Viola

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Fabio Ognibene Sara Garagnani



VIOLA




INTRO

CosĂŹ apprensiva; sacchi pieni di premure sulle spalle tanto piccole, piegata sempre a raccogliere quello che ho perso,



schiena spezzata, martellata, dita logore, calli, tanti chilometri per venirmi a prendere,


per non lasciarmi mai solo.


La vedi camminare e sudare e camminare ancora per raggiungermi,


per non lasciarmi mai solo.



Adesso dormi un momento, amore, riposa tranquilla e non preoccuparti: non prenderò mai questo cuscino rosso, non lo sentirai mai premuto sul viso; no, per nessun motivo al mondo, amore, cercherò di soffocarti. Riposa pure, riposa un momento, riposa, Viola, io ti amo.


Viola me lo diceva così, con affetto, suppongo, mi diceva: “Sono piena di macchie del tuo amore”; così indifesa, lei, tutto calli, tutto sangue domato un momento dopo l’altro, tutta sdraiata a braccia aperte, così aperte, così aperte, come precipitare,




come il vuoto, come lo sperma.



Colava dentro l’ombelico, ribolliva, prima, poi avrebbe seccato, formato croste sulla pelle, da grattare con le unghie, con i denti, e sarebbero nati funghi, bubboni, escrescenze postulose, marroni, colore della merda, amore, colore della merda, della merda e nient’altro.


Rilegata sull’altare mi diceva: “E’ proprio indispensabile? Pensaci bene. Io ti ho seviziato, torturato, annichilito, ma non ti ho mai ucciso”.




Mia madre aveva ragione, naturalmente: mi aveva cavato un occhio con una lama da cucina, mi aveva tagliato il mignolo della mano sinistra e l’indice della destra che non smetteva mai di buttare sangue, mi aveva mozzato il pollice di entrambi i piedi, mi aveva asportato il rene nel sonno per farci il brodo una domenica mattina. Mi aveva conficcato un ago nella nuca, una sera d’inverno, quando proprio non me l’aspettavo, seduto sul divano davanti alla tv. Mi ricordo anche di quella volta che mentre mi faceva il bagnetto aveva reciso, con le sue forbicine da sarta, il capezzolo del mio seno sinistro. Lo teneva tra le dita, tra il pollice e l’indice, e continuava a ripetere, tutta così contenta di sè: “Ecco qua, ecco qua!”.



“Ecco qua, ecco qua!”.



Però non mi aveva mai ucciso, su questo aveva apertamente ragione.


Ho avvicinato il bisturi, volevo cominciare a incidere sulla cellulite della coscia. Poi spingere giù la lama fino a sentire l’osso. Era completamente immobile e potevo lavorare in tutto agio. Già le stavo sfiorando la pelle e lei mi dice: “Per esempio non ti ho mai amputato il medio della mano sinistra. Allora appoggio la mia mano sull’altare, di fianco alla sua coscia e, con il coltello, la destra comincia a tagliare il medio della sinistra.




L’AMORE Questo per dire che quando ho conosciuto Viola, la pazienza che ha avuto per restituirmi tutto. Già al secondo incontro è scappata nel bagno del bar a lavare il cucchiaino che aveva usato un attimo prima per mescolare il caffè. Poi si è seduta di nuovo al tavolo e l’ha usato per cavarsi l’ occhio e regalarmelo, affinché lo mettessi al posto di quello che mi mancava.


E’ per questo che adesso ho un occhio nero e uno verde. Quando poi si è segata il mignolo ho vomitato, e ho continuato a vomitare quando ha attaccato il moncone alla mia mano restituendomi il dito che avevo perso da bambino. Poi l’indice, i pollici dei piedi, il rene, il medio e il capezzolo.




Ăˆ per questo che adesso ho un capezzolo piccolo e uno cosĂŹ grande.


“L’unica cosa che non ti posso restituire”, mi diceva spesso, “è il cazzo”.


Finchè un giorno mi ha cavato le braghe e ha cominciato a urlare inorridita perchĂŠ il cazzo ce l’avevo ancora ed era assolutamente integro.



“E poi parli sempre male di tua madre”, gridava sguaiata, “e invece è stata buona con te; guarda il bene che ti ha voluto, guarda!”.


PiĂš si andava avanti e piĂš facevo fatica perchĂŠ adesso che Viola era senza un occhio, senza un mignolo, un indice, un medio, i pollici nei piedi e tutto il resto, mi piaceva molto meno.



Sorrideva e non era certo più bella come prima, ma neanche un po’. Allora gliel’ho detto, perché quando in una coppia c’è un problema bisogna parlarne. Lei mi ha risposto che è ecessario in questi casi sapersi un poco adattare; che anche a lei le fa schifo il cazzo, per esempio, però ci passa sopra e sta con me lo stesso. E poi mi ha detto che sono un egoista e che non è giusto perché gli occhi, i reni e le dita ricrescono col tempo, invece il cazzo non sparisce mai.




Se potesse cadere come le foglie in autunno!�, la sentivo sospirare tra sÊ e sÊ certe volte mentre stava da sola alla finestra.


Allora: se mi facevo evirare non avrei mai piÚ potuto fare l’amore con nessuno nella mia vita, se lo tenevo facevo soffrire Viola. Tutta colpa di mia madre che non mi aveva strappato via a morsi anche quello, da bambino.



Maledetta, ma tornerò.




Non avevo vie d’uscita, e ho deciso di uccidermi. Ho messo il veleno nella siringa e, siccome non so fare le iniezioni, ho chiesto a Viola.


Lei mi ha dato un bacio e mi ha detto piangendo che mi ama, allora sono andato in una clinica privata a farmi tagliare il cazzo.



Il chirurgo diceva che era un peccato e, mentre era sopra di me e stava decidendo dove cominciare l’incisione, aveva due tette immense che penzolavano e dalla rabbia, perchÊ io mi dovevo tagliare il cazzo e lei poteva permettersi di non tagliarsi le tette,




le ho strappato con un morso un capezzolo.





Mi dice: “Facciamo una cosa allora. Tu lasci Viola e ti metti con me, così non te lo devi più tagliare. Ho anche le tette più grandi di lei, no? Il capezzolo tanto lo riattacchiamo, che tanto io sono un chirurgo. Il problema di stare con lei è che in realtà era una bambola gonfiabile, e di notte si sgonfiava, si ripiegava su se stessa e non ci potevo mai fare l’amore. Tanto valeva tornare con Viola, allora.



Quando torno da Viola lei non c’è più e c’è la polizia che mi portano con loro.


IL TRIBUNALE

Continuavo a ripetere che io non avevo soffocato Viola con il cuscino rosso. E il giudice, dal canto suo, continuava a scuotere il testone e a mormorare: “Ecco cosa succede quando non si sta attenti!”. “Io non ho soffocato Viola con il cuscino rosso, sono sicuro!”, continuavo a ripetere e Viola era d’accordo con me, anche lei continuava a ripeterlo dal banco dei testimoni dov’era seduta. Le era ricresciuto tutto: l’occhio, le dita...tutto.




Era bellissima.


IL CONTROLLO

Mi avevano forse concesso gli arresti domiciliari anche se probabilmente mi spiavano dalle finestre. Viola era sempre piÚ bella e io cercavo di non farmi mai vedere nudo per via del cazzo che le fa schifo. Tenevo sempre le mutande ma le dava fastidio anche vedere il rigonfiamento. Anche se avevo i pantaloni era irrequieta, perchÊ si immaginava cosa c’era sotto. Io allora mi mettevo sempre due paia di braghe e quando le stavo davanti tenevo le mani a coprire la patta.




Lei però girava sempre nuda. Io mi facevo la doccia vestito e non potevo mai masturbarmi. Prendo la siringa e le chiedo di farmi l’iniezione.




PERDITA DEL CONTROLLO

Lei mi bacia e mentre piange mi dice che mi ama. Mi restituisce la siringa, io faccio per uscire e andare alla clinica privata ma mi ricordo che non posso perchÊ sono agli arresti domiciliari. Allora impugno la siringa, mi avvicino e gliela ficco nel braccio. Lei comincia a morire piano piano; siccome è sempre nuda, si cominciano a vedere le macchie scure comparire sul suo corpo.



L’AMORE

Viola me la diceva così, con affetto, suppongo, mi diceva: “Sono piena di macchie del tuo amore”.



Sta morendo pian pianino, si inginocchia, mi sbottona tutti e due i pantaloni che avevo e me lo prende in mano.

Mi dice: “Non era vero che mi fa schifo, avevo solo un po’ di paura. Forse un giorno avrei potuto vincerla, forse un giorno mi avresti potuto aiutare�.


Usa tutte le forze su cui poteva ancora contare per prenderci confidenza, per masturbarmi, per riempirsi il corpo del mio sperma.



Viola me la diceva così, con affetto, suppongo, mi diceva: “Sono piena di macchie del tuo amore”. Sta morendo pian pianino, si inginocchia, mi sbottona tutti e due i pantaloni che avevo e me lo prende in mano. Mi dice: “Non era vero che mi fa schifo, avevo solo un po’ di paura. Forse un giorno avrei potuto vincerla, forse un giorno mi avresti potuto aiutare”. Usa tutte le forze su cui poteva ancora contare per prenderci confidenza, per masturbarmi, per riempirsi il corpo del mio sperma.



Così indifesa, lei, tutto calli, tutto sangue domato un momento dopo l’altro, tutta sdraiata a braccia aperte, così aperte, così aperte, come precipitare, come il vuoto, come lo sperma.



Come la morte.







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