Diario di un quadrupede. Evoluto nella camminata

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Strauso Maserio

Diario

Di un quaDrupeDe evoluto nella camminata essotericamente* ispirato dal Parziario e Maestro di Cappella della Chiesa Metropolitana d’Arte di GesÚ Guida Erik Satie Con disegni di Anonimo Messapico

* si legga pure palesemente


Licenziato daLLa

Loggia accademica cosiddetta degLi

extraccademici

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[autobiografia scritta da me, in persona di me stesso]

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Tele di ragno (anonimo messapico) 4


[breve autobiografia] Non si conosce molto dell’origine della mia famiglia, ma posso scrivere qualcosa di me. Innanzitutto appartengo alla categoria dei conservatori e dei tradizionalisti. E questo dono, se così si può definire, mi venne fatto per nascita dai miei due genitori, un uomo e una donna. Mi iniziarono al mondo in maniera confacente alla tradizione familiare che penso risalga alla notte dei tempi, tant’è vero che anche loro, come me, ebbero due genitori, ed anche i loro rispettivi genitori ne ebbero un paio, ed anche i genitori dei genitori, un paio ancora, e così accadde almeno fino alla cacciata dal giardino. Qualcuno riterrà noiosa questa duplicità, ma è quella, e qui lo dico con un po’ d’orgoglio, che più s’addice ad una famiglia… tutta d’un pezzo. Io sono nato a Galatina, attorno, mi si dice (anche se non ricordo bene), al mezzodì d’un due di maggio. Correva l’Anno del Signore 1974. Sono stato anche un bambino, prima di divenire ragazzo e poi uomo. Quando sarò cenere vuol dire che non sarò. La mia connotazione fisica è particolare: ho occhi neri (due), capelli neri (sempre di meno e sempre più tendenti al biondo), barba (finché posso), fronte alta (o meglio in alto) e fisico da atleta (ex automobilista, sport che pratico comunque tuttora). Se non sono accettabile lo devo al servizio militare che ho svolto, per dieci mesi, lontano circa una decina di chilometri (qualcosa in più o qualcosa in meno) dalla mia casa. Tale servizio svolto con merito, onore e per piacere alla Patria ha reso le mie carni talmente dure che una volta, per accettarmi, si ruppe l’accetta. Non sono tuttavia potabile a tal punto da essere digerito da chiunque mi si trovi di fronte, tutt’altro. Non sono cattivo, almeno penso, perlomeno fino a quan5


do non vengo scuoiato e cotto con le patate. A quel punto divengo non solo indigesto, ma alcune volte anche venefico. Pensate, una volta, cucinato ben bene come sopra, mi diedero in pasto ad una tartaruga. Il giorno successivo fu trovata pancia all’aria, con le zampe sullo stomaco. Morì dopo poche ore perché, stringendosi lo stomaco per il dolore, riportò delle ferite lacerocontuse, più lacero che contuse, per la verità, tali da farmi riuscire vivo e vegeto da quello stomaco puzzolente. Quindi, sempre se vogliamo, sono nato anche quella volta, ma a mo’ di un dio pagano (anche se non sotto una volta, né dentro una grotta). A seguito di quanto accaduto un sacco di persone mi divennero nemiche. Pazienza. Non so se sia stato peggio nascere la prima o la seconda volta. Spero sinceramente non ve ne sia una terza, a meno che non rinasca dalla pancia di una fenice ungherese. Quelle arabe mi sono un po’ antipatiche, non muoiono mai e, quando muoino, dopo un po’ tornano sula terra, e sempre nelle loro stesse sembianze (che stupida reincarnazione!).

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[frammenti e obiezioni]

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Raffigurazione del muso di un orso bruno ripreso frontalmente (anonimo messapico) 8


[frammenti] Fra menti non si può comunicare, a meno che non siano sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda. [campioni] Una volta per divenire campioni di calcio, bisognava abbandonare lo studio e mettersi a tirare calci ad un pallone, in faccia a un muro, per giornate intere. Oggi basta usare il telefono. [corsi di scrittura creativa] Ho visto tanti scrittori tenere corsi di scrittura creativa. Mai un creativo tenere un corso di scrittura. [scrittura] Oggi come oggi la scrittura si è molto evoluta, c’è più cultura, ci sono più possibilità di scelta. Una volta si scriveva a mano, oggi si può scegliere fra scritture analogica e digitale. Se anche i più utilizzano la scrittura digitale, gli scrittori (di nicchia e con buoni contratti presso case editrici nazionali) scrivono in analogico. Da dove me ne rendo conto? Dalla logica anale che pervade i loro scritti, è ovvio signorina! [scrittura 1] Ho preso lezioni di scrittura creativa da un grande scrittore cieco e monco di entrambe le mani fin dalla nascita. Lo giuro. Ho l’attestato. [scrittori postumi] Quando sarà morto verrà elogiato e, finanche, qualche critico di fama locale lo considererà scrittore. Io preferisco vivere, per questo sono un grafometrista. 9


[comprensioni] In molti dicono di comprendere i miei scritti: non hanno capito nulla. [maradona e leggi della fisica] Qualcuno ha affermato che Maradona faceva muovere il pallone contro le leggi della fisica. Il fatto vero è che la fisica non ha leggi. [maradona e leggi della fisica 1] Qualcuno ha affermato che Maradona faceva muovere il pallone contro le leggi della fisica. Il fatto vero è che Maradona era un fisico. [maradona e leggi della fisica 2] Qualcuno ha affermato che Maradona faceva muovere il pallone contro le leggi della fisica. Il fatto vero è che Maradona era un mago. [virtuosismo] Bevevo tanta birra. Un giorno per divenire virtuoso, al pari di Chopin, decisi di smettere di bere. Ma sbagliai qualcosa, visto che da virtuoso mi sono ritrovato ad essere virtuale. [artisti classici preferiti] I miei artisti classici preferiti sono tre: Debussy, Ravel e Satie. Il primo perché era un tipo molto ignorante, ma era altrettanto intelligente per non capirlo; Ravel perché divenne famoso più per ciò che non aveva vinto che per la sua musica; Satie perché era un uomo troppo vecchio nato in un mondo troppo giovane.

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[artisti classici preferiti 1] I miei artisti classici preferiti sono tre: Debussy, Ravel e Satie. Penso mi siano così simpatici perché non ho mai ascoltato la loro musica. [grafometro e affini] Molti mi rimproverano il fatto di non essere uno scrittore. E non lo sono. Appartengo infatti alla cateroria dei grafometrografisti. I miei scritti sono pura grafometria. Sono tra quelli, insomma, che misurano le parole. Dopotutto, e nessuno potrà smentire che molto spesso è più utile e piacevole misurare le parole che ascoltarle o leggerle, visto e considerato che, se si misurano hanno un senso, lette o ascoltate di senso non ne hanno. Col mio grafoscopio vedo nelle parole e, fatto più unico che raro, scoprì che in quelle di Baricco manca, strano scherzo della fisica, l’atomo essenziale. In pratica riusciamo a leggerle, le troviamo qua e là in libreria, ma non esistono (pensate che c’è gente così ricca che spende soldi per acquistarle). Un’altra volta con la mia grafobilancia, misurai una parola di Roberto Cotroneo, pesava meno di un grammo. A leggerla le si sarebbero dati venti quintali. Per essere grafometrografo bisogna fare molta pratica: si comincia col correggere le bozze (quelle altrui, s’intende). Con il Pirografo misuro invece la vivacità delle parole. Ma deve funzionare male, visto e considerato che ancora, di parole vivaci, ne ho misurate poche. Sono tra quelli, e qui mi ripeto spiegando il perché, che misurano le parole, anche alla luce del fatto che chi parla molto, spesso ha molto poco da dire. [lungimiranza] Il mio maestro di scrittura, cieco e monco di ambedue le 11


mani fin dalla nascita, era molto lungimirante. Oggi vive con una buona pensione sociale. [gentile signorina] Gentile signorina, mi dica un pochino, vede quella bella rana verde fluorescente? Saltella qua e là felicemente Spensierata. Che bello essere raganelle SPLASH Ma che fa? Si ferma? Perché si stende a terra? Capisco, è una rana fortunata Non capita tutti i giorni di essere spiaccicati a terra da una ruota di una Ferrari. [scritte sui muri] Il sole sorge e tu tramonti (su un muro del Liceo Scientifico De Giorgi di Lecce) [scritte sui muri 1] 100 giorni all’alba 99 giorni all’alba 98 giorni all’alba … l’alba! (su un muro della caserma di Lecce) [scritte sui muri – medley] 100 giorni all’alba 99 giorni all’alba 98 giorni all’alba … l’alba! _____________________ Il sole sorge e tu tramonti. 12


[serietĂ esoterica]

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Folle corsa di auto messapica (anonimo messapico) 14


[scritti di serietà esoterica] Roca Vecchia, posta sul mare è uno degli insediamenti arcaici più importanti e significativi del Salento (1). Innanzitutto, per capirne l’importanza, bisogna accennare al fatto che è uno dei luoghi più vicini all’antica Illiria, pertanto non è da escludere che le prime popolazioni straniere, provenienti originariamente dall’India, abbiano trovato in questo luogo un comodo e tranquillo approdo tanto da consacrarlo ad una divinità chiaramente solare: Taotor Teotor - Tootor (ma anche Thaotor Andirahas in messapico), come si evince con facilità dalle scrittea lui inneggianti scoperte nella Grotta (2). Qualcuno si domanderà ora quali certezze ci siano riguardo la solarità di Thaotor Andirahas; la risposta si trova nell’etimologia del toponimo Roca. Ma andiamo per passi. Thaotor, o Taotor è parola che si può scomporre in due modi: Ta / O / Tor, o Tao / Tor, assumendo un significato differente nel caso si legga in un modo o nell’altro anche se il concetto non cambia poiché il suffisso (Tor) rimane invariato. Ta, ammesso e non concesso che si leggesse così com’è scritto, nelle antiche civiltà sudamericane stava ad indicare il Luogo e trova il suo corrispettivo nordafricano, egiziano per l’esattezza, in Ti. O è da intendersi come di o da. E per ora fermiamoci qui e analizziamo Taotor scomponendola in Tao / Tor. In azteco Te, come fra l’altro in greco antico (Te o Teo), significa Dio (3). E ora soffermiamoci sulla radice della parola, ovvero Tor, che poi è il nucleo del concetto. Tor (4) è il dio fenicio del sole (5). Quindi Taotor può avere un duplice significato o Ta / O / Tor nel senso di Luogo del Sole (o anche Luogo da -quindi nel 15


senso da dove esce- Sole, ovvero Luogo dal quale sorge il Sole, e da dove poteva sorgere il sole se non da una grotta?) o, più semplicemente Tao / Tor, ovvero Dio Sole. A dare ancora maggio credito a questa tesi, cioè che la Grotta della Poesia fosse un sito consacrato al culto del sole, basta scomporre Andirahas e si ritroverà, nel suo nucleo centrale quel Rha o Râ (6) che altro non è se non il dio (alle origini la dea) Sole. Anche l’etimologia di Roca è strettamente collegata al culto del sole. Basta spezzare la parola in due per avere Ro / Ca, laddove Ca è il Sole e Ro la roccia, il monte. Ma forse sarebbe una spiegazione molto semplicistica e quindi cerchiamo una etimologia più consona partendo dal dato di fatto che Roca si trova su una altura. Roch vuol dire, in celtico, roccia; Ruch invece, è monte. Ora a nessuno può sfuggire il nesso esistente fra il monte ed il sole, stretto almeno quanto la connessione fra la grotta e il sole, tanto da far pensare che Roch / Ca possa significare Monte del Sole. E questo è quanto.

Note* 1. È interessante la descrizione che propone Cesare Daquino in Messapi. Il Salento prima di Roma, edito dalla Capone Editore nel 2000: "(Roca, ndr) Situata lungo la costa adriatica in territorio comunale di Melendugno, questa località ha sempre svolto un ruolo di fortificazione a tutto vantaggio dell’entroterra salentino. Oggetto di scavi già negli anni venti di questo secolo, il sito accoglie testimonianze di insediamenti messapici a cominciare dal sec. VI a.C.: cospicuo il numero di crateri conservati presso il Museo Provinciale di Lecce; evidente la fabbricazione in loco degli stessi, anche se è altrettanto chiaro l’influsso dei modelli attici a figure nere molto diffusi nei secc. V-III a.C. in tutto il bacino del Mediterraneo. Ad ogni modo, ciò che ha reso famosissimo questo sito è stata la scoperta nel 1983 della cosiddetta "Grotta della Poesia" ad opera dell’archeologo salentino prof. Cosimo Pagliara: gli interventi esplorativi 16


susseguitisi in questa grotta marina hanno portato alla luce numerosissime iscrizioni in messapico eseguite sulle pareti e quasi tutte inneggianti ad una divinità indigena denominata Taotor - Teotor Tootor. Così come avvenne per tanti altri siti, anche Roca Vecchia fu una fonte di acqua dolce ad attirare in età arcaica l’attenzione delle genti messapiche, perchè l’acqua da sempre ha rappresentato l’elemento più prezioso: qui l’acqua del mare si mescolava in un abbraccio con l’acqua che scaturiva limpida dalla roccia, trasformando una cavità circolare di circa 600 metri quadri in un Santuario pagano frequentato dai navigatori di tutti i tempi. Grotta della Fonte, Grotta delle Scaturigini, Grotta della Poesia nel suo significato etimologico più autentico. Più tardi, in un altro sito costiero, a Leuca, nel displuvio tra le rocce dell’Adriatico e quelle dello Ionio, il miracolo si ripeterà alla Porcinara: e ancora una volta è lo stesso prof. Pagliara a restituirci un altro scrigno". 2. Di seguito si riporta articolo integrale apparso sul "Corriere della Sera" del 18 agosto 1996: "Dentro la roccia, dalla volta crollata, per una scala di ferro, si scende nella caverna circolare invasa dall’acqua, granchi che salgono fra le crepe verdastre, schioccare improvviso di bianchi tuffi di pesci. Sulle pareti, dove giungi su passerelle metalliche sospese, a prima vista non vedi nulla. "Ci sono arrivato dal mare, c’è un passaggio, chiuso quando è tempesta, — dice Cosimo Pagliara che insegna Antichità Greche a Lecce, e dirige, per l’Università e il Cnr, il grande recupero di Roca, la città sulla roccia, e di questa sconosciuta camera delle scritture—. Questa davvero è come un’astronave piovuta dal passato". Ma anche un segnale da decifrare. Di che cosa? Entrando, quindici anni fa entro la cavità, Pagliara rimuove alghe e incrostazioni e scopre sulla roccia migliaia di segni, di tracce da decifrare, di antiche iscrizioni. Torna, ripulisce, e iniziano così, tra il 1983 e il 1987, una serie di campagne di ricerca. Si scopre che la grotta è un gran libro circolare di oltre 600 metri quadrati di iscrizioni votive di epoche diverse, spesso sovrapposte. Si va dalla protostoria ai messapi, dai greci ai romani e tutto finisce nel secondo secolo a. C.: sono, dal secolo ottavo al secondo, 700 anni di storia e di religione perchè la grotta era un santuario, dove c’era, e c’è ancora, una fonte di acqua dolce: qui si venerava una divinità, Thaotor Andirahas in messapico, Tutor Andraius in latino. 17


La Grotta della Fonte, la grotta dell’acqua, trasforma il suo nome, che è ancora oggi bellissimo, in Grotta della Poesia. Poesia delle iscrizioni, dialoghi col divino, ombre delle memorie contro cui, nei giorni di tempesta, battono le onde, memorie di culto perdute duemila anni or sono quando fuori, ormai, dominava la religione romana, con il pantheon di Giove. Ma questa, la grotta, è davvero un’astronave piovuta dal passato oppure doveva essere dell’altro? Cosimo Pagliara capisce che un simile santuario, collegato ad altre due grotte che sono nei pressi, è luogo sacro di un sistema complesso, dunque di una città che deve essere stata importante. A Pagliara non sembra possibile infatti far sbarcare Enea a Porto Badisco, una strettoia fra le rocce. Invece qui, nel punto più stretto fra l’Albania e la nostra penisola, 71 chilometri soltanto, qui a Roca è più facile attraversare ma soprattutto prendere terra. Dunque a Roca, sul promontorio, deve esserci una città. Forte di questa convinzione Pagliara comincia campagne di scavo che danno risultati eccezionali. Emerge la storia di una città più volte cancellata e più volte ricostruita, dall’origine antichissima, come provano le mura enormi, trenta metri di spessore, e una porta dalla soglia e dagli stipiti di pietra, porta il cui legno si è in parte conservato. Siamo attorno al 1.600 a.C., al tempo della civiltà cretese, e infatti crateri e vasellami di quella cultura sono stati ritrovati con pezzi bronzei e armi. Ma questa città viene distrutta dal fuoco. Proprio quando visito gli scavi hanno appena scoperto, dentro un corridoio di servizio delle mura di pietra, sette scheletri affiancati e in parte sovrapposti, fissati da una plastica azzurra, per sempre, nella posizione del rinvenimento. Sono quelli di una famiglia, madre, padre, figli, che si nasconde, mentre la città è ormai preda degli invasori, nel camminamento murato da pietre verso l’esterno; usano orci per mascherare l’accesso, si credono salvi, ma col fuoco tutto crolla , e i sette muoiono soffocati. Roca come Troia? No, Roca come tante città antiche, dopo l’incendio si ricostrisce. Enea è il simbolo dei grandi navigatori della civiltà egea e poi dei greci che fondano colonie della madre patria nel sud della nostra penisola; Enea, dunque, e tutti i navigatori da Oriente a Occidente dal 1.600 a. C. in poi, hanno trovato qui una città chiusa da forti mura, una città ricca, un porto. La storia di Roca infatti è lunga e complessa, dall’età del bronzo a quella del ferro, dalla civiltà messapica alla greca e fino a Roma. Insomma l’orologio del tempo graffito sulle pareti della 18


Grotta della Poesia scandisce gli stessi giorni, anni, secoli anche qui. Poi ecco le vicende più recenti di Roca: il medioevo e Gualtiero di Brenna, conte di Lecce e duca d’Atene, ricostruisce la città, ritrovata pure essa dagli scavi. Quindi Rinascimento e ancora nuove fortificazioni; infine l’abbandono per secoli. Adesso in questi mesi d’estate, un gruppo di ricercatori appassionati sta scavando, ma il lavoro in questa zona archeologica unica, ogni notte è alla mercè di tutti: percorrendo la città medievale vedo un mucchio di stracci appena mezzo bruciati. "Sono gli albanesi, — dice Pagliara — sbarcano di notte, bruciano quello che hanno addosso, si rivestono e vanno al nord. Ma loro non sono un pericolo, lo è l’incuria, lo è il vandalismo della gente che non sa, che non capisce e per questo distrugge". Dunque servono recinzioni, sorveglianza continua, e la immediata creazione di un grande parco naturalistico e archeologico aperto a tutti, da Roca fino all’entroterra che è denso di altre antiche, importantissime memorie di 3.600 anni di storia. Da Roca si vedono gli alti monti dell’Albania; ma anche dalle coste dell’antico illirico i naviganti vedevano il promontorio e le mura alte di Roca. Come forse il mitico Enea, come, certo, i navigatori egei, fenici, greci". 3. Consultare a tal proposito Marcel Homet, Alla ricerca degli dei solari. Alla ricerca delle misteriose civiltà antiche fra gli indio più selvaggi, Longanesi, 1976. 4. Tor diverrà nel bacino del Mediterraneo Vulcano. 5. Consultare a tal proposito Marcel Homet, Alla ricerca degli dei solari. Alla ricerca delle misteriose civiltà antiche fra gli indio più selvaggi, Longanesi, 1976, da pag 100 6. Brano tratto da Marcel Homet (cit.): "[...] Naturalmente Râ, la dea del sole, non poteva mancare. Notate che parlo di questa divinità del sole al femminile. È noto che in altri tempi il sole era considerato una dea e la luna un dio. Il culto del sole, sotto il nome di Râ, era una delle religioni più divulgate, poiché la ritroviamo dalla Polinesia alla Tartaria, dalle Ande al Brasile, dal bacino del Mediterraneo all’Egitto dove era molto famoso sotto il nome di Amon-Râ".

* da non prendere sul serio

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Lo dico con i fiori (anonimo messapico) 20


[opera per piano]

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La Greca (anonimo messapico) 22


[prefazione] Il Salento è terra d’illustri scrittori (tromboni) e di emeriti politici (buoni anche come matematici, data l’abilità a calcolar tangenti). Ci sono anche sommi poeti che, sommati, tuttavia, non ne fanno mezzo degno di nota. La poesia di questi sommi poeti è legata a retaggi preistorici talmente lontani dalla nostra epoca che i significati, che già allora erano esoterici, lo sono ancor di più ai nostri giorni. E sbagliamo quando li tacciamo d’intellettualismo, sono soltanto poeti esoterici. Ci sono tanti bravi scrittori e ottimi suonatori di tamburelli. La pizzica va di moda. Ed anche la storia patria. Poi ci sono i professori universitari, emeriti accademici, conosciuti (ma pensi un po’, signorina) da Lecce fino a Santa Maria di Leuca, e anche oltre, fino al Mar Mediterraneo, in fondo al Mar Mediterraneo, sia chiaro, dove si gettano e affondano, data la pesantezza della loro cultura. Ci sono tanti salotti (alcuni anche molto antichi), frequentati da gente davvero dabbene, ed estremamente fine, nonostante l’ignoranza e la chiara estrazione contadina. Proprio in uno di questi mielosi e pastosissimi salotti mi ritrovo una sera e decido di comporre, estemporaneamente, un’opera per pianoforte, per deliziare i miei deliziosi ed autorevoli compagni di salotto. Mi dica un po’, signorina, non le piace la musica? Ma questa non è musica, è pittura! Che dice signore? È roba dura? Ma suvvia, ascolti, non abbia paura e poi mi dica. Non le piace mica? Ah, va in giro in biga! La comprendo, visto come funzionano i treni oggi… Mi metto a descrivere un paesaggio che ho visto su una guida turistica (anche se mi vergogno un po’ a dire che leggo anche di quella robaccia) e lo faccio in musica. Al termine della mia performance, scrosciano gli applausi: che bello! 23


Opera per pianoforte (da suonare in maniera forte e piana) [menhir] (da suonare con una sola nota, della durata di circa trenta secondi, sempre con la stessa intensità. La nota dev’essere fine, per rendere l’idea di una pietra, solitaria, infilata nel terreno. Il suonatore dev’essere magro). [dolmen] (da suonare con tre note, della durata di trenta secondi ciascuna. In particolare si suonerà una nota dura, una nota durissima, una nota dura. Meglio se il suonatore è grassottello, nel caso in cui dovesse suonarlo il suonatore di [menhir], mentre suona deve necessariamente gonfiare le guance, a mo’ di trombettiere). [menhir su dolmen] (questo è facile, basta suonare nei modi e con le modalità previste prima [menhir] e poi, a distanza breve [dolmen]. n.b.: si potrebbe anche suonare [dolmen] su [menhir], ma non avrebbe senso e susciterebbe ilarità e commenti sprezzanti). [specchia] (la durata è brevissima. Con tutte e dieci le dita percuotere simultaneamente e per una volta sola quanti più tasti possibile del pianoforte. Raccomandazione al suonatore: in posizione iniziale le braccia devono muoversi dal pianoforte verso l’esterno e la testa deve alzarsi lentamente. Poi, con scatto portentoso le braccia si muovono verso l’alto, con la testa sempre verso l’alto. A questo punto si gettano giù, insieme, testa e braccia. Attenzione a non perdere la testa!). 24


[salento preistorico] (si comincia con [specchia] e si continua con [menhir su dolmen], oppure fate come volete, a piacere, tanto non cambia nulla). importanti note per il suonatore: essendo questa un’opera esoterica, è vivamente sconsigliato eseguirla in pubblico, di giorno e, soprattutto, in un luogo all’aperto. Si può fare, sia chiaro, ma solo se anticipata da una formula rituale che non posso qui riportare.

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La culla dell’anonimo messapico 26


[impressuoni*]

* ovverosia anche storia di un pollo che pur di divenire cavaliere lasciò tutto, montò a cavallo e cambiò mestiere o finanche, come la denomina il mio fido collaboratore PC Promenade 00.rtf

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La città dell’anonimo messapico 28


1 Promenade 00:48 (mussorgsky) In questa vasta parte del mondo, che è abitata da un solo negro (peraltro tutto nudo), che s’annoia dal ridere mattina e sera, venne un giorno un impresario bianco e domandando perché il negro (tutto nudo) stesse ridendo tanto si sentì raccontare la storia di un pollo che pur di divenire cavaliere montò in groppa un cavallo e cambiò mestiere. 2 Prélude à l'apés-midi d'un faune 10:15 (debussy) Tu lo saprai, mio caro amico, che la giovinezza dura tanto eppure è breve, e come un vento lieve o come un dolce canto, appena è terminata vorresti che ricominciasse, intanto nell’aia del paese dei pulcini non c’è tempo per fermarsi, basta mangiar pure le pietre e, se si ha sete, dissetarsi. In quell’aia più marrò che nera, in primavera il pulcino pollo, pensando d’esser un fauno che non suonava strumento alcuno se non un clarinetto, mentre si riposava venne circondato da molte pulcinelle e il sonno che tanto lo aveva fino ad allora soddisfatto venne bruscamente interrotto. Tirando fuori il petto e aprendo gli occhi rossi capì tante cose e si propose di proporsi al mondo intero per cambiarlo o, più semplicemente per cambiar la propria vita, grama è vero, ma, consentitemi il dilungo, estremamente spirituale poiché non conosceva desiderio e, fino a quel giorno tanto strano, non aveva mai proteso la mano ad elemosinare alcunché. Capì così che non era fatto per star lì, in quel pollaio putrido, a mangiar pietre (e a dissetarsi quando aveva sete). Così pensò bene di escogitar qualcosa per fuggire. Decise di salire su un carro, trainato da due mucche, che il fattore utilizzava per portare gli animali al mercato degli animali. "Non è impresa facile -pensava il pollo- di solito quando 29


entra il fattore nel pollaio tutti scappiamo… come farà a prendermi?" Ma un’altra splendida idea venne in mente al bel pollo, dando esempio così di rara furbizia. "Starò fermo -pensò". E così fece. E venne il tempo che il fattore doveva andare al mercato. E venne il tempo che il pollo si fece prendere. E così fu. 3 Bydlo 02:35 (mussorsgky) Il carretto, trainato dalle mucche, si muoveva lentamente, avanti, sempre più avanti, ancora più avanti. Il pollo era lì sul cassone posteriore, assieme a molti altri suoi simili... ma ignoranti (ce n’era uno anche d’avanti). E piano piano il carro arrivava verso il mercato. E il pollo pensava che appena sarebbe arrivato al mercato, avrebbe rubato un cavallo. Aveva voglia di girare il mondo, di vedere le città, di entrare, anche di prepotenza, nel mondo che gli era più congeniale: quello degli umani. Fu così che il carro arrivò al mercato. 4 Pannonica 04:11 (monk) Un attimo soltanto ed il pollo, con mossa non rapida, ma poco più veloce che lenta, saltò fuori dal carro e salì in groppa ad un cavallo. Ed il cavallo, spaventato, cominciò a camminare. Era un cavallo da tiro. Ma il pollo, su quella sella, era impettito, come fosse un gallo e già si sentiva cavaliere. Ed effettivamente era questo il passo successivo, dopo aver lasciato i suoi pari (pari solo da punto di vista biologico, non certo dell’intelligenza, sia chiaro), per entrare a far parte di quel mondo nuovo fatto di monti e di mari 30


(cosa m’interessa delle rappresentazioni bucoliche se vengo dalla campagna e già le conosco?, pensava il cavalier pollo), ma anche e soprattutto di città e giardini fioriti, di uomini veri, che, in nome del sacro progresso, avevano distrutto le campagne. 5 Les collines d'Anacapri 02:54 (debussy) La prima cosa che il pollo incontrò per strada furono delle colline, alte quanto non mai ne aveva vedute prima. Consentivano di vedere un panorama sconfinato, lungo, ma non tanto lungo quanto lo sguardo del pollo che, lungimirante com’era, aveva deciso di arrivare in città, ovvero il paradiso degli uomini. 6 Sea Breeze 09:47 (corea) Arrivò al mare e, sulla battigia, una pecora belava. Un po’ di vento e qualche goccia di quell’acqua arrivava sulle sue penne. La cresta era umida, ma un umido piacevole, quello stesso umido che si apprezza solo nelle serate estive, sulla riviera adriatica del Salento quanto c’è vento di scirocco. La cresta era umida, ma un umido piacevole, quello stesso umido che si disprezza un po’ di più nelle mattine estive, dopo aver passato una notte sulla riviera adriatica del Salento quanto c’è vento di scirocco. 7 A foggy day 07:50 (mingus) Che bello l’arrivo in città, alle sei del mattino, con tutti quei suoni metallici, quel grigio dovuto allo smog e quelle simpatiche persone vestite di blu con un fischietto in bocca. Altro che campagna. Il cavalier pollo era sempre più convinto che la sua vita fosse fatta per la città. Un solo problema ora si poneva, come sbarazzarsi di quel31


l’ingombrante cavallo? 8 Jardins sous la Pluie 04:12 (debussy) Arrivati ai giardini pubblici cominciò a piovere, le gocce cadevano veloci, come ad interpretare una una danza della morte. Le persone correvano, scappavano via, a cercar riparo da quel fastidioso piovigginare. Le gocce che cadevano sulle spalle scoperte delle signore davano la sensazione di tanti piccoli spilli. In pochi minuti il giardino rimase deserto e la città non appariva più quella di una volta. 9 Heavy Town 03:01 (byrd) Eh sì, la civiltà… quelle case rese grigie dal fumo delle industrie non rappresentavano più il sogno del cavalier pollo che lasciato il suo mestiere decise di montare in groppa ad un cavallo per cercare il paradiso. Il buio intanto era sceso e non era uguale al buio della campagna, illuminata dalle stelle. In città le stelle non si vedevano! Ma, ad un tratto… ecco apparire una gallina. Ed il cavalier cortese abbandonato il cavallo, andò a passeggio con quella che stava all’animale come a noi starebbe una signorina. 10 Pavane pour une Infante défunte 05:40 (ravel) La bella gallinella faceva di nome Rosa e frequentava quei club che vanno tanto di moda. Decise così di portare là dentro il suo pollo. Entrati nel club si respirava (per modo di dire) uno strano profumo, familiare al pollo. Il cavaliere decise così di entrare nella cucina e vide uno spettacolo straziante: suo fratello era finito fritto! Era attorniato da patatine francesi ed era pronto per essere servito. Un brivido ed una preghiera per il fratello morto. 32


11 Gymnopédie #1 03:33 (satie) A questo punto il cavaliere decise di scappare di tornare lì nella sua terra natia, in mezzo sì a gallinacei, ma almeno di loro ci si poteva fidare. Fu fermato, tuttavia, all’uscita del locale da due galli grossi almeno quanto un cane di media taglia. Lo fermarono… e lo spennarono ben bene e non contenti lo fecero ballare come le baccanti. Il ballo fu così sensuale che alla fine, travolti dal desiderio... se lo mangiarono. Caso più unico che raro di gallinaceofagia. 12 Promenade 00:48 (mussorgsky) Così finisce la storia del pollo cavaliere. A questo punto all’impresario bianco che era stato ad ascoltare con attenzione il negro che da solo abitava questa vasta parte del mondo sorse spontanea una domanda e se qualcuno domanda è cortesia rispondere. E siccome il negro nudo era negro ma cortese si sviluppò il seguente dialogo fra l’impresario bianco e il negro nudo. Domanda dell’impresario bianco: Nel mondo dei polli esiste il cannibalismo? Risposta del negro: No, in quello dei polli no. Ma esiste nel mondo degli uomini! E d’un tratto, il negro, saltò sull’impresario bianco e lo mangiò. Finito di cibarsene continuò a ridere di gusto, da solo. Ecco spiegato il perché questa vasta parte del mondo è abitata da un solo negro, peraltro tutto nudo, che s’annoia dal ridere mattina e sera.

Morale della favola Non c’è una sola morale a questa favola, ce ne sono varie, fra queste mi piace elencare le più significative: 33


- Se un uomo è da solo (e ride mattina e sera)… non conviene avvicinarsi: potrebbe essere pericoloso - Nessuno può decidere, di sana pianta, di abbandonare la propria vita per cambiarla con un’altra - Non bisogna mai invadere il territorio altrui - Gli impresari, di solito, fanno una brutta fine

nota finale: non ho mai trovato nulla di più creativo, innovativo e pratico della funzione di correzione automatica di Microsoft Word... poi mi si dice che i computer non hanno cervello

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il gran maestro

88 strauso maserio 88 accademico della Loggia accademica cosiddetta degli extraccademici impresse per proprio conto

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3 [autobiografia scritta da me, in persona di me stesso] 7 [frammenti e obiezioni] 13 [serietĂ esoterica] 21 [opera per piano] 27 [impressuoni]

Mettiamoci due croci sopra (anonimo messapico)


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