Uniti (?) per San Cesario

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CULTURA

LE DONNE GIUDICANO LE DONNE

L

e donne giudicano le donne, l’hanno sempre fatto ed è forse questa la vera differenza tra i

sessi. La donna che Angela Scarparo racconta nel suo ultimo romanzo - L’arte di comandare gli uomini - edito da Manni è, infatti, una donna sotto osservazione. Un’autrice impietosa, la Scarparo, appassionata sempre, intenerita a volte, appare lucidissima nel descrivere questo suo personaggio: Elisa Dentera, donna inetta, inadeguata, irresponsabile, icona di una generazione, di un luogo, di un’epoca. Una donna senza arte (né parte). Perché farne l’eroina di un romanzo? A mio avviso, questo bisogno esistenziale, sociale, a volte letterario, a volte relazionale, che hanno le donne di raccontare e valutare le altre donne, tutte le donne diverse, e con quelle il mondo intero, ha molto a che fare con la ricerca della felicità. La felicità è un tema che riguarda tutti. Anche Elisa cerca la felicità, ci crede, la pretende dagli altri, s’accanisce nel creare le condizioni che lei reputa le migliori per procurarsela, ma fallisce sempre. Lei non è capace. La felicità sembra a portata di mano, è lì per tutti, eppure Elisa non è capace. Il titolo del romanzo, che pure ben presto si rivela al lettore come una contraddizione, un inganno, un gioco iro-

Angela Scarparo, nel suo ultimo romanzo, ci regala un personaggio femminile fragile, inadeguato, instabile, inetto... eppure libero nico, altro non è che un enorme desiderio tradito. Un desiderio collettivo senza speranza. Elisa è colta dall’autrice in un breve arco temporale, in uno spazio fisico e geografico circoscritto, eppure la trasformazione (la sua disillusione, il raggiungimento della consapevolezza) operata nel tempo del racconto appare enorme a chi legge. Pare venire da molto lontano, da generazioni, da decenni di storia, da molti altri luoghi fisici ed altre donne venute prima, dalla tivù e dal cinema. Perché è la forza della vera letteratura quella di descrivere uno spigolo, lasciando intuire tutto lo spazio intorno. Illuminare un dettaglio per rivelare il buio circostante. Elisa fatica a capire, perché lei non è una donna vera, lei è un prototipo, un oggetto creato per facilitare l’osservazione. Lei è vittima esemplare del suo tempo. In altra epoca sarebbe stata, forse, una donna migliore, legittimata e ben felice di poggiare sull’uomo tutta la propria fragilità, di rinunciare ad ogni scelta e galleggiare mollemente nella propria inconsistente materia, lasciandosi trasportare dal caso. Vive

LA SERATA DELLE

invece anni che richiedono doti di autonomia, coraggio, controllo, ed è chiamata a confrontarsi di continuo con i suoi simili: altre donne, altri uomini, spesso con i propri famigliari. Elisa è solo respiro e qualche bella immagine. Lei ha bisogno solo di soldi. Se ci fossero quelli, lei ne sembra certa, sarebbe felice. Elisa ha soltanto un’idea vaga di sé, però è un’idea che cresce col romanzo, attraverso l’uso di una lingua scarna, rapida, precisa. Nessun evento eclatante: per l’evoluzione del suo personaggio, alla Scarparo sono sufficienti piccole azioni, gesti minimi, brevi percorsi d’autobus, passeggiate notturne, boccali di birra, pensieri volatili che lasciano solo intuire l’esistenza di una passione, di un confine. Elisa è una donna borderline la cui unica possibilità di salvezza è celata in qualche piccola passione, semplice ed astratta, da cinema o letteratura, che riesca a preservarla dalla morte. Questa passione per sua fortuna coincide con quella vaga idea di felicità che le consentirà gradualmente di comprendere se stessa e da se stessa prendere le giuste distanze. Mentre gli

Angela Scarparo L’arte di comandare gli uomini Manni 2009

uomini, altrettanto piccoli, inetti, lenti, nevrotici, restano a far sogni mediocremente o poeticamente truffaldini, Elisa resta da sola. Angela Scarparo la immagina così. Peggio sarebbe stato per lei vivere nella confusione, invece no: Elisa scopre di essere libera. Zoppa, instabile, arruffona, ma libera di dare il senso che desidera all’arte del nulla. Elisabetta Liguori

STRALUNE

Presentato il 29 gennaio scorso nella sede dell’associazione “l’alambicco”, l’ultimo romanzo di Enrico

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mbre e incantamenti, metafore avvolgenti e dissolvenze: sono queste le atmosfere di Stralune (Ed. Manni) l’ultimo libro di Antonio Errico, alla sua seconda prova come autore di romanzo. Il libro è stato presentato nei giorni scorsi nella sede dell’associazione, alla presenza oltre che dell’autore, di Giovanni Invitto (Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, Università del Salento), Teo Pepe (Caporedattore Cultura del Nuovo Quotidiano di Puglia) e Simone Franco (attore). Come in altri scritti di A. Errico, il lettore è da subito coinvolto in una narrazione che è riflessione interiore, ricerca ansiosa. La storia è quella di un disertore che torna, in una notte di fine anno, nella sua terra, nella sua casa, a fare i conti con il proprio passato. La memoria, reale protagonista del romanzo, si anima nella figura di alcuni personaggi: la madre, la prima a prendere parola,

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la figlia, la donna amata; poi il padre, che lo spinge ad allontanarsi, “Dimentica tutto. Questa notte stessa”, quasi a volerlo proteggere dal senso di colpa che in lui si sta insinuando sottile, inevitabile. Le loro voci e i loro ricordi s’intrecciano a quella di un’ombra misteriosa che insegue, conduce, appare e sfugge. Sullo sfondo, offuscati dal crepuscolo e dalla fitta acqua-neve, tempi e luoghi non definiti, una piazza, una torre, una città di mare, forse Otranto.

Un labirinto di vissuti ri-pensati, che riaffiorano, espressi attraverso un linguaggio poetico. Ancor più in questa prova emerge lo scavo della parola, il ricorso ad anafore, il ripetersi ossessivo delle parole come litanie, l’uso dei contrari, la creazione di nuove parole. Memoria e viaggio (altro tema caro allo scrittore) che si fondono creando immagini suggestive espresse con un linguaggio musicale. E come la musica che, come qualcuno ha detto, trasmette un “alone di significati”e crea spazi e luoghi che mettono in corrispondenza il compositore con chi ascolta, allo stesso modo le pagine di questo romanzo emozionano, perché

creano la condivisione tra il narratore e il lettore, di un tempo interiore, evocato, immaginato e vissuto. Giuliana Scardino giuliana@alambicco.com

Antonio Errico è nato in provincia di Lecce dove vive e lavora come dirigente scolastico. Ha pubblicato Tra il meraviglioso e il quotidiano (1985), Favolerie (1996), Il racconto infinito (saggio su Luigi Malerba, 1998), Fabbricanti di sapere (1999), Angeli regolari (2002), L’ultima caccia di Federico Re (2004), Salento con scritture (2005), Viaggio a Finibusterrae (2007), studi e racconti in volumi collettivi.


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