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PERSONE, ARTE, LIFESTYLE & TENDENZE

numero 01, marzo 2011, â‚Ź 3,50

TATTOO

Irezumi: arte, tecnica e mafia

POSTER ART

Mastri artigiani della serigrafia

GRAFFITI

Feltro: dove nascono le mie lettere

VIDEOMIND Rap 2.0


Marzo 2011 - Numero 1 - Anno 1 Direttore responsabile Nome Cognome Art Director Nome Cognome Ufficio Centrale Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Redazione Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Photo Editor Nome Cognome Ufficio Grafico Nome Cognome, Nome Cognome Segreteria di Redazione Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Collaboratori di questo numero: Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Fotografi: Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Illustratori: Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Ufficio Stampa: Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Agenzie Advertising & Business: Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome, Nome Cognome Edito Exam Group: senior vice president/corporate sales Amy R. Churgin senior vice president/finance Robert A. Silverstone vice president/integrated marketing Linda Mason vice president/corporate sales, detroit Peggy Daitch vice president/ creative marketing Cara Deoul Perl vice president/marketing Matt Roberts vice president/interactive Jason R. Krebs vice president/creative services Dana Miller. Indirizzo sede A - Via Nome Nome, 00, 11224, Milano, Italia. Indirizzo sede A - Via Nome Nome, 00, 11224, Milano, Italia. Indirizzo sede A - Via Nome Nome, 00, 11224, Milano, Italia. Indirizzo sede A - Via Nome Nome, 00, 11224, Milano, Italia. Indirizzo sede A - Via Nome Nome, 00, 11224, Milano, Italia.

Copyright Š2011 by The Edito Exam Group. All rights reserved. Reproduction without permission is prohibited. Random (ISSN 1059-1028) is a publication of The Edito Exam Grou, a subsidiary of P.ta Venice Publications Inc.


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ATTO PRIMO, SCENA PRIMA. Si comincia, si parte. Tre, due, uno. Via. Aspettiamo sulla banchina che le porte del nostro treno si aprano, pronti ad intraprendere un viaggio come nessun’altro, che si snoda tra le curve morbide della creatività. Sediamoci comodi sui nostri sedili e godiamoci il paesaggio mutevole al di fuori del finestrino: mille volti e altrettanti stili di vita, che sfrecciano veloci e si trasformano già in forme d’arte e tendenze che dettano legge. Cullàti dal dondolio di questo treno in corsa, non vogliamo lasciarci sfuggire neppure un attimo della realtà che ci ruota intorno, sempre nuova, sempre fresca. Giovane. Aprite gli occhi, imparate a osservare i particolari, focalizzate la vostra attenzione, scavate nel profondo. Seguiteci. Timbrate il vostro biglietto e sorridete al controllore, perché se avete le carte in regola e lo spirito giusto allora vi accorgerete che questa è la rivista che fa per voi. E se vi è andata male, se storcete il naso e non ce la fate più, non preoccupatevi, potrete sempre scendere alla prossima fermata. Pagina dopo pagina, stazione dopo stazione, ci avviciniamo sempre più ai particolari e alle sfumature che costituiscono la bellezza di volti e storie che incrociano il nostro cammino, per goderne appieno; spremerne il succo e succhiarne la polpa. Gli aspetti minori, quelli più scuri e cupi, nascosti dietro la coltre degli stereotipi e dei luoghi comuni, ritrovano la luce piena del giorno, per guadagnare una brillantezza nuova e rivestirsi del loro fascino dimenticato. Ma se ci limitassimo a indirizzare il vostro sguardo al di là del vetro, la nostra missione e il vostro viaggio non avrebbero scopo. Che senso avrebbe fare i bagagli, prendere e partire alla ricerca di risposte sul nostro tempo, se non ci si ponesse delle domande? Il dubbio e la curiosità sono il motore di questa locomotiva, che traccia il suo percorso tra le anse delle nostre vite e che non prevede capolinea, almeno finché ogni quesito non troverà soluzione. Margherita Solinas


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THE DAILY TRIP

pt.1

Diario di viaggio di un pendolare Il trillo della sveglia mi avvisa che è ora di alzarmi. Odio quel suono che riesce a metterti così di malumore già alle prime ore del mattino. Rotolo un paio di volte nel letto, sotto il piumino invernale e mentre mi sto per riaddormentare parte un’altra sveglia, quella del telefono cellulare . Sempre accesso, sul comodino affianco alla sveglia, mi ricorda che è davvero ora di alzarsi con una canzone: “Fanculo ai sogni che poi lascio al mattino sopra il cuscino/quando prendo a martellate la sveglia sul comodino/se queste mie giornate filassero come dico parole su un rigo/e meno roba andata male in frigo”. Mi alzo dopo un salto veloce in bagno apro il frigo: colazione e poi si esce. Il sole già rischiara il paese, scioglie la brina sui tetti delle auto e nei giardini. Mi allaccio bene la giacca, alzo il cappuccio sul-

la testa. Dopotutto è ancora febbraio, il freddo non se ne è ancora andato, e si sente. Percorro le solite vie a piedi. Penso che potrei anche andare ad occhi chiusi, tutte le mattine la stessa strada da molti anni, verso lo stesso posto: la stazione. Da buon pendolare, ma anche a causa di un altro “hobby”, passo buona parte delle mio giornate in stazione. Osservo i treni che passano mentre aspetto il mio: Bergamo-Milano Porta Garibaldi, come al solito in ritardo. Aspetto qualche minuto in più osservando la gente che popola la banchina semidistrutta, che sembra quasi essere schiacciata dal peso delle persone la percorrono. Il suono della campana. Breve.

Al primo rintocco la gente inizia a dirigersi dal binario numero uno al due. Preannunciano l’arrivo del nostro treno. Automaticamente scendo dalla banchina un piede sui sassi che costeggiano la linea ferroviaria, l’altro sulle traversine di legno, gelato e spaccato dal tempo. Ora è solo la lunga linea gialla che delimita la banchina a dividerci dalla nostra partenza. Il treno arriva e subito attira il mio sguardo. Delle firme dominano il frontalino della motrice, avvisano i writer sulle banchine che il treno molto probabilmente è dipinto, sempre se le carrozze non siano già state pulite. Entro, il mio solito posto in ultima carrozza è li, mi aspetta come tutte le mattine. Mi lancio sul sedile e guardo al di fuori. Mi sento un pò come al cinema in prima fila:


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durante il viaggio di andata infatti non mi stanco mai di guardare i muri che costeggiano la ferrovia: nuovi graffiti attirano quasi ogni giorno la mia attenzione. E oggi voglio godermi quello che abbiamo fatto ieri sera, manca solo una fermata e sono già pronto al lanciarmi fuori dal finestrino, macchina fotografica alla mano, per fare una fotografia. Si perchè alla fine è solo quello che rimane: meno soldi, meno salute, meno tempo, ma tanta adrenalina ed una fotografia. Bus. Agnim aut auta conet, nobita aut omnimil lorecero od eum vel moluptatem et est alic te etur aceaquia volectus et vidusci pictur sincillia volor sinullibusam quatur, comnit, sant enest officae cepelesto eium ut optatqui dit, estiae magnima accum int aut liquamet eiunt faccullat voluptate nimusci pitati vent quam quas et quidel ipsant ex eos et et asit maximi, quo in noste volo bearumq uaectius est ex enis nimusam, etusam, culpa quidus enit porum quid quam volum assitia se volupta tustis aut moluptiumqui occus aut et ullaudam ut amus necea volut quia se simenis doluptaquam ea inciaspedit hit, sitaspi ention pellaut pro init pererit volecatium non re nihil etus vel ipsa conserore volendel il experup tatquam doluptates aborum estiantium unt, core, quatiat vit asperum ipis dit qui vento maximod esto moditio conectoraese et labo. Occatur re, inum intest, nobit quiasimus eium vendi quo quatium dendaectur si ut es dit maionse ne vit quam, officieni nem apidelent plaboru ndignis elluptur, quas expliqu iature nihilla quis archiciet offictem etur, intiori aecepra porunto magnam aut magnam utem vel ipsa cus ate volent moloressi quae. Tor resectusam, ni dendell eseceribus, ut la cum vereperitae venis a nonsequ.

Hit adis porionse eum res es esed quam inis excesti nimodi re coratiisi atem aliquis exerest, aut pror aut et vellant iatemporum volum fugiass invelia quiaernam acienimus, ut liam iur, to ommos molorum eossimaior asinum am eturem il ellorro magniti onsecum volendam ipientet faccus sa none venime modi atibus, ipist, inumquid mi, volupti re vellit que nonsend aernatenda volorep reperis voluptas qui asimus sunt quiae venimpo raest, utemped qui optur? Ceperibus autatem id maxim num inihilla denihit pa as aciam, cone ducillest, ommoloreius ab inimustem earia dis dolut lautemo dipsand uciam, quunt quas exceperro co-

rum exceperatus doloremque rem estioriasit quia dolo bla dolupta sed quis anis corem facea dem accum. Qurem il ellorro magniti onsecum volendam ipientet faccus sa none venime modi atibus, ipist, inumquid mi, volupti re vellit que nonsend aernatenda volorep reperis. Voluptas qui asimus sunt quiae venimpo raest, utemped qui optur? Ceperibus autatem id maxim num inihilla denihit pa as aciam. Christian Sana Christian Sana


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FELTRO FMS Dove nascono le mie lettere.

Una breve presentazione, chi sei e cosa fai nella vita. Mi chiamo Lorenzo, alias Feltro, faccio parte della FMS crew e ho 20 anni. Sto frequentando il settimo anno del liceo artistico statale di Bergamo, indirizzo grafico. Quello che mi piace fare di più nella vita sono i graffiti, poi viene il resto, Giulia, la mia ragazza, gli amici, la musica e lo svago. Amo trovarmi in situazioni assurde e trovare spiegazioni sul perchè mi ci son ritrovato, farmi domande e cercare una risposta e lanciarmi in discorsi esistenziali.

Quando inizia la tua avventura nel mondo dei graffiti? Quali sono stati i fattori scatenanti, cosa ti ho spinto a iniziare? La mia carriera da writer è iniziata nel 2002, quando conobbi Rowlin. Da subito cominciò a parlarmi del mondo del’hip hop e delle sue regole non scritte: le quattro discipline che lo compongono. Faceva parte della SOB crew, i Sonz Of Bitch, quando per la prima volta lo vidi sketchare su un foglietto di carta le sue outlines mi sentii esplodere il cervello: non c’era modo migliore di testimoniare la propria presenza se

non con lo stile delle proprie lettere, i colori, le linee, gli effetti che si potevano creare con gli spray. Incominciai a riempire ogni cosa che mi trovavo sottomano di tag e pezzi ed ogni volta che arrivavo ad un progresso ero sempre più determinato ad andare avanti nel mondo dei graffiti. Nel 2003 fondai con due amici di giovinezza e compagni scout la FM crew, spiegare il significato di questo acronimo sarebbe troppo volgare. Incominciammo a cospargere le strade ed i muri di tag, eravamo piccoli e non sapevamo ancora il valore delle azioni che stavamo svol-


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gendo, ci bastava vedere il nostro nome scritto a caratteri cubitali alle fermate dei pullman e ci esaltavamo. Fino a quando nel 2004 cominciai a frequentare il liceo artistico di Bergamo conobbi Pons e Mente. Pons era in classe con me e neanche a farlo apposta ci ritrovammo fianco a fianco il primo giorno di scuola, quando cominciai a disegnare delle lettere su un foglio mi chiese subito se anche io scrivevo, è bastato uno sguardo per intenderci. Col passare del tempo diventammo sempre più amici, confrontavamo ogni giorno le nostre lettere e pensavamo all’evoluzione dei nostri stili. I primi pezzi colorati su muro li facemmo assieme in riva al Brembo, un fiume che

scorre nel paese dove vivo. Mente aveva un anno più di noi, era ancora un ragazzo tranquillo, con lui parlai un sacco e mi aggiornai sulla scena. Faceva parte della PFS crew. Facendomi vedere le fotografie dei suoi pezzi mi spronò al produrre e all’avere costanza. Dopo che ci facemmo conoscere con Pons iniziammo a incontrare altri writers alle jam che si tenevano nella bergamasca. Subito legammo con Pante ed Evielle, due ragazzi della SCK, ed anche con Med della BWT crew. Pante entrò a far parte della nostra crew attorno al 2006 e con lui dipinsi il mio primo treno, Med invece diventò membro nel 2007. Da sempre conoscevo Cisa, che fino ad allora mi aveva sempre chiesto di questo mondo e ne vo-

leva entrare a far parte. Quando vedemmo che i suoi sforzi si stavano facendo sempre più grossi lo facemmo entrare nella nostra crew. Ora è il writer con cui dipingo di più e uno dei migliori amici di sempre. Tutti insieme decidemmo di aggiungere una S al nome del nostro gruppo, come in inglese si aggiunge per fare un nome plurale. Dopo Cisa entrò negli FMS Evielle, ormai divenuto un fratello acquisito. Come era quando hai iniziato? Come è ora la scena? Notato cambiamenti? La scena a Bergamo è sempre stata caratterizzata dalla divisione e dagli antagonismi delle crew maggiormente attive. Da qualche anno


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anche noi FMS ci siamo affermati e siamo conosciuti a livello nazionale. Le crew più attive qui sono gli ML’S, NDG ASSA, PFS ed FMS. Poi ci sono i PRG ma sono sotto la soglia della decenza umana. La situazione nella nostra città ci porta a non poter dipingere nella yard principale quindi se si vuole fare un pannelo si va nelle stazioni limitrofe o si cercano dei backjump. Al peggio andiamo a Milano, dove abbiamo contatti e conosciamo mosse da ninja per testimoniare la nostra presenza sulla crocevia delle ferrovie dello stato. Tu ed i graffiti, cosa provi nel momento vero e proprio dell’action? Durante l’action godo. Non c’è momento che posso darmi un maggior mix di sensazioni così esaltanti, adrenaliniche e primitive. Ci sono persone che ci chiamano vandali, altri ci chiamano artisti. Io sinceramente non mi ritengo nessuna di queste figure, sono un writer e in quanto tale scrivo il mio nome dappertutto, ad ogni ora e come voglio. Nessuna arte, nessun museo, nessuna mostra. Fatti un giro in stazione e vedrai il prodotto del nostro credo.

Raccontaci qualcosa che ha segnato il tuo percorso stilistico. Sicuramente il mio stile è stato caratterizzato ogni giorno da quello che vedevo, il lavoro di altri writers, italiani o stranieri che siano, vedendoli dal vivo o su internet. L importante è non copiare ma il prendere ispirazione, mettere in ogni linea che tracci la tua personalità, ciò che ti senti dentro, perchè secondo me è questo che significa fare i graffiti, il mio prodotto sarà visto da un sacco di gente, ricchi o poveri, bianchi o neri, di sinistra o di destra, giovani o vecchi, uomini o donne, lavoratori o disoccupati. Per prima cosa testimonio la mia presenza, poi mi rifletto nei miei colori, ogni pezzo è un autoritratto del writer che lo ha progettato, in ogni suo elemento lo puoi riconoscere, ti ci puoi perdere. Da quando sono venuto a contatto con la grafica e lo studio della storia dell’arte ho sicuramente cambiato approcio dal punto di vista tecnico e progettuale, nulla nasce dal niente. Dalle basi che ho faccio nascere le mie forme e le mie lettere.

“Nessun museo, fatti un giro in stazione e vedrai il prodotto del nostro credo.”

Sei per l’illegale o per la murata, o hall, in compagnia la domenica? Principalmente la mia attitudine mi porta sempre all’illegale. Se dipingo un muro alla domenica è solo per stare con la mia crew in tranquillità e berci delle birre tutti assieme. L’illegalità mi ha accompagnato per anni nella mia vita, c’è stato un periodo che persino mentre dormivo ero nella completa illegalità. Quasi un anno fa ho capito che è l’unica azione illegale per cui vale la pena rischiare. Personalmente non lo ritengo un crimine.

Qualche brutta avventura? Facendo graffiti si visitano posti che un normale individuo non può neanche immaginare, soprattutto se si parla di train writing sicuramente prima o poi ci si imbatte in tossici, criminali, omosessuali ninfomani da hinterland milanese e prostitute. Il peggio della società. Una delle volte in cui ci siamo più spaventati è stata quando un baldo marocchino, e la sua combriccola di amici abitanti il deposito ferroviario di Sesto, ci ha puntato addosso un machete lungo quanto un braccio gridando qualcosa nella propria lingua. Poi ci sono le inevitabili fughe dalle forze dell’ordine. Al momento ho una denuncia in corso per danneggiamento ad un ente statale, una serata d’estate andata a finire male.


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Tu e la crew. Rapporto strettamente legato al writing o no? Siamo decisamente legati al writing, ci siamo conosciuti tramite una rete sociale che senza i graffiti non sarebbe potuta esistere. A parte questo il nostro è un vero legame di amicizia, ci si vede spesso anche solo per passare una serata assieme senza disegnare, si parla, si beve, qualche canna... Ci vogliamo bene noi FMS. Che rapporto c’è, secondo le tua visione, tra writing e grafica? Penso che col passare degli anni il writing si stia facendo influenzare dalla grafica e la grafica dal writing, come è spesso accaduto nella storia delle arti questi due movimenti attingono a certi

loro elementi reciprocamente. Con l’evoluzione del writing si è venuta a creare la street art, dal ramo della grafica si stanno continuando a diffondere nuovi generi e stili, essendo movimenti giovanili è ovvio che siano in continuo mutamento, sarebbe preoccupante se non lo fossero, presegnalerebbe una crisi, senza sviluppo non si può immaginare un futuro. Abbiamo continui esempi della rapida trasformazione di questi movimenti, basti guardare i ragazzi del 123 Klan che dai graffiti sono riusciti a trasformarsi in uno studio grafico di fama mondiale. Anche i ragazzi del Graffiti Research Lab si stanno cimentando a mixare graffiti e tecnologia, crendo strumenti che aprono le menti dei giovani writers.

Come saranno i graffiti tra venti anni? Sarà ancora lo stesso? Ovviamente no. Non oso immaginare cosa vedremo tra 20 anni, penso che l’evoluzione a cui si sarà arrivati potrebbe essere male interpretata anche da quelli che al giorno d’oggi sono considerati fondatori dello stile. Sicuramente il concetto che sta alla base del nostro pensiero sarà lo stesso, ma i mezzi, le espressioni, e le metodologie saranno cambiati.Keep writing.


Christian Sana Christian Sana

“Ho una denuncia in corso, una serata d’estate andata a finire male.”

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POSTER ART

Mastri artigiani della serigrafia

Mauro Forlani


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CHINA: Dinastia Song (960-1279 A.D.) Prime testimonianze di tecniche di stampa serigrafiche 1800 Realizzazione di poster fatti a mano per le affissioni all’esterno dei locali, realizzati per promuovere eventi

Invenzione della stampa Applicazione della tecnica litografica ai poster

Avvento della Belle Epoque e dell’ Art Noveau Designer influenti: Toulouse-Lautrec, Alphonse Mucha, Will Bradley.

Art Decò

1928: Joseph Ulano fonda la sua industria di componenti chimiche e mette a punto una lacca la cui soluzione permette la creazione di telai per stampa serigrafica altamente fedeli.

TV e Radio si impongono sui vecchi media, lasciando nell’ombra anche i poster. ‘60 Negli anni della controcultura i poster tornano alla ribalta come medium espressivo contro tendenza. Inizia la vera epoca d’oro per l’advertising musicale attravero i poster.

I nuovi media fanno proprie le caretteristiche della controcultura: si assiste al ritorno dei poster come uno dei principali media. Le nuove sub-culture punk e underground assumeranno uno stile “fai da te” molto incisivo anche se espressamente grezzo. I poster vengono ora caratterizzati e realizzati tramite il sistema della fotocopia

Oggi Il poster convive con i media principali quali tv ed internet, restando però in secondo piano rispetto ad essi, in un settore più di nicchia e ricercato.


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JASON MUNN Dall’interesse e dal mercato che ha (al di fuori dell’Italia ovviamente) la tendenza a creare poster per eventi musicali realizzati ad hoc, nasce “The Small Stakes”, ovvero Jason Munn designer californiano dedito alla poster art con uno stile moderno e pulito. I suoi lavori sono ragionati secondo criteri precisi di “visivo” in funzione di un dato tipo di musica, ed è da qui che nascono opere che, avvalendosi della tecnica di stampa serigrafica, acquistano un valore significativo, sia dal punto di vista commerciale che dal punto di vista del valore artistico. Creando per (o meglio, con) alcune delle band più importanti della scena indie attuale, Munn ha portato alla ribalta il nome del suo studio e del suo stile, sempre forte per efficacia e riconoscibilità dello stile. Tanto che la casa editrice “Chronicle Books” ha deciso di ralizzare un libro in cui sono raccolte alcune delle sue opere migliori, con riportate le informazioni quali il nome della band per cui è stata realizzato il poster, la misura e il numero di colori utilizzati.

Tinte piatte e tonalità pastello per i fondi, illustrazioni basiche ma dettagliate per il soggetto, carattere pulito ed elegante per il lettering. In questa locandina è racchiuso tutto lo stile di Munn, che punta sull’incisività del pensiero “più semplice è più efficace”. Mai sfarzoso o troppo ornato il segno tende a volte verso un sentire più vicino agli anni di inizio secolo, ma gli equilibri all’interno del foglio e gli elementi usati conservano tutta la loro riconoscibilità.

Con la prefazione di Nicolas Harmer, bassista dei Death Cab for Cutie e un’intervista del poster artist Jay Ryan, The Small Stakes: Music Posters è un libro prezioso non solo per gli estimatori dell’illustrazione contemporanea, ma soprattutto per chi a quei concerti avrebbe tanto voluto esserci.


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MALLEUS C’è chi ha fatto del merchandising musicale la propria professione. Malleus Rock Art Lab ha scelto questa professione per passione. Il collettivo di artisti che si cela dietro questo nome realizza principalmente poster per nomi famosi ma anche emergenti appartenenti alla scena musicale italiana e internazionale. Sono in pochi (due ragazzi e una ragazza che si fanno chiamare Urlo, Poia e Lu ), realizzano artworks solo per coloro che ritengono artisti e giocano con colori e forme a seconda della loro ispirazione. I loro lavori sono una specie di cassa di risonanza di ciò che sentono attraverso la musica. Sono gli unici in Italia che realizzano i loro lavori secondo un sistema considerato arcaico, ovvero la serigrafia manuale, fregandosene della moderna tecnologia in termini di procedimento di stampa, per lasciare posto alla loro idea di qualità e di professionalità. Hanno collaborato con un impressionante numero di artisti e gruppi, specialmente se si pensa che sono attivi solo da pochi anni. Dopo una serie di esposizioni dedicate alla poster art e un numero imprecisato di collaborazioni con varie riviste di tutto il mondo, i ragazzi di Malleus hanno finalmente raggiunto un riconoscimento importante, una specie di traguardo nella loro carriera. Infatti, alcuni dei loro lavori migliori sono finiti sulla bibbia della poster art, ovvero il volume “The Art Of Modern Rock” di Peter Grushkin considerato il guru del merchandising musicale americano. Molte delle cose da loro realizzate hanno un sapore decisamente anni ‘70, altre sono la traduzione di tutte quelle sensazioni difficili da spiegare se si

ascoltano certi brani. La loro forza sta proprio nella capacità di interpretazione delle sonorità di un gruppo o di un artista, tanto che ci si ferma a riflettere quanto in fondo sia strano quello che può accadere nell’elaborazione di un suono e della trasmissione di quel feeling tra il cervello che ascolta e la mano che disegna, tra il cervello che riceve e l’arto che butta fuori, tra l’universo interno e quello esterno. E’ bello vedere una forma d’arte (la musica) che viene trasformata in un altro tipo di composizione, questa volta visiva. E’ come se queste due forme d’espressione siano collegate da un sottile filo, che è poi l’anima di chi le interpreta. La loro storia comincia quando da ragazzi cominciarono a relizzare artworks per EP e locandine di piccoli gruppi, tra cui anche gli Ufomammut, band in cui suonano 2/3 di Malleus. Da qui sono diventati dei giganti del settore. Ciò è stato reso possibile anche da una loro caratteristica peculiare, in termini tecnici: utilizzano (dichiaratamente) le tecnologie moderne come mezzo per il ritorno alla manualità; questo si traduce nella preparazione delle opere completamente a mano, la preparazione digitale delle pellicole per incidere i telai serigrafici (uno per colore) e quindi la preparazione dei fogli e la stampa: totalmente manuale, senza supporti automatici. Ad oggi il collettivo sta vertendo ancora di più verso l’aspeto manuale tanto da arrivare a preparare le pellicole di stampa disegnandovi direttamente sopra, senza appoggiarsi alla stampante.


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SAN FRANCISCO FIREHOUSE

Ipsandit ipsunt. Consequ atiate omnim rem. Bo. Et aut fugia id quaerem aborepe rumquat emporru mquaepe lliqui odit, ne voluptassus si quidigent eost, qui voluptata seque magnisquia quam quatur aliqui ut doluptati optaspercit planient rem volorro temos pro optatur sa dolorpos duntorehent dolupta conest, omnis acculla delessit quaest, quos escid qui ut omnimus quatem qui velitiam fugiae. Tiore dolupta con eumquae volo minulla assedi tempor ratiant od quid magnis qui venem quaeror eperciam litat aut debitis secullorio eligent utessim reptatur? Qui ipsam, sitamet velenis sit ut vel il inum enis ut abor aut optatur? Vit lam exerrorit occus ent. Harum fugiasitae ipienet expeles eribusci con corporrum haria qui reptatetum non cumquam eum ant. Utem is aut facearum quis autemqui dollis mo consercim nulparit qui aut omnimus pa siniet, tecum ea parum volum que re volorep elendant earciderro doluptae et quaerro tem nonesto moluptate et maximaxim audae nos duciumquos arumque latur, sit, cor millique la nonsequam autatum cum int faceatusae offictiissim exceIhicimporpos aceate culparum comnim audaest, ut aut dis magni ut que maximillorem ut esequam la cum volorep uditatet ipiet eatur autas experum enima quam, sunt qui utat. Andipsamus solectat lic tectempor minctatecus modissim et autatiur aut pa volupta tectat. Ommo voluptur re quostiis atur? Pore voles rehentem cor soluptaectis dolum aut ini tem. Musapic imilla vendi conem eni rehent. Am reperum, quia abo. Ro et eossimo lorepudant la ipsum fugiant ut es acepudiorum esci nihiliq uaectur epedign iaest, comnihil estibus, solo temporporum dolumet quam, saped milis explantiam soluptatatur as dolores dolorest, ut quiam sae ne consequibus andamusam, utem. Itatiundelit ligent. Sum rem harumquae commo minctendi doluptaquiam conse porio tes dolut latem nis doluptatenes nobit mosti omnistrum as perchil ignamet aut expelestrum que reicipid estrum ipsant omnitiorio berio. Runt dolore cum essi berum faccae plaborat. Oloriosanis modi dunt occus sunderro dolupta turibus eum

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BARRE FRESCHE

Il suono che nasce dalla metropoli Il freestyle è una disciplina dell’hip hop, consistente nel rappare su una base, solitamente tracce strumentali di dischi americani, improvvisando rime a tempo della stessa. Tale tecnica viene normalmente sperimentata nelle jam sessions del jazz, dove hanno luogo libere esibizioni di crew, e nei contest freestyle battles, competizioni in cui due rapper si sfidano in abilità. Il vincitore viene scelto dal pubblico mediante acclamazione. Negli ultimi anni è molto aumentato tra i rapper l’uso delle cosiddette punchlines: rime di forte impatto da rivolgere all’avversario di turno (sia esso reale come nel caso delle battles “one versus one”. Le punchlines spesso non sono improvvisate, ma parte del repertorio personale del freestyler stesso, cosa che toglie ampiezza di ar-

gomenti e fantasia alle battles, spesso limitate solo al reciproco insulto. Dalla avvenuta presa visione di questo limite da parte della scena hip hop, esistono oggi anche battles ad argomento, durante le quali la giuria stabilisce un argomento diverso ad ogni turno ed i freestyler vengono giudicati in merito alla capacità di sostenere il tema, al modo in cui lo sviluppano ed agli spunti che riescono a trarne. Ovviamente, facendolo in rima e cavalcando un tempo musicale. Ma il freestyle non è solo questo, il freestyle è l’essenza del rap stesso: basta un microfono, un poco di senso ritmico ed una base per dire la propria idea, per comunicare i proprio pensieri, il rap e sopratutto il freestyle è “vox populi”.


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Il 2theBeat era una manifestazione musicale di hip hop italiana che si teneva a cadenza annuale. Durante la manifestazione l’attenzione principale era focalizzata sulla gara di improvvisazione in rima, che rappresenta, per gli amanti della musica hip hop, il principale appuntamento tra i migliori freestyler della penisola. L’edizione 2004 del 2theBeat si è rivelato il raduno nazionale di hip hop più importante di tutta la stagione, attirando fino a 2500 persone, grazie alla partecipazione di artisti di primo piano del genere come Colle Der Fomento, El Presidente, Club Dogo, Tormento, Turi ed il vincitore della sfida finale Moddi Mc, poi diventato conduttore al posto di Inoki nell’ultima edizione. Il 2theBeat poteva essere informalmente considerato il campionato italiano di freestyle, nonostante la manifestazione abbia avuto solo 3 anni, vi hanno partecipano MC di spessore nazionale ma era aperto a chiunque volesse partecipare. L’idea di chiamare tale manifestazione To the Beat nacque al Link di Bologna luogo dove si tenne la prima leggendaria edizione. Il 2The beat prodotto da Hip Hop 3000 in collaborazione con dj Trix Inoki e dj Lugi prevedeva la registrazione in formato audio video delle sfide che venivano confezionate in doppio cd che veniva regalato all’ingresso della sfida seguente. L’indimenticabile sfida finale tra Danno e Moodi, inserita all’interno della Flava of the Year vide la partecipazione degli artisti americani Cocoa Brovaz. La manifestazione l’anno seguente a seguito della chiusura temporanea del Link si sposto al Livello 57 e fu organizzata dall’associazione Zona Dopa, che ha proseguito negli anni. L’ultima edizione si è svolta nel 2006. Due mc estratti a caso si sfidano uno contro l’altro per 5 minuti così strutturati: 1 minuto continuo al primo rapper 1 minuto continuo all’altro 1 minuto nuovamente al primo 1 minuto nuovamente al secondo 1 minuto di 4/4 con battuta e risposta diretta. Il migliore (scelto dal pubblico)passa i quarti della finale, si continua così per quattro round (per un totale di otto partecipanti), finché non si arriva alla semifinale in cui si usa lo stesso metodo, i migliori due accedono alla finale, e il vincitore ha come premio un microfono shure, ma tutti e due possono partecipare alla finalissima, in cui ci saranno i finalisti di tutte e quattro le serate. D a l

Christian Sana Antonio Di Feo

2006 invece ogni gara del 2theBeat si articola in 3 “round” di scambi di rime. Nei primi due, ciascun rapper ha 60 secondi per “attaccare” con il freestyle il proprio avversario. Scaduto il minuto disponibile, la parola passa all’altro contendente. Nel terzo e ultimo round, il tempo a disposizione è sempre di 60 secondi, ma cambia la modalità della sfida. Infatti in questo ultimo scambio di rime, ogni rapper ha a disposizione per rappare 15 secondi al termine dei quali la parola passa all’avversario. Il vincitore è decretato dal pubblico che vota a suon di applausi. Gli MC (che si affrontano a gruppi di quattro, di cui uno è eliminato di volta in volta dopo ogni round), rappano sulla stessa base realizzata da un beatmaker presente alla sfida. Fra le critiche mosse alla manifestazione, il permesso a vari partecipanti di poter rappare in dialetto (come Moddi e Clementino).Gli utenti di YouTube, nel quale sono pubblicati i video, hanno segnalato poi più volte la discutibilità della modalità di assegnazione della vincita che viene proclamata dal pubblico presente. I maggiori big hanno rifiutato di partecipare all’edizione 2008 che, anche a causa di scarsa disponibilità economica dovuta al rifiuto degli sponsor di finanziare una manifestazione nella quale sarebbero mancati nomi del calibro di Yoshi, Ensi e Jack the Smoker, non si è potuta svolgere. Il 2theBeat tuttavia è rimasto il maggiore evento di freestyle italiano. Nel 2010, venne realizzata a Roma, al Circolo degli artisti, un altra serata di battle freestyle con il nome di Il 2theBeat, tuttavia non riscosse lo stesso successo degli eventi precedenti. Il 2011 sarà molto probabilmente l’anno di una nuova manifestazione anche grazie al seguito che il rap, e soprattutto il freestyle sta riscuotendo grazie a numerose altre serate che sono state realizzate in tutta IOtalia.

I vincitori del 2theBeat

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2004

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2005

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2006

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VIDEOMIND Rap 2.0

È da poco uscito il loro terzo singolo “L’Immenso” con Patrick Benifei dei Casino Royale e il video girato a Cinecittà, diretto da Giuseppe Peronace e con la partecipazione straordinaria di Tullio Sorrentino; in giro si cantano ancora i singoli/ tormentoni “E’ NORMALE” e “MUSIC THERAPY”. Piacciono agli addetti ai lavori, piacciono ai musicisti, piacciono in Italia e all’estero, si parla dei VIDEOMIND alias TAYONE, PAURA E CLEMENTINO. Il loro live è un party e VideoMind è qualcosa di più un semplice progetto musicale! I VIDEOMIND nascono con un’idea ed un obiet-

tivo musicale chiaro e preciso, fondere il rap italiano con la disco music, l’elettronica ed il funk. Il pop è la vera provocazione. Open mindVideomind è il loro slogan! Allargare i confini del rap in italiano per ampliarne il potenziale bacino d’utenza ad un pubblico più vasto e non più solo adolescenziale è uno degli obiettivi del trio campano. Il party come inizio e fine del discorso. Ma, oltre alla festa come punto d’incontro, in questo esordio c’è dell’altro. L’ironia cara alla narrazione afroamericana sposa simpatia e melodia partenopee ed il gioco è fatto.

Così musicisti di calibro (come Roy Paci, Federico Poggipollini, Alessio Manna e Patrick dei Casino Royale, e ancora Daniele Franzese e Davide Beatino) vventrano in studio e i campionatori diventano parte di un’orchestra propria al 2010. Il risultato è pop, o meglio, scava verso le radici fino a rintracciarne il seme nella parola “popolare” .


B u ird su no s ma d c ti n s gh onn ash le b fog et e, e as gia to na be at -r sc lle o ap e . il 1997

1993

F il abr co rap i Fi gl m un bra ie m p r ffe er ro en tt cia do de i. le tt a o tu tt i 1999

Tayone nasce musicalmente nel 1992, avvicinandosi al mondo dell’hip hop ed in particolare a quello dello scratch music, disciplina che lo porterà presto a conquistare il primo posto nella prima edizione dell’ITF (Italy Dj Championship), nel 1997. Nello stesso anno, forte del successo appena ottenuto, entra a far parte del gruppo Alien Army, prima e storica turntablist crew italiana. Dal 1998 a oggi, Tayone ha partecipato a numerosi contest e tour,con ottimi risultati. Nel 2007 inizia la produzione del suo primo lavoro solista, “Photographie”, collaborando con musicisti di spessore e noti cantanti.

Clementino

Clemente Maccaro, in arte Clementino, inizia a scrivere rime nel 1996. Si fa conoscere vincendo tutte le gare di freestyle italiane, ovvero 2THEBEAT (2006), VALVARAP (2006) ,TECNICHE PERFETTE (2004), DA BOMB (2005), guadagnandosi così la reputazione di freestyler più forte d’Italia. Nel 2006 esce Napolimanicomio, primo album ufficiale che lo porterà a fare più di 200 live in tutta la penisola. Oltre ad essere un rapper dal carisma unico, capace di intrattenere e coinvolgere il pubblico come nessuno, Clementino è un attore professionista, sceneggiatore ed autore teatrale .

Tayone

2006

Jo pr e C i m m as ra uo a p san p re er o ita n s è lia el m on la no o a c . nd he o de l

1991

A ri rti ra usc colo de p s iti 31 i m ot a p so as to i ort no s- rifl ar m et e i ed to l ia ri .

1991

Francesco Curci, alias Paura, è uno dei rapper storici e più carismatici della scena hip hop Napoletana e Campana. Nel 1993 L’amicizia con Dj Snatch ed Elio Alaia, ora noto dj e producer della scena dance campana, lo fanno avvicinare al mondo del rap. Nel 1995 i tre gruppi più affiatati tra di loro della scena partenopea (Ordine dal Pariamiento, GPS, Quinto elemento) si uniranno in un’unica formazione che prenderà il nome di 13 Bastardi. Nel 2006 nasce l’album Octoplus accolto molto positivamente da pubblico e stampa specializzata. Attualmente è in studio per il nuovo progetto Videomind assieme a Tayone e Clementino.

Paura

1990

S S i fo bl ang rm 3 ica ue an Pi ann no Mi o i et i S st ra si xM o, m sci e pu ili ol do bar go p e! n o o.

I9 la 9P ita po os fo lia liti se rm no ca po a , il ne rta a g lr n Na ru a o po pp p li. o s i D in jGr pa ita uff li rt lia po m si d e p , ne rta ac iff er l 1 il hi on M 98 ra a d ila 6 p d’ er n ol à o, io a

1982

1984

B il p eas d ri tie no i pe mo Bo M n è rso gr ys us p n up so ic iù e b po n . so ia ra o lo nc p Bl he ac , k

1983

R g un di ono DM be rap il s C s at in ig tr in tr nifi av no od c olva uc ato tin en i. do

1973

C e ok He sibi e La na rc sce Ro sc a N co ck e il r ew n d si ap Yo j K . rk oo , l

1972

P in ubl t p ro ic am olit du Ene er ica con my ic ne o an l r la o . ap

Ir sc rom e en n po tr a g no an l i o Su nel ne g la lla arh to ill p , 40 .

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È normale ha fatto 150.000 view su YouTube in 6 mesi. Il Rap 2.0 è per gente “presa bene” dice Paura.


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“ Se ti va il cervello in tilt... Music Therapy “

Antonio Di Feo Antonio Di Feo


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SAINT GERMAIN The World is Yours Bahnhofstrasse, 66 Z端rich

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FIRST ADULT PLAYGROUND

Una bicicletta può essere tante cose. per la maggior parte delle persone, è un mezzo di trasporto efficiente, pulito ed economico. Tuttavia, come per molte cose che hanno la loro origine in una mera funzionalità, la passione della gente genera oggetti vi vera e propria venerazione estetica. Le biciclette a scatto fisso furono inventate per le corse su pista, dove erano, di base non più che mezzi disegnati per raggiungere la massima velocità. Il mozzo a scatto fisso venne poi introdotto dagli allenatori delle squadre di corsa per l’allenamento invenale. Su di una fixed, le gambe sono sempre in movimento, il pignone è infatti bloccato sul mozzo, permettendo così di raggiungere velocità elevate e trasformando il ciclista in un tutt’uno con la bicicletta. Da origini prettamente agonistiche, la bicicletta a scatto fisso a preso piede, o sarebbe meglio a dire ruota, sulle strade, sfoggiando tutta la sua eleganza ed inesauribile fascino. Una bicicletta essenziale, spogliata di qualsiasi elemento che non sia basilare: senza freni, senza marce, senza fili. Semplice e raffinata, un telaio a

diamante, due ruote, pedali e catena. Se si dovesse definire il fascino della bicicletta a scatto fisso si potrebbe incomonciare da qui: una bicicletta fixed gear è il più puro esempio di bici che esista. Intorno alla fixie, come è affettuosamente chiamata dagli appassionati, l’interesse e la scena sono cresciuti, da quando i fruitori di questo mezzo non sono più essenzialmente i corridori su pista ma pony express, fanatici del freestyle e maniaci dell’estetica. Dopo aver preso piede nelle metropoli americane come San Francisco, con le sue alleycat race, e New York, le fixie sono approdate anche in Europa ed in Italia riscuotendo un buon numero di ciclisti che si sono facilmente avvicinati e lasciati affascinare. Le biciclette a scatto fisso si posso dividere a loro volta in alcuni sottogeneri. Le fixed pure, con telai pursuit o pista, quelle che escono direttamente dal parquet.

Antonio Di Feo Antonio Di Feo


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SNEAKER FLICKR Collezione di un feticista

Ovunque nel mondo, qualunque sia il modo di chiamarle e portarle, non si può ignorare l’irresistibile ascesa di un oggetto dalle umili origini. Non più limitata a pochi fanatici, la sneaker culture si è progressivamente trasformata in un fenomeno di massa. Sconfinando dall’universo sportivo, le sneaker si sono imposte nella cultura popolare come elemento base dell’odierno modo di vestire, che trascende le barriere sociali e al tempo stesso s’impone come codice d’appartenenza delle diverse tribù urbane. Si parla di sneakers ovunque, sopratutto su internet: è nato infatti Sneakerpedia,

una community di appassionati di questo genere. Immaginate una Wikipedia, dedicata, però, solamente a chi ama le sneakers (scarpe da ginnastica). Immaginatevi un archivio fotografico, dove trovare migliaia di modelli di scarpe, divisi per marca, modello, colore, associazione, tipologia di cuciture. Immaginate di poter vedere da ogni angolazione quei modelli unici di cui magari avete sentito parlare ma che non avete mai visto. Tutto questo si riassume nel progetto del motore di ricerca di sneaker più grande al mondo, Sneakerpedia, appunto, che sarà lanciato a marzo 2011 ed è stato realizzato

con il supporto di uno dei colossi di vendita di scarpe, Foot Locker. Per ora la community è in versione beta ed è aperta ai ‘Top 10’, i dieci “fondatori” che per primi hanno messo a disposizione le proprie collezioni e la propria conoscenza a favore della nuova community online di sneakerheads ; tra loro ci sono Marco Colombo, direttore del magazine Sneakers, esperto e collezionista di fama internazionale, ed altri appassionati e collezionisti come Bobbito Garcia e Clark Kent. Christian Sana Antonio Di Feo


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Nike Blazer Year: 1997 Size: 43.5 Frequency of use Liking

Gucci St. Tropez Year: 2005 Size: 44.5 Frequency of use Liking


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Gucci Testa di Moro Year: 2006 Size: 44.5 Frequency of use Liking

Adidas Metro Attitude Year: 2011 Size: 45 Frequency of use Liking


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Mauro Forlani

ECO FACT

Tendenze e cronache di un pianeta in rovina

Ab id ex et que suntus am, nonsedis explatis dessedis et everciditi beaquis eria dolo magnime et volo moluptis maximus aut faccuptas denda con cone ventiuntiost eseratu restrup icipsus ad quis eos ped molupta tquati volorestrum quis utempernatem qui ommod maximinverum quas explaborem atem que nate nist, nonsendae et ulparum idem sanis archili quatectem nobis sape volles dolori aliti ium qui officae nihicti atecus. Dam et ditat reicide lentiisquiae parunt a diamus, sum hita is nobistium aperum qui quiatiosam, sit, naturit etur aliquam endello beatam dunt est, qui ut pra dolorup tamusapis dollibus ea aut esequiatur aut id minitio mo eris sim et reptata tiunto tem. Ovitio volloritis ea sum facepellis alibeaqui ut qui test eatiur? Erunt. Oria doloreriatur as essunt. Alit venda quae. Pudae elit laudion secture pratempos re vellupta dolupta volecte volum isque veriore stibearios magnimusam as ent assi tempore vero conecestis doluptam quae poria quis volorerunt re porum dio et voloribus acearum quat es earum latio magnate cuptatusdam sapiend aectatius porion evelictaqui doloria idestio omnis quod quat qui blantiatume volupta tionserit optatusda di doluptaque eum ea coribus ex et excerum quae venimin ustiam niminus ma doluptas et lant et volupta cuptae ipsae plit, eium quid quiandandi non eum cum rem evernat de nonsequis aut peruptatur, nobis di coresed issimax imaions equidisquis peratendi dolori verum dis et officient peles re sintiones pel il il mini sapieni aepudia cus, sum quuntur, nusa conseque preicia spisciis dis exerferio con comnitem fuga. Ut maximodi nobis volliquam re solorio neserit re ex et laccum ad maios voluptat officie nihictatias quo to everia venis et est moluptio ius eium volecti archit labo. Ut fuga. Empersp isciis es molorro doluptae consequid et auda coraepe lliquas dias dis sundi re core lab in nonessi nverept atiundit eaquatum volorpo reictem veribus dolland ucipsundebis mint es am, tem quiatiberae repelicimi, ipsam as simil eicimo bearunt iandundit eos soluptaero im fugiae volorro quias dolut persperia atia volum volupta tendis qui di sus serum nam num res nulpariatum quibero dolores veritas nistrum quaes ut pro odit ut quos inist entin rectias elique prature rchillorit dolum ium eossin re atur, volupti onsequi berumqui nusae nus idisit minvellisiti ditatur as dit expelia et voluptas comnim aut aut apelliti aut laborib usaepero tes seceatu riorio. Temquam experum nonescia conempe lluptum ut erorem quam dolorehenda porereprate et volore seque as mi, omnimus, quam laborit re essitibus, core preria suntend aeceperume sunt quatem rem dempore velenduntion renit quam dolorum sinvelitatet est, te quia volor aut hicaece atatiume et que es atis quatem re incto cus. Eria con cum lat quae. Nequo dipicipsam alitatem aut audio voluptia ad enimaxi mincia voluptatur rectatur? Ex exerferum facea vel ium dolorrum fuga. Da sunt que laboressunto bearum


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NOAM CHOMSKY Modelli eco-sociali alternativi 2009, Cina e India hanno dichiarato che è ingiusto pagare i prezzi dell’industrializzazione europea, un’argomentazione valida ma che non ha senso per fermare i cambiamenti climatici. In Occidente nessuno vuole fare i sacrifici necessari. Se si vuole sopravvivere ci deve essere un cambiamento radicale nel modello occidentale. Cina e India hanno il diritto di vivere come l’occidente, ma ciò è impossibile serve un altro modello comune. Oggi lo standard è il Pil, una misura economica, ma molto lontana dalla giustizia ambientale». Crede, come 25 anni fa, che “la rivoluzione anticapitalista sia l’instaurazione di un’autentica giustizia della natura e dei bisogni umani? «Come è possibile non crederlo? I nostri concetti di giustizia e morale sono condivisi e basati su concetti intuitivi di ciò che è buono per gli uomini».

Noam Chomsky, nato nel 1928, insegna linguistica al Massachusetts Institute of Technology. Dichiaratamente anarchico, a 82 anni porta avanti il suo modello alternativo di economia e socialità globale, anche per l’ambiente. Senza risparmiare accuse alle grandi potenze. Esiste una azione concreta per creare un altro mondo possibile in grado di risolvere il riscaldamento globale e le sue conseguenze? «Noi non stiamo per nulla affrontando i temi ambientali, ci stiamo dirigendo verso una catastrofe. Durante la conferenza di Copenaghen

Eppure ancora oggi sintomi di ingiustizie sociali non mancano, anche nei suoi Stati Uniti. Il vero problema è che la situazione economica resta grave, e in questo ambiente emergono paure e ostilità indirizzate verso le comunità più diverse. La gente si sente arrabbiata ma non ne comprende le ragioni reali».

In Occidente nessuno vuole fare i sacrifici necessari. Se si vuole sopravvivere ci deve essere un cambiamento radicale nel modello occidentale. Cina e India hanno il diritto di vivere come l’occidente, ma ciò è impossibile serve un altro modello comune. Oggi lo standard è il Pil, una misura economica, ma molto lontana dalla giustizia ambientale». Crede, come 25 anni fa, che “la rivoluzione anticapitalista sia l’instaurazione di un’autentica giustizia della natura e dei bisogni umani? «Come è possibile non crederlo? I nostri concetti di giustizia e morale sono condivisi e basati su concetti intuitivi di ciò che è buono per gli uomini». Eppure ancora oggi sintomi di ingiustizie sociali non mancano, anche nei suoi Stati Uniti. Il vero problema è che la situazione economica resta grave, e in questo ambiente emergono paure e ostilità indirizzate verso le comunità più diverse. La gente si sente arrabbiata ma non ne comprende le ragioni reali».

Esiste una azione concreta per creare un altro mondo possibile in grado di risolvere il riscaldamento globale e le sue conseguenze? «Noi non stiamo per nulla affrontando i temi ambientali, ci stiamo dirigendo verso una catastrofe. Durante la conferenza di Copenaghen 2009, Cina e India hanno dichiarato che è ingiusto pagare i prezzi dell’industrializzazione europea, un’argomentazione valida ma che non ha senso per fermare i cambiamenti climatici.

Uribusdae. Nemolor epudias periscitis es untiassit ut es voluptate none vellabo reicto toris maximagnatem dipsamet ame cullatibus nimagnatiori rem. Nam nAccustiandaes ma am, quos nonsedit, qui cuptat. Sam hari conest eum explabore cus. Dolore dolores simus, sim as nus. Luptaest, ex endant verum nonserit

etur, quatur atus velles dolo blab iur rati bereperro cus ma dit ium, audit fugitibus rendel elest quas quiae sunt odigent volorestius experferi solorpore eos molorib ustium cusdae aliquas suscius mod quis eum velestion et ommo con re idus suscidest as molut quae imilique quat offic tendandae niendam quo tem ea qui is etur, qui

Mauro Forlani Mauro Forlani

rem cullori bustis atusani ssinusae la sit perum evendi seditem fugitae ribusandi volorepta quid mini offici sinvent autemolupiet labor mod que earum dolent lacea doluptatate delenistostrunt aciis entio. Nem qui


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GREEN LIFE

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Riuso & Riciclo

Consumo ragionato

Lifestyle


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ROADSTERS

GOES GREEN B

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Mauro Forlani Mauro Forlani


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FIXED revolution Una bicicletta può essere tante cose. per la maggior parte delle persone, è un mezzo di trasporto efficiente, pulito ed economico. Tuttavia, come per molte cose che hanno la loro origine in una mera funzionalità, la passione della gente genera oggetti vi vera e propria venerazione estetica. Le biciclette a scatto fisso furono inventate per le corse su pista, dove erano, di base non più che mezzi disegnati per raggiungere la massima velocità. Il mozzo a scatto fisso venne poi introdotto dagli allenatori delle squadre di corsa per l’allenamento invenale. Su di una fixed, le gambe sono sempre in movimento, il pignone è infatti bloccato sul mozzo, permettendo così di raggiungere velocità elevate e trasformando il ciclista in un tutt’uno con la bicicletta. Da origini prettamente agonistiche, la bicicletta a scatto fisso a preso piede, o sarebbe meglio a dire ruota, sulle strade, sfoggiando tutta la sua

eleganza ed inesauribile fascino. Una bicicletta essenziale, spogliata di qualsiasi elemento che non sia basilare: senza freni, senza marce, senza fili. Semplice e raffinata, un telaio a diamante, due ruote, pedali e catena. Se si dovesse definire il fascino della bicicletta a scatto fisso si potrebbe incomonciare da qui: una bicicletta fixed gear è il più puro esempio di bici che esista. Intorno alla fixie, come è affettuosamente chiamata dagli appassionati, l’interesse e la scena sono cresciuti, da quando i fruitori di questo mezzo non sono più essenzialmente i corridori su pista ma pony express, fanatici del freestyle e maniaci dell’estetica. Dopo aver preso piede nelle metropoli americane come San Francisco, con le sue alleycat race, e New York, le fixie sono approdate anche in Europa ed in Italia riscuotendo un buon numero di ciclisti che si sono facilmente avvicinati e lasciati affascinare.

La storia della bicicletta in sei date

Rivoluzione 1791 francese: nasce il velocidero.

Ernest Michaux 1861 inventa i pedali.

Trasmissione a ca1880 tena sul velocipede.

Pneumatico a 1888 camera d’aria di Dunlop.

Esposizione inter1889 nazionale: la prima vera bicicletta.

1903

Primo Tour de France


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Le biciclette a scatto fisso si posso dividere a loro volta in alcuni sottogeneri. Le fixed pure, con telai pursuit o pista, quelle che escono direttamente dal parquet dei velodromi per riversarsi nelle strade urbane. Le fixie più preseti nelle metropoli di tutto il mondo restano però quelle definite “convertite”. Le convertite sono fisse create utilizzando telai da corsa, da passeggio e a volte perfino con mountain bike, liberandole da tutti gli orpelli meccanici. Queste conversioni rendono più facile l’uso delle due ruote sul terreno urbano, permetteno di saltare buche, attutiscono il pavè sconnesso e permettono di mantenere una postura più adatta all’uso cittadino. Sono facili da realizzare, e con pochi soldi e un po’ di pratica ci si può sbizzarire a personalizzare anche un vecchio telaio arrugginito. Negli ultimi anni, il movimento fixed a preso piede anche nel freestyle. Molti riders, abituati alla BMX, si stanno cimentanto nello sviluppare nuovi tricks possibili da realizzare solo mediande il movimento fisso.

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Costruirsi una Fixie

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1. Le dimensioni

È oppotuno provare una bici per verificare quanto sia adeguata alle proprie esigenze. Se non è possibile verificarla di persona si possono sempre utilizzare tabelle dimensionali, dal momento che la dimesione di un telaio risulta fondamentale per utilizzare in modo adeguato una bici.

2. Mozzi

Meglio orientarsi veso biciclette con ruota posteriore con mozzo filettato.

3. Forcellini posteriori

5. Telaio

4. Guarniture

6. Componentistica

a maggior parte delle biciclette vintage possidedono forcellini posteriori orizzontali, perfetti per la conversione a scatto fisso.

Le bici con guarnitura a tre pezzi sono le migliori in quanto consentono di togliere le corone in esubero. Da evitare invece quelle con pedivelle a spina, a causa della loro difficoltà di rimozione o eventuale reinstallazione.

Auspicabile un telaio di buona marca, che utilizza buoni tubi, si disporrà cosi di una struttura più leggera e longeva.

I componenti di marca sono più costosi ma garantiscono una conversione di altà qualità. In particolar modo i pedali in modo da poter installare puntali e cinghiette.


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LA GARIBALDINA

La prima alley tutta bergamasca

“Qui, fra le antiche mura venete, nel 1848 Giuseppe Garibaldi trovò 174 valorosi disposti a tutto per unificare quella che ora è la nostra patria. Sempre fra queste mura, oggi, altrettanti valorosi si daranno battaglia per arrivare primi sul podio. Questa è Bergamo, e sarà il campo di battaglia, la parte più moderna e trafficata circonda le mura di Città Alta, roccaforte veneta fatta di salite, discese e ciottolato che metterà chiunque alla prova. Una bici, la cartina della città, dei checkpoint da raggiungere prima di chiunque altro. Il percorso lo decidi tu ricordando che a Bergamo la strada più breve non è mai la più facile.” Così recita il blog ufficiale dell’evento “La Gari-

baldina”, la prima alleycat race di bici fixed (ma aperta a tutti i tipi di bici) tenutasi nella città di Bergamo. E sempre dall’importa punto di ritrovo di bici a scatto fisso bergamasche online, fixedbergamo.blogspot.com, troviamo il resoconto degli organizzatori: “Il maltempo ci ha provato, ma per cinquanta quattro di voi pioggia non significa niente e così siamo stati ripagati. Tutto è filato liscio, nessun intoppo e da parte di molti ho ricevuto solo complimenti. Non è stata facile organizzare la Garibaldina, ma c’è da dire che, io e Paolo, non abbiamo fatto nulla per renderla semplice. I primi e doverosi ringraziamenti vanno ai nostri partners che hanno creduto in noi met-


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tendosi loro stessi in gioco, Red Bull, Cinelli e 55DSL, ai nostri sponsor che non da meno hanno partecipato e soprattutto premiato i vincitori, Vittoria, Selle San Marco, Knog, Callemarconi, Kanaka e Volume Bikes. Un sentito ringraziamento al caro amico G. Pindaro (che ci regala anche questi scatti) che con i suoi fedeli Claudio e il sudamericano Dino hanno creato il video promozionale, e aspettatevi una chicca per quello dell’ evento. Grazie a tutti i garibaldini, amici e non, venuti a dare una mano invece che andare allo stadio. (...) Grazie a tutti voi e a chi sbadatamente ho

dimenticato”. L’evento , ha riscosso successo, gli eventi curati dal gruppo Fixed Gear Bergamo continueranno, e l’anno prossimo molto probabilmente ci sarà una nuova adunata di garibaldini, che da tutta Italia, in sella ai propri “cavalli di ferro” raggiungeranno la città per una nuova sfida, per una faticosa impresa sempre a suon di pedalate e bici fisse.

Una alleycat race in pillole

Una alleycat race è una corsa nata spontaneamente nell’ambiente dei bike messenger e tesa a simulare il loro lavoro giornaliero, ogni giorno è diverso e per questo motivo ogni gara è differente. Il percorso di solito è reso noto pochi minuti prima della partenza se non addirittura durante la gara, per cui il senso dell’orientamento diventa più importante della semplice pedalata e in molti gare, oltre al vincitore assoluto, viene premiato anche il miglior out of town. Spesso esiste un tema della corsa, ma non è necessario, a volte nei checkpoint basta farsi firmare un foglio, altre bisogna fare cose strane, tipo bere alcolici, cambiare una camera d’aria di una bici, indossare vestiti buffi, insomma spazio alla fantasia e alla cattiveria degli organizzatori. Come i bike messenger utilizzano bici differenti a seconda dei propri gusti e preferenze si può correre con qualunque tipo di velocipede. Come funziona un’alleycat? Solitamente alla partenza viene dato un manifest con dei checkpoint da completare e in alcune gare c’è un tempo massimo per completare il manifest. I checkpoint sono punti della città in cui passare e farsi fare un timbro o ritirare una ricevuta, fare una foto o prova a seconda della gara. I checkpoint sono in un ordine preciso? Anche questo dipende dalla gara, in alcune garette sul manifest i checkpoint sono da completare in un ordine preciso, in altre invece sta ai partecipanti deciderne l’ordine. Se i checkpoint non sono in ordine tocca al ciclista decidere il percorso: prima di partire a pedalare, in gruppo o singolarmente, si segnano sulla mappa i vari checkpoint e si decide sommariamente il percorso da fare. Per questo motivo, anche se non specificato, è bene portarsi almeno una penna. Quando si decide il percorso è bene fare un piano a lungo termine tenendo in considerazione tutti i checkpoint del manifest in particolare l’arrivo. Christian Sana www.fixedforum.com


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Famolo

STRANO

in cucina

La cioccolata, al centro dei rituali aztechi e usata come afrodisiaco dal mitico re azteco Montezuma, che ne beveva una tazza prima di recarsi negli appartamenti delle donne, contiene feniletilamina, la sostanza che il cervello produce quando ci innamoriamo e che è presente anche nel formaggio. Inoltre, coi suoi componenti chimici pieni di magnesio, migliora la circolazione e inibisce la depressione.

Le virtù della famosa bevanda degli dei le ricordano Ovidio nell'Ars Amandi e Apuleio che dice: "Il vino basta a vincere la viltà del pudore ed a mettere in forza il piacere". In realtà la sua assunzione potrebbe essere d'aiuto solo se preso in piccolissime dosi -mezzo bicchiere, massimo uno- perché, come scriveva Shakespeare "provoca il desiderio, ma rende l'atto impossibile".

Egitto, terra di Cleopatra, la famosa regina nota in tutto il mondo non solo per la sua bellezza ma anche per le sue capacità amatorie che la rendevano irresistibile a tutti gli uomini. Fu l'amante di Giulio Cesare e di Antonio, che stregò con le peculiarità seduttive del miele. Ancora oggi la tradizione sopravvive, ed è abitudine servire l'ambrata sostanza durante i banchetti nunziali. Esso, infatti, contiene vitamine del complesso B, alcuni sali minerali benefici per la salute sessuale e zuccheri facilmenti assorbiti, necessari per la produzione del liquido seminale e per avere una forte carica sessuale.


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Ostriche e champagne. Quale binomio è più francese? Su questi molluschi si divide spesso il pubblico dei mangiatori: c'è chi le ama e chi le detesta. Indubbiamente hanno un sapore di mare molto forte ma, dalla notte dei tempi, sono annoverate nella lista dei cibi afrodisiaci. Non sono state scoperte particolari sostanze chimiche in grado di avvalorare questa tesi. È più probabile che abbia contribuito alla fama il fatto di essere da sempre cibo per ricchi. I soldi eccitano.

Vere o non vere che siano - starà a voi crederci perché ciò che conta è anche l’immaginazione - le virtù dei cibi afrodisiaci sono decantate fin dal­ l’antichità. Secolo dopo secolo, attraversando culture differenti at­tente a sfruttare le potenzialità of­ferte dalla natura, alcuni alimenti sono passati alla storia per essere stati in grado di aumentare la potenza sessuale perché ritenuti più stimolanti ed energetici degli altri. Un mix di odori e sapori e un piz­zico di complicità: ecco il segreto del successo di una cena “piccante”. Già, perché il desiderio ses­suale ha due componenti fondamentali, una fisiologica le­gata a fattori metabolici ed una psichica, legata a stimoli emotivi. Quest’ultimo aspetto è fondamen­tale in quanto agisce potenziando i meccanismi fisiologici che danno origine al desiderio. E i cibi afrodi­siaci agiscono con tutta probabi­lità su questa componente “mentale” contribuendo a scate­nare fantasie e ad attivare circuiti vascolari in grado di migliorare l’intimità di coppia. In ogni caso, non dimentichiamo mai che i veri afrodisiaci sono il benessere generale creato dal buon cibo e la fantasia umana stimolata dai sensi. E adesso... bon appétit!

La più vecchia notizia sul potere stimolante e afrodisiaco dello zafferano la troviamo in un libro di medicina cinese del 2.600 a.C. Anche dai Greci e dai Romani veniva considerato un potente eccitante. È però nella Roma Imperiale che lo zafferano assume il ruolo di "status symbol" a causa del suo elevatisimo costo. Le sue essenze si spargono nelle sale da pranzo, dove i commensali spesso riposano su cuscini di petali di zafferano, bevendo vino mescolato con pistilli di zafferano, mentre polvere dello stesso veniva fatta piovere sui convitati. Nelle Terme, esistevano addirittura dei bagni allo zafferano per rinvigorire e ridonare la forza a chi vi si immergeva.

"Arte della cucina" è il termine più adatto a descrivere la cucina giapponese in quanto l'elemento più importante, oltre alla qualità del cibo, è la sua presentazione: il cibo deve essere bello a guardarsi, una carezza per l'occhio. Ancora oggi una ragazza giapponese troverà più facilmente marito, se avrà ricevuto una approfondita educazione della conoscenza dei costumi culinari. Il salmone "Namban- Zuke" è uno dei primi piatti che essa impara. Può essere un antipasto ricco e sofisticato o un secondo da accompagnare a un riso bollito; il salmone ed il peperone daranno, oltre che un ottimo apporto nutritivo, una sferzata di energia.

Il cardamomo agisce sul sistema nervoso: in India, dove le famiglie sono numerose e il Kamasutra ha visto i suoi albori, lo usano in gran quantità. La cucina indiana è molto influenzata dalle varie nazionalità dei suoi abitanti, dal clima e soprattutto dalla religione. Infatti le religioni indù e mussulmane occupano un ruolo di primo piano nel determinare le abitudini alimentari delle popolazioni. Comune denominatore rimangono i famosi curries in quanto per gli indiani, il sapore è la cosa più importante in un cibo, e, nel cucinare, va data la massima attenzione alle spezie da adoperare per ottenerlo.

Margherita Solinas


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IREZUMI Arte, tecnica e mafia In Giapponese i tatuaggi vengono chiamati irezumi (ireru inserire sumi inchiostro nero) o horimono (horu inscrivere mono qualcosa). La pratica prende piede dal periodo Jomon (~ 10000 aC). All’inizio del periodo Meiji il governo giapponese, volle tutelare la propria immagine e fare una buona impressione sugli Occidente, dichiarò di fatto fuorilegge i tatuaggi, gli irezumi quindi assunsero connotazioni di “criminalità”. Sebbene in Giappone il tatuaggio irezumi è stato legalizzato dalle forze di occupazione nel 1945, ha conservato purtroppo l’immagine della criminalità. Nella tradizionale giapponese i tatuaggi irezumi sono spesso associati con la famigerata mafia giapponese nota come “Yakuza”. Oggi il tatuaggio in Giappone è spesso associato all’idea di yakuza: sono proprio i membri della cosiddetta “mafia gialla” a portare grandi tatuaggi su tutto il corpo, quasi come segno di riconoscimento. Per questo motivo, nonostante molti giovani si fanno tatuare solo per gusto, in molti bagni pubblici o terme giapponesi non è consentito l’ingresso a persone tatuate. I tatuaggi giapponesi hanno origini piuttosto lontane nel tempo, nell’ultimo secolo sono stati spesso identificati come un simbolo distintivo della yakuza, la mafia giapponese. Entrambi questi ambiti potrebbero essere oggetto di analisi, pero’ a me interessa un altro aspetto, il rapporto piuttosto stretto tra l’arte pittorica giapponese e il tatuaggio. Un tatuaggio e’ soltanto un disegno sul corpo, un mezzo essenzialmente effimero per esprimere, nei migliore dei casi, un concetto o piu’ semplicemente per decorare un pezzo di pelle. I tattoo rientrano pero’ all’interno di quei particolari disegni con un alta componente simbolica, fino quasi a diventare simbolo di per se’ stessi. Come accade per gli yakuza appunto. Non

e’ tanto il soggetto (sia una carpa gigante, un dragone, una qualche divinita’ buddista, o un demone), quanto l’atto di farsi incidere un disegno sul corpo, in particolare sulla schiena, che contraddistingue lo yakuza agli occhi del giapponese onesto. L’aggettivo giapponese accostato alla parola tatuaggio quindi indica sopratutto uno stile. La scelta di un certo tipo di soggetti e di un certo modo di rappresentarli, di unirli tra di loro. L’onda, la cascata, la carpa, i fiori di ciliegio co-

stituiscono ad esempio dei soggetti legati tra loro da un semantica precisa: la carpa simbolo di perseveranza, di prosperita’, ma anche di saggezza, affronta le onde, giunge ad una cascata e tenta di risalirla, diventando cosi’ un dragone. Nell’acqua della cascata galleggiano dei fiori di ciliegio, a ricordare che la ricerca della carpa e’ comunque effimera, perche’ la vita ha comunque una conclusione certa. Oppure che la ricerca va portata a termine, perche’ la trasformazione in dragone indica uno stato di consapevolezza tale da affrontare la morte in maniera serena. L’interpretazione potrebbe arricchirsi, complicarsi, sprofondare nell’universo degli archetipi. I soggetti dei tatuaggi sono spesso ripresi dall’ukiyo-e, dalle “immagini del mondo che fluttua”. Sono sinuosi, arrotondati, fluttuano sul corpo, lo ricoprono con un certo impatto visivo, ma con delicatezza. Lo stile e’ chiaramente ripreso da stampe di Hokusai, di Hiroshige, di Kuniyoshi e questa e’ la parte del tatuaggio giapponese piu’ affascinante. Insomma l’immaginario giapponese e’ sufficientemente ricco e la tecnica pittorica sviluppata cosi’ raffinata da lasciare ampio spazio per esprimere molta dell’emotivita’ umana in pochi tratti. Bisogna dire che il tatuaggio giapponese ha un forte magnetismo per almeno due motivi: il primo è legato al fatto della potenza raffigurativa delle sue immagini Il secondo motivo è invece legato alla bellezza dei disegni, all’eleganza delle sue linee, alla fantasia delle rappresentazioni e alla femminilità di alcune raffigurazioni Quindi questo stile vive di contrasti: tra la virilità dei miti di eroi (samurai, demoni, fantasmi o maschere) o delle divinità (i draghi, la tigre, il fuoco e l’acqua) inseriti negli armoniosi paesaggi giapponesi immersi nel verde degli alberi di ciliegio, fio-


ri, con le colline in sottofondo, con le carpe che saltano dall’acqua e uccelli. Tutto questo è disegnato con cura e devozione perché i tatuaggi, come qualunque forma di espressione, hanno l’onore e il dovere si tramandare la tradizione. Questa simbologia è molto legata alla Religione Shintoista che è devota alle divinità che vede incarnate negli elementi naturali Tutti i tatuaggi, più o meno, hanno un significato che rappresenta qualcosa per chi lo porta. Nei tatuaggi giapponesi purtroppo spesso l’effetto estetico finale colpisce più del suo vero significato. Il repertorio di immagini è abbastanza ristretto e l’iconografia si limita alla rappresentazione di elementi della natura, motivi religiosi, rappresentazione di eroi e figure del folklore popolare. La flora è comunemente ristretta alla rappresentazione di peonie, aceri e sakura. Uno degli animali più rappresentato è la carpa; Altro tema popolare è il drago, che rappresenta gli opposti dell’acqua e del fuoco e si pone come una sorta di conciliazione di opposti, lo yin e lo yang, la cui sola esistenza simboleggia un qualcosa di completo. La religione è una parte integrante dell’irezumi. Le raffigurazioni religiose includono preghiere in sanscrito, cinese o giapponese e appaiono sulla schiena. Bisogna considerare che non troveremo mai rappresentata una grande divinità come il Buddha, ma sempre kami dello Shintoismo, entità minori come boddhisattva o i due Niō (guardiani forti e spaventosi che allontanano le entità maligne). nel tatuaggio giapponese c’è un altro tema del folklore molto ricorrente: Kintarō, un eroe della tradizione che viene quasi sempre raffigurato insieme a una carpa. Entrambi simboleggiano

La tecnica pittorica sviluppata è cosi’ raffinata da lasciare ampio spazioper esprimere molta dell’emotivita’ umana in pochi tratti.


Perchè la carpa koi? Nell’immaginario del tatuaggio la carpa, specie associata all’acqua che scorre simboleggia coraggio, perseveranza , predisposizione a fare grandi cose, impegno nel superare gli ostacoli. In Giappone la carpa è un simbolo molto popolare e affascinante per le leggende che se narrano e per la capacita di questo pesce dagli sfavillanti colori di risalire agilmente le cor-

renti dei fiumi e di resistere anche dopo essere stata catturato. Una leggenda narra di una carpa che sarebbe riuscita a risalire il Fiume Giallo sfidando ostacoli e spiriti malvagi. Proprio da queste caratteristiche derivano i significati profondi attribuiti a questo simbolo così frequentemente tatuato sia in Giappone che nel resto del Mondo.


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una grande forza e Kintarō, molto forte benché piccolo di statura, è molto popolare tra i giapponesi, che vi si rispecchiano. La potenza raffigurativa di queste composizioni, racchiude in sè secoli di storia e di tradizioni,ed è arrivata ai giorni nostri grazie alla premura con cui le Scuole, conservatrici, sono riuscite a trasmettere questa conoscenza senza grandi sconvolgimenti. La tradizionale tecnica giapponese - Irezumi consiste nel fare entrare gli aghi nella pelle obliquamente, con minore violenza ma provocando anche in questo caso un discreto dolore. Il Maestro tatuatore utilizza vari tipi di hari, l’ago, che variano da punta a singolo ago a punta a trenta aghi. Sono fissati in un’impugnatura che può essere in legno, avorio o bambù e legati a questa con un sottile filo. Per le linee di contorno vengono usati due o tre aghi, per l’ombreggiatura invece viene utilizzata un’impugnatura più grande che monta fino a trenta hari. Tra i colori, il più importante è senza dubbio l’inchiostro nero India, detto sumi, impiegato per le linee di contorno. Altri colori largamente usati sono il rosso, l’indaco, il giallo e il verde; combinando questi colori si ottengono vari effetti di ombreggiatura. Molte delle tecniche utilizzate nell’arte del tatuaggio sono identiche a quelle che venivano impiegate dagli autori di stampe: un sistema di linee tracciate e ampie zone di colore. Una volta deciso il soggetto da tatuare, vengono prima tracciate con un pennello le linee del disegno sul corpo, poi si ripassano queste linee con gli aghi, dando vita così al tatuaggio. Quando inizia il suo lavoro, il Maestro appoggia la sua mano sinistra sulla parte del corpo da tatuare, tenendo un pennello e tirando la pelle. La mano destra invece impugna gli aghi legati all’apposito manico. Con questo procedimento gli aghi, prima di bucare la pelle, passano attraverso i peli del pen-

nello, bagnandosi di inchiostro. La pelle viene così punta con gli aghi intinti di colore a una velocità che può arrivare fino ai 120 colpi al minuto. Il metodo giapponese è uno dei più complicati e controllati del mondo: queste caratteristiche non sono dovute soltanto alle tecniche ma anche al complesso cerimoniale a cui sia il Maestro che il cliente devono attenersi: tutto inizia con una visita del cliente a casa del Maestro, che può accettare e rifiutare la richiesta. Infatti i rifiuti sono molto diffusi perché i Maestri non vogliono assolutamente creare opere che possano rendere la loro arte inferiore. Si dice anche che la pratica giapponese sia molto dolorosa: per tatuare alcune parti del corpo, come inguine, ascelle o pene, alcuni Maestri mischiavano della cocaina nel colore come anestetizzante. Purtroppo l’antica arte dell’irezumi si sta via via estinguendo, poiché i maestri che conoscono le antiche tecniche stanno scomparendo e i giovani preferiscono utilizzare macchinari moderni; ben presto i pochi maestri rimasti moriranno e l’arte dell’irezumi si estinguerà per sempre.

Margherita Solinas Margherita Solinas

Molte delle tecniche utilizzate nell’arte del tatuaggio sono identiche a quelle che venivano impiegate dagli autori di stampe: un sistema di linee tracciate e ampie zone di colore.


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Come ogni anno ritorna (11, 12, 13 febbraio 2011 a Milano) l’appuntamento con il tatuaggio più internazionale d’Italia. Ecco dunque la Milano Tattoo Convention, la piattaforma di riferimento per tutti gli amanti dell’arte del tatuaggio, per ammirare da vicino volti leggendari e nuove creazioni nell’arte del tatuaggio, in uno scenario di trasformazione continua Uno degli appuntamenti più importanti della tattoo-art europea: Milano si propone anche nel 2011 come un evento da non perdere. Un’unione di forze che si trasforma in una grande festa del tatuaggio, vero punto di incontro tra i migliori artisti del mondo che si danno appuntamento per dar vita ad una manifestazione di altissimo livello. Oltre duecento artisti, provenienti da tutto il mondo e in rappresentanza di ogni stile di tatuaggio s’incontrano a Milano per una grande festa della creatività su pelle, in un continuo interscambio di informazioni e energie creative che coinvolge in maniera contagiosa anche il sempre numeroso pubblico presente. Una cornice ideale per valorizzare le grandissime energie artistiche dei tatuatori presenti e per dare la giusta collocazione agli espositori. Un grande show che si rinnova ogni anno e che, anche per questa quattordicesima edizione, sa come dare il meglio ai visitatori e agli espositori. Tra gli eventi maggiori della tattoo-art europea, la XV Milano Tattoo

Milano tattoo convention 2011

Noi ci saremo, e tu? Convention occupa sicuramente un posto d’onore.

ogni anno conquista un pubblico sempre più variegato.

Per la sedicesima edizione torna Milano Tattoo Convention, evento speciale che ogni anno si pone come punto di riferimento per gli amanti dei tatuaggi; si tratta si una manifestazione di portata nazionale, alla quale partecipano grandi esperti di tattoo e artisti di questo settore.

Pili Mo’o, tatuatore di Tenerife specializzato nello stile samoano tradizionale, ha realizzato per la convention una serie di incisioni con disegni e motivi di Pe’a e di Malu (i Pea femminili). In mostra ci saranno anche le tavole di Flash From Italy, raccolte nel libro omonimo realizzato da Stizzo (Best of Times, Milano) dedicato ai flash disegnati dai più interessanti tatuatori del panorama italiano, e le fotografie in bianco e nero di Osok (One Shot One Kill), fotografo giramondo e autore di bellissimi reportage.

Milano Tattoo Convention 2011 sarà un grande evento dove tutti gli amanti della creatività sulla pelle potranno scoprire curiosità, nuove tecnologie e lavori di grandi artisti di questo mondo; per chi vuole scoprire di più sui tatuaggi e chi si dedica a quest’arte, la convention è senza dubbio l’occasione giusta. L’edizione 2011 della manifestazione prevede la partecipazione di ben 200 artisti, pronti a mostrare al pubblico le loro migliori creazioni. Non solo tatuaggi alla Milano Tattoo Convention 2011 (che durerà fino a domani): sono infatti numerosissimi gli appuntamenti legati al salone milanese del tatuaggio che

Non mancheranno le consuete performance di body painting live on stage, il concorso di Miss Pin Up e le esibizioni di Night Fight Project e Les Soeurs Tribales. La colonna sonora dell’intera kermesse sarà cura del Cathouse (inframmezzata dalle ‘incursioni’ di Andrea Rock di Virgin Radio). E dopo la Tattoo Convention che si fa? Non troppo lontano dalla convention, al Salon Parisien di via Sforza 81, si terrà una speciale serata del Royal Burlesque Revue. Sul palco, introdotte dalla conturbante Lady Flo, si esibiranno Eden Berlin (D), Lada Redstar (D), e Sherry Trifle (UK). Una imperdibile chicca di vero burlesque. Che dire...see ya there!


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Le scuole di yoga spuntano come funghi, e la loro serietà va messa alla prova; si sentono tante sciocchezze, spesso pronunciate da personaggi famosi, inconsapevoli dell’effetto che hanno sulla gente. Ma, nonostante ciò, bisogna sfatare l’immagine dello yoga come un’attività soft, meditativa, a basso impatt: il punto d’incontro tra Oriente e Occidente è il corpo, la sua perfezione e le sue potenzialità, e non tanto gli aspetti mistici, filosofici o esoterici. Queste le parole del Guru Maharishi Sathyananda, fondatore dell’Accademia di Yoga che porta il suo nome e che andremo a conoscere, passo dopo passo, in queste poche pagine. Egli si avvale del Suo Metodo per diffondere la conoscenza originaria dello Yoga attraverso le sue discipline fondamentali: il Kriya Yoga e lo Hatha Yoga nonché l’Ai-Jutsu, ‘La Via dell’Armonia’, l’arte marziale da Lui fondata e codificata. Il Metodo Maharishi Sathyananda è un metodo psicofisico che si avvale di una graduale e mirata preparazione atletica finalizzata all’acquisizione e al mantenimento di Asana nello Hatha Yoga e di Dachi nell’Ai-Jutsu; la sua specificità risiede nell’assoluta aderenza a criteri razionali e scientifici per quanto concerne il corpo umano nei suoi aspetti anatomici, biomeccanici, funzionali e patologici La peculiarità del metodo è il perfezionamento della preparazione fisico-atletica degli allievi che tiene costantemente in considerazione le capacità dei singoli individui. Ogni prova, ogni progresso, ogni successo viene integrato nel metodo, che risulta quindi in continua evoluzione, differenziato e specifico per ogni necessità e richiesta. L’obiettivo finale è arrivare a un migliore equilibrio con sè stessi e a una conoscenza dello Yoga nella sua completezza fisica e spirituale. Quando il respiro si calma e diventa più lento, il controllo sul corpo è così forte che l’essere rilassati è una conseguenza automatica. La

mente influisce sul benessere del corpo, come afferma la medicina psicosomatica; con lo Yoga, il benessere del corpo si riflette su quello della mente. Preliminare alle posture sono la concentrazione, la calma e la visualizzazione di sè nella postura finale. L’immagine mentale precede e rafforza l’azione. Solo così è possibile raggiungere quella condizione descritta nei testi classici dello Yoga che è “lo sforzo senza sforzo” ed entrare con la coscienza in Asana superando i presunti limiti. Una volta acquisiti questi principi basilari, si procede nella ricerca della postura perfetta, perchè solo con un’ Asana priva di difetti e mantenuta nel tempo senza sforzo, il corpo sviluppa quel senso di benessere che lo Yoga promette. La preparazione atletica, dinamica, è utile per sviluppare nella persona una maggiore consapevolezza delle ricchissime possibilità di movimento, favorendo la realizzazione di fini schemi motori. D’altra parte è insegnato e richiesto un controllo neuro-motorio assolutamente preciso per quanto riguarda il gesto in se stesso. La successiva propedeutica specifica coinvolge i diversi distretti muscolari in tutte le possibili angolazioni. Afferma il Guru Maharishi Sathyananda: “Quando il respiro si calma e diventa più lento, il controllo sul corpo è così forte che l’essere rilassati è una conseguenza automatica. Sappiamo che la mente influisce sul benessere del corpo, come afferma la medicina psicosomatica. Con lo Yoga, il processo è reversibile: il benessere del corpo si riflette su quello della mente.”

“Niente esoterismi, massima razionalità e, per quanto riguarda la mistica, attenersi al meraviglioso stupore che genera lo studio del corpo umano, della cellula, della creazione tutta e di tutte quelle leggi fisiche e chimiche la cui comprensione ci porta all’assimilazione del principio divino...”


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Kriya Yoga, Hatha Yoga e Ai-Jutsu sono discipline adatte a tutti, indipendentemente dall’età e dalle problematiche individuali. Nel Kriya Yoga il Pranayama - la dinamica del respiro - e nell’Ai-Jutsu il Kokyo-Undo, guidano e sostengono l’esecuzione di Asana o Dachi in uno stato di massima concentrazione. La concentrazione porta mente e corpo a rilassarsi completamente esprimendosi nell’armonia di Asana o Dachi - posture statiche nello Hatha Yoga e posizioni dei kata nell’Ai-Jutsu - vissuti in uno stato di totale manifestazione, privi di fatica e di sforzo. Anticamente il termine ‘Hatha yoga’ o ’Yoga violento, dello sforzo’, indicava tutte quelle pratiche, accessibili a pochi che, finalizzate al dominio e alla rigenerazione del corpo, rientravano nella disciplina Yoga tradizionale; si trattava di un insieme di posizioni e di purificazioni corporee, di tecniche di controllo del respiro e di stimolazione dell’energia latente. Il Metodo Maharishi Sathyananda fondandosi su attenti studi di anatomia, fisiologia e biomeccanica, rivede parte di quelle antiche pratiche e le ripropone in chiave moderna e scientifica, permettendo a chiunque di sperimentarne efficacia e benefici. La preparazione fisica alla base del Metodo è mirata e specifica mentre la propedeutica fissa l’attenzione sul respiro e la mente; le Asana dovranno essere mantenute nell’assoluta immobilità di tutto il corpo.

Hata , Kriya o Ai-Jutsu?

Dalla radice sanscrita “kri” - “fare, agire, compiere”: il termine indica l’atto o azione, riferendosi in modo generico all’aspetto pratico; tecnicamente la pratica è costituita dall’esecuzione controllata e simultanea di alcuni movimenti, abbinati al Pranayama - dinamica del respiro e alla ripetizione mentale di alcuni codici. Sebbene l’esplorazione scientifica occidentale sull’antica scienza del respiro - il Pranayama appunto - sia ancora agli esordi, sembra che quest’ultimo abbia un ampio potenziale per agire sui parametri respiratori, influenzando positivamente lo stato psicologico. Il Kriya Yoga Maharishi Sathyananda è un metodo psico-fisico basato sul Pranayama ed è di supporto a tutte le discipline; è altresì in grado di ridurre o addirittura eliminare i livelli emotivi che possono emergere in determinati contesti della vita.

Il Metodo fondato dal Guru Maharishi Sathyananda comprende anche l’arte marziale dell’AiJutsu - la Via dell’Armonia - praticata con kendogi e hakama (l’abito tradizionale dei samurai) e il boken (spada di legno in sostituzione della katana, la spada giapponese di metallo). L’Ai-Jutsu richiede attenzione, rigore, continuità e preparazione fisica; la sua pratica consiste nell’esecuzione dei kata: combattimenti simulati con il boken secondo tecniche rigidamente definite. Il praticante entra in contatto con la cultura, la spiritualità e la filosofia giapponesi studiandone la terminologia e il lessico e poter comprendere il significato profondo che sottintende all’Aijutsu. Il Guru Maharishi Sathyananda ha ideato e codificato 30 kata che non sono finalizzati alla difesa personale: il kata è un combattimento simulato contro il peggior nemico dell’essere umano: se stesso. Riecheggiano gli insegnamenti del grande Maestro, fondatore dell’Aikido, Morihei Ueshiba: “Durante un combattimento tagliate con la katana le contaminazioni presenti nell’essere umano, le peggiori nemiche che ci sono in voi e, quando eseguite ‘iraku’ – apertura, aprite nuove strade verso un progresso spirituale.” Praticare l’Ai-jutsu significa realizzare le proprie potenzialità, esaltare la volontà e la determinazione per riproporli nel quotidiano: un impegno che diventa estremamente gratificante per il benessere psico-fisico.


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Dall’incontro con gli insegnanti dell’Accademia Yoga Maharishi Sathyananda è nata un’indagine sullo Yoga, tutt’ora in corso, condotta dal Professor Arsenio Veicsteinas, specialista in Cardiologia dello Sport, Ordinario di Fisiologia Umana e Direttore dell’Istituto di Esercizio Fisico, Salute e Attività Sportiva dell’Università degli Studi di Milano e del Centro di Medicina dello Sport della Fondazione Don Gnocchi. Ed è nel laboratorio di Fisiologia dell’Università di Milano che la scienza ha guardato a Oriente e ha analizzato con gli strumenti più moderni chi pratica Yoga, con l’intento di verificare cosa succede nell’organismo di una persona sana che pratica questa disciplina. Sono stati così misurati la densità minerale ossea, la massa magra e la massa grassa, il massimo consumo di ossigeno e la forza degli insegnanti di Kriya Yoga Maharishi Sathyananda, definiti “flessibili come giunchi e leggeri come piume, ma resistenti come rocce”. Questa indagine è la prima ad affrontare lo Yoga dal punto di vista del benessere. Gli studi indiani, infatti, suscitano da sempre la diffidenza dei nostri scienziati, ma le ultime ricerche americane, pubblicate su riviste della medicina ufficiale, hanno dissolto i dubbi degli studiosi anche più scettici, confermando che lo yoga offre benefici alla terapia farmacologica dell’ipertensione e del dolore nei malati di linfoma. A prima vista non è molto chiaro in che modo una disciplina che consiste essenzialmente nell’assumere e mantenere particolari posizioni del corpo in totale immobilità, possa produrre gli stessi effetti di sport completamente diversi tra loro, aerobici come il ciclismo e anaerobici come il sollevamento pesi e il lancio del giavellotto, ma i risultati delle recenti ricerche confermano che il praticante di Hatha e Kriya Yoga si serve del meccanismo energetico aerobico che dà resistenza alla fatica a lungo termine sfruttando anche il meccanismo alattacido che dà forza esplosiva. I risultati riportati nella ricerca sono paragonabili a quelli ottenuti facendo con continuità altri tipi di attività fisica; con lo Yoga si impara a tenere sotto controllo il respiro e i muscoli e ad avere un rapporto diverso con il proprio corpo individuando in anticipo i segnali di stress che si manifestano a livello muscolo-tensivo. Le lezioni di yoga “occidentalizzato”, impartite dagli insegnanti della federazione, non costringono a cambiare il proprio stile di vita, ma insegnano ad avere un rapporto diverso col proprio corpo. Il praticante, consapevole di posture sbagliate, impara a correggersi istintivamente e automaticamente, conquistando un migliore equilibrio con se stesso. Come poi afferma il Guru Maharishi Sathiananda, non importa solo il risultato finale, ma anche come lo si raggiunge: è necessario avere un corpo allenato in modo corretto ed è proprio per questo che gli insegnanti dell’Accademia seguono anche corsi di anatomia, fisiologia e biologia.

Solo dopo molti test, simili a quelli già effettuati, si passerà alla fase finale dello studio: l’esame di un gruppo di donne di 40-50 anni, in zona menopausa, che non hanno mai fatto Yoga e un successivo controllo dopo un anno di pratica costante. Se i ricercatori troveranno conferma alle loro ipotesi, prevedono di utilizzare questa disciplina come metodo per favorire la densità minerale ossea e prevenire l’osteoporosi, nelle donne così come negli uomini. Del resto è accertato che l’esercizio fisico gioca un ruolo fondamentale nel benessere delle persone. Il nostro organismo tende sempre all’e-

quilibrio e lo Yoga, come qualunque allenamento corretto, provoca delle “perturbazioni” positive che nel tempo diventano stabili. Gli effetti dell’esercizio, dunque, continuano anche a riposo. Sappiamo che durante l’attività fisica le cellule consumano più ossigeno e producono più radicali liberi, ma nello stesso tempo si attiva anche un meccanismo di protezione che blocca la sovrapproduzione di radicali liberi. a lungo andare, questo effetto positivo permane anche a riposo. Chi fa Yoga, insomma, è in grado di allenare il corpo e la mente rimanendo immobile.

Esiste una grande differenza tra lo star bene e il non essere malati, star bene è una conquista, il risultato di uno stile di vita in cui sono essenziali gli aspetti psicologici, fisici, nutrizionali. Perchè non servirsi anche di pratiche tramandate nei secoli da diverse culture, purchè verificate scientificamente?

Margherita Solinas Margherita Solinas


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IDEAS

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TED invita ospiti illustri del mondo della comunicazione, della scienza e di altri ambiti di ricerca.

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La conferenza viene registrata e il video sottotitolato in diverse lingue, per essere fruibile a molti.

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Il video viene pubblicato sul sito ufficiale e attraverso un azione di sharing e passaparola viene condiviso da molti altri siti e portali


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Stefano Mancuso

Stephen W. Hawking

Al Gore

A founder of the study of plant neurobiology, which explores signaling and communication at all levels of biological organization.

His scientific investigations have shed light on the origins of the cosmos, the nature of time and the ultimate fate of universe.

Once the US Vice President, then star of An Inconvenient Truth, now Nobel Peace Prize winner.


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Didattica ed istruzione oggi:

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& CONTRO contatti personali facilitati

approfondimenti personalizzati

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disponibilitĂ ad ampio raggio

costi dei materiali (da rinnovare annualmente)

contatti ridotti

istruzione generica non personalizzata

costo iniziale dei materiali


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THE DAILY TRIP

pt.2

Sesto San Giovanni, sono le 17 circa , la stazione è affollata dai pendolari che da tutta Milano, dopo il viaggio in rossa raggiungono la stazione ferroviaria. Il cielo nella città inizia a scurisci, mentre il sole cala tingendo di rosa i palazzi che circondano lo scalo ferroviario. La banchina è affollata, osservo la persone affrettarsi per raggiungere il proprio treno per ritornare verso casa. Il cemento grigio è sporco: mozziconi, giornali, cocci di bottiglia segnalano che molta gente è passata. Le ombre si fanno sempre più lunghe fino all’accensione dei lampioni. Uno occhiata rapida al tabellone degli arrivi, sembra che il mio treno stia per raggiungere la

stazione con i soliti cinque minuti di ritardo che ormai lo caraterizzano. Si sente il fischio in lontananza e dopo pochissimi secondi lo stridio dei freni. Le porte autimatiche si aprono permettendo a chi affolla il marciapiede di entrare. Uno sguardo alla coda del treno: un graffito argendo riflette la luce dei lampioni, qualcuno la notte precedente si è divertito a variare la livrea di Trenitalia, rendendola più bella ad occhi di alcuni, inpedendo invece ad altri di guardare fuori dal finestrino durante il viaggio di ritorno. Cerco un volto amico all’interno del vagone anni ‘70, ma niente. Mi lancio sul primo sedile pulito, mi sento for-

tunato questa sera: quattro posti puliti, e liberi. Tolgo il portatile dallo zaino, già acceso, apro il lavoro che devo terminare ma arrivo solo alla stazione successiva e lo schermo è nero. Batteria scarica. Non mi resta che osservare al di fuori del finestrino, il solito paesaggio da circa tre anni. Ogni tanto cambia, appaiono nuovi edifici e cantieri, i campi rom si spostano di paese in paese ma sempre lungo la linea. Mi addormento. Il risveglio è brusco, sento il meccanismo automatico, le porte che si aprono. Anche per oggi il mio viaggio è finito.


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“Anche per oggi il mio viaggio è finito.”


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