Dall'altra parte dell'affumicatore

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Dall’altra parte dell’affumicatore

Quello che una visione soltanto scientifica o soltanto zootecnica

ci rende difficile capire delle api

Edizioni Montaonda Paolo Faccioli

Paolo Faccioli, 66 anni, da 30 apicoltore. Vive un po’ in Toscana e un po’ a Bolzano.

Paolo Faccioli

Dall’altra parte dell’affumicatore

Quello che una visione soltanto scientifica o soltanto zootecnica ci rende difficile

capire delle api Terra

Nuova

Direzione editoriale: Mimmo Tringale e Nicholas Bawtree

Curatrice editoriale: Enrica Capussotti

Autore: Paolo Faccioli

Prima edizione: 2016 Edizioni Montaonda

Foto di copertina: cortesia famiglia De Paoli

Impaginazione: Daniela Annetta

Copertina: Loris Reginato

©2023, Editrice Aam Terra Nuova, via Ponte di Mezzo 1 50127 Firenze tel 055 3215729 - fax 055 3215793

libri@terranuova.it - www.terranuovalibri.it

I edizione: settembre 2023

Ristampa IV III II I 2028 2027 2026 2025 2024 2023

Collana: Apicoltura naturale

Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero dati o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, inclusi fotocopie, registrazione o altro, senza il permesso dell’editore. Le informazioni contenute in questo libro hanno solo scopo informativo, pertanto l’editore non è responsabile dell’uso improprio e di eventuali danni morali o materiali che possano derivare dal loro utilizzo.

Stampa: Lineagrafica, Città di Castello (Pg)

Indice Presentazione 7 Dall’altra parte dell’affumicatore 11 Il rapporto tra uomo e ape : un po’ di tutoraggio per i non addetti ai lavori (apistici) 13 Dall’altra parte dell’affumicatore 21 Donne e api 39 La sofferenza delle api (ma di che cosa parliamo quando parliamo di api?) 43 Una testimonianza del fuco Marco 53 Condividere fragilità e mortalità 55 Un impervio terreno su cui camminare 83 Api da circo 91 Le api spettacolarizzate 95 Un insetto “politically correct” 103 Esiste davvero un metodo “rispettoso delle api”? 109 Api senza zootecnia 119 Proposta di un hobby 121 Vivere più profondamente il concetto di “esseri senzienti” 125 FINALE - Figli della stessa stella: noi, le api, i topi e una farfalla 129 Bibliografia minima 133 Glossario 135

Presentazione

Un libriccino per tutti e per nessuno

I libri piccoli, lo aveva insegnato Callimaco in tempi alessandrini, hanno talvolta la fortuna di valere più dei grandi tomi. Spesso vengono detti “agili”, ma a volte risultano poi più impervi di un sesto grado dolomitico - costringono cioè ad affrontare passaggi estremi, ad altezze vertiginose, confrontandosi a ogni istante con i propri limiti. Quello che avete in mano è uno di questi: in poche pagine ci fa fare il giro del mondo, delle ere biologiche, della storia delle culture dell’uomo - per poi riportarci dove eravamo, a scoprire che (ed è questo il prezzo piuttosto salato del biglietto da pagare per la scampagnata) “nulla più è come prima”.

Meglio chiarirlo subito: proprio perché parla solo di api il libro parla di molto di più. Da sempre infatti l’insetto dorato è catalizzatore di discorsi universali, e costante, fin dalla notte dei tempi, è il parallelo dell’animale altro con la biologia umana (valga solo ricordare Kafka). Da qualche decennio tuttavia questo termine non deve più essere riferito solo a una biologia rivolta all’uomo, ma anche a un’attitudine d’osservazione superiore, filosofica, che consideri gli altri animali alla stessa stregua ovvero, come ormai ovunque si riconosce, come esseri senzienti e di pari dignità. Una rivoluzione prospettica dalle enormi potenzialità, se soltanto pensiamo alle scoperte più recenti della neurologia su sensibilità, intelligenza, emotività.

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Tutti o quasi apprezziamo il miele, i medici lo stimano uno dei pochi alimenti perfetti. Moltissimo si sente poi oggi parlare di api e ambiente, e sono davvero tanti, in questi ultimi anni, quelli di noi - tra cui chi scrive - che si sono accostati all’apicoltura, con curiosità e aspettative a volte messianiche. Pochi sono invece - e l’autore è tra questi altri - ad averne un’autorità e un’esperienza a tutto campo, maturata in decenni di lunga stagionatura, di appassionata esperienza apistica, di letture, discussioni, esperienze e sperimentazioni, confronti, convegni e viaggi internazionali. In breve: tutti gli apicoltori italiani sanno (o dovrebbero sapere) chi è Paolo Faccioli.

È uno dei pochi autorizzati a spingersi più in là, in una terra incognita in cui l’apicoltore spesso non osa avventurarsi, pur avendone senso e presentimento: propone una personale riflessione, un bilancio, sul rapporto tra uomo e ape. Qui il minuscolo insettino (che è pur sempre l’animale dopo se medesimo studiato più a fondo dall’uomo), viene riconsiderato alla luce delle situazioni ambientali ed etiche più aggiornate - senza mai trascendere però la nostra tradizione culturale e colturale occidentale: anzi, confrontandosi con essa dall’interno, e in modo viscerale. Ecco perché, in poche pagine, troviamo dispiegata una spettacolare ed esemplare carrellata sulla storia del mondo e dell’industria dell’apicoltura, e messi a nudo i punti fondamentali di questo rapporto dell’uomo-apicoltore (o sfruttatore che dir si voglia) con l’animale (quello che è fuori ma anche quello che è dentro di noi), offrendo gustosi assaggi (mi

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piace vedere Paolo come un’ape bottinatrice, che offre a noi, compagne chiuse nell’alveare - sorta di caverna platonica - i campioni del nettare trovato nel campo fiorito dal sole), vero florilegio di riflessioni sorte nel confronto con quei pensatori che articolano uno dei dibattiti più vivi ed essenziali della filosofia contemporanea, quello che va sotto l’etichetta assai riduttiva di animalismo (i nettari che ci fa assaggiare provengono da Bentham e Bekoff, da Debord e Berger, e da altri ancora).

Alcuni di questi argomenti vengono spesso sbrigativamente etichettati come estremismo ecologista, misticismo, e lasciati (si potrebbe dire abbandonati) al dibattito interno dell’animalismo, sulla consapevolezza animale, all’antispecismo (quest’ultimo, per chi ancora non lo conoscesse, dichiara in sostanza che l’uomo deve finalmente smettere di credersi e agire da privilegiato padrone, e riconoscere i propri crimini, passati e presenti, verso la Natura intesa per quel che realmente è, un unico complesso biologico finemente intrecciato). Ecco perché leggendo queste pagine viene da fermarsi e interrogarsi, a ogni passo. La compassione dell’autore, duramente conquistata con una vita spesa alla ricerca dell’autenticità, va di pari passo con la sua maestria nel padroneggiare la materia (basti leggere l’inizio del secondo capitolo) e la sincera (e coraggiosa) volontà di renderci partecipi dei suoi dubbi più minuti, in tutta la loro complessità, a scapito forse della lineare chiarezza (che ruota attorno all’eterna, irrisolta domanda: “come bisogna comportarsi con le api?”).

Presentazione 9

Alcune parti (e fotografie) risulteranno particolarmente crude (un sesto grado anche questo). Ma non più di quelle che abbiamo imparato a frequentare sui misfatti dell’uomo sull’uomo (i riferimenti ognuno li potrà trovare da sé), e quindi, pur avvisando che il libro richiede una certa forza d’animo, ben vengano questi dettagli, serviranno a risvegliare sensibilità eventualmente ancora sopite.

L’augurio è che terminata la lettura il lettore provi lo stimolo ad approfondire una delle questioni più vive e scottanti tra quelle che, pur vicinissime e quotidiane, ci restano occulte e occultate, il nostro ruolo nella (e fuori della) Natura, consapevoli di essere l’unica specie animale che è riuscita a portare le sue attività a un livello tecnico industriale (per citare di striscio i filosofi Heidegger e Severino) di distruzione globale.

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Dall’altra parte dell’affumicatore

Paolo Faccioli - Dall’altra parte dell’affumicatore

La più antica rappresentazione di un “apicoltore” (in realtà un cacciatore di miele), graffito rupestre di 9000 anni fa scoperto a Valencia.

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Il rapporto tra uomo e ape: un po’ di tutoraggio per i non addetti ai lavori (apistici)

I più naturali interlocutori di queste riflessioni non possono che essere apicoltori. In realtà ho immaginato di rivolgermi anche a chi abbia interesse al rapporto dell’uomo col mondo animale, o al proprio rapporto personale col mondo animale. Oppure a un’ecologia che possa includere il mondo animale anziché subordinarlo o marginalizzarlo.

Tra queste riflessioni ci sono molti riferimenti tecnici che solo gli apicoltori possono capire. Qui di seguito presento alcune informazioni che, insieme al glossario a fine libro, possono consentire a chi non è apicoltore una migliore comprensione del testo quando questo si sofferma su aspetti tecnici. Credo comunque che si possa anche procedere dandosi il permesso di non capirli, seguendo il filo conduttore della riflessione: gli aspetti più tecnici suoneranno come una sequenza di parole ed espressioni senza significato ai margini di essa, anche se in qualche modo evocative.

Fin da 150-100 milioni di anni or sono è documentata la presenza di piante che producono nettare e polline. Le prime api compaiono dai 50 ai 25 milioni di anni or sono, insieme ai primi esemplari di primati. Le api sociali, cioè le api vere e proprie, che funzionano come organismo collettivo, avrebbero un’età che va dai 20 ai 10 milioni di anni. Le api sono dunque abitanti di questo pianeta assai più antiche dell’uomo, che vi compare “solo” un milione di anni or sono.

Le prime tracce che testimoniano un rapporto tra uomo e ape sono databili a circa 9 mila anni fa, come una pit-

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tura rupestre scoperta nei pressi di Valencia, in Spagna: sembra mostrare un uomo che si arrampica sulla cima di un albero, o di una rupe (inserto a colori, fig. 1). È circondato da api in volo, e dotato di una borsa o una cesta per riporre i favi sottratti alle api, con una nuvoletta di fumo per ammansirle. Questa tecnologia primordiale è la stessa usata ancora oggi dai “cacciatori di miele” in India (fig. 2).

La più antica testimonianza d’allevamento vero e proprio delle api risale a una pittura egiziana del 2400 a. C. (qui sotto), in cui si nota a destra l’operazione di prelievo dei favi dagli alveari con l’uso del fumo (si tratta di alveari orizzontali, una tradizione radicata nel Mediterraneo). A sinistra, l’operazione di sigillare delle giare. L’immagine appartiene a una serie rinvenuta nel Tempio del Sole, vicino al Cairo.

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Il rapporto tra uomo e ape: un po’ di tutoraggio

Tra il III e il II secolo a. C. si manifestò un vivo interesse per l’apicoltura, a cui dedicano attenzione i trattati di agricoltura dell’epoca. Aristotele, nel suo De Generatione Animalium, tenta la prima descrizione anatomica delle api e avanza un’ipotesi sulla formazione del miele: «il miele è una sostanza che cade dall’aria, specialmente al sorgere delle stelle e quando si incurva l’arcobaleno», «l’ape lo porta da tutti i fiori che sbocciano in un calice (…) essa bottina i succhi di questi fiori con l’organo simile alla lingua».

A questi trattati attingeranno (spesso pedissequamente) le successive opere in latino, a carattere letterario o pratico che, soprattutto nel I secolo d. C., parleranno delle api:

Virgilio nelle Georgiche, Plinio nella Naturalis Historia, Columella nel De Re Rustica. In realtà per molti secoli a venire la conoscenza delle api rimarrà bloccata a questo primitivo e spesso mitologico livello.

Nell’ambito del Mediterraneo si andò diffondendo un’apicoltura basata sull’uso di arnie orizzontali (di materie vegetali o di coccio, fig. 3), mentre nel Nord Europa e in Russia si sviluppò un’“apicoltura forestale” in diretta continuità con l’attività del “cacciatore di miele”: gli sciami, alloggiati in alberi d’alto fusto, venivano identificati e, praticando delle aperture per poter estrarre più comodamente il miele, venivano periodicamente ripuliti del miele, con l’aiuto di scale di corda. Ancora oggi questa tecnica primordiale è praticata in regioni della Russia come il Bashkortostan (figg. 5-7).

Il passo successivo fu quello di segare gli alberi per recuperare gli sciami, o di utilizzare tronchi cavi per sfruttare le

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colonie d’api, con la possibilità di radunarle in postazioni apposite. Arnie in paglia di segale o altro materiale vegetale furono un possibile sviluppo dell’arnia a tronco, col vantaggio di una maggiore trasportabilità. La colonizzazione romana non comportò l’introduzione dell’arnia orizzontale di tipo mediterraneo.

La tecnologia della produzione rimarrà sempre uguale a se stessa fino a metà dell’Ottocento, fino cioè a una “millimetrica” scoperta che rivoluziona l’intera apicoltura: è la scoperta dello “spazio-ape”, lo spazio fisso di 9 mm che le api lasciano per distanziare le loro costruzioni (e permettere il passaggio di due api simultaneamente), che portò all’invenzione dell’arnia moderna a favi mobili (qui sotto uno dei primi modelli), dove era possibile non solo studiare la vita delle api come dalle pagine di un libro aperto (mentre nell’arnia rustica favi e contenitore erano saldati in un tutto unico), ma anche ottimizzare la raccolta del miele senza ricorrere all’uccisione degli insetti e senza intervenire sullo sviluppo delle famiglie d’api. Il complemento del te-

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Il rapporto tra uomo e ape: un po’ di tutoraggio

laio mobile (fig. 8) fu lo smielatore, inventato nel 1856 dal maggiore Von Hruschka, dove si potevano inserire i telaini per estrarne il miele tramite centrifugazione (fig. 9).

Dopo un lungo sonno l’apicoltura, che con lo sviluppo scientifico del ’600 e ’700 aveva rinnovato una conoscenza dell’alveare rimasta per secoli bloccata alla visione di Aristotele, cominciò a rifiorire. L’attivismo dell’avvocato Luigi Savani (autore di Modo pratico per conservare le api. Per estrarre il miele senza ucciderle, pubblicato nel 1811), come quello di altri suoi contemporanei, era volto a sradicare l’uso dell’apicoltura villica in favore di un’apicoltura semirazionale (quella propriamente razionale inizierà, come abbiamo visto, alla metà del secolo), che rinunciasse alla pratica dell’apicidio e producesse un miele di maggiore qualità, tramite il prelevamento selettivo dall’alveare di favi contenti solo miele.

Alla scoperta dello spazio-ape e all’invenzione dello smielatore seguì, a fine secolo, un’altra invenzione che andava nella direzione di produrre un miele sempre più pulito e libero da sostanze e sapori estranei: nel 1875 l’abate Collin perfezionò l’escludiregina, una griglia che, permettendo il passaggio delle api ma non della più voluminosa regina, permetteva di produrre miele in una sezione dell’alveare, evitando che nei favi riservati allo stoccaggio del miele da parte delle api fosse presente anche covata (fig. 10).

Le api ci sono molto più vicine, nella nostra vita quotidiana, di quanto possiamo credere. È esperienza comune, in una giornata di primavera o d’estate, accorgersi tutt’a un tratto del forte ronzio che emana da una siepe, da un ciliegio

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fiorito, da un prato. Può accaderci mentre passeggiamo in campagna, ma anche in un giardino di città, nell’angolo di un cimitero, vicino al manto di edera che avvolge un vecchio muro. Alla bellezza e al profumo dei fiori si aggiunge un suono vibrante, come un canto o un richiamo che riempie l’aria. E se osserviamo quei fiori, possiamo vedere che il suono è emesso da migliaia di api che si spostano volando da un fiore all’altro, tuffano le teste nella corolla, le ritraggono, volano ancora.

Qual è il posto dove tornano queste api, dopo aver succhiato il nettare zuccherino dei fiori? La posizione del sole nel cielo permette loro di utilizzare un raffinato senso di orientamento e di ritornare esattamente dove erano partite, alla loro casetta. E cosa c’è dentro la casetta? Perché le api non vivono così, alla rinfusa, ma sono organizzate attorno a strutture che loro stesse hanno costruito: i favi, paralleli uno all’altro e fatti di tanti esagoni perfettamente uguali, che hanno preso forma dalla cera, una sostanza prodotta dal loro corpo.

Parlare di “api” in effetti è un po’ vago. Ogni alveare, o colonia, o famiglia di api è composto anzitutto dalle api che troviamo in attività nei fiori, chiamate “operaie”, di sesso femminile ma incapaci di riprodursi. Per questo ogni famiglia ha anche una sua “regina”, un’ape anch’essa di sesso femminile ma di forma diversa, allungata, l’unica che ha la capacità di deporre uova e riprodurre la famiglia. E ovviamente, per fare questo, ha bisogno di maschi con cui accoppiarsi: i “fuchi”, che sono api di dimensioni più grandi, la cui funzione principale è apparentemente solo l’accoppiamento.

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Il rapporto tra uomo e ape: un po’ di tutoraggio

Le api operaie invece ricoprono una vasta serie di funzioni, che cambiano a seconda dell’età (la loro vita ha una durata di circa quarantacinque giorni d’estate, di qualche mese in inverno). Ogni cambiamento coincide con un cambiamento della loro fisiologia (principalmente ghiandole che si sviluppano e poi si atrofizzano): il loro primo lavoro è fare le pulizie e dare nutrimento alle larve che daranno origine a nuove api (sviluppo delle ghiandole ipofaringee e mandibolari). In seguito impareranno a organizzare un sistema di ventilazione dell’alveare nei giorni di calura, a produrre la cera e a modellarla nei favi (sviluppo delle ghiandole ceripare), a fare la guardia all’ingresso dell’alveare (sviluppo delle ghiandole del veleno), a dare l’allarme e ad agire in caso di pericolo, ad allontanare dall’alveare i cadaveri delle compagne morte, fino al momento in cui voleranno all’esterno, alla ricerca delle sostanze che servono alla vita dell’alveare, principalmente il nettare dei fiori o il polline (i glucidi o le proteine della loro nutrizione). Attraverso un sistema di “danze” che è un vero e proprio linguaggio le api che per prime hanno avvistato un “pascolo” da sfruttare danno alle altre api l’indicazione precisa di dove volare. Già solo questi aspetti, pochi rispetto all’intera vita di un alveare, danno l’idea di un mondo estremamente complesso, affascinante, che manifesta un’intelligenza cooperativa. Un mondo che ad alcune persone si è rivelato il giorno in cui hanno visto un apicoltore, il loro stesso padre o un amico di famiglia, sollevare il coperchio ed il tetto di un’arnia ed esporne la meraviglia e il mistero.

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Un mondo migliore è già qui.

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Mai come in questi ultimi anni le api sono assunte a simbolo della crisi ecologica e dell’interdipendenza che caratterizza la vita sul nostro Pianeta. La minuscola ape è diventata così l’emblema del fragile equilibrio, oggi sempre più precario, tra l’ecosistema e le attività di noi umani.

Forte della sua esperienza ultratrentennale di apicoltore e insieme di ricercatore e sperimentatore, l’autore propone in queste pagine una sua personale riflessione, che è anche il bilancio del proprio percorso professionale e umano, sul rapporto uomo-ape.

Ribaltando il punto di vista consueto con cui ci si approccia alla vita dell’alveare, Paolo Faccioli ci invita, così come suggerisce il titolo, a guardare il mondo mettendosi dall’altra parte dell’affumicatore, dunque dalla parte delle api, al fine di maturare un modo più rispettoso e consapevole non solo di fare apicoltura, ma anche di considerare il mondo animale nel suo complesso.

Paolo Faccioli, nato a Bolzano nel 1949, vive tra Bolzano e la Toscana.

È autore di diversi libri e innumerevoli articoli ed è stato per lunghi anni dedito all’apicoltura.

ISBN 9788866818380

• carta ecologica

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