Il gioco delle tre carte

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maggio_2009

17-05-2009

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PER FORTUNA

IL PERSONAGGIO

HO FATTO IL MILITARE Tutti ricordano le sue paste secche. Ma la sua vita è anche molto altro. Che “Popillo”, al secolo Santo Marenaci, conserva gelosamente in un vecchio borsone blu...

L

’appuntamento per l’intervista è a casa sua, alle tre di un pomeriggio infuocato di maggio. “Popillo” mi accoglie elegante nel suo pullover arancione e col suo fisico longilineo. Ho chiesto “aiuto” a una sua nipote per incontrarlo, per superare la sua proverbiale riservatezza. Il tempo di essere uno di fronte all’altro e capisco che la mia è una paura infondata. In una casa te la Giurdana, va in onda la storia di un paese che è cambiato negli anni, di rustici, pasticciotti e paste secche dal sapore antico; e di una passione, quasi una venerazione, per l’Inter che ha dell’incredibile. La prima è una curiosità, una domanda che in molti nel nostro paese avrebbero voluto farti: ma perché Popillo? È successo quando avevo 19 anni. Ero diretto ad Oria, a una fiera dove con il camioncino bianco te lu Scardinu vendevamo gelati. Parliamo degli anni ’40, le strade non erano asfaltate. Durante il tragitto, e nei pressi della città brindisina, ci sorpassò una motocicletta con un ragazzo alla guida che però poco dopo cadde rovinosamente per terra alzando una grande polverone. Quando si rialzò era completamente “bianco”, coperto di terra. Istintivamente, e mentre lo stavamo per sorpassare, abbassai il finestrino e senza pensarci su gli gridai: “popillo, t’ha ‘nfarinatu ah?”. Arrivati alla festa, mentre esponevo il cartello “banane con panna”, vidi arrivare, minaccioso, il motociclista che credo non avesse gradito. Si finiì a fare a botte, ma allora si usava “parlare” così, tutto normale (ride di gusto). Quindi oltre che ’nfarinatu puru frittu stu popillo? Arrivò prima la notizia a San Cesario che noi con il nostro camioncino dalla fiera! Arrivati in piazza, al “Circolo dei signori” (il circolo era ubicato nei locali della ex palestra di piazza Garibaldi, ndr) già se ne parlava, e appena mi videro arrivare iniziarono a gridarmi “popillo, lu frecimu?”. Da allora tutti mi hanno sempre chiamato solo così, Popillo! Anche io ho dovuto pensarci su, fare mente

locale prima di venire a trovarti… Ci sono abituato. Come Popillo mi conoscono tutti, ma pochi sanno che il mio nome è Santo, Santuccio. Parliamo della tua storica pasticceria, nella quale hai iniziato a questo mestiere tanti “ragazzi” di allora. Forse si saranno appassionati all’arte della pasticceria, ma in realtà quei ragazzi lì, Cosimo Ricchitisu, Raffaele (De Giorgi, storico pasticcere di Popillo, nella foto in basso ndr) venivano solo a passare il tempo. Il primo pasticcere fu Ucciu Palazzo, con il quale aprìi in società la pasticceria. Come mai proprio una pasticceria? Insieme a Uccio, erano gli anni 67-68’, aprimmo il “Dancing”, un ristorante-pizzeria che si trovava sulla circonvallazione che però chiudemmo poco dopo. Nei locali di via Dante allora c’era una salumeria. Vidi che stava chiudendo l’attività e in due giorni, contattai il proprietario e presi il locale per 15.000 lire al mese. Chiamai Ucciu (Palazzo, ndr), che aveva fatto il pasticciere al bar Scardino per diversi anni, e aprimmo una pasticceria. Lui faceva le paste ed io, con la mia macchina, le andavo a consegnare nei bar di qualche amico dei paesi vicini, San Donato, Cavallino, Lizzanello. Non credo che allora, la domenica, ci fossero i dolci sulle tavole dei sancesariani… La mia è stata la prima pasticceria a San Cesario, che vendeva solo dolci, intendo. All’inizio entrava solo qualche amico, e solo di domenica. Allora, per coprire i costi dell’affitto, andai a lavorare come pasticcere, qualcosa nel frattempo avevo appreso da Uccio Palazzo, al Club Mediteraneè di Otranto. Pensa che la direttrice del villaggio, una bellissima baronessa francese, nemmeno conosceva la categoria dei “pasticceri”, ma solo quella dei cuochi. Poi man mano iniziò ad entrare sempre più gente, soprattutto tanti ragazzini e ragazzine che frequentavano la scuola media che allora era in via Dante, proprio di fronte alla pasticceria. Da bambino, ricordo, l’immagine delle tante persone che di domenica passeggiavano con i tuoi dolci in mano, e quel pacchetto con il nastro giallo. Ma quello che più mi ha incuriosito è stato vedere lo stemma di San Cesario sulla carta con cui incartavi le tue delizie. Come mai questa idea? Era per me un segno di appartenenza al paese, e la soddisfazione che se i miei dolci fossero andati oltre i confini di San Cesario, avessero avuto un chiaro segno distintivo, sep-

pur sulla carta che li conteneva. Fu difficile ottenere lo stemma? Difficilissimo! Andai alla caserma dei carabinieri di Lecce chiedendo di poterlo avere. In tanti mi dissero di no, solo uno, che aveva fatto servizio nel nostro paese e che aveva assaggiato i miei dolci, di nascosto me lo fece fotografare. Il fotografo volle 200 lire, e lui, il carabiniere, mi disse “ieu nu aggiu istu nienti” e se ne andò ridendo. La carta la realizzarono per me addirittura a Foggia, e lo stemma di San Cesario, con quell’uva e quella corona la rese unica! Conservi ancora qualche foglio di quella carta? Pochi, a dir la verità. Li ho conservati per lungo tempo, gelosamente, assieme alla collezione del giornale “Inter club” nella mia casa di campagna. Mi accorsi un giorno che però si erano notevolmente ridotti di numero. Capiì il motivo il giorno dopo quando vidi mio cognato Ronzino, che era fruttivendolo, incartare frutta e verdura nella carta con lo stemma di San Cesario e tra Zenga e Mariolino Corso. Se l’ìa pututu ccitere… Eh sì, l’Inter, la tua vera, grande passione… (ride, soddisfatto, Popillo. Mi fa un cenno e mi chiede di seguirlo, quasi avesse qualcosa di molto importante da farmi vedere. Il suo “tesoro” è conservato gelosamente, con cura manicale, all’interno di un vecchio borsone blu. Inizia a scartare.) Li vedi? Sono oltre 160 foto (tutte incorniciate, nel cellophane e poi avvolte nella carta di giornale, ndr) dei campioni dell’Inter dagli anni ’50 a poco tempo fa. È una passione cominciata ai tempi del militare, che per fortuna durava diciotto mesi, che feci a Milano come cameriere nella mensa del reparto Ufficiali Maggiori. Avevo tanto tempo libero, a parte l’ora di pranzo e cena, e cominciai ad andare a San Siro a vedere gli allenamenti della squadra dell’Inter. Da allora è stata passione verso questa squadra, ma anche scritte di sfottò sui muri della pasticceria, manifesti funebri vicino casa ogni volta che si perdeva qualche finale importante! Tutti ricordi, tra i quali c’è ne uno che conservo gelosamente. Quale? Questa medaglia, con la firma del grande presidente Angelo Moratti, e che mi fu consegnata ad Appiano Gentile. Da allora a porto sempre con me, in tasca. Cristian Nobile cristian@alambicco.com

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