonometria del Cabanon, con i colori sono indicate le zone, in grigio sono evidenziati gli arredi.


e da una tenda, le due zone definiscono inoltre la zona d’entrata. IL LETTO: concepito come una cassa alta 0.70m. La struttura contiene due ampi cassetti, un profilo triangolare anch’esso in legno posto in testa al letto, che insieme a due supporti metallici posti ai piedi del letto, trattiene il materasso di 1.90x0.70m. LA CASSAPANCA: è concepita per essere allo stesso tempo un contenitore e un piccolo tavolo. È dimensionata sulla base del letto, infatti è un cubo di 0.70m di lato. È uno dei pochi elementi mobili posti all’interno del Cabanon grazie ai supporti su cui è montata. IL TABOURET: riprende le dimensioni delle cassettiere del letto, 0.43m, e ne segue la medesima idea costruttiva, ovvero pannelli montati su una struttura, in questo caso però sono semplicemente fissati e non incastrati. IL TAVOLO: è l’unico elemento che propone una variazione formale dell’arredo, in pianta infatti è di forma romboidale. Sul lato del muro è sostenuto tramite una stecca, mentre l’altro lato è sostenuto da un’unica gamba di legno.

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Fotografia della zona giorno del Cabanon.



PROGETTISTA_LE CORBUSIER UBICAZIONE_EVEUX_SUR_L’ARBRESLE ANNO_1953_1960

CONVENTO DI ST. MARIE DE LA TOURETTE


Il terreno messo a disposizione per la costruzione del convento è molto ampio, Le Corbusier posiziona l’edificio, un aggiornamento del tema del chiostro, sulla sommità della collina, in modo da offrire sensazioni differenti a seconda del punto di osservazione. Gli elementi di sostegno, setti e pilotis, variano la loro altezza in funzione del terreno su cui poggiano. La forma regolare viene articolata da alcuni elementi che si distaccano dai volumi principali, come ad esempio la piramide della cella di preghiera, il campanile e gli altari delle cappelle sotterranee. Il convento è composto da un corpo a U, chiuso a nord dalla chiesa, ad est poggia direttamente sul terreno e dispone di tre piani fuori terra, ad ovest, invece è stato aggiunto un piano che segue il naturale declivio del terreno. Il lato sud, non poggiando direttamente, è sostenuto da setti e pilotis. I tre piani contengono: le celle per i monaci, la biblioteca, il refettorio, le aule per lo studio e le celle di preghiera. Le celle del convento della Tourette rappresentano un ulteriore passo

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Assonometria del convento di St. Marie de la Tourette.


dello studio di Le Corbusier sulla cellula a misura umana e sono poste alla sommità del convento. Le misure della cella tipo sono riprese direttamente dal Modulor, infatti la lunghezza è di 5.92m, l’altezza è di 2.26m e la larghezza è di 1.83m, inoltre è presente una loggia profonda 1.47m. L’organizzazione interna è razionale ed è studiata in funzione del fabbisogno di luce. La stanza può essere suddivisa in tre zone funzionali, con una parte destinata all’ingresso, una al riposo e una allo studio e al lavoro. La zona dell’igiene è posta all’ingresso, con un lavabo posizionato a fianco della porta d’entrata. La zona del riposo si trova nella parte centrale, il letto è diviso dalla zona dell’igiene da un armadio. La zona del lavoro è la più vicina alla finestra, in quanto è quella che ha più bisogno di luce, a fianco alla semplice scrivania si trova l’accesso alla loggia esterna, che filtra l’irraggiamento solare a seconda del periodo dell’anno: in estate, quando il sole è più alto, non permette ai raggi di entrare all’interno dell’alloggio, mantenendo una

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Pianta del secondo piano, all’interno delle cellule sono evidenziate le quattro zone: in giallo l’accesso e la zona dell’igiene, in rosso la zona del riposo, in blu la zona del riposo e in grigio la loggia.


temperatura gradevole e l’illuminazione non eccessiva, in inverno, il sole si mantiene più basso sull’orizzonte e quindi i raggi solari possono raggiungere la stanza aumentando l’illuminazione naturale e partecipando al riscaldamento. La loggia, mantiene anche la privacy nei confronti dell’esterno. L’areazione della cella avviene tramite la finestra e delle piccole aperture poste sulla parete che confina con il corridoio, garantendo così la circolazione dell’aria. È possibile isolare completamente la cella anche verso l’interno del convento, infatti le feritoie sono chiudibili con delle ante, per garantire tranquillità e silenzio.

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Pianta del piano terra, in rosso è evidenziata la chiesa e in blu il resto del convento.


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LOGICHE AGGREGATIVE: IL RAPPROTO CON IL SUOLO



Rapportare un edificio con il contesto è fondamentale per permettere alle persone che lo abitano di fare propria l’identità del luogo per poter sentire l’appartenenza a un edificio che non si ripeterà in modo esasperato ed esasperante in varie zone della città, ma sarà legato con il luogo in cui è situato. Negli esempi presi in considerazione all’interno del capitolo, si nota come gli architetti analizzino il territorio per poi sfruttare al meglio le caratteristiche morfologiche che appartengono alla zona. Tadao Ando, per Rokko Housing, utilizza il terreno per riavvicinare l’uomo alla splendida natura che circonda l’edificio, a tal punto che la vegetazione pare insinuarsi tra i moduli abitativi, che sembrano appoggiati sul fianco della montagna. Giancarlo de Carlo rapporta direttamente il modulo abitativo del collegio tridente al terreno e alla città di Urbino. I collegamenti fra i vari aggregati, siano essi abitativi o di servizio, avvengono tramite percorsi esterni, riprendendo così le logiche della città, con lo scopo di costrui-

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re un nuovo pezzo di città. Nel progetto per il quartiere Forte Quezzi a Genova, Luigi Carlo Daneri segue le curve di livello per disporre tre edifici. In questo modo disegna un nuovo e scenografico paesaggio urbano, che secondo l’architetto era la base ideale per la crescita di nuovi aggregati urbani. In questi tre progetti il rapporto con il terreno è tale che gli edifici si integrano perfettamente con l’ambiente naturale. L’impatto ambientale, infatti, se non è opportunamente considerato può deturpare gravemente il territorio.



PROGETTISTA_TADAO ANDO UBICAZIONE_KOBE_GIAPPONE ANNO_1978_1983

ROKKO HOUSING


L’area di progetto è situata in una zona residenziale nei pressi di Kobe, sulle pendici del monte Rokko, che si trova particolarmente vicino al mare, offrendo una splendida vista sulla baia di Osaka. La pendenza media del terreno è di circa 60°. In Gi appone, in questi casi, si è soliti sbancare l’area in modo da ottenere una sede orizzontale su cui far appoggiare un edificio, con un chiaro sviluppo verticale, ma è una soluzione dal forte impatto ambientale. Tadao Ando approccia il problema in modo non convenzionale, curando in modo particolare il rapporto che si genera tra l’edificio ed il contesto; così facendo l’impatto ambientale non risulta penalizzante per la zona. Il fabbricato è stato quindi “adagiato” sul fianco della montagna, mantenendo così il più possibile integra la natura del luogo, suddividendo in piccoli terrazzamenti il versante sud del monte, dove sono stati alloggiati in seguito i moduli abitativi. Per permettere alla struttura di essere immersa nel verde, è stato necessario limitare le altezze dell’edificio e in alcuni punti interrarlo. Gli alloggi così ottenuti hanno tutti un’esposizione favorevole e una vista panoramica. L’edificio si

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Sezione trasversale con l’indicazione della pendenza.


articola in pianta su una maglia regolare composta da rettangoli di 4.80x5.40m. “molti ritengono che perseguire l’omogeneità dello spazio attraverso reticoli modulari non può che risolversi nella definizione di spazi uniformi; al riguardo ho una diversa opinione. quando due spazi omogenei collidono si produce uno slittamento, una estraneità come quella che risulta nel punto di impatto di due unità identiche, del quale risulta la differenza che io ricerco.”1

I moduli abitativi seguono quindi l’andamento del terreno su cui giacciono. L’alloggio base è formato da un ingresso, una camera e un ripostiglio, e si sviluppa poi con l’aggiunta di camere, soggiorno e terrazze. La non omogeneità fra gli alloggi è data proprio dalla risoluzione del problema (la necessità di inserire l’edificio nel contesto e di integrarlo con esso). Ricercando l’inclinazione più opportuna e l’adattamento all’orografia del terreno, Ando è “obbligato” ad utilizzare alloggi con un numero di moduli differenti, definendo così uno sviluppo dell’edifi-

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AA.VV. Tadao Ando, in “ga document extra” n°1. ada e dita, Tokyo, 1995


planimetria, in rosso è indicato il modulo che si ripete per tutta la struttura.


cio non monotono. Il fronte principale è diviso in due parti dalla scala esterna che conferisce simmetria alla parte superiore, a cui viene contrapposta la parte inferiore, appunto asimmetrica. Attorno alla scala sono stati pensati degli spazi vuoti che articolino maggiormente il progetto, assumendo funzione di piazze e luoghi di identità che relazionino le unità abitative tra loro. Nella sezione longitudinale, l’edificio segue l’andamento del terreno in modo da fondersi con la natura. Tadao Ando realizza così un nuovo paesaggio perfettamente integrato, ed avvicina la natura all’uomo.

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Sezioni e assonometrie del corpo scala.



PROGETTISTA_GIANCARLO DE CARLO UBICAZIONE_URBINO_ITALIA ANNO_1973_1983

COLLEGIO DEL TRIDENTE


Viene studiato da De Carlo un sistema di ampliamento per l’università di Urbino, con l’intenzione di aumentare il numero dei posti per gli studenti da 150 a 1000. “il collegio del colle era stato ritenuto dalla critica uno studio esemplare di sistema aperto, infatti se si fosse reso necessario un’espansione, sarebbe stato sufficiente accrescere l’impianto con ramificazioni dello stesso tipo”2

Nel progetto di ampliamento, si nota come i nuovi insediamenti si sviluppino modificando radicalmente l’ipotesi progettuale, infatti, non si cerca più di costruire “la città”, ma l’architetto si propone di costruire “un pezzo di città” che rispetti il tessuto di Urbino. Il progetto si compone così di tre elementi, ognuno dei quali è un contenitore di varie funzioni e attrezzature collettive, distribuite in modo da far scaturire il bisogno di muoversi e spostarsi all’interno del costruito, una caratteristica tipica dei centri urbani. Le unità che compongono l’ampliamento sono:

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Franco Buncuga, CONVERSAZIONI CON GIANCARLO DE CARLO, ARCHITETTURA E LIBERTA’, editrice a coop sezione eleuthera, Milano, 2000


Planimetria.


Il collegio Le serpentine, l’idea è di creare un innesto con il colle, riprendendone il ritmo. La capienza è di 152 posti letto. Il collegio Aquilone, posto al di sotto del convento, ne riprende in parte l’impianto, in modo da instaurare fra i due edifici un forte rapporto fra antico e moderno. È progettato per essere il centro delle attività culturali e sociali; un luogo aperto di incontro in contrapposizione con la chiusura del convento. Il collegio Tridente, composto da cinque blocchi, ognuno con funzioni differenti. Il primo blocco, posto in cima al colle è il polo attrattivo del progetto. La forma di questo elemento è direttamente riconducibile a un anfiteatro, grazie alla forma dei lucernai disposti come gradoni. All’interno troviamo sei aule, tra cui la sala conferenze. L’accesso avviene tramite i percorsi esterni che si concludono nel camminamento superiore. La piazza antistante, oltre a definirsi come “palcoscenico dell’anfiteatro”, forma parte della copertura della mensa disposta a una quota inferiore che si sviluppa al di sotto delle aule. Il secondo elemento è l’edificio posto ortogonalmente alla piazza, da

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Sezione delle cellule alloggio, in rosso è evidenziato il percorso.


cui è possibile accedere ai tre rami degli alloggi. All’interno si trovano gli spazi di soggiorno, il bar, la sala lettura, uno spazio teatrale e l’ingresso. Le funzioni si dividono in più piani. Il progetto si conclude con i tre rami delle residenze che si estendono da monte a valle seguendo l’andamento del colle in tre direzioni differenti. Ogni alloggio è suddiviso in 8 stanze collocate ai lati dei tre percorsi esterni coperti. Ogni unità è provvista di soggiorno a due livelli e una cucina comune che si affaccia sulla copertura dell’unità successiva che assume la funzione di terrazzo, e che si collega con gli altri terrazzi tramite i percorsi esterni. Le cellule sono pensate e organizzate in modo da adattarsi al terreno su cui sono poggiate, in modo che l’elemento naturale (il terreno) e l’elemento artificiale (la cellula) si relazionino e si rapportino in modo positivo, con la conseguente formazione di spazi pubblici collegati da percorsi esterni.

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Fotografia del collegio in cui si nota come esso segua l’andamento del terreno.



PROGETTISTA_LUIGI CARLO DANERI UBICAZIONE_GENOVA_ITALIA ANNO_1957_1964

QUARTIERE FORTE QUEZZI


Il progetto consiste nella costruzione di un insediamento abitativo ad alta densità finanziato da INA-casa nei pressi di Genova. Prima ancora che venisse ipotizzato il progetto, sono stati applicati dei vincoli e delle restrizioni di tipo economico e di densità abitativa, che hanno portato a notevoli problemi di acquisizione delle aree, ma nello stesso tempo ad un netto miglioramento sul piano della salubrità e vivibilità delle aree rispetto agli insediamenti speculativi sviluppatisi nelle aree circostanti. Lo studio delle zone INA-casa avrebbe dovuto portare, da uno studio organizzativo nell’ordine del quartiere, a uno studio organizzativo della città, che si potrebbe ipoteticamente formare come somma delle unità quartiere. “le case, in sintesi, hanno costruito i quartieri, ma questi non hanno risolto il loro rapporto con la città, che è cresciuta con logiche e dimensioni arbitrarie e parassitarie”3

l’area di progetto scelta, si trova su una collina nei pressi del quartiere Marassi. Per motivi di esposizione non favorevole, instabilità geologica

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Francesco Rosadini, LUIGI CARLO DANERI RAZIONALISTA A GENOVA, testo&immagine, 2003, Torino


Planimetria


e per ragioni di natura paesistica, il sito è utilizzabile solo per 1/3 della propria area, un problema notevole, che aumenta notevolmente la densità abitativa. L’idea trainante del progetto è nata da un incontro inaspettato e casuale avvenuto durante un sopraluogo dell’area. Il gruppo di progettisti, notò una squadra di tecnici che tracciavano una linea telefonica. I tecnici stavano lavorando in piano e per giustificare la loro scelta, dissero che in questo modo, oltre alla comodità di lavorare in piano, era possibile ripararsi dai venti freddi settentrionali e inoltre si poteva godere di una splendida vista panoramica sul mare. Da questo momento tutto il progetto fu reimpostato in modo da collocare a sud il corpo di fabbrica, seguendo poche curve di livello. Il risultato prevede tre edifici nastriformi di circa 600m, formati da 8000 alloggi suddivisi. Il disegno che si viene a formare è in netto contrasto, non solo con i quartieri limitrofi, ma anche con lo sviluppo caotico di tutta la periferia. Il modulo compositivo è studiato in base alla rete dell’apparato

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Fotografia satellitare, in rosso è evidenziato il quartiere Forte Quezzi, in blu il resto del tessuto urbano.


stradale servente, che da forma all’edificio seguendo le curve di livello dell’area e formando dei passaggi panoramici dai quali è possibile accedere agli alloggi. “Considerando il territorio difficile, caratterizzato da un’irrisolvibile natura di frontiera urbana, si può certo affermare che gli innegabili problemi di quartiere,[...], non siano da imputare del tutto alla strategia urbana prescelta. A Daneri va riconosciuto il coraggio e il merito di aver affrontato il problema architettonico, [...], portando così in evidenza le contraddizioni insite nell’applicare un modello necessariamente semplificato di città sul sito di una realtà urbana estrema, senza la disponibilità di mezzi per portare la propria proposta più in là dell’azzardo sperimentale, ma con l’idea che, date le circostanze, quella fosse l’unica carta da poter giocare con sufficiente convinzione”4

Le piante degli alloggi furono criticate per l’eccessiva semplicità, ma hanno formato una base razionale e coerente alla molteplice varietà degli elementi utilizzati in facciata, regolati da frangisole e da notevoli giochi cromatici.

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Francesco Rosadini, LUIGI CARLO DANERI RAZIONALISTA A GENOVA, testo&immagine, 2003, Torino


Sezioni dell’edificio, in rosso sono evidenziati i percorsi, mentre in blu gli alloggi.


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LOGICHE AGGREGATIVE: SPAZIO INDIVIDUALE E SPAZIO COMUNE

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Nella progettazione di edifici adibiti ad alloggi la definizione e la relazione di spazi individuali e di spazi comuni è fondamentale per permettere alle varie cellule di rapportarsi fra loro tramite luoghi destinati alla socializzazione fra le persone, che ne identifichino “un’identità di luogo”. Costruendo manufatti composti da sole unità abitative e senza spazi di relazione non si creerebbe un rapporto di socialità fra gli abitanti, aumentando così l’individualità e l’anonimato a discapito dei rapporti interpersonali. Progettando si devono ricercare il comfort e i servizi presenti all’interno della casa singola (considerata dall’uomo comune la miglior soluzione abitativa), rielaborandoli per avvicinarli agli edifici multipiano costituiti da cellule abitative. In questo capitolo sono stati inseriti tre progetti che utilizzano la modulazione degli alloggi per raggiungere tre obiettivi differenti, cercando comunque di mantenere i comfort. Moshe Safdie nel progetto Habitat ’67 ricerca un determinato tipo

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di modulazione che consiste nel dare ad ogni alloggio lo spazio e il comfort di una casa unifamiliare. Per il gruppo di architetti BBPR lo schema compositivo della torre Velasca definisce due categorie di spazi, uno abitativo e uno dei servizi, rapportati alla storicitĂ di Milano, sia nel contenuto che nella forma dell’edificio, ripresa direttamente dalla casa medievale. Kazuyo Sejima utilizza fortemente la modulazione nel complesso residenziale Gifu Kigata per distaccarsi dal contesto. Gli edifici dello stesso tipo costruiti in Giappone per risolvere il problema degli alloggi si sono rivelati anonimi e impersonali, soprannominati “conigliereâ€?.



PROGETTISTA_MOSHE SAFDIE UBICAZIONE_MONTREAL_CANADA ANNO_1964_1967

HABITAT ‘67


Progetto per un complesso abitativo ad alta densità sviluppato per l’esposizione mondiale di architettura del 1967 a Montreal. Questo insediamento è situato sulla penisola di Cité d’Harve, tra il fiume e il porto. L’obiettivo era quello di costruire un villaggio utopico dove gli abitanti si sentissero proprietari del proprio spazio, una nuova forma di edilizia in grado di riprodurre i rapporti umani e il comfort di una casa singola, ma in un ambiente ad alta densità. Il risultato è una struttura basata sull’utilizzo di elementi tridimensionali (le scatole), che incorporano caratteristiche non presenti nella tipica “casa americana” come la flessibilità, la riconoscibilità, la privacy, il senso di appartenenza al luogo e uno spazio esterno privato. Inizialmente Habitat è stato concepito come un settore di città al cui interno disporre gli alloggi, i servizi commerciali e i sevizi istituzionali. Il nuovo complesso abitativo si doveva sviluppare con altezze variabili da 12 a 22 piani per un totale di 1200 unità abitative, due scuole un’area commerciale e un hotel, ma al momento della costruzione il governo canadese decise di utilizzarne solo una parte, e furono quindi

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ModularitĂ delle cellule abitative, esempi di composizione


realizzate soltanto 158 unità abitative in 12 piani. Habitat ’67 fu uno dei primi progetti costruiti in serie, utilizzando la produzione industriale. Ogni alloggio è composto da più blocchi prefabbricati montati in modo da formare abitazioni. Nel progetto la struttura portante è isolata rispetto agli alloggi, mentre la parte costruita in seguito incorpora i due tipi di elementi. “A mio parere questa è una delle bellezze di Habitat: la complessità del sistema portante e il diabolico trasferimento di forze che rendono stabile la struttura. In questo troviamo la metafora più appropriata per la cultura della cooperazione che sta alla base della città realmente democratica: ogni elemento ha il suo ruolo in una struttura che è sostenuta da un sottile compromesso fra i suoi componenti-cittadini”1

Habitat è una struttura spaziale tridimensionale nella quale tutte le parti dell’edificio: unità abitative, vie pedonali, trombe degli ascensori, fungono da elementi portanti. Per la formazione di 158 unità abitative sono stati assemblati 365 mo-

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Blacke Gopnick, Michael Sorkin, MOSHE SAFDIE HABITAT ‘67, MONTREAL, testo&immagine, Venaria (To), 1998


sezioni degli elementi di risalita e dei percorsi di collegamento


duli prefabbricati attraverso tiranti, cavi e saldature in modo da formare un sistema continuo a sospensione. I moduli sono stati assemblati con varie configurazioni, in modo da definire una varietĂ di tipologie abitative contenenti una o piĂš camere da letto. Gli spazi interni ed esterni sono estremamente flessibili e adattabili ad ogni esigenza. Con questa metodologia compositiva è possibile progettare un complesso abitativo in cui non siano presenti due alloggi uguali. Ogni alloggio ha, oltre alle stanze, una zona privata all’aperto che è posta sul tetto del modulo sottostante in modo da avere la visuale completamente libera nelle tre direzioni come nelle case unifamiliari. Ogni tre piani gli appartamenti sono serviti da strade pedonali che li collegano alle aree gioco per i bambini e li relazionano direttamente con le aree pubbliche e private.

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fotografia di habitat ‘67



PROGETTISTA_KAZUYO SEJIMA UBICAZIONE_GIFU_GIAPPONE ANNO_1994_2000

HOUSING UNITS GIFU


Il progetto consiste nella realizzazione di un complesso formato da alloggi e posto all’interno di un vasto piano di edilizia residenziale proposto dalla prefettura di Gifu. Le linee guida per il progetto sono molto chiare; i corpi di fabbrica dovevano essere disposti lungo il perimetro dell’area e l’edificio doveva mantenersi il più sottile possibile pur avendo una elevata superficie per piano. Gli input progettuali dati dalle linee guida hanno dato origine a un edificio che fornisce un margine visivo tra la città e gli spazi collettivi racchiusi dall’edificio stesso, in modo da formare una corte di grande dimensioni. Il progetto definisce quindi un corpo di fabbrica le cui dimensioni principali sono la larghezza e l’altezza (in modo da formare il margine) mentre la profondità o per meglio dire la sottigliezza viene evidenziata sia dalle teste dell’edificio che dalle frequenti bucature che attraversano l’edificio, disposte su tutta la facciata che fanno trasparire gli spazi racchiusi. Le uniche emergenze rispetto alla facciata fredda e pura sono le

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Planimetria del complesso Gifu Kigata.


scale esterne che corrono lungo tutta la facciata collegando oltre che fisicamente anche visivamente i diversi livelli dei ballatoi. “Gli edifici per appartamenti Gifu Kigata avevano offerto una differente, prima declinazione dell’analisi […] sul rapporto tra spazi e comportamenti pubblici e privati. Il prezioso schermo, limite degli spazi collettivi, è in grado di offrire informazioni e visualizzazioni diagrammatiche sulla struttura degli alloggi come sui flussi delle persone al loro interno”.2

L’architetto con questo progetto vuole trasformare il processo progettuale dell’edilizia popolare, spostando il centro di interesse verso l’alloggio-come-contenitore. Proseguendo nella progettazione di Gifu Kigata Housing, Kazuyo Sejima oltrepassa la sua dichiarazione, mettendo al primo posto e non più l’alloggio, ma la singola stanza che viene persa come unità di riferimento. In questo raggiunge un’estrema flessibilità dell’alloggio che si adatta facilmente ai bisogni dell’abitante.

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Luca Diffuse e Mariella Tesse, SANAA SEJIMA+NISHIZAWA BELLEZZA BISARMANTE, marsiglio editore, Venezia, 2007


Pianta del piano tipo e pianta degli alloggi.


“percorri leggeri ballatoi e percepisci una sorta di anonimato, una distanza sociale più forte di una distanza fisica benché anche quella si manifesti in familiari squarci verso il paesaggio.”3

Ogni appartamento si affaccia sul lato sud. Grazie al gioco modulare l’affaccio potrà essere di una stanza, come di un corridoio privato o pubblico. La partizione orizzontale, differente sulle due facciate, segna sul fronte nord tutti i piani con i rispettivi ballatoi, mentre sul lato sud va a definire gli alloggi grazie a fasce orizzontali e verticali che segnano le zone ad un’altezza e le zone duplex. Gli alloggi trovano relazione fra loro nelle bucature che sono pensati per diventare spazi comuni.

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Luca Diffuse e Mariella Tesse, SANAA SEJIMA+NISHIZAWA BELLEZZA BISARMANTE, marsiglio editore, Venezia, 2007


Stilizzazione dei prospetti e pianta del piano terra.



PROGETTISTA_BBPR UBICAZIONE_MILANO_ITALIA ANNO_1956_1958

TORRE VELASCA


Il tema progettuale consiste nel formare e determinare un programma edilizio misto, con all’interno dello stesso edificio funzioni residenziali e servizi, posto al bordo di una tipica “strada-corridoio” milanese. Con il tempo, la torre Velasca è divenuta un monito dell’architettura moderna italiana, mettendo in evidenza ciò che sarebbe stato possibile fare con una committenza adeguata. La forma della torre ha origini nella ricerca funzionale dell’edificio stesso, essendo un edificio destinato ad ospitare alloggi, negozi e uffici. I BBPR con questo progetto hanno voluto trasformare lo spazio urbano milanese, passando dalla serialità riscontrabile nella cortina edilizia del centro storico che appiattisce anche lo skyline, all’emergenza di un elemento puntuale ed individuale che trasforma la strada in una piazza e diventa uno dei pochi landmark milanesi, stagliandosi sugli edifici intorno. La proposta progettuale che ne risulta è una torre che si sviluppa per un’altezza di 99m e al suo interno contiene uffici, negozi e appartamenti. Il progetto si ricollega fortemente alla storicità milanese, infatti la for-

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Piante piani degli uffici e delgi alloggi.


ma, le dimensioni, i materiali e la distribuzione interna hanno caratteristiche tipiche della casa medievale. L’opera comunque segue rigorosamente i principi dell’architettura moderna e si può notare come già dalla fase progettuale, nonostante le differenti soluzioni proposte, ognuna delle quali con forma e dimensione differente ma con le medesime coerenze rispetto all’analisi delle funzioni e del luogo, si sia seguito un rigoroso schema moderno. “[…] fra la prima soluzione “a paraveto”, la seconda già a torre con una struttura metallica e le ultime in cemento armato si nota una progressiva sensibilizzazione, anche nel linguaggio, ai caratteri ambientali ed alle memorie storiche dell’architettura lombarda.”4

Lo schema compositivo della torre Velasca non consiste nell’aggregazione degli alloggi, ma nel legame profondo della modulazione sia con le soglie storiche che con il sistema strutturale moderno. La combinazione delle funzioni avviene verticalmente seguendo due schemi, uno storico, la torre è una rielaborazione della casa medievale con la zona del commercio posta nella parte inferiore mentre nella parte

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Leonardo Fiori e Massimo Prizzon, BBPR LA TORRE VELASCA, editrice abitare se gesta, Milano, 1982


Prospetti con la distinzione delle funzioni.


superiore è situato l’alloggio; il secondo schema che si sovrappone al primo è di tipo funzionale, consiste nel mantenere nei piani inferiori le attività che si devono relazionare con la città (uffici, negozi), mentre nei piani superiori sono ubicate le funzioni che necessitano di privacy (alloggi duplex e simplex). Fino al 18° piano sono presenti gli spazi con funzione terziaria (uffici e negozi), mentre dal 18° al 27° piano gli spazi sono definiti in alloggi. Un’altra caratteristica che riconduce lo schema compositivo della torre Velasca alla casa medievale è l’arretramento della parte inferiore rispetto alla parte superiore che rappresenta all’esterno la diversa destinazione d’uso degli spazi interni. Nel caso della torre Velasca l’aggetto dei piani formati dagli alloggi rispetto ai piano destinati al settore terziario. Questa caratteristica, oltre a provenire dall’interpretazione di una tipologia appartenente ai tessuti storici, scaturisce dal sito di progetto: la torre, si allarga sulla sommità solo dopo essersi “liberata” dalla cortina preesistente. La struttura portante è composta da un corpo centrale (con funzione di controventatura) e da pilastri posti esternamente all’edificio permettendo la massima flessibilità degli spazi.

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Fotografia della torre Velasca


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LOGICHE AGGREGATIVE: PERCORSI



I moduli che compongono un edificio non sono da considerarsi come unità singole separate le une dalle altre, ma fanno parte di un complesso sistema di logiche distributive. Per far si che i moduli siano collegati fra loro vengono utilizzati dei collegamenti che possono essere diversi sia come forma che come funzione. Possono essere corridoi, strade, piazze, spazi verdi, spazi all’aperto o coperti, collegamenti verticali. Ognuno di questi tipi di collegamento a seconda di dove è inserito assume significati differenti, può avere una funzione di aggregazione, di interscambio di esperienze o di semplice luogo di sosta o di passaggio. Nel progetto per il dormitorio Shunkan, Kazuyo Sejima, sfrutta gli spostamenti obbligati dai bisogni dell’uomo verso le unità dei servizi per dare la possibilità alle impiegate di relazionarsi tra loro. Per il progetto di Golden Lane, A+P Smithson utilizzano i percorsi come “strade nel cielo”, che si relazionano ai moduli dell’edificio come dei

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deck, da ognuno dei quali è possibile raggiungere direttamente due piani. Nel progetto Shinonome apartement building, Kengo Kuma, utilizza delle luminose strade-corridoio, che si collegano in slarghi e piccole piazze, per aggregare alloggi che grazie ad un particolare schema distributivo interno possono assumere funzioni molto differenti tra loro, nonostante mantengano la funzione abitativa Il collegamento fra i vari moduli non relaziona solamente i vari componenti, ma ne amplifica le funzioni a cui sono destinati.



PROGETTISTA_KAZUYO SEJIMA UBICAZIONE_KUMAMOTO_GIAPPONE ANNO_1990_1991

DORMITORIO SHUNKAN


Il progetto per il dormitorio esclusivamente femminile progettato da Kazuyo Sejima è destinato ad ospitare ottanta nuove dipendenti di una ditta durante il loro anno di tirocinio. L’edificio doveva quindi permettere alle nuove impiegate di relazionarsi fra loro, di fare gruppo in modo da formare una squadra di dipendenti affiatata. Il dormitorio è composto da tre parti, il corpo centrale e due corpi laterali, sviluppato su due livelli. Al piano superiore del corpo principale sono stati posizionati gli ambienti come l’entrata, la zona destinata agli ospiti, la guardiola, il soggiorno comune e il terrazzo; sono presenti tutte le zone pubbliche dove di norma si svolgono le relazioni interpersonali. Seguendo poi le quattro rampe di scale è possibile accedere al living space, sempre all’interno del corpo centrale, un ambiente aperto che si collega visivamente alla zona pubblica e da cui è possibile accedere alle camere da letto. Le camere sono situate nei due corpi longitudinali disposti sui lati lunghi dell’edificio.

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Pianta dei due piani: in rosso sono evidenziate le camere da letto, in verde i servizi, in blu lo spazio comune e in giallo l’atrio.


All’interno di ogni stanza sono posizionati quattro posti letto ed i servizi minimi necessari. Ogni camera si affaccia su uno dei due ballatoi presenti su entrambi i lati dell’edificio e da cui è possibile raggiungere le scale di emergenza. L’architetto, durante la progettazione di questo dormitorio, ha effettuato numerosi studi sui percorsi e sugli spostamenti dei dipedenti durante l’arco della giornata. “non mi piaceva l’idea che la mattina tutti si alzassero e andassero nello stesso posto […]. Se una stanza da letto, la sala di soggiorno e gli altri spazi condivisi sono disposti in sequenza lineare, gli spostamenti sono limitati e si crea di conseguenza una gerarchia.”1

Per indirizzare le fruitrici verso una “vita comune”, Kazuyo Sejima dispone numerosi servizi (che sono obbligatoriamente necessari dal momento che un uomo deve soddisfare i propri bisogni primari) in

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Luca Diffuse e Mariella Tesse, SANAA SEJIMA+NISHIZAWA BELLEZZA BISARMANTE, marsiglio editore, Venezia, 2007


Sezione del dormitorio, in rosso sono evidenziate le camere da letto, in verde i servizi, in blu lo spazio comune e in giallo l’atrio


condivisione. Definisce un’unica zona per il pranzo e un’unica zona per il soggiorno, ma frammenta i servizi in torri posizionate al centro del fabbricato che si sviluppano per tutta l’altezza dell’edificio, in modo da unire le altezze dello spazio di soggiorno (doppia altezza) al living space. Nella maggior parte degli edifici di questo tipo i servizi sono ubicati nella parte retrostante il fabbricato, in quanto sono considerati spazi accessori di poco interesse. Sejima invece mantiene al centro dell’edificio, e quindi del suo progetto, proprio i servizi (all’interno delle torri), questi si affacciano sull’ampio spazio (living space) racchiuso dai due corpi longitudinali (camere da letto) in modo che diventino il cardine attorno al quale ruotano le relazioni interpersonali delle impiegate. “ Sejima mantiene sempre la possibilità che durante i percorsi possa accadere qualcosa, annullando nel senso di una più interessante orizzontalità, ogni gerarchia spaziale.”2

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Luca Diffuse e Mariella Tesse, SANAA SEJIMA+NISHIZAWA BELLEZZA BISARMANTE, marsiglio editore, Venezia, 2007


Fotografia dell’interno del dormitorio



PROGETTISTA_A+P SMITHSON UBICAZIONE_LONDRA_INGHILTERRA ANNO_1952

GOLDEN LANE HOUSING


In seguito ai bombardamenti su Londra della seconda guerra mondiale fu stilato un piano di ricostruzione che prendeva in considerazione anche l’East End. La London City Corporation organizzò un bando di gara per la ricostruzione dell’area compresa fra Golden Lane e Fann Street, alla quale hanno partecipato anche A+P Smithson proponendo un progetto che dimostrasse come un’alta densità abitativa non comporti necessariamente un basso standard di vita. Il bando per questo progetto prevedeva di progettare edifici con una densità abitativa di 500 ab/ha. L’edificio progettato dagli Smithson è situato in un angolo dell’area di progetto ed ha una forma a L in modo da lasciare un’ampia zona a verde protetta. È composto da undici file di blocchi ripetute per ventidue colonne. Il fabbricato è ulteriormente suddiviso da tre livelli chiamati deck ( “ponte” in linguaggio navale) che rappresentano l’idea del progetto, “le strade in aria”. I blocchi hanno diversi accessi a seconda della loro posizione, infatti i due blocchi più bassi sono accessibili dal piano terra, mentre ai restanti nove si accede tramite le tre strade in aria.

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Vista tridimensionale del complesso gloden lane housing.


In questo modo sono state definite delle ampie gallerie nate dal desiderio di integrare un determinato tipo di contesto socio-culturale agli alloggi. L’ingresso agli appartamenti è consentito solamente al livello del ponte, ma i corpi principali (quelli contenenti gli alloggi) si trovano o al piano superiore o a quello inferiore dei percorsi. Il deck quindi è un unico livello composto da tre piani, due adibiti all’alloggio e uno adibito al transito delle persone. L’edificio è così suddiviso in tre livelli ognuno dei quali è composto da un piano alloggio, un piano transito e un altro piano alloggio. Su ogni ponte abitano 90 famiglie e per promuovere le attività collettive fra gli abitatati sono state pensate delle piazze nelle intersezioni fra i deck, inoltre in queste zone si trovano le scale e gli ascensori. Le piazze interne, cioè le intersezioni fra i ponti sono a tripla altezza. La spazialità conferita da quest’altezza invita le persone a trascorrervi il più tempo possibile, in quanto li rendono spazi ampi e luminosi, quindi molto confortevoli.

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Prospettiva, in rosso sono evidenziati i deck, mentre in blu gli alloggi.


I ponti non sono semplicemente dei ballatoi, infatti due genitori con i passeggini possono fermarsi tranquillamente a chiacchierare senza rischiare di intralciare il traffico pedonale. Sono anche aree sicure per il gioco dei bambini, in quanto gli unici veicoli ammessi sono i carrelli elettrici dei negozianti. L’alloggio base per due persone ha uno schema standard. Al crescere della famiglia possono essere inserite delle camere addizionali al livello del ponte dove sono ubicate le logge giardino. Le logge giardino consistono in spazi dove, al loro interno, si possono svolgere le attività familiari all’aperto come, per esempio, il giardinaggio, il bricolage, il gioco dei bambini, l’allevamento di piccoli animali domestici, in oltre consentono la vista verso l’esterno sul fiume e sulla città.

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Sezione prospettica di un deck, sulla sinistra sono posti gli accessi agli alloggi.



PROGETTISTA_KENGO KUMA UBICAZIONE_TOKYO_GIAPPONE ANNO_1999_2004

SHINONOME APARTEMENT BUILDING


Progetto di edilizia residenziale pubblica per il recupero di un’area di 2.4 ha. In quest’area sono stati realizzati sei complessi abitativi ad alta densità. Ciascun blocco propone soluzioni differenti pur essendo parte di un programma condiviso, con una diversa organizzazione delle relazioni sociali e della collettività. L’edificio di Kengo Kuma è composto da due blocchi contrapposti di 47m d’altezza collegati da delle passerelle sospese. Costruito in cemento armato si sviluppa per 16 piani, con un piano interrato. I primi due livelli sono destinati a parcheggio mentre i restanti quattordici accolgono uffici, negozi e abitazioni. Entrambi i blocchi culminano con un tetto giardino destinato a orto, il centro della struttura è l’atrio principale posto fra i due volumi. Alcuni principi di questo edificio sono chiaramente ripresi dall’unitè d’habitation di Le Corbusier, ma Kengo Kuma vuole superare i limiti di quella struttura. “Le Corbusier concepì una struttura composta di sole abitazioni […] in cui il modo di vivere dei resi-

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Planimetria del complesso e schizzo concettuale del prospetto.


denti non è nomade, in cui le famiglie vivono un’esistenza fissa e gli abitanti si muovono all’interno di confini chiaramente definiti. L’esperienza di Shinonome, invece, vuole andare oltre, vuole promuovere una diversa concezione della famiglia nucleare contemporanea, un cambio di prospettiva… un’idea di città tridimensionale come evoluzione dell’idea di edilizia abitativa collettiva.”3

L’idea dell’architetto è caratterizzata dal concetto di “multiunità”, assumendo come unità di base del progetto la stanza, a cui aggrega ambienti con funzione diversa, come le attività terziarie e per il tempo libero. Il principio di base è la residenza collettiva, tema dominante dell’architettura pubblica giapponese, ma con la chiara intenzione di superarne i limiti con l’integrazione di più funzioni. Le unità edilizie proposte da Kuma sono accessibili, aggregabili e possono essere utilizzate con varie funzioni per esempio uffici e negozi. Il progettista vuole realizzare non un aggregato di unità ma una città tridimensionale.

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Luigi Alini, KENGO KUMA, Mondatori Electa, Milano, 2005


Prospetti del fabbricato, in rosso sono evidenziati gli spazi comuni aperti a pi첫 altezze.


Nel primo blocco troveremo la tipologia in linea con unità abitative di 60mq a cui sono ne sono annesse altre da 25mq che possono assolvere a diverse funzioni come camere da letto e studi. Sono le connessioni fra le diverse funzioni a dare l’idea delle strade tridimensionali inserite fra le unità abitative. “Gli appartamenti, sempre di piccole o minime dimensioni, full optional, si affacciano, con i loro ingressi-vetrine, lungo luminose strade-corridoio, dove piccoli slarghi, piazze, gallerie,e angoli, sono occasioni per la comunicazione e lo scambio, e rendono labile il confine fra casa e ufficio, tra pubblico e privato.”4

Questo intervento si presenta come una città tridimensionale con strade dotate di servizi, commercio, spazi verdi e piazze su un suolo artificiale.

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Luigi Alini, KENGO KUMA, Mondatori Electa, Milano, 2005


Sezione dell’edificio e particolare del rapporto fra gli spazi comuni.


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LO SPAZIO INTERNO E LA LUCE NATURALE



L’obiettivo del capitolo è di mostrare tramite tre casi studio diversi modi di utilizzare la luce all’interno di costruzioni per alloggi. Il problema dell’illuminazione naturale in architettura è fondamentale in quanto se all’interno di un edificio l’illuminazione non è ottimale può causare svariati disagi sia a chi ne fruisce, con problemi di abbagliamento o di scarsa illuminazione, che all’edificio stesso, infatti se non riceve sufficiente luce solare potrà avere problemi di salubrità. Un’altra questione importante è il risparmio energetico, infatti ogni zona che viene illuminata naturalmente non ha bisogno di illuminazione artificiale, almeno durante la giornata, quindi è sconsigliabile progettare strutture con corridoi completamente ciechi. Nei casi studio trattati il problema dell’illuminazione naturale è affrontato in tre modi differenti in quanto deve assolvere a tre funzioni differenti in ciascun caso. Nel progetto di Steven Holl per una residenza universitaria ( Simmons Hall) la risoluzione del problema dell’illuminazione è destinata a migliorare la vita comunitaria all’interno dell’edificio, con pozzi di luce

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che attraversano verticalmente tutto l’edificio. Per Le Corbusier nel progetto per l’ospedale di Venezia, la luce non deve abbagliare il malato, anzi lo deve aiutare nella guarigione tramite variazioni di intensità e giochi di colori, grazie alle aperture poste in alto. Uno dei problemi del gasometro A di Jean Nouvel era di poter avere all’interno di una struttura molto alta l’illuminazione fino al suolo e su tutti e due gli affacci degli alloggi, Nouvel risolve il problema utilizzando una copertura trasparente e lasciando un pozzo di luce centrale di grandi dimensioni a tutt’altezza. Risolvendo il problema ovviamente si deve sottostare a rigide normative, per esempio in Italia il rapporto fra la superficie illuminante e quella illuminata non deve essere inferiore a 1/8.



PROGETTISTA_STEVEN HOLL UBICAZIONE_ CAMBRIDGE_ MASSACHUSETTS ANNO_1999_2002

SIMMONS HALL


Il progetto consiste nella costruzione di un edificio adibito a residenza per 350 studenti, in cui oltre alle stanze sono presenti un teatro, una mensa comune e un ristorante accessibile dall’esterno. L’idea del progetto nasce dal rifiuto dell’esistente piano urbano che permetteva la formazione di un fronte in mattoni, una tipica tipologia “bostoniana”. Viene così preso in considerazione il concetto di porosità urbana, con la formazione di un fronte attraversabile e composto da quattro edifici, ognuno dei quali rappresentante un particolare tipo di porosità: orizzontale, verticale, diagonale e globale. In seguito a limitazioni imposte dall’assessorato all’urbanistica, lo studio di Holl si è focalizzato sul concetto di spugna, sviluppando così l’idea della porosità globale. La struttura è formata da elementi appositamente studiati per questo progetto (PreCon), pannelli composti da una maglia regolare al cui interno sono presenti bucature estremamente regolari con funzione di finestre. Il materiale con cui è rivestita la Simmons Hall ha la particolarità di

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Piante e sezione, in giallo è evidenziato il percorso che compie la luce naturale.


riflettere la luce, infatti la pelle dell’edificio varia di tonalità e colore a seconda dell’ora della giornata e del periodo dell’anno, muta con il variare del tempo, si potrebbe quasi definirlo un edificio “vivo”. La porosità viene sviluppata in tre modi differenti all’interno del progetto. Le finestre formate dalla struttura oltre a definire il modulo dell’edificio, definiscono indirettamente gli alloggi che sono formati da 3x3 finestre. Ai vani delle finestre sono stati dati colori differenti, in modo da accentuare la modulazione quando l’osservatore ha una vista laterale dell’edificio. Questa parte finestrata proietta una luce rigorosa e costante all’interno di ogni stanza. I cinque vuoti regolari, sono il secondo modo con cui l’architetto tratta l’idea della porosità. Sono disposti in modo non regolare sul piano verticale dell’edificio, riportano sul piano verticale l’idea della spugna. La porosità è rappresentata oraganicamente da aperture irregolari che fanno subito pensare ai pori di una spugna.

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Schema e modello dell’edificio.


Le aperture portano la luce naturale direttamente nel cuore dell’edificio, attraversando tutti i 10 piani e formando, quando incontrano uno degli ampi corridoi interni, dei vuoti verticali come se fossero degli eventi su una strada urbana. Questo tipo di illuminazione permette ai percorsi interni di avere la luce naturale, e quindi almeno durante le ore del giorno di non essere illuminati artificialmente.

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Prospetti, in rosso sono evidenziate le bucature orizzontali e schema della luce sulla sezione.



PROGETTISTA_LE CORBUSIER UBICAZIONE_VENEZIA_ITALIA ANNO_NON REALIZZATO

OSPEDALE DI VENEZIA


Progetto per un ospedale di grandi dimensioni con un elevato numero di posti letto a servizio della città e del territorio. La struttura doveva essere destinata ai soli malati acuti, con un tempo di degenza non superiore a 15 giorni. L’obiettivo di Le Corbusier era di realizzare “un ospedale per la vita” e non “una macchina per guarire”. “Un ospedale è una casa dell’uomo come l’alloggio è una casa dell’uomo. La chiave è sempre l’uomo, la sua statura (l’altezza), il suo passo (l’estensione), il suo occhio (il suo punto di vista), la sua mano, la sorella dell’occhio. La sua dimensione fisica e psichica sono in totale contatto. Così si presenta il problema. La felicità è un fatto di armonia.”1

L’ospedale di Venezia a differenza dei comuni ospedali sviluppati in verticale, si sviluppa in orizzontale ed è suddiviso in tre piani, definiti per funzione. Il piano terra è destinato al collegamento con la città, vi sono collocati i servizi tecnico-amministrativi, le unità di pronto soccorso e tutti gli accessi, per il personale, i pazienti e i visitatori, sia via terra (a piedi o con veicoli) che via acqua.

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LE CORBUSIER, oeuvre complète, vol.8, 1965-68. cit.


Pianta del piano terra.


Il primo piano è destinato alla diagnosi e alla terapia, una possibile definizione potrebbe essere “piano della tecnologia e della ricerca medica”. Il secondo piano posto a 10 m d’altezza è destinato alle unità di degenza e agli spazi per i visitatori. Sono presenti altri due piani intermedi riservati alla circolazione dei malati degenti ed al personale. L’edificio ha un’altezza si 13.66m, dimensione riferita all’altezza media della città. Le Corbusier studia due diversi tipi di soggiorno per il degente. Per il malato in piedi (e per i visitatori) sono stati definiti le calle, i campielli e i giardini, mentre per il malato a letto sono disposte le unità di degenza. La cellula ha dimensioni 2.96x2.96m che grazie a pannelli verticali mobili può essere isolata o collegata alle altre cellule e al locale infermieri. Ogni unità di degenza ha a disposizione un sistema di illuminazione na-

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Pianta delle cellule e sezione dell’edificio.


turale “privato”. Le “stanze” sono dotate di un’apertura di 2.96x1.40m situata a 2.26m d’altezza di fronte al letto, che proietta su una parete curva (che raggiunge i 3.66m) il fascio luminoso naturale, in modo da evitare l’irraggiamento diretto dei raggi solari, evitando in questo modo il problema dell’abbagliamento del degente. Per aumentare il comfort luminoso ogni malato può azionare un dispositivo elettrico per la gestione del movimento di un pannello metallico posto esternamente all’apertura, così da avere un preciso controllo sulla quantità di luce che penetra nella stanza. I pannelli sono colorati con colori diversi in modo da essere psicologicamente favorevoli al malato.

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Pianta e sezione della cellula, con lo studio della luce.



PROGETTISTA_JEAN NOUVEL UBICAZIONE_VIENNA_AUSTRIA ANNO_1999_2001

SIMMERING GASOMETERS A


Nel 1995 fu presa la decisione di trasformare i gasometri in disuso di Vienna in edifici multifunzionali. Situati nel quartiere Simmering, un’area industriale caratterizzata dalla massiccia presenza di strade, svincoli e parcheggi, un’area che si è sviluppata in modo anonimo e caotico, i gasometri sono gli unici edifici che la caratterizzano apparendo come un evento inaspettato. “…un salto di percezione: giganti senza fiato, senza più capacita polmonare, i gasometri appaiono nella periferia della città (il quartiere industriale di Simmering). Li si vede dalla ferrovia. Ci si allontana dalla storia contenuta nel Ring e ci si avvicina ad un luogo affogato in un intorno un po’ confuso, un po’ anonimo […]”1

Oltre agli appartamenti articolati in diversi blocchi sono presenti residenze per studenti, gli archivi della città di Vienna, uffici, negozi, ristoranti e bar, in oltre l’area occupata dai quattro gasometri è attraversata longitudinalmente da un asse pedonale, uno shopping mall a cui sono collegate delle strutture private e pubbliche esterne al progetto.

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Alessio Conti, VIENNA, Alinea Editrice, Firenze, 2003


Planimetria del complesso e skyline dei quattro edifici.


Gli Simmering Gasometers hanno mosso critiche negative da parte sia dei conservatori che dai più avveduti in quanto la tendenza al recupero di edifici di questo tipo è rivolta solitamente a soluzioni di pubblico interesse come i musei e non soluzioni abitative. “la realtà dei processi di trasformazione in atto nei diversi paesi europei dimostra che non è sempre possibile conservare questi complessi convertendoli in spazi espositivi o musei della propria storia ma che spesso è necessario […] trasformare per conservare, rintracciando nel luogo la necessità di modi d’uso adatti.”2

Delle quattro realizzazioni quella di Jean Nuovel si impone rispetto alle altre tre per una maggiore chiarezza in alcune scelte compositive. La nuova parte costruita si sviluppa in 9 torri disposte seguendo gli assi radiali, il perimetro e il ritmo di facciata dell’edificio preesistente. La struttura ospiterà 200 appartamenti nei piani fuori terra è un centro commerciale ubicato nei tre piani inferiori. Ogni torre è costituita da alloggi duplex che hanno un affaccio sia

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GASOMETER CITY, VIENNA, Alessandro Masserante, Area 61 aprile/maggio 2002


1 pianta piano terra, 2 pianta del piano che separa le funzioni, 3 pianta del piano tipo, 4 particolari di sezione.


verso l’esterno che verso l’interno, su una corte interna risultante dalla forma del gasometro, in modo che possano ricevere la luce solare su entrambi i lati. La corte centrale è coperta da una cupola vetrata posta sulla sommità dell’edificio, che si ripete sul fondo con un’altra cupola che permette alla luce di raggiungere i tre piani interrati, nella zona delle scale mobili. Anche il rivestimento in acciaio inox delle 9 torri è stato pensato per permettere alla luce di fondersi ed essere trasmessa da questa architettura creando giochi di luci e ombre.

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Studio dell’illuminazione con l’irraggiamento posizionato secondo tre angoli differenti.


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APPENDICE




PROGETTO_BICOCCA LABORATORIO_DI_PROGETTAZIONE_3

APPENDICE


Progetto di una torre adibita ad alloggi per studenti, alloggi per coppie, a spazi culturali e spazi commerciali, situata in zona Bicocca a Milano. L’area di progetto si trova in una zona di transizione tra due luoghi, due realtà divise e ben distinte del territorio milanese, separate dal tracciato ferroviario che segna un forte limite. Da un lato della ferrovia si trova Precotto, una zona periferica che si è espansa nel tempo senza una logica compositiva di aggregazione del tessuto urbano. Gli isolati sono disposti in modo caotico e disordinato e non esiste una chiara gerarchia dei percorsi viari. Dall’altro lato si trova Bicocca, una zona studiata per connettersi al territorio tramite l’analisi storica delle preesistenze e lo studio dei capisaldi presenti nell’area che ne definiscono le logiche costruttive e dimensionali come ad esempio, la forma e la grandezza dell’isolato base che sono riprese dalla superficie occupata dal villaggio Pirelli. Tutta l’area e il tracciato di Bicocca si sviluppa su una maglia ortogonale estremamente regolare, l’unica interferenza presente è definita dal percorso storico (già individuabile nella carta dell’istituto geogra-

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fico militare del 1888) che collega il centro di Precotto all’attuale area Bicocca e in particolare, al teatro degli Arcimboldi. Anche il percorso storico, unico collegamento tra le due aree, è tagliato dalla ferrovia. L’attraversamento è consentito solamente tramite il sottopasso della stazione ferroviaria, che non consente comunque un collegamento visivo diretto. I bordi che si accostano al limite-ferrovia sono caratterizzati da una estrema diversità; il bordo di Bicocca è regolare e ben marcato, mentre il bordo di Precotto non è precisamente segnato e termina casualmente contro la ferrovia. L’esigenza è quindi quella di definire una relazione fra Bicocca e Precotto, formando un nuovo nodo che sia allo stesso tempo punto di attrazione e di transito. La forma geometrica che meglio rappresenta l’idea del progetto è la spirale, che è stata utilizzata nella progettazione a due livelli differenti di composizione, per lo sviluppo planimetrico e per la composizione del modulo.

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Il centro del nodo è stato posizionato nel punto di incontro tra il tracciato storico, che costeggia il teatro, e il prolungamento di uno degli assi principali di Bicocca. Da questo punto si sono sviluppati, seguendo la spirale, i blocchi del progetto: la torre (contenente gli alloggi e gli uffici), il basamento (con aree commerciali e una biblioteca) e il ponte di attraversamento (vero collegamento fra le due aree). Il progetto si compone di tre elementi principali: la torre, il basamento e il ponte.La torre è il principale contenitore di funzioni, troviamo al suo interno gli alloggi (nella parte centrale), i piani degli uffici, un bar e l’accesso al resto del fabbricato. Il basamento si sviluppa su due piani, è accessibile sia dal piano della strada, provenendo da Precotto, che dall’secondo piano provenendo da Bicocca. Al suo interno sono situati degli spazi commerciali, una biblioteca, una mediateca e una ludoteca accessibile a chiunque. Queste funzioni rendono il basamento un polo attrattivo per entrambi i quartieri.A lato del basamento è disposta una rampa di scale coper-

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ta da due elementi a L, che collega la piazza della torre al ponte che attraversa la ferrovia. Per l’attraversamento pedonale è stato previsto un ponte che collega le due aree sia fisicamente che visivamente e dai cui è possibile accedere alle banchine ferroviarie. La modulazione degli alloggi è definita in due modi, una modulazione verticale e una modulazione orizzontale, messe in relazione tra loro. La modulazione verticale si sviluppa tramite l’utilizzo di quattro “scatole funzionali”, al cui interno sono disposte quattro funzioni diverse. Si avranno quindi una scatola-duplex, una scatola-simplex, una scatolagiardino pensile e una scatola-spazi comuni. Le scatole sono appese al corpo centrale di risalita, che contiene le scale e gli ascensori, attorno al quale “ruotano”. Le funzioni sono state isolate nei quattro blocchi per aumentare la privacy. Ogni tipologia di alloggio è infatti destinata a una particolare categoria di utente con le medesime esigenze. La modulazione orizzontale si sviluppa tramite due piani e mette in

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relazione 4 alloggi duplex, 9 alloggi simplex, 1 sala studio comune, 1zona relax comune, 1 cucina comune e il giardino pensile, tramite il corpo centrale di risalita che cambia la sua funzione e diventa un luogo di transito. La luce penetra all’interno di ogni alloggio tramite la parete esterna costituita da vetri e pannelli alternati. Il disegno che formano è frutto di uno studio sulla riproposizione dell’interno verso l’esterno. La disposizione degli infissi è definita dagli elementi presenti all’interno dell’alloggio (la porta, il bagno, l’altezza del piano cottura, un parapetto, le scale, ecc.). La scelta di alternare i pannelli ciechi ai vetri è derivata dalla necessità di evitare un’eccessiva illuminazione che potrebbe provocare l’abbagliamento. Sull’intera superficie della torre sono state mantenute numerose bucature per permettere alla luce naturale di illuminare i corridoi che collegano le quattro scatole ed evitare il senso di soffocamento provocato da corridoi stretti e bui.

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L’elemento generatore dei percorsi interni al modulo è sempre la spirale. All’interno del modulo i collegamenti sono lineari e terminano aprendosi verso l’esterno; si collegano direttamente al corpo scale, amplificando così il senso della rotazione. La linearità , insieme alla luminosità dei corridoi impedisce al fruitore di sentirsi in un ambiente decontestualizzato e asettico grazie al continuo e diretto contatto con l’estero.

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_ALLA PROF.SSA ILARIA VALENTE PER LA SUA CORTESE E PRECISA COMPETENZA_AI MIEI GENITORI CHE MI HANNO SOSTENUTO SOPRATTUTTO NEI MOMENTI DIFFICILI_A FEDERICA RIZZI,A DARIO SELLERI, A CECILIA PANERAI, A FRANCESO RONCHI, A VERONICA PASOLINI A BEATRICE CIVETTINI E A ILA LA MIA TEACHER, ANCHE GRAZIE AL LORO AIUTO SONO QUI OGGI_ALLA PROF.SSA VECCHIA CHE CON LE SUE PAROLE MI HA SPRONATO AD ANDARE AVANTI_AL GIOCO DEL RUGBY_AL CAFFE’_SICURAMENTE HO TRALASCIATO QUALCUNO, QUINDI RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE IN QUALCHE MODO MI HANNO AIUTATO_

RINGRAZAMENTI


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