Terre dei Monaci nel Novarese

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percorso turistico culturale

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Diocesi di Novara Ufficio Beni Culturali

Copyright ATL della Provincia di Novara, 2021 Testi: Gabriele Ardizio

Disegni: Marina Cremonini Si ringraziano tutti i Comuni, le Parrocchie e le Associazioni Culturali e Turistiche che hanno aderito a questo progetto di valorizzazione. Progetto: In Viaggio nel Novarese - Riparti Piemonte

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LE TERRE DEI MONACI nel Novarese


Terre dei Monaci nel Novarese Il Novarese possiede un patrimonio culturale straordinario: ogni borgo, anche il più piccolo, conserva importanti testimonianze architettoniche e artistiche che meri-

tano di essere conosciute ed apprezzate. In quest’ottica l’Agenzia Turistica negli

anni ha sviluppato piani di valorizzazione e di comunicazione che puntano non solo a sensibilizzare le popolazioni locali sulle ricchezze del patrimonio novarese,

ma anche a proporle ai visitatori interessati a scoprirne il valore storico e pae-

saggistico. Sono così nati diversi percorsi che fanno rivivere le antiche strade dei

pellegrini medievali e che mettono in rete luoghi di culto, e non solo, come oratori campestri, pievi, abbazie, case coloniche, mulini, architetture civili che hanno un

grande valore culturale ed evocano ammirazione per i capolavori artistici in essi

contenuti. Con il progetto In Viaggio nel Novarese, l’ATL, in collaborazione con il

Dipartimento di Studi Umanistici – DISUM e il Dipartimento di Studi per l’Economia e l’Impresa DISEI dell’Università del Piemonte Orientale, prosegue l’opera di pro-

mozione proponendo il nuovo itinerario Terre dei Monaci nel Novarese. Attraverso i “paesaggi monastici”, con particolare attenzione all’età medievale, si accompa-

gnerà il visitatore, dalla pianura alla collina novarese, alla scoperta di monasteri e delle loro dipendenze, di canoniche, di esperienze conventuali o di vita religiosa

comunitaria, mettendoli in rapporto con il paesaggio, con le risorse economiche

(terre, boschi, baragge, vigneti) e le infrastrutture (mulini, canali) che i monaci hanno saputo sapientemente sfruttare o attivare sul territorio. Questo inedito iti-

nerario è dedicato a un turismo di qualità, desideroso di uno sguardo inconsueto

su un contesto paesaggistico (naturale e costruito), che è stratificazione storica secolare, e alla ricerca di un approfondimento sulla storia del monachesimo nelle

sue declinazioni concrete, dall’economia alla viabilità, di cui restano ancora oggi segni importanti sul territorio, presenti, ma non sempre immediati da decodifica-

re. Sono stati quindi individuati 5 percorsi suddivisi per “quadri” che identificano tematismi diversi (correlabili all’ambito degli ordini religiosi), ma che allo stesso

tempo formano una rete di luoghi, di espressioni figurative ed architettoniche, di paesaggi in cui il visitatore viene condotto in un originale percorso di scoperta territoriale.

La Presidente dell’Agenzia Turistica Locale della Provincia di Novara Maria Rosa Fagnoni


I percorsi e le schede contenuti in questa pubblicazione vogliono rappresentare una proposta di lettura tematica del territorio novarese, narrato partendo da un

punto di vista – quello del monachesimo di età medievale – che si amplia a comprendere esperienze di vita comune religiosa più recenti, fino alle soglie dell’età contemporanea. Monasteri, conventi e canoniche nei secoli hanno rispecchiato

l’evoluzione sociale ed economica del territorio, svolgendo ruoli di protagonisti nell’accompagnare la lunga trasformazione delle economie agrarie e del popolamento.

Hanno dialogato con altri soggetti – ad esempio i comuni, le pievi, i gruppi signorili – affiancando le proprie strutture materiali a presenze peculiari, come i castelli

che ancora oggi punteggiano inconfondibilmente la terra fra Sesia e Ticino. Han-

no contribuito a tessere in pianura la rete di rogge e canali, e in collina la trama dei

vigneti; hanno accompagnato – e non di rado promosso – il graduale passaggio alla risicoltura, ma hanno anche perpetuato antichissime forme di gestione degli incolti, intrecciando la loro azione a quelle esercitate dalle comunità rurali.

Ecco perché nelle pagine che seguono difficilmente si può ritrovare un criterio strettamente cronologico o topografico, ma si è preferito costruire il testo come

una serie di divagazioni, proponendo al visitatore curioso luoghi che possano raccontare queste molteplici interazioni fra gli uomini e la terra, e guardando anche – come suggerisce il titolo di uno degli itinerari – “oltre il chiostro”.

È un racconto che prende le mosse da alcuni luoghi cardine – San Nazzaro Sesia,

Romagnano, Carpignano Sesia, la stessa Novara, solo per citarne alcuni – ma che può agganciarsi tanto all’iconografia di un affresco tardogotico quanto all’evocazione di lontane origini benedettine per qualche oratorio campestre. In questo

senso il territorio novarese presenta una ricchezza straordinaria di spunti, tutti da scoprire sullo sfondo di un paesaggio che sovente, nelle sue linee, è ancora ben leggibile nella sua fisionomia di “terra dei monaci”.

Prof. Gabriele Ardizio


Il progetto di itinerario le “Terre dei Monaci” costituisce l’esito della collaborazione tra l’ATL della Provincia di Novara e due Corsi di Studio dell’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”: Filologia moderna classica e comparata (magistra-

le, Disum-Dipartimento di Studi Umanistici) e Promozione e Gestione del Turismo (triennale, Disei-Dipartimento di Studi per l’Economia e l’Impresa). L’iniziativa si

pone in linea con gli interessi del Corso di Studio Magistrale che ha avviato al suo interno uno specifico percorso dedicato allo studio e alla valorizzazione del patri-

monio culturale, con particolare attenzione al territorio su cui insiste l’Università e ai soggetti che in esso operano. Il progetto si pone altresì in linea con le peculiarità

del Corso di Studio Triennale che da anni è attivo, sia nell’ambito della didattica sia in quello della ricerca, nell’analisi delle tematiche relative ai diversi aspetti del turismo in Piemonte.

L’itinerario curato dall’archeologo Gabriele Ardizio, già Assegnista di ricerca e cultore di Archeologia cristiana e medievale presso il Disum, individua attraverso

un’analisi di tipo scientifico, diversi percorsi che identificano tematismi correlabili all’ambito degli ordini religiosi e che formano una rete di luoghi e di espressioni

figurative ed architettoniche di paesaggi in cui il visitatore viene condotto in un originale circuito di scoperta del territorio.

Raffaella Afferni, Eleonora Destefanis, Carla Ferrario Università del Piemonte Orientale A. Avogadro


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Benedettini sulla Biandrina ▲ Si parte dall’Abbazia di San Nazzaro Sesia: qui

le Storie di San Benedetto, affrescate sulle pareti del chiostro, a distanza di seicento anni infatti funzionano ancora egregiamente per raccontare vita, morte e miracoli del fondatore del monachesimo occidentale. E parlano anche della ristrutturazione in chiave tardogotica del preesistente complesso romanico, del quale restano il campanile e le due ali porticate dell’avancorpo, a incorniciare i sontuosi decori in terrecotte a stampo sulla facciata quattrocentesca della chiesa. Benedetto, negli affreschi, si muove in paesaggi urbani marcati da torri e merlature, simili a quelle che tuttora circondano i fabbricati abbaziali, facendone un complesso fortificato che proclama il suo prestigio territoriale. Così l’avevano forse già immaginato i fondatori, intorno al 1040, quei conti di Pombia che legano al centro di Biandrate – poco lontano da San Nazzaro – uno dei rami nei quali la loro potente famiglia si articola nel XII secolo. L’aria della medievale Blanderate (“città un tempo molto potente”, puntualizzano orgogliosamente i suoi antichi Statuti comunali) si respira ancora nell’atrio di impianto romanico antistante

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la facciata della parrocchiale – erede dell’antica canonica di San Colombano, fondata dagli stessi conti – impreziosito dal Giudizio Universale dipinto nel 1444 da Giovanni de Campis. Tempi, quelli, in cui il luogo dava il nome alla “sua” strada, la Biandrina, tesa tra Novara e le Alpi in un paesaggio che nel disegno di argini, campi e siepi lascia intravedere in filigrana secoli di gestione agricola, per la quale i monaci hanno avuto un ruolo fondamentale. La terra, certo, ma anche l’acqua: dal vicino fiume arrivano i ciottoli che, posati a spina di pesce, sostanziano il romanico di questa terra, mentre dai boschi lungo le sponde si ricavavano foglie per le greggi e le mandrie monastiche, quando svernavano in pianura al ritorno dagli alpeggi estivi. Un paesaggio governato, insomma, in cui anche il bosco è addomesticato: ieri serbatoio di risorse, oggi una presenza marginale, anche se in terra novarese non mancano luoghi dove riscoprire l’ombra e il verde dell’antica selva planiziale: così ad esempio le aree protette della Palude di Casalbeltrame o del Campo della Ghina, a Borgolavezzaro. Per scoprire un altro luogo legato alla presenza benedettina bisogna imboccarla, la Biandrina,

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e puntare verso la montagna, calcando le orme di quanti per secoli hanno percorso una campagna ben marcata dall’intervento dell’uomo. Scorrono, strada facendo, paesi, castelli e oratori campestri, ma anche cascine: inizialmente – fra XII e XIII secolo – piccole strutture di appoggio all’allevamento e alle produzioni foraggere, in seguito destinate ad evolversi in complessi talvolta articolati, come nel caso dei Palazzi, a Vicolungo – dove una sosta è d’obbligo per ammirare gli splendidi affreschi di XV-XVI secolo della chiesa di Santa Maria delle Grazie e dell’annesso oratorio. Si arriva infine alle porte della Valsesia, a Romagnano Sesia: sullo sfondo della medievale Torre di Sopramonte di Prato, e poco a valle della presa della Roggia Mora, arteria vitale per l’agricoltura novarese, sorge l’Abbazia di San Silano (o Silvano), già ben attestata nel 1008 come fondazione dei marchesi di Romagnano. All’interno della chiesa, dominata dalla massiccia torre campanaria di facciata, e riplasmata in stile neoclassico nel

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XIX secolo, spiccano un sarcofago marmoreo del V secolo e un cippo funerario di piena età romana imperiale, reimpiegati come arredi liturgici dalle notevoli valenze simboliche. Parte dell’antico monastero è scomparsa, ma l’insediamento circostante si lascia leggere come un palinsesto: prima borgo monastico, poi borgofranco del comune di Novara, infine vivace snodo commerciale in età moderna. Un contesto in cui la Badia dialoga con il barocco della vicina chiesa della Madonna del Popolo (da non perdere gli affreschi di Tarquinio Grassi, all’interno), mentre a pochi passi di distanza la Cantina dei Santi, originaria pertinenza monastica, cela un prezioso ciclo affrescato quattrocentesco, dedicato alle gesta del re Davide. Tanti gli enigmi legati alla Cantina: chi ne fu il committente, quali fossero le sue funzioni, che significato avesse la scelta del tema iconografico… meglio lasciarsi semplicemente avvolgere dai colori e dal sorprendente realismo dei dettagli. Abbandonata la Biandrina, si torna in pianura seguendo la Roggia Mora, fino a trovare uno dei rari ponti medievali sopravvissuti, nei pressi del castello sforzesco di Proh.

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Poco lontano da qui i monaci di San Silano possedevano una dipendenza: ancora oggi della cella monastica di Santa Maria sopravvive la notevole abside romanica, quasi fusa con la struttura rustica della cascina nella quale si è trasformata, dopo essere a lungo stata centro spirituale e gestionale dei possedimenti abbaziali. Il Novarese conserva parecchi di questi luoghi, in cui l’eredità benedettina si legge fra le righe in edifici più volte trasformati, ad esempio in chiese campestri, magari “adottati” dalle comunità locali dopo che l’abbandono da parte dei religiosi li aveva condannati al declino. È il caso, ad esempio, del Santo Stefano di Tornaco: la struttura romanica dell’abside e all’interno alcuni affreschi del XV secolo, ricordano i trascorsi medievali, i tempi in cui qui risiedevano – e gestivano i terreni circostanti – alcuni monaci dell’abbazia di Santo Stefano di Vercelli, mentre l’aspetto attuale è frutto di interventi a partire dal XVIII secolo.

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Dalla Borgogna al Novarese: Cluniacensi e Cistercensi

Innestate sul ceppo benedettino – …l’immagine “viticola”, come si vedrà, non può essere più calzante – le esperienze monastiche elaborate nel cuore della Borgogna, a Cluny e a Citeaux, dalla Francia si diffondono fra X e XI secolo in tutto l’Occidente cristiano, in risposta a spinte di rinnovamento che fremono ormai da tempo nella Chiesa. E arrivano anche nella terra fra Sesia e Ticino,

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varcando le Alpi e scendendo dalle valli e dalla terra dei laghi: echi di questa presenza si colgono ancora in filigrana, talvolta annidati in luoghi nascosti e suggestivi come la cascina Cevola presso Invorio Superiore, dove i resti dell’antico oratorio di San Pietro richiamano proprio un’antica appartenenza cluniacense. Di qui si scende, fino a giungere alle porte della città, a Novara: qui, ancora oggi, la cascina San Maiolo, con la sua massiccia struttura bassomedievale lega antiche memorie cluniacensi al nome del santo abate, che proprio sulle Alpi venne rapito dai Saraceni, per poi essere liberato dal conte Guglielmo I di Provenza. Ma è a Carpignano Sesia, nel cuore della Biandrina, che si trova la migliore impronta di Cluny in terra novarese: la chiesa romanica di San Pietro, incastonata nel suggestivo tessuto medievale del ricetto, a sua volta inserito in una più ampia trama abitativa che non nega al visitatore piacevoli scorci settecenteschi (d’obbligo una tappa a naso in su nella parrocchiale di Santa Maria, per ammirare la cupola ornata da Antonio Orgiazzi). Un gioco di progressivi ingrandimenti d’obiettivo che è anche cronologico: in San Pietro infatti gli affreschi absidali risalenti al XII secolo, e inquadrabili in un orizzonte artistico di respiro che va ben al di là delle stesse Alpi – costituiscono uno dei tesori pittorici più preziosi del Novarese, e rimandano alle prime origini dell’insediamento. Dal XII secolo la chiesa nel castello diventa di-

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pendenza del potente priorato biellese di San Pietro di Castelletto, e con gli edifici attigui rappresenterà per secoli il centro della gestione del cospicuo nucleo di beni che il priorato possedeva a Carpignano: a pochi passi dall’edificio il notevole torchio cinquecentesco (uno dei più antichi in Italia nel suo genere) fatto costruire nel 1575 dalla famiglia Ferrari ricorda come le viti costituiscano un aspetto centrale nella vita economica della grangia di Carpignano, che tiene vigneti fin sulle colline fra Sizzano e Ghemme, dove l’attitudine alla produzione di vini d’eccellenza è quantomai d’attualità. Già che siamo sui “bricchi” del Monteregio, non bisogna inoltre perdere l’occasione per una puntata a Fara, tanto per ripassare il calendario agricolo medievale di queste terre, affrescato a metà Quattrocento sulle pareti della cappella di San Pietro, e condividere – magari dopo un buon calice di Vespolina – la soddisfazione del contadino che pigia di buona lena appoggiandosi al bordo del tino. Vigneti e filari, certo, ma anche lavori di campo e di prato: ideali in una fascia di terra come questa, a ridosso del fiume, in cui la perizia agricola dei monaci ha saputo dissodare gli incolti e incanalare le acque, talvolta raccogliendole dove scaturiscono dal terreno nella testa di un fontanile. Come alla fontana della Scimbla, nel folto del bosco lungo il Sesia – sempre a Carpignano – da raggiungere a piedi o in bici magari durante le profumate fioriture primaverili. I muriccioli in ciottoli, le polle di acqua

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sorgiva e i sentieri aiutano a comprendere la complessità di un paesaggio lentamente e rispettosamente plasmato da un lavorìo plurisecolare, che ha visto nell’introduzione del riso solo l’ultimo tassello, dopo numerose altre esperienze, solo in parte sopravvissute sino ad oggi. Proprio alle porte del ricetto di Carpignano la tettoia in metallo vagamente eclettica ci ricorda ad esempio che ancora ad inizio Novecento qui si veniva per comprare e vendere bachi da seta, anima di un’attività oggi quasi del tutto scomparsa, ma che nel Novarese trova ancora luoghi in cui ascoltarne la storia affascinante, come ad esempio nelle sale del Museo Etnografico “Fanchini” di Oleggio, o al Museo Didattico del Baco da Seta di Cressa. Le piantate di “moroni” – i gelsi, mantenuti per nutrire con le foglie i bachi – costituiscono del resto in età moderna una costante anche nelle economie di queste stesse fondazioni religiose, qui, come a San Nazzaro Sesia, duttili nell’assecondare le tendenze di mercato con una verve imprenditoriale che, in molti casi, solo le forzose soppressioni napoleoniche giungeranno a stroncare. È anche la storia di Casalvolone, centro che merita oggi una visita per la stupenda pieve romanica di San Pietro, ma che a partire dal XII secolo accoglie dall’abbazia milanese di Morimondo i primi monaci cistercensi, chiamati da Ardizzone, Enrico e Tommaso dei signori de Casaligualono. L’abbazia di San Salvatore va così strutturandosi intorno

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ad una chiesa a tre navate, fiorisce nei suoi primi secoli di vita poi trasformarsi in commenda a fine ‘400, ed essere infine soppressa nel 1819. Scomparsa anche la chiesa, resta oggi la sua memoria nella cascina San Salvatore, alle porte del paese, ma forse guardando il ritmo del paesaggio agricolo circostante si legge in filigrana la traccia lasciata da un ordine che concentra la gestione delle sue risorse patrimoniali su allevamento e cerealicoltura, pratiche che implicano incisive azioni di modellazione del territorio. Oggi le mandrie abbaziali non svernano più lungo le sponde del fiume, ma davanti a una profumata ruota di gorgonzola – a completare la triade insieme a riso e vino – è facile percepire quelle antiche economie monastiche come parte del DNA della piana novarese di oggi.

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Oltre il chiostro. Strade, incontri e confronti

Parlare di monasteri nel Novarese vuol dire anche evocare una dimensione che spesso travalica i confini che oggi sono percepiti per questo territorio, oppure chiamare in causa un intreccio di voci e interlocutori che lascia intravedere il ruolo che tali realtà hanno avuto durante soprattutto il Medioevo. Oltre il chiostro il peso di un monastero si misura in primo luogo dall’ampiezza della sua rete patrimoniale: terreni, corsi d’acqua, alpeggi e castelli, chiese e cascine, diritti di pascolo, di pedaggio o di mercato… come ad esempio per Arona, e il monastero dei Santi Felino e Graziano, fondato dal conte Amizone, o Adamo, del Seprio nel X secolo ed affidato ai Benedettini. Oggi la veste barocca della ex chiesa abbaziale – per duecento anni ci sono stati i Gesuiti – non riesce del tutto a nascondere le tracce di un passato imponente, legato a doppio filo, a partire dal XV secolo, con la famiglia Borromeo, e richiamato, ad esempio, dal raffinato altare rinascimentale contenente le reliquie dei due santi titolari. Preziosi resti degli antichi spazi claustrali – frammenti di colonnine in marmo rosato di Candoglia, oppure le lunette scolpite conservate presso il Lapidario della

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Canonica – fanno rimpiangere la perdita pressochè totale di un complesso monastico che vantava possedimenti sparsi dalla Bassa – ad esempio la chiesa di San Vito di Cavagliano (Bellinzago N.se), oggi più nota per i suoi notevoli affreschi di XV-XVI secolo – fino ai più lontani versanti alpini valsesiani, a Rima, passando per Bogogno, e quindi Pombia, tra le colline che guardano il Ticino e sentono la prima brezza di lago. La documentazione attesta la presenza dei monaci di Arona presso la dipendenza pombiese di San Martino, ancora oggi testimoniata da una piccola chiesa romanica a tre navate, non lontana dalla più massiccia mole della chiesa di San Vin-

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cenzo, con il poderoso avancorpo impostato su un solo grande arcone. Qui, come del resto in Valsesia, l’abbazia intrecciava le sue vicende con la potente famiglia dei conti di Pombia, e si presentava come importante attore territoriale, che nel 1173 riesce ad estendere il suo controllo anche sul monastero benedettino di Fontaneto, altro luogo riferibile – alle sue origini – ad una sfera di potere decisamente sovraterritoriale. È il visconte Gariardo, fedele del marchese Adalberto di Ivrea, a fondare il cenobio nel 908, legandolo al mercato che mensilmente si tiene nel borgo. Dell’antico cenobio, che dopo il Mille figura situato all’interno del castrum del luogo, oggi restano tracce che si sono integrate con il progressivo sviluppo dell’insediamento di Fontaneto: scomparsa l’antica chiesa abbaziale, alcune preziose testimonianze scultoree altomedievali reimpiegate nell’oratorio di San Sebastiano raccontano comunque di una cultura figurativa ben inserita nel suo orizzonte di IX-X secolo. Il monastero nei suoi anni migliori si confronta con un’altra sfera istituzionale che modella il territorio in chiave religiosa, e questo dialogo è un elemento costante che spesso ritorna durante il Medioevo, qui come altrove. “In una selva lungo un fonte presso le Alpi”, nel vicino villaggio di Suno, vengono infatti portate da Arles le reliquie di San Genesio, ed intorno ad esse si sviluppa un centro battesimale che è uno dei presidi del sistema di cura d’anime che innerva tutto il Novarese.

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Nel 1132 la pieve di Suno è riconosciuta dal vescovo Litifredo come punto di riferimento per le comunità cristiane della zona, dotata com’è di un battistero a pianta ottagonale che ripropone uno schema planimetrico dalle forti valenze simboliche (l’ottavo giorno, il giorno della Risurrezione). Una struttura che nel Novarese trova straordinarie testimonianze ancora pienamente fruibili, dal battistero della cattedrale, a quelli di Agrate e di Cureggio, dove alla struttura romanica in pietra si affiancano gli allestimenti museali dello Spazio Multimediale TAM, che racconta la storia di questo territorio fra antichità e Medioevo. La dialettica fra fondazioni monastiche e potere episcopale – materializzato nella rete di centri battesimali e, poi, pievi e parrocchie – sa spesso essere vivace, anche perché sono in gioco competenze e influenze dai risvolti territoriali molto concreti. Il respiro di questo rapporto si fa straordinariamente ampio quando le fondazioni monastiche sono legate a enti fuori dal territorio, talvolta molto lontani, oppure muovono i primi passi stimolate dai grandi poteri centrali: tutto questo lo si ritrova, in una superba cornice ambientale, a Massino Visconti, risalendo il versante del monte di San Salvatore, affacciato sul Verbano. Prima, nell’865, l’imperatore Ludovico II e il monastero di San Sisto di Piacenza, poi il potente vescovo di Vercelli Liutvardo, quindi l’abbazia svizzera di San Gallo, uno dei punti cardinali del monachesimo europeo: il controllo sul luo-

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go, “fertile d’olio e di vino”, passa di mano in mano fino a divenire luogo simbolo per la nascente potenza famigliare dei Visconti, e nel frattempo va articolandosi con la progressiva costruzione di tre chiese romaniche al di sotto di quella sommitale del Salvatore, in un fervore architettonico e decorativo che lascia testimonianze pittoriche di pregio. Molte altre sono le piccole e grandi fondazioni che, documentate dalle fonti scritte, gettano ponti e tracciano strade verso realtà dislocate: i monaci canavesani di San Benigno possiedono la chiesa di San Martino di Obbiate, presso San Pietro Mosezzo, e mettono a profitto terreni a Casalgiate, dove condividono la scena con i canonici valdostani del San Bernardo, mentre i benedettini di San Sisto di Piacenza sono di casa a Cameri, a Trecate... l’elenco potrebbe continuare, soprattutto in una terra, come il Novarese, che si colloca a cerniera fra pianura e montagna, fra Piemonte e Lombardia, stretta da grandi fiumi che per millenni hanno attratto e accompagnato uomini e idee.

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Dal monastero al convento: gli ordini mendicanti

Ordine legato alla predicazione, quello francescano, e irresistibilmente attratto dai luoghi dove più è vivace la vita sociale: nulla di più naturale che già dal 1233 a Novara sia presente una comunità di frati nel periferico borgo di San Gaudenzio. Del resto i margini cittadini sono frequentemente scelti dagli ordini mendicanti per la loro azione spirituale, lontana dall’idea dell’eremo, ma saldamente radicata nel territorio sul quale si muovono. Si muovono, anzi, camminano: camminano per predicare, e si spostano per questuare quanto è loro necessario per vivere, punteggiando il contado con i loro luoghi: così a Trecate, del loro convento – a più ri-

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prese ingrandito a partire dal 1515-20 – oggi resta parte del chiostro, e le vicende di San Francesco le possiamo leggere nelle pregevoli lunette secentesche di Giacomo Parravicino. E un altro chiostro francescano, ancora fruibile accanto alla interessante chiesa di San Rocco (1652), ospita oggi il Museo “Fanchini” di Oleggio; una visita alla raccolta di arte sacra “Mozzetti”, presso la parrocchiale, può aiutare a comprendere la vitalità culturale e devozionale del contesto entro il quale per secoli i frati si sono mossi. Ma torniamo a Novara: scomparso il primo convento di San Luca, il punto d’avvio per questo percorso è San Nazzaro della Costa, alla periferia orientale della città. Chiesa antica, già esistente nel 1256, quando ci arrivano le Clarisse di Cavaglietto, trasferite in città dal vescovo a seguito della loro condotta un poco irrequieta. In seguito qui si stabiliscono i Francescani (nel 1444) e rimodellano la chiesa romanica, che in breve si orna di una serie di notevoli affreschi. Opere che, salvo alcune eccezioni, guardano decisamente oltre Ticino, come gli interventi riferibili alla bottega lombarda di Butinone e Zenale, alla quale – ad esempio – si può riferire il ciclo con le Storie di San Girolamo, caratterizzato da scorci architettonici di gusto classico. Prima del presbiterio restano tracce consistenti dell’antico tramezzo in muratura, che con l’originario ciclo affrescato con gli Episodi della Vita di Cristo costituiva uno sfondo scenograficamente effi-

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cace per la divulgazione della fede. Parlare chiaro con le immagini, qui in città come pure nel contado: la predicazione osservante lascia il segno, soprattutto nella stagione più straordinaria della pittura novarese. Lo scopriremo incamminandoci sulle strade accanto al Sesia, ma solo dopo una visita alla chiesa cittadina di San Pietro al Rosario, luogo che dal 1552 si lega alla presenza dei Domenicani – l’altro grande ordine mendicante – per ritrovare ancora una volta l’aria di Lombardia nella tardogotica Madonna del Latte, ricavata rilavorando due blocchi marmorei di età romana. Usciti dalla città, ci possiamo portare in Santa Maria Nova a Sillavengo, con le Storie della Passione (fine XV secolo), dipinte sull’arco trionfale sopra l’abside secondo uno schema iconografico di matrice francescana che ritroviamo anche a Landiona, in Santa Maria dei Campi, per approdare quindi all’oratorio di San Martino di Ponzana (Casalino). Qui, accanto a San Francesco che riceve le Stigmate, compare una raffigurazione del Miracolo dell’Impiccato, che al tempo stesso rimanda al cammino di chi aveva per meta San Giacomo di Compostela, e per la sua rarità ci costringerebbe ad una piacevole incursione sino a Bogogno, per ritrovare un confronto puntuale fra i pregevoli affreschi di fine XV secolo che ornano l’interno dell’oratorio di San Giacomo. Dalla piana si può poi risalire verso le colline intorno ai laghi, toccando Momo, dove il tema or-

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mai consueto delle Storie della Passione spicca nel ricchissimo corredo pittorico dell’oratorio della Santissima Trinità, il luogo in cui forse più che in qualsiasi altro emerge la forza del messaggio devozionale passato per immagini (e per colori, quelli splendidi del Quattrocento novarese). Passando per Borgomanero il complesso della Baraggiola, con l’alta torre medievale in pietra accanto alla chiesetta romanica di San Nicola, racconta la tradizione “che presso questa chiesa abitassero dei religiosi dell’ordine degli Eremiti di Sant’Agostino”: al di là della plausibilità storica, questo ci ricorda che oltre a Francescani e Domenicani anche altri sono, a partire dal XIII secolo, i membri della famiglia mendicante, che – col passare dei secoli – vedrà affiancarsi alla sua azione anche altre esperienze di vita consacrata, espressione del mutare della spiritualità e delle necessità collettive. A Galliate, ad esempio, le Orsoline a partire dal 1637 agiscono a livello educativo nella realtà locale, ancora una volta agganciandosi alla narrazione per immagini nello strutturare, nella loro chiesa, lo stupendo altar maggiore ligneo (1681), con venti pannelli intagliati raffiguranti i Misteri della Redenzione. Con la Controriforma il ruolo dell’arte come affascinante vettore di contenuti religiosi diviene centrale, soprattutto per i nuovi ordini come ad esempio la Compagnia di Gesù, che – prima della soppressione nel 1773 – si radica profondamente sul territorio anche a livello fondiario: dei Gesuiti

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è sin dal 1649 la proprietà della Villa Picchetta di Cameri, azienda da reddito e luogo di delizie al tempo stesso, dove la solenne impostazione del prospetto colonnato e la spazialità dell’Ottagono centrale si inseriscono armonicamente nel contesto naturale circostante, oggi tutelato dal Parco del Ticino. Il percorso, tanto per riallacciarsi al filo iniziale, finisce dove “si gode bellissima vista, aria bonissima, temperata e salubre”: siamo al Monte Mesma di Gozzano, con la sua spettacolare vista sul Cusio, davanti al convento francescano che qui sorge dal 1619. Entriamo: la spoglia navata unica della chiesa riprende moduli classicamente francescani, gli stessi che ritornano nei due incantevoli chiostri, ritmati dalle basse archeggiature su colonnine in pietra. In pietra – serpentino d’Oira – è anche il monumentale “stufone” datato 1727 presente nell’antico scaldatoio, testimonianza delle ristrutturazioni settecentesche alle quali è anche da attribuire la costruzione della biblioteca, che completa la definizione di uno dei luoghi di vita religiosa comune più suggestivi del Novarese.

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Vivere secondo la Regola: esperienze di vita comune

Accanto alle esperienze monastiche fiorite a partire dal IX-X secolo, esistono sulla terra fra Sesia e Ticino altre realtà che, allo stesso modo, hanno lasciato in eredità ai nostri giorni testimonianze architettoniche ed artistiche di rilievo, oppure tracce storiche significative, che non di rado hanno influenzato la stessa fisionomia del territorio. La regula, come codice condiviso di valori e di finalità, e il chiostro – ma anche il refettorio, o il dormitorio – sono fattori che accomunano realtà diverse, anche poste al di fuori del monastero inteso in senso stretto. Lo si percepisce chiaramente varcando a Novara l’androne che, all’ombra della cattedrale, immette nel silenzioso quadrato verde del chiostro della Canonica, circondato da un massiccio porticato archiacuto su pilastri ottagonali, che ne dichiara l’impianto quattrocentesco ma solo in parte rivela l’antichità della sua prima fondazione. Risale infatti al tempo dell’episcopato di Litifredo la prima impaginazione architettonica di questo spazio, destinato alla vita comune dei sacerdoti operanti presso la cattedrale, organizzati in una canonica dal vescovo Adalgiso fin dal IX secolo. Gli spazi ieri occupati dagli appartamenti cano-

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nicali oggi fanno parte, con il palazzo episcopale, la cappella di San Siro e il battistero, del complesso monumentale della cattedrale, e ospitano uno dei più importanti poli museali del territorio, raccogliendo l’eredità dell’antico Lapidario che qui aveva trovato sede sin dal 1813. Il vicino archivio diocesano custodisce la documentazione che racconta come la Canonica abbia plasmato nei secoli il territorio intorno alla città, amministrando cascine, gestendo acque e terreni, accompagnando il progressivo trasformarsi della Bassa da terra di frumento, vigne e pascoli a comprensorio risicolo d’eccellenza. Dinamiche simili a quelle che si trovano spo-

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standosi sui pianali morenici che da Bellinzago si estendono verso il Terdoppio, dove un elegante portale settecentesco immette nei cortili rustici della Badia di Dulzago, stretti intorno alla romanica chiesa di San Giulio. Luogo di antico popolamento: ancora oggi un sarcofago romano funge da abbeveratoio accanto alle vecchie scuderie, a testimoniare frequentazioni antiche verosimilmente collegate alle buone risorse disponibili in zona. Nel 1183 qui ci sono i Canonici Regolari di Sant’Agostino, ai quali è forse da riferire la costruzione del tiburio quadrangolare, impostato sulla struttura

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della chiesa triabsidata. La Badia attraversa i secoli passando dagli Agostiniani ai Lateranensi, la sua chiesa viene a più riprese decorata, i fabbricati circostanti ristrutturati, ma ciò che resta costante è la sua connotazione di polo gestionale per il paesaggio agricolo limitrofo, addomesticato e modellato non solo dal punto di vista materiale. A Linduno, infatti, antica dipendenza dulzaghese, i pregevoli affreschi di Luca de Campis (1468) nell’oratorio di Santa Maria svelano l’illustre committenza del praepositus della canonica, il lombardo Bassiano Calco. Anche l’istituzione della commenda, a partire dal XV secolo, non arresta questo processo, che si riflette tanto nelle imprese pittoriche che in età moderna interessano la chiesa, quanto nella perfetta organizzazione produttiva del complesso, dotato anche di un forno, una ghiacciaia e uno stabile per la produzione del formaggio. Ma il quadro delle grandi fondazioni canonicali novaresi non sarebbe completo se non ci spostassimo sul lago, a Orta, per raggiungere San Giulio: oggi diventata sede di un importante monastero benedettino femminile di clausura, l’isola era nel Medioevo un luogo di cruciale importanza territoriale. Già sede di potere in età longobarda, a partire dal IX secolo diventa centro del sistema pievano della zona, con la presenza di un collegio canonicale che, poco a poco, si dota di beni sempre più estesi e dislocati. La basilica di San Giulio ancora oggi testimonia

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tangibilmente lo splendore dei dieci e più secoli durante i quali l’isola, oltre ad ospitare la canonica, è stata il cuore del feudo vescovile della Riviera d’Orta, perdurato fino al 1767: le linee romaniche dell’edificio, con la sua massiccia torre campanaria, racchiudono tre navate risplendenti dei colori di numerosi affreschi del XV-XVI secolo, di tele e arredi sei-settecenteschi, ma soprattutto incorniciano lo splendido ambone romanico in pietra d’Oira, fra i manufatti più significativi della scultura norditalica del XII secolo. Da qui il Capitolo di San Giulio gestiva i suoi beni

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più prossimi, ricevendo le decime su campi e prati, sul mosto e sulle castagne, sulla pesca nel lago e sui mulini dei villaggi della Riviera, ma riscuoteva anche ciò che gli si doveva dai possedimenti più dislocati, dagli alpeggi dell’Alta Valsesia, fino alla piana novarese e alle terre del Vercellese, passando per le colline di Cureggio e di Romagnano Sesia. A volte la presenza patrimoniale è marcata anche dalle immagini: la raffigurazione di San Giulio che scaccia i serpenti dall’isola campeggia nell’oratorio omonimo a Cressa, luogo dove i canonici possedevano beni, convivendo con un’altra interessante realtà religiosa, vale a dire l’ordine militare dei Cavalieri di Malta. Il loro simbolo, la croce rossa in campo bianco, è ancora visibile sulle pareti esterne della cappella medievale di San Giovanni de Barazia. Una fondazione di strada, una domus, vicina al guado sul torrente Lirone, che svela una presenza religiosa minuscola, ma legata alla ben più ricca e potente Commenda di San Giovanni del Pellegrino, situata alle porte di Novara, nel borgo di Sant’Agabio. Questo spunto apre uno spiraglio anche sugli ordini militari, quali appunto i Cavalieri di Malta, o i Templari, che figurano accanto alle fondazioni monastiche ed alle canoniche nel variegato panorama del Novarese medievale, ma che diversamente da quelle hanno lasciato solo esili tracce materiali.

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AMENO

Convento francescano del Monte Mesma Sulla sommità del Monte Mesma, in affaccio sul sottostante Lago d’Orta e sul luogo di una preesistente struttura fortificata, è presente sin dal XVI secolo un oratorio dedicato alla Madonna degli Angeli. Tale sito è prescelto nel 1619 per la costruzione di un convento francescano: artefici dell’iniziativa sono due frati di origine locale, che riescono a coinvolgere le comunità di Ameno e Lortallo nell’impresa. Non senza opposizione da parte dei Cappuccini del vicino convento del Sacro Monte di Orta, l’iniziativa è coronata da successo, e nel 1629-30 la comunità francescana si stabilizza nella nuova sede. L’attuale insieme di edifici è ancora in gran parte l’originale, con la chiesa conventuale a

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navata unica, i due chiostri con gallerie impostate su basse archeggiature sorrette da colonnine lapidee, alcune strutture peculiari, quali la cisterna con l’elegante edicola per l’attingimento dell’acqua, e, nell’antico scaldatoio, un monumentale stufone settecentesco in pietra d’Oira. Sempre al XVIII secolo risalgono alcune significative fasi architettoniche, comprendenti la costruzione della biblioteca e di una piccola cappella al servizio dell’infermeria. Le soppressioni ottocentesche colpiscono pesantemente il Mesma, dove solo alla fine del secolo la vita conventuale può riprendere con regolarità, facendo registrare gli ultimi interventi di ristrutturazione, che tuttavia non snaturano l’originaria conformazione secentesca del complesso.

ARONA

Ex abbazia benedettina dei Santi Graziano e Felino (oggi chiesa dei SS. Martiri) L’abbazia benedettina dedicata ai Santi Graziano e Felino lega le sue origini al conte Amizone, o Adamo, del Seprio, che la fonda nel X secolo: riferibile a tale momento è la antica tradizione che asserisce la traslazione delle reliquie dei due titolari da Perugia ad Arona. Certo è che da subito il cenobio acquisisce un ruolo territoriale di spicco, consolidando un patrimonio che comprende numerose pertinenze: tra di

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esse, oltre agli alpeggi posseduti sui versanti alpini ai piedi del Rosa, si ricordano ad esempio la chiesa di San Vito a Cavagliano (Bellinzago) o la dipendenza di San Martino di Pombia. L’originario complesso romanico subisce molteplici trasformazioni, che culminano nella ricostruzione della chiesa alla fine del XV secolo, fase alla quale risale la raffinata struttura marmorea dell’altare che custodisce le reliquie dei santi titolari. A partire da questo momento le vicende dell’abbazia si intrecciano con quelle della famiglia Borromeo: sarà proprio San Carlo, ultimo abate, a cederla al nascente ordine dei Gesuiti, che ristrutturerà profondamente la chiesa, sistemando le cappelle accanto al presbiterio (1576) e realizzando la piacevole facciata con decori a stucco (1720). Degli antichi fabbricati claustrali, pressoché perduti, restano alcuni lacerti romanici (colonnine) inglobati negli edifici che circondano la piazza De Filippi, oltre alle due pregevoli lunette scolpite con la Crocifissione e San Benedetto ed i monaci (XV secolo), conservate presso il Lapidario della Canonica.

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BIANDRATE

Chiesa parrocchiale di San Colombano

L’attuale parrocchiale di Biandrate raccoglie l’eredità della antica collegiata di San Colombano, dopo la scomparsa, avvenuta in età moderna, della originaria pieve di Santa Maria che costituiva il polo di spicco nell’organizzazione della cura d’anime del luogo. Costruita all’interno del castello dei conti di Biandrate – famiglia derivata dalla originaria stirpe dei conti di Pombia – la collegiata viene fondata verosimilmente su iniziativa signorile, ed è evocata dalla documentazione sin dal 1146.

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Anche questo luogo, come la non lontana abbazia di San Nazzaro, racconta come nel processo di consolidamento signorile della famiglia la pianificazione di una fondazione religiosa costituisca un tassello molto importante. Interessante inoltre è la dedica a San Colombano, figura di spicco del monachesimo irlandese altomedievale e fondatore del monastero emiliano di Bobbio, attestata anche nell’oratorio del castello di Briga, in un altro luogo cruciale per le vicende della famiglia comitale. Della antica struttura romanica restano, oltre ad alcune interessanti formelle in cotto con rappresentazioni di animali fantastici murate sul fianco della chiesa, le strutture dell’avancorpo a portico, impostato su quattro campate voltate a crociera. Di notevole rilievo è la decorazione pittorica delle sue pareti, sulle quali campeggia – in particolare – la monumentale raffigurazione del Giudizio Finale, fatto eseguire dal prevosto Bonsignore de Arborio nel 1444 alla bottega novarese di Giovanni De Campo. Una antica tradizione locale narra la morte a Biandrate del vescovo Sereno di Marsiglia, spirato “sulla via delle Gallie” durante il ritorno da Roma e qui sepolto: nello scurolo sopra il portico si venerano tuttora le sue reliquie, contenute in una pregevole urna seicentesca.

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BOGOGNO

Oratorio di San Giacomo Dedicato al santo protettore dei viandanti e dei pellegrini, l’oratorio sorge poco discosto dall’abitato di Bogogno, luogo caratterizzato in antico anche dalla presenza di consistenti nuclei di beni appartenenti al monastero di Arona e ai canonici di San Giulio. Al suo interno – rimodulato da una ristrutturazione secentesca – sono custodite alcune interessanti testimonianze pittoriche, fra le quali spicca in particolare il Matrimonio mistico di Santa Caterina, attribuibile alla personalità nota come Maestro di Borgomanero, operante in zona sul finire del XV secolo. Nell’abside e sulle pareti laterali della seconda campata sono collocati gli affreschi più antichi, in-

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quadrabili nella produzione della bottega novarese dei De Campo; la data 1473 a suo tempo letta accanto ad uno dei dipinti fornisce un affidabile appiglio cronologico. Tra le numerose raffigurazioni sono notevoli, per la peculiarità del tema iconografico, il Miracolo di Sant’Eligio – patrono dei fabbri – che riattacca la zampa di un cavallo al quale era stata tagliata, e la rara rappresentazione del Miracolo dell’impiccato, o di San Giacomo Maggiore, riconducibile da un lato al ricco patrimonio devozionale connesso ai pellegrinaggi jacopei, dall’altro ad un probabile influsso francescano, analogamente a quanto si risconta nell’oratorio di San Martino di Ponzana.

BORGOLAVEZZARO Campo della Ghina

Una passeggiata nel Campo della Ghina, a Borgolavezzaro, può dare un’idea molto efficace di quale sia il paesaggio entro il quale si muovono, sfruttandone oculatamente le potenzialità, le numerose fondazioni monastiche che nel Medioevo agiscono sulla piana fra Sesia e Ticino. Su una superficie di circa due ettari l’area presenta infatti un frammento della antica foresta planiziale, una zona umida con canneti e un boschetto di ontani, alcuni dossi che con i loro piccoli dislivelli fanno percepire come prima dell’attuale

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geometria di risaie il paesaggio di pianura sia stato caratterizzato da avvallamenti ed ondulazioni, oggi tramandate solamente dalla documentazione antica e dalla toponomastica dialettale. Nelle prime economie monastiche la presenza del bosco è cruciale, come spazio gestito e rispettato, in quanto serbatoio di preziose risorse tanto per il pascolo allo stato brado, quanto per l’approvvigionamento di materiali da costruzione. Il bosco, insieme alle macchie e alle brughiere (le baragge), serve d’inverno per alimentare – talvolta con le foglie e le frasche raccolte e immagazzinate prima dell’autunno – gli animali che dagli alpeggi estivi scendono ad attendere la primavera. Anche le azioni di dissodamento, pur pianificate e promosse, tengono sovente conto della presenza dell’incolto, mai del tutto eliminata, almeno fino al dilagare della risicoltura alla fine dell’età moderna. La precisa nomenclatura delle varie essenze accompagna il visitatore, che può proseguire la sua esperienza al non lontano Campo del Munton, dove un gelso centenario ricorda il peso che per secoli ha avuto in queste piane l’allevamento dei bachi da seta, alimentati proprio con le foglie del muron.

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BORGOMANERO, località BARAGGIOLA Oratorio di San Nicola

“È tradizione che presso questa chiesa abitassero dei religiosi dell’ordine degli eremiti di Sant’Agostino”: così nel 1880 si annota a proposito della chiesa di San Nicola alla Baraggiola, raccogliendo suggestioni che la vorrebbero collegata al priorato di San Germano di Talonno, presso Invorio. Ciò che è evidente, al di là di tali asserzioni che ancora attendono conferme storiche, è il notevole valore architettonico del complesso, costituito in primo luogo da una cappella che, nonostante la probabile demolizione di una parte della navata, ancora mostra evidenti nell’abside le sue antiche linee romaniche; ad essa si affianca un’alta torre a pianta quadrangolare, riconducibile ad una fase architettonica successiva, ma non posteriore al XII secolo. Le funzioni della torre,

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che probabilmente serve in epoca medievale anche da campanile, comprendono valenze difensive – come denota la porta di accesso “in quota”, e di avvistamento, anche in considerazione della collocazione, nel quadro di quella curtis di Baraggiola che sin dal X secolo risulta saldamente attestata fra i possessi dei canonici di San Giulio d’Orta. Descritto dalle visite pastorali tra 1617 e 1677 come minacciante rovina, l’oratorio di San Nicola è oggetto di restauro alla fine del secolo, mentre gli ultimi interventi di manutenzione risalgono agli anni ’30 del Settecento.

BRIONA, località PROH

Ex cella benedettina di Santa Maria La cella di Santa Maria costituisce una delle più importanti dipendenze del monastero benedettino di San Silano di Romagnano, che la gestisce sin dalla sua consacrazione, avvenuta tra il 1123 e il 1151 ad opera del vescovo di Novara Litifredo. Poco lontano sorgeva la scomparsa pieve di San Zenone di Proh, luogo che oggi è caratterizzato dalla notevole architettura in cotto della rocchetta di età sforzesca. La documentazione ricorda con discontinuità le vicende della cella: nel 1337 ne è priore Uberto da Sillavengo, che manterrà la sua carica per poco

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tempo a causa di controversie insorte con l’abate di San Silano, Antonio da Gattinara. Connotato come polo religioso di una dipendenza patrimoniale dell’abbazia – che qui possiede diritti e terreni – l’edificio nasce con una struttura a tre navate orientate. L’attuale conformazione è risultato di un progressivo abbandono che lo interessa già dall’epoca bassomedievale, probabilmente a seguito della cessazione delle sue funzioni monastiche. Nel 1597, infatti, la chiesa consiste già in una sola navata, nella quale si smette di celebrare nel 1650. Nonostante una ripresa nel secolo successivo il processo di trasformazione è irreversibile e la struttura dell’edificio sacro è adattata a cascina. Resta oggi però la notevole abside romanica, che all’esterno mostra una ordinata tessitura in ciottoli fluviali e laterizi: la muratura rivela un’ottima tecnica costruttiva e uno spiccato gusto coloristico, sottolineato dalla raffinata alternanza dei diversi materiali impiegati.

CAMERI

Villa Picchetta La Villa Picchetta risale nel suo primo impianto al 1575, quando è citata fra i beni assegnati alla famiglia spagnola Cid, residente a Milano. Già da questo momento emerge chiaramente la connotazione del luogo come azienda da reddito e, al tempo

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stesso, luogo di delizie, che viene progressivamente strutturato anche mediante una raffinata pianificazione architettonica e paesistica. Nel 1649 i Gesuiti di Novara ereditano la Picchetta, proseguendo nel mantenimento e nel potenziamento delle sue valenze produttive, fino alla cessione – nel 1773, contestualmente alla soppressione dell’ordine – in mani private. Dopo una fase di possesso esercitato dalla nobile famiglia Natta d’Alfiano, dal 1989 la villa è divenuta proprietà del Parco del Ticino ed oggi è sede del Parco del Ticino e Lago Maggiore. L’edificio padronale, prospettante verso la strada mediante un porticato con colonne in granito, presenta una pianta simmetrica, scandita da torri angolari e organizzata intorno alla sala detta Rotonda. Questa è ancora caratterizzata dagli originari partiti decorativi, leggibili in parallelo con

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le decorazioni visibili nel portico sul lato ovest del palazzo, dove si scorgono pregevoli raffigurazioni di paesaggi. Riferibile alle sistemazioni originarie è anche il salone verso il giardino, ornato da un soffitto a cassettoni e da un grande camino a parete. È dedicato a Santa Margherita ed all’Immacolata, infine, l’oratorio collocato nel giardino.

CARPIGNANO SESIA

Chiesa cluniacense di San Pietro nel ricetto La chiesa di San Pietro figura a partire dal XII secolo fra le dipendenze del potente priorato cluniacense dei Santi Pietro e Paolo di Castelletto Cervo (Biella): a causa delle guerre fra XIII e XIV secolo spesso la comunità monastica ripara a Carpignano, in quella che la documentazione definisce grangia. Il priorato manterrà tali proprietà sino alla sua soppressione, nel XVI secolo, ricavandone redditi notevoli derivanti dalle vaste estensioni di terreni coltivati e dai vigneti, presenti sia sul posto che sulle colline di Ghemme e Sizzano; analogamente legate a Castelletto erano anche le chiese di Sant’Agata e di Santa Maria di Lebbia, ancora oggi esistenti come oratori campestri. Posto nel cuore del complesso fortificato del castrum – ricordato come tale già dalla documentazione più antica – l’edificio si presenta con una veste architettonica risalente all’XI-XII secolo: le sue tre nava-

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te sono ornate da testimonianze pittoriche fra le quali spiccano, nell’abside, affreschi romanici (XII secolo) di elevato livello qualitativo, che dialogano con alcune raffigurazioni devozionali più tarde (XV secolo) riconducibili alla bottega di Tommaso Cagnola (Santa Caterina) e a un anonimo pittore lombardo-piemontese (Annunciazione e Santi Dorotea ed Antonio). Poco lontano dalla chiesa, che sulla facciata mostra ancora gli stemmi dipinti di alcuni priori commendatari, il notevole torchio “alla latina” (1575, originariamente di proprietà della famiglia Ferrari), custodito in un apposito fabbricato, ricorda le molteplici valenze economiche e produttive legate al contesto del ricetto, luogo in cui la presenza monastica dialoga con quella della comunità locale.

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CARPIGNANO SESIA Fontana della Scimbla

La gestione delle acque è uno dei settori in cui la presenza monastica, nel Novarese come in tutta la fascia padana, più profondamente ha lasciato tracce di sé, soprattutto nel quadro della valorizzazione agricola dei patrimoni fondiari, talvolta arrivando a contrastare il ciclo stagionale con l’impianto di marcite – così tipiche dei sistemi agricoli cistercensi – ma più frequentemente sfruttando corsi d’acqua naturali o alvei abbandonati per tracciare rogge. La presenza nel Novarese della fascia dei fontanili viene valorizzata sin dal Medioevo con la cura delle “teste” (il punto in cui sgorga la polla sorgiva), sovente potenziate con l’infissione di tini senza fondo per agevolare l’uscita dell’acqua; anche l’ambiente circostante è oggetto di attenzioni, poiché il mantenimento della vegetazione garantisce la tenuta delle sponde e il necessario ombreggiamento contro il proliferare di erbe infestanti. Nel 1222, ad esempio, a Fontaneto, si vede l’abate di Arona contrattare i diritti per le acque di una sua fontana, richiestegli per irrigare alcuni prati a Cavaglio. Vicino a Carpignano, invece, e poco lontano dal bel frammento di foresta planiziale del bosco della Vallera, la fontana della Scimbla presenta al visitatore un ambiente di notevole interesse: i canali sistemati con muretti in ciottoli, le piantate lungo le aste delle fontane parlano di una

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consuetudine con le acque che, dopo la fase medievale in cui è centrale il ruolo dei prati al servizio dell’allevamento, vede oggi questi sistemi integrare la rete irrigua destinata alle risaie.

CASALINO, località PONZANA Oratorio di San Martino

Un provvidenziale restauro ha portato alla recente riscoperta del prezioso corredo pittorico che fa mostra di sé sulle pareti e sulle volte di un vano originariamente pertinente all’oratorio medievale di San Martino di Ponzana, quasi totalmente demolito in occasione della ricostruzione dell’edificio in forme barocche nel 1786. L’ambiente costituiva in origine il presbiterio della chiesa, voltato a crociera e preceduto da un arco trionfale, sul quale erano presenti affreschi ormai difficilmente leggibili a causa dell’esposizione alle intemperie. Ad un maestro novarese della fine del XV secolo sono pertanto attribuibili le raffigurazioni della Crocifissione (sulla parete absidale), delle Sibille, sull’intradosso dell’arco trionfale, di alcuni santi cari alla devozione locale, e in particolare di figure legate all’ambito francescano, evocato tanto nell’affresco rappresentante San Francesco che riceve le stigmate, quanto nel Miracolo dell’impiccato (o di San Giacomo Maggiore) presente sulla parete nord. Nelle

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vele della volta, invece, alle immagini degli Evangelisti sono accostate le figure dei Padri della Chiesa, inquadrate sullo sfondo di rigogliosi verzieri. Due scudi a fondo bianco e i resti di un’iscrizione suggeriscono di ricondurre la realizzazione di questo significativo complesso pittorico ad una committenza privata, tuttavia difficilmente precisabile.

CASALVOLONE

Ex abbazia cistercense della Trasfigurazione del Salvatore La fondazione dell’abbazia cistercense della Trasfigurazione del Salvatore di Casalvolone risale al XII secolo, e più precisamente al 1169, anno in cui si registra il trasferimento di un gruppo di monaci dall’abbazia lombarda di Morimondo. Una presenza monastica sul luogo è però attestata sin

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dal X secolo, quando sembra esistervi un cenobio benedettino del quale, tuttavia, non si hanno ulteriori notizie, mentre è certa la conferma dell’abbazia come facente parte dei beni del vescovo di Novara Litifredo nel 1132. Nel 1181 risulta possedere beni in Novara, oggetto di contesa con l’abate di Morimondo, mentre un atto del 1225 evidenzia il ruolo cruciale – nella rifondazione cistercense – ricoperto dai nobili fratelli Ardizzone, Enrico e Tommaso de Casaligualono. La scelta, rivolta ad un ordine caratterizzato da competenze avanzate sul piano della valorizzazione agricola e della gestione fondiaria delle aree di pianura, sembra suggerire un programma alquanto preciso da parte dei fondatori, tendente a mettere a sistema le notevoli risorse territoriali del luogo. L’abbazia passa, probabilmente nel XV secolo, al regime di commenda, per poi essere definitivamente soppressa in epoca napoleonica e venduta a privati. A seguito di tale evento il complesso si trasforma progressivamente in azienda agricola, e scompare anche la chiesa abbaziale, articolata su una pianta a tre navate con abside a terminazione rettilinea. Dell’edificio restano solamente alcuni frammenti scultorei (due chiavi di volta scolpite, forse riferibili al XIII secolo) e il ricordo, affidato in tempi recenti a un piccolo oratorio privato.

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CUREGGIO Battistero

Il battistero di Cureggio, analogamente a quello non lontano di Agrate, costituisce una preziosa testimonianza delle strategie pastorali attuate, soprattutto nelle zone rurali, dall’episcopato novarese, in particolare durante il mandato pastorale di Litifredo (11231151). Qui, nella antica curtis altomedievale de Cureio è attestata nel 1013 la presenza della pieve di Santa Maria, successivamente ricordata nel 1132, appena un anno dopo la distruzione del villaggio perpetrata dai Visconti. Dell’edificio pievano originario restano unicamente piccoli resti nella struttura della attuale parrocchiale, largamente rimodellata in età moderna. Molto ben conservato è invece il battistero, che presenta una pianta ottagonale con quattro grandi nicchioni, articolati esternamente con sottili lesene e gruppi di archetti ciechi. Non è improbabile che l’edificio attuale risulti essere stato impostato nel XII secolo su fondazioni più antiche, che sembrano emergere poco sopra il piano stradale esterno. L’interno, coperto da una volta a otto spicchi, mostra i resti del-

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la originaria vasca battesimale a raso, con tracce di più rifacimenti. Il vicino Spazio Multimediale TAM, ospitato nella Casa della Torre, consente con i suoi allestimenti di tracciare le linee del contesto in cui, fra Tardoantico e Medioevo, vanno definendosi le strutture territoriali della zona, tanto dal punto di vista religioso quanto sul piano politico ed economico.

FARA NOVARESE Oratorio di San Pietro

La piccola chiesa di San Pietro, eretta sulla via che conduce a Sizzano, nasconde uno fra i più notevoli cicli affrescati del Novarese, estremamente significativo soprattutto in considerazione del tema iconografico. Già ricordata nel 1157, essa mantiene dignità parrocchiale sino al XVI secolo inoltrato, quando – nel

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1597 – viene declassata a semplice oratorio campestre dopo il passaggio della titolarità di cura d’anime alla chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano. Il fianco settentrionale e l’abside mostrano ancora l’originaria impostazione romanica, con superfici mosse da lesene ed archetti pensili. Nell’abside la raffigurazione di Dio in Maestà e la teoria degli apostoli sono attribuibili ad un anonimo pittore, indicato dagli studiosi come Maestro di Fara, collocabile intorno dopo la metà del XV secolo. Molto più rara è la tematica che il frescante percorre nello zoccolo, che presenta una serie di riquadri raffiguranti il ciclo dei mesi, ciascuno simboleggiato da una figura umana intenta ad un’occupazione agreste. Le scene sono vivacemente realistiche, e si presentano come un unicum nel Novarese del XV secolo: la rappresentazione del mietitore, della pigiatura o della macellazione di un vitello richiamano puntualmente i momenti salienti del calendario stagionale dei lavori, e suggeriscono allegoricamente tanto il succedersi inesorabile dei tempi come stabilito da Dio, quanto la vocazione terrena dell’uomo al lavoro manuale (militia vitae hominis super terram).

FONTANETO D’AGOGNA

Ex monastero benedettino di San Sebastiano Luogo che già dal toponimo si rivela come ricco di acque facilmente sfruttabili, Fontaneto è sede di un popolamento antico, testimoniato da rinve-

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nimenti archeologici, e vede nel 908 l’iniziativa del visconte Gariardo, fedele del marchese Adalberto di Ivrea, che vi fonda un cenobio benedettino assicurandogli i diritti sul locale mercato mensile. Il cenobio, posto sotto il titolo di San Sebastiano, assume rapidamente una notevole importanza, tale da farlo scegliere dall’arcivescovo di Milano Guido da Velate come sede del sinodo convocato nel 1057 contro il movimento eretico dei Patari. Nel 1173 passa sotto il controllo dell’abbazia dei Santi Graziano e Felino di Arona: in questo momento la documentazione lo descrive come sito all’interno del castrum – la fortificazione – del luogo, e dotato di una grande chiesa a tre navate, con fabbricati claustrali adiacenti. Dopo il XIV secolo le strutture fortificate circo-

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stanti si evolvono gradualmente, con la costruzione di una nuova cortina perimetrale, ma la costruzione alla fine del XV secolo del palazzo dei Visconti – che oggi ancora mostra una pregevole balconata su mensole lapidee – avvia la progressiva distruzione della chiesa, della quale restano oggi solo alcuni lacerti architettonici nell’attuale oratorio di San Sebastiano. Questo si presenta impostato su una navata unica, e integra nella sua struttura numerosi reimpieghi, fra i quali alcuni frammenti di sculture ad intreccio risalenti al IX secolo, oltre a materiali di età romana. Interessanti anche le raffigurazioni dei Santi Bartolomeo, Biagio e Sebastiano, recentemente riscoperte e attribuite ad un frescante d’area lombarda del XV secolo.

GALLIATE

Chiesa e convento delle Orsoline La presenza a Galliate delle Orsoline, ordine femminile tradizionalmente votato all’educazione ed all’assistenza delle fanciulle, data al XVII secolo: inizialmente le prime appartenenti conducono vita privata presso le rispettive abitazioni, ma in seguito si definisce l’intenzione di fondare un vero e proprio convento. Ciò avviene nel 1637, anno in cui si collocano la costruzione della chiesa e dei fabbricati conventuali attigui. Strutturata ad aula unica,

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la chiesa presenta un tramezzo che divide la zona destinata ai fedeli dalla clausura, mantenuta sino al 1968, ed è ornata da un ricco corredo di tele connesse alle devozioni proprie dell’ordine. L’aspetto di più grande interesse è però rappresentato dall’altar maggiore, con i suoi 20 riquadri lignei sontuosamente intagliati a bassorilievo, raffiguranti le scene della Vita di Cristo. La data 1681 scritta su uno dei lati è verosimilmente riferibile all’ultimazione di questo manufatto, unico nel suo genere nel contesto territoriale della Bassa Novarese. Dipinti murali, e una tela raffigurante l’Incoronazione della Vergine, ornano lo spazio destinato alle monache, che originariamente comunicavano con la zona riservata ai fedeli mediante due aperture praticate nel tramezzo divisorio.

GRIGNASCO

Oratorio di San Graziano Il titolo di questo oratorio, caratterizzato da una complessa evoluzione architettonica, riecheggia la dedicazione dell’importante abbazia aronese dei Santi Graziano e Felino, e le sue origini sono da ricondurre ad una prima struttura medievale ad aula unica absidata, successivamente ampliata ed integrata sino a giungere all’attuale sistemazione. A questa fase si possono riferire gli affreschi della zona absidale, datati 1464 e riconducibili al fre-

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scante Bartulonus, personalità attiva anche in altri contesti in ambito novarese. I dipinti raffigurano il Pantocratore, gli Apostoli, un’Annunciazione con santi e alcune Opere di Misericordia. Un successivo e importante intervento è rappresentato, nella seconda metà del XVI secolo, dalla sistemazione della cappella laterale di Santa Marta, ornata da affreschi, in parte commissionati nel 1576 da tale Guglielmo Verletti, riferibili all’ambito di Giuseppe Giovenone il Giovane. Tra XVII e XVIII secolo l’edificio assume l’aspetto attuale e si arricchisce anche degli arredi che lo ornano, fra i quali ad esempio l’altare maggiore con ancona lignea (1688); all’esterno la costruzione dell’ossario e delle cappelle della Via Crucis caratterizza ulteriormente il contesto in cui l’oratorio si inserisce. Notevoli sono le valenze paesaggistiche del sito, reso suggestivo dalla presenza storica della vigna: essa, ai piedi dell’oratorio, evoca tradizioni rurali che da secoli contraddistinguono i versanti collinari intorno a Grignasco.

INVORIO

Santuario della Madonna del Castello La chiesa di Santa Maria Elisabetta è sita sulla sommità di un colle sovrastante Invorio, un tempo occupato da una fortificazione: a memoria di questa presenza rimane la denominazione – Madon-

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na del Castello – con la quale l’edificio è meglio identificato. Intorno alla metà del XV secolo, e in luogo di un precedente oratorio dedicato alla Vergine della Cintura, sorge l’attuale struttura, che in parte reimpiega le murature medievali del castello. La devozione locale alla Vergine è già attestata nel XVI secolo, e lo sviluppo successivo del santuario vede una fase di decisa ridefinizione all’inizio del XVII secolo – sancita dalla commissione di una statua della titolare all’intagliatore Bartolomeo Tiberino di Arona – mentre è settecentesca è la realizzazione delle cappelle della Via Crucis, dislocate lungo la strada verso il paese. Prevalentemente ottocentesco, però, è l’aspetto con il quale si presenta oggi l’interno ad aula unica, dotato di una cupola affrescata risalente al 1867. Nello stesso periodo alla chiesa è affiancato un fabbricato destinato ad ospitare due frati del convento del Monte Mesma, i quali collaborano alla cura religiosa del santuario. La zona presbiteriale, occupata dal pregevole altare marmoreo, vede la sua ultima sistemazione nel 1901, con la collocazione delle due statue di Sant’Anna e di San Gioacchino.

LANDIONA

Oratorio di Santa Maria dei Campi La chiesa è con ogni probabilità riferibile, alle sue origini, ad un insediamento rurale poi abbandonato a favore del vicino centro di Landiona; la struttura

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attuale dell’edificio risale invece alla fine del XV secolo, quando viene ricostruito ad opera di tale Bartolomeo De Lunseratio. Successivamente, alla fine del XVI secolo, Santa Maria dei Campi è ricordata nelle visite pastorali, che ne annotano le condizioni precarie. L’alto porticato in facciata introduce in un’unica aula, arricchita da un apparato decorativo molto esteso che interessa le pareti laterali e la controfacciata. Facilmente individuabile sulla parete sud è il ciclo con le Storie della Passione di Cristo, tema iconografico riconducibile all’ambito della predicazione francescana, caratterizzato da notevole fortuna durante il XV secolo. Sul perimetrale opposto spiccano varie raffigurazioni di santi, connessi alle più diffuse devozioni attestate in ambito locale. L’attribuzione di questi affreschi è da riferire al magister Bartulonus da Novara, attivo intorno al 1460 anche presso la canonica della cattedrale di Novara (frammenti delle storie di Giuditta). Sono espressione della bottega novarese dei Cagnola, invece, il San Rocco e la Madonna del Latte affrescati sulla controfacciata su committenza di tale Antonio de Barberis.

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MASSINO VISCONTI

Ex abbazia benedettina di San Salvatore Lo straordinario complesso monumentale del San Salvatore risale nel suo primo impianto al IX secolo: nell’865 possiede la curtis di Massino l’imperatore Ludovico II, la cui moglie Angelberga chiama una decina di monaci dal cenobio di San Sisto di Piacenza, così da avviare sul luogo una forma di vita comunitaria secondo la regola di Benedetto. In seguito il luogo è controllato dal vescovo di Vercelli Liutvardo, cancelliere imperiale, per poi passare nell’883 fra le pertinenze dell’abbazia svizzera di San Gallo. Nel 1134 l’abate della potente fondazione transalpina infeuda il luogo di Massino a Guido Visconti, nello stesso periodo in cui anche la conformazione del complesso incontra notevoli trasformazioni: sul versante del monte sottostante la chiesa abbaziale del Salvatore si strutturano altri edifici di culto romanici, a formare un percorso di spiritualità e devozione che troverà il suo completamento con la costruzione di due cappelle sul pianoro sommitale, l’una quattrocentesca, ornata di affreschi coevi, l’altra riferibile al XVII secolo, a pianta circolare. Notevole il corredo pittorico distribuito fra i vari edifici sacri: a Giovanni De Campo si possono attribuire in particolare gli affreschi nella chiesa del Salvatore, raffiguranti il Cristo Pantocratore con santi, realizzati su committenza del nobile Lancillotto Visconti nella seconda metà del XV secolo.

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MOMO

Oratorio della Santissima Trinità La tradizione identifica la cappella quale luogo di sosta per i viandanti in transito sulla via tra Novara e i valichi alpini, sorto nella sua prima impostazione nel XII-XIII secolo ma radicalmente modificato nel XV, con la costruzione della copertura sorretta da grandi arconi ogivali. L’interno è ornato da un notevole ciclo di affreschi realizzato a più riprese, entro il quale spicca l’intervento eseguito nel 1512 da Sperindio e Francesco Cagnola, forse su committenza della comunità locale o, più verosimilmente, di qualcuna delle famiglie nobili della zona, quali i Cattaneo da Momo o i De Casate. Fulcro del complesso pittorico è, nell’abside, la Trinità, sotto la quale figurano gli apostoli e le sette Opere di Misericordia. Le Storie della vita e della Passione di Cristo sono invece il tema per la decorazione dei perimetrali, in accordo (soprattutto per la Passione) con tendenze devozionali incoraggiate particolarmente dall’or-

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dine francescano. In trentasette riquadri, incorniciati da fasce bianche o rosse, la vita del Salvatore è ripercorsa nei momenti salienti, altrettanti passi per un percorso di pietà che il fedele conclude con la meditazione del Giudizio Universale dipinto in controfacciata. Santi cari alla devozione locale e la presenza della Vergine completano un ciclo che, per ricchezza di spunti e organicità di concezione, è certamente uno dei più significativi in contesto norditalico.

NOVARA

Cascina San Maiolo Alle porte di Novara, presso il sobborgo del Torrion Quartara, sorge la cascina San Maiolo, connessa – già dal nome – ad una presenza medievale cluniacense che ha lasciato non poche tracce materiali sul sito. Legata a doppio filo alla spiritualità di Cluny è la figura dell’abate Maiolo, che esercita il suo ministero a partire dal 954, nel momento in cui la fondazione va acquisendo il respiro europeo che la contraddistinguerà negli anni a venire. Sotto il suo abbaziato l’ordine si diffonde anche in Italia, varcando quelle stesse Alpi sulle quali egli viene fatto prigioniero dai Saraceni nel 972, per essere liberato dal conte di Provenza Guglielmo I poco tempo dopo. A lui è intitolato il primo priorato italiano, a Pavia, e successivamente il suo culto si

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diffonde anche in area piemontese. Eretta accanto a un antico guado sul torrente Agogna, la cascina presenta ancora significativi resti delle originarie strutture medievali, particolarmente in corrispondenza dell’angolo sud-ovest, dove spicca il corpo aggettante di una torretta angolare, che – seppure cimata – mostra ancora il suo apparato di archibugiere e feritoie. All’interno del complesso una piccola cappella recupera la memoria di un più antico edificio sacro dedicato al santo, qui ricordato in epoca medievale: oggi la tenuta presenta un aspetto abbastanza unitario, conferitole soprattutto fra XVII e XVIII secolo, epoca durante la quale i suoi fabbricati vengono ampliati notevolmente, sino a raggiungere la classica conformazione padana a corte chiusa nel XIX secolo.

NOVARA

Chiesa ed ex convento francescano di San Nazzaro della Costa La chiesa di San Nazzaro della Costa – attualmente affidata ai Cappuccini – è situata in una zona, già in tempi antichi, esterna rispetto alle fortificazioni cittadine, e risale nel suo primo impianto al XII secolo. Nel 1256 vi si stabiliscono le Clarisse provenienti da Cavaglietto, che tuttavia vi risiedono per poco tempo, finché nel 1444 il complesso è occupato dai Francescani, qui giunti dopo il trasfe-

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rimento dall’originario convento di San Luca: coerente con le scelte di insediamento tipiche dell’ordine è la collocazione periferica del convento. I frati da subito intervengono sulla chiesa, ricostruendo presbiterio ed absidi, riducendo le tre originarie navate ad un’aula unica ritmata da arconi a sesto acuto e impostando i due chiostri. Un tramezzo in muratura (oggi solo parzialmente conservato) viene eretto fra navata e presbiterio, ed ornato ad affresco con le scene della Vita di Cristo, secondo un modello francescano che ha molta fortuna in area lombarda. La chiesa nella seconda metà del XV secolo si dota di uno straordinario corredo pit-

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torico, con interventi di botteghe locali (Tommaso Cagnola e Giovanni Antonio Merli, autori delle raffigurazioni di alcuni beati e santi francescani), ma soprattutto con il massiccio concorso di raffinate maestranze riconducibili alla bottega lombarda di Butinone e Zenale. Ad esse, ad esempio, sono riconducibili le rappresentazioni dell’Annunciazione e della grandiosa Crocifissione absidale: il gusto classicista peculiare di tale bottega emerge in particolare nelle Storie di San Girolamo presenti in una delle cappelle laterali.

OLEGGIO

Museo Civico Archeologico ed Etnografico “C. G. Fanchini” Con i suoi 100.000 pezzi, e le 40 ambientazioni ricostruite, il Museo Civico Archeologico ed Etnografico “C. G. Fanchini” costituisce nel suo genere la più importante raccolta del Novarese, e dal 1978 è collocato negli spazi dell’ex convento francescano di Oleggio. La presenza dei frati è fatta risalire dalla tradizione locale già al XV secolo, peraltro in linea con quanto avviene in altri centri della zona, ma è nel 1652 che si completa la costruzione dell’attuale convento: ben leggibile è l’ampio chiostro, che ad un’estremità conserva ancora il piccolo portico quadrangolare isolato a copertura del pozzo.

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Al medesimo orizzonte cronologico appartiene la chiesa conventuale di San Rocco, che, negli anni a seguire, è arricchita con pregevoli opere pittoriche riconducibili ad autori d’ambito lombardo. Una apposita sezione del museo ospita i reperti archeologici provenienti dal territorio circostante, mentre numerosi allestimenti realizzati con materiali originali raccontano le vicende sociali e produttive di questo centro. Particolarmente importante, per il suo valore documentario, è lo spazio dedicato all’allevamento dei bachi da seta, attività legata alle prime forme protoindustriali soprattutto nella valle del Ticino.

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POMBIA

Ex chiesa benedettina di San Martino La chiesa di San Martino di Pombia è sin dalla metà dell’XI secolo attestata fra le dipendenze dell’abbazia dei Santi Graziano e Felino di Arona, come successivamente confermato da altri documenti nel corso del XII e del XIII secolo, che ne ricordano tanto le dotazioni fondiarie, quanto la presenza di un chiostro, a testimoniare l’esistenza di una comunità religiosa residente. L’edificio nel 1595 è descritto come in pessime condizioni, che non migliorano con il tempo, così che nel 1758 la struttura è interdetta al culto e successivamente ridotta ad usi profani. Un recente restauro ha permesso di leggere interessanti dettagli costruttivi soprattutto all’interno, quali ad esempio alcuni resti murari che suggeriscono l’esistenza, in antico, di diaframmi fra le navate – originariamente concluse da absidi, delle quali oggi solo la maggiore sopravvive – e la zona presbiteriale, riservata ai monaci. Parecchi elementi antichi di riuso sono impiegati nelle murature, e particolarmente significativo è il grosso frammento lapideo impiegato come colonna sul lato fra la navata centrale e la settentrionale: i resti di un’iscrizione e tre sagome di boccali di misura decrescente che vi si scorgono sono forse riferibili a un monumento sepolcrale antico, evocante la professione del defunto.

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ROMAGNANO SESIA

Ex abbazia benedettina di San Silano L’abbazia benedettina di San Silano è fondata all’inizio dell’XI secolo dalla famiglia dei marchesi di Romagnano, che la dotano di un nucleo di beni destinato ad accrescersi con il tempo anche nel limitrofo territorio vercellese: cruciale è il sito, in quanto collocato sui tracciati che connettono la pianura con le valli ed i valichi alpini. Dell’originaria struttura romanica resta la massiccia torre campanaria di facciata, che richiama nella sua impostazione modelli nord europei, mentre il resto dell’edificio è riferibile ad una ricostruzione in forme neoclassiche conclusa nel 1856.

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Al suo interno spiccano alcuni interessanti reimpieghi di materiali antichi: la mensa eucaristica è costituita da un sarcofago marmoreo paleocristiano (probabilmente di provenienza milanese) già in età medievale ospitante le reliquie San Silano, mentre un’ara del II-III secolo d.C., raffigurante figure maschili togate, funge da ambone. Risale al XVIII secolo il pregevole altare maggiore in marmi policromi, di provenienza lombarda, mentre in sacrestia sono custodite alcune opere pittoriche cinquecentesche di rilievo, riferibili a Macrino d’Alba (Madonna con Bambino) e Bernardino Lanino (Ecce Homo e Pentecoste). Non restano tracce significative dei fabbricati abbaziali, fatta eccezione per il locale, alquanto discosto dalla chiesa, noto come Cantina dei Santi, ornato con un notevole ciclo di affreschi risalente al pieno XV secolo e raffigurante le storie bibliche di Davide e di Saul. Non sono note le originarie funzioni del vano, forse impiegato come aula capitolare o spazio di rappresentanza.

SAN NAZZARO SESIA

Abbazia benedettina dei Santi Nazario e Celso Intorno alla metà dell’XI secolo su iniziativa dei conti di Pombia viene fondata lungo la strada Biandrina l’abbazia benedettina di San Nazzaro, da subito dotata di numerosi possedimenti fra Novarese, Vercellese e Valsesia. Dell’originaria struttu-

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ra romanica restano il massiccio campanile e l’avancorpo a due ali porticate, forse originariamente chiuso a formare un quadriportico davanti alla chiesa antica. Sotto l’abbaziato del commendatario Antonio Barbavara (seconda metà del XV secolo) il complesso viene radicalmente ristrutturato: la chiesa è ricostruita in stile gotico, con abside poligonale e una profusione di notevoli decori in formelle di cotto a stampo, particolarmente sulla facciata, impreziosita da un portale ligneo (oggi copia dell’originale). Anche il chiostro viene rimodulato secondo le stesse linee tardogotiche, arricchite con una imponente decorazione a fresco raffigurante – nelle gallerie – le Storie di San Benedetto, riconducibili a una bottega di influenza lombarda. Ad autori locali di buon livello sono da attribuire i numerosi riquadri ad affresco che – raffiguranti la Vergine, San Nazzaro e altri santi – ornano anche

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l’interno della chiesa, e contestuale agli interventi quattrocenteschi è anche la cinta fortificata merlata con torri cilindriche angolari che racchiude l’abbazia. Dopo la cessazione della vita monastica e la trasformazione in parrocchia alcuni interventi modificano pesantemente il complesso, che, tuttavia, a partire dalla metà del XX secolo è oggetto di importanti restauri e reintegri che ne recuperano le linee originarie.

SUNO

Pieve di San Genesio Giungono secondo la tradizione da Arles le reliquie di San Genesio, al quale è intitolata la chiesa che nel 1132 compare evocata fra le pievi della Diocesi di Novara, sotto l’episcopato di Litifredo. Frammenti di epigrafi e di sarcofagi romani vengono reimpiegati nelle strutture dell’edificio, che nella sua prima impostazione altomedievale è connesso mediante un portico su colonne lapidee ad un battistero a pianta ottagonale, oggetto di successive ristrutturazioni ed infine di demolizione totale nel XIX secolo. Anche la chiesa è stata oggetto di molteplici trasformazioni, che hanno determinato la perdita dell’originaria conformazione a tre navate, separate da massicci pilastri circolari, risalente all’XI secolo, e hanno interessato anche il campanile. La presenza, dietro all’altare, della sepoltura

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del martire titolare costituisce un fattore di forte attrazione a livello devozionale, unitamente alle prerogative battesimali che, durante il Medioevo, fanno della pieve il punto di riferimento per un panorama insediativo articolato e denso di edifici sacri, fra i quali spicca la chiesa di San Michele nel castello. Solo nel XVIII secolo la costruzione della nuova parrocchiale dedicata alla SS.ma Trinità avvia un lento processo di decadenza dell’edificio, che, tuttavia, ancora conserva al suo interno un affresco datato al 1475 (la Vergine con i Santi Michele, Bernardo e Genesio) e il sepolcreto della importante famiglia sunese dei Della Porta.

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TORNACO

Oratorio di Santo Stefano La chiesa di Santo Stefano a Tornaco, sulla via per Vignarello, è una preziosa testimonianza della presenza sul luogo dei monaci benedettini dell’importante abbazia di Santo Stefano di Vercelli. Qui, come pure a Oleggio, presso la cappella avente lo stesso titolo, la fondazione vercellese possiede una parte del suo patrimonio fondiario, strutturato intorno ad una chiesa che sia a livello simbolico, che sul piano di una concreta presenza di membri legati alla comunità monastica, rammenta tale dipendenza. Un prato di Santo Stefano compare nelle pergamene fin dal 1006, ma solo nel 1121 si fa esplicita menzione dell’esistenza di una chiesa, presso la quale dimorano alcuni monaci: a quest’epoca risale la conformazione attuale dell’abside, con i suoi decori ad archetti pensili, raggruppati in cinque specchiature. L’edificio col passare del tempo si adegua dal punto di vista architettonico e decorativo: alla fine del XV secolo data il riquadro ad affresco, attribuito al cosiddetto Anonimo di Borgomanero (forse identificabile con il pittore Angelo da Orello), che raffigura ai lati della Vergine in trono i Santi Giovanni Battista e Stefano. Probabilmente anche a seguito del declino dell’abbazia vercellese, a partire dal XVI secolo,

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l’oratorio entra in una fase critica, che lo conduce alla rovina quasi completa nel primo Seicento. Solo l’intervento della comunità locale, che lo ristruttura radicalmente, lo salva dalla scomparsa trasformandolo in semplice oratorio campestre, ultimato solo ad inizio Novecento con la costruzione della pomposa facciata neoromanica.

TRECATE

Ex convento francescano di San Francesco Le origini del convento francescano di Trecate sono riconducibili all’inizio del XVI secolo, quando – dopo l’acquisto della casa delle suore Umiliate di Santa Barbara – alcuni frati avviano la prima esperienza di comunità religiosa stabile. A breve segue la consacrazione della chiesa originaria, che a fine secolo vedrà l’attuazione di interventi decorativi ad opera, fra gli altri, di Giovan Battista Crespi, detto il Cerano. Il complesso viene successivamente ricostruito, con lavori che terminano nel 1682 consegnando la chiesa ridecorata con stucchi ed affreschi, e affiancata da due chiostri. Le vicende successive, e particolarmente le soppressioni durante il XIX secolo, portano alla demolizione di intere ali del convento, del quale oggi resta parte del primo chiostro. Qui le scene della vita di Francesco compaiono raffigurate in una serie di lunettoni affrescati, riferibili al pennello di Giacomo

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Parravicino, detto il Gianolo. Sobria e disadorna è invece la facciata della chiesa di San Francesco, che al suo interno rivela uno sviluppo planimetrico consonante con i dettami dell’ordine, articolato su una navata centrale fiancheggiata da cappelle laterali intercomunicanti e conclusa da un presbiterio quadrangolare.

VICOLUNGO, località PALAZZI

Chiesa di Santa Maria delle Grazie Posto su un antico tracciato fra Vicolungo e Landiona, il complesso dei Palazzi nasce come grande insediamento rurale, fortificato e dotato di un proprio luogo di culto. La chiesa di Santa Maria delle Grazie, che affaccia sulla strada, ha subito molteplici fasi costruttive e decorative: il nucleo originario è un oratorio (XIV-XV secolo), coperto da volte a vela costolonate e ornato da un notevole corredo pittorico riferibile alle migliori botteghe novaresi del XV secolo. A Sperindio Cagnola, in particolare, si attribuisce la Vergine affrescata nell’abside, presso la quale, sul soffitto del presbiterio, spiccano anche otto riquadri con la vivace raffigurazione (questa più difficilmente riferibile ad un preciso autore) delle storie apocrife di San Gioacchino ed Anna; altri affreschi ornano l’aula, che è impreziosita da partiti decora-

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tivi con elementi vegetali intercalati alle rappresentazioni dei Profeti sulle vele della volta. Di qui si accede ad un locale annesso, che si svela come un vero e proprio scrigno, ornato da affreschi e da un ricchissimo apparato di stucchi policromi. Un partito decorativo di gusto manierista incornicia sulla parete di fondo una Madonna della Misericordia, opera di Tommaso Cagnola. Ai lati le raffigurazioni in stucco dipinto dell’Arcangelo e della Vergine Annunziata anticipano la ricchezza del soffitto, scandito da angeli in funzione di telamoni a sorreggere l’effigie del Padre Eterno, alternati a cornici mistilinee racchiudenti affreschi. Una simile organizzazione decorativa ricorre sulle pareti, con i riquadri narranti le Storie della Vergine, e completa un insieme che, per gli stucchi, è da riferire ad abili maestranze di area ticinese.

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Per orientarsi Nel VI secolo Benedetto da Norcia fonda il monastero di Montecassino, riunendo un gruppo di confratelli all’insegna della complementarietà di aspetti spirituali e attività materiali. La regola benedettina innerva progressivamente il monachesimo occidentale, che diviene un fenomeno di imponenti proporzioni, e determina il consolidamento di un modello architettonico abbastanza ricorrente, articolato intorno allo spazio aperto – normalmente circondato da gallerie porticate – del chiostro. Nel X secolo, in risposta a pressanti esigenze di rinnovamento, da Cluny, in Francia, prende avvio la riforma cluniacense, che, pur mantenendo la matrice benedettina, dà vita ad un movimento che al suo apice arriverà a contare più di 1500 monasteri. Allo stesso modo da Citeaux muove i suoi passi nell’XI secolo l’ordine cistercense, rigoroso nel propugnare un ritorno alla stretta osservanza della regola di Benedetto e alla valorizzazione del lavoro manuale. Nel XIII secolo, in piena età comunale, la chiesa approva la fondazione dei primi ordini mendicanti (Francescani e Domenicani), sorti a seguito di stimoli e spinte che già dal secolo precedente si erano avvertiti nella direzione di un ritorno ad una ideale povertà evangelica: per essi la scelta è di stabilire i conventi in prossimità dei centri urbani, dove la predicazione e la questua (raccolta delle elemosine finalizzate al mantenimento

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della comunità) sono più efficaci ed incisive. Sul finire del Medioevo la società cristiana occidentale risente dei sussulti determinati da una vasta crisi spirituale, cui la Chiesa tenta di reagire dal suo interno, con la fondazione, a partire dal XVI secolo, di congregazioni e ordini come Barnabiti, Gesuiti, Orsoline, Cappuccini, ecc., per i quali predicazione, catechesi ed educazione sono le incombenze peculiari. Tra XVII e XVIII secolo la Controriforma cattolica valorizzerà appieno queste presenze, che si inseriranno capillarmente nel contesto sociale del tempo, affiancandosi alle componenti benedettine e a quelle mendicanti, fino alla progressiva scomparsa della maggior parte di esse – almeno per quanto riguarda il nord Italia – in concomitanza con le soppressioni decise da Napoleone all’inizio del XIX secolo.

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Glossario ▲ Canonica: comunità composta da presbiteri (preti) che osservano una regola, in sostanziale analogia con le fondazioni monastiche vere e proprie. ▲ Cella: dipendenza monastica, legata alla fondazione principale e sovente dotata di beni dei quali essa costituisce il centro di gestione. ▲ Commenda: affidamento del governo del monastero ad un abate (detto commendatario) che ne gode le rendite risiedendo altrove. È un fenomeno che con i secoli bassomedievali diviene pressoché generalizzato. ▲ Convento: si indicano così le sedi degli ordini mendicanti e delle congregazioni nate in epoca moderna. Rispetto ai monasteri di matrice benedettina presentano alcune differenze, quali ad esempio la riduzione o scomparsa delle strutture produttive, la prevalente collocazione in ambito urbano, la diversa articolazione di alcuni spazi. ▲ Grangia: in origine, e particolarmente in ambito cistercense, il termine indica una pertinenza agricola finalizzata alla gestione del patrimonio fondiario; è talvolta utilizzato più generalmente per indicare un’azienda di proprietà monastica.

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▲ Monastero: sede di una comunità monastica di matrice benedettina. ▲ Pieve: a partire dal IX-X secolo il termine indica chiese dotate di battistero che fungono da poli territoriali per l’amministrazione dei sacramenti; da esse dipendono oratori e cappelle al servizio delle comunità circostanti. In epoca bassomedievale l’organizzazione delle pievi cede progressivamente il passo alla formazione delle singole parrocchie. ▲ Regola: insieme di norme di carattere religioso, organizzativo e comportamentale, che vengono condivise dalla comunità monastica.

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INDICE 01. Benedettini sulla Biandrina 02. Dalla Borgogna al Novarese: Cluniacensi e Cistercensi 03. Oltre il Chiostro. Strade, incontri e confronti 04. Dal monastero al convento: gli ordini mendicanti 05. Vivere secondo la Regola: esperienza di vita comune Ameno. Convento francescano del Monte Mesma Arona. Ex abbazia benedettina dei Santi Graziano e Felino Biandrate. Chiesa parrocchiale di San Colombano Bogogno. Oratorio di San Giacomo Borgolavezzaro. Campo della Ghina Borgomanero, loc. Baraggiola. Oratorio di San Nicola Briona, loc. Proh. Ex cella benedettina di Santa Maria Cameri. Villa Picchetta Carpignano Sesia. Chiesa cluniacense di San Pietro nel ricetto Carpignano Sesia. Fontana della Scimbla Casalino, loc. Ponzana. Oratorio di San Martino Casalvolone. Ex abbazia cistercense della Trasfigurazione del Salvatore Cureggio. Battistero Fara Novarese. Oratorio di San Pietro Fontaneto d’Agogna. Ex monastero benedettino di San Sebastiano Galliate. Chiesa e convento delle Orsoline Grignasco. Oratorio di San Graziano Invorio. Santuario della Madonna del Castello Landiona. Oratorio di Santa Maria dei Campi Massino Visconti. Ex abbazia benedettina di San Salvatore Momo. Oratorio della Santissima Trinità Novara. Cascina San Maiolo Novara. Chiesa ed ex convento francescano di San Nazzaro della Costa Oleggio. Museo Civico Archeologico ed Etnografico “C. G. Fanchini” Pombia. Ex chiesa benedettina di San Martino Romagnano Sesia. Ex abbazia benedettina di San Silano San Nazzaro Sesia. Abbazia benedettina dei Santi Nazario e Celso Suno. Pieve di San Genesio Tornaco. Oratorio di Santo Stefano Trecate. Ex convento francescano di San Francesco Vicolungo, loc. Palazzi. Chiesa di Santa Maria delle Grazie Per orientarsi Glossario

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