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Vi sia lieve la terra

Vi sia lieve la terra Jean Jacques Bolanz

Jean Jacques entrò nella mia vita nel lontano 1986 per un incontro del tutto casuale dal momento che mi ero offerto come sherpa per trasportare la sua attrezzatura e quella di Patrick Deriaz nei sifoni della grotta di Fiumelatte. Jean Jacques mi apparve subito come un personaggio carismatico e naturalmente, come subacqueo, venni inizialmente e soprattutto incuriosito dalle sue tecniche di immersione. In quegli anni non parlavo nessuna lingua straniera e mi servivo di Beatrice per comunicare con lui. Di acqua dalle sorgenti ne è sgorgata molta da quei primi incontri, e molte nozioni, non solo di subacquea ma anche di francese, sono entrate nella mia testa, così da scambiare opinioni a proposito di vari argomenti fra cui, non ultimo, del suo lavoro.

Jean Jacques era fortemente impegnato nel sociale in Africa ed in questi ultimi anni, sebbene fosse in pensione, aveva continuato la collaborazione per i suoi principali progetti in Etiopia. Jean Jacques mi parlava dell’Africa come solo chi vi ha vissuto per molti anni può fare e del rapporto con il suo collaboratore sul posto ed alter ego, Bekele Mosisa. Conosco molti aspetti di questa persona e, dopo aver avuto occasione di scambiare qualche battuta con lui al telefono, so che anche lui conosce molto di me: Jean Jacques infatti adorava rendere partecipi delle sue passioni i suoi più stretti compagni e condividerne tutti gli aspetti. In questi anni, mentre i suoi nipotini crescevano, sono stato accolto a casa sua prima come aspirante speleosub, poi come vero amico e poi come qualcosa di più, quasi un figlio nella continuazione spirituale della speleologia subacquea. In un’intervista per un documentario sulla sorgente Covol dei Siori, Jean Jacques dice testualmente: “devo confessare che sono davvero riconoscente alla vita di aver incontrato un amico così. Quello che fa Luigi è come

se lo facessi io…..” La sua enorme attività esplorativa è durata quasi trent’anni, e si è sviluppata verso tutte le variabili dell’esplorazione, dalle sorgenti profonde a quelle con importanti sviluppi orizzontali, dai sifoni sul fondo delle grotte alle immersioni in grotte con multisifoni, dagli inghiottitoi alle grotte termali: circa 2000 immersioni effettuate quasi sempre in esplorazione o in alternativa, dedicate alla topografia. L’impegno nelle esplorazioni era lo stesso impiegato nelle “meno” stimolanti immersioni a scopo topografico, dimostrando una professionalità nella passione come solo i grandi possono fare. Jean Jacques grande esploratore, da oltre venticinque anni ai massimi livelli nel panorama internazionale, ha compiuto esplorazioni che hanno ancora dell’incredibile: sopravvissuto al periodo in cui si forzavano tempi di permanenza e profondità utilizzando come miscele respiratorie solo l’aria; pioniere nell’uso delle miscele ternarie ad uso sportivo, effettuò la prima immersione in miscela in grotta in Italia nel 1987 alla sorgente del Gorgazzo, raggiungendo la profondità incredibile di –108m; era capace di evolversi continuamente anche dal punto di vista tecnolo

gico investendo in maialini, campane, camera di decompressione portatile ecc. Mi ha sempre stupito vedere che a più di sessant’anni Jean Jacques acquistava mute nuove, maialini, attrezzature per grosse immersioni, con la passione e la frenesia di un giovane che ha tutta una vita di fronte a sé. Quando mi chiedeva di procurargli qualche attrezzatura ed io ero in ritardo, anche se riuscivo a giustificarmi, mi riempiva la casella di posta con e-mail simpaticamente minatorie. Spesso quando ci incontravamo, risolvevamo le nostre controversie a tavola di fronte a piatti e bottiglie di vino particolarmente buoni, perché Jean Jacques era un godereccio buongustaio. In ogni località ed in ogni itinerario percorso avevamo le nostre soste forzate nei capisaldi della buona cucina. Nel 2003, a 63 anni, Jean Jacques inizia ad usare un circuito semichiuso e dopo circa 200 ore di utilizzo, attratto dalle performance del circuito chiuso, decide di acquistarne uno: nel 2004 il grande salto. L’uso di questi apparecchi a riciclo, più leggeri da gestire del classico circuito aperto, fa vivere una seconda giovinezza a Jean Jacques, che ben presto ricopre un ruolo importante tra i pochi utilizzatori di questo tipo di apparecchi in immersioni difficili. Negli ultimi dieci anni, lui ed io abbiamo vissuto in perfetta simbiosi, pensando in maniera simile nei confronti della vita, della politica, della libertà, o più semplicemente

acquistando gli stessi prodotti, le stesse attrezzature, passando molto del nostro tempo insieme, condividendo successi, programmando nuove esplorazioni, ricercando contatti in nuovi paesi. Da ultimo, una volta cambiato il vecchio furgone, Jean Jacques si era anche comprato una tenda da mettere sul tetto dell’auto simile alla mia, trovandola così confortevole che, quando passava da me, non dormiva nemmeno più nella sua cameretta ma nella sua alcova soprelevata. Caro Jean Jacques, ci siamo trovati a Corinto domenica 28 ottobre e ti ho portato delle batterie di ricambio per le tue luci, dei nuovi faretti perché avevi dei problemi con quelli fino ad ora usati; abbiamo scambiato quattro chiacchiere veloci perché il mio traghetto per Creta non aspetta; abbiamo guardato insieme la decompressione per la tua immersione perchè non ti bastavano i –140m di qualche giorno prima. Desideravi che la tua immersione più profonda fosse a Lili, la grotta che per oltre dieci anni ti ha chiamato, la grotta che per avverse condizioni atmosferiche non avevi potuto esplorare prima, ma anche la grotta che non volevo tornare ad esplorare dopo che, anni fa, in condizioni idriche particolari, quasi ci aspirava in quel nero che tanto ci attrae. All’uscita del bar mentre frettolosi siamo tornati alle nostre auto, ti ho detto “fai attenzione! sarai molto profondo”. Le stesse parole che ad ogni immersione tu mi ripetevi. Per strada ti è caduto dalla tasca il curapipe e, come spesso succedeva, l’ho raccolto e te l’ho porto sorridendo. Una volta in auto, mi sono accorto che ci eravamo dimenticati di spostare l’ora, che non era poi così tardi e che potevamo usare un’ora in più. Ma ormai ci eravamo avviati e questa rimane una delle rare volte che non siamo andati insieme sui bordi di una sorgente. Ci siamo salutati

con una battuta, con i nostri sguardi complici che si incrociano affettuosamente, con un sorriso che non sapevo fosse l’ultimo. Lunedì 29, ho ricevuto la telefonata di Vassili alle 18.00 che mi diceva che tu eri in ritardo all’uscita: prima ancora che scendessero in acqua a controllare, avevo capito che non ci saremmo più visti. Il traghetto per tornare immediatamente nel Peloponneso ormai era partito ed ho dovuto aspettare 24 ore per rientrare, per venirti a prendere. Fortunatamente gli amici greci hanno avuto quell’umanità che è mancata quando Massimiliano ci ha lasciato. Ti ho trovato il 31 ottobre, a –93m, risalito dai –152m, mentre dormivi. Ho pianto in acqua nel vederti così abbandonato nella profondità di un sonno senza risveglio. Ho capito che anche tu te ne sei andato probabilmente tradito dalla subdola CO 2 , un qualcosa che allo stato attuale possiamo tentare di prevenire ma che, quando ci prende, non siamo in grado di sconfiggere. Sono solo, non ci sei più, non mi consiglierai più, non mi dirai più “fai attenzione”, non scambieremo più sguardi intensi, ma so che tu non hai subìto la vita, non l’hai vissuta in superficie, ma l’hai vissuta intensamente dando un senso alla tua ed alla mia. Ti vedrò nel buio delle grotte, nelle gallerie che, con la passione che mi hai trasmesso, percorrerò. Sarai sempre con me, amico mio.

Luigi Casati