Speleologia n. 48 - Giugno 2003

Page 1

spediz. in abb. post. art. 2 comma 20/c Legge 662/96 aut. D.C.I. - Regione E/R

SPELEOLOGIA RIVISTA DELLA SOCIETÀ SPELEOLOGICA ITALIANA

ANNO XXIV GIUGNO 2003

48


SSI

INDICAZIONI

SOCIETÀ SPELEOLOGICA ITALIANA DIREZIONE Presidenza Mauro Chiesi • Via Luca da Reggio, 1 42010 Borzano d’Albinea (RE); tel. e fax 0522 591758; maurochiesi3@virgilio.it

Vicepresidenza

UFFICI Amministrazione Assicurazioni Enrico Fratnik C.P. 807 - 34100 Trieste (TS) tel 335 5434002 fax 040 3728640 assicurazioni@ssi.speleo.it

Angelo Naseddu • Via Roma, 8a 09015 Domusnovas (CA); tel. e fax 0781 70669; angedu@tiscalinet.it

Centro Italiano di Documentazione Speleologica “F. Anelli” - CIDS

Segreteria

Via Zamboni, 67 - 40126 Bologna; tel. e fax 051.250049; ssibib@geomin.unibo.it

Mila Bottegal • C.P. 807 - 34100 Trieste (TS) tel 335 5433673 • fax 040 3728640 segreteria@ssi.speleo.it

Tesoreria Carla Galeazzi • Villa Marignoli via Po 2 - 00198 Roma tel. 06 76901095 tesoreria@ssi.speleo.it

GRUPPI DI LAVORO Scientifico Paolo Forti • c/o Dip. Sc. della Terra Università di Bologna, Via Zamboni, 67 40126 Bologna; tel. 051 2094547, fax 051 2094522, forti@geomin.unibo.it

COMMISSIONI Scuole di Speleologia Rinaldo Massucco • Via alla Rocca, 21/9 17100 Savona; tel. 010 6546390 (uff.), 019 853752 (ab.), fax 019 811960; aderin.massucco@tin.it

Catasto Paolo Mietto • Via Generale Giardino, 23 - 36100 Vicenza; tel. 0444 965465 (ab.), 049 8272079 (uff.); mietto@geol.unipd.it

Editoria e Comunicazione Didattica Franco Utili • CP 101 - 50039 Vicchio (FI); tel. e fax 055 8448155

c/o C.I.D.S. Via Zamboni, 67 40127 Bologna; tel. e fax 051 250049; ssibib@geomin.unibo.it

Materiali e Tecnica

Speleo Subacquea

Giovanni Badino • Via Cignaroli, 8 10152 Torino; tel. 011 4361266, fax 011 6707493; badino@to.infn.it

Alessio Fileccia • Via G. da Coderta, 15 31100 Treviso; tel. 0422 411520; geofile@libero.it

Salvaguardia Aree Carsiche

Speleologia in Cavità Artificiali

Mauro Chiesi • Via Luca da Reggio, 1 42010 Borzano d’Albinea (RE); tel. e fax 0522 591758; maurochiesi3@virgilio.it

Maria Luisa Perissinotto Presidente Commissione Nazionale Cavità Artificiali geomaui@tin.it

PER GLI AUTORI ell’intento di agevolare gli autori nella redazione dei manoscritti e di ridurre le difficoltà ed i tempi di stampa, si forniscono alcuni orientamenti da seguire nella preparazione dei testi.

N

I TESTI I testi devono essere forniti alla Redazione sia su supporto cartaceo che su supporto magnetico, in formato Word per Mac o per Windows. Eventuali correzioni apportate manualmente al testo stampato devono essere leggibili e trovare corrispondenza con quanto contenuto nel file. I file di testo non devono contenere la numerazione delle pagine e non devono presentare formattazioni (rientri, tabulazioni, ecc.). Le note a piè di pagina devono essere eliminate. Oltre al titolo dovranno essere indicati i nomi degli autori. Ogni articolo deve essere introdotto da un breve riassunto (possibilmente con la sua traduzione in inglese) e dalle parole chiave. I file non devono contenere immagini né grafici, che andranno consegnati a parte. Eventuali formule ed equazioni devono essere presentate in forma chiara e leggibile ed eventualmente contrassegnate da una numerazione progressiva posta tra parentesi tonde. Eventuali note bibliografiche vanno riportate alla fine dell’articolo. In allegato al manoscritto gli autori devono sempre indicare un loro recapito telefonico e di e-mail per consentire un sollecito contatto da parte della redazione. Ogni articolo deve necessariamente essere corredato da una cartina di inquadramento della zona.

LE FIGURE Figure, carte, profili ed immagini devono essere numerati progressivamente. Per le immagini il numero dovrà essere indicato sull’originale in modo da caratterizzarne anche il verso di lettura. Per una migliore riproduzione si prega di inviare sempre diapositive in originale (o duplicati di ottima qualità) e non fotografie, indicando sempre l’autore ed accompagnandole con una didascalia sufficientemente estesa per la spiegazione dei contenuti dell’immagine. I rilievi che accompagnano gli articoli dovranno essere redatti in modo che le parole contenute risultino leggibili in una riduzione in formato A3 (questo anche se i rilievi vengono consegnati su floppy o cd). Eventuali campiture realizzate con retini dovranno avere una densità tale da risultare leggibili anche dopo una eventuale riduzione.

Per qualsiasi dubbio contattate: redazione.speleologia@ssi.speleo.it


Editoriale

editoriale

SPELEOLOGIA Rivista della Società Speleologica Italiana Sede Legale: Via Zamboni, 67 40126 Bologna

SSI 1903-2003

semestrale N° 48, giugno 2003 Anno XXIV Autorizzazione del Tribunale di Bologna n° 7115 del 23 aprile 2001 Codice Fiscale 80115570154 P.I.V.A. 02362100378 Anagrafe nazionale ricerca L18909 LL ISSN 0394-9761

Sede della redazione Via Zamboni, 67 40126 Bologna telefono e fax 051.250049 e-mail: redazione.speleologia@ssi.speleo.it

Direttore Responsabile: Alessandro Bassi

Redazione: Francesco De Grande, Massimo Goldoni, Marinella Gondoni, Massimo Pozzo, Michele Sivelli, Alessandro Zanna

Progetto grafico: Maddalena Zenobi

Stampa e impaginazione: LITOSEI s.r.l. Officine Grafiche Via Rossini, 10 40067 Rastignano (BO) telefono 051.744539 www.litosei.com

Associata alla Federazione Pro Natura Segreteria c/o ISEA Via Marchesana, 12 40124 Bologna Associato allʼUnione Stampa Periodica Italiana

La rivista viene inviata a tutti i soci SSI in regola con il versamento delle quote sociali Quote anno 2004: aderenti € 15,00 ordinari € 34,00 sostenitori € 120,00 gruppi € 120,00 Versamenti in C.C.P. 58504002 intestato a Società Speleologica Italiana Via Zamboni, 67 40126 Bologna Specificare la causale del versamento

è ancora tempo di nuovi viaggiatori uanto sono cambiati gli speleologi e quanto è cambiato lʼassociazionismo speleologico? Posso aprir bocca solo per gli ultimi venti anni: gli speleologi non sono cambiati affatto, mentre lʼassociazionismo speleologico ha ribaltato il baricentro, che oggi “tocca” a SSI. Uso il termine toccare, perché a volte di questo o anche di peggio si tratta. Nel senso che, per la enorme capacità nel fare e nellʼagire, oltre che del progettare, noi che siamo delegati alla direzione dellʼassociazione spesso cadiamo nellʼerrore di non comunicare quanto sia complesso e faticoso tenere alto il livello di efficacia di Associazione che in venti anni ha quadruplicato i propri soci. Operiamo su due fronti, apparentemente distinti: servizi di sempre maggiore livello, che dobbiamo necessariamente riservare ai soci che con le loro adesioni permettono di ripartirne i costi (mutualizzando i costi aumentiamo i benefici), e operiamo in senso assoluto per la promozione della Speleologia. Ne è un esempio lo sforzo e le risorse che spendiamo per il Centro di Documentazione e per lʼeditoria speleologica in assoluto. Soldi, lavoro e fatica che spendiamo noi Soci di SSI, perché siamo certi che è ancora tempo di nuovi viaggiatori e che è bene uscire dalle grotte per raccontarle e difenderle. Per me è questo il motivo per essere orgoglioso di appartenere a SSI, di farne parte e per quanto possibile, per farla funzionare domani un poʼ meglio di oggi. Chiunque legge queste righe avrà lo stesso o mille altri motivi diversi, tutti ugualmente meritevoli. Per questo non ha senso chiedersi “SSI cosa mi da”, quanto piuttosto “cosa posso dare io a SSI”. Ho un casco, una fiammella e un imbrago: sono speleologo? No di certo, non ancora. Ma ho anche sceso 23 menomille! No, non ancora. Ma se sono istruttore di tecnica! NO, non ancora. Perché allora? Ovvio, perché le grotte non finiscono mai dove noi ci siamo fermati. Firmiamo il nostro primo centenario e già ci occupiamo dei prossimi decenni. Dopo lo Statuto dovremo rendere attuale il nostro Regolamento e, speriamo con successo, questʼanno sperimentiamo una nuova polizza assicurativa “di associazione”, per tutelare tutti i nostri soci estendendo la RCT anche ai soci collettivi (i Gruppi) in occasione dei corsi, delle GNS, di tutte le attività di promozione della Speleologia. Dovremo essere molto più fiscali di un tempo: non siamo più tra 400 amici, siamo più di duemila. Il 2003 è stato anche lʼanno del Congresso Nazionale di Speleologia. Tutto è stato organizzato alla perfezione ed ha funzionato al meglio, grazie allʼesperienza e alla disponibilità degli amici bolognesi. Ma è evidente che non funziona più la formula stessa del Congresso, dal momento stesso che la maggior parte degli esploratori e degli speleologi erano altrove. Ma cʼè altro ancora. A brevissima distanza di tempo si è organizzato un Convegno di buon livello, da unʼaltra parte, con buone, se non maggiori, risorse a disposizione. Quello della dispersione delle energie e delle risorse è un argomento alquanto urgente da dibattere con i responsabili della speleologia del CAI. Eʼ sempre più urgente per la speleologia italiana ridiscutere a fondo le formule di comunicazione, divulgazione e partecipazione allʼesterno ma anche, se non prima di tutto, allʼinterno del movimento speleologico. Un problema che attraversa il significato stesso di sQuola della Speleologia.

Q

Il Presidente Mauro Chiesi

Speleologia 48

1


Sommario In copertina: 1971 Supramonte di Urzulei. Pastori e speleologi dell'Unione Speleologica Bolognese davanti al Cuile "Su Fumigosu" della famiglia Mesina, nei pressi della Piana di Fennau. Foto di C.A. Monaco (Archivio GSB/USB). Retrocopertina: 1965 Grotta Donini (Su Cunnu s'Ebba) momenti di esplorazione. Da sinistra a destra: C.A. Monaco, A. Morisi, P. Pelagalli dell'Unione Speleologica Bolognese. Foto di Luigi Donini (Archivio GSB/USB).

Sommario sommario gli articoli 12

La nuova era di S’Edera Dopo 35 anni crolla il mito della frana terminale di Sa Rutta e SʼEdera e riaccende gli entusiasmi per la ricerca del grande collettore di Su Gologone A cura di Jo De Waele

34

Supramonte verticale Lʼobiettivo è sempre il grande collettore di su Gologone, ma le vere sorprese arrivano dal Flumineddu, con la scoperta delle grotte più profonde dellʼisola A cura di Vittorio Crobu

52

Matanzas 2003 cronaca di una spedizione a Cuba Una complessa regione di cenotes scarsamente documentata, anche se logisticamente facile, apre interessanti prospettive per le future esplorazioni nellʼisola caraibica

12

Attilio Eusebio, Roberto Jarre, Giuseppe Minciotti, Esteban Grau

52

34

2


Sommario

64 64

Cuba in 3D: immagini di speleologia cubana Un documentario in 3D realizzato grazie alla collaborazione tra Società Speleologica Italiana e la Sociedad Espeleologica de Cuba pubblicato per la prima volta su una rivista nazionale di speleologia Antonio Danieli e Alessandra Carnevali

70

70

Tra Zambia e Congo Ricerche nella “Terra di nessuno” al confine fra i due grandi paesi africani. Uno studio sul carsismo dellʼarea in collaborazione con lʼUniversità di Lusaka e il CIRS Ragusa

le rubriche

Rosario Ruggieri

1 4 76 77 85 88

Editoriale Tempi solcati Tecniche e sicurezza Notizie italiane Notizie dall’estero Spulciando qua e là in biblioteca

90 Recensioni 94 Vi sia lieve la terra

Speleologia 48

3


Tempi solcati

La speleologia italo-cubana nel terzo millennio

Cuba, querida Cuba La speleologia italiana e quella cubana hanno da sempre intrattenuto ottimi rapporti, e negli ultimi anni questi scambi sono via via cresciuti, fino a consolidarsi ufficialmente attraverso la firma di una convenzione tra le due Società Nazionali. Convenzione che permette a tutti i soci SSI di partecipare alle spedizioni nellʼisola caraibica, altrimenti precluse a singoli o gruppi. Il tutto prese lʼavvio durante una visita ufficiale in Italia, a Savona, del Presidente della SEC, Sociedad Espeleologica de Cuba, Dott. Antonio Nuñez Jimenez, che propose ad alcuni speleologi italiani di organizzare una spedizione congiunta italo-cubana. Nel 1996 lʼidea si concretizzò con la prima spedizione “El Moncada”, nella quale - grazie allʼottimo rapporto instauratosi tra gli speleologi dei due paesi, e le fondamentali indicazioni fornite dalla “Carta di Casola” - si cominciò a delineare unʼattività più concreta e continuativa. I contatti si intensificarono con la visita di una delegazione cubana in Italia in occasione di Casola “Speleopolis 97” e con una nuova spedizione dagli importanti risultati esplorativi, svoltasi nel 1998. Queste spedizioni si sono sempre contraddistinte per la solidarietà con le comunità speleologiche, ma soprattutto verso la popolazione locale, provata dai lunghi anni del “bloqueo”. Le basi poste con la Carta di Casola del 1994 e dallʼUIS Code

4

del 1997 per il comportamento delle spedizioni speleologiche all'estero (collaborazione, accrescimento delle speleologie locali, condivisione dei risultati, rispetto delle tradizioni) divennero le fondamenta di un importante documento dʼintesa tra SSI e SEC firmato il 31 ottobre 1999 a Casola Valsenio (RA) dagli allora presidenti delle associazioni, Ercilio Vento Canosa e Giovanni Badino. Il "Protocollo di accordo” equipara i soci SSI e SEC, aprendo le porte ad ulteriori collaborazione tra i due paesi e impegnando le due associazioni nazionali a sviluppare gli scambi speleologici e le attività di esplorazione nei settori scientifico, culturale, sportivo, tecnico, associativo; nell'esplorazione e nello studio dell'ambiente sotterraneo naturale ed artificiale; nella protezione e conservazione del patrimonio carsico. I membri delle due associazioni beneficiano della reciprocità in materia di iscrizione e partecipazione agli incontri organizzati a Cuba ed in Italia, e dello scambio delle rispettive pubblicazioni. Ciascuna delle due associazioni si impegna a promuovere lʼorganizzazione di spedizioni spe-

leologiche nel pieno rispetto della Carta di Casola. La SEC diventa così una gradita presenza nei maggiori momenti ufficiali della vita speleologica italiana e viceversa. A fine 2002, "Speleologia ItaloCubana" – questa la sigla sotto la quale si svolgono le attività di interscambio - supporta una nuova visita di una delegazione cubana in Italia. Grazie allʼappoggio economico ed organizzativo della SSI, di diverse Federazioni Regionali e di vari Gruppi Speleologici, la delegazione viaggia per tutto il Paese, presentando una serie di progetti per una futura collaborazione. "Speleologia Italo-Cubana" – oggi confluita nellʼUffico Relazioni Internazionali della SSI - dopo essere stata insignita del titolo di socio d'onore della Sociedad Espeleologica, viene incaricata dalla stessa SSI di seguire l'intero aspetto delle spedizioni italiane all'estero: dalla concessione del patrocinio SSI e dell'assicurazione internazionale al rispetto delle Carte Etiche fino alla pubblicazione dei risultati, sia sulla presente rivista che su Internet.

SITI INTERNET www.italia-cuba.speleo.it/ , contiene un ampio archivio di tutto ciò che è attinente alle attività italo-cubane. italia-cuba-speleo.splinder.it, notiziario costantemente aggiornato sulle spedizioni e iniziative collaterali. www.ssi.speleo.it/estero e

ssi-estero.splinder.it Per seguire le attività all’estero patrocinate dalla SSI esistono altri due analoghi siti più generali. Per informazioni esistono due indirizzi e-mail: Italia-cuba@speleo.it e estero@ssi.speleo.it


Tempi solcati

Foto: A. Danieli

Allo scopo di agevolare al massimo le spedizioni verso lʼisola caraibica vengono inoltre attivati numerosi servizi, tra i quali la consulenza logistica pre-spedizione; i permessi per le esplorazioni; il volo aereo a tariffe agevolate con extra carico; il visto di entrata in Cuba per scopi scientifici; i contatti con le specifiche strutture speleo cubane e i rapporti ufficiali con le istituzioni italiane e cubane; lʼalloggio in Cuba a condizioni agevolate (sede SEC all'Avana, Scuola di Speleologia ecc.) ed il magazzino comune alle spedizioni con materiali da campo e da esplorazione. Nel 1997 nasce anche il sito internet (www.italia-cuba.speleo.it), affiancato da un altro sito, dedicato esclusivamente alle news, per seguire giorno per giorno le spedi-

SOCIEDAD ESPELEOLÓGICA DE CUBA La Sociedad Espeleológica de Cuba è una organizzazione non governativa, autofinanziata ed iscritta nel Registro Nazionale delle Associazioni della Repubblica di Cuba. Fu fondata ufficialmente il 15 gennaio 1940, da Antonio Nuñez Jimenez. La SEC fa parte della UIS ed è membro della Federazione Speleologica dell'America Latina e dei Caraibi, della quale è fondatrice. Conta 14 Comitati Speleologici, uno per ciascuna provincia del paese, che raggruppano i rispettivi gruppi speleologici di ciascuna regione.

zioni al lavoro, con aggiornamenti e immagini (primo esperimento mai tentato). Con la nascita dell'Ufficio Relazioni Internazionali sono poi stati creati altri due siti specifici. A metà 2003 viene anche appoggiata la prima spedizione "non cubana", che parte alla volta della Bosnia, e che avrà un proseguo nel 2004. L'invito lanciato dai cubani a Montello viene accolto da più parti d'Italia, con il lusinghiero risultato dell'organizzazione di ben cinque spedizioni a Cuba, alle quali hanno partecipato almeno 50 speleologi italiani. Queste attività hanno portato, al momento in cui scriviamo, alla pianificazione di altre 3 spedizioni nel 2004, a cui si aggiungono 3 nuovi

Al gennaio 2003 la SEC raccoglie 982 membri affiliati nelle categorie di socio "collettivo", "ordinario", "fraternale", "di Onore" e "Emerito" Per decisione del Governo Cubano, la SEC ha in carico la protezione e la decisione dell'utilizzo di tutte le cavità sotterranee del Paese, in modo che nessuna grotta, caverna, sistema carsico, copertura rocciosa, o qualsiasi altra manifestazione del carso sotterraneo, può essere utilizzata senza l'espressa autorizzazione della SEC. La SEC mantiene vincoli di lavoro con società, federazioni, raggruppamenti e altre istituzioni scientifiche cubane e nel mondo, con le quali

progetti, senza dimenticare un avvenimento unico nel suo genere, la riunione del Consiglio congiunto SSI - SEC, che si terrà a fine 2004 e che sicuramente sarà una ulteriore occasione di consolidamento dei rapporti tra le due speleologie. È con soddisfazione e orgoglio quindi che il neonato Ufficio Relazioni Internazionali presenta i due articoli che troverete su questo numero della rivista, scritti a seguito di recenti spedizioni nell'isola di Cuba, supportate dalla Società Speleologica Italiana e dalla Sociedad Espeleologica de Cuba con il coordinamento dellʼUfficio stesso. F. Siccardi e R. DellʼAcqua

promuove visite di studio, viaggi, corsi, pubblicazioni congiunte, inviti a colleghi stranieri, conferenze e pubblicazioni su qualsiasi tipo di stampa, radio e televisione. Per l'importanza del suo lavoro ed il prestigio accumulato, la SEC fa parte del programma nazionale del Ministero dell'Educazione Cubano "Università per tutti" che, attraverso uno spazio sulla televisione nazionale, informa e divulga la speleologia, con un pubblico che supera i 5 milioni di persone. Sociedad Espelelogica de Cuba Calle 9na, Esq. 84, Miramar, Ciudad Habana, Cuba tel. ++225025

Speleologia 48

5


Tempi solcati

Le sorgenti di interesse scientifico, il convegno SIGEA di Salice Terme Si è svolto il 10 ottobre 2003, presso la Sala Ninfea delle Terme di Salice (PV) il Convegno “Sorgenti di interesse scientifico ambientale” promosso dalla Società Italiana Geologia Ambientale (SIGEA) sezione interregionale Liguria, Lombardia, Piemonte, Val d’Aosta, in collaborazione con l’Università degli Studi di Genova, le Terme di Salice, e con sostegno di numerosi Enti locali. L’incontro, organizzato in occasione dell’Anno internazionale dell’Acqua, ha evidenziato l’importanza delle sorgenti all’interno del patrimonio geologico e naturale del nostro paese. Non solo per la loro rilevanza scientifica, ma anche per quella socio – economica connessa alla fruizione delle loro acque, per le evidenti modifiche del paesaggio, per le tradizioni storico - atropiche. Temi principali sono stati, neanche a dirlo, quelli legati alle acque termali e al lavoro dell’uomo per utilizzare, captare e proteggere le preziose acque. Si è discusso del patrimonio architettonico degli stabilimenti termali, delle opere di captazione, della protezione idrogeologica degli acquiferi minerali/termali e della cultura termale in generale. Nel corso del convegno alcuni relatori hanno utilizzato il neologismo idrogeosito (bene naturale ambientale di natura idrica) e unanime è stata la proposta conclusiva di promuoverne il censimento, sull’esempio del Progetto Nazionale Geositi già avviato e coordinato dall’Agenzia Nazionale Protezione Ambientale con la collaborazione di numerosi enti pubblici e dipartimenti di ricerca. Molto interessante e di notevole rilevanza scientifica è stata la sezione poster sul tema delle sorgenti di interesse storico, scientifico ed ambientale quali le sorgenti delle Terme di Bagnoli, di Salice, dell’Acquasanta, le sorgenti mineralizzate della Provincia di Roma e dell’Appennino Reggiano, le sorgenti connesse ai vulcanelli di fango in Abruzzo e in Adriatico, le emergenze minerali e termali del Parco Regionale del Vulture, completata da una mostra fotografica dedicata all’acqua.

Novità a Postumia Inaugurata la stazione speleobiologica “Proteus” nella Galleria dei Nomi Nuovi Da questʼanno una nuova attrazione attende i visitatori della celebre Grotta di Postumia – Postojnska Jama, situata a 30 km dal confine italo-sloveno di Fernetti, sulla strada per Lubiana: si tratta della stazione di speleobiologia Proteus, dedicata al raro anfibio che vive nelle acque sotterranee della Piuca e di pochi altri fiumi carsici dinarici. Fino al 1831 si pensava che il difficile ambiente delle caverne non potesse ospitare alcuna forma di vita, né animale né vegetale. In quellʼanno proprio a Postumia venne scoperto un minuscolo coleottero cieco, il primo di una lunga serie di insetti, ragni, lumache, millepiedi, gamberetti e altri – molti dei quali scoperti nella stessa grotta – che costituiscono la fauna troglobia. Oggi sappiamo che solo nel complesso di Postumia vivono ben 130 specie diverse, il che rappresenta un vero primato. Molti di questi animali possono ora essere comodamente osservati nei vivarium della grotta, unitamente ad una proiezione multimediale sul Carso. La nuova stazione, alloggiata in un ramo fossile laterale lungo 220 m chiamato “Galleria dei Nomi Nuovi” per la

Giulio Badini

Gli appuntamenti CaveMania - 25th Biennial Conference of the Australian Speleological Federation

Contatti: Carlos Benedetto. Tel: +54 (2627) 47 07 28. Email: benedetto@rucared.com.ar

Dover, Tasmania, Australia. Dal 2 al 9 gennaio 2004. Organizzato da: Australian Speleological Federation. Contatti: Ric Tunney, P.O. Box 198, North Hobart, Tasmania 7002, Australia. Email: rtunney@tassie.net.au - Web: http://www.tesa.com.au/stc/cavemania/.

16th Australasian Conference on Cave and Karst Management

II CONAE – Secondo Congresso Nazionale Argentino di Speleologia Tandil, provincia di Buenos Aires (Argentina). Dal 14 al 21 febbraio 2004. Organizzato dalla Federación Argentina de Espeleología (FAdE).

6

presenza su pareti e concrezioni di firme di visitatori dellʼ800, colma il vuoto nella ricerca lasciato dal laboratorio allestito durante la gestione italiana nel 1931. Lavori parziali di scavo hanno ora permesso di collegare la galleria allʼesterno, con un ingresso autonomo, mettendo in evidenza un deposito di riempimento prodotto dal fiume Piuca e vecchio di circa un milione dʼanni. Nella parte superiore sono stati rinvenuti ossa di orso delle caverne, strumenti litici musteriani, nonché vecchie stalagmiti e crostoni alabastrini inglobati. Un opuscolo apposito, anche in italiano, descrive le caratteristiche della stazione e della fauna ipogea locale. Info: www.postojna-cave.com

West Coast, South Island, New Zealand. Dal 6 al 23 aprile 2004. Organizzato da: Australasian Cave and Karst Management Association Inc. (ACKMA) Contatti: Phil Wood. Email: complex@ihug.co.nz - Web: http://www.ackma.org/members/16thannual.ht ml


Tempi solcati

Insegnare si impara

Pericolosità naturale e antropica in aree carsiche

A Pordenone il 3° Corso Nazionale sulla didattica speleologica” Spumeggianti idee per comunicare la speleologia: è il sottotitolo del 3° corso sulla didattica speleologica che l’Ufficio per la Didattica della SSI organizza dal 24 al 27 giugno 2004 a Pordenone insieme al Gruppo Speleologico CAI Vittorio Veneto, al Progetto Didattico "Spelaion Logos" Pordenone e all’Unione Speleologica Pordenonese CAI. L’iniziativa ha già avuto il patrocinio della Federazione Speleologica Regionale Friuli Venezia Giulia e della Federazione Speleologica Veneta. Durante l’incontro verranno affrontati vari temi e materie legati alla didattica speleologica: psicologia, comunicazione, logopedia, responsabilità e assicurazioni, museologia, materiali e metodologie finalizzati alla didattica. Al calendario si possono aggiungere altri argomenti che gli organizzatori invitano espressamente a segnalare utilizzando la scheda di pre-iscrizione. Sono previsti inoltre laboratori ed escursioni “in sana allegria e in un contesto eno-gastronomico di qualità”, come promette la prima comunicazione diffusa a fine 2003. A chi si pre-iscrive al Corso verrà inviato il dischetto relativo al II Corso Nazionale di Didattica "Frasassi 2001”. Per maggiori informazioni potete contattare Gianpaolo Fornasier all’indirizzo e-mail: gianpaolo.bat@libero.it

Nellʼambito delle attività della 1a General Assembly della EUG (European Geosciences Union) è stata organizzata la sessione NH8.03 intitolata “Natural and anthropogenic hazards in karst areas” (Pericolosità naturale e antropica in aree carsiche) a Nizza dal 25 al 30 aprile 2004. Le aree carsiche, a causa di peculiari caratteristiche geologiche e idrogeologiche (rocce fratturate, presenza di cavità e condotti di origine carsica, flusso rapido e concentrato delle acque) sono tra gli ambienti più vulnerabili del mondo. La fragilità dellʼambiente carsico è inoltre evidenziata dalle falde acquifere carsiche, che costituiscono una fondamentale risorsa idrica (circa il 25% della popolazione mondiale è rifornita in gran parte o del tutto da acque carsi-

che), ma la cui qualità è fortemente suscettibile al degrado. Molte di queste situazioni possono essere adeguatamente comprese e studiate soltanto tramite un approccio multi-disciplinare, che preveda lʼintervento di esperti con varie competenze, tra cui la geomorfologia, la geologia applicata, lʼidrologia, lʼidrogeologia, la geofisica, e la geochimica. Il simposio rappresenta quindi una buona opportunità per condividere esperienze condotte in differenti aree del mondo e per valutare le più adeguate maniere di gestione delle aree carsiche. Si invita quindi alla partecipazione inviando lavori su casi di studio in aree carsiche, ed in particolare si sollecitano contributi che presentino un approccio multi-disciplinare al problema.

Contatti: Mario Parise cerimp06@area.ba.cnr.it WEB: http://www.copernicus.org/EGU/ga/egu04/index.html Gli abstracts saranno inseriti in un numero della rivista Geophysical Research Abstracts, che verrà distribuito in forma di cd-rom ai partecipanti al convegno. Data finale per lʼinvio degli estratti: 11 gennaio 2004.

Plio-Quaternary Fillings in the Karst Systems Simposio

ACKMA Cave Guides Workshop and AGM

IGC-UK2004 - 30th Congress of the International Geographical Union

Trieste. Dal16 al18 aprile 2004. Organizzato dal Gruppo Speleologico San Giusto di Trieste in collaborazione con l'AIQUA. Tutte le informazioni sul sito www.congresses.net/FKS

Mole Creek Hotel, Mole Creek, Tasmania, Australia. Dal 23 maggio al 6 giugno 2004. Organizzato da Tasmanian Parks and Wildlife Service, for Australasian Cave and Karst Management Association. Contatti: Cathie Plowman, Email: cathie.plowman@dpiwe.tas.gov.au

16th: IGU sessions: Advances in Karst Geomorphology and hydrology, and Karst Resource Management. Glasgow, Scotland, UK. Dal 15 al 20 agosto 2004. Organizzato da: Royal Geographical Society (with Institute of British Geographers). Contatti: http://www.meetingmakers.co.uk/IGCUK2004.

Karstology - XXI Century:Theoretical and Practical Significance Perm, Russia. Dal 25 al 30 maggio 2004. Organizzato da: Department of Geology, Perm State University. Contatti: Valery N. Kataev, Organising Committee, "Karstology - XXI century" Department of Geology, Perm State University 15 Bukirev St. Perm, 614990, Russia, Email: kataev@psu.ru - Web: http://www.science.psu.ru/karst/.

Incontri sulla didattica Speleologica - III° Corso Nazionale

14th UIS Congress Pordenone. Dal 24 al 27 Giugno 2004. Organizzato dalla Società Speleologica Italiana " Ufficio per la Didattica" e dai gruppi CAI di Vittorio Veneto e Pordenone. Contatti: Giampaolo Fornasier, E-mail: gianpaolo.bat@libero.it

Athens, Greece. Dal 21 al 28 agosto 2004. Organizzato da: Hellenic Speleological Society. Contatti: Chistos Petreas, Hellenic Speleological Society, Email: ellspe@otenet.gr Web: http://www.otenet.gr/ellspe.

Speleologia 48

7


Tempi solcati

1° incontro della speleologia balcanica in Grecia Dal 11 al 20 settembre 2003 si è svolto il 1° incontro speleologico dei Balcani a Othris, in Grecia, organizzato dalla Federazione Speleologica Ellenica (FHS). I circa 100 partecipanti, 7 dei quali provenienti dalla Bulgaria, hanno dato vita a ben 48 gruppi di lavoro. L’attività del convegno non è stata solo teorica, ma anche pratica, con la visita a oltre 40 cavità di interesse archeologico e/o biospeleologico. In 7 di queste sono stati raccolti impor tanti esemplari faunistici. La cavità più profonda tra quelle visitate misurava 65 m (Titanospilia), mentre la più lunga (Tetrastomo) oltre un chilometro. All’interno di quest’ultima sono stati esplorati 600 m di nuove gallerie. Sono state infine raccolte informazioni di altre trenta nuove cavità. Tutto il lavoro di ricerca è stato documentato (appunti, disegni, resoconti delle osservazioni, fotografie) e una copia in versione informatica è disponibile presso la BSU e la FHS. L’ottima collaborazione fra speleologi greci e bulgari è stata sottolineata dall’esercitazione congiunta di soccorso, svolta l’ultimo giorno, con scambio di esperienze e conoscenze tecniche. La FHS prevede che la BSU incrementerà le ricerche speleologiche anche fuori dalla penisola balcanica. All’incontro erano presenti il presidente ed il segretario della BSU, Prof. Petar Beron e Alexey Jalov.

Discariche e carsismo Il recente decreto vieta le discariche in territori carsici o geologicamente inadeguati, a meno che… Nel 1997 è stato emanato il Decreto Legislativo n. 22/1997 (decreto Ronchi) che disciplina la gestione dei rifiuti. Da allora si sono succeduti provvedimenti integrativi e modificativi sempre più severi e restrittivi come lʼultimo, il D. Legs. 13 gennaio 2003/ n. 36, in attuazione della Direttiva 1999/31/CE, relativo alle discariche di rifiuti. Nellʼallegato 1, al punto 2.1 si dispone che gli impianti di discarica, sia di rifiuti non pericolosi che pericolosi, non possono essere ubicati “in corrispondenza di doline, inghiottitoi o altre forme di carsismo superficiale”, oltre che naturalmente in siti geologicamente ed ecologicamente inadatti. Il decreto non parla di grotte, ma il divieto è ovvio. Tuttavia è previsto che “con provvedimento motivato le regioni possono autorizzare la realizzazione di discariche per rifiuti non pericolosi nei siti sopradetti”. Scappatoia senza senso e, si spera, inefficace per i limiti fissati da tutto il decreto che escludono ogni possibilità di realizzare questi impianti in situazioni che possano dare luogo ad inquinamento delle falde. Sarà compito degli speleologi vigilare che non si utilizzi a sproposito la deroga. Oltre al rischio, una discarica in una dolina sarebbe un ulteriore sfregio ambientale, in buona compagnia di cave insediate nei conoidi e detriti di falda, nel fianco dei monti, nelle grandi frane (“marocche”), negli alvei dei fiumi, nelle pianure. La legislazione dei rifiuti si fa carico, sia pure indirettamente, anche di questo, fissando nuovi limiti. Ad esempio anche per le discariche di rifiuti inerti si impone, tra gli altri adempimenti, una costosa impermeabilizzazione del sito. Si stabilisce anche la riduzione drastica dei rifiuti assieme al riciclaggio dei materiali con aumento dei costi di smaltimento che rendono appunto più conveniente il riutilizzo. Il timore è che, in carenza di controlli e di vigilanza, la maggiore convenienza ad abbandonare i rifiuti ai bordi delle strade ed in discariche abusive potrebbe essere un boomerang.

Kostas Adamopouos (Segretario Generale della Federazione Speleologica Ellenica)

6th International Conference on Geomorphology Zaragoza, Spain. Dal 9 al 11 settembre 2004. Organizzato da: International Association of Geomorphologists, and Spanish Society of Geomorphology. Contatti: Organizing Secretariat, GeomorfologiaFacultad de Ciences, Universidad de Zaragoza, C/Pedro Cerbuna 12, Zaragoza 50009, Spain, Email: iag2005@posta.unizar.es - Web: http://wzar.unizar.es/actos/SEG/index.html.

Trans-Karst 2004: International Transdisciplinary Conference on Development and Conservation of Karst Regions Hanoi National University, Hanoi, Vietnam. Dal 13 al 18 settembre 2004. Organizzato da: Research Institute of Geology and Mineral Resources (RIGMR) (Ministry of Natural

8

Giuliano Perna

Resources and Environment), Vietnam; Institute of Ethnology (IE) (National Center for Social Sciences and Humanities), Vietnam; Forest Protection Department (FPD) (Ministry of Agriculture and Rural Development), Vietnam. Under the auspices of UNESCO (IGCP Project 448 and IHP) and the patronage of UIS. Contatti: Tran Tan Van, Research Institute of Geology and Mineral Resources (RIGMR), Thanh Xuan, Hanoi, Vietnam. Email: trantv@hn.vnn.vn Web: http://www.vub.ac.be/trans-karst2004.

13° Convegno regionale di Speleologia del Trentino Alto Adige

Limestone Coast 2004 - IGCP 448 and RAMSAR Convention workshops

IWIC – 1st International Workshop on Ice Caves

Naracoorte, South Australia, Australia. Dal 10 al 17 ottobre 2004. Organizzato da: IUCN/WCPA Task Force on Caves and Karst. Contatti: Kent Henderson. Email: kenthen@optushome.com.au - Indirizzo di fermo posta: Limestone Coast Karst 2004, PO Box 134, Naracoorte, South Australia 5271, Australia.

Capus (Romania), dal 29 febbraio al 3 marzo 2004. E’ il primo workshop internazionale sulle grotte di ghiaccio. Per contatti segreteria IWCI e-mail: iwici@unimi.it Sito Web: http://users.unimi.it/icecaves/iwic-i

Villazzano (TN). Dal 4 al 9 ottobre 2005. Organizzato dal Gruppo Speleologico Trentino SAT Bindesi Villazzano Contatti: Segreteria 13° Convegno regionale di Speleologia Trentino Alto Adige, c/o Gruppo Speleologico Trentino SAT Bindesi Villazzano via Pozzata, 103 38050 Villazzano – TN - e-mail: 13convegno.taa2005@libero.it


Tempi solcati

Il “Diaol” fa le pentole ma non i coperchi Ancora una volta le associazioni speleologiche e ambientali determinanti per la tutela di un’interessante zona carsica nel Trentino meridionale La vicenda inizia nel novembre 2001 quando leggiamo sul giornale che presso lʼUfficio per la valutazione dellʼimpatto ambientale (VIA) della Provincia autonoma di Trento è depositato il progetto di coltivazione della cava di calcare (da utilizzare in un cementificio) in località Patone (comune di Arco) di proprietà della ditta Scavi Chiarani snc. Una cava già esistente, che intende sviluppare lo scavo sia in termini di superficie che di volume. Lʼampliamento dellʼarea estrattiva sino a 14 ha, con lo scavo di 5 milioni di m3 di roccia, è previsto dal 3° aggiornamento del Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali (1998). Il precedente Piano (1987) limitava lʼarea a 3,1 ha. Notiamo subito che lʼallargamento della zona di coltivazione andrebbe a sconvolgere una interessante zona carsica e a lambire di pochi metri il Bus del Diaol (29 VT), una delle grotte più significative del Trentino, tutelata dalla LP 37 del 31.10.1983 e scelta dalla Commissione Bioitaly come SIC per la provincia di Trento. Nel dicembre 2001 gli speleologi trentini elaborano una serie di osservazioni sullʼimportanza del luogo sia dal punto di vista carsico (presenza di 12 grotte), che dal punto di vista vegetazionale (la zona rappresenta il limite europeo dellʼareale del leccio ed è adiacente al Bosco Caproni, oasi WWF). Il documento viene presentato dalla Commissione speleologica e dalla Commissione tutela ambiente montano al Consiglio centrale della SAT che lo sottoscrive e lo inoltra allʼUfficio VIA. Anche WWF e Comune di Arco presentano osservazioni al VIA. Il risultato è positivo: il progetto viene bloccato. Poi sulla stampa leggiamo la notizia che la Giunta comunale di Arco si schiera compatta per la chiusura definitiva dellʼattività. Ora la decisione finale spetta alla Giunta provinciale, che in ottobre approva il 4° aggiornamento del Piano provinciale di utilizzazione delle sostanze minerali: nessuno stralcio, anzi, via libera allʼampliamento sino a 9 ha. Il nuovo progetto di coltivazione dovrà essere redatto e sottoposto a procedura di VIA. Le commissioni saranno nuovamente chiamate a studiare e formulare le osservazioni. La collaborazione di chiunque sia interessato sarà gradita. Riccardo Decarli (Catasto spelelogico VT Trentino-Alto Adige)

Speleologia lombarda: un anno di successi Lʼ1-2 Novembre 2003 si è tenuto a Pogliana di Bisuschio (VA) lʼIncontro Regionale Lombardo di Speleologia, organizzato dall'Ente Speleologico

Regionale Lombardo ed ospitato nei locali del Centro Ambientalistico della Valceresio per l'Evoluzione della Speleologia (CAVES). Della logistica si sono occupati, in modo magistrale, lo Speleo Club Valceresio CAI Gavirate e il Gruppo Speleologico CAI Varese. I principali temi affrontati: il programma per la gestione del catasto (si è scelto

LEGENDA CARTA TOPOGRAFICA ––––: limite apliamento cava come da prg. 8/2001 ––––: rilievo planimetrico Bus del diaol (29 VT) ––––: ril. plan. Grotta dei traditori (164 VT) ––––: ril. plan. Caverna Pianaùra (328 VT) ––––: ril. plan.Buco dello scheletro (334 VT) ––––: ril. plan. Grotta delle radici (284 VT) • : ingresso grotta 304 VT: Buco Soprapatone - 307 VT: Caverna 1a Moletta 308 VT: Caverna 2a Moletta - 346 VT: Caverna Pianaùra 2a 466 VT: Pozzo delle Giare - 467 VT: Antro 1° delle Giare 468 VT: Antro 2° delle Giare. Rilievi planimetrici realizzati da: Gruppo speleologico Sat Arco. Elaborazione dati: Catasto speleologico VT TrentinoAlto Adige.

quello nazionale della SSI) con discussione sulla pubblicazione del Catasto Regionale; la creazione di una nuova banca dati speleologica regionale pensata per favorire lo scambio di dati in base a regole chiare, con l'ESRL nel ruolo di garante; le applicazioni 3D dei dati di poligonale. Domenica è stata dedicata alla nutrita Assemblea dell'ESRL,

alle proiezioni delle attività dei gruppi speleologici ed alle brillanti novità esplorative in Grigna, Tivano, Prealpi Bergamasche, con qualche puntata all'estero. Il bel tempo e il magnifico ambiente hanno fornito gli ultimi ingredienti per lʼottimo risultato. Giorgio Pannuzzo, Ente Speleologico Regionale Lombardo

Speleologia 48

9


Tempi solcati

Più bello e più grande che pria Il Centro Italiano di Documentazione Speleologica, completamente rinnovato, è di nuovo operativo. I lavori di consolidamento dellʼedificio del Museo Capellini, dove è ospitato il Centro “F. Anelli”, sono finalmente conclusi e quindi, a meno di 9 mesi dallʼinizio dei lavori, i locali rinnovati sono di nuovo agibili. Con questa operazione il Centro ha guadagnato moltissimo (confrontate la pianta allegata con quella sul n.25 di Speleologia) sia in spazio sia soprattutto in luminosità: due grandi finestre permettono finalmente di consultare il materiale alla luce del sole. Il corridoio di ingresso dal portone di via Zamboni 61 è diventato di pertinenza esclusiva del CIDS, dato che ora il Museo ha una uscita di sicurezza direttamente nel cortile interno dellʼedificio. Eʼ stato quindi possibile operare una razionalizzazione del Centro che ha permesso di separare ed ampliare le varie sezioni, ma soprattutto di creare spazi idonei alla consultazione diretta, sino ad oggi oggettivamente sacrificata: un grande tavolo (3 m per 1) ha trovato infatti spazio nella sala principale della Biblioteca, mentre altre piccole basi di appoggio sono collocate nella sala della “miscellanea” e delle riviste straniere. I locali del Centro (circa 160 m2) sono ora suddivisi in due aree distinte: quella della Biblioteca e quella dellʼArchivio - magazzino. La Biblioteca può contare su oltre 80 metri calpestabili, dove 63 scaffalature coprono un totale di oltre 360 metri lineari, a cui aggiungere tre armadi vetrati dedicati ai libri antichi per altri 20 m e tre cassettiere da 4 cassetti per il fondo delle stampe antiche e delle cartoline postali. Attualmente il patrimonio della biblioteca occupa solo due terzi dello spazio disponibile e perciò è ragionevole supporre che, anche se lʼincremento si manterrà sostenuto come in questi ultimi tempi, non avremo problemi di spazio per almeno 15 anni. Completano le dotazioni della Biblioteca una nuovissima fotocopiatrice (è andata in pensione la

10

vecchia che in 10 anni di onorato servizio ha sfornato quasi 300.000 fotocopie) e 3 postazioni per la consultazione informatica. LʼArchivio - magazzino consta di quasi 60 metri calpestabili, suddivisi tra il corridoio di accesso da via Zamboni 61 e lo scantinato. Lʼarea è attrezzata con 11 armadi metallici e 15 scaffalature, per un totale di 180 m lineari. Mentre gli armadi dedicati allʼarchivio SSI sono assolutamente sufficienti a garantirne lʼespansione per un lungo periodo, discorso differente va fatto per il magazzino delle pubblicazioni. La massa di materiale che vi

affluisce, infatti, è sempre superiore a quella che viene distribuita e questo rappresenta una costante situazione di “sofferenza”: sarà quindi necessario, nel prossimo futuro, che la SSI adotti una serie di iniziative per riequilibrare il magazzino. Da ultimo, a seguito di accordi con il Direttore del Museo Capellini, tra poco sarà possibile esporre lungo la via di fuga al piano terra una parte rilevante del nostro patrimonio di stampe antiche. Paolo Forti, responsabile del CIDS


Tempi solcati

De re metallica

Quante cose sul gesso

E’ l’ultima meraviglia che la SSI ha voluto fosse presente nel Centro di Documentazione Speleologica “F. Anelli”. Si tratta di un’opera fondamentale per la storia della speleologia dato che questa edizione, più recente della prima di oltre cento anni (Macini & Mesini, 1994), annovera - oltre al De Re Metallica, ponderoso trattato di arte mineraria - anche tutti gli altri scritti di Agricola relativi alla geologia, mineralogia e idrogeologia che effettivamente sono, per noi speleologi, molto più importanti (Shaw, 1992). Se infatti nel “De Re metallica” vi sono varie citazioni relative all’azione di solubilizzazione della roccia da parte delle acque circolanti nel sottosuolo ed al fatto che le sorgenti derivano in parte dall’acqua piovana che circola nei vacui della roccia, è negli altri trattati che Agricola ha effettivamente parlato - spesso per la prima volta al mondo - di aspetti speleologici. Tralasciando il “De Animantibus subterraneis”, fondamentale opera di biospeleologia già descritta nel numero 47 di Speleologia, nel “De Natura Fossilium” (che può a ragione essere considerato il primo trattato di mineralogia) si ha una descrizione del moonmilch rinvenuto in una miniera, che viene qui chiamato “Steinomarga”. Sempre nello stesso trattato troviamo la prima descrizione dei coralloidi, da lui osservati nella grotta di Scharzfeld in Germania, e ancora la prima descrizione di pisoliti provenienti, queste ultime, dalla sorgente di Karlovy Vary in Ungheria. E infine nel “De Natura eorum quae effluunt ex Terra”, trattato in cui viene discussa la natura delle sostanze che fuoriescono spontaneamente dalla terra (acque, gas e vapori endogeni), Agricola, oltre a dare alcune indicazioni di meteorologia ipogea, descrive la genesi delle stalattiti abbastanza correttamente per il suo tempo:

Breve resoconto dal Simposio internazionale di Bologna, 26 –28 agosto 2003

“…pietre che si formano nelle grotte da succhi che gocciolano dal soffitto e pietrificano, a causa del freddo..” Sempre in questo trattato, ma solo nella sua prima edizione, Agricola pubblicò poi il primo rilievo di una cavità sotterranea, anche se artificiale (Le Stufe di Nerone a Pozzuoli), tavola che venne successivamente sostituita con la visione esterna del medesimo luogo nella quale sono riportate solo a tratteggio le gallerie sotterranee. L’eccezionale valore scientifico dell’opera è aumentato anche dalla presenza di ben 273 xilografie che illustrano in maniera dettagliata tutte le attività minerarie del tempo. Giorgio Agricola 1657 DE RE METALLICA, Libri XII, Basilea, Emanuelis Kònig, pagg 16-708-92 In folio (mm 350x220) Paolo Forti Bibliografia: Macini P., Mesini E. 1994 Giorgio Agricola – De Re Metallica (1553) Edizioni ANIM Shaw T. R. 1992 History of Cave science Sidney Speleological Society 338 pp

Nel corso del Simposio bolognese sui Gessi nel Mondo, un gruppo di specialisti ha animato la discussione voluta dal Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e dal GSB – USB, dedicando particolare attenzione al tema delle diverse forme di gestione del patrimonio naturale e di fruizione turistica del patrimonio carsico. Nella prima giornata è stato presentato il volume “Le aree carsiche gessose in Italia” (che si richiama al primo e unico lavoro organico sullʼargomento, realizzato da O. Marinelli nel 1917) curato da Giuliana Madonia e Paolo Forti: raccoglie il contributo di oltre trenta specialisti e rappresenta un lavoro nuovo per la letteratura scientifica nazionale. Vi è allegata una “carta delle emergenze gessose italiane”, che fa percepire facilmente lʼimportanza, la distribuzione e la varietà del fenomeno. Sono seguiti gli interventi di specialisti stranieri che hanno affrontato temi diversi relativi a varie zone (Cordigliera Andina, Spagna, Ucraina, Albania...). Dal loro insieme, eterogeneo per obiettivi e metodologie, è emerso quanto sia articolata e difficoltosa la stessa conoscenza scientifica e quanto sia importante anche il contesto socio-politico delle aree rappresentate. Oggetto della mattinata del 27 sono state le ricerche nei gessi, con contributi su vari argomenti (geomorfologia, ricerca speleologica, biospelogia); nel pomeriggio il confronto di varie esperienze di gestione di Aree Protette nate a tutela di affioramenti gessosi (Parco Regionale dei Gessi Bolognesi, Riserva di Onferno, Riserve Siciliane) con le attuali problematicità legate allʼattività estrattiva nei Gessi Romagnoli. La giornata si è conclusa con una tavola rotonda che ha coinvolto aree protette, mondo speleologico e associazioni ambientaliste ed aperto la discussione sulle possibilità di collaborazione tra i soggetti interessati alla tutela e valorizzazione dei gessi (gemellaggi, scambi culturali, lavoro su progetti comuni), evidenziando lʼesigenza di incontrarsi ancora per approfondire queste ed altre tematiche. Lʼultimo giorno è stato dedicato a visite ed escursioni: alla Mostra sulla Biodiversità della Regione; al Museo Archeologico “Luigi Donini” con i nuovi – e bellissimi! – allestimenti dedicati al territorio, in particolare alle aree gessose; al Parco per visitare la Dolina e la Grotta della Spipola; a Castel dʼAiano, in località Labante, per visitare le omonime cascate su travertino. Nei prossimi mesi i contributi del Simposio verranno raccolti negli atti.

David Bianco - Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e Calanchi dellʼAbbadessa

Speleologia 48

11


S’Edera

La nuova era di S’Edera

A cura di Jo De Waele Testi di: Salvatore Cabras, Vittorio Crobu, Jo De Waele, Lucio Mereu, Massimiliano Piras, Vincent Lignier, Andrea Scano, Sandro Sulis

12

RIASSUNTO

ABSTRACT

Sa Rutta 'e S'Edera è la più importante cavità carsica del Supramonte di Urzulei (Sardegna centro-orientale). Scoperta verso la fine degli anni '60, ha rappresentato per un’intera generazione di speleologi una grotta difficile, tra le più profonde della Sardegna e lunga quasi 3 km, nella quale le esplorazioni non portano a facili risultati. Al suo interno scorre il più importante collettore sotterraneo attualmente conosciuto in zona, e numerosi sono stati i tentativi di seguirne il percorso, bloccati da una grande frana ritenuta impenetrabile. Grazie al decennale lavoro del Gruppo Grotte Cagliari CAI prima, agli studi idrogeologici organizzati dalla Federazione Speleologica Sarda poi, l'interesse in questa grande cavità è cresciuto tanto da portare a nuove eccezionali scoperte speleologiche che finalmente permettono di seguire il fiume sia verso valle sia verso monte, portando a superare gli 11 km di sviluppo della grotta. Ed è soltanto l’inizio di un’entusiasmante avventura di speleologia trasversale.

Sa Rutta 'e S'Edera is among the most important caves of Urzulei's Supramonte (Central-East Sardinia). This cave complex, one of the deepest of Sardinia and with a total development of almost 3 km, has been considered among the most difficult to explore by a whole generation of cavers. The system hosts the most important underground river known in the area, and many attempts have been undertaken to follow this river, all of which arrested at the final rockfall. Thanks to tens of years exploration by the GG Cagliari CAI cavers and to the dye tests organised by the Sardinian Federation of Speleologists, the interest in this cave has again increased and the last discoveries have allowed to follow the underground river both upstream and downstream reaching more than 11 km of development. And this is only the beginning of an entusiasmatic caving adventure.

PAROLE CHIAVE

KEY WORDS

Sardegna, Rutta 'e S'Edera, Urzulei, Idrogeologia, Storia delle esplorazioni, Biospeleologia

Sardinia, Rutta 'e S'Edera, Urzulei, Hydrogeology, History of exploration, Cave dwelling fauna


S’Edera

Dopo 35 anni crolla il mito della frana terminale di Sa Rutta e S’Edera e riaccende gli entusiasmi per la ricerca del grande collettore di Su Gologone

L'ingresso di Sa Rutta 'e S'Edera, impostato su una diaclasi subverticale diretta N-S. La grotta si apre all'interno di un orto recintato (Foto A. Scano). Il torrente di S'Iscra Olidanese vista da Serra Ortorgo: sulla destra si vedono i contrafforti di Serra Lodunu sotto la quale si sviluppa Sa Rutt'e S'Edera, mentre sul fondo ha inizio il canyon di Sa Mela (Foto V. Crobu).

LA PAROLA FINE NON ESISTE NEL VOCABOLARIO DEI CAPARBI... A metà degli anni '90 la grotta di Sa Rutta 'e S'Edera non sembrava in grado di riservare grandi sorprese. Certo, le acque che sprofondavano abbondanti nel cuore della montagna dalla piana di Fennau, al cui margine nord orientale si apre SʼEdera, giustificavano le fervorose attenzioni che gli speleologi dedicavano ormai da anni a quella cavità, ma la frana terminale, contro la quale si erano già scontrati i primi esploratori e poi via via tutti gli altri, sembrava aver segnato la parola fine alle esplorazioni. Si trattava, infatti, di un vero e proprio budello di massi levigati dall'acqua delle piene, sul quale si infrangevano i tentativi di chi giungeva al suo cospetto regolarmente stremato dopo diverse ore di un cammino faticoso e irto di difficoltà tecniche. Del resto, con i suoi 2795 metri di sviluppo e i suoi ambienti di incomparabile bellezza, la grotta aveva già

dato un importantissimo contributo al ricco patrimonio speleologico della Sardegna e, forse, non era nemmeno giusto chiederle di essere più generosa. Inoltre, una breve chiacchierata con Antonio Assorgia (docente di vulcanologia presso l'Università di Cagliari nonché uno dei primi esploratori della grotta dell'Edera nel lontano 1967) che dava più probabile un collegamento con la risorgente posta alla fine della Gola di Gorropu invece che con la lontana risorgente di Su Gologone ad Oliena, aveva rafforzato lo scetticismo. Non si capiva, dunque, perché darsi la pena di percorrere oltre tre ore di strada da Cagliari per affrontare una grotta massacrante, complessa e ben più fredda della media delle accoglienti cavità sarde. Altri sistemi carsici, all'epoca molto di moda, risultavano assai più promettenti. Perciò fu solo grazie alla testardaggine di alcuni soci del Gruppo Grotte Cagliari CAI che all'inizio di settembre del 1996, in cima al Salone delle Stelle, si aprì davanti agli occhi degli speleologi una maestosa galleria. È da allora che tutti si sono dovuti ovviamente ricredere. Da quel momento S'Edera ha conosciuto una stagione nuova che, specialmente dopo la notizia del collegamento idrologico con la risorgente di Su Gologone,

Speleologia 48

13


S’Edera la pone di nuovo al centro delle prospettive esplorative della Sardegna.

L’EREDITÀ DEL PASSATO ...poi, nel ’60, arrivano i bolognesi a Urzulei Oggi Urzulei è conosciuta come una terra di grotte. Nel suo territorio si aprono alcuni dei più importanti sistemi carsici dell'Isola e non solo: in particolare nella Codula Ilune l'omonimo complesso supera abbondantemente i 40 km di sviluppo ed è in assoluto una delle mete preferite dagli speleologi che vengono in visita all'Isola. Ma non è sempre stato così. Mentre nei comuni supramontani limitrofi, soprattutto a Dorgali e Oliena, le manifestazioni carsiche sono ben conosciute e studiate da moltissimo tempo (pensiamo alla grotta del Bue Marino, a Sa Oche e Su Bentu ed alla sorgente di Su Gologone) ad Urzulei il carsismo profondo è meno evidente e diventa vistoso soltanto in zone impervie e di difficile accesso. Non deve quindi sorprendere che nel primo elenco catastale pubblicato nel 1936 dal geologo Carmelo Maxia vi siano citate soltanto 3 grotte d'Urzulei, tra cui la famosa Domu 'e s'Orcu (Punta Is Gruttas), nella quale il pastorello Giuseppe Mulas trovò nel 1930 il più famoso bronzetto sardo, la "Madre dell'Ucciso" (o "Pietà Sarda"), poi consegnato al Prof. Taramelli. Le altre due grotte sono la grotta del Guano, mai più ritrovata, e la insignificante grotta di Bruncu su Punzale. Nello stesso versante di Punta Is Gruttas che si affaccia sul paese di Urzulei, altre grotte furono visi-

LA ROCCIA E L’ACQUA A S di Sa Rutta 'e S'Edera i terreni scistosi Paleozoici si elevano fino a 1500 metri di quota, sui bordi settentrionali del massiccio del Gennargentu, ed è da questi rilievi di Monte Genziana (1505 m), Monte Armario (1433 m), Monte Pipinari (1400 m), Monte Pisucerbu (1348) e Monte Pisaneddu (1254) che inizia il lungo viaggio dell'acqua verso N. Qui, sul "tetto" della Sardegna piovono circa 1000 mm di pioggia all'anno, e buona parte di queste acque, impossibilitate ad infiltrarsi rapidamente nel sottosuolo, scorrono allegramente verso valle formando piccoli ruscelli temporanei. Nei primi chilometri del percorso i rivoli d'acqua erodono le filladi scure e carboniose, le metasiltiti, le metarenarie, le quarziti nere e le granodioriti tonalitiche del Paleozoico (Ordoviciano sup.-Permiano) formando piccole valli, spesso meandriformi, in un paesaggio brullo ed inospitale in cui gli incendi e i tagli indiscriminati dei boschi hanno causato una progressiva desertificazione. Alle garighe montane, ricche di specie vegetali endemiche, subentrano macchie a cisto, corbezzolo ed erica, mentre sul fondo delle valli sopravvivono lembi di foreste di leccio.

14

L'inghiottitoio di Sa Funga 'e s'Abba: questo punto idrovoro è il più importante del Riu Flumineddu e le colorazioni del 1969 hanno dimostrato che le acque assorbite confluiscono nel collettore di Sa Rutta 'e S'Edera poco a monte della frana terminale (Foto V. Crobu).

Man mano che si scende verso valle i torrenti s'ingrossano formando tre piccoli fiumi, Riu Sa Codula, Rio Paule e Riu Flumineddu, attivi per buona parte dell'anno. Sulla sinistra si stagliano alcuni picchi carbonatici, le cueste di Monte Fumai (1316 m), di Monte Novo San Giovanni (1316 m) e di Monte Su Biu (1183 m), che preannunciano un cambio litologico. Questi tre monti, infatti, sono dei rilievi testimoni che attualmente risultano separati dalla grande copertura carbonatica mesozoica del Supramonte, di cui si vedono i primi contrafforti (Serra Lodunu, Punta Cabaddaris). In varie località (Sas Venas, Nuraghe Mamucone, Cabaddaris ed alla base delle tre cueste) è possibile vedere che il basamento paleozoico è coperto da sedimenti terrigeni (arenarie, conglomerati quarzosi, marne, argille) contenenti livelli a piante che indicano un'età giurassica media (Baiociano-Batoniano, Dogger) e che inaugurano la trasgressione marina mesozoica. Finalmente i due fiumi entrano nel Supramonte, aspro e bello, e lungo il Flumineddu le pareti dolomitiche si innalzano. Riu Sa Codula, invece, rimane più a lungo sugli scisti e percorre un'ampia piana alluvionale fino all'ingresso di Codula Sa Mela. Nel frattempo, inoltre, riceve diversi

affluenti e cambia nome, diventando Iscra Olidanesa. Qui l'uomo, sfruttando la presenza quasi perenne delle acque, ha sviluppato le sue attività pastorali modificando il paesaggio. Della foresta primaria di lecci rimangono poche tracce, mentre il sovraccarico di bestiame mette a rischio il mantenimento degli equilibri naturali, in particolare la riproduzione della foresta stessa. Le acque ora scorrono nei materassi alluvionali che coprono le dolomie grigie intensamente fratturate, chiaramente visibili a lato delle valli. Tra breve, in normali condizioni idrologiche, saranno costrette a proseguire il loro viaggio in sotterraneo, assorbite dai numerosi inghiottitoi che s'incontrano lungo le valli. Le acque del Flumineddu spariscono sottoterra in corrispondenza dell'inghiottitoio di Sa Funga 'e s'Abba, a quota 892 m, mentre quelle di Sa Codula-Iscra Olidanesa scompaiono in una serie di punti idrovori tra 950 e 935 m s.l.m. (es. Fundu 'e Puntale, Monte Pertunta). I fiumi in piena, invece, possono portare le acque superficiali molto più a valle, fino alla Gola di Gorropu all'uscita dal Supramonte carbonatico. In particolare durante le eccezionali piene le acque di S'Iscra Olidanesa percorrono la Codula Sa Mela-Codula Orbisi, scavalcando tutti gli inghiottitoi (incluso quello


S’Edera

Sezione geologica schematica meridiana tra Sa Rutta 'e s'Edera e l'altopiano di Orgosolo

tate da studiosi, archeologi e soprattutto tombaroli. Alcune di queste furono esplorate da speleologi milanesi nel 1956 e sono conosciute con i nomi di Grutta Onna Nera, Grutta 'e Mesu, Grutta 'e Sala e Grutta sa Puntale 'e s'Abbila. Nessuna di queste, però, risulta al Catasto Regionale delle Grotte. Prima del 1960 Urzulei era un territorio praticamente vergine dal punto di vista speleologico… fino all'arrivo dei bolognesi! Il sodalizio sardo – emiliano-romagnolo Le potenzialità esplorative del Supramonte di Urzulei, in particolare della zona di contatto tra basa-

enorme di Orbisi), cadono a cascata dentro Pischina Urtaddala e si congiungono con il Flumineddu a Sa Giuntura. In questi casi può diventare attivo un inghiottitoio di troppo pieno situato ai piedi di Serra Lodunu, a quota 950 m, conosciuto come Sa Rutta 'e s'Edera. Questa grotta è ritenuto il collettore principale del Supramonte meridionale, confermato anche dalle colorazioni effettuate pochi anni fa dalla Federazione Speleologica Sarda che hanno provato che le acque dell'Edera fuoriescono alla risorgente di Su Gologone (104 m) ad Oliena, a più di 20 km di distanza in linea d'aria. Dentro l'Edera, in condizioni normali, le acque s'incontrano alla base della "Grande Marmitta", un pozzo profondo poco più di 10 metri situato a quasi 200 metri dall'ingresso, mentre durante periodi piovosi, quando i primi inghiottitoi lungo s'Iscra Olidanesa si attivano, si congiungono con il ramo speleologico in cima a questo pozzo formando una fragorosa cascata. Dopo la Grande Marmitta, impostata sull'incrocio tra due fratture (una N-S, l'altra NW-SE) il rivolo d'acqua s'infila in un interstrato (inclinazione 12° N) chiaramente eroso dalle acque di piena, con forme arrotondate. Dopo questa zona, invece, il torrente scorre nuovamente sul fondo di alte e

mento paleozoico e le imponenti coperture carbonatiche mesozoiche, erano state intuite negli anni '60 dagli speleologi dell'Unione Speleologica Bolognese (USB), in particolare da Luigi Donini, precursore della speleologia supramontana. Prima di loro pochi sono stati gli speleologi sardi a dedicarsi sistematicamente all'esplorazione del Supramonte di Urzulei. Infatti, i gruppi speleologici sardi dell'epoca che lavoravano nel Nuorese, come il Gruppo Grotte Nuorese ed il Gruppo Speleologico PIO XI di Cagliari, si dedi Il pozzo della "Grande Marmitta": è chiaramente visibile l'alternanza degli strati dolomitici scuri e giallastri, debolmente inclinati verso Nord (Foto A. Scano).

strette diaclasi in direzione prevalente N-S, caratteristica di quasi tutta la grotta. La morfologia di S’Edera, impostata quasi interamente nelle dolomie basali della successione carbonatica mesozoica, è fortemente influenzata dalla struttura della roccia. Innumerevoli diaclasi interrompono continuamente l'andamento regolare della grotta, talvolta caratterizzato da angoli retti, mentre sulle più grosse fratture si impostano gli ambienti più grandi. Un altro fattore determinante nello sviluppo della grotta è l'inclinazione degli strati, che porta il sistema ad approfondirsi gradualmente in direzione N, sempre prossimo al contatto con le formazioni marnose del contatto stratigrafico tra basamento paleozoico e copertura mesozoica. Mentre nella litologia dolomitica gli ambienti sono quasi sempre alti e stretti (forre), dove si entra nei rami fossili impostati su livelli più calcarei soprastanti le dolomie, i vuoti si fanno più larghi, più concrezionati e spesso invasi da ingenti depositi graviclastici. Tali ambienti si trovano sovrapposti al collettore principale, nel quale si rinvengono localmente dei grossi massi calcarei franati dalle soprastanti gallerie fossili. Anche la frana terminale, lunga ben 270 metri, farebbe pensare al crollo di gallerie fossili soprastanti, ed una più

Speleologia 48

15


S’Edera cavano più alle zone di Oliena, Dorgali, Baunei ed al Monte Albo, probabilmente anche per una questione di accessibilità. Infatti nel libro di Furreddu e Maxia del 1964, che riassume le conoscenze speleologiche del periodo, sono segnalate soltanto cinque grotte nel territorio di Urzulei: le tre grotte già citate dal Maxia, Suttaterra de Sarpis e l'inghiottitoio di Su Mammucone. Dal 1962 l'USB iniziò uno studio sistematico delle grotte del Supramonte, prima lungo la costa (Baunei), poi anche delle zone interne (Baunei e Urzulei). Nel 1964 fu scoperta ed esplorata la più bella grotta di Urzulei, la "Risorgente di Gorropu", conosciuta dai pastori come "Su Cunnu 'e s'Ebba", oltre all'inghiottitoio di Orbisi, situato poco più a monte, e le due grotte di Su Mammucone, situate nella zona denominata Fennau. Fu proprio in quell'occasione che alcuni pastori diedero notizia per la prima volta di Sa Rutta 'e S'Edera, ma non le fu data importanza. L'anno seguente lʼUSB, per la prima volta assieme al Gruppo Speleologico Faentino (GSFa) CAI/ENAL e ad alcuni soci del neonato Gruppo Grotte Cagliari CAI (GGC), in particolare di Antonio Assorgia, continuò le ricerche incentrandosi soprattutto sul Supramonte di Orgosolo (Cabaddaris, Corrasi, Capriles, ecc.). Pochi mesi dopo Luigi Donini morì, insieme a Carlo Pelagalli, nella Grotta del Castello di Roncobello (BG), e durante la spedizione dell'estate del 1966 il comune di Urzulei gli dedicò la più bella grotta del proprio territorio, la Risorgente di Gorropu. Nello stesso anno si scoprì e si iniziò a esplorare Sa Rutta 'e S'Edera, raggiungendo la frana terminale. Nell'agosto dellʼanno successivo lʼUSB, GSFa e GGC conclusero le esplorazioni nella grotta e realizzarono un rilievo molto accurato. Durante la stessa spedizio-

attenta perlustrazione verso l'alto nella frana potrebbe portare a gradevoli sorprese. A quasi 1 km dal suo ingresso nel sistema carsico, dopo aver ricevuto alcuni piccoli apporti idrici dalla sinistra (Ovest) provenienti da punti idrovori lungo s'Iscra Olidanese, il piccolo torrente affluisce in un fiume di portata maggiore, proveniente da destra (Est) e percorribile verso monte per mezzo chilometro, che rappresenta il collettore sotterraneo principale. Questo fiume, che mediamente porta una ventina di litri al secondo, con la sua maggiore energia, a valle della confluenza ha formato una galleria dalle dimensioni notevoli lunga quasi 400 metri con direzione N-S. Alla fine di questa galleria un altro affluente proveniente da sinistra (Ovest) raddoppia la portata. Quest'acqua arriva in parte dall'inghiottitoio di Sa Funga 'e s'Abba, distante 1,5 km in linea d'aria, come dimostrato da colorazioni effettuate nel 1969, ma le recenti esplorazioni indicano anche una provenienza da S, probabilmente dal fronte di inghiottitoi di Su Mammucone. Da questo punto il fiume, con portata media di 40 l/sec, scorre sul fondo di un'alta e stretta diaclasi che curva bruscamente verso E in corrispondenza di una faglia, testi-

16

ne fu eseguita la prima colorazione delle acque di Sa Funga 'e s'Abba, principale inghiottitoio lungo il Riu Flumineddu, le cui acque si ipotizzava potessero essere le medesime che scorrono nel collettore principale allʼinterno di SʼEdera, ma i risultati non diedero esito positivo. Negli anni seguenti furono eseguiti vari tentativi per superare la frana terminale, mentre proseguirono le ricerche idrogeologiche ai quali partecipò anche il ricostituito Centro Speleologico Sardo: in particolare il 4 agosto del 1969 fu ripetuta la colorazione di Sa Funga 'e s'Abba con lʼimpiego di 4 kg di fluoresceina sodica. Il risultato diede esito positivo nell'Edera. Lo stesso giorno altri 5 kg di fluoresceina furono immessi nel torrente sotterraneo dell'Edera, aggiungendosi ai 4 kg provenienti da Sa Funga 'e s'Abba, ma il colorante non fu ritrovato in nessuna risorgente monitorata (Gorropu, Su Gologone ecc.). Una pausa lunga vent’anni Dalle ultime spedizioni dei bolognesi e faentini nel 1971 il Supramonte di Urzulei tornò alla sua solitaria quiete; soltanto la vita pastorale, ancestrale e quasi nuragica, della gente del luogo continuò come sem Carta geomorfologico-speleologica del Supramonte meridionale. Le colorazioni delle acque dell'Edera hanno dimostrato il collegamento idrologico con le sorgenti di Su Gologone ad Oliena, a più di 20 km in linea d'aria dal punto d'immissione del colorante. Grazie alle scoperte speleologiche recenti ed agli studi idrogeologici tuttora in corso le conoscenze di questo grande acquifero carbonatico sono migliorate notevolmente.

moniata dal cambio di giacitura degli strati che ora scendono di 20-35° verso E. Questo tratto di fiume diventa nuovamente più ampio, mentre imponenti concrezioni ornano le pareti e formano livelli fossili sospesi a 10 m di altezza. Duecento metri più avanti la grotta si riporta nuovamente nella sua originaria direzione (N-S) attraverso una zona abbastanza caotica, preludio della frana terminale. L'acqua, infatti, a 1800 m dall'ingresso e ad una quota di circa 750 metri prosegue il suo viaggio sotterraneo in una frana lunga 270 m. All’uscita di questa frana il fiume prosegue in modo placido per altri 500 m in una grande galleria pressoché orizzontale fino a scomparire in un cupo e largo sifone, ormai pienamente scavato dentro i calcari bianchi. Ma l'acqua non sempre ha percorso queste gallerie; esistono infatti alcuni importanti ambienti fossili che tempo fa portavano l'acqua verso il collettore sotterraneo. Quest'ultimo scorreva probabilmente in una grande galleria con direzione NNE-SSW, mediamente situata una sessantina di metri sopra il livello attuale del fiume sotterraneo. Soltanto successivamente questo collettore fu catturato allineandosi lungo una

serie di fratture N-S, NNW-SSE e E-W lungo le quali attualmente scorrono le acque. Un altro ramo fossile (Ramo di Mondo), questa volta affluente del Ramo di Destra, portava le acque da NE, attraverso una bella forra, verso SW. Sopra il ramo di destra, inoltre, una serie di spaziosi ambienti testimoniano anche qui l'evoluzione temporale del corso d'acqua. Soprattutto in questi rami, attualmente abbandonati dalle acque, si possono trovare concrezioni di varie forme e dimensioni; nel collettore questi depositi chimici si trovano soltanto in alcuni tratti, come la Sala Luigi Donini. Grandi colate ornano il Salone Gianmichele, mentre in un tratto del Cammino di Mondo il pavimento fangoso è letteralmente ricoperto da una esile colata bianca lunga ben 150 m. Nel ramo fossile di "Canoseubeniuinnoipocantaiatenore", oltre alle numerose ed imponenti concrezioni calcitiche, spiccano delle infiorescenze aragonitiche unidirezionali (controvento) talvolta coperte da minerali bianchi di neoformazione (potrebbe trattarsi di Huntite o di Idromagnesite). Salvatore Cabras, Jo De Waele


S’Edera

Speleologia 48

17


S’Edera pre. La brutta fama dell'Edera, rinomata come la più fredda e più dura grotta della Sardegna, dirottarono schiere di speleologi verso altri sistemi carsici grandi e più accoglienti (Su Bentu prima, Codula Ilune dopo) lontano da Fennau. Nel frattempo, negli anni 1973-74 si pubblicano i risultati scientifici degli studi condotti negli anni precedenti in varie riviste specializzate. In una di queste appaiono i rilievi completi di Sa Rutta 'e S'Edera e della Grotta Luigi Donini, rilievi di apprezzabile precisione per l'epoca rimasti invariati per quasi quindici anni. Continuano anche le ricerche biospeleologiche, con Giancarlo Carta del Gruppo Grotte Nuorese prima, poi, negli anni ʼ80, con Achille Casale e Pier Mauro Giachino. Inoltre si avvicendano diverse spedizioni dal continente, senza però apprezzabili risultati. Intanto il numero di grotte conosciute ad Urzulei cresce e fra queste si scoprono le voragini di Campu Planu Oddeu, la Nurra di Coile Lubia (o Codi Rubia), la grotta di Su Zippiri e tante altre. Dal 1984 entra di scena il Gruppo Grotte Cagliari CAI che esplora alcuni rami fossili nuovi nella grotta Luigi Donini, ma il più importante impulso alle ricerche viene dato dal Centro Speleologico Cagliaritano che

Prima della "Confluenza a Sinistra" alcuni piccoli salti con marmitte sottostanti sono armati con corda fissa per agevolare la progressione (Foto L. Pusceddu)

dal 1985, anno della sua nascita, inizia una sistematica ricerca di grotte nel Supramonte di Urzulei. Nascono così gli abissi di Su Cherchi Mannu, Dorghivé, Neulaccoro, Dorgherie, Alcatraz e tante altre grotte. All'Edera, però, i risultati si fanno attendere e solo la testardaggine di alcuni soci del GGC porterà a partire dal 1993 ai primi risultati degni di nota. Si ricomincia nel XX secolo, si prosegue nel nuovo millennio Tutti i tentativi che si succedono nel corso degli anni si arrestano di fronte a quella che viene ritenuta una barriera insuperabile, la frana terminale e così, poco a poco, le ricerche vengono abbandonate, salvo qualche raro tentativo dall'esito infruttuoso. Anche gli speleologi del neonato Gruppo Archeo Speleo Ambientale di Urzulei (GASAU) e vari esploratori di Cagliari (soprattutto del Centro Speleologico Cagliaritano e, in modo meno insistente, del Gruppo Speleo Archeologico Giovanni Spano) tentano la sorte, alternando le visite in grotta all'esame di alcuni inghiottitoi lungo il greto di S'Iscra Olidanesa, il torrente che scorre, almeno d'inverno, alla base del Monte Ispignadorgiu. L'idea del GGC, invece, è quella di procedere in modo sistematico alla ricerca dei livelli fossili della cavità e di concentrare l'attenzione sui luoghi fino ad allora trascurati: il ramo di sinistra e quello di destra, percorsi da un grosso affluente che, a una osservazione più accurata, risulterà più ricco d'acqua del fiume principale. I primi risultati giungono nel 1993, con la scoperta dei rami Entity e Relationship. Una risalita in artificiale di circa 30 metri, aperta da Andrea Scano, porta alla conferma che, al di sopra del condotto principale, si trova un reticolo di fratture e cunicoli di varia morfologia (mediamente da 0,5 a 2 metri di larghezza, sviluppatosi sotto i detriti alluvionali di SʼIscra Olidanesa e per questo motivo funzionante come punto di assorbimento) che aggiunge, per la prima volta dopo 25 anni, 619 m di sviluppo al vecchio rilievo, con un dislivello di 84 m. Ancora però non c'è traccia di quelle grandi gallerie fossili che, per intenderci, devono portare a saltare il tappo che blocca la progressione verso N o che, almeno, offrirebbero un motivo valido per proseguire le indagini. Servono altri tre anni di visite regolari (svolte sempre in periodo estivo) per ottenere progressi significativi, anche se il primo ritrovamento non desta particolare entusiasmo. Sa Sindria - scoperto nel luglio 1996 in un punto molto promettente all'intersezione tra ramo principale e quello di sinistra - è infatti un ambiente di sviluppo modesto, formato da grandi blocchi di crollo e, purtroppo, parallelo al fiume. Ma almeno è consolante constatare all'uscita che l'anguria (“sa sindria” in sardo), nascosta nel tratto iniziale della grotta, ha raggiunto la temperatura giusta per essere consumata con grande soddisfazione. La svolta vera e propria si verifica nel settembre dell'anno successivo, con l'attacco deciso al ramo di destra, ingiustamente trascurato a favore della direttrice delle acque. Un meticoloso esame del Salone delle Stelle consente di rinvenire un'ampia galleria (il “Cammino di Mondo”, dedicato a Mondo Liggi, socio


S’Edera

DATI CATASTALI 588 SA/NU SA RUTTA 'E S'EDERA Urzulei, Fennau, IGM 517 sez. III (Talana) Lat.: 40°05'55'' Nord, Long.: 9°27'26" Est, Quota: 950 m s.l.m. Svil.sp.: 11050 m, Disl.: -208 m Rilevatori in ordine cronologico: Rilievi 1967: Assorgia Antonio (Gruppo Grotte Cagliari CAI-Centro Speleologico Sardo), Biondi Pierpaolo (Gruppo Speleologico Faentino CAI-ENAL), Morisi Andrea (Unione Speleologica Bolognese). Rilievi 1997: Locci Carmen, Schirru

Urbano, Scano Andrea, Bucarelli Giovanni, Sulis Sandro, Atzeni Beniamina e Mandis Marco (Gruppo Grotte Cagliari CAI) Rilievi 1998: Ardau Alessandra, Piras Massimiliano, Scano Andrea, Sulis Sandro (Gruppo Grotte CAI Cagliari), Melis Gianluca (Unione Speleologica Cagliaritana). Crobu Vittorio, Mattu Marco, Soro Patrizia Rilievi 2002: De Waele Jo, Mereu Lucio (Gruppo Speleo-Archeologico Giovanni Spano Cagliari), Cabras Salvatore (Gruppo Archeo Speleo Ambientale Urzulei), Robin Yvan (Groupe Ulysse

del GGC CAI scomparso prematuramente e pioniere della tecnica della sola corda in Sardegna) che si sviluppa per 819 metri, di particolare suggestione ma soprattutto asciutta e confortevole. Da quel momento le esplorazioni sono molto agevolate dalla realizzazione di un campo interno dove si può riposare comodamente tra materassini di gomma e pupazzi gonfiabili che galleggiano allegramente nellʼampia e profonda pozza, alimentata da un forte stillicidio, che fornisce ottima acqua potabile. Nel 1998 il Salone delle Stelle rivela altre sorprese. Una breve risalita sino a un finestrone in parete porta all'ingresso del maestoso salone Giammichele, così chiamato in ricordo di un amico speleologo scomparso in mare a 19 anni. Le ricerche a margine del salone portano a scoprire la prosecuzione dell'affluente di destra per circa 100 metri al di là del tratto conosciuto. Verso l'alto una lunga e ripida salita conduce a una piccola cengia dove nel 1999 verrà ritrovato lo scheletro di un maialetto (!?). Negli anni successivi si tenta di arrivare alla superficie, ma ancora non si riesce a individuare un secondo ingresso che permetterebbe lʼaccesso più facile e non condizionato dalle piene invernali alle zone a valle della cascata della grande marmitta Dal Salone delle Stelle si sviluppano altre gallerie (il “Salto dellʼAngelo”, dedicato a Angelo Berio, presidente per circa 20 anni della Sezione CAI di Cagliari; “Vado a funghi con Erminio”, “Ramo Scello”) esplorate nel corso dei campi dell'estate 1998. Nel 1999, dopo il completo riarmo realizzato in collaborazione con la Federazione Speleologica Sarda, le ricerche riprendono nella zona della frana terminale con l'obiettivo di intercettare le gallerie soprastanti, della cui esistenza è ormai lecito avere una ragionevole certezza. Effettivamente si scoprono nuovi ambienti, ma tutti rigorosamente orientati dalla parte opposta a quella sperata. Tuttavia, uno di questi, esplorato in collaborazione con l'Unione Speleologica Cagliaritana e i free lance Vittorio Crobu e Marco Mattu, conduce, dopo una difficile strettoia, a un livello fossile molto ampio che, dopo circa 1 chilometro verso S, riporta al ramo principale a monte della confluenza. Questo dà la sicurezza di avere un livello fossile ben sviluppato, testimone di passate situazioni climatiche ed idrologiche. LʼEdera torna così a essere l'obiettivo sul quale si concentrano gli sforzi degli speleologi, richiamati

Spéléo Lyon), Pilo Cristian, Sulis Sandro Rilievi 2003: Atzori Tarcisio, De Waele Jo, Mereu Lucio (Gruppo SpeleoArcheologico Giovanni Spano Cagliari), Cabras Salvatore, Murru Antonio (Gruppo Archeo Speleo Ambientale Urzulei), Scano Andrea, Piras Massimiliano, Placido Andrea, Ibba Allesandra (Gruppo Grotte CAI Cagliari), Schaeffer Véronique, Bost Gilles, Robin Yvan, Lignier Vincent, Condamin Sylvestre (Groupe Ulysse Spéléo Lyon), Arrica Silvia, Corongiu Carla, Crobu Vittorio, De Lucca Riccardo, Farris Massimo, Melis Gianluca, Sulis Sandro.

anche dal clamoroso risultato delle colorazioni effettuate dalla Federazione Speleologica Sarda nel 1999 e nel 2002: l'acqua che si inabissa nella piana di Fennau “snobba” la sorgente di Gorropu e riemerge a Su Gologone, dopo circa 21 chilometri di percorso sotterraneo. Queste belle notizie portano, nell'anno appena trascorso, nuovi esploratori appartenenti a diverse Il "Fiume bianco" nel Ramo di Mondo è un nastro di concrezione biancastra che spicca, per contrasto, sullo scuro pavimento di argilla, formando un “fiume fossile” lungo 150 metri (Foto V. Schaeffer).

Speleologia 48

19


S’Edera associazioni speleologiche nella grotta dell'Edera per cercare di continuare le esplorazioni sistematiche (peraltro con la scoperta ed il rilevamento di diversi rami laterali nuovi) e, soprattutto, per tentare di forzare gli stretti passaggi tra i massi della frana terminale. Un primo assaggio del sapore di frana (e di piena) avviene negli ultimi giorni di agosto del 2002. La squadra, composta da speleologi di provata esperienza (ci sono anche gli amici francesi del Groupe Ulysse Spéléo di Lyon) arriva quasi al termine della frana (anche se questo si saprà un anno dopo) ma una improvvisa piena fa svanire le possibilità di successo e il tentativo rischia addirittura di mettere in pericolo la vita di alcuni partecipanti che - notando alcuni punti del rilievo segnati appena mezzʼora prima sommersi dallʼacqua - riescono a uscire precipitosamente dalla frana e dalle strettoie semi allagate. In quellʼoccasione, poco prima della Sala Donini, il fiume arriva ad occupare tutto il fondo della galleria ampia 4 – 5 metri, con una profondità di 30 cm; poco a monte della stessa sala – nel tratto più stretto del collettore – lʼaria profuma intensamente delle erbe aromatiche portate dal fiume in piena e il livello del lago sifone da cui proviene tutta lʼacqua della piena sale per più di mezzo metro, con una portata stimata di 100 l/sec! Lʼinizio 2003 è dedicato alla revisione del rilievo (poligonale dei rami principali) e soltanto a fine giugno, dopo alcuni mesi di siccità, viene organizzata una nuova spedizione fra i massi della frana, con buona parte degli esploratori della passata esplorazione (mancano soprattutto gli amici francesi) e alcuni soci del GG CAI di Cagliari. Eʼ la volta buona: dopo ben 270 metri di stretti passaggi in frana finalmente le porte si aprono su una grande galleria occupata quasi interamente dal fiume. Sono 500 metri di

COLORANDO L’ACQUA Nell’esplorazione gli speleologi sono spesso catturati dallo scorrere delle acque sotterranee, la seguono rapiti, ma quando scompare nella roccia precludendo loro il passaggio, la ricerca prosegue su nuovi versanti, escogitando altri metodi d’indagine, perché la curiosità non si ferma davanti ad una frana inaccessibile. Dalla seconda metà degli anni '60, già con le prime esplorazioni delle gallerie di questa grotta, furono eseguiti sulle sue acque alcuni test con traccianti per individuare la direzione e il deflusso principale del torrente ipogeo. Da subito, infatti, si capì l’importanza idrogeologica di questa cavità: occorreva individuare la sorgente di questo sistema. Due le ipotesi che attendevano il conforto di una prova certa: la risorgenza di Gorropu, su un livello carsico sottostante la grotta Donini e la risorgenza di Su Gologone, dopo il transito in un collettore collegato al sistema sotterraneo di Su Bentu. Gli sforzi dei primi esploratori non suffragarono

20

sogno che sʼinfrange su un sifone che blocca per ora le nostre esplorazioni. Altre due uscite, con bonifica di alcuni passaggi in frana, portano a più di 1 km di rami, tra attivo e fossile, e buone speranze di poter proseguire il nostro cammino in direzione N (verso Su Gologone). In agosto 2003, infine, due speleosub francesi del GUS (Lyon), grazie anche allʼaiuto di alcuni dei pochi speleologi sardi rimasti lontani dal mare invitante della Sardegna, superano il sifone a monte, noto come affluente di Sa Funga ʼe sʼAbba, rilevando ben 1920 metri di grandi gallerie e esplorandone almeno altri 500 metri. Anche qui rimane tanto lavoro da fare, ma le piogge rimandano tutto allʼestate prossima.

LA NUOVA EDERA Come abbiamo visto, nella fase iniziale delle ricerche si è volutamente trascurata (almeno per alcuni anni) la zona della frana terminale, concentrando lʼattenzione su altri due obiettivi: la zona finale del “Ramo di Sinistra” e il “Salone delle Stelle” presso il “Ramo di Destra”. Se questo non ha portato a risultati eclatanti (le possibili prosecuzioni verso lʼalto dei condotti appaiono occluse da ciottoli calcarei e scistosi di varie dimensioni e da terriccio) tuttavia la scoperta prima dei rami “Entity” e “Relationship” e poi del ramo fossile “Sa Sindria” è stata molto importante, poiché avvenuta dopo più di due decenni di “stasi esplorativa”. Esplorando il Salone delle Stelle Nella parte alta del Salone delle Stelle, in direzione NE, si trova una galleria di dimensioni significative: è il “Cammino di Mondo” (819 m di sviluppo), scoperto

nessuna delle due. Un primo tentativo nel 1967 cercò di definire l’area di alimentazione dell’apporto idrico laterale a valle della Galleria Pelagalli. Nelle acque del Flumineddu, nel laghetto antistante l’inghiottitoio di Sa Funga ‘e S’Abba, furono sciolti 3 kg di blue di metilene: dopo 12 ore il prelievo di campioni d’acqua nell’affluente di sinistra dell’Edera non presentò tracce di colorante ma solo un pH leggermente basico. Era un dato certo, sia pure marginale, ma il tempo di verifica fu troppo esiguo. La prova venne ripetuta il 4 agosto 1969 dal Gruppo Speleologico Faentino, dall’Unione Speleologica Bolognese e dal Centro Speleologico Sardo con 4 Kg di fluoresceina sodica: il tracciante, dopo 18 ore ed un percorso in linea d’aria di circa 1300 m, fece la sua comparsa dentro la grotta dell’Edera alla confluenza poco a valle della Pelagalli dove, nella stessa occasione, la massa d’acqua colorata fu potenziata con l’aggiunta di altri 5 Kg di fluoresceina, senza però ottenere alcun risultato né a Gorropu, né a Su Gologone. Come spesso succede, rimase salda solo la leg-

genda, raccontata e diffusa tra gli abitanti del luogo, di un pezzo di un antico telaio inghiottito dalle acque nella zona di Fennau riemerso poi a Su Gologone … Seguì un lungo periodo di stasi nella ricerca. Solo nel 1998 - con la scoperta da parte del Gruppo Archeo Speleo Ambientale Urzulei e del Gruppo Speleo Ambientale Sassari, sulla destra idrografica del Flumineddu, della grotta di Mandara ‘e S’uru Manna e del suo torrente che va a perdersi oltre un sifone non praticabile l’interesse per il destino delle acque sotterranee del Supramonte si risvegliò. Nacque così l’idea di una nuova colorazione e la Federazione Speleologica Sarda si fece promotrice di questa nuova fase di ricerca per acquisire informazioni definitive sulle direzioni del drenaggio sotterraneo. Il 19 giugno 1999 vennero immessi 10 Kg di fluoresceina nel fiume, con una portata di circa 60 l/s, alla confluenza con Sa Funga ‘e S’Abba, mentre contemporaneamente si monitorarono le più importanti risorgenti al margine del


S’Edera nel 1997, il primo condotto di una certa importanza rinvenuto durante gli anni '90. Si tratta di una galleria ad andamento orizzontale, col pavimento inizialmente ricoperto da grossi blocchi; di sezione perlopiù triangolare, con unʼaltezza del soffitto intorno ai 10 metri. Percorsi circa 150 metri, quando il fondo diventa pianeggiante, si arriva nel “Campo”; superato facilmente un piccolo laghetto si giunge ad una corda pendente dal soffitto: una risalita di una decina di metri conduce al “Camion della Sabbia”, condotto secondario lungo un centinaio di metri esplorato e rilevato soltanto nel 2002. Più avanti, lungo il ramo principale, si osserva una zona caratterizzata dalla presenza di uno strato dʼargilla spessa e fortemente intrisa dʼacqua che, in determinate condizioni, dà origine a specie di sabbie mobili, nelle quali si può sprofondare sino allʼaltezza del ginocchio. Ancora oltre, in un tratto veramente particolare, un nastro di concrezione biancastra spicca, per contrasto, sullo scuro pavimento di argilla, formando un “fiume fossile” lungo 150 metri (il Fiume Bianco). In corrispondenza dellʼultima curva a NW della galleria, troviamo una serie di eccentriche, curiosamente orientate tutte nella stessa direzione. Il Cammino di Mondo termina in unʼampia sala occlusa da una frana, perlustrata con una certa attenzione diverse volte, senza risultati, ma che potrebbe comunque riservare la sorpresa di una prosecuzione. Numerose e brevi le diramazioni, tutte impostate lungo fratture con direzione NNWSSE. Ponendosi, allʼinterno del Salone delle Stelle, con le spalle rivolte al ramo di Mondo (e rivolgendosi quin Una delle profonde marmitta che caratterizzano il collettore prima della confluenza (Foto R. De Luca)

Supramonte (Gorropu e Su Gologone) ed una cavità con attività idrica (grotta Giuseppe Sardu). Il 5 settembre dello stesso anno, dopo circa 70 giorni e 21 Km di percorso sotterraneo in linea d’aria, l’acqua della risorgente di Su Gologone acquistò una colorazione verde menta. La presenza del colorante venne rilevata ad occhio nudo su spessori d’acqua ridotti. L’analisi fluorimetrica su un campione di carbone attivo immerso soltanto per tre ore confermò la presenza della fluoresceina. Rimarrà l’unico recapito positivo osservato, che manterrà il colore per diverse settimane (circa due mesi e mezzo). Questa prova stabilì in modo definitivo il collegamento tra l’Edera e la risorgente di Su Gologone. Da questo risultato il complesso Edera-Gologone è salito al vertice, per sviluppo lineare, nella classifica dei sistemi carsici italiani compresi tra un punto di assorbimento ed una emergenza sorgentizia, se si esclude quello Sloveno-Italo del Timavo. Il 4 novembre 2001 il Gruppo Archeo Speleo Ambientale Urzulei ed il Gruppo Speleo

Ambientale Sassari, nell’ambito della programmata attività di studio del bacino di alimentazione del torrente ipogeo di Mandara ‘e S’Uru Manna, diluirono 1 kg di fluoresceina nelle acque della risorgente di Badu Ogotza, a quota 850 metri, lungo il letto del Flumineddu. Quello stesso giorno venne posizionato un fluocaptore nel fiume di S’Edera, poco oltre la brusca deviazione ad E, prima della ciclopica frana. Il 21 dello stesso mese S’Edera non diede traccia del colorante, mentre conservò evidente quella di una piena recente che aveva portato il captore 20 cm più in alto rispetto alla sua originale collocazione (l’analisi fluorimetrica di un campione d’acqua prelevato a Mandara ‘e S’Uru Manna darà invece esito positivo). Nella primavera del 2002 la Federazione Speleologica Sarda avviò un secondo programma di tracciamento al quale ha partecipato anche il Prof. Bartolomeo Vigna del Politecnico di Torino: l’esperimento iniziò il 1 maggio e si

concluse a metà luglio monitorando costantemente la risorgente di Su Gologone e fornendo così ulteriori importanti dati sulle caratteristiche idrodinamiche del sistema. Infine, nell'autunno del 2002 il gruppo di speleologi cagliaritani da anni impegnato nella ricerca del collettore sotterraneo del Supramonte di Urzulei effettuò un'altra colorazione con fluoresceina da Badde Turreddu. Un’ultima osservazione: nell’effettuare gli studi idrogeologici, oltre a rimarcare esplicitamente l’importanza delle risorse idriche delle aree carsiche, si è ottenuto anche un risultato “indiretto”: la sensibilizzazione delle popolazioni nei confronti delle attività svolte dai gruppi speleologici. Laura Sanna, Salvatore Cabras

Speleologia 48

21


S’Edera di verso SW) si possono osservare, da sinistra verso destra, diverse diramazioni: una spaccatura verticale, che in realtà è soltanto la parte alta del Ramo di Destra, già conosciuto; un ingresso di forma triangolare, che dà accesso al cosiddetto “Ramo Scello”, lungo un centinaio di metri; un ampio finestrone di 8x15 m, raggiungibile con risalita, da cui poi si accede al Salone Gianmichele; un altro ingresso di forma allungata nel senso della verticale, che dà acceso a “Vado a funghi con Erminio” (sviluppo 325 m); infine un finestrone circolare in alto, raggiunto con risalita in artificiale di 20 m nellʼestate del '98 che dà accesso al “Salto dellʼAngelo” (sviluppo 252 m). Questi rami presentano tratti totalmente privi di concrezioni, con pavimenti ricoperti da uno spesso stra-

to di argilla, pareti di roccia spesso friabile e di consistenza farinosa in superficie, alternati a zone riccamente concrezionate, con pavimenti costituiti da colate calcitiche (come, per esempio, nel ramo “Valentina”). In entrambi i casi le morfologie sono piuttosto dissimili rispetto a quelle delle zone documentate nel vecchio rilievo, dove sono prevalenti gallerie e meandri interessati da scorrimento dʼacqua a pelo libero e scarsissimo concrezionamento. Tra queste diramazioni, merita unʼattenzione particolare il “Salone Gianmichele”, ambiente di enormi proporzioni (lʼasse principale è lungo circa 350 metri), situato anchʼesso ad un livello superiore rispetto al Ramo di Destra (mediamente + 40 m). Lʼintero salone ha una forma che ricorda vagamente (in pianta) un ellissoide allungato; in sezione, invece, si può osservare il particolare interessante della volta, dalla forma “a botte”, piuttosto regolare, che sprofonda verso E in direzione del Ramo di Destra, che costituisce in ultima analisi un unico ambiente con il salone stesso. Nella parte iniziale, in direzione W, si osserva una zona costituita da enormi colate calcitiche e da una serie di vaschette, con la volta alta alcune decine di metri (La Pigna Calada); proseguendo in direzione S, lungo lʼasse maggiore del salone, si attraversa una zona con il pavimento costituito da massi di crollo in precario equilibrio, tra i quali è facile rinvenire meravigliose infiorescenze calcitiche o aragonitiche. In direzione E, invece, il pavimento è costituito da una serie di gradoni, formatisi in seguito ad una intensa fratturazione della roccia, mentre lʼaltezza della volta diminuisce drasticamente, sino ad arrivare a circa un metro da terra (Montezuma); nel pavimento stesso sono presenti numerose spaccature verticali, larghe poco meno di un metro, di scarso interesse esplorativo. Volendo proseguire ancora in questa direzione, con lʼaiuto di una corda, si giungerebbe, più in basso, sino al fiume (Ramo

Ubicazione di Sa Rutta 'e S'Edera (Urzulei, Sardegna centro-orientale). Il sistema carsico, che si sviluppa interamente nelle rocce carbonatiche di Serra Lodunu, costituisce il più importante collettore ipogeo attualmente conosciuto nel Supramonte meridionale.

22


S’Edera di Destra). Proseguendo invece lungo lʼasse principale del salone, in direzione S, si attraversa una caratteristica distesa pianeggiante di argilla (Piazza dʼArmi), molto estesa, al termine della quale ci si affaccia su un ripido pendio. Da qui si può udire distintamente il rumore di un corso dʼacqua: si tratta sempre del “vecchio ramo”, con lʼimportante novità che, scendendo sul pendio anzidetto, si riesce ad oltrepassare quella che prima veniva considerata la frana terminale del Ramo di Destra. Lʼesplorazione di questo tratto “a monte”, resa difficoltosa da una serie di strettoie e massi pericolanti in frana, si è arrestata dopo poco più di cento metri; in questo tratto abbiamo potuto osservare anche una significativa diminuzione della portata del ruscello - pur considerevole alcune centinaia di metri più a valle - ed una diversa morfologia: non siamo più in presenza di una evidente galleria vadosa, ma soltanto di un ambiente di frana con scorrimento idrico. Pare verosimile lʼipotesi dei primi esploratori, secondo i quali tale affluente raccoglierebbe le acque provenienti dalle rocce cristalline presenti ad E di Serra Lodunu, ed infiltratesi direttamente negli strati di dolomia. Risalito il pendio che conduce al fiume, si prosegue, in direzione S, percorrendo la parte finale del salone, passando su giganteschi blocchi di frana. Siamo ad una quota di circa 50 m sopra il livello del fiume, e in questa zona in particolare possiamo apprezzare la volta dalla caratteristica forma semicircolare. Nella parte finale del salone è stato possibile effettuare una ulteriore facile risalita tra i massi ed una stretta colata calcitica (sempre in direzione S). Qui, su un terrazzino, è stato rinvenuto il cadavere di un animale (un maialetto lungo circa 50 cm) precipitato evidentemente dallʼesterno e che, quindi, indica la possibilità di un secondo ingresso. Come già accennato, lʼingresso costituirebbe una importante svolta per le future esplorazioni: permettendo di giungere più celermente in zone remote della cavità, ma soprattutto consentirebbe lʼaccesso anche durante il periodo delle piene invernali. Tuttavia, alcuni tentativi (non semplici) di risalita dallʼinterno e varie battute esterne non hanno sinora permesso di coronare questo sogno. Andrea Scano

Canoseubeniuinnoipocantaiatenore e dintorni Le varie ricognizioni effettuate lungo il collettore principale, a partire dalla Confluenza sino ad arrivare alla zona della frana terminale, avevano lo scopo principale di tentare di intercettare quel reticolo di gallerie (della cui esistenza si era ormai certi) che potesse ricongiungersi al fiume, più a valle, oltrepassando la frana stessa. Questi rami trovati a partire da una zona vicinissima alla frana (punto 171 del vecchio rilievo) dopo vari tentativi infruttuosi lungo la galleria principale, si sviluppano prevalentemente in direzione SSW. Per raggiungerli si arrampica per una trentina di metri sulla parete E, in corrispondenza del punto 171, sino a giungere ad uno slargo che fa intuire la possibilità di una prosecuzione. Contrariamente alle nostre aspettative, questi ambienti non oltrepassano minimamente verso N lʼarea della frana terminale, nonostante le

Le concrezioni all'ingresso del "Passaggio delle Fatte" preludono agli ambienti concrezionati della "Sala da Thè" e di "Canoseubeniuinnoipocantaiatenore"(Foto V. Crobu)

numerose perlustrazioni svolte in tal senso nella zona più promettente, denominata “Suzza”. In questʼultimo tratto le possibili prosecuzioni verso N sono interrotte da restringimenti con detriti e terriccio, ad unʼaltezza di 50 metri rispetto al fiume e nelle immediate vicinanze della frana. Si tratta comunque di ambienti con morfologie simili a quelle già riscontrate negli altri “rami nuovi”: sale riccamente concrezionate, con pavimenti perlopiù costituiti da grossi massi di crollo, in buona parte ricoperti da colate calcitiche e talvolta da uno spesso strato di argilla. A tratti si riconoscono evidenti segmenti di gallerie vadose, come nella zona presso “Cracca Dimoniu”. Dopo aver effettuato un traverso su corda e sceso un pozzetto di 8 m, ci si affaccia su una ampia sala con massi di crollo (Succhiandiamo), alla quale si accede ancora con un breve salto in corda (anche se oggi si arriva più facilmente ai rami alti per mezzo dei passaggi descritti più avanti). Da qui si raggiunge il fiume presso il punto 165 (vecchio rilievo) mantenendosi in basso e in direzione W, attraverso passaggi tra massi. Ugualmente si può scendere su corda sino alla breve galleria che conduce al punto 171 del vecchio rilievo. Dal lato S della sala un improbabile passaggio tra massi ci ha condotto ad un altrettanto improbabile cunicolo, sempre tra massi di frana. Dopo circa 40 metri; oltrepassando una difficile strettoia in salita (Strettulis) siamo giunti ad ambienti nuovamen-

Speleologia 48

23


Vasche stalagmitiche con concrezioni subacquee a "Canoseubeniuinnoipocantaiatenore" (Foto V. Crobu)

te molto ampi e concrezionati; la zona è stata denominata “Mmh” e, sebbene la direzione di questa galleria fosse esattamente opposta rispetto a quella desiderata, la sua prosecuzione ci ha portato in ambienti di dimensioni veramente ragguardevoli. Infatti la frana seguente (“Brutti, sporchi e cattivi”) ha permesso finalmente di accedere ad una bella galleria di notevole ampiezza, larga sino a 50 metri, con soffitti alti anche più di 20 metri ed ulteriori possibilità di prosecuzione. Questa zona è stata battezzata “Canoseubeniuinnoipocantaiatenore”, per sottolinearne la bellezza e lʼimportanza. Una frana situata a circa metà dello sviluppo della galleria segna il punto di massimo dislivello rispetto al fiume: + 90 m circa, con possibile prosecuzione verso lʼalto. Eʼ da segnalare che inizialmente questa zona era stata denominata “VMS”, sigla che compare anche in alcuni articoli indicati in bibliografia. Proseguendo in direzione SSW si giunge alla maestosa e ben concrezionata “Sala da Thè”, quindi si attraversano delle gallerie impostate lungo evidenti fratture, larghe mediamente 2/3 m, con soffitti talvolta piuttosto bassi (“Passaggio delle Fatte”, “Tana del Luppo”), giungendo inaspettatamente al fiume, in una zona a monte della Confluenza, non lontano dal punto 104 del vecchio rilievo. Eʼ interessante osservare che i primi esploratori, descrivendo la frana presso la Confluenza, la ritenessero il punto di incontro di tre gallerie: il ramo di

24

SʼEdera, il Ramo di Destra ed un terzo ramo proveniente da W, percorribile con difficoltà per poche decine di metri a causa di grossi massi di dolomia e cumuli di detriti scistosi. Ebbene, questo ramo proveniente da W, poco oltre la frana anzidetta, comunica con il “Passaggio delle Fatte”. I rami appena descritti, partendo dalla zona della frana terminale sino al passaggio presso il punto 104, hanno uno sviluppo di poco superiore al chilometro e mantengono, di massima, lʼandamento NNE – SSW caratteristico del ramo principale prima della Confluenza. Vittorio Crobu, Andrea Scano


S’Edera Presso il "Passaggio delle Fatte" alcune vasche stalagmitiche rimangono piene durante tutto l'anno, consentendo un campo interno avanzato nella vicina "Sala da Thè" (Foto V. Crobu)

Speleologia 48

25


La frana terminale la galleria, sempre più ampia, è solcata da un placido corso d’acqua dalle sponde sabbiose. (Foto R. De Luca)

A monte della Grande Marmitta Nel corso del 2002 diverse uscite, bloccate dal maltempo, hanno "costretto" gli esploratori a perlustrare meglio le parti iniziali dell'Edera, prima del Salto della Grande Marmitta, con interessanti risultati. A monte della Marmitta, infatti, si sviluppa una serie di gallerie basse e talvolta anguste di cui la più grande è stagionalmente percorsa da un piccolo torrente che proviene dagli inghiottitoi dell'Iscra Olidanesa gettandosi con una fragorosa cascata nel pozzo della Grande Marmitta. Lo sviluppo di questi rami si aggira intorno ai 450 metri. Più a monte nella galleria principale, sotto il secondo pozzo, un'altra breve diramazione porta sempre in direzione dell'Iscra Olidanesa. Anche questa breve galleria, inizialmente bassa, poi più ampia, è caratterizzata da un fondo ricoperto da ciottoli fluviali e diventa attiva dopo consistenti piogge. Jo De Waele

La Frana Terminale e il ramo dei “Bucali Stivati” Ci sarà una cura contro la “frana terminale”? Sembra proprio sia stata trovata! Ora non è più terminale. A dirla così sembra più il nome di una brutta malattia che non quello della condizione, spesso constata in una grotta, che, se non la blocca, sicuramente ne limita fortemente lʼesplorazione. Certo che, se non proprio una malattia, per moltissimi speleologi è stata un chiodo fisso, quasi un incubo. Si era sicuri che dietro quei massi giganteschi la grotta continuava, ma proprio …non cʼera verso! Prima di raccontarvi la storia di questo successo esplorativo, vogliamo innanzi tutto rendere merito e ringraziare tutti quelli che ci provarono già dalla fine degli anni sessanta; tutti hanno dato il loro contributo con i rilievi, i sacrifici e anche le frecce incise che spesso ci hanno guidato in quel caos di rocce. Già nellʼagosto 2002, con una squadra composta da speleologi provenienti da vari gruppi della Sardegna e persino da un gruppo francese (Lucio Mereu, Jo De Waele, Sandro Sulis, Salvatore Cabras, Vittorio Crobu, Riccardo De Lucca, Carla Corongiu, Gianluca Melis, Silvia Arrica, Roberta Siddi, Yvan Robin, Gilles Bost, Vincent Darras e Anne Martelat) abbiamo provato a curare in maniera sistematica la

26

“malattia”. Ma, proprio quando le cose sembrano procedere per il meglio, la piena di un sifone proveniente dallʼinghiottitoio de “Sa Funga e sʼAbba” ci “siringa” in frana una quantità incredibile dʼacqua che ci fa desistere, almeno per quellʼanno, dal proseguire lʼesplorazione. Comunque, già nel giugno 2003, con una nuova équipe di speleologi provenienti da vari gruppi della Sardegna - il che sta ad indicare uno sforzo comune e un modo di fare speleologia sempre auspicabile armata di grande entusiasmo e di unʼattrezzatura adeguata per le varie difficoltà che pensiamo si possano presentate, sferriamo lʼennesimo attacco a quella benedetissima frana. Entriamo in grotta fin dal venerdì sera e, dopo una sostanziosa cenetta, ci apprestiamo a passare la nottata al campo “H2O” per essere freschi e riposati in vista delle fatiche che inevitabilmente ci attenderanno lʼindomani. Già due ore dopo la sveglia, infatti, ci sguinzagliamo allʼinterno della frana, ognuno con i propri compiti precisi. Lʼorganizzazione, a mio parere, è perfetta: quattro avanti in esplorazione, due seguono piazzando un filo dʼArianna e tre fanno il rilievo. Sento dentro di me che questa può essere la volta buona. Tutti i lavori, compreso quello dʼesplorazione, proseguono per quasi sette ore, in cui si alternano gioie e delusioni. Lʼunica costante è una fatica boia, il freddo, ma anche una difficile progressione fra quei blocchi caotici, inframmezzati ogni tanto dallʼacqua che ci costringe ad un bagnetto. Quando ormai il “complesso del criceto” incombe su di noi, tanto abbiamo girato su e giù tra quei massi, ecco che, tra due di questi, disposti in precario equilibrio, intravediamo un passaggio che non sembra la solita frana. Forse è solo lʼimpressione, o forse la voglia di cambiare minestra. In ogni caso quella strettoia così come si presenta è impraticabile ma, con le “medicine” adatte, anche quellʼostacolo viene presto superato. Compiuti (o strascicati) i primi passi oltre quel passaggio, ci accorgiamo subito che la musica è cambiata. La grotta ha improvvisamente assunto un altro aspetto. Davanti a noi cʼè un laghetto lungo una quindicina di metri e largo circa sei, con le pareti strapiombanti e una piccola cengetta sulla sinistra. Ma quello che ci colpisce più di tutto e che fa erompere un grido di esultanza dalle nostre gole è che non si vedono più gli onnipresenti massi di frana che ci hanno accompagnato e sovrastato per più di otto ore.


S’Edera La frana è stata superata. La frana non è più “terminale”. Il paziente è stato “curato”. La fase successiva sembra più lʼattraversamento di un paesaggio incantato che non lʼesplorazione di una grotta dura e selvaggia come lʼEdera. Difatti mentre il più avanzato degli esploratori si ostina a scalare la cengetta per non bagnarsi - gli altri, gridando come ossessi, guadano velocemente il freddissimo laghetto; incuranti delle invocazioni sempre più lontane di quel primo esploratore che, ancora asciutto là sulla cengia, li esorta ad aspettarlo. A quel primo laghetto ne seguono altri mentre la galleria, ora sempre più ampia, è solcata da un placido corso dʼacqua dalle sponde sabbiose. Lʼampiezza di quei banchi di sabbia ci fa pensare che probabilmente quello non era, o non sarebbe sempre stato, un placido fiumiciattolo. Passato lʼentusiasmo iniziale, una volta tutti nuovamente riuniti, ci rendiamo solo allora veramente conto delle possibilità esplorative di quegli ambienti “post-frana”. La galleria è veramente ampia, ma quello che ci fa sognare sono i vasti ambienti fossili che sʼintravedono lassù in alto. Andiamo così avanti,

35 anni fa sul Supramonte di Urzulei Per prima cosa un grazie agli amici sardi e non sardi che nell’entusiasmo delle nuove esplorazioni si ricordano di coloro che per primi trentacinque anni fa si inoltrarono nell’Edera. Non capita spesso. Jo mi chiede: “Quali erano i tuoi/vostri pensieri di fronte alla frana terminale di Sa Rutta ‘E S’Edera?” Difficile è riportarsi con la mente alle condizioni di allora, ma certamente posso affermare che tentammo di tutto; lato destro, lato sinistro, alto al centro per filtrare in eventuali caverne di crollo rasenti alla volta. Era infatti logico ipotizzare che, superando l’ostacolo, al di là ci fosse ben altro. Bagnati e infreddoliti, a corto di tempo e di viveri dovemmo rinunciare anche la terza volta, e negli anni successivi, per gravi lutti che avevano colpito il Gruppo di Faenza, non tornammo con la stessa frequenza. In quel 1969 come sempre, arrivando in Sardegna, puntiamo a Urzulei dove Assorgia con l’aiuto del Sindaco ci riserva un vecchio garage per depositare i materiali (sempre voluminosi). Un saluto alla famiglia Mesina, amici di vecchia data, e su nel Sopramonte. Le auto faticosamente ci portano al margine Nord/Ovest di Planu Campu Oddeu. Oltre si va a piedi con più di un carico a testa. Una deviazione al Cuile Su Fumigosu dei Mesina è d’obbligo. All’interno, seduto su uno sgabello, c’è l’anziano Giuseppe Mesina, il patriarca, che anno dopo anno si mantiene aggiornato sui fatti del mondo con intelligente curiosità. Anni prima, in occasione di una nostra visita, nello stesso cuile, ci eravamo conosciuti.

camminando sul letto del fiume o attraversando altri laghetti, per quasi 450 metri finché ci accorgiamo che la volta inizia ad abbassarsi. Brutto segno! Pensiamo quasi di poter correre per quelle gallerie allʼinfinito, ma non è così. Una trentina di metri più avanti, un bel laghetto chiuso fra pareti ci segnala che la pacchia è finita. Il fiume sifona. Eʼ il sifone terminale nord dellʼEdera. Abbiamo appena finito con una “frana terminale” per ritrovarci con un “sifone terminale”. Guardando verso quelle gallerie fossili ancora da esplorare che lo sovrastano, pensiamo in cuor nostro che forse là si trova la “cura” anche per lui. Allʼinizio la vista di quel sifone ci lascia un poʼ delusi, ma poi lʼeuforia ci riprende quando ci rendiamo conto che non sarà altro che lʼinizio di una nuova sfida. Questo è il bello della speleologia: se tutto fosse facile e scontato non sarebbe più la stessa cosa …non avrebbe più lo stesso sapore. Ci apprestiamo a rientrare al campo. Siamo stanchi, infreddoliti e bagnati fino allʼosso, dopo quasi dodici ore di punta e ce ne vogliono ancora almeno altre tre o quattro per rientrare. Qualcuno si lamenta persino dʼavere gli stivali bucati, ma forse lo pensa solamen-

Stavamo ultimando le esplorazioni nel complesso Orbisi/Donini e, come sempre, volevamo allargare le nostre conoscenze sul territorio circostante. Parlammo a lungo delle acque sotterranee che noi vedevamo in grande quantità in contrasto con la penuria della superficie. Allora la pastorizia era ben diversa. Il pastore presidiava e seguiva il gregge giorno e notte ed il Sopramonte era raggiungibile solo a piedi o con l’asino. L’acqua era un bene prezioso soprattutto per il bestiame. Mesina padre, nel cuile, ci ascoltava con attenzione e rivelava di tanto in tanto nuovi possibili luoghi di ricerca. Guidati da suo figlio “Ciccio” Antonio, Andrea Morisi ed io controllammo per giorni le nurre, gli anfratti, i pertugi dell’Iscra Olidanesa e dell’aspra Serra Lodunu, ipotizzando quale poteva essere la circolazione ipogea delle acque in quella zona e teorizzandone, ancor prima dell’esplorazione, il probabile percorso. Una seppur remota idea era quella di poterne far risorgere, con qualche artifizio, una parte in vicinanza del cuile. Quell’anno il campo fu posto presso Funtana Saguilargia e di notte si vedevano i fuochi dei Baschi Verdi in Campu su Mudercu in territorio di Orgosolo per il presidio antibanditismo. Erano tempi caldi.

Il recinto dell’orto presso l’entrata di Sa Edera era l’ultima roccaforte per arginare le incursioni dei maiali, delle capre e delle vacche sui nostri materiali di esplorazione. Eravamo in buon numero, convinti più che mai di concretizzare le teorie a lungo elaborate. Non voglio e non posso ricordare i nomi dei presenti, doloroso sarebbe dimenticarne qualcuno. Non sempre i sogni si realizzano ed in questo caso le difficili condizioni esplorative, il tempo disponibile e l’avanzare dell’asfalto (positivo?) non hanno lasciato tradurre in pratica queste nostre fantasticherie, ma la speleologia non è solo scienza, spesso è anche fantasia. Pier Paolo Biondi Gruppo Speleologico Faentino Giuseppe Mesina ci ascoltava con attenzione...

Speleologia 48

27


S’Edera

È TERRA INCOGNITA (ETI) 8 Agosto 2003, ore 22h00 Lascio i compagni per un massimo di 3 ore con un bi-7 litri; obiettivo è l’esplorazione del sifone a monte della grotta dell’Edera (arrivo di Sa Fung’e s’Abba). L’acqua è limpida, ma i sedimenti neri ricchi di materiale organico si sollevano in fretta. Il sifone è sorprendentemente corto, con un passaggio basso (altezza galleria 1 m) dopo pochi metri, a profondità di -3,5 metri. Dopo questa sorta di lama, il soffitto si rialza immediatamente ponendo termine al sifone (11 m, -3,5 m). La galleria, percorribile a nuoto ed intersecata da diaclasi impostate su faglie in direzione NS (che rallentano l’esplorazione alla ricerca della prosecuzione giusta), continua in direzione NW con una larghezza costante e con un’altezza di una diecina di metri. Tiro il filo d’Arianna sulla superficie del lago fino all’imboccatura del secondo sifone. Questo scende 4 metri, ma si può passare seguendo il soffitto a -1,5 metri lungo la diaclasi sommersa larga circa 1 m. Sbuco in un’ampia vasca ed entro in una galleria larga 6-7 metri ed alta almeno 20 ritrovandomi presto in una sorta di grossa frana. Ma riesco comunque a seguire il fiume sulla destra, in mezzo ai blocchi, proseguendo attraverso passaggi acquatici per quasi cento metri. Finalmente la frana, comunque di facile percorribilità, finisce e mi si aprono davanti due possibilità: una bella galleria fossile sulla sinistra ed una più stretta forra-meandro attivo alto una quindicina di metri sulla destra. Dopo aver percorso una diecina di metri nella galleria fossile decido di tornare indietro per ispezionare il ramo attivo, più interessante. Proseguo, talvolta in opposizione talvolta a nuoto, lungo questo meandro largo mediamente meno d’un metro, e dopo circa 100 metri la galleria si allarga ed entro nuovamente in una sorta di frana. Qui decido di tornare perché il tempo è passato inesorabilmente, facendo un disegno dei rami finora esplorati. Alle 00h30 raggiungo i miei compagni ghiacciati. Lascio le mie due 7 litri al sifone (intanto tornerò) e, tra una chiacchierata e l’altra, arriviamo al campo H2O alle 3h30. 14 agosto 2003 Questa volta ritorno ad esplorare il sifone di Sa Fung’e s’Abba in compagnia: con Sylvestre: infatti, abbiamo l’intenzione di fare due immersioni successive con bivacco interno al campo H2O. Siamo accompagnati da diversi portatori che si caricano 2 quattro litri ed il materiale subacqueo e da bivacco. Passiamo il primo sifone senza problemi, ma durante la nuotata, prima di raggiungere il secondo sifone, salta una delle guarnizioni di alta pressione del primo stadio (il sinistro). Resto con una bombola che normalmente significa il ritorno. Ma conosco il sifone ed il fatto di averlo topografato la prima volta mi rassicura: è veramente corto e confortevole. Ma sì, al diavolo, proseguiamo l’esplorazione e così riprendiamo il rilievo da dove mi sono fermato. La galleria fossile si ferma su concrezioni, argille e vasche stalagmitiche con perle di grotta. A questo punto riprendiamo ad esplorare e rilevare il meandro attivo. Un semi-sifone quasi c’inganna, ma passiamo ogni ostacolo e l’ambiente si fa via via più grande. Alla fine la galleria attiva, sempre più larga, è cosparsa di grossi macigni e l’acqua continua a levigare i ciottoli di scisto e di quarzo. Le concrezioni, anche imponenti, iniziano a sembrare piccole. Arriviamo ad un bivio dove l’ambiente diventa talmente ampio che la cordella metrica da venti non basta più, facendoci perdere la testa. Qui, dopo una piccola pausa di riflessione, siamo costretti a salire sui blocchi lasciando il fiume che s’infila sotto delle concrezioni. Salendo su macigni giganteschi, difficili da scalare con le mute in neoprene, la luce delle nostre lampade si perde nel buio più totale … un immenso vuoto alto più di 50 metri sembra proseguire. Decidiamo invece di scendere nuovamente verso il fiume che ritroviamo scorrere in un’ampia galleria. Proseguiamo stupefatti per oltre 600 metri, su vasche stalagmitiche e su ciottoli arrotondati, senza alcuna difficoltà. Per oggi basta, lasciamo un omino di pietra e torniamo indietro. Sulla via di ritorno sbagliamo strada e ci ritroviamo in un affluente non visto all’andata che viene probabilmente dall’inghiottitoio di Sa Fung’e s’Abba. Questo affluente rappresenta un terzo dell’intera portata del fiume!! Rientriamo senza problemi (con una bombola soltanto), ma comunque in piena sicurezza, felici delle scoperte fatte e lasciamo tutte le bombole, ancora piene, all’imbocco del sifone per una prossima esplorazione. Dopo una bella notte tranquilla sottoterra (in estate si dorme meglio in grotta) usciamo per riparare il materiale

28

16 agosto 2003 I racconti delle scoperte fatte galvanizzano il resto del branco speleologico e si decide di entrare in massa all’Edera per cercare di svuotare, in qualche modo, il sifone. Con Sylvestre entriamo già il 15 sera (dormiamo dentro al Campo H2O) e riattacchiamo il sifone la mattina del 16 agosto, mentre gli altri, entrati la mattina del 16, tentano di svuotarlo (questo tentativo avrà scarso risultato). Andiamo direttamente al grande salone scoperto due giorni fa (Salone Jules Verne) e riprendiamo il rilievo del fiume. Poco più avanti notiamo sulla destra un altro accesso alla grande sala che ci sovrasta. Questa volta decidiamo di esplorare questo gigantesco vacuo per renderci conto delle sue dimensioni. Dopo avere scalato una colata di calcite parzialmente coperta di fango sbuchiamo nell’ambiente immenso, più di 100 metri di lunghezza, largo almeno una cinquantina ed alto almeno 70 metri lungo parete N. La sala, tappezzata da sedimenti fini neri (sabbie frammiste ad argille) ritorna verso il fiume attraverso l’accesso visto precedentemente, mentre una grande colonna troneggia al centro. Quest’ultima, situata nel lato S del salone, è alta una ventina di metri e larga 5. Un’altra enorme colata, bianca ed arancione decora la parete N creando, insieme a tutto il resto, un paesaggio degno delle avventure di Jules Verne. Ma il tempo è tiranno e lasciamo questi ambienti fossili che spariscono nel buio e nell’ignoto per ridiscendere al fiume e proseguire il rilievo. Superiamo un lungo lago a nuoto fino ad una curva a sinistra, dove proseguiamo diritti per seguire l’affluente che porterebbe diritti a Sa Funga ’e s’Abba, caratterizzato da una forte corrente d’aria di 0,5 m.s-1 in uscita. Dopo circa 200 metri una grande colata stalagmitica ostruisce parzialmente la sezione


S’Edera

Ma ormai è ora di tornare indietro per evitare di creare inutili allarmi. della galleria: per proseguire bisognerebbe abbassarsi oppure scalare alcuni Interrompiamo il rilievo e decidiamo di andare a vedere per 20 minuti come metri. Approfittiamo di questa scusa e decidiamo di tornare al collettore per prosegue la grotta. proseguire il rilievo in direzione S. La galleria del collettore mantiene dimenLa galleria diventa più bassa e prende la forma di condotta forzata impostata sioni di 5-6 metri di larghezza per 20-30 di altezza e si presenta con sezione su interstrato, con passaggi in roccia pura (senza ciottoli sul pavimento). La rettangolare. Ormai, come dei robot, misuriamo spezzoni di poligonale a pendenza sembra leggermente aumentare. Una frana ostruisce parzialmente colpi di venti metri, sempre in direzione S. Dopo cento metri circa il fiume la galleria lasciando spazio in alto ad una piccola sala di 20 x 30 metri. diventa un meandro con due curve dalle quali partono altrettante diramazioSaliamo nella sala e subito dopo ridiscendiamo al ni fossili. In corrispondenza delle curve, dune di sabfiume che prosegue formando dei piccoli meandri. bia e ciottoli coprono il pavimento e sono parzialSulla sinistra troviamo diversi arrivi d’acqua di cui mente ricoperti da colate e vaschette che provenuno esplorato per una diecina di metri mentre gli gono dalle gallerie superiori. Altri cento metri ed il altri due sifonano oppure sono ostruiti da sabbia. fiume s’infila nuovamente in un meandro, questa Poco dopo una piccola frana ferma la nostra esplovolta caratterizzato da grossi macigni che provengorazione, eppure sembra facile da passare … ma è no da ambienti più larghi in alto. Man mano che si va tardi! Lasciamo un omino di pietra ed una piccola avanti la galleria diventa più piccola mentre aumenta scritta su un ciottolo, … per la storia. la quantità di concrezioni e di colate. Queste conPoco più di un ora più tardi siamo nuovamente ai crezioni riempiono la parte superiore della galleria: sifoni che superiamo senza problemi. Decidiamo di noi ci passiamo sotto ammirando un soffitto perfetportare fuori già parte del nostro materiale perché tamente piatto (stiamo guardando la concrezione già domani alcuni di noi torneranno già in Francia. Ci dal basso!!) circa 1-2 metri sopra le nostre teste, vorrà un’altra spedizione per portare fuori il resto, caratterizzato dalle bande di accrescimento delle una quindicina di chili a testa ma, visti i risultati ottecolate soprastanti. Le vasche d’acqua diventano semnuti, il materiale sembra pesare molto, molto meno. pre più frequenti e la galleria prende la forma del Vincent e Sylvestre in un momento di “buco di serratura” con in alto una galleria a sezione sosta post-sifone (Foto V. Ligner) Vincent Lignier ovale impostata su giunto di strato, eroso alla base.

Speleologia 48

29


S’Edera te tanto è affaticato, e qualcun altro giura (non si sa se sia poi lui, altrettanto stanco, a recepirlo così) dʼaver sentito uscire dalla sua bocca le parole “Ho tutti gli bucali stivati” Da lì il nome dato a quel bellissimo ramo in onore allʼentusiasmo e alle fatiche di un appassionato gruppo di speleologi e, soprattutto, di amici. Lucio Mereu

LA TELA DI PENELOPE DEGLI ESPLORATORI: I RILIEVI Nel corso delle esplorazioni degli ultimi dieci anni sono stati rilevati i tratti nuovi, seguendo le classiche e collaudate metodologie speleologiche che danno una più o meno accettabile precisione. Vari tratti nuovi di grotta sono stati rilevati più volte, in modo tale da controllare eventuali errori e soprattutto far chiudere le poligonali, aumentando così l'affidabilità dei nostri rilievi. Nella sovrapposizione dei rilievi dei nuovi rami su quello originale del 1969, tuttavia, si sono riscontrate notevoli difficoltà, causate da tutta una serie di motivi, tra cui differenze di attrezzature (bussole), deviazioni del Nord magnetico, imprecisioni varie.

Soprattutto il ramo Canoseubeniuinnoipo cantaiatenore - che parte dal punto 104 del vecchio rilievo e termina nei due punti 165 e 171 formando, quindi, una specie di poligonale chiusa che si sviluppa per quasi 2 km - ha consentito purtroppo di constatare grosse divergenze tra i due rilievi. Lʼinevitabile misurazione di una nuova poligonale nei rami principali del sistema carsico ha fortunatamente corretto questi errori che risiedevano soprattutto nei dislivelli e, conseguentemente ha cambiato in modo sostanziale anche la planimetria.

UN PO’ DI TEMPERATURE Durante vari campi interni sono state effettuate misurazioni di temperatura dell'aria con un Termometro Digitale Testo 110 con precisione al decimo di grado. A maggio 2002 la temperatura al Campo H2O era di 10,9 °C (sia nella terra che nell'acqua), mentre nella frana terminale del Ramo di Mondo saliva fino a 11,5 °C. Nel fiume del Ramo di Destra, invece, l'acqua e l'aria si trovavano alla stessa temperatura del Campo (10,9°C), mentre andando verso l'uscita tendeva a scendere per raggiungere 8,7°C all'attacco del Ramo fossile "Canoseubeniuinnoipocantaiatenore" e 8,8°C alla base della Grande Marmitta. Nella "Sala da Thè" una cinquantina di metri sopra il collettore la temperatura saliva nuovamente a 10,1 °C. L'acqua esterna del Iscra Olidanesa, verso le 15:00 di pomeriggio, era di 17,0 °C. Le correnti d'aria quel giorno erano in entrata e percorrevano tutta la grotta dall'ingresso verso la frana terminale. Anche il ramo di destra mostrava aria in entrata, dal Salone delle Stelle alla Confluenza, come era logico aspettarsi. Nel Ramo di Mondo la situazione era un po' strana: l'aria si dirigeva fino al Campo, lo superava e s'infilava nella risalita del Camion di Sabbia. Da questa risalita verso il fondo del Ramo di Mondo, invece, si andava incontro all'aria, fino alla frana terminale. Ciò testimonierebbe un collegamento tra il "Camion di Sabbia" con altri rami,

Temperatura dell’aria nella Grotta dell’Edera

Progressione lungo il canyon a valle del primo sifone (Foto S. Condamin)

30

Data

Punto di misura

Temp. (°C)

12/05/2002

Base della Grande Marmitta

8,8

12/05/2002

Base dell’attacco Tana del Luppo

8,7

12/05/2002

Fiume ramo di destra (a 100 m dalla confluenza)

12/05/2002

Campo H2O

10,9

12/05/2002

Cammino di Mondo

10,1

12/05/2002

Fine Fiume Bianco

11,5

12/05/2002

Frana finale Cammino di Mondo

11,4

28/06/2003

Campo H2O

11,1

28/06/2003

Collettore a 100 m dalla frana terminale

10,7

28/06/2003

Inizio della frana

10,0

28/06/2003

In frana (100 metri dentro)

11,1

26/07/2003

Sifone terminale

10,9

10,9


S’Edera Cronologia delle esplorazioni a Sa Rutta ‘e s’Edera

probabilmente con lo stesso collettore oppure con "Canoseubeniuinnoipocantaiatenore". Lungo il percorso di quest'ultimo ramo fossile l'aria era sempre diretta verso N e si infilava nella frana terminale. Fine giugno 2003 la temperatura al Campo H2O è leggermente superiore (11,1 °C) rispetto alla primavera dellʼanno precedente, mentre lʼaria nel collettore a 100 metri dalla frana si mantiene a 10,7 °C, valore che scende a 10,0 allʼaltezza dellʼacqua allʼinizio della frana. Dentro la frana, invece, negli ambienti tra i massi lontano dallʼacqua la temperatura sale a 11,1 °C (probabilmente dovuto anche al passaggio di 9 speleologi in questi ambienti stretti). In piena estate lʼampio ambiente poco prima del sifone terminale a valle registra una temperatura di 10,9 °C.

LA FAUNA DI SA RUTTA ’E S’EDERA I primi dati faunistici di Sa Rutta ‘e s’Edera si devono a A. Assorgia (A.S. Iglesiente) nel luglio 1967, in occasione dell’esplorazione del vasto sistema carsico. Successivamente la grotta è stata oggetto di puntuali ricognizioni biospeleologiche da parte di S. Puddu (S.C. Cagliari) e F. Cassola nel settembre 1968 e nell’aprile 1969 (Stefani, 1969; Assorgia et al., 1973; Beier, 1973; Puddu & Pirodda, 1974; Strasser, 1974; Cassola, 1982; Bordoni, 1982), di P. De Laurentiis nell’agosto 1969, di A. Casale, A. Gobetti e A. Longhetto (G.S. Piemontese CAI-UGET Torino) nell’agosto 1970 (Casale, 1969; 1970a, b; Argano & Rampini, 1973) e di C. Carta negli stessi anni (Carta, 1974). Nell’agosto 1979 e 1983 anche il G.S. Sassarese (S. Cossu, R. Loru e M. Mucedda) effettua ricerche a S’Edera con la raccolta di alcuni campioni faunistici. Tra il 1985 ed il 1990, nuove pro-

RINGRAZIAMENTI Questo lavoro è stato possibile grazie alla determinazione di moltissimi speleologi, prima di tutto quelli del Gruppo Grotte Cagliari CAI, successivamente tutti coloro che hanno partecipato alle esplorazioni che via via si stanno configurando sempre più trasversali. Con lavori di questa portata, in cui a fianco alla documentazione speleologica (rilievi, descrizioni, fotografie ecc.) si effettuano anche studi scientifici (colorazioni, biospeleologia, geologia ecc.) la speleologia con la S maiuscola si propone in primo piano nello studio del territorio. Per la stesura dei rilievi, fatti con sistemi CAD, gli Autori vogliono ringraziare in modo particolare Nicola Ibba e Isacco Curreli dell'Unione Speleologica Cagliaritana. Per il tracciamento delle acque si ringraziano la Federazione Speleologica Sarda e tutti gli speleologi che vi hanno partecipato, oltre che il Prof. Bartolomeo Vigna del Politecnico di Torino che ha messo a disposizione degli speleologi sardi la sua lunga esperienza scientifica in materia e la strumentazione per il monitoraggio in continuo.

spezioni sono svolte da A. Casale e P. M. Giachino, talvolta con esiti scarsi a causa delle condizioni esterne di clima caldo e di secchezza del primo tratto della cavità (Casale, 1985; 1986; 1988; Casale & Giachino, 1988). Più di recente, nel luglio 1990 G. Trezzi (G.G. Milano CAI-SEM) compie una visita alla grotta (Trezzi, 1992). Ancora nell’ottobre 1993 ed in date successive M. Mucedda e coll. (GSS) svolgono osservazioni sui Chirotteri (Mucedda et al., 1995). Infine, durante le ultime esplorazioni del 2002 sono state fatte ulteriori osservazioni sulla fauna della grotta. Allo stato attuale la fauna conosciuta di Sa Rutta ‘e s’Edera è rappresentata dai seguenti gruppi animali: Crostacei (Isopodi), Aracnidi (Pseudoscorpioni, Ragni, Opilioni, Acari), Diplopodi (Polidesmidi), Insetti (Dipluri, Ortotteri, Lepidotteri, Coleotteri) e Vertebrati (Anfibi Urodeli, Mammiferi Chirotteri). I Crostacei Isopodi sono costituiti da una sola specie, il Trichoniscidae Alpioniscus fragilis (B. Lund), elemento troglobio,

Speleologia 48

31


S’Edera

endemico sardo, segnalato in numerosissime grotte del Supramonte interno e costiero e diffuso in altre aree carsiche della Sardegna centro-orientale, fino al Gerrei (Argano & Rampini, 1973; Grafitti, 2001). Tra gli Aracnidi degni di nota gli Pseudoscorpioni con il Neobisiidae Neobisium (Ommatoblothrus) sardoum Beier, troglobio evoluto, apparente endemita dei Supramonti (Assorgia et al., 1973; Beier, 1973; Gardini, 2000). Per i Ragni e gli Opilioni, gli esemplari raccolti e citati da Assorgia et al. (1973), sono rimasti purtroppo indeterminati. Mentre gli Acari sono rappresentati dall’Ixodidae Eschatocephalus vespertilionis (C. L. Koch), una specie di zecca ectoparassita di Chirotteri, rinvenuta allo stadio libero su parete (Cassola, 1982). I Diplopodi hanno una sola entità, il Polydesmidae Polydesmus (Hormobrachium) dismilus Berl., troglosseno noto di altre cavità sarde e diffuso in alcune regioni italiane (Strasser, 1974). Ma il gruppo più numeroso di specie è quello degli Insetti. Riscontriamo il Dipluro Campodeidae Patrizicampa sardoa Condé, troglobio specializzato, endemico del Supramonte interno e costiero e segnalato in varie grotte (Car ta, 1974; Puddu & Pirodda, 1974); l’Ortottero Gryllidae Gryllomorpha dalmatina (Ocsk.), troglofilo frequente in molte grotte dell’Isola, con un’ampia distribuzione italiana e sud-europea (Puddu & Pirodda, 1974); il Lepidottero della fam. Noctuidae Apopestes spectrum (Esper), citato da Assorgia et al. (1973), è specie troglofila, diffusa in Europa e Nord Africa, nota di numerose cavità sarde, è uno degli elementi costituenti la cosiddetta associazione parietale, di notevole importanza perché fornisce, insieme ad altre specie, risorse energetiche in cavità oligotrofiche fredde come S’Edera. Tra i Coleotteri si evidenziano in primo luogo il Carabide Trechino Sardaphaenops supramontanus supramontanus (Cerr. & Hen.), elemento troglobio altamente specializza-

BIBLIOGRAFIA FAUNA Argano R. & Rampini M., (1973): Note sulla distribuzione dei Trichoniscidae in Sardegna (Crustacea, Isopoda, Oniscoidea). Int. J. Speleol., 5 (3-4): 311-317. Assorgia A., Biondi P. P. & Morisi A. (1973): Aspetti geomorfologici sul Supramonte di Urzulei (Nuoro, Sardegna centro-orientale). Rass. Spel. Ital., 25 (1-4): 140-167. Beier M. (1973): Neue Funde von HöhlenPseudoskorpionen auf Sardinien. Ann. Naturhist. Mus. Wien, 77: 163-166. Bordoni A. (1982): Coleotteri stafilinidi raccolti in grotta da Sergio Puddu nella Sardegna centro-meridionale. 61° contributo alla conoscenza degli Staphylinidae. Boll. Soc. Sarda Sci. Nat. (1981), 15 (21): 137-147. Carta G.C. (1974): La vita in grotta. Parte prima: introduzione alla biospeleologia. Elenco sistematico specie e distribuzione. Gruttas e Nurras, 1: 22-26+c. di tav. Casale A. (1969): Sardegna 1969: risultati biospeleologici. Grotte, 40: 15-16. Casale A., (1970a): Note biologiche. Grotte, 41: 14-16.

32

Il Sardaphaenops supramontanus supramontanus Cerr. & Henrot, coleottero troglobio endemico del Supramonte, molto diffuso in Sa Rutta 'e S'Edera (Foto G. M. Delitala)

to, endemico del Supramonte interno e conosciuto di una dozzina di grotte comprese nei territori dei comuni di Oliena, Orgosolo e Urzulei; differisce per caratteri dimensionali e anatomo-morfologici dalla sottospecie S. supramontanus grafittii Casale & Giach. (Casale, 1969; 1970a, b; 1988; Assorgia et al., 1973; Carta, 1974; Puddu & Pirodda, 1974; Cassola, 1982; Casale & Giachino, 1988; Grafitti, 2001). Da sottolineare inoltre il Cholevidae Leptodirino Ovobathysciola majori (Reitt.), troglobio, diffusissimo sia nel Supramonte costiero, sia in quello interno (Carta, 1974; Puddu & Pirodda, 1974). Da citare infine gli Stafilinidi Oxytelus (Epomotylus) sculpturatus (Gravh.), Aloconota insecta (Thomp.), Aloconota planifrons (Wat.) e Aleochara sp., entità troglossene od occasionali in grotta, note di tutta Italia (Bordoni, 1982). Tra i Vertebrati evidenziamo gli Anfibi Urodeli con il Plethodontidae Speleomantes supramontis (Lanza et al.), segnalato da Casale (1969) e da Stefani (1969), endemico del Supramonte interno e costiero, ed il Salamandridae Euproctus platycephalus (Grav.), citato da Assorgia et al. (1973: sub Triturus rusconii), osservato presso il sifone a circa 1300 m dall’ingresso. Da citare infine i Mammiferi Chirotteri rappresentati dalle specie Rhinolophus hipposideros (Bech.), Myotis myotis (Borkh.) e Myotis daubentoni (Kuhl), tutte troglofile, note anche di altre cavità della Sardegna (Mucedda et al., 1995; Mucedda, in verbis).

Casale A. (1970b): Sardegna 1970: ricerche biospeleologiche. Grotte, 42: 29-31. Casale A. (1985): Ricerche biospeleologiche 1985. Grotte, 89: 32-34. Casale A. (1986): Ricerche biospeleologiche 1986. Grotte, 92: 52-55. Casale A. (1988): Ricerche biospeleologiche 1988. Grotte, 98: 40-43. Casale A. & Giachino P. M. (1988): Note su Sardaphaenops supramontanus Cerruti & Henrot, 1956 (Col. Carabidae), e descrizione di S. supramontanus grafittii n subsp. Boll. Mus. Reg. Sci. Nat., 6 (2): 585-601. Cassola F., (1982): Il popolamento cavernicolo della Sardegna. Lav. Soc. ital. Biogeogr., n. s. 7, (1978): 615-755. Gardini G., (2000): Catalogo degli Pseudoscorpioni d’Italia (Arachnida). Fragm. entomol., 32, suppl.: 1-181. Grafitti G., (2001): Osservazioni sulla fauna cavernicola della Sardegna. In: Piras G. & Randaccio F. (eds.): Atti Convegno “Biospeleologia dei sistemi carsici della Sardegna”, (Cagliari, 10 giugno 2000). A cura del Gruppo Speleologico Centro Studi Ipogei “Specus”, Cagliari: 13-33.

Giuseppe Grafitti Lanza B., Caputo V., Nascetti G. & Bullini L. (1995). Morphologic and genetic studies on the European plethodontid salamanders: taxonomic inferences (genus Hydromantes). Monogr. Mus. Reg. Sci. Nat., Torino, 16: 365 pp. Manilla G. & Grafitti G., 1984. Primi reperti di Zecche (Acari: Ixodidae) in grotte della Sardegna. Quad. Mus. Speleol. “V. Rivera”, L’Aquila, 8 (15/16): 33-48. Mucedda M., Murittu G., Oppes A. & Pidinchedda E., 1995. Osservazioni sui Chirotteri troglofili della Sardegna. Boll. Soc. Sarda Sci. Nat., 30: 97129. Puddu S. & Pirodda G., 1974. Catalogo sistematico ragionato della fauna cavernicola della Sardegna. Rend. Sem. Fac. Sci. Univ., Cagliari, 43 (3-4): 151-205. Stefani R. (1969): La distribuzione geografica e l’evoluzione del geotritone sardo (Hydromantes genei Schleg.) e del geotritone continentale europeo (Hydromantes italicus Dunn.). Arch. zool. ital., 53: 207-244. Strasser C., 1974. I Diplopodi Chilognati della Sardegna. Fragm. entomol., 10 (3): 231-294. Trezzi G., 1992. Una gradita scoperta. Il Grottesco, 50: 36-38.


S’Edera

BIBLIOGRAFIA Addis T., Congiu R. (1998): Il sifone di collegamento tra l'inghiottitoio di Orbisi e la grotta Donini. Sardegna Speleologica, 14: 45-46. Assorgia A., Bentini L., Biondi P.P. (1967): Note sull'idrologia sotterranea del "Supramonte" di Urzulei (Nuoro). Bollettino CAI Bologna, 46 (79): 139-152. Assorgia A., Biondi P.P., Morisi A. (1973): Aspetti geomorfologici sul Supramonte di Urzulei (Nuoro, Sardegna Centro-Orientale). Rass. Spel. Ital., 25(1-4): 139-167. Bandiera F. (1997): Un anno sul Supramonte di Urzulei. Esplorando, 1: 8-13. Bandiera F. (2000): Colorazione con fluoresceina del sistema idrico sotterraneo di Sa Rutta 'e s'Edera - Su Gologone. Sardegna Speleologica, 16: 2-8. Bandiera F., Soro D. (1995): Attività nel Supramonte di Urzulei. Esplorando, 0: 11-12. Banti M., Banti R., Angeletti A. (1985): Inghiottitoio di Codula de Sa Mela. Speleologia, 12: 49. Banti M., Banti R., Folli M. (1984): Natale '82 a Planu Campu Oddeu. Speleologia Bresciana, 1: 6-10. Cabras S., Cabras S., Mulas Q., Sanna L., Cossu A., Soro D. (2000): Sa Rutta 'e Mandara 'e s'Uru Manna. Sardegna Speleologica, 16: 17-27. Chessa L., Meloni G., Mulas G. (1988): Nelle viscere di Punta Is Gruttas. Anthéo, 4: 26-28. Clò L., Donini L. (1965): La grotta-risorgente di "Gorropu" (424 SA/NU). Speleologia Emiliana, 2(2): 57-61. Corongiu C., Crobu V., De Luca R., Farris M., Soro P. (2002): Nuovo record di profondità per la Sardegna (Urzulei, NU). Speleologia, 46: 82. Crobu V., Soro P., Deluca R., Corongiu C. (2000): Nuova grotta nel Rio Flumineddu. Sardegna Speleologica, 17: 52. De Waele J., Masala P., Mura R., Setzu L. (2001): Gli stimoli degli speleologi. Anthéo, 5: 38-44. De Waele J., Pani G. (1999): Inghiottitoio di Orbisi. Supramonte di Urzulei. Sardegna centro-orientale. Speleologia, 41: 25-32. Dédé A.M. (1977): Spedizione alle grotte di "Su Biu" e "Su Zippiri". Gruttas e Nurras, 1: 3-6. Dell'Oca S., Pozzi A. (1959): Note speleologiche di una escursione attraverso la Sardegna (1956). Rass. Spel. Ital., 11(3): 130-147. Fercia S. (1998): Alcatraz, la riscossa. Sardegna Speleologica, 13: 2-8.

Fercia S., Pappacoda M. (1992): In attesa del Colpo Grosso. Speleologia, 27: 22-31. Fercia S., Tuveri S., Tuveri V. (1992): Abissi del Supramonte di Urzulei: si tirano le somme e si fanno nuovi programmi. Sardegna Speleologica, 2: 3-18. Furreddu A., Maxia C. (1964): Grotte della Sardegna. Editrice Fossataro, Cagliari, 567 p. G.G.Nuorese (1983): Voragine "Maria-83". Gruttas e Nurras, p. 18. G.G.Nuorese (1983): Voragine Salavarrò. Gruttas e Nurras, p. 23. Gardini G. (2000): Catalogo degli Pseudoscorpioni d’Italia (Arachnida). Fragm. entomol., 32, suppl.: 1-181. Groupe Ulysse Spéléo (1997): Sardaigne 96 Supramonte 97. Rapports d'expeditions CREI, 68 p. Groupe Ulysse Spéléo (1998): Supramonte 98. Rapport d'expéditon CREI, 29 p. Guerra L. (1974): Sardegna '74. Speleologia Veronese, 4: 10-12. Locci C. (1994): Nuove cavità nel Supramonte di Urzulei. Sardegna Speleologica, 5: 7-10. Locci M.C., Scano A., Pascalis E. (1999): Nuorese. Continua..! 8-50 p. Loru R. (2000): Esplorazione subacquea del lago terminale della Grotta "Giuseppe Sardu". Sardegna Speleologica, 16: 9-10. Monaco C.A. (1971): La grotta Luigi Donini nel Supramonte di Urzulei. Speleologia Emiliana, 3 (7): 21-34. Montanaro L. (1993): La Grotta del Portello (Urzulei). Bollettino del Gruppo Speleologico Sassarese, 14: 15-16. Murru A., Cabras S., Bandiera F., Cossu A. (1997): Sulle orme di un misterioso collettore. Sardegna Speleologica, 12: 2-22. Murru F. (1992): La grotta di Su Cherbu. Sardegna Speleologica, 2: 34. Murru F. (1994): La grotta Giuseppe Sardu. Sardegna Speleologica, 6: 5-9. Pappacoda M. (1987): La grotta n.9 di Planu Campu Oddeu. Speleologia Sarda, 61: 14. Pappacoda M. (1989): Suttaterra de Sarpis. Speleologia Sarda, 70: 30. Pavanello A. (1971): Tentativo al sifone della grotta "L. Donini". Notiziario S.S.I., 3/4: 2, 4. Piras M., Scano A., Locci M.C. (1999): Storia del Gruppo Grotte. Continua..! 3-17. Righi V. (1976): Il campo estivo in Sopramonte (Sardegna). Ipogea, 3537. Robin Y., Groupe Ulysse Spéléo (1998): L'expédition Supramonte 97. Rapport d'expédition CREI, 14 p. Sanna F., Vernier A., Vigna B. (2002): Le sorgenti di Su Gologone nel contesto della idrostruttura carbonatica del Supramonte: rapporti tra carsismo ed idrogeologia. Atti del Convegno di Studio Il Carsismo e la Ricerca speleologica in Sardegna, Cagliari 23-25 novembre 2001, a cura di Jo De Waele, Anthèo, 6: 29-46. Scano A. (2002): Esplorazioni nel complesso di "Sa Rutta 'e S'Edera" (Urzulei, Sardegna centro-orientale). Atti del Convegno di Studio Il Carsismo e la Ricerca speleologica in Sardegna, Cagliari 23-25 novembre 2001, a cura di Jo De Waele, Anthèo, 6: 201-218. Scema L., De Waele J., Grafitti G., Casale A. (1993): La grotta di Su Mamucone. Sardegna Speleologica, 4: 12-18. Strasser C. (1974): I Diplopodi Chilognati della Sardegna. Fragm. entomol., 10 (3), pp. 231-294. Taramelli A. (1931): Urzulei (Nuoro): statuetta votiva femminile e bipenne in bronzo rinvenute nella grotta "Sa Domu 'e s'Orcu" sopra l'abitato del villaggio. Notizie degli Scavi di Antichità, 83-87. Trezzi G. (1992): Una gradita scoperta. Il Grottesco, 50: 36-38. Tuveri S., Tuveri V. (1985): Le grotte di Su Mammuccone. Speleologia, 12: 50-51. Supramonte di Orgosolo. Veduta panoramica da Monte Su Biu: in primo piano Badde Tureddu, sullo sfondo l’area del Flumineddu e le creste di Su Nercone (1263 m) che delimitano ad oriente il Supramonte di Urzulei, formando un allineamento di cime con orientamento N-S (Foto V. Crobu)

Speleologia 48

33


L’obiettivo è sempre il grande collettore di su Gologone, ma le vere sorprese arrivano dal Flumineddu, con la scoperta delle grotte più profonde dell’isola.

Supramonte verticale

S’Orare su Mudrecu (VPF). Lungo il ramo attivo a -300. (Foto V. Crobu)

A cura di Vittorio Crobu

RIASSUNTO

ABSTRACT

Dopo aver accertato per la prima volta, nel giugno del 1999, il collegamento idrogeologico tra le due distanti aree Supramontane di Urzulei e Oliena, l’intero quadro di congetture conosce una svolta che desta stupore. Al mondo speleologico sardo però sembra che non si sia risolto un quesito, bensì che gli interrogativi sulle caratteristiche del complesso carsico si siano moltiplicati. Cercando di risolvere questo rebus, abbiamo dato inizio qualche anno fa ad una impegnativa e invitante ricerca ricca di sorprese, che ci ha regalato le cavità più profonde della Sardegna, nel territorio più aspro e selvaggio dell’isola. Gli sviluppi fanno supporre che si possa, in un futuro non lontano, accedere ad uno dei tratti più intimi del sistema, che risulta ancora troppo profondo ed ermetico per la speleologia isolana “normale”.

After the dye tests of 1999, during which for the first time the connection between these two distant areas (Urzulei and Oliena) has been unmistakably proofed, the Sardinian cavers world has been shaken, resolving one dilemma that immediately makes other not less important questions arise. It is in this atmosphere of doubtful certainness that our demanding but inviting challenge starts a couple of years ago, giving us the pleasure of discovering the deepest caves of Sardinia in one of the most “wilderness” places of the island. And the more and more we are penetrating in this fascinating karst system, the more we are convinced that the discovery of the most wonderful surprises is getting closer and closer.

PAROLE CHIAVE

Sardinia, Urzulei, Karst complex, rio Flumineddu, Hydrogeology, cave morphology, meteorology.

Sardegna, Urzulei, complesso carsico, rio Flumineddu, Idrogeologia, morfologia delle grotte, meteorologia.

34

KEY WORDS:


Supramonte verticale

SI SA COSA SI CERCA, NON SI SA COSA SI TROVA In questi ultimi anni il Supramonte di Urzulei sta entrando prepotentemente nelle cronache speleologiche, grazie soprattutto alle colorazioni effettuate dalla Federazione Speleologica Sarda nella Grotta dellʼEdera, con gli esaltanti esiti che tutti sappiamo (21 km in linea dʼaria tra lʼinghiottitoio e la risorgente di Su Gologone faranno impazzire unʼintera generazione di speleologi!) ed alle belle scoperte fatte nella stessa grotta dal 1999 al 2003. Ma non sono le uniche scoperte ad aver fatto clamore non solo nel mondo speleologico isolano: un lavoro sistematico sul letto e lungo le sponde del fiume più grande che attraversa il Supramonte, il Flumineddu, ha portato inaspettate soddisfazioni a quei pochi “irriducibili” che hanno sempre creduto nelle potenzialità speleologiche di questo canyon. “Quelli del Collettore”, come ultimamente ci definiamo, di fatto hanno scoperto in questo sperduto angolo del Supramonte le due grotte più profonde della Sardegna (- 340 e – 370 m), ma non solo. Se il ritrovamento di alcuni fiumi ipogei ha consentito di effettuare colorazioni che hanno aggiunto preziosi tasselli al sempre più intricato puzzle idrogeologico del Supramonte, la scoperta degli abissi consente ora di “toccare con mano” lʼintera sequenza carbonatica giurassica fino al basamento paleozoico, ben più profondo di quanto creduto finora. Insomma, tante ricerche e tante scoperte che ci indicano soprattutto che la strada percorsa, piena di sacrifici, di delusioni ma anche di gratificazioni e grandi emozioni, è quella giusta e magari ci porterà a percorrere con entusiasmo lʼagognato collettore.

CERCARE AL FLUMINEDDU... Rompere lʼatmosfera di mistero per mettere ordine alle acquisizioni passate e recenti è stato difficile come sforzarsi di credere in qualcosa che non esi-

Orgosolo. Veduta al tramonto dei “tacchi” M.Novo S.Giovanni e M.Su Biu. Da qui discendono i due torrenti Badde Tureddu e Badde Mattosa, verso E fino a scomparire al contatto con i primi sedimenti carbonatici. (Foto V. Crobu)

ste. Lʼimpegno costante, continuo e quasi ossessivo, fatto di campi durante le festività, lunghi anche quindici giorni, ha improntato senza dubbio la strategia giusta per la qualità della ricerca. Lʼosservazione sistematica ha messo in luce lʼopportunità di concentrare lo studio soprattutto lungo le fasce basse di quota e in porzioni esatte di territorio, peraltro senza avere facilitazioni dalle grotte, spesso assorbenti, che hanno richiesto impegnativi e faticosi lavori di disostruzione. Con questo metodo, finalmente, si stanno aprendo le porte di un mondo sotterraneo più grande che inaspettato. In tutta lʼarea a SW del Supramonte è preponderante la presenza delle grigie dolomie Mesozoiche della Formazione di Dorgali, che il rio Flumineddu solca lungo il proprio percorso. Lʼidrologia sotterranea di questʼarea si attiva grazie alle sporadiche piene ma viene alimentata soprattutto dalle zone di contatto tra il basamento paleozoico e la formazione summenzionata. Così presso lʼarea a N di Monte Novo S. Giovanni si identificano due importanti sistemi torrentizi, Badde Tureddu e Badde Mattosa, che discendono ad E fino a scomparire al contatto con i primi sedimenti carbonatici, rispettivamente nella zona di Sa Senepida e Sos Campidanesos. Come si può notare il rilievo di Serra Cupercu (924 m) è posto geograficamente e geologicamente al centro di questo settore, presentando lungo tutto il versante occidentale cavità di assorbimento locale che si aprono a livello dellʼalveo del rio Flumineddu, che diviene attivo solo straordinariamente, a seguito di intense precipitazioni. Sul lato orientale di Cupercu sono quasi assenti cavità assorbenti per via dellʼimmersione degli strati rocciosi che favorisce la formazione di punti idrovori sul versante destro idrografico del Flumineddu. Alle quote più elevate ritroviamo cavità di origine tettonica con comportamento meteo alto; il numero di “Bocche Calde” è rilevante, sopratutto sulle parti sommitali della Serra. La più importante di queste, Nurra Cupercu, si apre lungo una strapiombante cengia rocciosa sul versante orientale della Serra, a 875 m di quota, circa 70 m sopra lʼalveo del Flumineddu. Si presen-


Supramonte verticale ta inizialmente ad andamento verticale, impostata lungo una frattura con direzione principale NNW SSE che origina le prime verticali e lʼampio pozzo finale. La grotta, esplorata fino alla profondità di 114 m, si sviluppa alla base in evidenti zone di scorrimento sub orizzontali attivate dalle piene esterne, approfondendosi allʼinterno della struttura dolomitica di Serra Cupercu ed interrompendosi per ora in un sifoncino colmo di depositi sabbiosi, al termine di una lunga e stretta diaclasi. A SE della Nurra, sulla destra idrografica a pochi metri sopra il greto del rio Flumineddu, si apre la grotta di Su Colostrargiu, anchʼessa con ingresso e sviluppo interamente nella dolomia. Lʼingresso immette in una piccola zona di frana, con andamento inizialmente sub orizzontale per divenire verticale allʼinnesto con il pozzo Millelire, profondo oltre 50 m, impostato lungo una frattura dal cui fondo parte lo stretto meandro del “Rio Zavor”, attivo durante le piene. Questo stretto corridoio diaclasico lungo circa 50 m immette in un ambiente di crollo collegato con le gallerie attive (Sala Vitto-Sala Busca), con direzione preferenziale NE - SW, attraversate da un copioso corso dʼacqua con portata dellʼordine di decine di litri al secondo. In entrambe le direzioni la cavità termina in un ambiente di crollo, che si presenta più vasto a valle (NE) dove, dato il notevole volume dʼaria, sono state tentate alcune disostruzioni. Colostrargiu ha fatto pensare inizialmente al diretto collegamento con il collettore, visto il preferenziale orientamento del ramo attivo e la situazione geologica strutturale. Le colorazioni, invece, hanno dimostrato che si tratta soltanto della parte iniziale di un lungo affluente del complesso carsico ricercato. Proseguendo verso valle il rio Flumineddu incontra lʼaffluente del Rio Tureddu sulla sinistra idrografica; qui la valle si presenta più ampia e ricoperta da

36

Inconsueto scorrimento superficiale dovuto alle copiose precipitazioni dell’inverno 2003 nel Rio Flumineddu. (Foto R. De Luca).

detriti alluvionali di natura alloctona. Il contatto tra la dolomia basale e le formazioni calcaree - che caratterizzano Punta Arzane (1007 m) ad occidente e i primi fronti rocciosi del M. Nieddu (964 m) ad oriente - declina dolcemente verso NE, fino a scomparire sotto il terreno alluvionale presso lʼansa di SʼIscra ʻe su Murdegu (810 m), dove lʼambiente diviene più aspro e caratterizzato da pareti verticali e canali discendenti dal M.te Nieddu. Lʼinclinazione dei sedimenti mesozoici porta sotto il livello del rio i calcari


Supramonte verticale

Ingressi cavità Sistema Colostrargiu - VPF Movimenti ipotizzati del collettore

Asse antinclinale Immersione degli strati Direttrici locali

Carta d’insieme dell’area oggetto delle ricerche, con il posizionamento delle principali cavità. Su Eni ‘e Istéttai, si sviluppa in direzione S, verso il M.Unnoro dove riteniamo si possano intercettare le acque che provengono dalle zone di alimentazione a sud, senz’altro coincidenti con le gallerie del misterioso collettore.

delle Formazione di Monte Tului e di Monte Bardia, che sovrastano le dolomie basali. Sul versante destro idrografico, procedendo lungo un ambiente di fitta foresta di Quercus Ilex, troviamo alla quota di 790 m lʼaccesso della grotta chiamata SʼOrale ʻe su Mudrecu (“VPF”). Uno scavo nel terreno alluvionale sotto unʼalta parete ha permesso di arrivare, lungo una serie di strettoie verticali disostruite malamente, ai pozzi più ampi, attraversando circa 80 m di calca-

ri e lʼintera dolomia, fino a raggiungere il contatto con il basamento metamorfico in corrispondenza di un ampio salone dove abbiamo allestito un campo interno a quota 270 m. Da qui unʼintricata frana che si trova lungo il contatto con gli scisti paleozoici, porta in ambienti percorsi dal fiume. Eʼ una zona contornata da ampie sale fossili collegate al ramo attivo che a valle raggiunge la profondità di circa 340 m dove si perdono provvisoriamente le possibi-

Speleologia 48

37


Supramonte verticale lità esplorative, mentre a monte si attraversano profondi e suggestivi laghetti con gallerie fossili fino al sifone che per ora blocca le esplorazioni. A N di M. Nieddu il rio si imposta lungo una direzione preferenziale ENE - WSW, fino alla zona di Bilialai (ansa a “U”, ben visibile in carta). Lungo questo tratto, grazie alla continua immersione degli strati, fa comparsa una fascia di dolomia potente qualche decina di metri che si intercala nei calcari di M.te Bardia, che costituisce la litologia in cui si sviluppa la grotta di Su Sammucu (775 m) nellʼomonima zona. Si tratta di un inghiottitoio attivo in caso di piena del rio, caratterizzato da uno sprofondamento alla base di una parete rocciosa. La grotta è articolata in vari ambienti diaclasici impostati lungo linee che favoriscono lʼingresso delle acque in direzione SSE, seguiti da un pozzo di 12 m e altri minori fino ad arrivare ad un livello di sedimentazione del materiale organico e fini argille a circa 40 m di profondità, dove gli impegnativi lavori di disostruzione hanno liberato oltre una ventina di metri di condotte che, per il momento, non offrono grandi prospettive. Poco più a valle, a quota 760 m, fanno ancora comparsa al livello del rio le

Grotta di Su Colostrargiu. La “Sala Busca” è l’ambiente più imponente, attraversato dal torrente che percorre in direzione SW - NE tutta la cavità lungo numerose zone di frana. (Foto V. Crobu).

38

dolomie, in corrispondenza delle quali si apre la profonda grotta di Su Eni de Istéttai, il “Il Tasso di Istèttai”: le radici di un grande esemplare di Taxus Baccata accolgono infatti la grotta più profonda dellʼisola. Nonostante lo sviluppo di soli 1600m è già la cavità più impegnativa e promettente dellʼarea. Infatti, una stretta fessura disostruita dà accesso a numerose verticali a cui si aggiungono le difficoltà delle strettoie che, da 240 a 290 m di profondità, portano in gallerie allagate (Campo da Rugby) che richiedono lʼutilizzo delle mute. Altri due pozzi e passaggi in libera comunicano con il lungo ambiente di scorrimento a tratti allagato che conduce fino al sifone di qualche metro, a quota –370, superabile in apnea. Da qui si accede ad ambienti non presenti in rilievo, percorsi per altre decine di metri fino ad una zona di strettoie in disostruzione, che impegnano in punte esplorative di oltre 20 ore. La direzione generale a SSE convoglia, contro ogni previsione logica, i flussi idrici dei numerosi punti di assorbimento della zona sotto il massiccio di M.te Unnoro. Nei pressi dellʼansa a “U” troviamo unʼaltra cavità chiamata Sa Cungiadura de su Calavriche, sul versante sinistro idrografico del Rio a circa 40 m sopra lʼalveo. Pur aprendosi in una posizione attraente, il fondo a 114 m appare purtroppo ostruito da grosse formazioni calcitiche. Nel settore di SʼIscra Olidanesa e Codula de sa Mela a S, la grotta più importante è “Sa Mela”, posizionata in una zona di forte inghiottimento, rintracciata dopo vari tentativi di forzatura di passaggi con movimento dʼaria. Le belle condotte freatico-vadose si approfondiscono con piccoli salti lungo la dolomia ben lavorata, fino ad una zona più verticale che pre-


Supramonte verticale Terreni impermeabili Direzione dei flussi ipogei Punti di asorbimento

Zona di alimentazione e percorso sotterraneo delle acque nel sistema Colostrargiu-VPF; i flussi provenienti dagli inghiottitoi di Sa Sepineda e da Sos Campidaneso sono stati accertati con l’uso dei traccianti, gli altri sono ipotizzati.

cede il fondo. Durante lʼesplorazione la cavità ha alimentato aspettative per la vicinanza con SʼEdera e ha dato soddisfazioni per la profondità (114 m), ma la stretta diaclasi sul fondo per il momento è impossibile da percorrere, se non forse dopo pesanti lavori di disostruzione.

2002, L’ANNO DELLE COLORAZIONI Il ritrovamento di Colostrargiu fa emergere la necessità di una speleologia con competenze più complesse di quelle normalmente richieste nella fase di esplorazione e rilievo delle grotte. Il ritrovamento di un corso dʼacqua di portata intorno ai 30 l/s, in un periodo così secco dopo lʼautunno del 2000, evidenzia lʼopportunità di compiere ulteriori studi, sia per interpretare i dati specifici sia, soprattutto, per capire le dinamiche delle acque. Si identifica lʼorigine del “rio Crobu” esclusivamente attraverso lʼesame del territorio, attribuendone la provenienza alle zone di contatto presso le vicine gole di Orgosolo. La dinamica del comportamento delle acque, analizzata dopo un lungo periodo di osservazioni e di

misurazioni, rafforza questa ipotesi. Tuttavia è opportuno preparare le colorazioni che però non sono realizzabili per il peggioramento delle condizioni climatiche durante tutto lʼinverno 2000-2001. La direzione preferenziale verso NE del ramo attivo di Colostrargiu pare collegare direttamente questa cavità al collettore che dovrebbe incrociare il nostro fiume proprio lungo questa direzione. Il ritrovamento di un secondo torrente ipogeo nella grotta “VPF”, nel maggio 2002, ad oltre 300 m di profondità, riaccende lo stimolo per le indagini colorimetriche. Infatti il nuovo fiume presenta grossomodo le variazioni di portata del “Rio Crobu” di Colostrargiu e non pare essere il collettore stando ad un veloce calcolo delle portate. Finalmente, il 23 novembre 2002 rilasciamo 1 Kg di Fluoresceina sodica a Badde Tureddu, quantità sufficiente calcolando la distanza delle due cavità da questa zona e soprattutto tenendo conto della bassa portata riscontrata nel periodo. Nella stessa giornata si collocano i captori a Colostrargiu mentre un altro gruppo entra al “VPF” per disporre diverse reticelle con i carboni attivati in acido e proseguire con i rilievi del ramo a monte del

Speleologia 48

39


Supramonte verticale

ISTETTAI: DUE ANALISTI SUL FONDO Questa grotta l’ho vista crescere, schiudersi dalla strettoia iniziale e allungarsi verso il fondo, lasciandoci passare in un amorevole abbraccio lungo quanto tutto il suo percorso. L’ho vista aprirsi, poi chiudersi, poi riaprirsi in un alternarsi di speranze, gioie e delusioni a seconda delle settimane che passavano. In effetti, pensandoci bene, forse non voleva proprio aprirsi, ma qualcuno di noi l’ha convinta. Devo dire che è una grotta molto romantica, infatti quello che è più piacevole è il contatto fisico con le sue pareti. Sembra ieri quando in un fine settimana di Aprile 2003 il Flumineddu (smesso il suo freddo abito invernale di quest’ anno fatto di neve, ghiaccio e grosse piene) si è rivelato di nuovo. Non che prima si fosse nascosto, ma ora ci dava un'altra ghiotta occasione per... approfondire la conoscenza. In quel dì, io e Massy facevamo capolino al nostro solito campo come ogni fine settimana; ma questa volta c’èra una novità: Vittorio, Ricky e Patrizia avevano aperto l’ingresso il giorno prima, ma dopo la strettoia iniziale si erano fermati in corrispondenza di qualche pozzo per mancanza di materiale. Si erano bloccati sul nero, proprio il nero, il buio, il vuoto, che piace tanto agli speleo.

40

L’indomani esploravamo senza sosta. Un susseguirsi di pozzi ci faceva subito sperare di essere “ad un passo dal collettore”! Non ci restava che comprare un po’ di materiale e scendere, rilevare e fotografare, cosa che è avvenuta poi nelle settimane seguenti. Ora sono passati alcuni mesi e dopo un estate di “riposo” in terra d’ Islanda ci ritroviamo a fine Settembre 2003 veramente ad un passo dal Collettore a – 400 metri con ottime speranze, per adesso purtroppo riservate solo al nostro sistema uditivo. Siccome il detto dice che “anche l’occhio vuole la sua parte” il 20 Settembre 2003, siamo dentro io e Vittorio, due analisti in

tuta speleo che decidono di tentare l’operazione. Scendiamo con tutto l’occorrente per passare. Dopo uno sguardo incantato al Flumineddu immobile, ancora nella sua veste estiva, entriamo dentro senza pensarci e facciamo veloci i primi pozzi; superiamo le prime strettoie per arrivare a quelle di “Sacrificio” e “Violazione di Domicilio” e poi la zona del “ Campo da Rugby” ci accoglie a – 300 metri. Indossare le mute è quasi un obbligo, da qui ci si bagna e il lavoro vero e proprio deve ancora incominciare. Percorriamo la parte allagata, poi ancora pozzi e infine tutto si apre nella bellissima galleria del fiume. Arriviamo al sifone, un passaggio che emoziona: pochi metri di buio esplorato in solitaria e sagolato da Vittorio l’estate scorsa, da fare con calma e concentrazione. Passa lui e rimango solo nel silenzio della grotta. Dall’altra parte tira i sacchi con un'altra sagola. Tocca a me, indosso la maschera e via……sono dall’altra parte. Sensazione strana...ma non c’è neppure tempo per uno sguardo intorno che partiamo e in una mezz’oretta di sali e scendi tra frane e altre


Supramonte verticale

Su eni ‘e Istéttai. Ampie condotte semicircolari che presentano un consistente riempimento di sedimenti alluvionali di natura alloctona presso il contatto con le dolomie, alla profondità di 140 m. (Foto R. De Luca)

Su eni ‘e Istéttai. Imponenti lavori di disostruzione hanno portato alla luce l’ingresso della cavità, una stretta fessura disostruita che dà accesso alle numerose verticali. (Foto R. De Luca)

strettoie siamo finalmente alla saletta finale o, come dice Vittorio, “…all’incomincio!..” perché se il Collettore passa qui a fianco siamo solo all’inizio dell’avventura. Meglio non pensarci, per ora! Cominciamo a lavorare, apriamo, apriamo, sgombriamo dalle macerie la saletta minuscola dove per ora ci si ferma. La muta fa il suo dovere e non patiamo il freddo più di tanto Passano le ore ma c’è ancora tanto da fare per allargare il laminatoio che blocca il passaggio e dietro una “voce” che costante ci sprona al duro lavoro. Incomincia a essere tardi (sono le 23:00)… e ci restano 400 metri di risalita da fare. A malincuore interrompiamo e, dopo aver riposto con cura gli strumenti, ascoltiamo ancora una volta la bellissima e incantevole “voce” del Flumineddu e lentamente torniamo indietro. Usciamo fuori e la mattina ci accoglie con un tiepido calore che non può che farci piacere, dopo tutta l’umidità che abbiamo preso. Al campo Patrizia e Silvia si svegliano, ci hanno lasciato pasta e uova già cotte che divoriamo in un boccone. Al gusto penseremo più tardi. Ci mettiamo a dormire pensando che l’analisi è riuscita e i controlli sono stati positivi. Tra poco stileremo i referti o meglio … i R I L I E V I …………… ma questa sarà sicuramente un altra storia ! Gianluca Melis

fiume. Dopo una settimana verifichiamo già ad un esame visivo lʼesito positivo e quasi scontato di Su Colostrargiu, ma le piene che si susseguono nelle settimane successive ostacolano lʼingresso al “VPF”. Il fine settimana del 14 e 15 Dicembre 2002 si recuperano alcuni preziosi contenitori a SʼOrale De Su Mudrecu (VPF); vista la grande diluizione raggiunta a causa delle prime importanti piene stagionali, non rileviamo la presenza del tracciante neanche con la lampada di Wood. Spediamo quindi la soluzione di potassa alcolica al Prof. Bartolomeo Vigna che riscontra, con lʼanalisi strumentale, la presenza del colorante. Provata così lʼesistenza del sistema carsico sotto il Supramonte di Urzulei, si delinea un affascinante contesto: la situazione strutturale favorisce il drenaggio di affluenti provenienti dal Supramonte di Orgosolo, comprese le perdite che si allineano lungo il tratto interessato del rio Flumineddu. Emerge una situazione dalle grandi potenzialità speleologiche che si manifesta già negli ambienti del “VPF”, ma soprattutto nella quantità di acqua raccolta in questa grotta durante le piene e che, se non è precisamente quantificabile, ammonta a parecchie centinaia di litri al secondo, considerati i livelli raggiunti presso le zone attive. Probabilmente, dopo un lungo tragitto sotto il Supramonte di Orgosolo dove la condizione stratigrafica pare indirizzare le acque, queste andranno a confluire verso il grande collettore.

IPOTESI IDROGEOLOGICA Immaginando una linea che unisca Sa Rutta ʻe SʼEdera a su Gologone abbiamo rappresentato con buona approssimazione il probabile percorso del collettore che, oltrepassando il sistema di SʼIscra Olidanesa – Codula de Sa Mela, attraversa il M.te Unnoro raggiungendo più a N la prepotente linea del Rio Flumineddu, che incide fortemente le formazioni carbonatiche del mesozoico. Per stabilire i parametri di una ricerca efficace è stato necessario individuare situazioni strutturali e stratigrafiche favorevoli al movimento sotterraneo del collettore verso questa area lungo il Rio Flumineddu, fissando un limite estremo a S presso la grotta di Colostrargiu e a N poco oltre lʼansa a “U” e delimitando, da ultimo, una fascia di quote relativamente bassa dove concentrare lo sforzo esplorativo. Un altro presupposto ha riguardato la profondità in cui presumibilmente scorre il collettore, condizionata dalla quota del basamento impermeabile. Infatti abbiamo verificato che gli acquiferi carsici in tutta lʼarea raggiungono normalmente questo livello, grazie alla forte diaclasatura delle dolomie basali e alla modesta copertura dei sedimenti carbonatici. Più a monte di Colostrargiu

Speleologia 48

41


Supramonte verticale (825 m) il limitato spessore delle dolomie (poche decine di metri) non garantisce neanche la quota adeguata del basamento impermeabile per il passaggio del collettore, relegando lʼarea ad un ruolo marginale. Questo fattore spiega come la grotta di Mandara ʼe SʼUru, esplorata dal GSAS e GASAU nel 1998 - estendendosi con il ramo vadoso attivo nella direzione di Serra Lodunu attraverso la direttrice di “Ortorgo” - abbia una modesta profondità, pure essendo impostata lungo il verso di immersione degli strati. La quota raggiunta da Mandara ʻe SʼUru è pressoché uguale a quella della (ex) frana terminale di SʼEdera ma ne è troppo distante per pensare ad una vicina giunzione con il collettore, assegnandole il profilo di remota tributaria. A N di Colostrargiu lʼimmersione costante della serie carbonatica mesozoica pone il contatto a profondità progressivamente sempre più crescenti verso NE fino a svilupparsi sotto la quota di sfioro di Su Gologone (1042 m. s.l.m), dove inizia la complessa rete freatica che alimenta la risorgenza. Considerato che il sistema Colostrargiu - “VPF” non incontra il collettore, ne deriva unʼimportanza maggiore dellʼarea più a valle, in cui il collettore può segnare il massimo avvicinamento al Flumineddu. Grazie allʼimmersione a NE del basamento e le importanti discontinuità tettoniche trasversali evidenti in questo tratto fino allʼansa a “U”, si può ipotizzare una deviazione delle acque provenienti dal M.Unnoro verso il Flumineddu e quindi la possibilità di raggiungere il collettore da cavità come Su Sammucu o Istèttai. A N dellʼansa a “U” lʼanticlinale di Azzaudeli agirebbe da spartiacque al bacino di Gorroppu, racchiuso a S dalla sinclinale che accoglie la valle del rio Orbisi. A questo punto il collettore proseguendo verso N si approfondirebbe ulteriormente a W dellʼanticlinale di Azzaudeli, ma le probabilità di intercettare lo stes-

42

so collettore troppo a valle del Flumineddu sono basse proprio a causa dello sprofondamento della formazione Mesozoica verso lʼimportante piega sinclinale di Gorroppu, che però accoglie il bacino idrologico facente capo alla connessa risorgenza, mai risultata positiva alle colorazioni effettuate a SʼEdera. In accordo con le quote del basamento stabilite dalle profonde cavità del VPF e Istéttai si può calcolare la potenza dei sedimenti mesozoici lungo vari punti del Flumineddu, che porta ad ipotizzare lʼesistenza del bacino sommerso di Su Gologone già nellʼarea a N dellʼansa a “U”, quindi non più confinato al solo Supramonte di Oliena. La possibilità che il collettore si direzioni verso occidente, quindi trasversalmente allʼimmersione del basamento, può consentire un minore approfondimento delle acque che allontanerebbe lʼipotesi di trovare la zona freatica, con i risvolti di una speleologia aerea forse più attraente. Ma il fascino e la potenzialità dellʼesplorazione sta proprio nellʼessere in grado di ribaltare spesso le teorie consolidate o le ipotesi formulate, e siamo convinti che anche questa volta il Supramonte saprà stupirci!

ASPETTI MORFOLOGICI DELLE CAVITÀ La situazione tettonica ha inciso fortemente sulla morfologia delle cavità determinandone forme comuni di sviluppo. Certamente si possono collegare alcune morfologie ricorrenti con il tipo di litologia associata. La maggior parte delle cavità studiate si sviluppano soprattutto nei sedimenti dolomitici che si trovano alla base della serie


Supramonte verticale mesozoica. Lʼintensa fratturazione delle dolomie è indicativa dellʼelevato grado di rigidità rispetto agli altri elementi della serie carbonatica. Lo spiccato trasferimento verticale, dipendente dal fattore tettonico, ha regolato la genesi dei sistemi ipogei drenanti superficiali al veloce approfondimento, avendo un livello di riferimento normalmente coincidente con il substrato paleozoico impermeabile. La rilevante differenza di quota esistente tra i sistemi sopraindicati e le zone di accumulo dei bacini idrogeologici – unita alla situazione strutturale e stratigrafica – impronta lʼidrografia sotterranea dellʼarea in esame ad un predominante regime vadoso. Lʼassenza di morfologie freatiche importanti è forse indice di questo quadro globale. Presso la zona in disostruzione nella grotta di Su Sammucu si incontrano alcune condotte con andamento longitudinale sinuoso di diametro modesto (1/1,5 m), mentre la stessa morfologia ma di maggiore ampiezza, rinvenuta nella cavità di Istèttai a 140 m, si sviluppa sul piano di contatto con la dolomia sottostante, unʼinterfaccia che ha favorito la genesi di queste forme nei calcari soprastanti, trovandosi spesso in regime di pressione. Nel passaggio tra le due litologie è infatti evidente il restringimento notevole nella sezione, per proseguire in condotte freatico - vadose accresciutesi in dolomia (“Piccolo S. Bernardo”). I risvolti pratici della spiccata fratturazione di questi sedimenti si traducono in accessi più agevoli - pur essendo la dolomia meno carsificabile di tutta la serie mesozoica - e nella maggiore facilità di individuare le direttrici di importanza locale, riflesse spesso nello sviluppo interno

Grotta Su Sammucu. Il p.12 all’interno della cavità si presenta notevolmente modellato dalle acque che si originano durante le piene esterne del Rio Flumineddu. (Foto V. Crobu)

delle cavità. Le grotte di Sa Mela, Su Sammucu e Istéttai ben evidenziano nella planimetria la situazione esterna. Tra le forme più comuni che accompagnano gli ambienti in dolomia si annoverano i lunghi corridoi diaclasici scarsamente lavorati, con approfondimento lungo la stessa direttrice o direttrici parallele, come si può notare nella grotta di Sa Mela. Gli accessi nel tipo di roccia in questione sono nor-

Speleologia 48

43


Supramonte verticale malmente strette fessure verticali (Istéttai), in alcuni casi come Sa Mela allʼincrocio di diaclasi ortogonali, mentre lungo i pozzi interni la evidente scampanatura presso il fondo, è causata dalla forte erosione, dovuta al trasporto di notevole corpo solido, che accompagna cavità fortemente assorbenti come VPF e Istéttai. In generale le fratture diaclasiche presentano immersioni che si discostano di pochi gradi dalla verticalità, con profondità che si attesta mediamente sui 20 metri. La grotta del “VPF” presenta la verticale a campata unica più profonda (circa 45 metri); il pozzo “Millelire” a Su Colostrargiu misura oltre 50 m, ma è terrazzato a causa dellʼerosione che ha provocato lʼarretramento lungo la linea perpendicolare alla direttrice NNE-SSW, che origina la profonda parete frontale. Lʼattività idrica che lo ha lavorato in epoche passate è attualmente assente nelle parti iniziali come nellʼampia frattura tettonica che caratterizza la Nurra Cupercu. Essa presenta una concavità lungo la parete dellʼultimo pozzo che si interrompe su un fondo semicircolare sospeso, rispetto a quello attualmente attivo, ad indicare lʼattività passata della cavità, ora decine di metri al di sopra della quota esterna del Flumineddu. Una morfologia altrettanto tipica in queste cavità è lʼampliamento degli ambienti per gravità, riscontrabile soprattutto al contatto con le rocce impermeabili. Il contatto predispone una superficie che favorisce lʼerosione e lo scalzamento da parte delle acque circolanti, agevolando il collasso delle dolomie fortemente diaclasate. Il lungo S’iscra Olidanesa. L’ampia vallata che si sviluppa oltre i 900m di quota nel Supramonte di Urzulei è spesso innevata nel periodo invernale sullo sfondo a N è visibile l’imbocco della Codula de Sa Mela ed il rilievo di M. Unnoro. (Foto V. Crobu)

44


Supramonte verticale

Nurra Cupercu. Frattura alla base dell’ultima verticale, a circa 90 m, dove si evidenzia un alveo non più attivo proveniente dal rio Flumineddu. Le disostruzioni a valle di questo tratto hanno reso possibile l’esplorazione dei rami di drenaggio più profondi. (Foto V. Crobu)

ambiente di crollo del VPF denominato “frana Maomettana” trova correlazione con altre simili nella posizione in cui si origina, così ad Istèttai, notiamo a 360 m presso il contatto (Sala della Cascatella) un cedimento delle stratificazioni che forma il classico profilo parabolico, determinato dal carico roccioso sovrastante. Probabilmente la frana a valle di Colostrargiu ricalca la stessa genesi, anche se non si evidenziano nella parte iniziale affioramenti di rocce impermeabili, ma calcolando lʼestensione superiormente alla quota dʼingresso della formazione dolomitica se ne intuisce la prossimità. La differenza tra ambienti modellati in litologie diverse si evidenzia soprattutto nella grotta di Istéttai, proprio lungo le verticali dove la formazione mesozoica appare abbastanza varia, incontrando due strati di dolomie e due di calcari nella seguente successione: dolomia / calcare / dolomia / calcare / dolomia. Allʼingresso (Dolomia) si osserva una impostazione dei pozzi in frattura, poco lavorati, mentre al passaggio con i calcari (40 m), si assiste ad un aumento notevole delle dimensioni e alla preferenziale formazione di pozzi a sezione circolare, spesso in associazione a forme ellittiche verso il fondo. Le sedimentazioni presentano inizialmente bande grigiastre di deposizione e a diverse profondità si notano conglomerati di arenarie e calcari insiti nella struttura rocciosa larghi circa 2030 cm, mentre nella verticale che si apre a - 100 sono evidenti gli ammassi di macrofossili, a tratti messi in rilievo dallʼerosione-corrosione. Lʼultimo strato di calcari che si interpone nelle dolomie basali è spesso circa 20 m, tra la profondità di 185 e 205 m, una successione che non si presenta ad esempio nelle verticali del VPF che pur attraversano la stessa formazione. Questa stratificazione inaspettata modella una verticale

Speleologia 48

45


Supramonte verticale particolarmente bella nella forma circolare, incontrando la dolomia sottostante che restringe leggermente la sezione per impostarsi in larga frattura: il pozzo è di circa 50 metri, con una verticale spezzata lievemente dal contatto con le due litologie che formano un piccolo terrazzo circolare dal quale sporgono alcune lingue rocciose. Una particolarità è rappresentata dalla formazione di terrazzamenti in corrispondenza delle superfici di contatto con ammassi dolomitici dove la giunzione delle verticali viene sfalsata con evidente disassamento. I sedimenti calcarei infatti presentano una deposizione non omogenea verificabile sia presso il “VPF” che ad Istéttai dove le fasce sedimentarie, riconoscibili dal colore più scuro, mostrano la minor attitudine allʼerosione che le porta in visibile rilievo. Le faglie presenti lungo il settore del Flumineddu risultano di piccolo rigetto ma caratterizzano alcune importanti situazioni morfologiche. La principale discontinuità tettonica nella grotta di Su Eni ʻe Istéttai regola la direzione degli scorrimenti verso SSE, una direzione preferenziale che acquisisce già alle quote superiori. Alla profondità di - 360 si osserva il contatto con gli scisti paleozoici messi in grande evidenza sul lato ovest da una faglia di direzione SSE - NNW e che direziona inizialmente la galleria di “Landmannalaugar”. Poco più avanti la probabile presenza di una faglia trasversale a questa direttrice, non ancora ben individuata per i vari crolli che si susseguono in questa intersezione, disloca il contatto

46

in profondità, permettendo il lungo cammino dellʼacqua che preludeva inizialmente ad una situazione insostenibile, vista la direzione di sviluppo contraria allʼinclinazione della stratificazione. Nei passaggi in disostruzione oltre il sifone, la presenza di livelli marnosi ci indica che il contatto è nuovamente vicino. Possiamo pensare ad un cambiamento importante della direzione. Al “VPF” una faglia di direzione NE SW segna il ramo che permette lʼaccesso alla verticale sul salone del campo (-270) e approfondisce di diversi metri il contatto sul lato NW della sala, lato in cui trovano sfogo le acque originate dalle piene esterne verso la “Frana Maomettana”. Questa importante faglia, evidente anche in planimetria, pare delineare tutta la cavità fino alla “sala della cascata” e potrebbe suggerire una probabile prosecuzione presso una zona allagata da controllare forse più attentamente.

METEOROLOGIA DELLE CAVITÀ Gli ingressi, distribuiti in una fascia tra i 750 m e i 900 m slm, si aprono in un ambiente montano abbastanza rigido per cui le grotte, almeno considerando lo scenario isolano, si possono definire particolarmente fredde. Il comportamento meteorologico risulta in generale abbastanza chiaro e netto, anche se non sono stati eseguiti studi specifici. Tutti gli accessi inferiori, come di norma, fanno registrare temperature più basse, specialmente nella stagione invernale ed il prolungato raffreddamento delle zone iniziali genera, come si è potuto notare, unʼinerzia alle inversioni del flusso dʼaria riscontrabile nelle calde giornate primaverili. La massa della roccia di grande capacità termica, produce il veloce raffreddamento delle colonne dʼaria presente agli ingressi inferiori e induce movimenti aspiratori anche con temperature esterne che di regola tenderebbero a invertire il flus-


Supramonte verticale

so, mentre in autunno quando le temperature in queste zone sono state mitigate dai flussi in uscita del periodo estivo, si assiste ad una riduzione drastica del fenomeno ancora da definire nei dettagli. Il comportamento accennato si può notare particolarmente al VPF dove esiste una notevole superficie di scambio soprattutto nelle lunghe e strette diaclasi iniziali. In questa cavità si nota una circolazione definibile a “tubo di vento”, quindi in presenza di ingressi superiori, con un movimento più intenso rispetto alle altre qui menzionate. Su Colostrargiu e Nurra Cupercu appartengono a questa categoria. La disostruzione di alcune aperture alla base di Serra Cupercu ha indotto un aumento del flusso allʼingresso della “Nurra”, consentendo di trovare allʼinterno della cavità e tramite il rilievo, i punti comunicanti con alcune principali zone di assorbimento esterne, che attivano questa in caso di piene. Il fenomeno della formazione di colonne di vapore è molto esplicito in questi ingressi, soprattutto in presenza di aria satura, durante le piogge anche se in condizioni di temperatura non molto bassa Questo fenomeno ha facilitato durante la ricerca di campagna il reperimento di numerosi ingressi. Si possono registrare alcune situazioni di <tipo misto per la circolazione interna nella grotta di Sa Cungiadura ʻe su Calavriche, definibile a tubo di vento presso lʼingresso, che comuni-

Grotta VPF. Nella parte terminale del “ramo a monte del fiume” la galleria si sviluppa ad un livello superiore ed è solo occasionalmente interessata dallo scorrimento. Sono presenti alcune belle vasche che abbelliscono il percorso. (Foto V. Crobu)


Supramonte verticale

TRE RAGAZZI E UNA TENDINA DA DUE POSTI Il miracolo del VPF (Vittorio, Patrizia, Francesco) si rivela nella primavera del 2002: una serie di verticali ha impegnato per diverse settimane noi sette (“quelli del Collettore”) nell’attrezzamento. Non è più una tipica cavità sarda e i primi ostacoli lungo una fitta frana ci affascinano e ci spaventano: questo gioco è forse più grande di noi? Nuovo week-end 22-23 maggio 2002: siamo io, Riccardo De Luca e Massimo Farris, forse nell’ultimo tentativo di superare la frana che ci tiene da settimane con il fiato sospeso. Pensiamo che la strategia giusta sia allestire un campo interno, dopo tanti weekend distruttivi che ci hanno visti uscire puntualmente alle prime ore del mattino. Siamo veramente giù di morale...giungere a -300 dopo tutte le energie spese e fermarci in una frana! Dietro quel caos c'è il mondo! Comunque sia, la voglia di preparare un campo interno con le tendine che offriranno un caldo riparo ci appassiona più di quella intricata e oppressiva frana con cui dovremo combattere. Così sabato mattina siamo in grotta, qualche ora per affrontare le verticali con due zaini in più e all’ora del the siamo nel luogo della nostra condanna. Caldi ed

48

infangati, imbracciamo gli attrezzi da lavoro in mezzo a quel caos, ripassiamo ogni centimetro già visto e apriamo nuove vie spostando pericolosamente i blocchi che ci sovrastano. Sono ore di vani tentativi: decine di passaggi e strettoie ci fanno perdere la testa, solo la bussola sa la direzione giusta e alla fine ognuno parla con il proprio attrezzo. Prima ci assale la stanchezza e poi uno stato di abbattimento che cresce. Eppure sentiamo che il collettore non è mai stato così vicino. La diminuzione della temperatura esterna, con il sopraggiungere della sera, induce la grotta ad aspirare, muove un notevole volume d'aria qui giù ed è un piccolo stimolo per proseguire. Mi stacco da Massimo e Riccardo per tentare una via alta: se l'acqua ci chiude la strada di sotto, l'aria ce la indicherà di sopra? Io e il mio palanchino andiamo d'accordo quando siamo davanti ad una sfida. Giro per una mezz'ora fin quando mi raggiunge Riccardo. Apriamo altre vie buttando giù quintali di pietre che occludono i passaggi e la bussola indica nord, non è male! L’immersione degli scisti lungo la frana è circa a NE. I blocchi qui si poggiano ad una parete che pare essere l'unico punto fermo di questo labirinto. Contorsioni e movimenti serpeggianti mi portano in un ambiente diaclasico, proprio una stranezza in mezzo a questo caos. Una fessura più avanti mi lascia intravedere

un buio maestoso, uno di quei vuoti in cui la voce si perde (come in un salone?!). Mi sento come un gatto chiuso in un barattolo, questa fessura è troppo stretta accidenti! Si avvicina Riccardo e sale, vertiginosa, l’ansia da esplorazione: l’arrampicata nella diaclasi mi porta nuovamente in frana e sopra il nuovo salone. Massimo intanto è irrintracciabile (si starà rifacendo il trucco? Boh). Pochi passaggi e sono finalmente giù, mi si apre un grande vuoto che a destra sprofonda verso il basso mentre davanti scorgo un largo terrazzo che sembra proseguire più comodamente. Siamo all'ora della verità, ma nessuno di noi due osa illudersi troppo e in un silenzio riflessivo continuo il mio viaggio: la sala prosegue per decine di metri e più avanti stringe in una frattura verticale. Posso andare avanti tra i massi incastrati nel nuovo ambiente di frana. Mi si apre alla vista una densa oscurità, mi blocco di scatto e fermo pure il respiro. Non può essere! Questo è il rumore di un fiume “....Fiumeeeee!”, urlo come un pazzo verso Riccardo e torno più indietro perché mi possa sentire. Anche lui chiama Massimo con tutta la forza dalla frana che lo blocca, e intanto perdo la testa e mi affaccio nel salone. Con l'elettrico cerco di scrutare il buio per valutare la via di discesa. L'aria è satura di umidità, con un fragore d’acqua che proviene dalla parte


Supramonte verticale Su eni ‘e Istéttai. Suggestiva condotta freatica fossile perfettamente circolare a -135 m. Questa morfologia si sviluppa sul piano di contatto con la dolomia sottostante, un’interfaccia che ha favorito la genesi di queste forme nei calcari soprastanti, trovandosi spesso in regime di pressione. (Foto R. De Luca)

ca grazie ad unʼalta frattura verso zone superiori, dove si innescano flussi molto evidenti, mentre nei pozzi interni completamente occlusi al fondo da potenti concrezionamenti. la circolazione – pressoché assente – costituisce un regime statico definibile a “sacco dʼaria”. Istèttai sembra rispecchiare un comportamento generale come quello appena descritto. Un comportamento particolare con circolazione sempre soffiante si riscontra negli ambienti postsifone e si avverte palesemente presso la zona in disostruzione: questo farebbe pensare ad un tipo di circolazione “endogena” che si manifesta per ricir-

inferiore dell’oscurità. L’idea di poter trovare il collettore mi fa impazzire e salto giù sui grossi blocchi che terrazzano questo ambiente che sprofonda fino ad una distesa puntinata di piccoli ciottoli umidi. Davanti mi si presenta un lago cristallino che contorna una prepotente cascata, avvolgendo una grossa formazione stalagmitica di un vivo colore ocra che si protende fino all’invitante buco sul soffitto della sala. Resto

colo in ambienti interconnessi a notevole sviluppo verticale. Lʼingresso di Istéttai risulta spesso “aspirante” e nelle giornate calde si manifestano brevi cicli di inversione; questa fase di transizione farebbe supporre di essere in realtà in presenza di un meteo medio, in prossimità della quota di inversione, mentre le basse temperature non fanno che accentuare notevolmente il flusso di aspirazione. Le misurazioni presso Su Colostrargiu, VPF e Istettai dimostrano che le temperature più basse si esprimono presso zone iniziali come di norma e lungo importanti restringimenti della cavità ad alta ventilazione e con presenza di intenso stillicidio. Le temperature a Istéttai sono state misurate il 22 giugno 2003; nei primi pozzi in calcare (-60 m circa) registrando il valore di 8,1°C per lʼacqua, 8,4°C per la roccia e 9,3°C per lʼaria; nelle strettoie a -250 risultano 8,9°C per acqua e 9,3°C in aria, con unʼumidità relativa del 96%. Questi valori abbastanza bassi tendono ad aumentare presso il fondo dove, pur essendoci grande circolazione dʼacqua, lʼevaporazione è ridotta a causa dei bassissimi flussi dʼaria che attestano

senza parole. “Questo è un film?” Penso che questa grotta sia frutto della mente e incredulo mi chino per bere. E’ un momento veramente magico! La frenesia esplorativa mi riconquista dopo breve e scruto lungo la via del fiume mentre più su si aprono spaziose sale. Questo è un sogno, non è una grotta! Vado a recuperare i due compagni per condividere la bellezza di questa scoperta, questa notte non si dor-

mirà! Alle quattro del mattino siamo ancora con la pala in mano per spianare una piazzola sul lato del salone, altrimenti la tenda dove si piazza? Abbiamo ancora voglia di scherzare e ridere dopo una durissima giornata ma resta ancora, soprattutto, il sapore dell’avventura di tre ragazzi e una tendina da due posti. Vittorio Crobu

Grotta VPF. Alla profondità di 270 m il contatto con il basamento metamorfico costituito da scisti paleozoici ha permesso la formazione di un ampio salone di crollo, da dove si diparte la “Frana Maomettana”. Un suggestivo salto di 15 m immette nell’ambiente dominando il confortevole campo interno attrezzato di tendine . (Foto V. Crobu).

Speleologia 48

49


Supramonte verticale a 10,3°C lʼaria nel ramo denominato “campo da Rugby” (-300) e presso il sifone 11,6°C per lʼacqua e 12,1°C per lʼaria.

SIAMO SOLO ALL’INIZIO

Porceddu e trattalias sapientemente preparati dalle abili mani del sig. Pietro Mulas di Urzulei. (Foto R. De Luca) S’iscra Olidanesa, Supramonte di Urzulei. Nonostante il tempo invernale si presenti rigido e avverso, i lavori di disostruzione non conoscono soste. (Foto G. Melis)

DATI CATASTALI 2623 SA/NU SU COLOSTRARGIU Urzulei, Colostrargiu, Funtana Bona 517 IV Lat.: 40° 08’ 12’’ – Long.: 09° 27’ 03’’- Quota: 825 m slm Svil.spaz.: 478 m - Svil.plan.: 385 m - Disl.: 108 m Ril: Carla Corongiu, Vittorio Crobu, Riccardo De Luca, Patrizia Soro. 2360 SA/NU NURRA CUPERCU Orgosolo, Serra Cupercu, Funtana Bona 517 IV Lat.: 40° 08’ 13’’ – Long.: 09° 26’ 59’’- Quota: 875 m slm Svil.spaz.: 325 m - Svil.plan.: 197 m - Disl.: 113 m Ril: Carla Corongiu, Vittorio Crobu, Riccardo De Luca, Patrizia Soro, Alessandra Ardau. 2718 SA/NU SA MELA Urzulei, Codula Sa Mela, Funtana Bona 517 IV

50

Ci sono tutti i presupposti per entrare nel profondo collettore già in un futuro non lontano, ma la vastità del sistema carsico esistente non può non far pensare alle difficoltà tecniche, che già in questa fase si manifestano. Dei due settori principali, quello direttamente adiacente a SʼEdera può aprire altre connessioni a valle delle gallerie esplorate recentemente, ma esiste un largo intervallo fino al Flumineddu, costituito dal rilievo di M.te Unnoro e cime adiacenti, che portano lʼaltimetria oltre quel livello stimolante per ricerche fruttuose. Si può sperare di raggiungere questa parte del sistema carsico più interno soltanto dai due fronti, ma con grande complessità. Lʼulteriore limite è stabilito dagli altipiani di Orgosolo a N dellʼansa a”U”, importantissima area che nonostante le numerose ricerche non ha ancora dato i giusti frutti (si può stimare una profondità per il raggiungimento del basamento impermeabile di oltre 600 m per ora relegata solo alle cavità dʼoltremare). Si riuscirebbe a fare una ricerca promettente più a N solo nel lontano Supramonte di Oliena, ...ma ancora i tempi non sono abbastanza maturi per organizzarsi. Lʼinteresse può invece concentrasi nel collegamento delle grotte di Colostrargiu e “VPF”: si tratterebbe di diversi chilometri sotto il Supramonte di Urzulei, che possono trovare anche fattibili e immediati riscontri, vista la relativa facilità con cui è possibile forzare rispettivamente la frana a valle di Su

Lat.: 40° 07’ 24’’ – Long.: 09° 28’ 03’’- Quota: 925 m slm Svil.spaz.: 230 m - Svil.plan.: 146 m - Disl.: -114 m Ril: Carla Corongiu, Vittorio Crobu. N° catastale non ancora assegnato SA/NU SA CUNGIATURA DE SU CALAVRICHE Orgosolo, Su Calavriche, Funtana Bona 517 IV Lat.: 40° 08’ 58’’ – Long.: 09° 28’ 34’’- Quota: 800 m slm Svil.spaz.: 342 m - Svil.plan.: 150 m - Disl.: 114 m Ril: Sergio Bangoni, Vittorio Crobu, Patrizia Soro. 2717 SA/NU SU SAMMUCU Urzulei, Su Sammucu, Funtana Bona 517 IV Lat.: 40° 08’ 49’’ – Long.: 09° 28’ 10’’- Quota: 775 m slm Svil.spaz.: 273 m - Svil.plan.: 200 m - Disl.: - 41 m

Ril: Carla Corongiu, Vittorio Crobu, Riccardo De Luca, Massimo Farris, Patrizia Soro. N° catastale non ancora assegnato SA/NU S’ORALE ‘E SU MUDRECU ( VPF ) Urzulei, Funtana Bona 517 IV Lat.: 40° 08’ 43’’ - Long.: 09° 27’ 47’’ - Quota: 790m slm Svil.spaz.: 1570 m - Svil.plan.: 1252 m - Disl.: 340 m Ril: Carla Corongiu, Vittorio Crobu, Riccardo De Luca, Massimo Farris, Patrizia Soro. N° catastale non ancora assegnato SA/NU SU ENI ‘E ISTÉTTAI Urzulei, Funtana Bona 517 IV Lat.: 40°08’52” – Long.: 09°28’19” - Quota: 760m slm Svil.spaz.: 1600 m - Svil.plan.: 1250 m - Disl.: 370 m Ril: Silvia Arrica, Vittorio Crobu, Gianluca Melis, Massimo Farris, Patrizia Soro.


Supramonte verticale Su eni ‘e Istéttai. Discesa in una delle belle verticali in calcare a -120. Dalla profondità di - 40 si assiste ad un aumento notevole delle dimensioni e alla preferenziale formazione di pozzi a sezione circolare, spesso in associazione a forme ellittiche verso il fondo. (Foto R. De Luca)

Flumineddu, lʼultimo fronte da dove poter accedere alla parte centrale e vadosa del grosso sistema, un progetto affascinante, che stimola forse più del settore iniziale di Sʼiscra Olidanesa e Codula de sa Mela, nonostante presenti anchʼesso un grande potenziale speleologico.

RINGRAZIAMENTI

Colostrargiu e il sifone del ramo a monte del “VPF”, non ancora tentati per scelta e impostazione della ricerca. I numerosi rami che raccolgono gli assorbimenti lungo il Flumineddu e il versante di Orgosolo farebbero lievitare lo sviluppo di tutta questa porzione sconosciuta, con prospettive forse sottovalutate. Sarebbe di conseguenza proficuo impegnarsi maggiormente nel ramo terminale del “VPF” per proseguire verso la confluenza con il collettore principale. Il ramo a monte di Colostrargiu occluso dalla frana è il punto di arrivo del fiume che alimenta questa importante ramificazione del collettore; anche qui le possibilità sono legate ai collegamenti con il vicino settore di contatto e, come le altre aree periferiche, può ancora esprimere ulteriori potenzialità, così come le zone ancora poco esaminate a W e a S del Flumineddu, che, se non appaiono direttamente collegate al collettore, possono portare a buoni risultati nel reperimento di altre cavità. Il nucleo principale dei lavori è certamente quello del

Quattro anni di continuo impegno ricordano grandi emozioni e fatiche vissute tra pochi compagni accomunati dallo stesso desiderio che si sviluppa in un ambiente grandioso, familiare e severo nello stesso tempo, come il Supramonte. Ricordi di bei momenti si alternano a quelli di sacrifici, timori e, a volte, anche di sconforto. Vorremo ringraziare tutte le persone che ci hanno offerto amichevolmente il loro contributo: il primo compagno di scavi Francesco Lai; Alessandra Ardau; gli amici di Baunei Marco Millelire, Salvatore Caredda, Benedetto Maddanu e Sergio Bangoni; i ragazzi di Cagliari speleo e non; la cricca delle “merdone”, la “balena”e le altre bestie che spesso ci fanno compagnia; Sandro Sulis, Jo De Waele, Lucio Mereu, che ultimamente ci danno forte sostegno e poi ancora Antonio Saba e Salvatore Porcu con cui collaboriamo nei tempi più recenti ad alcune disostruzioni; i ragazzi del gruppo di Urzulei e così tutte le persone amiche del paese che incontriamo sulla montagna, in particolare il sig. Pietro Mulas caro amico e punto di riferimento nel solitario Supramonte di Urzulei. che improvvisa buoni pranzi a base di porchetto. Grazie anche allʼamico Aldo Puggioni che ci vizia in “cucina” mettendo a serio rischio il nostro passaggio in strettoia e gli amici dellʼEquipe Speleologica di Domusnovas, in particolar modo Franco Fais e Massimiliano Gessa. E infine i responsabili catasto Mauro Villani e Mario Puddu, sempre disponibili. Senzʼaltro dimenticherò qualcuno, chiedo scusa a mio nome e di tutti “Quelli del Collettore”. I

Speleologia 48

51


Matanzas

MATANZAS 2003 Speleologia a

Cuba

CRONACA DI UNA SPEDIZIONE Attilio Eusebio*, Roberto Jarre**, Giuseppe Minciotti***, Estaban Grau**** *Gruppo Speleologico Piemontese CAI UGET, Torino **Gruppo Speleologico Alpi Marittime CAI, Cuneo ***Gruppo Speleologico CAI, Verona ****Sociedad Espeleologica de Cuba

Una complessa regione di cenotes scarsamente documentata, anche se logisticamente facile, apre interessanti prospettive per le future esplorazioni

52

Introduzione Nellʼimmaginario collettivo lʼisola di Cuba evoca il ricordo di una natura ancora selvaggia, di campi di tabacco e di canna da zucchero, dellʼautarchia comunista, di un ideale “cubano” nato dalla rivoluzione di Fidel e di Che Guevara, e di un orgoglio nazionale che vuole competere, con dignità e fierezza, con i vicini Stati Uniti. Cuba in realtà è tutto questo, a cui bisogna sommare il clima favorevole e la gente ospitale per farne la terra ideale per le esigenze di una comunità speleologica in cerca di avventura, sognando grandi e calde gallerie, giungla e zone inesplorate. Meno male quindi che, accanto al fenomeno turistico di massa con i suoi aspetti deteriori, esiste anche questa realtà parallela: una Cuba non turistica dove la grande massa per ora non arriva, le esplorazioni si svolgono in scenari differenti da quelli prospettati nei cataloghi delle agenzie e la vita di tutti i giorni è abbastanza diversa da quella dei villaggi turistici. Il modo di vivere del popolo cubano, spesso duro ed austero, lo si percepisce attraversando lʼisola e percorrendo le strade che uniscono i centri turistici. La nostra spedizione, isolata dal contesto turistico, ha avuto modo di provarlo unendo allʼaspetto ludico ed esplorativo tipico, in questo caso, dellʼattività speleosubacquea, anche una esperienza umana del tutto nuova.


Matanzas

Il Cenote dell’Infierno, una delle più controverse cavità visitate. I suoi grandiosi ambienti sono purtroppo rovinati da detriti e rottami di varia natura, depositati sul fondo di un gigantesco salone di 80 per 25 m.

Tutto questo è stato possibile grazie al Protocollo di accordi SSI - SEC, con scambi finalizzati a facilitare gli ingressi in territorio cubano e permettere una frequentazione delle grotte locali agli speleologi italiani. A questo va premesso che Cuba ha una profonda cultura speleologica che si perde nella notte dei tempi e che trova la sua forza e motivazione attuale nellʼutilizzo delle grotte per usi militari come fu fatto – in modo decisivo – durante la rivoluzione. Sullʼisola dunque la speleologia è una cosa seria e tutti conoscono, rispettano e ascoltano lʼorganizzazione speleologica, che è riconosciuta e parzialmente finanziata dal governo centrale. Una spedizione ufficiale, per giunta esplorativa, è quindi un passo serio ed importante. Per noi, oltre ai problemi burocratici – in verità trascurabili anche per i buoni rapporti personali ed istituzionali della speleologia italiana con quella cubana – restano quelli

Schema della situazione carsica della parte centro-occidentale dell’isola. In giallo sono evidenziate le zone perlustrate (da Gèze et Mangin, 1980 modif.).

logistici. Lʼorganizzazione di una spedizione speleosubacquea si porta dietro una serie di problematiche ambientali quasi insormontabili ad oltre 8.000 chilometri da casa, tra cui prevale il trasporto materiali. Non va infatti dimenticato che la spedizione è stata possibile grazie ad una lunga e accurata preparazione. Una rappresentanza cubana era stata infatti ospite in Italia e con essa avevamo discusso a lungo i programmi, le aree di intervento e le modalità di collaborazione. Inoltre lʼufficio relazioni estere della SSI e della SEC, lʼagenzia Altius Sole, specializzata in viaggi alternativi, hanno lavorato a tempo pieno per ol nostro progetto. Premesso tutto ciò permanevano ancora alcune difficoltà. Una ragionevole autonomia che comprendeva compressore, bombole ed attrezzature personali per tre speleosub, come nel nostro caso, vale circa 350 kg di materiali, trasportati prima allʼaeroporto, poi sullʼaeromobile, poi ancora a spasso per Cuba ed infine nelle varie grotte cubane. Alcuni dei materiali indispensabili erano incompatibili con i normali regolamenti aeronautici, sempre più rigorosi e restrittivi: il trasporto di un compressore e delle bombole subacquee ha così dovuto ottenere anche alcuni importanti placet da parte delle Autorità competenti e della compagnia aerea.

Diario della spedizione Il 26 aprile 2003 alle 11.00 decolla dallʼaeroporto di Milano Malpensa il volo 127 con destinazione La Habana. A bordo ci sono i componenti della prima spedizione speleosubacquea italiana a Cuba. È composta solamente da tre persone: Attilio Eusebio, Roby Jarre, Beppe Minciotti, ma con 350 kg di materiale. Tutto era nato circa sedici mesi prima mentre si stava esplorando una risorgenza in Piemonte: tra chiacchiere e progetti vari si cominciò a pensare di andare a Cuba, dove si sapeva che cʼerano tante risorgenze e cenotes inesplorati. Lʼidea a poco a poco cominciò a concretizzarsi, cʼera lʼaccordo tra SSI e SEC che ci favoriva, cʼera gente interessata a partecipare, le notizie cominciavano ad arrivare, lʼiniziativa prendeva forma. Come sempre succede in queste vicende gli ultimi mesi sono decisivi e frenetici e in quei pochi giorni prima della partenza accade di tutto. Infatti giunti al dunque rimaniamo solo in tre sicuri di partire: che si fa? Avevamo ipotizzato di non essere molti, sei massimo otto persone per essere snelli, flessibili e veloci, ma solo tre rischiamo di essere drammaticamente in pochi. Alla fine decidiamo di andare: essere solo in tre sarà la nostra fortuna. A Cuba

Speleologia 48

53


Matanzas impareremo subito che oltre le tre - quattro persone si rischia di incorrere in problemi insormontabili; problemi qui facilmente risolvibili là diventano paralizzanti, reperire mezzi di trasporto è un problema, lʼalloggio è un problema, in pochi, ma veramente in pochi, si riesce a cavarsela abbastanza bene; in numero maggiore si rischia il black out. La seconda seria crisi che abbiamo dovuto superare prima della partenza è stata quella legata ai materiali. Si sa che speleologia subacquea significa materiali voluminosi e pesanti: ci vogliono le bombole, i compressori per caricarle ecc. Inizialmente contavamo di reperire questo materiale in loco, invece alla fine ci siamo resi conto che non cʼè niente da fare: o ci portiamo tutto ma proprio tutto o arrivati là ci troviamo senza bombole e compressore per caricarle. Non è facile, ma stoicamente decidiamo di portarci le bombole e di comprare un compressore e portarci anche quello. Tutto questo però pesa terribilmente e sugli aerei i pesi si pagano profumatamente. Extra budget abbiamo già comprato di tasca nostra un compressore,

Speleosub in azione.

54

INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO Cuba è un’isola che si può definire senza dubbio “calcarea”, su una superficie di 110.000 km2 più di 80.000 km2 sono occupati da rocce carbonatiche, per la maggior parte interessate da fenomeni carsici superficiali e profondi. Si tratta per lo più di morfologie di tipo tropicale che nel 1968 A. Nuñes Jimenez et al. (Nuñes Jimenez A, Panos V. y Stelcl O. Carsos de Cuba, Ac. Ciencas Cuba, Ser. Espeleologica y Carsologica, 2, 47 pp) catalogarono in 6 macro-tipi e 14 sottotipi, identificando i vari karst che coprono tutte le situazioni presenti sull’isola. Successivamente Gèze e Mangin nel 1980 (Bernard Gèeze et Alain Mangin – Le karst de Cuba - Rev. Géol. Dynamique et de Gèogr. Physique, vol 22, fasc. 2, 157-166, 1980) semplificarono di molto la trattazione, distinguendo e concentrando il loro studio su due tipologie caratteristiche, ben evidenti ed originali del territorio cubano: i “cénotes” ed i “mogotés”. Nel primo caso si tratta di una particolare morfologia carsica (pozzo - dolina) dove all’ingresso segue una cavità più o meno sviluppata e percorribile, occupata dall’acqua in modo perenne. E’ di fatto un’apertura naturale verso un carso allagato a debole profondità, mediamente tra i 5 ed i 20 metri. Gli ingressi sono subcircolari e nell’area studiata sono posizionati, con sorprendente monotonia, intorno ai 10-15 metri slm. Il termine è di derivazione messicana ma anche a Cuba ha lo stesso significato. I cenotes presenti sull’isola sono innumerevoli ma prevalgono nella parte occidentale e vanno ad occupare una fascia larga da 20 a 30 km e lunga circa 250 km, compresa nelle province di Pinar del Rio, La Habana, Matanzas e Las Villas. Il termine “mogoté” è invece di derivazione spagnola ed è ben rappresentativo del carso cubano a coni, passante a cupole ed a volte a torre. In ogni caso si tratta di un rilievo calcareo, abitualmente circolare, con un diametro da 100 a 500 metri, che si innalza sulla pianura sottostante da 50 a 200 metri. E’ un tipo di carsismo relativamente diffuso in tutto il territorio cubano ma che raggiunge le sue massime espressioni nella Sierra de los Organos nella provincia di Pinar del Rio. Una successiva trattazione del carsismo nei suoi molteplici aspetti e delle grotte cubane viene svolta nel 1988 ancora da Nunes Jimenez e colleghi, nell’ultima edizione di “Cuevas y Carsos”: qui viene ripresa la suddivisione “cubana” delle morfologie carsiche in maniera chiara ed esplicita. Queste, elencate di seguito, catalogano in modo esauriente tutto il territorio dell’isola: • Llanuras carsicas • Llanuras calcareas • Llanuras de carso desnudo y parcialmente desnudo • Carso con una capa delgada de suelos • Carso litoral y de las terrazzas marinas • Llanuras formadas por depositos potentes • Carso de los pantanos y las ciénagas • Alturas y montanas carsicas • Mesetas • Carso cupular • Carso conico y de torres • Carso tabular • Carso en yeso • Carso tabular en association con el carso conico Le aree obiettivo dalla nostra prospezione, in previsione di un


Matanzas

Schema del karst tra Matanzas e il Golfo di Batabano con evidenziate le caratteristiche delle due Llanuras carsicas. In verde sono rappresentati i terreni non carsici, in marrone i calcari mentre la linea viola tratteggiata indica la piezometrica ideale. Le frecce evidenziano le ingressioni di acqua marina.

approfondimento successivo, sono posizionate ad E e a S di Matanzas in un contesto carsico attribuibile alle “Llanuras de carso desnudo y parcialmente desnudo” per quanto riguarda l’area compresa tra Matanzas stessa e Varadero (sistema di Santa Catalina). Per la tratta più meridionale si tratta invece della classica Llanura carsica meridional. La prima zona presenta una estensione di molte decine di chilometri quadrati con quote altimetriche comprese tra 100 m slm circa fino alla costa, dove sono evidenti anche fenomeni carsici marini (grotte sottocosta, ecc..). I litotipi sono costituiti da calcari organogeni di età compresa tra il Pliocene ed il Pleistocene, generalmente con caratteristiche geomeccaniche non particolarmente buone. Morfologicamente si presenta come una piana monoclinale debolmente inclinata verso il mare. La copertura vegetale di queste aree è relativamente estesa ed abbondante soprattutto in prossimità dei punti d’acqua (quindi delle grotte). Raramente comunque affiora il karst in modo netto e la copertura argillosa e vegetale è diffusa pressoché ovunque. Vi sono complessi carsici chilometrici, il più noto dei quali è la Grotta di Santa Catalina, in parte turistica, che si sviluppa per circa 20 chilometri in un alternarsi labirintico di gallerie suborizzontali quasi sempre asciutte. Il reticolo carsico è organizzato in livelli fossili ed attivi spesso collegati da grandi crolli, con abbondante presenza di depositi e concrezionamenti tra cui si riconoscono le tipiche concrezioni subacquee. Il livello di base viene raggiunto da quasi tutte le cavità con laghi e sifoni a quote prossime a quelle marine anche a chilometri di distanza dalla costa, mettendo in evidenza un gradiente piezometrico molto basso (tra 0,05 e 0,1%). Le immersioni rivelano la totale assenza di correnti e la presenza di acque stratificate con ingresso di acque marine profonde anche all’interno di cavità lontane dal mare, come ad esempio nella Cueva di Saturno. Ciò è dovuto all’esistenza di una rete freatica vasta, profonda e con tempi di residenza delle acque relativamente lunghi. Questa risente in modo sensibile e documentabile dei forti prelievi di acqua dolce eseguiti attraverso pozzi per alimentare i villaggi turistici. La seconda zona è a S di Matanzas. Provenendo da N vi si giunge scendendo da una serie di graziose colline, solcate da qualche sporadico corso d’acqua, arrivando ad una pianura infinita, fortemente

vegetata, in parte antropizzata ed oggetto di piani di risanamento e coltivazioni per lo più abbandonate (canna da zucchero ed aranceti). Morfologicamente è una grande pianura che degrada verso il mare con gradienti intorno all’0,1% e che nella parte più prossima al Golfo di Batamano e nella Penisola di Zapata si trasforma in un’area palustre nella quale acque dolci e salate si miscelano senza soluzione di continuità. In questa immensa piana si aprono cavità anche di grandi dimensioni (diametro fino a 70-80 metri) che raggiungono quasi sempre il livello di base della falda. Nella parte mediana sono presenti i cenotes, i cui ingressi sono spesso nascosti dalla abbondante vegetazione che si concentra sui bordi o all’interno dei pozzi - dolina, con una densità media di una cavità ogni 2-3 km2. Gli ingressi sono solitamente subcircolari, con diametro da qualche decimetro fino a grandi dimensioni. Nel primo caso il pelo dell’acqua è libero ad una profondità di 5-10 metri, nel secondo si osserva abitualmente un cono di detriti nella parte centrale. Quello che appare chiaro, e le esplorazioni speleosubacquee lo stanno confermando, è l’esistenza di un grande reticolo di gallerie, che seppure con dimensioni variabili, rappresenta un unico, immenso serbatoio. Cenote de Cocodrilo.

Speleologia 48

55


Matanzas lui. Quindi si riparte alla volta di Saturno, località turistica dove ci installeremo. Arriviamo che piove e tira vento, la stagione delle piogge sta iniziando e noi cominciamo a pagarne le conseguenze. Il maltempo ci perseguiterà anche nei prossimi giorni, mettendo in più di un momento in seria crisi la nostra pazienza e la nostra sopportazione. Ceniamo al relativo riparo di un ampia tettoia e poi ci impossessiamo di un locale adibito ad una specie di punto informativo per turisti per dormire al riparo della bufera, tra bombole, compressore, sacchi e scatoloni. Sarà la nostra sistemazione per i prossimi giorni. Dopo oltre 24 ore ci stendiamo per riposare.

Per le strade di Matanzas, capoluogo dell’omonima regione (foto di A. Danieli)

che costa ben più di qualche euro e lʼaccollo degli onerosissimi costi per il sovrappeso è improponibile per il bilancio della spedizione che è totalmente a nostro carico. Con una disperata determinazione riusciamo a far caricare tutte le nostre masserizie senza sborsare un cent. Alla fine, snelliti nel numero e lievitati in pesi ed ingombri, un poʼesauriti da tante traversie ma assolutamente decisi, seduti su tre poltrone di classe economica, siamo in volo per Cuba. 26 aprile 2003, La Habana. Recuperiamo tutto (e non è poco) il materiale e ci incontriamo con un nutrito gruppo di cubani che ci attendono in aeroporto. Poco dopo arrivano anche i mezzi che ci condurranno a Matanzas. Vedendoli si comincia subito a capire come gireranno le cose nei prossimi giorni. Noi saliamo su un vecchio e sgangherato GAZ 69 ex armata rossa, il materiale e i cubani su un camioncino di marca, modello ed età indefinibili, più che sgangherato ormai devastato. Alla partenza, per motivi a noi oscuri, i due mezzi prendono direzioni diverse; i nostri accompagnatori cubani non si scompongono, noi speriamo bene visto che sul camioncino ci sono tutti i nostri averi. Lungo la strada la nostra GAZ si ferma, è finita la benzina e non ce nʼè altra. Aspettiamo fiduciosi che passi il camioncino, sperando che sia dietro a noi. Gli amici cubani sono tranquilli, noi li imitiamo rassegnati. Alla fine il camioncino si materializza allʼorizzonte della deserta strada litoranea cubana. Restiamo sconcertati nel renderci conto che i cubani non pensano minimamente a rifornire di carburante il mezzo rimasto a secco ma lo trainano, così sul far della sera facciamo il nostro ingresso trionfale a Matanzas a rimorchio dello sderenato camioncino. Veniamo accompagnati alla abitazione di Ercilio, il presidente della SEC, e ci intratteniamo un poʼ con

56

27 aprile 2003, Saturno. Lavoriamo alacremente per riassettare lʼattrezzatura, verificare tutti i materiali, rimontare e caricare le bombole. Il compressore funziona a dovere e romba per ore riempiendo le nostre bombole e quelle di due speleosub cubani che sono con noi, Adriano e Clinche. Finito questo lavoro partiamo alla volta di due cuevas allagate non molto distanti dalle nostra base. La nostra trepidazione svanisce tristemente dinnanzi alla prima: è un laghetto di un verde marcescente schifoso. Il morale si rialza alla vista della seconda. Allʼinterno di un ampio cavernone un lago cristallino molto invitante. Al ritorno passiamo per Varadero, la Rimini cubana, quindi visitiamo la Cueva di Santa Catalina, una grotta fossile di ampie dimensioni e di grande sviluppo con impressionanti concrezioni. 28 aprile 2003, Saturno. Si preparano le attrezzature e si parte alla volta del laghetto visto ieri. Cavallerescamente, ma non disinteressatamente, lasciamo il passo ai cubani che si accingono ad immergersi in quellʼacqua poco invitante. Non escono dopo molto, la visibilità è nulla, perciò lasciamo perdere sperando in maggiore fortuna altrove. Li aiutiamo a sbaraccare e andiamo alla Cueva de lʼAgua. Allʼingresso Beppe viene ripetutamente punto da una vespa e finisce subito fuori gioco. Si immergono Adriano, Clinche, Poppi e Roby. Nulla di entusiasmante, le sezioni via via si restringono e aumentano i depositi di sedimento finissimo che a sfiorarlo si alza in nuvole impenetrabili che annullano la visibilità. Ritorniamo alla base. Beppe è ai box momentaneamente bloccato dalle punture della vespa. Si riparte per la Cueva Los Mojados; lʼavvicinamento non è facile perché si trova in una inestricabile boscaglia dove orientarsi è veramente difficile. Il sifone praticamente non cʼè, ma nel laghetto interno dove viene fatta lʼimmersione vengono individuati dei pesci ciechi e del vasellame antico. 29 aprile 2003, Saturno. Dopo aver lavorato alla ricarica delle bombole, si va alla Cueva Abono. Posto veramente notevole, grande caverna con dovizia di concrezioni fossili e lago cristallino. Si prepara Beppe e si immerge nel primo lago. Non cʼè gran che. Solo un paio di buchetti stretti e estremamente insidiosi perché si aprono tra roccia instabile e frana. Infilandosi dentro crolla di tutto e si rischia di rimanere sepolti. Si passa ad un secondo lago. Scende sempre Beppe e subito si allontana in profondità. Alla base una galleria prosegue ma è già sagolata, da


Matanzas non si sa chi, visto che a detta dei cubani dovremo essere i primi a fare immersioni qui. Dopo aver seguito la sagola percorrendo ampi ambienti sommersi. Beppe riemerge per tuffarsi in un terzo laghetto. Qui vengono trovate diverse prosecuzioni che però inesorabilmente si ricollegano alla galleria già sagolata. Nel pomeriggio ci spostiamo verso Matanzas. Risaliamo con un gommone un fiume per visitare una grotta altrimenti non raggiungibile. Il viaggio è entusiasmante, peccato per il cielo plumbeo e per la pioggerellina che a tratti cade. Anche lʼapprodo è spettacolare. Raggiungiamo la grotta e Roby si immerge nel laghetto terminale. Anche qui nessuna prosecuzione di rilievo. Dopo questa esperienza andiamo nella periferia della città, sulla costa per verificare la presenza di alcune grotte costiere. Si immergono Adriano e Poppi. La faccenda ha dellʼesilarante poichè lʼimmersione avviene sulla costa prospiciente ad un enorme condominio di stile sovietico. Tutti sono alle finestre e sui balconi a guardarci: centinaia di persone assistono allʼimpresa. Come si poteva prevedere non cʼè nulla, ma comunque è un gran divertimento. 30 aprile 2003, Saturno. Ricarica bombole e preparazione di tutta lʼattrezzatura. Oggi facciamo una immersione nel lago sifone della Cueva di Saturno. Ci dedichiamo esclusivamente allʼattività fotografica. Le condizioni ambientali e la limpidezza dellʼacqua sono ottime. Restiamo sotto a fotografare per oltre unʼora. Nel pomeriggio si ritorna alla Cueva Los Mojados. Considerato lʼavvicinamento disagevole alleggeriamo al massimo il materiale da trasportare, ma nonostante ciò il percorso è faticoso e disagevole. La boscaglia è fitta ed impenetrabile e non è facile orientarsi e aprirsi la strada. Fa molto caldo e quando finalmente arriviamo alla grotta sostiamo a lungo allʼombra e al fresco allʼinterno. Beppe e Roby si immergono e riescono a fotografare i pesci ciechi ed i reperti individuati in precedenza. Un vaso integro viene recuperato per consegnarlo ai cubani. A sera Adriano e Clinche, gli speleosub di La Habana che sono stati con noi in questi giorni, tornano a casa. Li rivedremo gli ultimi giorni, quando ci accompagneranno a visitare alcuni sifoni nei pressi della capitale.

Ritornati alla nostra base, la troviamo affollatissima di turisti europei e cubani e occupata da un folto gruppo di tecnici televisivi o cinematografici che devono girare dei filmati. Facciamo fagotto in fretta e ci allontaniamo da quella confusione. A Matanzas grazie al fatto che siamo solo in tre veniamo ospitati dai nostri accompagnatori cubani e alloggiamo tranquillamente a casa loro. 2 maggio 2003, Matanzas. Dalla città ci spostiamo a SSE alla ricerca di nuovi sifoni. Anche i nostri accompagnatori non conoscono particolarmente bene la zona, ma riescono a recuperare alcuni abitanti del luogo che ci portano a vedere cinque cavernoni con al fondo un lago. Almeno tre sono sicuramente interessanti ma si aprono proprio in mezzo alla jungla e bisogna aprirsi la strada a colpi di machete. Ritorniamo che è sera, prepariamo tutti i materiali necessari per domani, consumando la solita cena francescana a cui ci siamo ormai più che abituati e rassegnati, ma che comincia a stufarci e speriamo in un domani gastronomicamente più fortunato. 3 maggio 2003, Matanzas. Oggi è una bella giornata, carichiamo le nostre masserizie sul camioncino che ci accompagna fin dal primo giorno e partiamo alla volta delle cuevas localizzate ieri. Ognuno di noi tre si immerge in maniera indipendente in una delle cavità, riportandone descrizione e rilievo. È una metodologia molto efficace che ci consente di essere estremamente efficienti senza sovraccaricarci eccessivamente. Terminate le immersioni ci spostiamo verso la zona di Bolondron dove cerchiamo il Cenote del Cocodrilo. Quando arriviamo restiamo veramente impressionati: è un lago di oltre quaranta metri di diametro, con pareti a picco alte circa dieci metri dal pelo dellʼacqua e con al centro unʼisoletta completamente ricoperta di folta di vegetazione verde smeraldo. Restiamo tutti a bocca aperta.

1° maggio 2003, Saturno. Ritorniamo alla Cueva di Saturno a completare le riprese fotografiche nelle parti del sifone che ieri non avevamo visto. Nel pomeriggio torniamo alla Cueva Abono anche qui per fotografare gli ambienti sommersi visti un paio di giorni addietro.

L’immancabile sabbia in sospensione, vero ostacolo di ogni esplorazione speleosubacquea. Qui all’interno della Cueva Abono.

Speleologia 48

57


Matanzas 4 maggio 2003, Matanzas. Partiamo alla volta del Cenote del Cocodrilo. Scende Poppi assistito da Roby. Piazziamo una vecchia scaletta dei cubani e caliamo lʼattrezzatura subacquea. Si perlustra il contorno del lago, poi Poppi scende nel punto che appare più promettente. Emerge dopo venticinque minuti. Eʼ sceso in un ambiente grande fino alla profondità di – 30 m, poi la grotta continua con dimensioni di tutto riguardo e sembra che diventi orizzontale. Terminata lʼimmersione e recuperato tutto il materiale andiamo a vedere lʼingresso del Cenote de lʼInferno e un terzo cenote: il Tanca Azul che si apre in mezzo un aranceto. Purtroppo questʼultimo è veramente una specie di discarica e perciò rinunciamo a esplorarlo. Tornati in città ci mettiamo subito allʼopera caricando bombole e preparando gli svolgisagola: domani si torna allʼassalto del Cenote del Cocodrilo. 5 maggio 2003, Matanzas. Al Cenote del Cocodrilo si immerge Beppe con il supporto di Roby. Scende fino al punto raggiunto ieri da Poppi. Prosegue in orizzontale ma non trova gallerie, finisce su una parete, allora piega a destra e scende ancora in profondità. Raggiunti i –50 m risale uscendo dopo una abbondante decompressione. Il cenote prosegue ancora verso il basso. Sgomberiamo con calma, si va al Cenote de lʼInferno. Si immerge Poppi al cospetto di un folto pubblico: si era sparsa la voce che saremmo venuti e ci aspettavano. Scompare sottʼacqua per emergere dopo parecchio tempo. Sotto ha trovato un ambiente molto vasto ma con scarsa visibilità che non gli ha consentito di individuare ulteriori prosecuzioni. La grotta finisce in un salone di 80 m per 25 m, ad una profondità di 33 m. Tornati a casa di Esteban decidiamo di ritardare la partenza per La Habana dove ci aspettano Adriano e Clinche; vogliamo chiudere i conti con il Cenote del Cocodrilo. Finiamo la serata scolandoci una spremuta di 40 arance recuperate nella piantagione vicino al cenote: tre litri abbondanti di succo concentrato. 6 maggio 2003, Matanzas. Oggi si va allʼassalto del Cenote del Cocodrilo, noi siamo prontissimi, il materiale è tutto in ordine, controllato e ricontrollato, tutto è a posto, ma non è giornata. Lungo la strada si rompe il differenziale posteriore del camioncino. Dobbiamo rinunciare ma almeno riusciamo a rientrare in città ad unʼora decente. Di trovare un altro mezzo di trasporto neanche a parlarne, né per oggi né per domani. 7 maggio 2003, Matanzas. Carichiamo le nostre masserizie su un camion, montiamo sul vecchio GAZ 69 e andiamo a La Habana. Nella capitale siamo ospitati nella sede della SEC dove cʼè una foresteria. Ritroviamo Adriano, Clinche e Pepe, speleosub cubani. Domani ci portano a visitare un sifone che hanno esplorato. 8 maggio 2003, La Habana. Viene a prenderci Adriano con una Lada sgangherata e tutto il materiale viene caricato su un carrello costruito artigianalmente. Passiamo a casa di Clinche e carichiamo anche lui e il suo materiale. Non facciamo molta strada, il motore esausto dellʼauto si ferma, perde olio da

58

tutte le parti. Siamo bloccati nella periferia della capitale. Devono venirci a prendere ma questa non è una cosa semplice perchè recuperare una macchina a Cuba non è facile. Attendiamo per ore, poi arriva il papà di Adriano con unʼaltra Lada in condizioni non molto migliori della prima e ci traina. La giornata è andata e conoscendo la situazione sarà molto difficile che si riesca a trovare degli altri mezzi per muoverci. 9 maggio 2003, La Habana. Oggi è lʼultimo giorno utile. Attendiamo notizie dai cubani ma nessuno si fa vivo. Li cerchiamo al telefono ma come era prevedibile non ci sono possibilità di recuperare un mezzo. Passiamo la giornata a preparare tutto il bagaglio per il rientro e a fare un poʼdi turismo. 10 maggio 2003, La Habana. Facciamo gli ultimi giri in città, poi vengono gli amici di Matanzas. Ci portano in aeroporto. Noi partiamo mentre altri speleologi italiani arrivano per fare un servizio fotografico sulle grotte cubane. La festa è finita.

Considerazioni esplorative Le grotte conosciute nelle regioni perlustrate sono più di 2000, ma si tratta in realtà di un numero destinato ad aumentare con estrema facilità appena miglioreranno le condizioni ambientali, sociali e la logistica (soprattutto i trasporti). Inoltre bisogna considerare anche il numero ridotto di speleologi attivi rapportato alle grandi estensioni calcaree solo parzialmente esplorate. Territorio, dunque, interessantissimo. A titolo di esempio basti citare lʼarea più meridionale visitata dalla nostra spedizione, a S delle cittadine di Bolondron e di Pedro Betancourt, che inseriva a catasto, prima del nostro arrivo, poche cavità. Ebbene in pochi giorni di attività, in unʼarea logisticamente facile, sono stati ritrovati – con frequenza ogni tre/quattro km2 – grandi cenotes o laghi carsici, mediamente inesplorati e i cui ingressi sono difficilmente visibili da lontano in quanto ricoperti dalla vegetazione. Una recente comunicazione dai nostri amici cubani ne cita altri 14 ancora da esplorare. Lʼattuale spedizione aveva come obiettivi originari la ricognizione di tre distinte aree, successivamente ridotte a due, in previsione di una esplorazione approfondita da svolgersi in un prossimo futuro. La prima zona, come è stato detto in precedenza, risulta localizzata in prossimità degli abitati di Matanzas e Varadero. A poche decine di chilometri dal mare si apre un complesso carsico molto noto, la Grotta di Santa Catalina. Ma mentre la parte aerea di tutta questa regione carsica è abbastanza conosciuta, nulla o quasi è stato fatto, in modo sistematico, nella parte subacquea. Così i primi giorni sono stati impiegati per scendere alcuni sifoni di varie grotte, esplorando ambienti che purtroppo non presentavano grandi prosecuzioni oppure che si arrestavano su detriti fangosi e strettoie impraticabili. Ad antri entusiasmanti e rigogliosi, con gallerie aeree di dimensioni decametriche seguivano dunque bacini


Le nostre immersioni erano spesso accompagnate dalla presenza di bambini.

Cueva de Saturno. In una delle varie gallerie laterali.

lacustri e successivi condotti subacquei modesti e fangosi. Il primo reticolo subacqueo di una certa estensione è stato ritrovato alla Cueva Abono, dove ad un lago di 20 m di diametro seguiva una profonda galleria, di 17-18 metri di profondità e 150 m di sviluppo, già vista in parte nel recente passato da speleosubacquei statunitensi e cubani. Più particolare è la Cueva Los Mojados, nella quale è presente una colonia endemica di pesci albini e ciechi molto caratteristici. La dolina di accesso, ormai molto lontana da una qualunque strada o pista, è attraversata da una antica mulattiera scavata nella roccia e da un terrapieno, nonché da un accenno di scalinata che testimonia come in tempi passati vi fosse una frequentazione umana del sito. Nel lago inoltre sono stati ritrovati in anteprima e segnalati al Museo locale, reperti archeologici di otri e damigiane utilizzate, probabilmente in epoca coloniale (a cavallo del 1800), per la raccolta dellʼacqua. La seconda area, ad W di Bolondron, presentava caratteristiche similari alla precedente con grande sviluppo di cuevas esterne, antri dalle dimensioni dantesche, cui purtroppo non seguivano sottʼacqua reticoli di una certa importanza e/o dimensione. Qui sono state scese Cueva de Los Jimagua, Cueva El

Beato e Cueva Molina. In questʼultima è stata raggiunta la profondità di –22 m arrestandosi su un condotto fangoso di dimensioni ridotte. La zona più promettente, ritrovata come capita spesso, negli ultimi giorni, si posiziona alcuni chilometri a S di Pedro Betancourt ed è compresa in una fascia di territorio subpianeggiante lungo lʼAutopista che collega La Habana con Camaguey, coltivata ad aranceti (ormai abbandonati) o incolto. Per motivi di tempo sono stati discesi solo due cenote dei tanti segnalati: il Cenote del Cocodrilo e il Cenote de lʼInfierno. Questʼultimo raggiunge i 33 m di profondità con un salone di 80 m per 25 m. Più grandioso è il Cenote del Cocodrilo, il cui nome è dovuto alla leggenda popolare che narra come dentro al lago iniziale fosse stato incatenato, fino alla morte, un coccodrillo grandissimo che terrorizzava gli abitanti. In effetti, per la sua forma subcircolare, largo 40 m e posto circa 7-8 m più in basso del piano campagna e le sue pareti a strapiombo, ben si configura come un recinto naturale nel quale, anche noi, abbiamo faticato non poco a scendere con tutta lʼattrezzatura. Dal lago iniziale si dipartono enormi gallerie, larghe 30-40 m ed alte 15. Scendendo tendono a restringersi ed intorno ai 50 metri di profondità le sezioni diventano a dimensione dʼuomo. La profondità raggiunta finora – ma speriamo che non sia finita - ne fa una delle grotte più profonde dellʼIsola.

Ringraziamenti d’obbligo vanno agli amici italiani e cubani ed agli sponsor che hanno permesso la spedizione in particolare alle ditte: Giò Sub di Brescia e Scubatica di Torino per gli illuminatori subacquei, a Spazio Blu di Torino, Lochner di Torino, Aqua3 di Trieste, Coltri Compressori di Peschiera e Montagnoli Gas di Verona per le attrezzature subacquee e per la disponibilità e collaborazione generale. Particolari ringraziamenti vanno ad Andrés Bayon, Fernando Arencibia, Ivonne Vasquez, Jorge L. Clinche e Adrian de la Paz, compagni ed amici di esplorazioni in terra cubana.

Speleologia 48

59


Matanzas

DESCRIZIONE DELLE GROTTE Cueva Abono – Grotta molto complessa, con più ingressi, ad andamento labirintico e suborizzontale. La profondità delle gallerie (rispetto alla superficie topografica esterna) è intorno ai 20/25 metri. E’ uno dei sistemi più percorsi e conosciuti del settore orientale della provincia di Matanzas (zona tra Horacio Rodriguez e Cantel); sul posto è nota anche come Cuocha Ignacio e lo sviluppo attuale è superiore ai due chilometri, con gallerie di notevoli dimensioni (15-20 metri di diametro).

Cueva Molina – Situata tra gli abitati di Alacranes e Union de Reyes, a una trentina di chilometri a S di Matanzas. L’ingresso è rappresentato da una depressione molto grande, con un lago-sifone nella parte terminale. La profondità della dolina – molto vegetata e di difficile individuazione – è circa –15/20 metri da p.c. Il livello delle acque risulta quindi prossimo al livello del mare (confermato anche dagli altimetri). L’immersione nel lago-sifone finale è stata eseguita il 3/5/03 da B. Minciotti che ha percorso, per circa 50-60 metri una ampia diaclasi, inclinata e con il pavimento costituito da fango. La galleria raggiunge la profondità di –23 m e termina su strettoia fangosa. Anche se la grotta si sviluppa al disotto del livello marino non incontra mai acqua salata ed è abitata dai normali pescetti di acqua dolce.

60

Cueva Quintana – La cavità si apre poche centinaia di metri a sud della strada nazionale che collega Matanzas con la penisola di Hicacos, in prossimità della costa, vicina all’aeroporto di Varadero. Si tratta della solita depressione a dolina, molto aperta, la cui parte inferiore è

occupata da uno specchio lacustre di una ventina di metri di diametro. L’immersione è stata eseguita il 28/4/03 da due speleosub cubani, Clinche e Adrian, fino alla profondità di circa 8 metri. La scarsa visibilità (inferiore al metro) non ha consentito di proseguire oltre l’esplorazione, successivamente si è avuto notizia che speleosub cubani avevano raggiunto, precedentemente alla nostra immersione, la profondità di –56 m, ma questa informazione resta da verificare.


Matanzas

Cueva de Saturno. Si parte per una della varie immersioni dedicate al servizio fotografico. A –22 m, in questa grotta turistica molto frequentata, si incontra l’acqua salata e diversi pesci tropicali. Cueva Los Mojados. Il lungo lago (40 m) è abitato da pesci depigmentati e ciechi che raggiungono i 20 cm di lunghezza (specie Lucifugas poeyi).

Cueva de l’Agua – Lungo la strada che collega Varadero con l’aeroporto, a S della località turistica di Cueva Saturno. Si apre al centro di un’area boscata (un misto tra savana, boschina ligure e giungla tropicale) e la cavità è utilizzata per pompare acqua ad uso irriguo e/o potabile. E’ una profonda dolina (-20/25 m da p.c.) con un lago sul fondo. Sono state eseguite due

immersioni (28/4/03) da Clinque ed Adrian e da A. Eusebio e R. Jarre: il profondo lago dà adito ad ambienti complessi e labirintici senza prosecuzioni importanti. La presenza di fango in sospensione rende particolarmente infida la progressione. Sono stati ritrovati grossi granchi d’acqua dolce. La profondità massima è di 6 m, lo sviluppo di 30 m.

Cueva Los Mojados – Ritrovata grazie all’analisi delle foto aere, si trova in mezzo alla “boschina”, a circa un’ora di marcia della strada più vicina. L’immersione eseguita il 28/4/03 da A. Eusebio ha permesso di percorrere un ampio lago largo 8-10 m e lungo oltre 40 metri. La massima profondità raggiunta à stata di –11 m. Il lago chiude su massi e nella parte terminale è presente una densa sospensione carbonatica galleggiante sull’acqua. Il lago è abitato da pesci depigmentati e ciechi, che raggiungono i 20 cm di lunghezza (specie Lucifugas poeyi). Sul fondo del lago, semisepolti dai sedimenti fini, sono stati ritrovati e segnalati alle Autorità locali vasi e otri di terracotta e vasellame in vetro di probabile epoca coloniale.

Speleologia 48

61


Matanzas

Cueva Los Mojados. Uno dei vasi di terracotta ritrovati in fondo al lago, semisepolti dai sedimenti fini.

Grotta lungo il Rio Canimar – Poco ad est di Matanzas una profonda incisione ospita il Rio Canimar. Essa pare costituire anche lo spartiacque idrogeologico tra i sistemi posti ad ovest di Matanzas e quelli ad est, oggetto delle nostre esplorazioni. Nel caso in esame era stata segnalata una cavità con acqua in sinistra orografica del rio, raggiunta con l’ausilio di un gommone e dopo un viaggio di una mezz’oretta. E’ una ampia diaclasi a cui segue una camera del diametro di una decina di metri con un laghetto al fondo. L’esplorazione è stata condotta fino alla profondità di 4 m senza tuttavia pervenire a nessuna prosecuzione, il fondo del lago è occupato da fango e depositi clastici. In alto si apre una possibile prosecuzione (nicchia a circa 10 metri di altezza) che tuttavia andrebbe raggiunta con mezzi artificiali.

Grotta a mare vicino a Matanzas – La città di Matanzas vive a contatto diretto con il carsismo e il connubio tra grotte e popolazione è molto forte. Nella zona costiera esistono grotte conosciute dagli abitanti ma mai visitate da speleosub. Nel caso in oggetto la grotta si apre poco sotto un condominio “stile socialista”. La cavità si apre lungo la falesia a 1.5 m di profondità, presenta uno sviluppo di circa 20 metri e raggiunge una piccola camera con una campana d’aria e l’arrivo di acqua dolce. Il fondo è costituito da sabbia fine e sono presenti veli di concrezioni.

62

El Beato – Attraversata dalla Autopista che collega L’Avana con CienFuegos, a S di Bolondron, inizia una ampia fascia di territorio lunga un centinaio di chilometri e largo una trentina, ad una quota di circa 10 metri sul livello del mare, nella quale si sviluppano i più tipici cenotes cubani, che nulla hanno da invidiare ai loro più famosi parenti messicani. El Beato è uno di questi: si tratta di un lago di una trentina di metri di diametro, che raggiunge la massima profondità a 13,8 m sul lato orientale. È senza possibilità di prosecuzione.


Matanzas

Cueva de Saturno – Grotta turistica molto frequentata, ubicata nei pressi dell’aeroporto di Varadero, a circa un paio di chilometri in linea d’aria dalla costa. Anche la parte subacquea è molto nota e raggiunge la profondità di –22 m incontrando acqua salata e pesci tropicali marini. Deliziose gallerie laterali ci hanno permesso molte delle immagini che accompagnano i vari articoli.

Cueva de lo Jimagua – Posizionata poco a monte (qualche chilometro) di El Beato presenta ancora le caratteristiche delle doline con sprofondamento laterale e lago finale, vegetazione molto fitta e soprattutto fango. Ad un grande lago iniziale a mezzaluna - lungo una settantina di metri e largo 8-10 metri - seguono vani ridottissimi che si intasano molto presto in fango e detrito.

Cenote de Cocodrillo – Un ampio lago di una quarantina di metri di diametro, ubicato 7-8 metri sotto il piano campagna consente di accedere ad una serie di ambienti subacquei molto grandi e solo in parte esplorati. Le dimensioni degli ambienti subacquei non permettono di definire con chiarezza le dimensioni delle gallerie, ma senza dubbio queste risultano molto ampie, e la galleria iniziale ha un’altezza di circa 10 metri ed una larghezza di 3040 metri, inclinata verso il basso di circa 30 gradi. Intorno ai 25-30 metri la sezione si restringe, l’altezza diventa di 2-3 metri e le

pareti si restringono fino a qualche metro. La grotta prosegue ulteriormente con le medesime dimensioni fino ad incontrare dei massi sul pavimento e raggiunge, per ora, la profondità di 44 m.

Cenote de l’Infierno – A fianco di un aranceto, presso la Autopista Habana – Camaguey, si trova una delle cavità più controverse fra quelle visitate. Si apre vicino ad una stazione di pompaggio delle acque destinate alle coltivazioni e viene utilizzato come riserva d’acqua

per la stagione secca; e purtroppo anche come discarica non autorizzata, per tutto quanto non si sa dove mettere in superficie. Si tratta di uno sprofondamento subcircolare, di alcuni metri di diametro, che si allarga in basso a forma di cupola ellittica raggiungendo i 33 m di profondità, con un salone di 80 per 25 m. La visibilità è pessima fino a 20 m ed a stento si vedono le proprie pinne. Oltre diventa buona, la luminosità è assente e l’ambiente tetro e gigantesco con detriti e rottami di varia natura ammucchiati sul fondo che conferiscono un aspetto spettrale al tutto.

Speleologia 48

63


Cuba 3D

Immagini di speleologia cubana Antonio Danieli e Alessandra Carnevali Società Speleologica Italiana – Sociedad Espeleologica de Cuba – Federazione Speleologica Veneta

Promossa dal Gruppo Speleologico S. Marco e sostenuta dalla Federazione Speleologica Veneta con il Patrocinio della Società Speleologica Italiana e della Sociedad Espeleologica de Cuba, nel mese di maggio 2003 si è svolta la prima spedizione ItaloCubana di documentazione fotografica in 3D del carsismo di questʼisola caraibica. Il progetto era nato qualche mese prima, durante il Congresso Internazionale di Speleologia “Montello 2002” tenutosi a Nervesa della Battaglia a novembre 2002. In quellʼoccasione il Presidente della SEC, Ercilio Vento Canosa, manifestava un notevole interesse per i diaporami 3D da noi realizzati come Commissione Fotografica della FSV e ventilava lʼipotesi di una collaborazione per realizzarne altri sulle grotte cubane. Nei mesi a venire questa semplice ipotesi si è trasformata in realtà. La spedizione è stata quindi progettata con un obiettivo ben specifico, quello di documentare in 3D alcune delle principali cavità dellʼarea occidentale dellʼisola, nelle Provincie di Matanzas e Pinar del Rio. Chiaramente le più belle e le più grandi e cioè la Gran Paleocaverna Bellamar (27 km di sviluppo) e la Gran Caverna Santa Catalina (12 km di sviluppo), monumenti nazionali e aree protette di rilevante interesse naturalistico; la Cueva la Chucha; il Sistema Carsico di Santo Tomas (76 km di sviluppo), altro monumento nazionale, dichiarato dallʼUNESCO patrimonio dellʼUmanità, e principale grotta di Cuba. A questo obiettivo si è aggiunto quello di divulgare le tecniche di ripresa in stereoscopia da noi utilizzate e soprattutto, in linea con lo spirito di collaborazione tra SSI e SEC, lʼaddestramento di fotografi cubani allʼapprendimento di tali tecniche. Per permettere la crescita degli speleofotografi cubani la Federazione Speleologica Veneta ha donato alla SEC diverso materiale da progressione e un set di macchine predisposte per le riprese stereoscopiche. Durante le due settimane che ci hanno visti impegnati a Cuba, abbiamo anche organizzato varie proiezioni dei nostri diaporami nei principali centri toccati dalla spedizione. Nel progetto sono state coinvolte anche alcune ditte di produzione e distribuzione di attrezzature fotografi-

64

Un documentario in 3D realizzato grazie alla collaborazione tra Società Speleologica Italiana e la Sociedad Espeleologica de Cuba pubblicato per la prima volta su una rivista nazionale di speleologia.

Antonio Cosentino imposta la telecamera sul dolly, braccio estensibile che ci ha permesso di fare particolari riprese con soggettive inusuali. Ortega apprende le nozioni di ripresa fotografica in 3D mediante l'utilizzo della staffa scorrevole millimetrata montata su cavalletto in carbonio, entrambi prodotti da Manfrotto.

che, che ci hanno fornito nuovi materiali di ripresa. Nello specifico sono stati usati 2 prototipi di pannelli luminosi da 315 LED ognuno, il primo in versione Soft-Light (luce diffusa) e lʼaltro in Deep-Light. Questi pannelli sono alimentati da batterie a 12V e le caratteristiche tecniche sono: potenza 30 W, assorbimento max 3 A, dimensione 450x350x15 mm per un peso di 1,500 Kg più le batterie. Il nostro gruppo è ormai abituato a lavorare da tempo con luci fisse quali faretti dicroici e lampade alogene. Utilizzando i LED ci è subito saltato agli occhi il loro limitato consumo elettrico: le batterie, infatti, contrariamente al solito, non si sono mai scaricate completamente. Molto interessante è anche la dolce luce avvolgente che si ottiene sui primi piani dovuta allʼampia superficie su cui sono distribuiti i LED. Essi si sono dimostrati sufficientemente resistenti anche se un poʼ ingombranti: non hanno presentato


Cuba 3D

Navigazione lungo il fiume Canimar tra Matanzas e Varadero. Questo fiume è generato da evidente erosione carsica e cela l'accesso nelle sue alte pareti a strapiombo ad innumerevoli grotte.

particolari problemi tecnici dovuti allʼimmancabile maltrattamento a cui sono stati sottoposti e allʼelevato grado di umidità. Altro materiale di cui abbiamo potuto apprezzare qualità e leggerezza, sono stati i due cavalletti in carbonio corredati da testa fluida per la videocamera e testa a joystick per le macchine fotografiche. Sinceramente nutrivamo alcuni dubbi sulla resistenza agli urti e alle abrasioni, ma ci siamo ricreduti quando, a fine spedizione, nonostante lʼinevitabile maltrattamento, i cavalletti non presentavano né graffi evidenti né cedimenti strutturali, e apparivano, una volta ripuliti, praticamente nuovi. Di questi è stato possibile apprezzare lʼestrema leggerezza e le innumerevoli soluzioni di posizionamento: dai piedi indipendenti e apribili a 90°, al braccetto di sostegno della testa facilmente estraibile e posizionabile sul cavalletto di traverso o sottosopra; soluzioni queste che ben si prestano alle riprese macro in grotta, ove i soggetti da fotografare sono solitamente nei posti più fetenti. Per concludere non possiamo fare a meno di menzionare il dolly per riprese video: un braccio lungo 4,5 m che ci ha permesso di filmare soggetti irraggiungibili, oltreché a girare soggettive insolite. I cubani, dopo ore di trasporto di questo attrezzo, lʼhanno scherzosamente denominato “el canòn”, per la somiglianza ad un obice fatto a pezzi, e ci hanno diffidato dal riportarlo alla prossima spedizione, pena la segnalazione in dogana per… traffico dʼarmi. Unico momento critico della spedizione è stato lʼesplosione di un faro stagno da 100 W che per fortuna non ha colpito nessuno. Anche in questo caso il commento dei cubani è stato memorabile: “la lampara funciona muy bien… pero canta mucho mejor”. Gli ambienti visitati e fotografati non presentavano particolari difficoltà tecniche di progressione. In tutte le grotte non è mai stata necessaria lʼattrezzatura di pro-

gressione verticale. Queste grotte infatti, anche se impostate su più livelli, consentono quasi sempre di aggirare i pozzi. Le difficoltà erano comunque caratterizzate dal loro enorme sviluppo, spesso con andamento di tipo labirintico, e dal loro clima che ha messo a dura prova le nostre forze nel trasportare le attrezzature fotografiche. Bellamar, in particolare, oltre ad essere calda, umida e vasta, è stata quella che, più di altre, presentava passaggi stretti e a saliscendi. Il fondo era costituito in gran parte da una finissima sabbia di calcite, risultato del disfacimento delle bianche concrezioni che tappezzavano soffitto e pareti. Lʼimpressione era di camminare su di un immenso nevaio caldo. Questi cristalli oltretutto si insinuavano ovunque, esercitando un fortissimo effetto abrasivo sul corpo e sulle attrezzature di ripresa, mettendo a dura prova i materiali. Anche i mezzi messi a disposizione dalla SEC meritano un commento: i 2 fuoristrada, tenuti su dalla ruggine, si sono comportati benissimo e hanno assolto egregiamente al loro compito (da quelle parti questa è una vera eccezione) grazie anche allo sforzo di Fernando ed alla fantasiosa capacità di riparare i guasti con soluzioni incredibilmente essenziali. Un grande plauso va a tutti gli speleologi cubani che ci hanno assistito e supportato, alla loro spiccata capacità di adattarsi alle nostre esigenze lavorative e al grande impegno dimostrato nel gestire ogni difficoltà che si è presentata. Grazie, Grazie, Grazie. Cʼè comunque da menzionare anche una conseguenza della nostra inesperienza e della leggerezza con cui abbiamo affrontato il rischio “istoplasmosi”. Durante unʼuscita fuori programma in un settore di Santa Catalina per riprendere una colonia di 6.000.000 di pipistrelli, ci siamo esposti coscientemente a questo rischio (spinti dalle rassicurazioni dei cubani) pur sapendo di non poter contare su adeguate protezioni. La conseguenza di questo azzardo è

Speleologia 48

65


Cuba 3D Partecipanti alla spedizione e alle riprese: Gruppo Speleologico S. Marco Venezia, Centro Ricerche Ipogee di Genova, Grupo Felix Rodrigues de la Fuente, Grupo Carlos de la Torres, Escuela Nacional de Espeleologia “Antonio Nuñez Jimenez”, Comite Espeleologico de Ciudad Habana, Grupo Guaniguanico, Grupo Espeleologico Sierra del Rosario. Tutte le foto che accompagnano l’articolo sono di: A. Danieli e A. Carnevali. Ringraziamo per la collaborazione: MANFROTTO TRADING Distribuzione attrezzature professionali foto e video (Milano), ALF SERVICE produzione apparecchi luminosi fototecnici (Firenze), CIEFFE VIDEO ITALIA rivenditori materiale video professionale SONY (Milano),, ALTIUS SOLE Agenzia viaggi (Milano), AQUATICA equipaggiamento subacqueo professionale (Marghera VE), ANDREELLA PHOTO rivenditore articoli fotografici (Busto Arsizio VA), ASPORT'S mountain eqipment (Chies D'Alpago BL), PHOTO MARKET VIDEO rivenditore articoli fotografici (Mestre VE), DE PRETTO ROBERTO rivenditore articoli fotografici (Padova).

stata che tutti e quattro i partecipanti a questa uscita hanno contratto (chi più chi meno) la malattia che comunque, grazie a tempestive cure, non ha causato gravi conseguenze. La nostra personale esperienza ci ha fatto comunque intuire che questa malattia è ancora lontana dallʼessere, come dire… standardizzata nelle modalità di diagnosi e dʼinterevento terapeutico: ognuno di noi ha subito esami e trattamenti nel tempo e nel modo diversificati, cosa che ho potuto constatare anche tramite il confronto con altri speleologi colpiti dalla stessa sventura. Questo argomento merita sicuramente maggiore attenzione e approfondimento da parte dei medici vicini al nostro mondo, per dare chiarezza dʼinformazione e riferimenti certi a chi dovesse incappare in futuro in questa malattia. Complessivamente, i risultati di questa prima esperienza sono stati molto positivi: è stato prodotto un diaporama tridimensionale dal titolo “Cuba (lʼaltra dimensione)”, un secondo diaporama a tecnica mista (3D e 2D) che illustra il back stage ed un video, anche questo in forma di back stage, realizzato da Antonio Casentino del Centro Ricerche Ipogee di Genova.

Proiezione in 3D dei diaporami prodotti dalla Federazione Speleologica Veneta presso la Scuola di Speleologia A. N. Jimanez di Vinales per una classe del locale istituto agrario. Esteban R. Grau è esterefatto: non ha mai visto questo posto illuminato a giorno, e s'incanta nell'osservare le bellissime e innumerevoli formazioni calcitiche in tutto il loro splendore.

Con le immagini scattate stiamo preparando una mostra fotografica sfruttando la tecnica dellʼanaglifo per restituire la tridimensionalità. Prevediamo anche di realizzare un libro fotografico riassuntivo delle tre spedizioni previste (la seconda è già fissata per febbraio 2004). Per quanto riguarda gli obiettivi che ci poniamo di realizzare a Cuba, dopo la formazione dei fotografi, cʼè la volontà di riuscire a fornire alla SEC un impianto di proiezione 3D, tale da poter proiettare questi lavori e di consentire loro di realizzare nuovi documentari. È sicuramente un programma ambizioso, ma in base ai primi risultati siamo certi di trovare persone sensibili e disponibili a darci una mano.

IL RISULTATO DEGLI “ANAGLIFI” Pagina 67

Pagina 68

Pagina 69

Esteban R. Grau si affaccia sull'orlo del bacino che ha generato alcuni dei fantastici cristalli del ramo Bianca Vittoria di Bellamar. Da questo punto in poi hanno proseguito solo Esteban e Antonio, per limitare al massimo i danni inevitabili dovuti al passaggio degli speleologi.

La progressione a Bellamar era relativamente facile, ma il caldo soffocante e l'umidità altissima ci costringevano a frequenti soste ristoratrici in affascinanti ambienti.

Queste particolari formazioni calcaree a forma di fungo sono una delle unicità della grotta di Santa Catalina. Si manifestano in gran quantità in un esteso settore della labirintica grotta, superando il centinaio di esemplari.

Il “Segundo Cauce” della Gran Caverna de Santo Tomas. L'affascinante ramo in calcare nero mette in risalto, in questo graffiante controluce, forme di erosione a scallops dovute all'acqua corrente.

66

Manuel Valdès Suarez, vice direttore della “Scuola Nazionale di Speleologia A. N. Jimanez”, posa per un ritratto lungo le pareti di calcare nero del settore Segundo Cauce della Gran Caverna de Santo Tomas. L'illuminazione è stata effettuata con due pannelli a led.

La fotografia di questi bellissimi cristalli a Bellamar, vista su un documento della SEC, ha dato il via al progetto 3D a Cuba, sviluppato in soli sette mesi. La sua realizzazione completa prevede un periodo di tempo di circa tre anni.


Cuba 3D

Speleologia 48

67


Cuba 3D

68


Cuba 3D

Speleologia 48

69


Zambia

Ricerche nella terra di nes Rosario Ruggieri Centro Ibleo di Ricerche Speleo-Idrogeologiche Ragusa

Premessa Lʼaccordo tradotto in convenzione di ricerca con lʼUniversità di Lusaka, Dipartimento di Geologia School of Mines, e il CIRS Ragusa, ci apre nel mese di agosto del 2001 la via per lo Zambia per svolgere unʼindagine sulle morfologie carsiche del paese. Siamo in quattro: Davide Messina Panfalone, Vito Santoro, Simasiku Simasiku del Dipartimento di Geologia di Lusaka ed io. Il programma da svolgere nellʼarco di 12 giorni consiste nella raccolta di informazioni e dati sul carsismo dellʼarea circostante Lusaka e dellʼarea del settore settentrionale al confine con il Congo. In base ai risultati ottenuti si sarebbe poi deciso se proseguire o meno le ricerche nei settori studiati o se puntare su altre aree.

Kapongo e istoplasmosi Le cavità conosciute nellʼarea di Lusaka sono oggetto di studio per gli aspetti archeologici e paleontologici, come la Kapongo, la Chipongwe e la Leopardʼs

Hill cave (Kaiser et alii, 1998), mentre altre indagini (O. Sikazwe & B. de Waele) hanno rimarcato lʼimportanza della presenza di depositi di guano ad alto contenuto di fosfati. Di contro, poco esiste in letteratura riguardo a studi speleogenetici sul carsismo dellʼarea di Lusaka e del paese più in generale; cercare di colmare questa lacuna è quindi un buon motivo per avviare unʼindagine sistematica. Lʼesigua letteratura esistente fornisce pochi dati anche sulle cavità già conosciute, limitati a rilievi

RIASSUNTO

ABSTRACT

Nel mese di agosto del 2001 il CIRS di Ragusa ha effettuato alcune ricerche sul carsismo dello Zambia con la collaborazione del Dipartimento di Geologia, School of Mines di Lusaka. Le indagini hanno interessato due zone: una nell’area di Kafue, 60 Km a S-E della capitale, caratterizzata da affioramenti di calcari metamorfosati del Precambriano superiore con presenza di cavità fossili; l’altra nell’estremo settore nord-occidentale del paese, confinante con il Congo, detta “terra di nessuno” per i recenti e tuttora irrisolti conflitti che hanno funestato la regione. In quest’area, nell’isola di Kilwa sul lago Mwere, è stata esplorata una cavità ad andamento labirintico che si sviluppa in un fitto sistema di diaclasi in un pacco poco spesso di strati carbonatici inglobato fra rocce arenacee del Precambriano. La grotta, con uno sviluppo poco inferiore al chilometro, costituisce al momento il sistema carsico più esteso dello Zambia.

On August 2001 the CIRS of Ragusa carried out some researches about karst of Zambia in co-operation with the Department of Geology, School of Mines of Lusaka. In particular, the research interested two sites: the first one in the area of Kafue, 60 Km southeast from Lusaka, characterized by meta-sediments of Upper Precambrian age with presence of fossil caves; the second one in the north-western sector of the Country bordering with Congo, called “none’s land”. In this area, in Kilwa island on the Mwere Lake, was explored a labyrinthine cave developed in limestone of Precambrian age included between sandstone layers. This cave, with a length about one kilometre, actually represents the longest karstic system of Zambia.

KEY-WORDS: Zambia, Congo, cave morphology.

PAROLE CHIAVE: Zambia, Congo, morfologia delle grotte.

70


Zambia

suno tra Zambia e Congo

sommari, e la documentazione fotografica degli ambienti ipogei è quantitativamente e qualitativamente scarsa. Su questa base, per effettuare un rilievo dettagliato di una delle cavità forse più interessanti fra quelle già conosciute e raccogliere elementi morfologici utili ad una preliminare analisi speleogenetica, si decide di iniziare con la grotta Kapongo, poi, dagli elementi rilevati, valutare come proseguire. Percorsi 40 km circa a sud di Lusaka, la morfologia del paesaggio da inizialmente tabulare diventa collinare con pendii mediamente ripidi ricoperti da una fitta boscaglia. La cavità, ubicata a circa 14,4 Km da Shimabala e a 90 m dalla confluenza del fiume Kafue con il fiume Nyachiri, viene raggiunta dopo circa due ore. Lʼingresso, sul versante di una collina, è una dolina di crollo profonda 20 m che ci conduce nel primo ambiente della cavità: una piccola sala dalla quale si dipartono vari rami. La grotta è costituita da una serie di condotti fossili su frattura interessati sia da morfologie freatiche che da paleoriempimenti di laterite residuale presenti su alcune forme a cupola sulla volta. Notevole la presenza di guano che ha dato vita negli anni passati ad una fiorente economia di colti-

Falesia con ingresso di cavità. (Foto R. Ruggieri).

vazione testimoniata anche dai relitti di binari di ferro e da un carrello trasportatore, semisepolti tra i detriti della parte iniziale della grotta. Nel corso della prospezione e del rilievo il denso pulviscolo biancastro che si solleva al nostro passaggio, anche per la scarsa umidità dellʼambiente, ci induce seriamente a temere la presenza della spora dellʼistoplasma, considerata la numerosa colonia di pipistrelli che stazionano nella cavità. Nei giorni seguenti proseguiamo la fase di ricognizione alla ricerca di due cavità riportate nella carta topografica, nei dintorni della città di Kafue: di una non riusciamo ad ottenere alcuna notizia, le ricerche dellʼaltra – il cui ingresso ci raccontano sia stato chiuso con la dinamite dallʼarcheologo che avrebbe condotto le ricerche – risultano vane. Alla luce delle scarse prospettive di trovare cavità interessanti nellʼarea di Lusaka, oltre agli accertati rischi di istoplasmosi, si parte per il N del paese con obiettivo lʼisola di Kilwa, nel lago Mwere, dove è

Speleologia 48

71


Zambia

Morfologie a denti di drago negli affioramenti carbonatici dell’area di Lusaka (foto R. Ruggieri)

segnalata la presenza di due cavità, senza riferire nullʼaltro sulla loro dimensione.

Nella terra di nessuno! Lasciata Lusaka, dopo una serie di incidenti di percorso, attraversiamo il monotono paesaggio a savana che, in prossimità del fiume Luapula, si trasforma in una vasta pianura acquitrinosa da dove il fiume inizia a scorrere verso N in direzione del lago Mwere, nostra meta. Dallʼaltra parte del fiume il paesaggio del tragicamente inquieto Congo.

NOTA GEOGRAFICA, CLIMATICA E GEOLOGICA DEL PAESE Lo Zambia prende il nome dal fiume Zambesi, che nasce nella zona nord-occidentale del paese e fa da confine naturale nella zona meridionale. E’ situato tra la latitudine 10° e 18° a S e la longitudine 22° e 33° a E con una superficie di 464.937 Km2 per la maggior parte costituita da un altopiano fra i 1060 e i 1363 m, con isolate catene montuose che vanno dai 1800 ai 2100 m. L’altopiano è interrotto da enormi vallate create dall’alto Zambesi e dai suoi tributari, i maggiori dei quali sono il Kafue e il Luangwa, mentre nella maggior parte del territorio il rilievo risulta pianeggiante, interrotto da piccole colline (Kopje). I tre grandi laghi naturali del paese Bangueulu, Mweru e l’estremità del Lago Tanganika - si trovano tutti a N e fanno

72

In serata facciamo sosta a Mansa, capoluogo della provincia di Luapula dove una signora piacentina proprietaria di un Italian food restaurant, sposata con un medico congolese, ci mette in guardia sui pericoli dellʼarea meta delle nostre ricerche, definendola “terra di nessuno”. Parole quanto mai profetiche, considerato il fatto che arrivati a Nchelenge, sulle rive del lago, subiamo alcune minacce proprio da parte della polizia locale che vuole imporci una sorta di “protezione”. Superato, in un modo o nellʼaltro, il momento di crisi, il giorno successivo raggiungiamo lʼisola distante 40

parte del fiume Zaire. Il lago Bangueulu, che copre con le sue paludi una zona di 3800 miglia quadrate, è drenato dal fiume Luapula che inizia il suo percorso nel S, poi svolta a W e a N passando attraverso il lago Mweru prima di entrare nello Zaire. L’altitudine generale del paese offre un clima gradevole con tre stagioni: fresco e asciutto da maggio ad aprile, caldo e secco da settembre a novembre, caldo e piovoso da dicembre ad aprile. Le temperature medie sono moderate dall’altitudine dell’altopiano, mentre le

massime variano da 15° ai 27° nella stagione fredda e dai 27° ai 35° nella stagione calda. Nel N del paese la quantità di precipitazione è di 1250 mm/anno diminuendo pian piano che ci si avvicina a Lusaka dove è di circa 750 mm/anno, mentre nel S varia fra 500 e 750 mm/anno. I sedimenti carbonatici dello Zambia sono esposti su una superficie di circa 13.400 km2 e la maggior parte sono meta-carbonati appartenenti al Katanga System del Precambriano superiore. Entro questo sistema la serie inferiore denominata Kundulungu contiene metacarbonati che occupano aree nel settore nord-occidentale e centrale del paese, mentre carbonati della serie superiore Roan affiorano nel Distretto di Ndola (Kaiser et alii, 1998).

Villaggio di Kilwa nell’omonima isola. (Foto R. Ruggieri).


Zambia

Condotto su frattura nella grotta Membo. (foto R. Ruggieri)

km circa con unʼimbarcazione noleggiata. Approdati sullʼisola, dopo aver ottenuto il permesso di visitare la grotta Membo dal re del villaggio, salpiamo in direzione della cavità il cui ingresso si apre su una falesia carbonatica lambita dalle acque del lago. Superata la punta N-W dellʼisola, sbarchiamo in corrispondenza di uno dei numerosi condotti carsici che tappezzano la falesia e che costituisce uno dei punti di ingresso della grotta Membo. La cavità è caratterizzata da una fitta serie di condotti impostati su fratture subortogonali, ad andamento labirintico, con alcuni settori su interstrato. In alcune gallerie osserviamo morfologie di erosione freatica quali camini, solchi e grossi scallops; più rari in alcuni ambienti colate e stalattiti bianche, mentre più numerose risultano le morfologie tipo pendants e i riempimenti di laterite lungo le fratture. In alcune parti della cavità la presenza di una fitta fratturazione ha determinato la formazione di particolari morfologie a nicchie e alveoli e parti subarrotondate. La roccia è costituita da un pacco di carbonati incluso fra rocce psammitiche e ruditiche appartenente alla formazione Kundelungu del Precambriano superiore–Paleozoico inferiore. Lʼaspetto labirintico del sistema appare prevalentemente legato alle particolari condizioni di ricarica idrica diffusa, determinate dalla copertura arenacea, con successiva soluzione del sistema subparallelo di fratture del pacco carbonatico intercluso fra gli strati psammitici.

Numerosi i pipistrelli ed altri animali presenti nel ricco suolo organico creato dal guano: peccato per la nostra biospeleologa Iolanda rimasta a casa per causa di forza maggiore. Terminiamo di rilevare allʼimbrunire e torniamo al villaggio dove passeremo la notte. La sera cena a base di pesce cucinato dai locali e la notte battaglia con i topi che, pur non invitati, cercano insistentemente di allietarci con la loro presenza.

Serpenti e grandi occhi rossi nel buio Passata finalmente la lunga notte insonne a scacciare topi, ci imbarchiamo per tornare alla grotta Membo a completare il lavoro nonostante le acque del lago siano notevolmente agitate. Nel corso del rilievo notiamo una grossa pelle di pitone in un condotto che ci fa temere un possibile incontro con il suo ex-proprietario: dʼaltronde lʼacqua del lago che penetra parzialmente nei condotti costituisce una facile via dʼaccesso per tutti gli animali che vivono nella zona. A proposito di animali, un secondo e più concreto incontro stava per avvenire allʼinterno di uno stretto e basso condotto rischiarato nella parte più profonda, oltre che dalle nostre luci, da due grandi occhi rossi. La curiosità di scoprire a che animale potevano appartenere non dura molto, tantʼè

Speleologia 48

73


Zambia

Morfologie a denti di drago. Sullo sfondo i blocchi di calcare lavorati dalle cave. (foto R. Ruggieri)

che a marcia indietro piano piano ci ritiriamo dal budello. Terminiamo di esplorare e rilevare a metà giornata e ritorniamo al villaggio, mentre nel frattempo le agitate acque del lago cominciano a placarsi. Il re del villaggio ci invita a pranzo a base di pesce e casava (ishima), poi il commiato con finale foto di gruppo. Salpiamo, ma cʼè un problema: non possiamo andare a vedere lʼaltra grotta nella punta S-E dellʼisola perché il nostro traghettatore non ha fatto bene i calcoli ed il carburante non è sufficiente neanche per ritornare a Nchelenge. Non ci resta che andare di villaggio in villaggio costeggiando lʼisola per cercarne quanto basta e lʼidea di passare unʼaltra notte in compagnia dei topi non ci arride.

Qualche riflessione post spedizione Avventura, questa dello Zambia, con risvolti umani e forte impatto emotivo scaturito anche dal problematico rapporto con alcuni settori delle “istituzioni” locali. Esperienza, per certi versi, da non augurare a nessuno, anche se il passare del tempo ha stemperato e messo un poʼ di ordine nelle emozioni vissute, arrivando addirittura a farci ricordare con malinconica nostalgia alcuni momenti del viaggio. Ma questo, si sa, è lʼeffetto del tempo che velocemente scivola via, a volte ingannandoci. E che dire dei problemi di salute? Vito è ritornato con

74

la malaria (forse a causa di una inadeguata profilassi con la clorochina, anziché con il raccomandato Lariam), mentre Simasiku e Pieter, uno studente belga a caccia di pipistrelli che ci ha accompagnato nella prima fase del viaggio, hanno contratto lʼistoplasmosi. Ora, per fortuna, stanno tutti bene. Riguardo alle ricerche, anche se abbiamo esplorato e rilevato la cavità attualmente più estesa dello Zambia, speravamo di portare a casa un bottino un poʼ più consistente; qualcosa di più interessante dal punto di vista speleologico; ma va bene lo stesso. Da questa e precedenti ricognizioni fatte da altri ricercatori emerge un quadro non particolarmente promettente sulle potenzialità carsiche dello Zambia, nonostante la presenza di diffusi affioramenti di rocce carbonatiche molto antiche. Ma va anche detto che non sono ancora state fatte indagini e studi approfonditi, soprattutto in settori del paese difficili per accessibilità e sicurezza, e questo rimane il vero limite alla definizione di un quadro esaustivo di conoscenze sul carsismo dello Zambia. Il nostro, pur con i limiti descritti, resta quindi un piccolo contributo in questa direzione, in attesa di più consistenti scoperte che potrebbero arrivare in futuro.

Bibliografia Brown A.G. (1961): Bat guano of the Kapongo caves. Northen Rhodesia, Ministry of Labour and Mines, Geological Survey Department, Technical Report, n. 75. Simpson J.G., Drysdall A.R. & Lambert H.H. J. (1993): The geology and groundwater resources of the Lusaka area – Explanation of degree sheet 1528, NW, Quarter. Northen Rhodesia Ministry of Labour and Mines, Report of the Geological Survey, n. 16. Kaiser, T. M., Seiffer C. & Truluk T. (1998): The speleological potential of limestone karst in Zambia (Central Africa) a reconnaissance survey. Cave and Karst Science, 25 (1), p. 23-28; Bridgwater (UK). Sikazwe B. & De Waele B. (?): Guano. A phosphate resource in Zambia? University of Zambia, Geology Department, Lusaka. I


Verso il fondo

• TECNICHE E SICUREZZA • NOTIZIE ITALIANE • NOTIZIE DALL’ESTERO

VERSO IL FONDO

• SPULCIANDO QUA E LÀ IN BIBLIOTECA • RECENSIONI • VI SIA LIEVE LA TERRA

Speleologia 48

75


Tecniche e sicurezza

SPELEOLOGIA Nel 2002 si sono verificati 18 incidenti che hanno coinvolto 36 persone (34 uomini e 2 donne). Queste le conseguenze: nessuna 25 lievi 3 gravi 8 Rispetto allʼanno precedente si è registrato un calo sia degli incidenti, da 23 a 18, che del numero dei coinvolti, passato dai 60 del 2001 ai 36 del 2002, e nessun caso di morte. Tra i vari interventi di pertinenza del Soccorso Speleologico, vogliamo segnalare alcune operazioni, richiesteci dalle autorità competenti, alle quali il Soccorso ha partecipato. Il 17 agosto una squadra della 14° Zona (Campania) era allertata dal sindaco di Sacco (Salerno) per partecipare alla ricerca di una persona dispersa; venivano controllate due cavità presenti nella zona senza trovare traccia del disperso, che sarà ritrovato morto venti giorni dopo sul ciglio della strada, a cento metri dalla sua abitazione. Altro singolare intervento di una squadra del Lazio è avvenuto il 20 agosto al Pozzo Comune presso Carpineto Romano. M.A. di 42 anni si era inoltrato nella sala iniziale della grotta ed aveva poi ingerito una massiccia dose di sonnifero con lʼintento di suicidarsi. Al momento del recupero risultava in forte stato confusionale ed in preda a notevole alterazione emotiva; veniva quindi portato allʼesterno e

TECNICHEe Tecniche sicurezza SICUREZZA

CNSAS - INCIDENTI 2002 Lelo Pavanello trasportato allʼospedale per le cure del caso. In data 8 dicembre due speleologi, tecnici CNSAS, mentre discendevano dal Monte Mauro (Veneto) avvistavano, su di un pendio erboso alla base di balze rocciose, una sagoma distesa ed inanimata. Raggiunto il ferito, dopo vari tentativi di rianimazione, ne constatavano la morte. Era avvisata la squadra alpina di Feltre ed il Suem 118, che inviava un elicottero con altri due tecnici che rimuovevano il cadavere (dopo autorizzazione del magistrato di turno) ponendolo nel sacco salma e poi nel sacco trasporto. La salma sarà successivamente identificata per S. N. di 37 anni, deceduto a causa di traumi e ferite riportate nella caduta.

TORRENTISMO Per quanto riguarda il torrentismo, invece, si registra un netto aumento rispetto al 2001 (da 8 a 17 incidenti e da 34 a 56 persone coinvolte, 48

INCIDENTI SPELEOLOGICI 2002

76

uomini e 8 donne). Queste le conseguenze: nessuna 41 lievi 7 gravi 7 morte 1 I dati dimostrano come il torrentismo, o canyoning, sia unʼattività in forte espansione. Ogni anno vengono scoperte e percorse nuove forre, ed alcune regioni, come ad esempio la Liguria, sono fortemente frequentate anche da escursionisti dʼoltralpe. Spesso i tecnici CNSAS intervengono per recuperare persone quasi totalmente prive della necessaria esperienza, dotate di attrezzature non idonee e che contano sul fatto che è sufficiente saper scendere in corda doppia per essere autonomi, nonché sul fatto che comunque i percorsi sono già ben attrezzati! Mi auguro che questo tipo di escursionisti apprendano in fretta le giuste tecniche, perché non basta aver letto su qualche pubblicazione i percorsi di canyon, per ritenersi in grado di scendere in qualsiasi forra.


Notizie italiane

PIEMONTE Abisso Ferro di Cavallo (Val Ellero – CN) L'ASG San Giorgio durante il mese di agosto ha effettuato il consueto campo estivo nella zona compresa tra Porta Sestrera e le Rocche di Serpentera (sistema carsico di Pian Marchisio – Val Ellero, Cuneo), con l'obiettivo di continuare le esplorazioni dell'Abisso Ferro di Cavallo (2195m slm), ferme a –110 a causa di severe strettoie e frane instabili, nonostante la scoperta della cavità risalga all’anno 2000. A partire dal mese di giugno 2003 sono state organizzate una serie di punte che hanno prodotto un’intensissima attività esplorativa durante tutti i nove giorni di campo, allestito presso il Lago delle Mogli. Le prime punte iniziano nella stupenda "Forra del Venticello", una diaclasi a tratti fortemente concrezionata che termina in grandi ambienti dopo 140 m di sviluppo. Superati grandi saloni di crollo (Saloni Ravaccia), è stata intercettata la galleria principale, dove un ruscello di portata costante scorre su roccia impermeabile. Da questo punto in avanti la grotta assume un’unica direzione intercettando numerosi arrivi, in parte attivi, ancora in fase di esplorazione. Seguendo il ruscello verso monte (Riviera di Levante), la grotta continua in stretti budelli che dovrebbero intercettare nuove gallerie. Attualmente le esplorazioni sono ferme su una frana sospesa a –320, in prossimità di un ulteriore salto di 15 m, mentre il rilievo è stato completato fino alla profondità di –295 m. Anche se i numeri non rendono giustizia ad una grotta che in alcuni tratti è veramente fantastica, ad oggi l'Abisso Ferro di Cavallo risulta una delle più profonde cavità della Val Ellero, con un ulteriore potenziale carsico di 100/150 m. Lo sviluppo della cavità è oltre il chilometro (solo la parte rilevata), ed una probabile giunzione con la Voragine del Biecai (Pi 159: profondità: -265 m, sviluppo 660 m), porterebbe il complesso ad un’estensione di quasi 2 chilometri. Il rilievo della cavità sarà pubblicato nel numero di aprile 2004 del nostro bollettino “In Scio Fondo”. Per ulteriori informazioni, potete contattare Gianmarco De Astis (335 7271943) oppure spedire un e-mail all’indirizzo asg_genoa@hotmail.com Gianmarco De Astis, Associazione Speleologica Genovese San Giorgio

LOMBARDIA Novità dal Monte Arera (Prealpi Bergamasche) Continuano le esplorazioni del GSB le Nottole nelle zone del Monte Arera e del Monte Grem. Nell’Abisso Dolce Vita (rami “Effetti Collaterali” a –250) merita menzione il rametto in salita “Piadina”, con possibilità di ulteriori prosecuzioni in finestra. Nella zona alta del sistema (rami “Only Women” e “Battistero”) si cerca la congiunzione con l’ormai vicina Lacca della Miniera, distante meno di 30 m in linea…di roccia. Nella Lacca della Miniera è stato individuato un meandro che si dirige proprio verso i rami sopra citati, ma la disostruzione è ancora da completare. L’eventuale giunzione non cambierebbe l’attuale dislivello della “Dolce Vita” (484 m), ma aumenterebbe il suo sviluppo di circa mezzo chilometro portandola a superare i 3500 m (l’attuale primato Bergamasco spetta alla Laca di Sponcc (3465m). Nell’Abisso dei 2 Increduli, dopo incessanti disostruzioni lungo 250 metri di meandro, ci siamo affacciati, a –100m, sul primo di una serie di trenta pozzi (compresi tra i 10 e i 30 metri) che ci ha permesso di scendere velocemente fino a sfiorare gli attuali –500m. Lungo i pozzi, anche nei aridi mesi questa estate 2003, era presente un notevole stillicidio. Alla base di ogni salto risultava difficile persino trovare dei sassi per sondare il pozzo successivo, segno che lungo questa via l’acqua passa con notevole violenza, spazzando via anche le pietre. A –200 si giunge in una grande sala inclinata che continua per 50 m lungo una spettacolare faglia; a –300 si incontra una zona caratterizzata da un incrocio di fratture sub-verticali. La principale di esse, larga da uno a due metri e lunga dieci volte tanto, scende per quasi 100 metri fino ad incontrare una forra sub-orizzontale con diramazioni fossili. L’abisso prosegue in ambienti caratterizzati da meandri fangosi, sia attivi che fossili, intervallati da pozzetti. Dopo l’ultimo P 30 si giunge all’attuale fondo (circa –500) in un meandro facilmente disostruibile. Fino ad ora è stato seguito solo il ramo principale, non badando alle diramazioni laterali e alle strane inversioni delle correnti d’aria. I vicini abissi meteobassi Laca di Müradèi (-200)” e Crevazza Fruttari (-114), in cui pensavamo di andare a finire, sono stati ampiamente oltrepassati ed eventuali giunzioni saranno da ricercarsi in dirama-

Notizie italiane

notizie Notizieitaliane italiane

zioni laterali. Inoltre, diversamente dalle altre cavità della zona che si inabissano avvitandosi su se stesse, i 2 Increduli si spostano notevolmente anche in pianta. Tutto questo fa ipotizzare l’esistenza di un grande sistema del quale conosciamo solo una piccola parte; attualmente le esplorazioni del ramo principale sono ferme a causa dell’acqua che ne impedisce la discesa. Ulteriori esplorazioni sono rivolte ad inseguire l’aria nel ramo a monte del pozzo d’ingresso, percorso per circa 50 metri e fermo su passaggi impraticabili. A –100 inoltre è stato risalito per 30 metri, dagli amici del GS Montorfano - CAI Coccaglio (BS), un ramo interessato da un notevole arrivo d’acqua che punta verso l’esterno (solo 20 metri!) Un possibile nuovo ingresso ci permetterebbe di evitare

i fastidiosi 250 m di meandro. Alla Laca di Müradèi è stato completato il rilievo del ramo fossile “Deviazioni di Don Rigoberto” fino a –170; oltre il meandro dell’attuale fondo, ancora da disostruire, si sente forte rumore di cascata. Dal rilievo sembrerebbe trattarsi di un corso d’acqua diverso rispetto a quello del Ramo Principale. Mauro Ravasio, GSB Le Nottole - GEC Genepì

Speleologia 48

77


Notizie italiane

Ingresso Fornitori (Pian Del Tivano – CO) La disostruzione di una frana ventosa, già parzialmente puntellata da componenti del Gruppo Grotte Milano agli inizi degli anni ’90, ha permesso di entrare in una grotta che, dopo una prima parte abbastanza disagevole, assume dimensioni enormi. Nella prima fase vengono esplorate velocemente 4 km di gallerie, tralasciando numerosi arrivi laterali e diffluenze tra cui un pozzo valutato 30 metri. Dopo la pausa estiva dedicata al campo in Grigna, le esplorazioni riprendono a ritmi intensi: sceso il P. 30 la grotta continua ancora ed in un mese raddoppia lo sviluppo. Siamo fermi in un salone dal quale si diramano enormi gallerie esplorate solo sommariamente; in sei mesi lo sviluppo di Ingresso Fornitori è passato da 50 m a oltre 8 chilometri per una profondità di 400 m ed è sicuramente destinato a crescere. Ora l'apertura di un nuovo ingresso da parte del Gruppo Grotte Milano permette di entrare direttamente nelle parti profonde, accorciando notevolmente i tempi. Hanno partecipato alle esplorazioni, oltre allo Speleo Club Erba e all'Associazione Speleologica Comasca (cui va il merito di aver creduto in uno scavo quasi impossibile), il Gruppo Speleologico Valle Imagna, Gruppo Grotte Milano, Gruppo Speleologico Varesino, Gruppo Grotte "I Tassi", Speleo Club Valle Intelvi, Speleo Club Valceresio e Speleologi Indipendenti. Marzio Merazzi - Speleo Club CAI Erba

Obelix (Pian del Tivano – CO) Sono terminate le esplorazioni dei nuovi rami ad Obelix. A luglio era stata disostruita una strettoia e al di là sono state trovate due diramazioni: una galleria in discesa che termina su depositi fangosi e una lunga risalita in interstrato che termina a pochi metri dalla superficie, nelle vicinanze dell’ingresso. Ad ottobre è stato esplorato anche un grosso interstrato che purtroppo finisce dopo una quarantina di metri e un altro strettissimo cunicolo, di una trentina di metri, lungo la risalita. Gli ambienti dei rami nuovi in alcuni punti sono abbastanza grandi, ma non sembrano esserci possibilità di prosecuzioni significative. In totale sono stati esplorati 309 m nuovi, da aggiungere ai 336 m precedentemente rilevati. La profondità invece resta invariata (-124 m). Andrea Maconi, Gruppo Grotte Milano

VENETO Nuova grotta scoperta nel Montello (TV) Lungamente cercata come esuttore del noto e storico Tavaran Longo (V TV 73) la cavità appena scoperta è un lungo cunicolo freatico esplorato fino ad ora per circa 300 metri, misura per niente banale se rapportata alle caratteristiche geomorfologiche del luogo, cioè al carso montelliano su conglomerati. La grotta è un condotto di troppo pieno che viene invaso totalmente nei periodi di piena. L’acqua proveniente dal Tavaran si disperde per la maggior parte in profondità creando una lunga serie di sorgenti che sgorgano alla base del “Coston” (falesia a N del Montello) disperdendosi nelle ghiaie del letto del Piave. La cavità possiede delle parti concrezionate nei punti in cui la galleria incrocia fratture trasversali. L’esplorazione proseguirà in inverno sperando in un lungo periodo di magra. Le potenzialità planimetriche sono notevoli in quanto il Tavaran Longo ed il conseguente Tavaranetto distano circa 800 metri in linea d’aria ed il loro collegamento è possibile. La conferma di questo è stata provata con tracciamento a mezzo fluorisceina, effettuato nel mese di ottobre scorso, che ha dato l’esito sperato. Questo risultato dimostra quanto si può fare in un territorio che è stato intensamente esplorato e che oramai molti pensano non possa riservare nuove scoperte. Le esplorazioni subacquee che si prospettano nel prossimo futuro al Cadin de le Fate, altra conosciuta risorgenza a pochi chilometri di distanza, potranno dare altri risultati di eccellenza. Paolo Gasparetto, Gruppo Naturalistico Montelliano

FRIULI VENEZIA GIULIA Col de la Rizza, Cansiglio L'interesse del Gruppo Speleologico Ferrarese per la zona del Cansiglio, bosco protetto a monte di Vittorio Veneto (TV), ripartito tra le provincie di Treviso, Pordenone e Belluno, risale all'anno 1993 quando uno dei nostri soci svolse la sua tesi in geologia con lo studio del rapporto tra fenomeni carsici e tettonica in quelle zone. Durante quel periodo di studio,

ERRATA CORRIGE La foto a pagina 83 del n. 47 è di Paolo Giuliani. Ce ne scusiamo con lʼautore per la mancata segnalazione

78

contemporaneamente alla raccolta dati per la tesi, il gruppo ha sistematicamente rivisitato tutti gli abissi noti nei dintorni di Col de la Rizza. Tutto sommato le sorprese sono risultate modeste per quello che riguarda l’esplorazione, ad eccezione dell'abisso FR 410. Il piccolo ramo esplorato allora, pur non essendo rilevante per dimensioni e profondità, è stato oggetto di accurate ricerche per la sua notevole corrente d'aria. Gli abissi di questa zona sono generalmente caratterizzati da profondi pozzi di ingresso e vasti saloni terminali. Nel gennaio 2003 il gruppo, stimolato dagli eclatanti risultati in quel dei marmi apuani di Go Fredo assieme agli amici di Reggio Emilia, e fortificato dalle nuove leve che di Cansiglio avevano solo sentito parlare, decide di riprendere la ricerca di quella fatidica corrente d'aria. Durante la prima uscita, una sfrenata fantasia ci suggerisce l'uso di palloncini riempiti di elio, da usare tipo scandaglio cerca-aria, al fine di discriminare le molte possibilità di esplorazione verso l'alto. Questo ci ha permesso di riprendere in considerazione una risalita intrapresa dieci anni prima, scoprendo l'imbocco di un'ampia galleria a pochi metri dalla visuale dei primi sfortunati esploratori. Dopo la galleria ed un breve salto, ci troviamo ad esplorare una stupenda e articolata zona riccamente concrezionata, con chiari segni freatici e molti paleolivelli. Presto arriva il primo bivio e con esso la contemporanea esplorazione di due rami, uno attivo e l'altro fossile. Sono stati topografati fino ad ora solamente 400 m di sviluppo, ma circa altrettanti restano ancora da rilevare. La profondità raggiunta è di circa 330 metri; l'esplorazione adesso (novembre 2003) non è più così facile ed euforica come nelle fortunate uscite precedenti. Non si aprono più verticali, ed una vasta sala di crollo per ora preclude ogni approfondimento. Tuttavia restano da verificare moltissimi punti e speriamo che l'inverno possa ripristinare le condizioni per seguire al meglio le correnti d'aria, che anche in questa zona sono molto importanti. Chiara Maietti e Stefano Rossetti, G.S.Fe. Ferrara

Grotta Martina, un altro gioiello della Val Rosandra Gli speleologi della Commissione Grotte "E. Boegan" nei primi sei mesi del 2002 hanno arricchito il patrimonio sotterraneo della Val Rosandra di un nuovo gioiello: la Grotta Martina. All'inizio della storia - fine anni '80 e primi anni '90 - la cavità era costituita da uno stretto cunicolo, lungo un paio di metri, portato da Giuliano Zanini, spesso aiutato da qualche consocio, a sette metri di sviluppo e quattro di profondità, dal cui fondo spirava una discreta corrente d'aria. Nell'ot-


Notizie italiane

di raggiungere una galleria fossile in leggera salita, di notevole bellezza per il concrezionamento che presenta. Un altro passaggio, posto qualche metro più in basso del precedente, conduce al Ramo a Valle, labirintica e fangosa serie di gallerie che si sviluppano appunto verso valle. Vista l'importanza e la bellezza della grotta i suoi scavatori-esploratori hanno deciso di ribattezzarla Grotta Martina, in ricordo della figlia, prematuramente scomparsa, di un socio della Commissione. La cavità, il cui sviluppo sfiora il chilometro, si è dimostrata idrologicamente attiva nei periodi piovosi in quanto la Galleria Cristian risulta percorsa da un torrentello che scarica le sue acque nel meandro che alimenta il terzo lago. L'interesse per questa cavità è però soprattutto determinato dal fatto che le sue gallerie finali si diramano in prossimità non solo della Grotta Gualtiero, ma anche della Fessura del Vento (4139 VG) e della Grotta delle Gallerie (420 VG), grotta quest'ultima in cui è stato accertato il collegamento dei flussi d'aria provenienti dalla Grotta Martina. La Val Rosandra si avvia così a diventare un'area speleologica di importanza notevole, con un complesso sistema di grotte (oltre quattro chilometri la Gualtiero, due e mezzo la Fessura del Vento, sul chilometro la Martina, alcune centinaia di metri le Gallerie) che rimette in discussione tutto quanto si sapeva sull'antica idrografia della valle. Pino Guidi, Commissione Grotte "E. Boegan" Monte Canin: un nevaio a -130 ferma (momentaneamente?) le esplorazioni del pozzo II° a Nord del Foran dal Muss Con alcune uscite effettuate nell'agosto 2003 sull'altopiano del Monte Canin, e precisamente, nell'area del Foran dal Muss, il C.R.C. Seppenhofer di Gorizia ha voluto completare l'esplorazione del Pozzo II° a Nord del Foran dal Muss (CRC Z5). Al momento della scoperta, avvenuta durante la campagna esplorativa del 1995, l'ipogeo misurava 57 m di profondità ma, alla base di un pozzo interno, un pertugio nella neve che ne occludeva il fondo lasciava ben sperare, lasciando cadere i sassi che venivano gettati al suo interno per ulteriori diverse decine di metri. Gli spazi, però, erano così stretti da permettere il passaggio delle sole pietre. Solo nel 2002, complice il ben noto fenomeno dello scioglimento delle nevi che si fa sentire anche sottoterra, si è potuta raggiungere la profondità complessiva di 109 m, fermandosi nuovamente a causa del ghiaccio che occludeva

Notizie italiane

tobre 1991 venne catastato (5640 VG) con il bene augurante nome di Cunicolo dell'Aria. Le difficoltà nel proseguire lo scavo, tutto in roccia viva, e la ricerca di qualche sito aspirante che portò al raddoppio dello sviluppo della Grotta Ferroviaria (4352 VG) e alla conseguente scoperta della Grotta Gualtiero (5730 VG), segnarono la momentanea interruzione dei lavori. Momentaneamente, appunto, perché nell'autunno 2001 un gruppo di speleologi della Commissione ha ripreso in esame la cavità, facendo base nella Grotta del Tasso (425 VG) adattata a spogliatoio e magazzino, che successivamente si rivelerà il probabile antico ingresso del nuovo complesso sotterraneo. Bisognava, per poter seguire l'aria, allargare e rendere transitabile una fessura di pochi centimetri ma parecchio lunga. Dopo sei mesi di scavo nella roccia viva il cunicolo era diventato lungo una sessantina di metri (di cui una trentina in una direzione rivelatasi poi sbagliata) e alla sua fine si è aperto uno spiraglio che ha permesso l'accesso ad una prima caverna riccamente concrezionata da cui si dipartono tre vie. Quella in direzione W sprofonda per alcuni metri in uno stretto meandro che pare chiudere inesorabilmente, la seconda si dirige a SE, salendo verso la superficie in direzione della Grotta del Tasso e terminando dopo una ventina di metri in una selva di concrezioni. La terza, sita sul lato WNW della caverna, immette in una stretta ed alta forra, in più punti ostruita da frane cementate dalla calcite e intervallata da pozzi e pozzetti da aggirare, che si addentra nelle viscere del monte Stena in direzione WNW. Lungo il percorso si incontrano altre due ampie caverne ospitanti dei laghi temporanei, che nei periodi piovosi si rivelano profondi oltre sei metri. L'abbassamento dell'acqua del secondo lago, conseguente ad una stagione secca, ha permesso di individuare la prosecuzione della cavità. Ulteriori scavi hanno svelato una galleria in accentuata discesa - la Galleria Cristian, riccamente concrezionata e intervallata da un susseguirsi di vasche dagli orli bordati di infiorescenze calcaree. Al termine della galleria uno stretto meandro lungo una quarantina di metri, completamente allagato, conduce al terzo grande lago, questa volta perenne. Dopo un'altra sala ed un ulteriore tratto di forra stretta ed alta si perviene al quarto bacino d'acqua, ancora più ampio e profondo del precedente. I tentativi di superare quest'ostacolo da parte di speleosub non hanno dato esito positivo: il sifone, dopo una ventina di metri di percorso a otto metri di profondità, chiude . Nella forra, ad una dozzina di metri dalla prima caverna, un passaggio alto permette

parzialmente un passaggio stretto ma promettente. Quest'anno, la situazione del nevaio interno è nuovamente mutata, permettendo la discesa fino alla profondità di 128 m, dove il solito tappo di neve mette momentaneamente la parola fine alle esplorazioni dell'ipogeo. Il tratto esplorato nell'agosto del 2003, risulta più disagevole da percorrere a causa degli ambienti più stretti rispetto ai pozzi superiori ed alla consistente presenza di neve. Nel corso delle esplorazioni di quest'anno, è stato anche rilevato un pozzo parallelo con un accesso separato, che dall'esterno si ricongiunge al pozzo principale a circa 40 metri di profondità. Non si può escludere, comunque, che lo scioglimento delle nevi nella prossima stagione estiva possa aprire un nuovo capitolo esplorativo: la CRC Z5, infatti, si trova nelle immediate vicinanze di numerose cavità che vanno a formare l'importante complesso sotterraneo del Foràn Dal Muss, fra cui il noto Abisso Comici, il cui ingresso dista un paio di centinaia di metri. Marco Meneghini, C.R.C. Seppenhofer – Gorizia Monte Naiarda (UD) Sono proseguite anche nel 2003 le esplorazioni e i lavori di ricerca nella nuova area carsica del Monte Naiarda nell’Alta Val Tagliamento (Comune di Socchieve, UD), scoperta dal Gruppo Triestino Speleologi nel 2001. Grazie anche alla collaborazione del Gruppo Speleologico Carnico “M. Gortani”, è stata esplorata parzialmente quella che al momento sembra essere la cavità più importante dell’area. Siglata NA10, la cavità consta di un pozzo sui 50 metri di profondità, impostato lungo un’evidente faglia. Purtroppo alla massima profondità un consistente deposito glacio-nivale non permette di individuare una possibile prosecuzione. In compenso, a pochi metri dal fondo, si diparte una condotta forzata ascendente interessata da una corrente d’aria. Per ora si è fermi davanti ad un riempimento, ma quasi sicuramente la condotta dovrebbe sfociare all’esterno, in corrispondenza di una serie di doline e avvallamenti assorbenti. Diverse sono le cavità discese e rilevate verso la fine dell’estate, in special modo quelle al cui fondo stazionano usualmente depositi di neve. Per vari pozzi (nella maggior parte dei casi di profondità non superiore ai 10 metri) si è potuto così mettere la parola fine. Sono proseguiti anche i lavori di siglatura e posizionamento con GPS dei numerosi imbocchi dell’interessante, seppur ristretta, area che si trova ad una quota media di 1700 m s.l.m. Grazie alla costruzione di una nuova pista forestale, il lungo avvicinamento a piedi, necessario fino allo scorso anno (circa 4 ore e mezza), è stato ridotto a poco più di un’o-

Speleologia 48

79


Notizie italiane

ra, fermo restando la necessità di disporre di un fuoristrada e dei dovuti permessi. È da segnalare infatti che la nuova area investigata si apre all’interno di una proprietà privata, adibita ad azienda faunistico-venatoria. Per questo motivo l’attività in zona è possibile solo grazie al permesso accordato dal proprietario dell’area. Gianni Benedetti, Gruppo Triestino Speleologi – Trieste

TOSCANA Carcaraia (Alpi Apuane - LU) Durante la primavera ed estate di quest’anno la nostra attenzione si è concentrata principalmente su due obiettivi: l’abisso Perestrojka e l’abisso Mani Pulite. Nel primo, che era stato attrezzato durante il campo estivo del 2002, la prima vera punta è stata fatta in giugno: dopo aver forzato una strettoia circa cinque metri sopra il vecchio fondo, ci siamo immessi in un pozzo di una quindicina di metri che porta sulla sommità dell’imponente “pozzo degli applausi” (120 metri circa) caratterizzato da innumerevoli arrivi; nelle successive esplorazioni abbiamo sceso altri tre pozzi fino ad arrivare approssimativamente a - 420 metri dall’ingresso. Mani Pulite invece è stato protagonista del campo estivo 2003: abbiamo organizzato due campi interni durante i quali - attrezzata una risalita di circa 15 metri, che ci aveva più volte respinto per l’acqua, nei pressi della frana a monte del campo a –710 metri - abbiamo esplorato un enorme salone. Si tratta di un ambiente veramente grande: vi arrivano tre pozzi e, nonostante il periodo di siccità, abbiamo individuato tre arrivi d’acqua importanti; una risalita di circa 30 metri ci ha fatto entrare in condotte che si spostano notevolmente in pianta. Colgo l’occasione per ringraziare l’insostituibile aiuto di quanti sono passati dalla Carcaraia in agosto (circa 50 persone). Michele Cuccurullo, G.S.F. – Firenze News da Go fredo. (Alpi Apuane, M. Sumbra, Vagli - LU) L'eccezionale siccità dell'estate 2003, ha permesso di continuare le punte a Go fredo in condizioni di assoluta tranquillità dal punto di vista idrico. Dopo aver raggiunto la profondità di -820, a fine primavera, siamo entrati in un reticolo di gallerie fossili, preludio alla fine delle esplorazioni in verticale. Alla base di un successivo salto -

80

pozzo Katanga - si incontra infatti un sifone (quota stimata –900, il rilevo è fermo a 845). La scarsità d'acqua non ha permesso di valutare quale sia il normale livello idrico del fondo di Go fredo, ed ha aperto nuovi interrogativi per quanto riguarda la risorgenza. Interrogativi a cui speriamo di rispondere attraverso le colorazioni organizzate in collaborazione con la F.S.T. previste per la primavera 2004. Non meno entusiasmanti le arrampicate che partono a quota -160 e hanno raggiunto quota 0 spostandosi in pianta di oltre 300m, sotto il M.Fiocca. Sono state quindi rivisitate alcune vecchie cavità poste proprio sopra la verticale di queste risalite. In particolar modo la Buca dell'impiccato e la Buca dell'invisibile sembrano le più promettenti per effettuare un congiunzione con Go Fredo. Nella Buca dell’invisibile è stato disostruito un passaggio che ha permesso di esplorare oltre un centinaio di metri di meandro concrezionato. Continua anche l'attività di documentazione filmata e fotografica in diretta durante le punte esplorative.

piena eccezionale delle sorgenti di Equi Terme (risorgenti dei complessi carsici della Serenaia e di parte della Carcaraia) che ci ha permesso di individuare un troppo pieno mai visto prima d’ora. Il sopralluogo effettuato appena smaltita la piena ha rivelato la presenza di una grande quantità di ciottoli arrotondati in corrispondenza delle venuta a giorno delle acque, avvalorando l’ipotesi dell’esistenza di condotti carsici con scorrimento delle acque di tipo principalmente vadoso. Stupefacente infine il tempo di innalzamento ed esaurimento della piena: poco più di 24 ore per smaltire le acque di un territorio situato a più di 10 km di distanza. Parallelamente all’attività squisitamente esplorativa continua l’opera di revisione catastale delle grotte presenti nella valle in previsione della pubblicazione del nuovo Catasto delle Grotte della Regione Toscana, previsto per il 2004. Alessandro Zanna e Francesco De Grande, OSM - Modena, GSPGC - Reggio Emilia

Massimo “Nebbia” Neviani, GSPGC - Reggio Emilia In Serenaia continuano a spirare nuovi venti (Alpi Apuane - LU) Nell’estate 2003 sono state scoperte diverse nuove buche, tutte con grande circolazione d’aria, tra cui la più promettente è la Buca Nuova (il cui nome poco fantasioso è ovviamente provvisorio), situata nell’avvallamento poco pronunciato che dal Garneroncino scende verso valle perdendosi poi nei fronti di sbancamento delle prime cave. Si tratta di una buca fonda 120 m, ferma su una fessura impegnativa, stretta e lunga, che invoglia decisamente allo scavo con il vento che ne fuoriesce. Il movimento dell’aria quest’estate era così violento che produceva un rumore inizialmente scambiato per il suono di acqua in lontananza. Le particolari condizioni climatiche di quest’estate (caldo torrido e assenza pressoché totale di precipitazioni) facevano soffiare qualsiasi buchetto e proprio grazie al vento è stata iniziata la disostruzione di alcuni ingressi molto promettenti posti a metà strada tra il Pannè - MC5 e la Buca dei Canneggiatori. In quest’ultima è stata raggiunta la profondità di –350 m, con oltre un chilometro di sviluppo. Nel Pannino (quarto ingresso del Pannè) è ancora in corso la risalita infinita del ramo a monte (80 m su roccia sbriciolona) e secondo i nostri calcoli dovremmo essere quasi all’esterno, su un ulteriore ingresso! Infine all’inizio di novembre, durante il ponte dei Morti, abbiamo assistito ad una

UMBRIA Monte Catria (PG) Tra la fine del 2002 e l´inizio del 2003 viene scoperto ed esplorato l'Abisso di Monte Catria, una nuova cavità di grandissimo interesse, visto che in pochi mesi è diventata la terza grotta più profonda dell’Umbria, dopo la Grotta di Monte Cucco e il Chiocchio. Il Monte Catria, con le sue maestose e panoramiche pareti è una delle montagne nelle quali lo sforzo esplorativo degli speleologi umbro-marchigiani ha conosciuto il più alto impegno, seguito spesso da cocenti delusioni. Stavolta però è andata diversamente quando abbiamo visitato due piccole cavità verticali, già note ad alcuni di noi da una decina d´anni, situate in luoghi di bellezza incantevole e mozzafiato nella proprietà della Comunanza Agraria di Isola Fossara. Il luogo è accessibile solo con calate in parete ed ha permesso agli speleologi della Sezione Speleologica Città di Castello (SSCC) di penetrare nel cuore della montagna da ingressi situati a 1200 m di quota. Sopra di noi la montagna ha ancora un paio di centinaia di metri di calcare da esplorare (il M. Catria è alto 1701 m ma in vetta affiorano formazioni poco carsificabili); sotto, il Torrente Sentino, lo stesso che ha scavato la Gola di Frasassi, scorre 800 m più in basso. Già dalle prime uscite effettuate in pieno inverno, allarmando qualche volta gli abitanti di Isola Fossara che vedevano fino a tarda notte le nostre luci sulle pareti e si preoccu-


Notizie italiane

Regina e Colonnelle, che alimentano le terme di Bagni di Tivoli. "Lo sbalzo di livello qui al Merro non si era mai scostato dai 10-15 centimetri a seconda della consistenza delle precipitazioni", spiega Marco Giardini, ricercatore presso il dipartimento di biologia vegetale dell'Università La Sapienza di Roma. "Una situazione di questo genere - continua Giardini - non può essere attribuita soltanto alla siccità di quest'estate. E' indice, piuttosto, di una progressiva diminuzione delle precipitazioni ad andamento pluriennale. Le falde non si ricaricano quanto dovrebbero, la situazione è peggiorata di anno in anno fino a rendersi così evidente". "La zona circostante il pozzo del Merro sostiene Giardini - può essere un osservatorio dei mutamenti climatici, che in questa estate torrida (2003 ndr) sono come improvvisamente esplosi". Quello che il professore ha visto il 21 agosto durante un sopralluogo lo ha impressionato: "La colonnina posta sul bordo dai ricercatori dell'università per misurare il livello dell'acqua è a mezz'aria, completamente all'asciutto. L'area circostante la cavità - spiega Giardini presenta spaccature profonde anche qualche decina di centimetri. Il terreno, solitamente fresco e umido, è completamente asciutto, e la fascia di vegetazione caratteristica del luogo che vive normalmente con le radici nell'acqua si è ridotta molto e minaccia di scomparire perché a secco". Il Pozzo del Merro può essere considerato come il "termometro" di un clima impazzito? I ricercatori vanno cauti: "Nel nostro dipartimento abbiamo studiato una sequenza di pollini di 250.000 anni - afferma Giardini - di questi solo 25.000, a inter-

Notizie italiane

pavano per la nostra incolumità, ci siamo accorti di avere trovato la via d´accesso al cuore della montagna, che ci riservava ostiche strettoie, ma anche pozzi e meandri dalle forme invitanti e appaganti. La tanta aria che fluiva attraverso questi passaggi e le tracce di imponenti flussi idrici che percorrono la grotta allo sciogliersi delle nevi o in seguito a importanti piogge, ci hanno sempre stimolati a proseguire e a coinvolgere altri gruppi nelle nostre uscite. Si sono infatti uniti a noi tanti amici provenienti da molti gruppi speleologici di Umbria e Marche e anche da altre regioni d´Italia, coi quali stiamo condividendo questa emozionante esplorazione. Per ora ci siamo fermati intorno ai 300 metri di profondità ma da ogni punta torniamo con nuovi suggerimenti e speranze per chi cerchi di dipanare la rete di vuoti che la montagna ancora nasconde. La speranza di tutti noi è, oltre ad avere sempre la possibilità di raccontare e trasmettere la conoscenza dei luoghi scoperti, quella di poter essere finalmente considerati dalle amministrazioni locali e regionali veri soggetti coi quali interloquire quando si tratti di intervenire su suoli e sottosuoli carsici alterandone gli equilibri, così da poterne programmare una gestione più consapevole di quanto si sia fatto finora e si stia tuttora facendo. Basti ad esempio pensare all’inconcepibile progetto di "valorizzazione" turistica della Grotta di Monte Cucco, portato avanti sino ad ora senza la minima partecipazione delle federazioni speleologiche dell’Umbria e delle Marche (FSM e FUGS), della Società Speleologica Italiana (SSI) e dell’Istituto Italiano di Speleologia (IIS), reali depositari delle conoscenze e delle competenze adeguate a poter fungere da imprescindibile organo consultivo per i piani di tutela e valorizzazione di certe entità ambientali. Luca Girelli, Sezione Speleologica Città di Castello

valli, testimoniano la presenza di boschi. Per gli altri 225.000 anni il paesaggio dei nostri antenati era la steppa, più o meno come in Siberia al giorno d'oggi". Ma c'è un'incognita di cui la scienza non riesce a venire a capo: "Non siamo in grado di stabilire conclude Giardini - se e in che misura sui cambiamenti possa avere inciso l'ultimo mezzo secolo, la civiltà moderna, con l'immissione di tonnellate di anidride carbonica e un'immensa superficie impermeabilizzata dal cemento". da Speleoit, su segnalazione di Lorenzo Grassi

CAMPANIA Nuove esplorazioni alla Grava Auletta sui Monti Alburni (SA) Sul massiccio dei monti Alburni sono molte le cavità che possono offrire ancora sorprese dal punto di vista esplorativo. Tra le tante si è deciso di rivederne una in particolare, scelta tra le cavità minori dimenticate da anni in questo massiccio: la Grava Auletta con un dislivello totale di circa 100 metri, dove nella saletta terminale era presente uno stretto passaggio percorribile dall’uomo se non per pochi metri e attraversato da un piccolo ma intenso corso d’acqua. Tra dicembre 2002 e marzo 2003 ha avuto luogo una campagna dedita principalmente alla disostruzione di questo stretto passaggio che rappresentava il fondo della grotta.

LAZIO Acqua mai così bassa nella voragine più' profonda al mondo (Pozzo del Merro Roma) E' la voragine carsica allagata più profonda del mondo, con i suoi 392 m al di sotto del livello del mare. Al Pozzo del Merro, nella campagna di S. Angelo Romano, il livello dell'acqua, secondo un sopralluogo di studiosi della Sapienza, è sceso di tre metri rispetto al precedente rilevamento, effettuato sempre dagli stessi ricercatori circa un anno fa. Mai, a memoria d'uomo, il livello dell'acqua nella cavità si era abbassato in maniera così drastica. A giugno un fenomeno analogo era stato notato presso i laghi

Il pozzo di ingresso della Grava Auletta (foto Vito Buongiorno)

Speleologia 48

81


Notizie italiane Alle operazioni hanno preso parte vari gruppi speleologici del sud e centro Italia. Tutto il lavoro è stato reso più semplice grazie all’utilizzo di corrente 220 V generata da un gruppo elettrogeno collocato all’ingresso della grotta. Dopo svariati fine settima, in cui si è lavorato 24 ore su 24 con turni di 4-5 ore grazie al gran numero di persone che ne ha preso parte, si è entrati in una zona notevolmente più larga e agevole, dove dopo i primi due saltini rispettivamente di 7 e 5 m si giunge ad un enorme pozzo con un dislivello totale di 70 m. Purtroppo con molto rammarico abbiamo dovuto costatare che al fondo è presente una nuova strettoia nella quale si riversa il troppo pieno del laghetto che si forma alla base del pozzo e che tutti i finestroni di

quest’ultimo non danno speranza di ulteriori esplorazioni. Nonostante il risultato metrico sia stato modesto, eccezionale è stato l’impegno e l’organizzazione di molti speleologi che hanno creduto in questo lavoro e in particolar modo si ringrazia: Gruppo Puglia Grotte, Centro Altamurano Ricerche Speleologiche, Gruppo Speleologico del Matese, Speleo Club Roma, Gruppo Speleologico Vespertilio CAI Bari, Gruppo Speleo CAI Napoli, riuniti sotto un unico nome AIRES (Associazione Interregionale Ricerche Esplorazioni Speleologiche)

Il Ramo Alto sul Lago Sifone della Grotta di Castelcivita (Monti Alburni - SA) uesto breve contributo sulla Grotta di Castelcivita è rimasto dimenticato nel cassetto degli autori, come si può evincere dalla data del rilievo, dall’ormai lontano 1995 ritornando alla luce solo alla fine del 2002 durante il riordino del nostro polveroso archivio speleologico. In quel periodo, sullo slancio degli esaltanti risultati emersi dalle esplorazioni nella Grotta di Castelcivita, procedevano con entusiasmo le ricerche di nuove ramificazioni sia aeree che subacquee (Bellucci et al., 1994; Del Prete, 1995, Del Prete & Bocchino, 1995, Bellucci et al., 1995) coordinate dagli autori nella parte subaerea (esplorazione e rilievo delle Condotte Forzate, dei rami CAI I e CAI II, del Ramo M, Ramo N, Condotte Argentino) in collaborazione con il GS CAI Foligno (coordinati da Massimo Bollati) nella parte subacquea (scoperta del Ramo Ipossico, giunzione Castelcivita-Ausino, collegamento CAI I-CAI II, esplorazione del Lago Terminale, etc.). Il proposito di entrare a Castelcivita con un occhio nuovo e di guardare anche nel tratto turistico nei posti più impensati, contribuì a questa come ad altre scoperte precedenti. Ciò permise di sfruttare ulteriormente le potenzialità di una cavità che, frequentata da tanti anni da speleologi, era ritenuta finita in quanto a prospettive esplorative fino a quando… il “riassetto” della speleologia campana da un lato, e le alterne vicende politico amministrative dall’altra, che in seguito condizionavano e limitavano le possibilità di accesso alla grotta, arrestarono più o meno bruscamente le prosecuzione e lo sviluppo di tutti i programmi esplorativi. Gli ultimi dati raccolti e pubblicati dagli scriventi, infatti, risalgono ad un sopralluogo effettuato a seguito dell’evento alluvionale che il 26 novembre 1996 interessò la grotta anche nel suo tratto turistico provocando gravi danni a infrastrutture e concrezioni (Del Prete et al, 1997). In questa sede riportiamo brevemente la descrizione di un ramo laterale che rilevammo nell’agosto 1995 sul Lago Sifone della Grotta, quale contributo per chi oggi o in futuro sia più “bravo” o più “fortunato” di noi nel riuscire ad aggirare certi ostacoli…e riprendere le attività esplorative.

Q

Descrizione del Ramo Alto sul Lago Sifone. Questo nuovo tratto di grotta è stato denominato dagli autori “Ramo Alto sul Lago Sifone”, è ubicato a 6 m di altezza dalla superficie del lago ed ha uno sviluppo planimetrico di circa 116 metri ed un dislivello totale di 10 m. Dopo aver traversato il Lago Sifone si giunge al punto IGM 58 (caposaldo della poligonale eseguita dall’Esercito Italiano nel 1950-52) sito proprio sulla riva dello stesso. Da qui in sinistra orografica, ovvero a destra di chi arriva col canotto, bisogna effettuare una risalita di circa 6 m molto scivolosa e pericolosa (sotto c’è il lago) sopra la quale si aprono due piccoli

82

Vito Buongiorno, Gruppo Puglia Grotte

CALABRIA Forzato il sifone a valle della Grotta di Grave Grubbo (Verzino – KR) Nel mese di luglio 2003 il Gruppo Speleologico “Le Grave” di Verzino ha raggiunto un importantissimo risultato esplorativo, forzando il sifone a valle della Grotta di Grave Grubbo, e raggiungendo il sifone a monte della Grotta Risorgenza Vallone Cufalo “Grotta dello Stige”. La distanza percorsa tra il sifone a valle di Grave Grubbo e la Risorgenza Vallone Cufalo è di 350 m. Quindi i due sistemi carsici conosciuti Grotta di Grave Grubbo, Grotta Risorgenza Vallone Cufalo più il nuovo tratto danno origine ad unico sistema con uno svi-

ingressi di poco più di 0,5 m di diametro. Per le sue ridotte dimensioni trasversali tutto il ramo (in gran parte alto non più di 60-70 cm) non è certo dei più agevoli da percorrere, ma è senza dubbio molto affascinante. Date le dimensioni e la scarsa circolazione d’aria, non fu possibile usare la solita illuminazione ad acetilene ma quella esclusivamente elettrica. Nonostante questo accorgimento dopo solo alcune ore di permanenza l’aria era diventata comunque pesante anche per 2 sole persone. Il Ramo, nel suo tratto iniziale, si sviluppa in direzione N 100° per poi deviare bruscamente dopo 5 m verso NNE per altri 5 m. La sezione trasversale è tipicamente da interstrato di piccole dimensioni e le pareti sono cesellate di scallops e senza presenza di fango. Da questo punto l’ipogeo si divide in due gallerie; quella a N ritorna indietro e porta al secondo ingresso dopo un tortuoso budello, mentre quella ad E continua verso il fondo. Proseguendo lungo quest’ultima, dopo 8 m si devia verso SE e ci si può finalmente sgranchire le ossa e stare un po’ in piedi. Si giunge, infatti, in un tratto del ramo a sezione diaclasica con orientazione media N 145°. Alla fine di questo tratto, a 2,2 m di altezza si apre un’altra piccola prosecuzione dove il ramo continua e la situazione non cambia. Esso devia decisamente verso S ma si mantiene sempre basso e si è costretti a proseguire strisciando per terra. Da questo punto sono stati individuati diversi rami anastomizzati fino a giungere dopo una ventina di metri su un pozzetto di 2 m di profondità e largo circa 1,2 m, dalle pareti completamente lisce e scivolose al cui fondo c’è una pozza d’acqua profonda circa 50 cm. A questo punto la galleria prosegue verso SE, poi devia bruscamente verso NW e di nuovo verso SE nella parte finale. Per accedere a quest’ultimo settore del ramo bisogna bagnarsi completamente fino al petto lungo un piccolo tratto basso di circa 5 m di sviluppo prima di poter finalmente tornar a stare in piedi. Qui la galleria mostra una tipica sezione diaclasica con tracce di flussi d’acqua in pressione (scallops). Infine, nel tratto finale si arriva in una piccola saletta di 4 m x 2,5 m sulle cui pareti sono presenti delle bellissime impronte in rilievo di Rudiste di circa 20 cm di altezza. Sulla volta è poi presente anche una marmitta d’evorsione che risale per almeno 10 m la cui risalita non fu effettuata al momento. Da un punto di vista morfologico, lungo tutto il ramo sono chiaramente visibili forme idromorfe tipiche di condotte freatiche, a tratti anche antigravitative, il cui sviluppo è stato in parte condizionato da un sistema di fratture con orientazione media N 145° (lungo cui la sezione della grotta assume una forma più o meno fusiforme) ed in parte da giunti di strato lungo livelli più carsificabili in corrispondenza di zone poco o per nulla disturbate dalle diaclasi (lungo cui la sezione diventa tipicamente da interstrato e di forma ellissoidale molto schiacciata). In tutta la galleria il sedimento limo sabbioso di natura piroclastica, molto diffuso nella Grotta di Castelcivita, è presente solo nel settore centrale dell’ipogeo dove la


Notizie italiane

Carmine Lepera, Gruppo Speleologico “Le Grave”, Verzino – KR

SARDEGNA Terraseo (Narcao - CA) Terraseo, frazione periferica del comune di Narcao nel Sulcis (Sardegna sud-occidentale),

conserva evidenti le tracce lasciate dalle passate attività minerarie per l’estrazione della barite e dell’onice che in certe località hanno pesantemente modificato la morfologia del territorio. Siamo nel bel mezzo del Paleozoico sardo, tra i metacalcari e le metadolomie del cambrico ed i fenomeni carsici, sia epigei sia ipogei, non si fanno desiderare. Le ricerche speleologiche condotte sporadicamente nei primi anni settanta dallo SC Cagliari e poi in modo via via più sistematico essenzialmente dal GRS Martel di Carbonia, hanno consentito l’esplorazione di un reticolo ipogeo di circa 3,5 chilometri distribuito su una trentina di cavità. Tra tutte spicca la Sa/Ca 1870 Su Bacculu, il cui ingresso fu scoperto e disostruito dagli speleologi del Martel nel 1997.

morfologia consente il ristagno dell’acqua e la conseguente deposizione del carico solido. A testimonianza dello stato di attività della condotta non sono stati rinvenuti depositi litochimici di nessun tipo lungo il ramo tranne le colate di calcite, peraltro di modeste dimensioni, che dall’ingresso del ramo si riversano nel Lago Sifone. Infine, la presenza di percolamenti di materiale argilloso dall’alto nei tratti a sezione diaclasica, evidenziano l’importante ruolo che svolge e ha svolto la fratturazione della roccia calcarea nel convogliare le acque di drenaggio superficiale ed il sedimento piroclastico all’interno della grotta. Berardino Bocchino e Sossio Del Prete, Gruppo Speleologico Natura Esplora – Summonte - AV

Notizie italiane

luppo totale di circa 3 chilometri. Gli ambienti si presentano affascinanti, con grandi saloni ed un’interminabile successione di vaschette molto suggestive. Il Gruppo Speleologico Le Grave sta già predisponendo il rilievo topografico del nuovo tratto, nonché il servizio fotografico.

Dalle prime fruttuose esplorazioni di quegli anni si arriva sino ai nostri giorni, con alcuni tentativi sia in strettoia sia in artificiale che hanno consentito di incrementare ulteriormente lo sviluppo della grotta, che raggiunge ormai i 1100 m con un dislivello di 57 m. La grotta prende il nome dal bastone da passeggio (bacculu in sardo) agitato da un arzillo vecchietto nei momenti d’ira. Vi si accede dall’ambiente originato dal collasso della volta di un ramo assorbente superiore che permette di arrivare ad un reticolo di gallerie freatiche, sub-orizzontali e parzialmente fossili. Queste sono raccordate tra loro da anguste condottine a pressione impostate su una frattura principale, sempre rettilinea e con dimensioni costanti, che è possibile seguire per circa 150 metri.

Bibliografia: Bellucci et alii (1994): Nuove esplorazioni alle Grotte di Castelcivita. Not. Sez. CAI Napoli n. 3/94, pp. 34-39. Bellucci F., Giulivo I., Pelella L., Santo A. (1995): Monti Alburni – Ricerche Speleologiche. Ed. De Angelis, pp. 62-72. Del Prete S. (1995): Sulle condotte forzate della Grotta di Castelcivita. Not. Sez. CAI Napoli n. 1/95, pp. 30-37. Del Prete S., Bocchino B., (1995): Il nuovo rilievo del cunicolo CAI II, Grotta di Castelcivita (SA). Not. Sez. CAI Napoli n. 2/95, pp. 37-40. Del Prete S., Bocchino B, D’Angelo R. (1997): Notizie sull’alluvione verificatasi nella Grotta di Castelcivita il 26 novembre 1996. Not. Sez. CAI Napoli n. 1/97, pp. 44-47.

Speleologia 48

83


Notizie italiane

Ai rami superiori, sempre molto concrezionati con grande varietà di candidi speleotemi si contrappongono quelli di base, dove predominano alcune belle morfologie da scorrimento. Dal punto di vista esplorativo rimangono ancora da vedere alcuni punti di sicuro interesse. Mauro Villani, Gruppo Ricerche Speleologiche "E.A. Martel" Carbonia – SSI Risalite a Sa Domu 'e s'Orcu (Carbonia - CA) Cavità nota speleologicamente da una trentina d'anni la Sa/Ca 747 Sa Domu 'e s'Orcu (La Casa dell'Orco, dove l'Orco non è altro che una trasfigurazione popolare di Plutone, Signore degli Inferi) viene visitata raramente a causa della fangosità abnorme degli ambienti terminali. Un piccolo gruppo di aficionados vi ha effettuato alcune risalite, con buoni risultati e buone prospettive. In particolare partendo dal cambio-attacco posto 35 metri circa dal fondo del pozzo finale si è risaliti in artificiale per una trentina di metri. Qui una diaclasi laterale sospesa e con il fondo ricolmo di latte di monte diviene ben presto impraticabile per accumuli di detrito. Si prosegue traversando il pozzo sul lato opposto, sempre in artificiale per circa 8 metri, per raggiungere dopo qualche metro in verticale l'accesso ad un vasto ambiente freatico fossile ormai in parte concrezionato, con belle aragoniti eccentriche (Terre di Mezzo). Qui, superato un pozzo circolare che riporta, 70 m più in basso, sulla via del fondo, sono stati controllati alcuni terrazzi a cui seguono brevi ambienti. Mantenendo le spalle al pozzo circolare si è iniziata la risalita artificiale di un articolato camino che presto diventa la parete di un'ampia sala dove s'intravedono dei baldacchini concrezionati diverse decine di metri più in alto …. esplorazioni in corso!! Incrementata anche la topografia della grotta, con lo sviluppo spaziale che raggiunge 1,3 km per un dislivello di -104 m, che la conferma così come la più estesa e relativamente profonda tra le circa 200 cavità naturali oggi a catasto nel territorio comunale di Carbonia. Mauro Villani, Gruppo Ricerche Speleologiche "E.A. Martel" Carbonia – SSI

Fauna pleistocenica a Santadi (CA) Durante le fasi del rilievo topografico della Sa/Ca 2761 Conca 'e Su Cani, cavità di limitato sviluppo che si apre nei calcari cambrici del versante sud-occidentale del Monte Meana a Santadi, grazie alle acute osservazioni degli amici Tonio Atzeni e Marco Pala del GAS "Prolagus" di Santadi,

84

sono stati individuati nei depositi di riempimento che caratterizzano la volta del primo ambiente, alcuni interessanti resti osteologici attribuibili preliminarmente a Cynotherium sardous. Questo canide era una delle poche specie predatrici del Pleistocene sardo, anche se le caratteristiche morfologiche ne limitavano certamente l'azione predatrice nei soli confronti di piccoli animali. Di questo ritrovamento si sta occupando il Museo Civico di Paleontologia e Speleologia "E. A. Martel" di Carbonia ed è degno di nota perché i siti conosciuti con reperti di questo tipo allo stato attuale sono meno di una decina in tutta l'isola. Segnaliamo inoltre che la cavità in questione è stata certamente utilizzata dall'uomo in epoche passate, come testimoniato dall'osservazione dei resti di alcuni frammenti ceramici d'epoca romana e di un piccolo muro nella zona adiacente l'ingresso. Mauro Villani, Gruppo Ricerche Speleologiche “E.A. Martel” Carbonia - SSI

Novità da Su Sennori (Iglesias CA) La Sa/Ca 1669 Grutta 'e su Sennori si apre alla base delle pareti verticali di calcare ceroide del cambrico sardo che costituiscono l'ossatura dell'isolato rilievo del Monte Su Casteddu. Quest’ultimo si trova nella piana del Canale Peddori, al confine tra i territori amministrati dai comuni di Iglesias e Carbonia, nella Sardegna sud-occidentale. Questa complessa cavità è impostata su alcune grosse fratture che si intersecano, dando origine ad ambienti organizzati su più livelli con un clima decisamente freddo per il sud dell'isola. Le temperature interne oscillano infatti tra i 5 ed i 9 gradi centigradi. La grotta offre da sempre asilo per il letargo invernale ad una numerosa quanto assortita colonia di chirotteri dove sono riconoscibili ben 6 specie differenti contemporaneamente conviventi: Myotis myotis/blythi, Myotis capaccinii, Rhinolophus ferrumequinum, Rhinolophus mehelyi, Rhinolophus euryale e Miniopterus schreibersi. Recentemente sono stati controllati meglio alcuni settori considerati promettenti. Nel cosiddetto Ramo del Fiume, superato un lungo e stretto laminatoio, sono in corso degli scavi per tentare di trovare ulteriori prosecuzioni. Due risalite distinte nella Sala del Fango posta nel settore meridionale della grotta non hanno dato risultati se non quello di toccare con mano il tetto dell'ambiente. Nella Saletta di Mezzo una breve ma “'umida” risalita in artificiale di 8 m ci ha dato la possibilità di accedere e percorrere un gelido meandrino sospeso, che permette di

evitare un basso passaggio obbligato, generalmente semi-allagato ma che può anche arrivare a sifonare secondo gli umori di Giove pluvio. Infine è stato ripristinato l'accesso dell'ingresso alto del sistema che era ostruito da un crollo, ne sono stati ridiscesi i pozzi e a circa metà del P.35 “Jour de l'an chinois” si sta armando un traverso che speriamo conduca ad un nuovo livello sospeso. Lo sviluppo spaziale topografato supera 1,5 km per un dislivello di -103 m. Mauro Villani, Gruppo Ricerche Speleologiche "E.A. Martel" Carbonia – SSI

Sesamocam nel Comune di Villamassargia (CA) Prosegue l’attività esplorativa nel Comune di Villamassargia che ha permesso di rilevare altre 15 grotte, portando il numero complessivo ad un centinaio. Si descrivono sinteticamente due cavità, in una delle quali è stato sperimentato con successo un nuovo modo di indagare le strettoie, che può far capire se e quando conviene insistere. Si tratta di una micro telecamera con un diametro di cinque centimetri, illuminazione compresa, in grado di entrare nelle strettoie per diversi metri. L’abbiamo battezzata sesamocam e la sua versatilità aumenta con l’uso, divenendo un utilissimo strumento nelle esplorazioni di nuovi rami o strettoie precedentemente verificate in modo parziale. Sarebbe interessante scambiare eventuali altre esperienze, fatte con metodologie diverse, in modo da orientare meglio i nostri sforzi, permettere d’avere meno dubbi e magari risparmiarci inutili fatiche. Ma veniamo alle due grotte: GROTTA V DI SEDDAS ORTIGU Percorsa una decina di metri si arriva ad un primo cunicolo abbastanza stretto (circa 70

Speleologia 47


Notizie estere

ALBANIA Nuovo record di profondità in Albania: la BB 30 (-610 m) Dal 10 al 23 agosto 2003 sei membri del Caving Club Studenetz (Pleven, Bulgaria) hanno condotto una spedizione nel massiccio Bridash, nelle Alpi Albanesi (Albania settentrionale).

cm di larghezza per 35 d’altezza) dal quale si accede ad una sala che sembrava chiudere e invece si è rivelata piuttosto interessante, costituita da un ambiente in discesa che chiude in un cunicolo. A sinistra si apre una piccola sala concrezionata alta mediamente 2,53 metri, con al centro una grossa colata (4,10 metri di circonferenza e altezza 180 cm) e bianche stalattiti fossili. Superato quest’ambiente si arriva in un’altra sala che immette in uno stretto cunicolo largo 70 e alto 30 cm, dal quale si diparte un altro ambiente abbastanza regolare lungo 6 m, con un altezza media di 80 cm e una larghezza media di 1 m, che chiude dopo un centinaio di metri in strettoia. Secondo quanto rivelato dalla sesamocam, potrebbe però allargarsi per proseguire nel cuore della montagna... GROTTA X DI SEDDAS ORTIGU Si accede in un ambiente sub orizzontale con una pendenza di circa 35°, largo intorno ai 70-80 centimetri ed in alcuni tratti alto qualche metro, anche se per la maggior parte si progredisce carponi. Il ramo principale conduce ad un piccolo laghetto largo circa 70 centimetri e lungo 4 metri. Poco prima di arrivare nella parte terminale, un cunicolo sulla destra conduce in un altro ambiente concrezionato, nel quale si procede strisciando. L’ambiente termina dopo una trentina di metri ma sulla sinistra, superata una stretta diaclasi alta circa 3 metri e larga da 25 a 50 cm, si torna verso il lago. In questo ramo si potrebbero esplorare altri due ambienti celati dietro due stretti cunicoli. Nel primo caso, in una parete che si trova a destra scendendo, a circa 2 metri d’altezza si trova la scritta “CASU 1968”. Le esplorazioni ed i rilievi sono stati curati da: Franco Brundu, Antonello Floris, Gesuino Marini, Carlo Usai

Notizie estere

notiziedall’estero Notizie estreo La spedizione era guidata da Orlin Kolov e ad essa hanno preso parte i giovani speleologi K. Nantzev, I. Ivanov, M. Ivanov, K. Petrov e V. Yakimov. Scopo della spedizione era continuare l’esplorazione della grotta BB 30, a 1940 m di quota, scoperta durante la seconda spedizione speleologica bulgara in Albania nel 1992. Nel 1994 e nel 1996 gli speleologi dello Studenetz continuarono nell’esplorazione della grotta, raggiungendo la profondità di –500 m. La situazione politica di quegli anni impedì la realizzazione delle successive spedizioni bulgare fino al 2002, anno in cui è iniziata una nuova era nelle esplorazioni speleologiche in Albania. Boga è il paese più vicino alla grotta, a 900 m di quota: da questo punto in poi si impiegano 5 ore per portare i materiali a 1770 m dove è stato organizzato il campo base (il trasporto di attrezzature e cibo è avvenuto in due riprese, con l’impiego di muli affittati a 25 $ l’uno). Per coprire la distanza tra il campo e l’ingresso della grotta occorre un’ora e mezzo di cammino. Le esplorazioni sono iniziate il 14 agosto. Dall’ingresso fino a –200 m la morfologia della grotta permette di utilizzare armi naturali; da lì in avanti i pozzi sono attrezzati a spit. A – 150 compare un piccolo ruscello, mentre a – 250 si trova il pozzo più profondo (170 m). La grotta si sviluppa poi con una sequenza di pozzi di circa 15 – 20 m. A – 610 la grotta termina su un intasamento di massi e una fessura impenetrabile, con un piccolo lago sul fondo. Con la sua profondità di –610 m BB 30 è diventata la grotta più profonda dell’Albania ed è anche la grotta più profonda scoperta ed esplorata da speleologi bulgari, mentre la seconda in ordine di profondità è la S-2 (-568 m) nel monte Tenengebeige (Austria). Alexey Jalov

Antonello Floris

Speleologia 48

85


Notizie estere

RUANDA

ETIOPIA Ethiopia Karst Project Prima spedizione di ricerca speleologica in alcune aree carsiche degli altipiani e della Rift Valley dell’Etiopia condotta dal CIRS Ragusa nel mese di agosto del 2003 nell’ambito di un accordo di cooperazione internazionale sottoscritto con il Dipartimento di Geologia e Geofisica dell’Università di Addis Abeba. Le ricognizioni, finalizzate allo studio delle morfologie carsiche presenti nel paese, hanno interessato preliminarmente la regione del Tigray nel nordest etiopico, quindi quelle dell’Hararghe occidentale, nel settore sud-orientale, interessate entrambe da affioramenti di rocce carbonatiche carsificate del giurassico. Nel corso del secondo campo sono state effettuate esplorazioni ed interessanti scoperte, sia nel bacino del fiume Mechara sia in quello del fiume Ejersa: nei fondovalle alcune grotte-sorgenti eruttano, certe in modo improvviso e intermittente spesso con devastanti effetti erosivi lungo i versanti; le intense piogge monsoniche sono assorbite dagli inghiottitoi dell’altipiano. In tale contesto, per i problemi derivanti dalle piene sono stati parzialmente esplorati i sistemi carsici Garayati – Eyefeyte e Rukiesa. Il primo è contraddistinto da due ingressi di cui quello a quota più alta, con un’ampia apertura percorsa da una forte corrente d’aria, funge da emergenza di troppo pieno, mentre quello a quota più bassa, poco distante, drenante un piccolo ruscello, costituisce l’attuale livello di base del sistema. La seconda cavità, Rukiesa, caratterizzata da grandi gallerie meandriformi attraversate da un ruscello, viene rilevata per circa un chilometro dopo avere interrotto l’esplorazione per un’improvvisa pericolosa piena. Entrambi i sistemi e altri inghiottitoi individuati nell’area saranno oggetto nel 2004 di una seconda spedizione prevista nel protocollo di ricerca. Hanno partecipato alla spedizione: Iolanda Galletti, Ignazio Gravina, Riccardo Orsini, Davide Messina Pantalone, Rosario Ruggieri del CIRS e Asfawassen Asrat dell’Università di Addis Abeba. Rosario Ruggieri – CIRS Ragusa

Nei mesi di giugno e luglio 2003 una spedizione leggera di speleologi svizzeri e tedeschi ha aperto in Ruanda una nuova era delle esplorazioni di questo piccolo paese centro africano. In due settimane e mezzo di ricerche una squadra di due persone ha esplorato 10 km di gallerie in tubi lavici. L’area principalmente indagata si trova nella zona N-W del paese, dove la catena del vulcano Virunga ospita gli ultimi gorilla delle montagne ancora esistenti sul nostro pianeta. Nei dintorni di questo vulcano si trovano colate laviche molto estese che ricoprono gran parte delle province di Gisenyi e Ruhengeri. Quest’ultima è stato l’obiettivo del progetto del 2003. La cooperazione con le autorità locali si è dimostrata perfetta. Il Ruanda è il paese con la più alta densità di popolazione dell’Africa, il che significa aver avuto non il solito e considerevole numero di spettatori (come in tutti i paesi africani) ma un elevatissimo gruppo di curiosi. Tra le 42 grotte rilevate la maggiore è Ubuvumo Nyabikuri-Ruri: si tratta di un tubo lavico lungo e continuo, senza passaggi laterali, con uno sviluppo di 3384 m che ne fa, ad oggi, la grotta più lunga del Ruanda. Il tubo termina sull’orlo di un pozzo inesplorato, valutato circa 20 metri. Un’altra scoperta sorprendente è stata la grotta Ubuvumo Gacinyiro II di 1.470 m, senza interruzioni. In questa larga cavità numerosi collassi del tetto fanno filtrare la luce esterna che permette di esplorarne ampi tratti anche senza impianto di illuminazione. Gacinyiro II è un tubo di lava ramificato che, assieme alla Gacinyiro I (350 m di sviluppo), fa parte di un tubo geneticamente identico, di 1820 m complessivi, anche se segmentati. In Ruanda sono state condotte poche spedizioni speleologiche: una di belgi nel 1975 ed un progetto spagnolo realizzato nel 1977. Entrambi i gruppi studiarono Ubuvumo bwa Musanze di cui gli spagnoli riportarono una lunghezza di 4560 m. questo tubo di lava è comunque frammentato e il segmento sotterraneo più lungo è di circa

Società Speleologica Italiana LʼAssemblea dei Soci, riunita il 6 dicembre 2003 a San Giovanni Rotondo (FG), ha deliberato le seguenti quote sociali per lʼanno 2004: aderenti 15,00 • ordinari 34,00 sostenitori 120,00 • gruppi 120,00 Maggiori informazioni consultando il sito www.ssi.speleo.it. Oppure telefonando agli uffici di segreteria (335 5433673) e assicurazione (335 5434002)

86

1660 m. Ubuvumo bwa Musanze è la cavità più conosciuta del Ruanda ed è citata in numerose guide. Attualmente la grotta è stata chiusa dall’esercito poiché all’interno ci sono ancora i resti delle vittime del genocidio del 1994. Una breve visita nel 2003 ha confermato che Ubuvumo bwa Musanze è tuttora un vero museo dell’orrore, con numerosi scheletri ancora avvolti dai vestiti. Un resoconto dettagliato verrà pubblicato a breve in inglese e francese. Michael Laumanns (www.speleo-berlin.de)

SPAGNA Picos 2003: buone nuove, -800 e continua! L’esplorazione sul massiccio occidentale del Picos de Europa ha portato quest’anno la squadra italo - francese a -800 m nella Thesaurus Fragilis, splendida grotta verticale scoperta nel 1997 da “Quelli del Picos”. Allora furono solo i matesini (Natalino e Luigi Russo e qualcun altro) che disostruirono l’ingresso - già segnalato dagli inglesi qualche anno prima - ed arrivarono a -200, mentre il resto della combriccola terminava il rilievo e la documentazione di un’altra splendida cavità con ghiacciaio fossile (La Duernona). L’anno successivo, sull’onda dell’entusiasmo, umbri, matesini e francesi raggiungevano faticosamente i -400, e ancora un anno ci volle per arrivare a -620 (ma io quello non me lo ricordo, perché feci sosta in ospedale prima di arrivare in Spagna!). E poi, smorzati gli entusiasmi, ci sono voluti ben 4 anni per arrivare ai fatidici -800! Thesaurus Fragilis è una bella grotta di montagna, verticale, con temperature poco sopra lo 0, e con un andamento frastornante mandro-pozzo-meandro-pozzo, che a volte ti pare di non poterne più. Adesso siamo fermi in mezzo ad un pozzo di cui non si vede il fondo, la corda non ci è bastata... Per arrivarci ci sono voluti tutti questi anni, 15 giorni ogni estate, perché per portarla laggiù, la corda, bisogna prima portarla in Spagna, poi in spalla fino al campo, poi in meandro e ci vogliono lunghe faticose ore fino al fondo. E quindi se quest'anno siamo a -800 è per la tenacia di alcuni e l'entusiasmo di altri. Grazie Picos, speriamo l'anno prossimo di essere tanti, di arrivare veramente al fondo e di potervi dire "Siamo a -1000, adesso basta". Betta Preziosi e Mimmo Scipioni


Oltre la soglia del buio. È ancora tempo di nuovi viaggiatori. L’attività speleologica è andata, nel corso nel tempo rapportandosi sempre di più all’esterno; per esistere e garantirsi la possibilità di continuare a sviluppare la propria attività, i Gruppi speleologici intrecciano contatti con molte altre realtà e sodalizi: parchi, enti pubblici, scuole, grotte turistiche e altri soggetti che sono parte integrante della “società civile”. Queste realtà e il costante sviluppo delle diverse speleologie sono stati il presupposto e per la realizzazione dell’Agendo, uno strumento di viaggio per incontrare persone e luoghi. È un’affermazione d’identità; conferisce visibilità all’agire che porta curiosità ed entusiasmi nel buio non visto. Dietro ad ogni riferimento c’è un mondo possibile. Pertanto, l’Agendo ha, tra i suoi obiettivi, l’intento di contribuire a sviluppare la rete di solidarietà e collaborazione all’interno del mondo speleologico, facilitando, inoltre, la comunicazione con le istituzioni. La speleologia intesa, dunque, in stretto rapporto con programmi di salvaguardia, didattica e promozione ambientale. Se amate il gioco, provate a giocare. L’Agendo 2004 è l’ultima produzione editoriale curata della Società Speleologica Italiana e dal Centro Italiano di Speleologia “F. Anelli”.

Realizzato grazie alla collaborazione di tutte le organizzazioni speleologiche d’Italia, L’Agendo 2004 è un repertorio di oltre 500 indirizzi e riferimenti di associazioni, istituti ed enti che si occupano di ricercare, esplorare, documentare e salvaguardare il patrimonio carsico-speleologico d’Italia. Uno strumento indispensabile per un corretto approccio alla conoscenza e alla promozione delle cavità naturali e artificiali e a tutto ciò che riguarda lo studio dei siti sotterranei. L’Agendo della speleologia è una banca dati al servizio degli speleologi ma non solo, rappresenta un biglietto da visita che consente alla speleologia di divulgare le proprie finalità e i propri valori. La prossima edizione de L’Agendo, già in programma per il 2005, si propone di allargare l’archivio delle realtà fin ora censite, questo grazie anche alla collaborazione della Casa Editrice Erga di Genova che si occuperà della distribuzione e della promozione dell’opera. Tutte le realtà finora coinvolte possono collaborare alla prossima edizione aggiornando le schede allegate all’interno, inviandole via fax al Centro Italiano di Documentazione Speleologica “F. Anelli” (0512550049) o, preferibilmente, via e-mail a biblioteca@speleo.it o aggiornando i dati direttamente dal sito www.cds.speleo.it.

Richiedete L’Agendo 2004 al Centro Italiano di Documentazione Speleologica “F. Anelli” Via Zamboni, 67 - 40126 Bologna • Tel. e fax: 051-2550049 e-mail: biblioteca@speleo.it • www.cds.speleo.it.


In biblioteca

Spulciando qua e là

IN BIBLIOTECA

GROTTE bollettino del G.S. Piemontese CAIUGET N. 138 Dicembre 2002

GP. Carrieri “Progetto dentro il Marguareis sintesi del lavoro svolto al 31 dicembre 2002” Presentazione del progetto e rapporto sintetico dei primi risultati. L’obiettivo finale del progetto mira a una maggiore conoscenza dei sistemi carsici del massiccio e terminerà con la realizzazione di una monografia e di un filmato sul Marguareis sotterraneo, il tutto passando attraverso un’articolata serie di indagini. Allo stato attuale, fra varie altre cose, è stata fatta un’ampia raccolta bibliografica, si sono riposizionate 450 cavità ed effettuate nuove colorazioni all’Abisso Gaché all’Abisso Solai che, per il primo, hanno confermato i risultati già noti sulla risorgente dell’Ellero e, per il secondo, hanno comprovato che le acque confluiscono nel canyon Fighierà della Filologa. I. Ciconnetti “Io me ne impippo” I risultati delle ultime esplorazioni svolte all’Abisso Sardu, situato in zona Biecai sul Marguareis. Tra il 2000 e il 2002 sono stati scoperti e topografati oltre 800 metri di rami nuovi. R. Pozzo “L’Abisso dei Trichechi” Articolo piuttosto dettagliato su una delle più rilevanti e promettenti “nuove” cavità del Marguareis. L’Abisso dei Tricheci si apre nella valle degli Omega sul versante sud orientale del Pian Ballaur, attualmente profondo 500 metri e con uno sviluppo di circa un chilometro e mezzo. Ottime sono le possibilità di collegarsi a Piaggia Bella nella zona dei Resaeux. Oltre a riportare il rilievo l’articolo descrive l’accesso alla cavità, le esplorazioni, gli ambienti interni, le note tecniche e le prospettive future. U. Lovera “Dai Reseaux” La scoperta dell’Abisso Grassi Trichechi riaccende l’interesse esplorativo per le lontane e ormai poco frequentateregioni dei Reseaux in P.B. Ube dà qui conto delle ultime vicende esplorative che, nonostante la mancata giunzione, hanno avuto il merito di trovare nel Resaux G altri 350 metri di nuovi rami e preludere ad ulteriori indagini. G. Badino, C. Silvestro “Expo Cave 2002” Rapporto, in tandem, sulla partecipazione italiana all’esposizione internazionale “Expo Cave

88

numerosi impegni per redigere questo numero, ci hanno impedito di svolgere una più estesa e accurata analisi dei bollettini. Perdonerete quindi l’estrema sintesi di queste note e la scelta di considerare solamente alcuni articoli. Speriamo solo che nella prossima occasione Max riesca a trovare ancora il tempo per questa preziosissima e insostituibile rubrica. La Redazione

I

2002” svoltasi in Corea del Sud dal 10 luglio al 10 agosto. Il commento sull’organizzazione dell’evento e sulla realtà locale fornisce vari spunti di riflessione su quello che si ritiene essere il concetto coreano di grotte e il parallelo non concetto di speleologia. Nella manifestazione infatti (che probabilmente ha avuto più di un milione di visitatori!) è stata data molta enfasi alla rappresentazione dell’ambiente grotta e al fenomeno carsismo in generale, ma molto meno spazio al vissuto di chi scopre e indaga questi fenomeni.

SPELEOLOGIA EMILIANA

Rivista della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia Romagna - IV serie, n. 12/13, 2001/2002 R. Corsi “Gaibola e dintorni” Nell’ambito del progetto di aggiornamento catastale della Federazione, il G.S. Ferrarese si impegna nello svolgimento del nuovo del rilievo della Grotta a Fianco della Chiesa di Gaibola (ER BO 24), una delle più complesse della provincia di Bologna. Descrizione della grotta, metodologie d’azione per il rilevamento e breve rapporto sulle cavità limitrofe. (Rilievo allegato fuori testo). F. Fioralli “La Grotta della Befana” L’ultima cavità scoperta sul M. Penzola (dove questo si “erge” non è dato sapere) da parte della Ronda Speleologica Imolese è la Grotta della Befana di cui si relaziona sulle varie fasi esplorative. La cavità ha uno sviluppo spaziale di 1200 metri. (Rilievo allegato fuori testo).

Vi prego di spedire le riviste da recensire al mio indirizzo: Massimo Pozzo Piazza Pontida 36 24122 Bergamo E-mail:

maxpozzo@tiscalinet.it

L. Garelli “Aree carsiche nella Valle del Santerno. L’altro Monte Penzola” Il Monte Penzola è situato sulla sinistra orografica del Fiume Santerno nei pressi del paese di Borgo Tossignano. Oltre alla Grotta della Befana sono state qui esplorate altre 5 cavità, di cui la Grotta della Sfollato è la più estesa con 88 metri di sviluppo. M. Ercolani, P. Lucci, B. Sansavini “Grotta del Re Tiberio, Abisso Cinquanta: una grotta sola!” Breve notizia sull’avvenuta giunzione delle due cavità che porta il complesso a oltre 4300 metri di sviluppo e 182 di dislivello, ponendolo così al secondo posto fra le cavità più estese e profonde della regione. Purtroppo questo sistema e tutte le altre cavità limitrofe, sono tornate ad essere seriamente minacciate dalla grande cava di gesso del M Tondo. A. Parmeggiani, M. Melloni “Sotto la Chiesa del Rosario di Cento” Incredibile, ma si riesce a fare speleologia anche nel bel mezzo della pianura Padana! Naturalmente speleologia urbana, anzi più che urbana: in pieno centro storico di Cento (FE). Un fruttuoso accordo fra Arcivescovato, G.S. Centotalpe e Vigili del Fuoco ha permesso l’esplorazione della cripta necessaria al monitoraggio delle fondamenta della chiesa ed il rinvenimento di alcune sepolture e frammenti di vasellame in terracotta. M. Melloni “Due giorni sull’altopiano (sogni di gloria spezzati)” Rapporto sull’esplorazione del Pozzo a Sud di malga Fiara, rinvenuto casualmente dal Gruppo Centotalpe, in località Busa di Postgrabe, Asiago. La cavità chiude subito alla base del primo pozzo ed è profonda 57 metri.


In biblioteca

GB. Sauro “Cinquantesimo di fondazione del Gruppo Grotte Falchi Verona”

All’interno di un catalogo delle opere del vedutista faentino Romolo Liverani (18091972), il nostro Direttore “scopre” due acquarelli raffiguranti l’ingresso di una nota cavità del Monte Mauro (Vena del Gesso Romagnola). L’articolo riporta la biografia dell’artista e dà una descrizione dell’attuale condizione della cavità. E, più in generale, denuncia come sovente le cavità elette a luogo di culto e di facile accesso, vengano addomesticate e adattate in modo kitsch o surreale.

Simpatica, e purtroppo breve, rievocazione storica della fondazione, nel 1951, del più anziano Gruppo Speleologico veronese, legato indissolubilmente alla storia della Spluga della Preta.

SPELEOLOGIA VENETA

Rivista della Federazione Speleologica Veneta - Vol. 10, anno 2002

P. Gasparetto: “Storia della speleologia montelliana e revisione storica di due cavità” Vengono ripercorse le principali tappe esplorative delle cavità del Montello, di cui lo studioso Antono Sacardo fu il vero precursore con l’esplorazione delle prime undici cavità fra il 1879 e il 1881. Viene inoltre fornita una rettifica catastale, riguardante alcune cavità messe erroneamente a catasto due volte. P. Gasparetto: “Le opere di fortificazione ipogee del Montello nella Grande Guerra” Descrizione di dieci cavità artificiali e seminaturali utilizzate dall’esercito italiano nell’ultimo periodo della Grande Guerra. Breve storia degli avvenimenti bellici sul Montello. F. Stoch, G. Tomasin: “La fauna delle acque carsiche sotterranee del Montello” I risultati di un anno di ricerche nelle acque di 15 cavità e 4 sorgenti del Montello. Scoperte e identificate 36 specie appartenenti a vari tipi di anfipodi. Descrizione generica del carsismo, della geologia e dell’idrologia del Montello. Descrizione delle condizioni ambientali e climatiche delle stazioni di raccolta e della fauna rinvenuta con ipotesi sulle possibili forme d’uso delle specie stigobie come bioindicatori.

L. Busellato “Abisso del Branzone” Breve descrizione di una cavità, esplorata dal G.G. Schio, fino a 283 metri di profondità per 600 di sviluppo. Con molta probabilità questa cavità e le altre situate sul Monte Novegno, fanno parte di un unico grande sistema solo parzialmente noto. A. Ceradini, M. Prealta “Alta valle d’Illasi: recenti esplorazioni” Vengono descritte tre zone carsiche del veronese, situate nel bacino della valle d’Illasi: zona di Segio Rosso, Covoli di Velo e Val Fraselle: in quest’ultima si apre la seconda cavità più fonda del Veronese, l’Abisso A. Pasa con un pozzo interno di 215 metri. Si riferisce inoltre delle nuove prosecuzioni individuate nella Grotta di Monte Gaule e alla Perloch. V. Toniello “Misure di dissoluzione chimica ed erosione nelle rocce carsificabili” Presentato il metodo del micrometro quale misuratore dell’abbassamento della superficie rocciosa dovuto ai processi di corrosione carsica. Tecniche per l’impianto e informazioni sulla lettura dei dati. A. Riva “Il punto sul GPS” Dopo una breve descrizione dello strumento GPS e del suo utilizzo per la speleologia, Alberto ci espone i motivi per cui, spesso, i punti forniti dal GPS, una volta convertiti su carta, non risultano sufficientemente precisi. Sono illustrate possibili strategie da adottare per diminuire i ricorrenti divari.

TALP Rivista della Federazione Speleologica Toscana. N.26 giugno 2003 C. Cavanna “Etiopia 2002: ricerca preistorica nella grotta di Harurona (Gesuba)” La spedizione, che aveva lo scopo di svolgere uno scavo archeologico in un sottoroccia del deserto etiope, ha consentito la scoper-

In biblioteca

S. Bassi “Grotte nell’arte. Due visioni romantiche del Buco I di Monte Mauro”

ta i migliaia di manufatti risalenti all’ultimo periodo dell’età della pietra (5000 anni fa). Sono previste ulteriori ricerche e, null’altro si conta. L. Montomoli, S. Thurll “La Tomba (Belagaio) un graziosissimo gioiello” La cavità del Belagaio (Rocastrada, GR) è usata da tantissimi anni come palestra per i corsi di primo livello. Proprio in occasione di uno di questi, è stato possibile individuare una breve prosecuzione all’attacco del primo pozzo. G. Dellavalle, L. Montomoli, F. Serena, M. Baroni “La Bucaccia. Voragine Maris Morelli” (con rilievo allegato fuori testo). La cavità, situata nel comune di Castagneto Carducci (LI) era stata esplorata dal GSA Livorno fino a –100. Dopo l’allargamento della strettoia terminale nel 2000 ad opera dello stesso Gruppo, le esplorazioni sono continuate fino quasi a triplicare le profondità e lo sviluppo (-257 m e 812 m di estensione spaziale) della grotta. G. Zanchetta, I. Isola, R. Drysdale, G. Bruschi “Il clima delle Alpi Apuane tra 280.000 e 370.000 anni fa”. E’ in fase di analisi una concrezione prelevata nella Galleria delle Stalattiti dell’Antro del Corchia. Attraverso le tecniche radiometriche di datazione con il metodo Uranio/Torio, è stato possibile ricostruire una “stratigrafia climatica” risalente fino a 370.000 anni fa. I risultati indicano che le variazioni climatiche avvenute durante i cicli glaciali e interglaciali, corrispondono esattamente a quelle evidenziate all’interno di riempimenti stalagmitici studiati in cavità statunitensi. D. Pierotti “Le grotte del Comune di Pescaglia” Descrizione di tre piccole cavità con interesse antropico, situate nel comune lucchese: Buca delle Campore, Buca della Nelida e Buca dell’inglese. D. Pierotti, M. Primierani “Esplorazione Abisso 5 Luglio” Storia delle esplorazioni, presentata sotto forma di intervista agli scopritori, di una cavità situata sul M Mirandola nella Alpia Apuane. L’Abisso 5 Luglio risulta attualmente profondo 430 metri, ma le esplorazioni non sono concluse.

Speleologia 47

89


Recensioni Il carsismo e la ricerca speleologica in Sardegna. Atti del convegno, 23-25 novembre 2001, Cagliari. (Anthèo, n. 6 dicembre 2002).Gruppo Speleo Archeologico Giovanni Spano. Cagliari, 2002. Si tratta di un corposo volume di quasi 400 pagine in cui sono raccolti i risultati delle più interessanti e recenti esplorazioni scientifiche svolte in Sardegna. I contributi sono a firma non solo di speleologi sardi, ma anche di molti altri provenienti dal continente e dall’estero, segno evidente che la Sardegna suscita ancora un grande fascino fra gli speleologi, come d’altra parte non potrebbe essere altrimenti. Non solo, ciò significa che gli organizzatori del convegno hanno avuto la capacità di stimolare e assicurarsi la partecipazione di tutti coloro che ultimamene hanno lavorato con profitto nell’Isola. Bravi! Il testo non ha soluzione di continuità, tuttavia i contributi sono praticamente separati per aree di interesse: idrogeologia, con particolare riferimento alle indagini svolte nel bacino carsico di Su Gologone; carsismo e speleogenesi del Supramonte di Baunei e di altre zone del cagliaritano, fino ai risultati delle valutazioni di impatto ambientale di un paio di cavità del cagliaritano. Belle testimonianze d’esplorazione, trattate anche in chiave narrativa, riguardano varie campagne svolte alla grotta di Sa Edera, a Su Clovu, a Lovettecannas e in numerose altre. Nell’ultima parte il volume ospita contributi inerenti scavi archeologici in siti ipogei neolitici del cagliaritano e del sassarese. Non mancano due interessanti lavori di speleologia urbana sugli antichi acquedotti di Cagliari. Insomma il testo è un utilissimo punto di riferimento per la “ri-partenza” di future indagini su quest’isola straordinaria. Il volume è disponibile presso il Gruppo editore e al CIDS di Bologna. Michele Sivelli

RECE NSIONI Recensioni Calabria Profonda.

Guida alla conoscenza del patrimonio sotterraneo regionale. A cura di Felice Larocca. Il volume offre una sintesi aggiornata delle attuali conoscenze sul patrimonio sotterraneo della Calabria. La trattazione si svolge attraverso le pagine di quattro saggi scritti da autori diversi, tutti corredati da un’ampia bibliografia tematica. Il primo, di carattere storico, ricostruisce con criterio diacronico le molteplici testimonianze sulle grotte della regione a cominciare dal XVI secolo e traccia la storia delle ricerche speleologiche, dalle prime indagini pionieristiche, risalenti agli anni Trenta del Novecento, fino a quelle più recenti condotte dai vari sodalizi speleologici; il secondo saggio analizza con criterio geografico le cavità ubicate in provincia di Cosenza, l’ambito territoriale più ricco di fenomeni sotterranei; il terzo considera le emergenze ipogee nei territori provinciali di Crotone e Catanzaro,

nella parte mediana della regione; il quarto, infine, vaglia gli affioramenti carsici e le cavità naturali di un comprensorio fino a qualche tempo fa completamente sconosciuto dal punto di vista speleologico, quello delle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria. Il volume è completato da un’utile appendice in cui si riporta l’elenco completo delle grotte della regione in base ai dati forniti dal Catasto delle Grotte della Calabria (aggiornamento a luglio 2003). Il libro può essere richiesto a: Centro Regionale di Speleologia “Enzo dei Medici” - Via Lucania, 3 – Casella Postale n° 20 - 87070 Roseto Capo Spulico Stazione (Cs) tel.: 0981 913755 – e-mail: specus@tin.it (f.to 14x24, 96 pp., 115 ill. colore) Euro 20,00 + spese di spedizione

Le risorse idriche sotterranee delle Alpi Apuane: conoscenze attuali e prospettive di utilizzo.

Atti del convegno, 22 giugno 2002, Forno (MS). La realizzazione di questi Atti costituisce un importante contributo della Federazione Speleologica Toscana alla conoscenza degli acquiferi carsici d’Italia. Un argomento, quello della salvaguardia degli acquiferi carsici, sul quale le organizzazioni speleologiche si dovranno sempre più impegnare per svolgere un ruolo importante in una società che, volente o nolente, deve porre il bene acqua in cima ai propri obiettivi di tutela. Può apparire materia per specialisti o avulsa dall’interesse degli “esploratori” ma non è così: gli argomenti trattati sono di grande importanza per migliorare la cultura teorico-pratica di tutti gli speleologi - siano essi “machos punteros” o meno - e per comprendere l’importanza sociale della speleologia Il volume (uscito nel 2003), piacevole anche nella forma grafica che ne agevola la consultazione, è

90

costituito da una prima parte generale a firma di due tra i più noti e competenti specialisti della materia (Forti, Vigna), alla quale segue l’analisi della situazione idrocarsica delle Alpi Apuane sotto vari aspetti, a partire dalle prime indagini dei naturalisti del ’700 (Vallisneri, Spallanzani) che qui fecero nascere la storia degli studi sulle sorgenti, fino ai risultati delle più recenti colorazioni. Da L. Piccini vengono anche riepilogate, in una sintetica descrizione, le caratteristiche idrodinamiche delle maggiori sorgenti carsiche e da A. Roncioni viene illustrata la storia delle colorazioni effettuate negli abissi apuani e riportati i dati essenziali, organizzati in utili schede riassuntive per singola sorgente, corredate da belle carte. In chiusura un interessante intervento che ci aggiorna sullo stato di salute delle

acque dell’Antro del Corchia dopo la realizzazione del percorso turistico, dove vengono presi in esame i diversi fattori inquinanti, determinati da differenti soggetti. Da questo intervento si coglie la possibilità di una evoluzione positiva: proprio dal confronto delle esperienze dei diversi agenti (speleologi, cavatori, abitanti del luogo, ...) - che singolarmente producono effetti in sommatoria negativi per l’ambiente - può scaturire un diverso comportamento, complessivamente più rispettoso nei confronti del “bene comune” (grotta, cava, sorgente, che sia...). Marinella Gondoni


Recensioni

di Franco Fabrizi L’autore (socio della SSI dal 1960) ha dedicato praticamente tutta la sua vita alle ricerche e alle esplorazioni dei complessi ipogei artificiali che si snodano al di sotto di Chiusi. Tali cunicoli sotterranei, il cui scavo iniziale va ascritto probabilmente al periodo etrusco, erano già famosi in epoca antica, tanto che Plinio il Vecchio ne parla ricordando come il mitico re Porsenna fosse stato sepolto proprio all’interno di uno di essi. Le esplorazioni si sono succedute nel corso del tempo tanto che esiste una abbondantissima documentazione iconografica anche antica che ha puntualmente registrato le variazioni, sia antropiche (scavo di nuovi cunicoli) sia naturali (crolli e obliterazioni), che questo complesso sistema di cunicoli ha subito e ancora oggi subisce.

Uno dei maggiori pregi di questo volume è quello di fornire indicazioni accurate e dettagliate per la visita di alcune porzioni di questo immenso patrimonio, che è stato recentemente valorizzato dall’amministrazione comunale. Estremamente valido, poi, il corredo di immagini sia degli ambienti ipogei sia dei documenti storici, soprattutto iconografici: è un totale di ben 250 figure che permetterebbero, anche senza leggere il testo, di seguire perfettamente il percorso esplorativo e culturale dell’opera. Purtroppo l’opera è reperibile solamente nelle librerie-edicole di Cortona o richiedendola direttamente all’Autore (via Solitari 30, Sarteano). Paolo Forti Calosci - Cortona, 2001

Enzo dei Medici Le grotte della Provincia di Cosenza. Tipi di cavità e zone speleologiche (genesi e descrizione del fenomeno).

A cura di Felice Larocca Con questo volume vede la luce un dattiloscritto inedito, elaborato negli anni a ridosso del secondo conflitto mondiale da Enzo dei Medici, uno dei pionieri della speleologia in Calabria, le cui esplorazioni nella regione si collocano nel triennio 1939-1941. Il testo rappresenta per la Calabria non solo la prima pubblicazione di argomento speleologico finora nota, ma anche un’opera speleologica nel significato moderno del termine. Infatti nelle sue pagine l’Autore traccia un organico inquadramento del fenomeno carsico nella provincia di Cosenza dal punto di vista geografico e geologico e descrive circa cento grotte, con un approccio rigorosamente scientifico. Tale analisi ha una sua rilevanza anche nel quadro della storia degli studi

di geologia e carsismo, rappresentando un’utile testimonianza sulle teorie e sui criteri interpretativi seguiti negli anni Trenta. Il par ticolare interesse di questa monografia deriva, tuttavia, oltre che dai contenuti testuali, anche dal ricchissimo apparato iconografico, costituito da rilevamenti topografici e fotografie delle grotte realizzati dallo stesso Autore negli anni della sua permanenza in Calabria. Il libro, edito nel 2003, può essere richiesto a: Centro Regionale di Speleologia “Enzo dei Medici” - Via Lucania, 3 – Casella Postale n° 20 - 87070 Roseto Capo Spulico Stazione (Cs) - tel.: 0981 913755 – e-mail: specus@tin.it (f.to 23x30, 128 pp.,1 tavola fuori testo, 147 ill. b/n) Euro 30,00 + spese di spedizione

Recensioni

Il Labirinto di Chiusi: storia, scavi, esplorazioni

Spelaion 2000.

5° incontro regionale di speleologia pugliese. Atti delle giornate, 1-3 dicembre 2000, Altamura (BA). Da alcuni mesi sono usciti i primi Atti del consueto appuntamento speleologico pugliese occasione questa anche per celebrare il 50° anniversario della fondazione del Centro Altamurano Ricerche Speleologiche (Cars). E' certo un impegno non da poco uscire con un lavoro di questo genere per incontro regionale e, difatti, i tempi occorsi per la sua realizzazione lo dimostrano. Nonostante ciò il significato di questo testo, unitamente ad altri segnali che ci provengono dalla Puglia, evidenziano le capacità e la motivazione degli speleologi pugliesi. Va detto inoltre che in questa regione la speleologia organizzata si confronta, forse più che in altre parti d'Italia, con una realtà socioambientale storicamente legata al mondo delle grotte; una sorta di "agorà carsica" se vogliamo, dove gli speleologici, assumono occasionalmente il ruolo di moderni aedi. Ed è questo ciò che emerge dalla lettura di questi atti dove, oltre alle consuete parti relative alla ricerca esplorativa e scientifica delle cavità, troviamo i contributi inerenti il rapporto dell'uomo con l'ambiente carsico, soprattutto a riguardo delle antiche civiltà. Il tutto è suggellato da i vari interventi dei rappresentanti delle amministrazioni locali e dalle pagine dedicate alle iniziative presenti al momento del convegno regionale: poster, mostre, visite guidate, pannelli didattici e annullo filatelico. Questo lavoro è anche un augurio e un auspicio affinché la realizzazione di queste pubblicazioni possa consolidarsi nel tempo perché, come recita la prefazione: "... il lavoro e le attività condotte dagli speleologi non vadano perdute al termine delle loro relazioni..." (Michele Sivelli) Centro Altamurano Ricerche Speleologiche Altamura, 2002 Uniongrafica Corticelli Editrice Via S. Milella, 10 Bari ISBN 8873290299

Speleologia 47

91


Recensioni

Grotte Marine A cura di F. Cicogna, P. N. Bianchi, G. Ferrari, P. Forti È questa la seconda importante iniziativa del Ministero dell’Ambiente su argomenti molto specifici che interessano da vicino la speleologia, prima con il volume della collana “Quaderni Habitat” (Grotte e fenomeno carsico, 2001), ora, direi in maniera più concreta, con questo volume edito nel 2003, all’edizione del quale hanno collaborato il CLEM ed altri. Per la produzione di questo volume sono stati coinvolti numerosi e validi autori, dando spazio ad un aspetto ancora più particolare relativo alle grotte marine sommerse e semisommerse, ambienti tutt’altro che facili da studiare, ma ricchi di informazioni. In tal senso questa opera concorrerà a stimolare nuove iniziative e certamente diventerà un riferimento bibliografico indispensabile. Nell’ambito delle azioni rivolte alla conservazione degli ambienti a rischio - come anche nel caso delle grotte marine - è fondamentale il lavoro di censimento dal quale occorre partire per impostare seri programmi di studio. Il relativo capitolo è molto bene organizzato, soprattutto per la possibilità di consultare l’archivio sul CD allegato. Oltre che di facile consultazione, il CD è la dimostrazione tangibile dell’accurato lavoro che è stato fatto per realizzare un archivio complesso come quello delle grotte marine italiane. Il volume - assieme al 1° Colloquio Internazionale di Biologia Marina sullo stato delle conoscenze e sull’ecologia delle grotte marine tenutosi a Capri nel 1974, agli atti di Spelomar 91, pubblicati nelle Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia e infine alla produzione scientifica di alcuni gruppi grotte italiani (vedi il grande lavoro fatto da Alvisi) che da tempo lavorano attivamente in questo campo - potrà sicuramente costituire uno strumento fondamentale per eventuali e futuri progetti coordinati. L’apporto scientifico di Colantoni - che in passato ha contribuito a classificare le grotte marine - benché corretto dal punto di vista geologico e speleogenetico, non poteva considerarsi esaustivo. Ora credo che Forti e Antonioli siano riusciti in questo intento, anche attraverso un grande lavoro di recensione. Chi però, più della biologia, può dare il senso dell’importanza che questi ambienti rivestono nella tutela della diversità biologica riscontrabile in mare? Il peculiare habitat

92

delle grotte marine, sede inaspettata di rari organismi altrimenti impossibili da trovare e studiare da vicino, dimostra quanto sia rilevante l’azione di conservazione intrapresa dal Ministero dell’Ambiente verso quei delicati ambienti, esposti a rischio di gravi alterazioni ed il cui equilibrio è strettamente legato alle conoscenze biologiche delle comunità che li colonizzano. I taxa riconosciuti sono molti e richiedono altrettante conoscenze e professionalità per determinarli e classificarli. Credo che il lavoro di coordinamento condotto da Nike sia stato prezioso, molto dettagliato e propositivo, poiché la mole di materiale raccolto e qui bene esposto potrà consentire, speriamo in un futuro prossimo, di puntualizzare ulteriormente la zonazione degli ambienti di grotta fino a fornire risultati esaustivi. Forse poco risalto è stato dato alla componente floristica che, benché impedita nella colonizzazione soprattutto delle parti più profonde della grotta, costituisce un elemento fondamentale nella caratterizzazione della zona d’ingresso. Alcuni capitoli, per la verità solo due o tre, sono da considerarsi, forse, una forzatura, in particolare quello riguardante gli insetti e quello dei chirotteri, a mio parere troppo aneddotico. Manca, a mio avviso, una parte importante della speleologia subacquea, sulla quale si discusse molto durante l’incontro Speleomar di Palinuro del 1991: la tecnica di rilievo, anche al fine di una sua standardizzazione nei metodi e nelle restituzioni. Forse per questo argomento si può rimandare a libro edito da Gribaudo e coordinato da F. Barbieri (Speleologia Marina,1999). Altri capitoli ancora testimoniano quanto sia importante affinare i metodi di lavoro di gruppo su questi ambienti al fine di migliorare le conoscenze. È il caso del capitolo sui pesci che, pur facendo il punto della situazione, mostra alcune inesattezze tassonomiche (Oligopus ater Risso, 1810 e non Grammonus ater, poiché il genere Grammonus Gill, in Goode & Bean, 1896, è entrato in sinonimia dopo la revisione del genere Oligopus da parte di Cohen nel 1964) ed ecologiche (la stessa specie, ampiamente distribuita nel bacino Mediterraneo, non deve essere considerata come unico rappresentante troglobio, poiché nella Regione Atlanto -

Mediterranea non si possono annoverare tali forme). E ancora, sarebbe stato importante citare di più i lavori di Zander, in particolare Zander & Jelinek, 1976, che, anche se datato, costituisce un buon riferimento per discutere argomenti relativi alla distribuzione e/o alla zonazione ittica dell’ingresso delle grotte marine, compreso la descrizione del Gobidae Speleogobius trigloides Zander & Jelinek, 1976 ritrovato nella grotta di Banjole vicino a Rovinj ex Juogoslavia, forse ancora più specializzato di O. ater. Da tutto ciò si evincono le grandi potenzialità di studio che in futuro permetteranno sicuramente di formulare anche complessi modelli ecologici visto la posizione apicale che questi organismi possono assumere in tali ambienti. In tutto questo dobbiamo riconoscere agli speleologi un ruolo non solo fondamentale, ma oserei dire imprescindibile. Essi sono e saranno sempre di più soggetti importantissimi, sia nell’esplorazione degli ambienti, sia nella raccolta delle informazioni e descrizione delle situazioni incontrate. Negli ultimi anni la pratica speleosubacquea ha avuto un notevole sviluppo tecnico e sotto il profilo della sicurezza: ormai possiamo considerare gli speleologi italiani allineati e in certi casi all’avanguardia sull’argomento e ciò emerge chiaramente dal percorso sviluppato nei capitoli che compongono il volume. Sono sicuro che quello che distinguerà la speleosubacquea italiana (in particolare quella marina) dalle esperienze sviluppatesi in altri paesi, è e sarà la capacità di acquisire in maniera sempre più motivata le informazioni biologiche e restituirle in un modo scientificamente corretto e comprensibile a tutti. Questa via è stata intrapresa e non potrà essere più lasciata: questo volume lo testimonia con gran determinazione. Fabrizio Serena Principali citazioni bibliografiche: Alvisi M., Colantoni P., Forti P. 1994 – Grotte Marine d’Italia. Atti del Convegno SPELEOMAR 91 e successivi contributi. Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, serie II vol. 6, Bologna. 254 pp. Barbieri F. 1999 – Speleologia Marina, Gribaudo Cavallermaggiore. 176 pp. Latella L., Stoch F., Lapini L. 2001. Biospeleologia In: Stoch F. ed., Grotte e fenomeno carsico, Quaderni Habitat, Ministero dell’Ambiente e Museo Friulano di Storia Naturale: 53-129. Zander D.C., Jelinek H. 1976 – Zur demersen Fischfauna im Bereich der Grotte von Banjole (Rovinj/YU) mit Beschreibung von Speleogobius trigloides n.gen.n.sp. (Gobiidae, Perciformes). Mitt. Hamburg. Zool.Mus.Inst.265-280.


Recensioni

di Andrea Gobetti Privo dell'impudente sfrontatezza di “Una frontiera da immaginare” e, rispetto a quest'ultimo, più profondo, più maturo, inevitabilmente anche meno fresco - il che, se si considera il tempo trascorso e l'età nel frattempo progredita, è logico o quantomeno naturale - è uscito di Andrea Gobetti “L'ombra del tempo”. Il confronto fra due opere non è mai lecito, tuttavia viene spontaneo paragonare l'ultima fatica letteraria del Gobetti alla sua prima, risalente a 27 anni fa (e ristampata nel 2001). Le accomuna in primo luogo la sincerità, della quale bisogna dare atto all'Autore, qualunque cosa si pensi di lui. Istrionico affabulatore, indolente concentrato di tutti i vizi di cui la speleologia tradizionalmente si circonda, rissoso ed ecumenico, generoso e sabotatore, egocentrico e altruista, nostalgico ma - tutto sommato - al passo con i tempi e con le mutate tecniche speleologiche, fascinosamente contraddittorio ed orgogliosamente fallito per i canoni dell'odierna società, Gobetti è Gobetti. Che piaccia o no, ha impersonato per tre decenni gli intramontabili luoghi comuni - sia detto con il più disincantato affetto - dello speleo anarcoide, irriverente, spostato, etilico e fumato, liberissimo: ultimo erede dei giramondo ottocenteschi di retaggio romantico e bohemien. Chi scrive conobbe Gobetti ad un funerale, quello di Rodolfo Farolfi, a Faenza, nel lontanissimo 1979. Chi scrive era allora poco più di un bambino e vagamente immaginava che le libagioni in onore di un morto esistessero davvero, ma non così copiose. Gobetti e amici, scientemente, avevano con

Le grotte di Castelcivita

sé il ricambio: quella volta non si andava in grotta, ma la camicia della sera (della notte: nessuno andò a letto) non sarebbe stata riutilizzabile, il mattino dopo, per la cerimonia funebre. Rividi la banda nell'82 in quel libero manicomio che era la Capanna Saracco-Volante, al Marguareis. Oltre che tutti sempre ubriachi, erano anche stranamente disposti, in Capanna: fitti stipati sui letti dell'acropoli (al piano di sopra) e Gobetti da solo, con tutto il posto che voleva, a quello di sotto. Merito delle piattole. “L'ombra del tempo” è, ancor più di una “Frontiera da immaginare”, un libro sugli speleologi, non tanto e non solo sulla speleologia. Stavolta lo si evince anche dal sottotitolo: “Gli esploratori delle caverne”. Ed è infatti la dimensione umana, senza altri aggettivi, ad interessare l'autore. Che a dispetto dell'aspetto (suo e dei suoi compari), ha cercato ciò che c'è dietro i cliché di cui tutti o quasi, praticando questa avventura - vien da dire disciplina, ma nella recensione di un libro del genere appare vocabolo fuori luogo - ci siamo più o meno a lungo imbevuti. In termini visionari, introspettivi, talvolta amari, non senza qualche scivolata in una compiaciuta autocommiserazione, Gobetti ha comunque descritto quel mondo senza i cascami della scientificità, dello sport, dell'analisi geografica e geomorfologica. Sia che si trattasse di Marguareis (di gran lunga il posto più presente, nella “Frontiera” come anche in queste pagine), sia che si trattasse di Apuane, sia che si trattasse di sotanos messicani. Va sottolineata anche stavolta l'elevata qua-

(Castelcivita – Salerno) Le grotte di Pertosa o dell’Angelo (Pertosa – Salerno) di Felice Larocca Si tratta di brevi guide informative su due famose grotte turistiche del Cilento; due opuscoli tutti a colore semplici, gradevoli e con molte immagini dello stesso Autore. Felice Larocca, sempre particolarmente attento agli episodi umani, anche per queste cavità riserva una sintetica, ma accattivante storia delle esplorazioni che riporta informazioni assai poco note nell’ambito della pubblicistica speleologica. In particolare per Castelcivita si da conto di

Recensioni

L'ombra del tempo

lità della scrittura, personalissima e avvincente, qualità rara anche senza il confronto con la media di quella speleologica. Si è sempre convenuto sul fatto che Gobetti sia stato il primo a far della speleologia argomento di narrativa. O meglio, non il primo (c'erano già stati Casteret, Martel e a modo loro anche Mornig o Ghidini), ma il più consapevole, il più convinto e convincente, paradossalmente il più lucido. Per far ciò era necessario smettere di parlare di grotte per sostituirle con i loro frequentatori, o piuttosto, usare le prime come pretesto, come scusa autobiografica per raccontare dei secondi: di amicizie, di liti, di debolezze e di orgogli, di viaggi e di discese negli abissi ma anche di sentimenti. E' curioso (fino a un certo punto, a pensarci bene) che l'esponente più emblematico di quella figura manierata di speleologo lercio, teppista e perdigiorno, dedito solo al vino e alle bestemmie, sia stato capace di disegnarne un'altra profondamente “gentile” e sensibile, adatta a cogliere quell'essenza che della speleologia rimane forse la più vera: quella ludica. Perché al di là dei record, delle ricerche geografiche, di tutti i contributi alla scienza, dei valori naturalistici e sportivi, l'esplorazione - sublimazione di tutte le speleologie - resta il gioco più bello del mondo. Sandro Bassi CDA & Vivalda Editori - Torino, 2003 ISBN 8874800134 Euro 18,00

un soccorso speleologico del 1889, forse il primo svolto in Italia, effettuato per il recupero di due dispersi ritrovati solo dopo una settimana di ricerche. Inoltre, dato anche l’alto interesse archeologico delle due cavità e la specifica competenza dell’Autore, sono riportate le informazioni più importanti sui ritrovamenti effettuati nel corso di varie campagne di scavo svolte fin dai primi del secolo scorso. Una descrizione delle grotte corredate dai rilievi - particolarmente bello quello della grotta di Pertosa - occupa la parte centrale delle guide. Le stesse possono essere richieste direttamente al Centro Regionale di Speleologica “Enzo dei Medici” all’indirizzo e-mail specus@tin.it al costo di 3 Euro + spese di spedizione. Michele Sivelli

Speleologia 48

93


Vi sia lieve la terra

MARIO PAVAN 1918 - 2003 Il 17 maggio 2003 è mancato il prof. Mario Pavan. Per noi speleologi è stato una figura di spicco che ha avuto un peso grandissimo nello sviluppo della speleologia italiana dopo la seconda Guerra Mondiale. Aveva già cominciato ad interessarsi di grotte negli anni '30. Poi, nel 1945 fu tra i promotori del Centro Speleologico Italiano, sorto sotto gli auspici del Touring Club Italiano. Nel 1949, su designazione di molti gruppi speleologici e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, entrò a far parte, quale delegato italiano, del Comité Permanent des Congrès Internationaux de Spéléologie. L'anno successivo presentò la fondamentale relazione che evidenziava le ragioni che consigliavano di raggruppare gli speleologi del nostro Paese in una società. Proprio su questa base venne decisa la costituzione a Verona della Società Speleologica Italiana, nella quale ricoprì l'incarico di Segretario per un decennio. Ma lʼamico Pavan deve essere ricordato anche per altri aspetti, forse meno noti della sua personalità. Infatti mentre tutti sono a conoscenza del ruolo della speleologia nella rivoluzione cubana, pochi sono al corrente che, sotto questo aspetto, Pavan è stato un precursore. Infatti nel corso della seconda Guerra Mondiale, il Nostro passò ai partigiani tutte le informazioni sulle grotte lombarde che poterono così opportunamente utilizzarle come rifugi e depositi. Dal punto di vista umano, sotto lʼapparenza di uno stile estremamente serio e compassato, era dotato di un fortissimo senso di humor che lo portava a situazioni paradossali ed estremamente divertenti. Nei viaggi che effettuava periodicamente non mancava di giocare tiri burloni ai suo compagni di avventura. A titolo di esempio mi sia consentito un ricordo personale: una trentina di anni fa ci eravamo incontrati in aeroporto diretti a Strasburgo per

94

una riunione nellʼambito del Consiglio dʼEuropa, lui in rappresentanza del Ministero dellʼAmbiente ed io da parte del CNEN. Nel corso dei lavori esordì, con un commento allʼintervento di unʼaltra delegazione, con le parole: “With reference to the statement of the most honourable Delegation, etc.” invece di usare il tono consueto meno ampolloso. In breve da quel momento in poi, tutti gli interventi si adeguarono al suo stile, per timore di una mancanza allʼetichetta tra le occhiate divertite del Nostro. In quella stessa occasione ci trovammo immediatamente alleati, con un semplice sguardo dʼintesa, per evitare che il terzo personaggio della delegazione italiana, burocrate senza arte ne parte, potesse intervenire a sproposito. Così, ogni volta che il poveretto stava per prendere la parola, uno di noi due, lo fermava con la scusa di un commento urgente alla discussione in corso! Naturalmente, alla sera, in un ristorante di Strasburgo rievocammo con molte risate tutte le vicende. Nel 1971 fece costituire la Commissione Speciale del Senato per i problemi ecologici e nel 1987 venne chiamato a far parte del Governo Fanfani quale Ministro dellʼAmbiente dando così un contributo importante grazie alla competenza in materia. Anche in questa occasione non perse il suo spirito di presa in giro, nei suoi stessi confronti, reagendo a male parole ogni volta che qualcuno di noi gli si rivolgeva chiamandolo “Signor Ministro”.

Quando nel 1990 la Società Speleologica Italiana pose una lapide nella sala del Museo di Storia Naturale di Verona a quarantʼanni esatti da quella che venne definita “rifondazione” ebbe a dolersi, insieme a Salvatore DellʼOca (altro nume tutelare della speleologia italiana che ricordiamo sempre con tanto affetto ed infinita riconoscenza) del fatto che si volesse evidenziare un qualsivoglia legame tra la Società Speleologica Italiana fondata a Bologna nel 1903 da Michele Gortani ed altri suoi colleghi dellʼepoca e la Società costituita nel 1950 a Verona dopo la parentesi bellica. Sia Mario Pavan che Salvatore DellʼOca non volevano ammettere alcun legame con Gortani soprattutto dopo il maldestro tentativo di questʼultimo di far rivivere lʼIstituto Italiano di Speleologia. Come ho già avuto modo di ricordare in altre occasioni, a distanza dagli eventi e con una visione assolutamente libera da questioni personali, diversi di noi hanno ritenuto che questo legame effettivamente esistesse senza, peraltro, che esso potesse togliere qualcosa ai contributi essenziali di ognuno degli attori comparsi sulla scena. La prova più eloquente dei nostri sentimenti lʼabbiamo proprio in questa occasione, quando nel corso del Congresso del Centenario, si è voluto ricordare in modo ufficiale il nostro Mario Pavan al quale dobbiamo una infinita riconoscenza ed al quale ci lega un ricordo che non potrà mai affievolirsi. Così, questa volta, siamo noi a giocargli un tiro burlone dopo i tanti giocati da lui ai suoi amici: lo commemoriamo nella forma più solenne e sentita proprio nel Congresso di quel Centenario che non voleva riconoscere ! Ma gli abbiamo voluto e gli vogliamo sempre bene. Arrigo Cigna

Vi sia lieve la terra

Vi sia lieve la terra


Vi sia lieve la terra

Ottavio se nʼè andato neanche cinquantatreenne, ammazzato da un bastardo durante un tentativo di rapina nell'agenzia del Banco di Sardegna di Castiadas presso cui da diversi anni lavorava; un venerdì all'ora di pranzo, poche ore dalla chiusura e qualche ora prima di terminare il lavoro lì, trasferito dal lunedì successivo in altra sede … È difficile trovare parole adatte per rendere i sentimenti, la rabbia, la tristezza per una morte così inattesa, così inutile se mai morte possa essere definita utile. Siamo tutti tristi, profondamente tristi. I momenti, le situazioni passate insieme con Ottavio sono infinite, così tante che non saprei proprio da dove iniziare per evocare qualcosa che è archiviato gelosamente in una parte della mia memoria. In questi giorni, ancora mesi dopo, i ricordi affiorano lentamente, in modo disordinato, casuale ed è piacevole sorriderne insieme con gli amici, mia moglie come se non fosse successo niente e lui potesse arrivare da un momento all'altro a riderne con noi. Non voglio fare un elenco di cose, non adesso, non vorrei essere formale, retorico, so che non gli piacerebbe…ci tengo solo a dire, a ricordare che ci ha insegnato in Gruppo, almeno a me, a quelli della mia generazione, un qualcosa di fondamentale, ci ha insegnato ad appassionarci a quel che facevamo, alla speleologia; sì perché più dʼogni altra era questa la sua caratteristica principale, la sua forza: investirsi in qualcosa ma con passione, non tanto per fare ma sempre credendo a ciò che si faceva. Tante volte aveva avuto in Gruppo, del resto è inevitabile, screzi per vedute diverse eppure stava sempre lì fermo, mi diceva, ci diceva che quel qualcuno rompeva le balle ma non sarebbe durato a lungo perché era solo uno di passaggio, senza vera passione e quando sarebbe naturalmente sparito dalla speleologia lui sarebbe stato ancora lì, al suo posto…..ed aveva ragione, al suo posto c'è stato

Vi sia lieve la terra

Ottavio Corona

tanti anni, appassionato a tal punto da esserci, da partecipare alle attività del Gruppo anche quando fisicamente non poteva essere con noi, in qualche modo partecipava comunque, i momenti condivisi, i risultati erano…sono comunque anche i suoi. Così è stato in escursionismo, era un grande appassionato della natura, di quella più inaccessibile, infiniti sono i chilometri macinati insieme, con gli amici di sempre, a cercar grotte, a creare, discutere, mettere a punto percorsi inesistenti da collegare tra loro sul filo dei pensieri, delle emozioni… come i quasi 100 km lungo costa da Punt'e Trettu alla Marina di Arbus o il Supramonte che lo affascinava e dove non perdeva mai occasione per andare a vagare. Voglio credere che anche adesso Ottavio sia da qualche parte e mi piace pensarlo mentre prepara le sue cose, il suo immancabile thè, la macchina fotografica, lo zaino insomma, per una nuova, lʼennesima, lunga scarpinata….. Buon viaggio amico mio, da tutti noi.

sempre da trent'anni, era socio del Gruppo Ricerche Speleologiche "E.A. Martel" di Carbonia ininterrottamente dal 1973. Ottavio si muoveva curando di coltivare sempre la passione nel far le cose, nel farle con piacere, cercando di soddisfare i suoi dubbi, ponendosene dei nuovi; al di là di risultati metrici che erano sempre comunque aspetti secondari, l'importante era star bene inseguendo il filo della passione insieme ad altri amici, per coltivare insieme la magia di quei momenti che tanti, credo, conoscono. Così è stato in speleologia, per

Mauro Villani

BRUNO COSMINI (Trieste 1909 – Trieste 2003) Nei primi mesi del 2003 è venuto a mancare Bruno Cosmini, speleologo triestino attivo dal 1923 ai primi anni ’90. Nato nel 1909 ha iniziato ad andare in grotta a quattordici anni con un gruppetto di amici, inserendosi poco dopo nel fortissimo Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre di Trieste. Rimarrà nel Gruppo, partecipando alle maggiori esplorazioni compiute dallo stesso, sino al 1933, anno in cui passa alla Società Alpina delle Giulie, della cui Commissione Grotte diventa membro. Nel 1929, esplorando un abisso sito fra Fernetti e Monrupino (la futura Grotta dell’Elmo, 2696 VG), scopre e riporta in superficie un elmo di bronzo risalente al VI-V secolo a.C. Il reperto viene donato dai grottisti della XXX Ottobre all’archeologo Raffaello Battaglia che lo consegnerà al Civico Museo di Storia ed Arte di Trieste, nelle cui sale è tuttora esposto. Nella sua lunga carriera di speleologo, oltre ad interessarsi di archeologia, ha collaborato con Diego de Henriquez nelle ricerche effettuate nella Grotta di Ospo (68 VG) ha esplorato e topografato un centinaio di cavità e parecchi dei suoi rilievi, molto apprezzati sia per la precisione che per la resa grafica, sono stati pubblicati nel 1938 nella monografia di Eugenio Boegan “Il Timavo”. Negli anni del secondo dopoguerra gli speleologi triestini gli hanno dedicato una grotta da lui esplorata e rilevata nei suoi anni giovanali: la Grotta Cosmini (561 VG). Nel 1993 il Comitato Regionale per la Difesa dei Fenomeni Carsici gli ha assegnato, per i meriti acquisiti nella diffusione della conoscenza del Carso sotterraneo, la Targa al Merito “San Benedetto Abate”, giusto riconoscimento a settant’anni di attività legata alle grotte del Carso. (Pino Guidi - Commissione Grotte “E. Boegan”, Trieste)

Speleologia 48

95


Vi sia lieve la terra

Giovedì 14 agosto nel pomeriggio Jack Dal Secco ci ha lasciato.

terra lo ha portato ad intraprendere ricerche in campi diversi ma complementari: botanica, mineralogia, speleologia e biospeleologia, archeologia, tutte legate al paese che più amava. Molto ha dato agli studiosi che si avvicinavano al Montello. Rappresentava un aiuto sincero che chiedeva come unico scambio di soddisfare la curiosità verso cose nuove e forse, per lui da solo, inavvicinabili. Ciao Jack. Lieve ti sia la via, nuove esplorazioni ti stanno aspettando.

In questʼultimo anno di sofferenze per un male che non perdona ha affrontato lʼultimo viaggio come sempre ha fatto in grotta: con serenità. La speleologia Veneta perde uno dei suoi precursori storici. Fin dai primi anni sessanta ha documentato, con la passione per la fotografia ereditata dal padre, le prime esplorazioni nel Montello. Immagini rare che difficilmente si ritrovano negli archivi dei gruppi speleologici e che restano memoria storica di tempi in cui, in cavità, tutto era difficile, anche fare una fotografia. Le sue immagini restano per noi un patrimonio di conoscenza e cultura e un dolce ricordo di quando la Speleologia - agli albori nella nostra zona – era coagulante sociale e di amicizia, volontariato sociale, seme per la nascita di realtà culturali più grandi. Lui, promotore di tante esplorazioni, con la sua innata curiosità ci ha regalato un ricordo del passato irripetibile, fatto di piccole scoperte, di lunghi pernottamenti in grotta, di profondi pozzi affrontati con tecniche – quelle di allora molto approssimative – che presupponevano lʼaiuto di una squadra, cioè affidare la propria sicurezza ad altre persone. Promotore del Museo di Storia Naturale del Montello e del Gruppo Naturalistico Montelliano, è stato fin dagli albori della struttura uno dei suoi più accesi sostenitori. La passione per tutto ciò che esisteva nella propria

Gli speleologi del Gruppo Naturalistico Montelliano

È scomparso Franco Legnani, medico e archeologo L'8 ottobre 2002, all'età di 78 anni, ci ha lasciato Franco Legnani, eclettica figura di speleologo giuliano. Nato a Trieste il 15 marzo 1924, dopo essersi laureato in medicina, si era dedicato con pari entusiasmo sia alla professione medica - campo in cui ottenne ben presto meritati successi - sia alle ricerche sulla preistoria del Carso, cui diede l'avvio nel 1951 con indagini agli insediamenti di Muggia Vecchia alle quali seguirono una campagna di scavi nella Grotta dell'Orso di Gabrovizza e quindi, a cavallo degli anni '50 e '60, alla Grotta dei Ciclami presso Fernetti. Alla fine degli anni '50 con un piccolo gruppo di amici formò, nell'ambito della Commissione Grotte dell'Alpina delle Giulie, la Sezione di ricerche preistoriche Raffaello

“Un soleggiato sabato di novembre non si è più svegliato. FRANCESCO ALLOCCA se ne andato nel sonno, lasciandoci tutti sgomenti. Geologo, tesoriere della Federazione Speleologica Campana, sodalizio di cui era animatore tenace e disinteressato, Francesco lavorava per dare corpo alle idee in cui credeva. Stava per par tire per Cuba, per discutere una tesi di dottorato, per porre basi for ti alla sua e nostra speleologia regionale. Non ha fatto in tempo. La Federazione Speleologica Campana gli dedica il Centro di Documentazione Speleologica, che da oggi por terà il suo nome. Quello di un giovane buono.”

Battaglia, sezione che razionalizzò le indagini di preistoria sul Carso: i risultati non mancarono e si concretizzarono nella scoperta di nuovi siti preistorici sia all'aperto - castellieri, strade preromane - che in grotta. Fra quelli di maggior interesse possono essere ricordati la scoperta di un tempio ipogeo dedicato al culto dio Mitra in una caverna presso Duino e il ritrovamento di resti di inumati in una grotta presso il castelliere di Nivize. Ma non solo di preistoria si interessava Legnani. Quale medico ha gestito la parte sanitaria della spedizione effettuata nel 1958 dagli speleologi dell'Alpina nelle grotte vaporose del Monte Kronio. In preparazione della stessa, assieme ad altri medici, aveva avviato in uno stabilimento di bagni a vapore un'indagine sul comportamento del corpo umano sottoposto ad alte temperature e con umidità del 100%. I risultati di questo studio, preparatorio alla spedizione cui poi Legnani ha appunto partecipato quale responsabile della parte sanitaria, vennero pubblicati l'anno successivo in apposito volumetto. Presente a vari congressi di archeologia e preistoria tenuti negli anni '50-'70 del secolo scorso, ha lasciato due dozzine di pubblicazioni di carattere speleologico, spazianti dalla divulgazione alla preistoria, dalla palinologia alla geologia, alla paleoclimatologia del Carso. Buona parte dei dati ottenuti nelle indagini nelle grotte del Carso sono stati pubblicati nella sua opera più conosciuta, La Piccola Guida della preistoria di Trieste, libro edito dalla Commissione Grotte "E. Boegan" nel 1968 e che ancor oggi desta l'interesse degli studiosi del ramo. E' stato socio della Commissione Grotte "E. Boegan" sin dalla metà degli anni '50; ha fatto parte del suo Direttivo dal 1958 al 1964, mentre dal 1958 al 1983 ha ricoperto l'incarico di Conservatore delle raccolte del materiale archeologico. Uno studioso che alla passione della ricerca sul campo ha saputo legare non solo la restituzione a tavolino dei dati raccolti, ma pure una disinteressata disponibilità all'impegno societario. Pino Guidi Commissione Grotte “E. Boegan”, Trieste

96


Pubblicazioni SSI

PUBBLICAZIONI DELLA SOCIETÀ SPELEOLOGICA ITALIANA SPELEOLOGIA Semestrale della Società Speleologica Italiana.

BULLETIN BIBLIOGRAPHIQUE SPLEOLOGIQUE Union Internationale de Speleologie. Redazione per l’Italia

LʼAGENDO 2004 L’annuario della speleologia italiana

Redazione: c/o Centro Italiano di Documentazione Speleologica "F.Anelli", via Zamboni 67 - 40126 Bologna. Tel. e fax 051 250049 • e-mail: redazione.speleologia@ssi.speleo.it • e-mail: ssibib@geomin.unibo.it

GROTTE DʼITALIA Istituto Italiano di Speleologia. Rivista annuale, pubblica lavori originali brevi in qualsiasi campo della ricerca scientifica in ambito carsico-speleologico. Redazione: c/o Sandro Galdenzi, Viale Verdi 10 - 60035 Jesi, tel. 0731203814; e-mail: sagalde@tin.it. Collana Quaderni Didattici della S.S.I. 1) Geomorfologia e speleogenesi carsica 2) Tecnica speleologica 3) Il rilievo delle grotte 4) Speleologia in cavità artificiali 5) L’impatto dell’uomo sull’ambiente di grotta 6) Geologia per speleologi 7) I depositi chimici delle grotte 8) Il clima delle grotte 9) Biospeleogia 10) L’utilizzo del GPS in speleologia 11) Storia della speleologia 12) Gli acquiferi carsici 13) SOS in grotta 14) Fotografare il buio

OPERA IPOGEA Memorie della Commissione Cavità Artificiali della SSI. Redazione c/o Carla Galeazzi - Villa Marignoli, via Po 2 - 00198 Roma; tel. 068418009 (uff.), tel. 0676901095 (ab.), fax 068411639; e-mail: operaipogea@ssi.speleo.it

Collana narrativa S.S.I.

INTERNATIONAL JOURNAL OF SPELEOLOGY Organo ufficiale dell’Union Internationale de Spéléologie. Si pubblica dal 1964; dal 1978 proprietà della SSI. Ezio Burri - Dip. Sc. Amb. Univ. de L’Aquila v. Vetoio loc. Coppito - 67100 L’Aquila (AQ); e-mail: ezio.burri@aquila.infn.it

MEMORIE DELLʼISTITUTO ITALIANO DI SPELEOLOGIA Rivista aperiodica, ospita monografie multidisciplinari su aree carsiche o ricerche di ampio respiro in ambito carsico-speleologico. Contatto: c/o Prof. Paolo Forti, Università di Bologna, Dip. di Scienze Geologico Ambientali, via Zamboni 67 40126; Tel. 0512094547; e-mail: forti@geomin.unibo.it

Speleologia 48



Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.