Asp2011dispensa mistica3

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Attività Spirituale Nazionale

[ASP2011_... Dispensa Mistica dell’Occidente.3]

L’UNITA’DELLE RELIGIONI E LA MISTICA DELL’OCCIDENTE (Terza Parte)

Consiglio Centrale Sathya Sai d’Italia Via della Pace, 1 – 28040 Varallo Pombia (NO) 1


Indice Prefazione * Prima parte: Santa Caterina da Siena La vita Caterina Patrona d’Europa Esperienze mistiche Dialogo della Divina Provvidenza * Seconda parte: Santa Teresa d’Avila La vita La via mistica Pensieri Il castello interiore * Terza parte: Santa Teresa di Lisieux La vita Teresa Dottore della Chiesa Preghiere e poesie Storia di un’anima * Appendice Conclusioni

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Prefazione Concludiamo in questo biennio 2011-’13 il nostro lavoro sulla Mistica dell’Occidente presentando, in questa Terza ed ultima Parte, tre figure di sante, tutte e tre Dottori della Chiesa, la cui conoscenza è fondamentale per la comprensione della spiritualità cristiana attraverso i secoli, senza la quale il nostro percorso risulterebbe incompleto: ci riferiamo a tre stelle nel firmamento della Cristianità, tre donne, madri e maestre, veri e propri modelli per intere generazioni di fedeli, quali furono, sono e saranno santa Caterina da Siena, santa Teresa d’Avila e santa Teresa di Lisieux. Dopo il lavoro svolto nel corso dei bienni precedenti intorno alle forme di spiritualità patriarcale dell’Occidente (sviscerate in lungo e in largo attraverso lo studio e la conoscenza dei Padri del deserto, dei dervisci islamici e dei chassidim ebraici - e successivamente dei benedettini, dei templari e dei francescani), giungiamo adesso, a conclusione del nostro viaggio, al cospetto di un tipo di spiritualità piuttosto diverso rispetto alla precedente, che ci ricorda da vicino la forma e la sostanza stessa della mistica indiana, da noi tanto amata. Nella vita e nell’insegnamento di queste tre sante (che nel Novecento sono state elevate alla dignità di Dottori - ossia di pandit, per usare un termine sanscrito a noi noto) compaiono infatti dei tratti fortemente bhakti, in cui la Via del Servizio, della Contemplazione e dell’Amore si dispiegano spontaneamente dinanzi ai nostri occhi, con la semplicità del pavone che apre, non visto, la sua sfolgorante ed incantevole ruota. Per chi ha apprezzato le tradizioni antiche della spiritualità medievale non risulterà dunque difficile, a questo punto, immergersi profondamente in questi nuovi modi e linguaggi della mistica “al femminile”, che rappresentano una testimonianza diversa della devozione a Dio, più intima ed interiore rispetto alle fatiche dell’ascesi e della militanza maschili, costituendo in tal modo una sorta di salto di qualità, di innalzamento di livello e di passaggio di stato. Lasciamo dunque a questo punto la parola alle Madri, affinché ci raccontino esse stesse, in prima persona, i segreti delle loro scoperte, e ci insegnino ad entrare anche noi nel Mistero, passo dopo passo, lungo le strade infinite della Misericordia divina: perché fino ad ora “Ti conoscevo per sentito dire, ma adesso i miei occhi Ti vedono” (Gb, 42,5). Le donne simboleggiano la devozione e gli uomini la saggezza. Solo le donne, che sono il simbolo della devozione, hanno accesso all’Antahpur (le camere interne del palazzo) di Dio. Che cos’è dunque l’Antahpur? Non è altro che Antaratma, lo Spirito che dimora interiormente: E’ solo la devozione-saggezza a guidare all’Antahpur. (Sai Baba) Ai Piedi di Loto del Maestro, Om Sai Ram Roma, 9 Gennaio 2011

Pierluigi Gallo 3


“Fare amare il buon Dio come lo amo io, offrire la mia piccola via alle anime. Se il buon Dio esaudisce i miei desideri, trascorrerò il mio cielo sulla terra fino alla fine del mondo. Sì, voglio trascorrere il mio cielo a fare del bene sulla terra… Ritornerò... Discenderò... Bisognerà che il buon Dio faccia tutte le mie volontà in cielo, perché io non ho mai fatto la mia volontà sulla terra.” Santa Teresa di Lisieux

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PRIMA PARTE: SANTA CATERINA DA SIENA

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La vita Caterina nacque a Siena nel rione di Fontebranda (oggi Nobile Contrada dell'Oca) come ventiquattresima figlia dei 25 figli di Jacopo Benincasa, tintore, e di Lapa Piagenti. A soli sei anni ebbe una prima visione: nella Basilica di San Domenico a Siena vide Gesù Cristo in trono, con i santi Pietro e Paolo. A sette anni fece voto di verginità, e nello stesso tempo cominciò un percorso di mortificazione, fatto di digiuni (soprattutto di carne) e di penitenze: nella prima fase della sua vita queste pratiche erano condotte in modo solitario. Nelle sue opere racconta che verso i dodici anni i genitori, non essendo a conoscenza del suo voto, cominciarono a pensare di maritarla: Caterina reagì con il taglio completo dei capelli e chiudendosi in casa con il capo coperto da un velo. Per vincere la sua ostinazione, i genitori la costringevano ad estenuanti lavori domestici, ottenendo il risultato di rafforzare la sua convinzione interiore. Un giorno il padre la sorprese in preghiera con una colomba aleggiante sul capo: decise allora di lasciare libera la giovane di scegliere la propria strada. A sedici anni Caterina entrò così nel terzo ordine delle Domenicane (o Mantellate, per via del mantello nero sull'abito bianco), pur restando presso la sua abitazione. Lei stessa racconta di essersi avvicinata alle letture sacre pur essendo semianalfabeta e, dopo giorni di estenuanti e poco fruttuose fatiche, di aver ricevuto dal Signore il dono di sapere leggere: imparò più tardi anche a scrivere, ma la maggior parte dei suoi scritti e delle sue corrispondenze furono dettate. Ella racconta anche che al termine del Carnevale del 1367 le apparve Gesù con sua Madre e altri santi per sposarla a sé nella fede; da Lui avrebbe ricevuto un anello, adorno di rubini, che sarebbe stato visibile soltanto ai suoi occhi (per questo Caterina è iconograficamente rappresentata con l'anello e con un giglio). Caterina non si mostrò mai intimorita al cospetto dei potenti, e si rivolgeva loro da pari a pari: verso il 1372 espose al legato pontificio in Italia, Pietro d'Estraing, la necessità di riformare i costumi del clero, di trasferire la Santa Sede a Roma da Avignone (dove risiedeva dal 1309) e di organizzare una crociata contro gli infedeli. Le autorità ecclesiastiche, colpite e forse indispettite dal fatto che Caterina, analfabeta e visionaria, si rivolgesse in questi toni a personaggi di tale rango, la chiamarono nel 1374 a Firenze di fronte al Capitolo generale dei Domenicani; l'Ordine tuttavia ne riconobbe l'ortodossia e l'affidò alla direzione di frate Raimondo delle Vigne da Capua, che venne poi nominato lettore di teologia a Siena e lasciò una biografia della santa. Secondo la tradizione devozionale, il 1º aprile 1375 Caterina avrebbe ricevuto le stimmate nella chiesa di Santa Cristina a Pisa, dove si trovava, su invito di papa Gregorio XI, al fine di preparare la crociata da lei sollecitata: queste stimmate sarebbero rimaste invisibili fino alla sua morte. Il progetto della crociata fu abbandonato quando Firenze, dopo aver stretto alleanza con i Visconti di Milano e aver sobillato le città dello Stato Pontificio a ribellarsi contro il papa, dichiarò guerra al "papa francese": a nome dei fiorentini, Caterina andò 6


così ad Avignone in missione di pace da Gregorio XI con altre ventitré persone, incluso Raimondo da Capua. Il papa, seppure affascinato da Caterina, era convinto del doppiogiochismo dei fiorentini e rifiutò la pace; ciononostante Caterina continuò con la sua opera di convincimento e non interruppe l'invio di lettere al pontefice, in cui lo invitava a tornare a Roma. Alla fine riuscì nel suo intento: il 17 gennaio 1377 il papa rientrò nella città eterna. All'inizio del 1378 venne incaricata di ristabilire i rapporti tra la Santa Sede e Firenze, ma durante la sua missione in riva all'Arno rischiò la vita e la missione fallì; il nuovo papa, Urbano VI, riuscì a siglare una pace il 28 luglio 1378, ma il 20 settembre dello stesso anno, a Fondi, avvenne lo scisma, con l'elezione dell'antipapa Clemente VII. Caterina definì i tredici cardinali scismatici “demoni incarnati”; nonostante la vittoria militare di Urbano VI a Marino, il 30 aprile 1379, lo scisma si protrasse tuttavia per quarant'anni. Morì nel 1380 a soli 33 anni, provata da una vita di digiuni e di astinenze forzate, dopo essersi astenuta dal bere per un mese. Nella biografia della santa, scritta dal beato Raimondo da Capua, è riportato che non fu santa Caterina a rifiutare il cibo, ma dopo l'apparizione di Nostro Signore, che le fece dono di bere al suo costato, lo stomaco di Santa Caterina si chiuse ... e non ebbe più bisogno di cibo né poté più digerire. Nessuno se ne meravigliava, perché accostandosi alla fonte della Vita, lei aveva bevuto a sazietà una bevanda vitale, che le tolse per sempre il bisogno di mangiare. Caterina da Siena fu canonizzata dal papa senese Pio II nel 1461, e dichiarata dottore della Chiesa da papa Paolo VI il 4 ottobre 1970; essa è stata inoltre dichiarata patrona d'Italia per nomina di papa Pio XII nel 1939 (assieme a san Francesco di Assisi) e compatrona d'Europa per nomina di papa Giovanni Paolo II il 1º ottobre 1999. Fu sepolta a Roma, nel cimitero di Santa Maria sopra Minerva, dove il suo corpo è tuttora conservato, ad eccezione della testa, che fu portata a Siena come reliquia nella Basilica di San Domenico; nella stessa basilica è conservato un dito di Caterina, con il quale viene impartita tuttora la benedizione all'Italia e alle Forze Armate nel pomeriggio della domenica in cui si tengono le Feste internazionali in suo onore. http://it.wikipedia.org/wiki/Caterina_da_Siena * (…) Caterina celebrò a soli sette anni il suo matrimonio mistico con Cristo: che ciò non fosse il frutto di fantasie infantili, ma l'inizio di una straordinaria esperienza mistica, lo si poté costatare molto presto. A quindici anni entrava a far parte del Terz'ordine di S. Domenico (o “Mantellata”, per l’abito bianco e il mantello nero), iniziando una vita di penitenza di estremo rigore. Entrata nelle Mantellate, condusse una vita di penitenza e di carità verso i condannati e gli infermi. Portata al misticismo, ricevette le stigmate. Analfabeta, cominciò a dettare a vari amanuensi le sue lettere, accorate e sapienti, indirizzate a papi, re, condottieri e umile gente del popolo. Il suo coraggioso impegno sociale e politico suscitò non poche perplessità tra i suoi stessi superiori e dovette 7


presentarsi davanti al capitolo generale dei domenicani, celebrato a Firenze nel maggio del 1377, per rendere conto della sua condotta. Entrò in contatto con grandi personalità, tra le quali Gregorio XI, che convinse a riportare la sede pontificia da Avignone a Roma e dal quale ottenne diverse concessioni a favore del proprio Ordine. Le sue opere più importanti ci offrono una sintesi dell’esperienza domenicana, agostiniana, francescana e mistica con cui entrò in contatto, ravvivata dalla sua mente illuminata dall’intima unione con Dio. La vita di Santa Caterina da Siena è ricca di fenomeni soprannaturali: porta le stimmate, che rimangono invisibili per tutta la vita, per comparire solo al momento del decesso. È favorita da visioni ed estasi, fino a raggiungere il particolare stato di grazia delle nozze mistiche col divino Sposo. È capace di leggere i pensieri di chi la circonda. Il suo corpo conosce la levitazione e rimane incorruttibile dopo la morte. Quasi analfabeta, dalla sua penna scaturisce una somma dottrina, tanto da essere proclamata dottore della Chiesa. Delle sue misteriose capacità, sono numerose le testimonianze. Un giorno, ad esempio, un sacerdote la vuole mettere alla prova, offrendole per la comunione un'ostia non consacrata. Ma lei, furiosa, si alza e lo rimprovera aspramente. Nella Pratica di amar Gesù Cristo, Sant'Alfonso de' Liguori riporta che «S. Caterina da Siena vide un giorno in mano d'un sacerdote Gesù sacramentato come un globo di fuoco, da cui la santa si ammirava come da quella fiamma non restassero arsi ed inceneriti tutti i cuori degli uomini». (…) E sul letto di morte, i suoi ultimi sospiri sono: «Sangue, sangue, sangue...». http://www.tanogabo.it/religione/santa_caterina_siena.htm

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Caterina patrona d’Europa (…) Già durante il breve arco della sua vita terrena, Caterina attraeva e stupiva i suoi contemporanei, che ne divulgarono rapidamente l'immagine e gli insegnamenti in tutta Europa: anche oggi la santa attrae e stupisce, risplendendo di vivida luce. (…) Giovanni Paolo II ha conseguentemente incoraggiato i caterinati, i quali a Lui hanno inviato (…) migliaia di suppliche, in cui (…) chiedevano la proclamazione della santa compatrona d'Europa, tenuto conto che proprio il Papa, nella Mulieris dignitatem, aveva posto in evidenza le doti e la missione della donna che Caterina aveva esercitato, in una straordinaria missione politica ed ecclesiale. Caterina era di origini popolane: nata a Siena nel lontano 1347, era figlia di un modesto tintore, insieme con altri ben venticinque fra fratelli e sorelle. Del tutto priva di istruzione, al punto di non saper né leggere né scrivere, ella fu in grado di svolgere un'azione incisiva fino alle più alte autorità della politica e delle istituzioni civili ed ecclesiastiche di allora, come riporta la ricca bibliografia ed iconografia su di lei, al fine di riportare la concordia e la pace fra i popoli. Caterina inoltre non era certo favorita dal suo stato femminile, in un'epoca dove le donne non erano per nulla considerate (solo sei secoli dopo sarebbe comparsa la parola "femminismo"). Eppure questa giovane di così modeste condizioni raggiunse, nei brevi trentatrè anni di vita terrena che le furono concessi, vertici che ancora oggi ci sorprendono: toccò le vette della perfezione spirituale, fu chiamata maestra da un numero considerevole di discepoli, fra cui si annoverano illustri teologi, docenti universitari, nobili di elevata cultura. Fu ricevuta ed ascoltata da papi, cardinali, sovrani e capi di stato dell'intera Europa; riuscì ad ottenere il trasferimento della sede papale in Roma, dopo settant'anni di esilio avignonese, riuscì a rappacificare Firenze con lo Stato Pontificio, da tempo in guerra fra loro, gettò le basi per la riforma della Chiesa, difese efficacemente il Pontificato nel grande Scisma d'Occidente, esortò l'Europa, lacerata da guerre fratricide, ad unirsi nel nome di Cristo. È un fatto "miracoloso" che una donna, di origini plebee, potesse nel lontano secolo XIV intrattenere una corrispondenza politica con i potentati del tempo, ai quali si rivolgeva con tono di fermo comando, pur senza nulla perdere della sua abituale umiltà: la sua eloquenza era visibilmente dettata da quell'Amore che rende accettabili perfino le più concitate invettive. Le sue opere (le famose Lettere, delle quali ben 381 sono giunte fino a noi, le Preghiere ed il Dialogo della divina provvidenza), che questa indotta analfabeta dettava ai suoi scrivani, sono uno dei migliori esempi della prosa italiana del Trecento: gli studi di lei, della sua opera, sulla sua spiritualità, sono continuati incessantemente nel corso dei secoli, fino ai nostri giorni. La Chiesa l’ha proclamata santa, il Pontificato Romano, riconoscente per l'opera da lei svolta in sua difesa, l’ha nominata Compatrona di Roma e, per la carità nella cura degli ammalati, Compatrona delle infermiere; la sua azione pacificatrice fra gli statarelli della nostra penisola la fa venerare Patrona d'Italia; la sua dottrina, acquisita per divina ispirazione e per le sue doti eccezionali di intelligenza, volontà, santità, che ha nutrito generazioni di persone avide di raggiungere quella perfezione spirituale alla quale tutti siamo chiamati, è stata riconosciuta esatta, valida, ortodossa dalla Chiesa, che l'ha nominata Dottore il 4 ottobre 1970.

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Mai una donna, nei quasi due millenni di cristianesimo, era stata insignita di tale titolo: Caterina da Siena e Teresa d'Avila sono le prime che hanno aperto la via per l'ottenimento di un tale titolo alle donne (in aggiunta Caterina, come terziaria, era pur sempre laica e quindi la prima laica fra i Dottori, tutti appartenenti alla gerarchia ecclesiastica). Soprattutto nel nostro tempo, ancora contrassegnato da sanguinose lotte fratricide, la grande santa senese appare dunque portatrice dell'accorato messaggio di pace e concordia fra i popoli e di un esempio di cui gli uomini di oggi hanno particolare bisogno: amore e fedeltà a Dio e alla Chiesa. Oggi l'esempio della nostra santa è sempre ricco di insegnamenti: l'obbedienza alla Chiesa è ispirata dalla fede, perché è a Dio che si obbedisce nella persona che da Dio deriva l'autorità di comandare. L'obbedienza tuttavia non deve essere sinonimo di ottusa cecità, ma va inquadrata quale atto responsabile di consapevole collaborazione con l'autorità: una delle cause dell'attuale disorientamento, infatti, anche all'interno della Chiesa, è da ricercarsi proprio nella crisi dell'obbedire, che è crisi di carità e non può essere curata senza un ritorno all'Amore (…). A.Odasso, Un amore ardente a Cristo e alla Chiesa, Roma 1999 * (…) Ciò che più stupisce nella vita di S. Caterina da Siena non è tanto il ruolo inconsueto che ella ebbe nella storia del suo tempo, quanto la maniera squisitamente femminile con cui svolse questo ruolo. Al papa, che ella chiamava col nome di «dolce Cristo in terra», rimproverava lo scarso coraggio e lo invitava ad abbandonare Avignone per fare ritorno a Roma, con parole umanissime come queste: «Su, virilmente, padre! Che io vi dico che non bisogna tremare». A un giovane condannato a morte, che ella accompagnò fin sopra il patibolo, disse nell'ultimo istante: «Giuso! alle nozze, fratello mio dolce! che tosto sarai alla vita durevole». Quando sedeva a tavola con i suoi discepoli, badava a non urtare le gelosie di qualcuno e non di rado, come fa la madre col bambino permaloso, dava l'imbeccata col proprio cucchiaio a chi si sentiva trascurato da lei. Poi la voce sommessa della donna mutava tono e si traduceva spesso in quell'«io voglio», che non ammetteva tergiversazioni quando erano in questione il bene della Chiesa e la concordie dei cittadini. http://www.tanogabo.it/religione/santa_caterina_siena.htm

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Esperienze mistiche Dissi: «Io voglio». E sul patibolo miracolo d' amore. La santa converte un condannato a morte: «Ne vidi l' anima accolta in cielo da Cristo». L' uomo era imputato di aver diffuso «zizaniam» in città: la terziaria domenicana lo assisteva in carcere. “Quando arrivò il giorno dell' esecuzione distesi la mia testa sopra il ceppo prima che arrivasse lui. Nel suo cuore perse ogni timore: la tristezza e la paura gli si tramutarono in letizia”. Occorrono prudenza e pudore per avvicinarsi alla mente e al cuore di una grande mistica del Trecento. Troppo facile trascinarla sul lettino dello psicanalista e suggerire noi stessi le risposte alle nostre domande. A cinque anni, Caterina, ventiquattresima figlia del tintore Jacopo Benincasa, aveva avuto la prima visione: Cristo in abiti pontificali le era apparso, in una luce folgorante, sopra la chiesa di San Domenico fra i santi Pietro, Paolo e Giovanni. Da allora la sua vita fu di continuo visitata da visioni, dalle quali traeva forza, coraggio e quella «pazienza» di cui molto parlava, avvertendone il significato primo di patire. Il patire è connaturato all' uomo, pensava; quell'uomo di cui il Creatore si era innamorato al punto di vestirsi della sua stessa carne e spargere il proprio sangue per la sua salvezza. Il sangue era veicolo dell' amore, la sua emanazione. Il sangue è di continuo nella mente di Caterina. È il sangue di Cristo che redime e che si mescola con quello dell'uomo da lui creato. Nel sangue, creatura e Creatore si fanno una cosa sola. È insieme il sangue della sofferenza del Dio uomo e di quella dell' uomo, e quest'ultimo sangue è qualcosa che Caterina ben conosce nella realtà, poiché assiste i malati nel grande Spedale di Santa Maria della Scala. A sette anni Caterina aveva fatto il voto di castità, ma non aveva mai voluto prendere il velo delle domenicane, per non chiudersi in convento ed esercitare invece la carità in mezzo alla gente. Ne era così convinta, della sua missione, che in una visione le era stata affidata da Gesù in persona, da levarsi con l'audace certezza di una Giovanna d' Arco contro il Papa, i re, i potenti della Terra e da spendersi senza riserve in favore degli umili. Ancora oggi la cappella di Santa Caterina della Notte, nelle viscere dell' ospedale, conserva il giaciglio su cui la giovane si riposava, stremata dalle fatiche. Nell'ospedale, Caterina ha certamente visto più volte morire e ha confortato gli infermi nell' estremo cammino. Quando nel 1375 - la santa ha ventotto anni - le tocca di assistere non un malato terminale, ma un uomo come lei giovane, intelligente e attivo, un condannato a morte. È soltanto la fiducia nella carità, «la quale fa questo, che ella s'inferma con quelli che sono infermi, piagne con quelli che sono nel tempo del pianto del peccato mortale, e gode con quelli che godono», è solo questa sua abbondante risorsa a non far vacillare Caterina davanti a una prova sconvolgente. Ne è così profondamente scossa da trovare parole e atti che per un occhio moderno sono assai vicini a un transfert, mentre Caterina li vive come immedesimazione nel segno della «dolce carità».

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Il giorno dell' esecuzione, la giovane si accosta al ceppo e, «prima che giongesse elli, posimi e distesi el collo in sul ceppo». Che cosa si aspettava, Caterina, in questo gesto estremo? Lo dice con franchezza nella lettera che detta al suo direttore spirituale, il padre domenicano Raimomdo di Capua: «ma non mi venne fatto che io avessi l'effetto pieno di me». Aveva dunque sperato che le giungesse una visione rassicurante, che la togliesse dall'angoscia con lo spettacolo glorioso dell'accoglienza in cielo del condannato. La visione non le arrivò, l'«effetto» non fu pieno, malgrado la violenza di quella partecipazione. Nei colloqui con il prigioniero Caterina aveva avuto accenti di gioiosa speranza di fronte alla morte certa: «Confòrtati, fratello mio dolce, ché tosto giugneremo alle nozze. Tu n'andrai bagnato nel sangue dolce del Figliuolo di Dio, col dolce nome di Gesù...». E gli aveva promesso: «Io t'aspetterò al luogo della giustizia». A quali nozze pensava, e perché usava quel plurale «giugneremo» e collegava quelle nozze alla sua presenza presso quel ceppo che l'avrebbe così terribilmente attratta, qualche giorno dopo, poche ore prima dell' esecuzione? Può darsi - ma non sappiamo - che le tornasse l'immagine dell'altra Caterina, la santa di Alessandria, che nella prigione in cui il padre l' aveva tenuta si era unita in nozze mistiche con il piccolo Gesù. Il condannato sarebbe stato bagnato del sangue di Gesù e dunque perdeva la sua triste realtà terrena per trasfigurarsi. In lui Caterina si accingeva a vedere Gesù. La promessa di Caterina rincuorò il condannato. «Or pensate, padre e figliuolo, racconta a Padre Raimondo, che 'l cuore suo perdé ogni timore, la faccia sua si transmutò di tristizia in letizia; godeva, esultava e diceva: Unde mi viene tanta grazia, che la dolcezza dell' anima mia m'aspetterà al luogo santo della giustizia?». E subito dopo, quasi per sopire l'emozione ed esporre la redenzione ottenuta, commenta: «È giunto a tanto lume che chiama el luogo della giustizia luogo santo!». Dunque la mente del condannato non era oscurata. Anzi si era illuminata di «tanto lume» da convertire la propria decapitazione in un atto sacrificale. Caterina è presente all' esecuzione, come aveva promesso. E racconta: «La bocca sua non diceva se non Gesù, e, Catarina. E, così (egli) dicendo, ricevetti il capo nelle mani mie, fermando l'occhio della divina bontà e dicendo: Io voglio». Con queste parole - «Io voglio» - Caterina compie il miracolo. La testa mozza grondante che ha accolto ancora palpitante nelle sue mani e che inonda di sangue la candida veste di terziaria, si trasmuta nell'incontro finale con la carità. «Io voglio» è il grido d' amore che fugge dal petto e che risponde all' invocazione del morente: «Gesù, e, Catarina». La visione, prima negata, ora arriva: «allora si vedeva Dio-e-Uomo, come si vedesse la chiarità del sole». E Caterina continua il racconto, sollevandosi dalla terribile realtà terrena all' ineffabilità celeste. Il sangue del decapitato si confonde con quello del Cristo, il quale «stava aperto, e riceveva il sangue; nel sangue suo uno fuoco di desiderio santo». Così le apparve che il giovane partecipasse al «crociato amore» per il quale il Figlio di Dio aveva ricevuto «la penosa e obbrobriosa morte». Ne vide l' anima accolta nella ferita del costato del Crocifisso («nella buttiga aperta nel costato suo»).

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Niccolò di Tuldo da Perugia era stato condannato il 4 giugno del 1375 per aver portato zizaniam nella città di Siena. Invano Gerardo, abate di Marmoutiers, diocesi di Tours, scrisse da Perugia due volte alle autorità senesi per ottenere un supplemento d' indagine, perché i giudici accertassero la verità delle accuse. Di Niccolò non sappiamo altro. Sappiamo però che, se ha un posto nella storia della letteratura e della pietà, è solo perché fu «visto da lei». (…) Carlo Bertelli, Dissi: «Io voglio». E sul patibolo miracolo d' amore, articolo su Corriere della Sera, 27 agosto 2003 * (…) Nei santi molte esperienze di Dio si manifestano durante l’estasi mistica, (…) perché l’estasi è la conseguenza della contemplazione giunta a un grado di intensità elevatissimo, per cui il fenomeno estatico si produce come conseguenza naturale e inevitabile. Pertanto si può dire che (…) l’estasi è altamente santificante per chi la riceve; in mezzo a queste estasi ha luogo il fidanzamento spirituale, che altro non è che la promessa di Dio di portare l’anima fino all’unione trasformante o al matrimonio spirituale. È l’ultimo grado di orazione classificato dai mistici, quello dell’unione (…) con Dio, conosciuto appunto come “matrimonio spirituale”; esso costituisce (per dirla con un altro grande Dottore della Chiesa, santa Teresa D’Avila, che ha classificato bene tutto ciò) la settima mansione del “Castello interiore” e si designa altresì coi nomi di “unione consumata” e “deificazione dell’anima”. È pertanto questo l’ultimo grado di perfezione classificabile che si può raggiungere in questa vita e costituisce un preludio e una immediata preparazione alla beata vita della gloria. (…) Era l’ultimo giorno di carnevale del 1367, quando a santa Caterina da Siena apparve il Signore che le disse: Poiché tu hai voluto rinunciare a qualunque diletto del corpo, in cui quasi tutta la città è coinvolta, e hai preferito rivolgere a me tutto il tuo affetto, proprio in questo momento voglio sposare l’anima tua, che resterà così sempre unita a me con fede sincera, come già ti promisi, e ciò voglio fare in modo solenne. Allora vide la Regina del Cielo, Maria S.S., con San Paolo, San Giovanni Evangelista, con San Domenico e il Re David con in mano la cetra: mentre il Re David suonava, Maria S.S. prese la mano di Caterina e, stendendo le dita verso Gesù, lo pregò, secondo la sua promessa, di sposarla nelle fede perfetta. Allora Gesù, accogliendo la sua domanda, la sposò mettendole al dito anulare un bellissimo anello d’oro con quattro perle e nel mezzo un diamante, e disse: Ecco, io ti sposo a me nella fede perfetta, la quale sempre ti dovrai conservare intatta e incontaminata, fino alle tue nozze celesti, che si celebreranno con grande letizia e gloria. Intanto tu, figliola mia, d’ora in avanti farai tutte quelle cose che la mia provvidenza ti affiderà. Ormai, munita di fede invitta, come sei, potrai affrontare vittoriosamente tutti i tuoi avversari.

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Il fenomeno mistico della nostra Santa ci invita tuttavia ad andare oltre il simbolo sponsale: la realtà significata è infatti il livello stabile di unione di amore e di pensiero, in cui il diamante simboleggia la fede forte, perfetta, mentre le quattro perle simboleggiano la purezza d’intenzione, di pensiero, di parola e di azione. (…) Ma cosa voleva significare per Caterina essere Sposa del Signore? (…) Prima del matrimonio mistico, il Signore le aveva detto: Figliola, pensa a me; se lo farai, Io subito penserò a Te. Quel “pensa a me“ si rivolge dunque a un’attività interiore del mondo dello Spirito, dove si può attuare nel modo genuino l’incontro e la risposta di Dio, che è puro Spirito, (…) fino al matrimonio mistico, dunque fino all’unione trasformante. Cosa che accadde pienamente alla nostra Santa: la stimmatizzazione, avvenuta il 1° aprile 1375, durante la Messa, dopo aver ricevuto la Santa Comunione, conclude e compie l’itinerario di perfezione cristiana o di unione trasformante in Cristo, al punto che santa Caterina potrà fare sue le parole di San Paolo: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Padre A.Scarciglia, da La Patrona d'Italia e d'Europa, apr/giu 2009

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Dialogo della Divina Provvidenza Spirito Santo, vieni nel mio cuore, per la tua potenza tiralo a te, Dio vero. Concedimi carità e timore. Custodiscimi o Dio da ogni mal pensiero. Inflammami e riscaldami, o Signore, del tuo dolcissimo amore, acciò che ogni travaglio mi sembri leggero. Assistenza chiedo ed aiuto in ogni mio ministero, Cristo amore, Cristo amore.1 O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l’unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell’Unigenito Figlio! Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce. Io ho gusto e veduto con la luce dell’intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti. Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore ed io creatura; ed ho conosciuto perché tu me ne hai data l’intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura. O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità. Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d’amore ti sei dato agli uomini. Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità. Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza. Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna! dal Dialogo della Divina Provvidenza, Ringraziamento alla Trinità, cap. CVXVII, (libero adattamento I. Taurisano, Firenze, 1928)

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Santa Caterina, Preghiera allo Spirito Santo

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Come Dio promette di fare misericordia al mondo e a la sancta Chiesa col mezzo dell’orazione e del patire de’ servi suoi. (...) Tu dunque e gli altri servi miei traete della fontana della divina mia carità le vostre lagrime e i vostri sudori e con essi lavate la faccia della mia Sposa mia, ché Io ti prometto che con questo mezzo le sarà resa la bellezza sua. Non con coltello né con guerra né con crudeltá riavarà la bellezza sua; ma con la pace ed umili e continue orazioni, sudori e lagrime, gittate con anxietato desiderio de’ servi miei. E cosí adempirò el desiderio tuo con molto sostenere, gictando lume la pazienzia vostra nella tenebre degl’iniqui uomini del mondo. E non temete perché ‘l mondo vi perseguiti, ché Io sarò per voi, e in veruna cosa vi mancarà la mia providenzia. (Dialogo della Divina Provvidenza, cap. XV) * Libero arbitrio Così grande è la libertà dell'uomo e sì forte egli è divenuto per la virtù di questo Sangue glorioso, che né demonio, né creatura alcuna, possono costringerlo ad una minima colpa, se egli non voglia. Gli fu tolta la schiavitù e fu fatto libero. Il ponte Volendo rimediare a tanti vostri mali, vi ho dato il ponte, che è mio Figlio, affinché, passando il fiume, non annegaste. Il fiume è il mare tempestoso di questa vita tenebrosa. (..) Ti ho detto che esso si estende dal cielo alla terra, appunto per l'unione che io ho fatta nella natura umana, che avevo formato dal limo della terra. Questo ponte, che è l'Unigenito mio Figliuolo, ha in sé tre gradinate, delle quali due furono fabbricate sul legno della santissima croce; la terza, quando sentì la grande amarezza nel bere fiele e aceto. In queste tre gradinate conoscerai i tre stati dell'anima, che ti spiegherò di sotto. (..) Il primo scalone si spoglia del vizio, levando i piedi dall'affetto della terra; al secondo si empie di amore e di virtù; al terzo gusta la pace. (..) Questo ponte ha pietre murate, affinché venendo la pioggia, chi vi cammina non abbia impedimento. Sai quali pietre sono queste? Sono le pietre delle vere e reali virtù. (…) Chi non tiene per questa via, tiene di sotto per il fiume, che non è via fatta di pietre, ma di acqua. E poiché l'acqua non ha chi la trattenga, nessuno può andarvi senza annegare. Di tal fatta sono i piaceri e le condizioni del mondo

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Avarizia I cupidi e gli avari fanno come la talpa, che sempre si nutre di terra fino alla morte; (..) il ramo principale è la propria reputazione, da cui scaturisce il voler essere maggiore del prossimo; partorisce un cuore finto, un cuore non schietto né liberale, ma doppio, col quale l'avaro mostra una cosa con la lingua, mentre in cuore ne ha un'altra; occulta la verità, col dire bugie per propria utilità; germina pure l'invidia, la quale è un verme, che sempre lo rode e non gli lascia aver bene del suo bene, né di quello degli altri. Misericordia Aver supposto la sua miseria maggiore della mia misericordia: questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché con questo non vuole, ma spregia la mia misericordia. Esso mi è più gravoso di tutti gli altri peccati... Perciò la disperazione di Giuda mi dispiacque, e fu più grave al mio Figliuolo del tradimento da lui fatto. Desiderio Il vostro desiderio è infinito, altrimenti, se io fossi servito solo con cosa finita, nessuna virtù avrebbe valore e vita, perché io, che sono Dio infinito, voglio essere servito da voi con cosa infinita. D'infinito voi non avete che l'affetto e il desiderio dell'anima. Inganno E se mi dimandi: - Da che cosa si può riconoscere che la visione sia più del demonio che da Te? Io ti rispondo che il segno è questo: se il demonio viene nella mente a visitare l'anima in forma di luce, l'anima sente subito allegrezza al suo venire; ma quanto più vi sta, tanto più l'anima perde l'allegrezza, e nella mente rimangono tedio, tenebre e stimolo di curiosità, con un intimo offuscamento. Ma se invece, davvero visitata da me (Gesù), Verità eterna, l'anima sente timore santo al primo aspetto; poi, con quel timore riceve allegrezza e sicurezza insieme a una dolce prudenza, per cui, dubitando, non dubita; ma reputandosi indegna per il conoscimento che ha di sé, dirà: Io non son degna di ricevere la tua visita. Se non è degna, come può essere da me visitata? Perché si volge alla larghezza della mia carità, conoscendo e vedendo che a me è possibile di dare tal grazia, né guardo alla sua indegnità ma alla mia degnazione, che la fa degna di ricevermi per grazia e sentimento, perché non dispregio il desiderio, col quale mi chiama.

dal Dialogo della divina Provvidenza (redazione aggiornata del P.Angiolo Puccetti 1937, ed.Cantagalli, 1992)

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SECONDA PARTE: SANTA TERESA D’AVILA

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La vita Teresa nasce ad Avila il 28 marzo 1515 da don Alonso de Cepeda e donna Beatriz de Ahumada, assumendo il cognome della madre. Teresa è la sesta figlia di dodici nati dal matrimonio. Fin da piccola legge le vite dei santi, ma anche romanzi cavallereschi. Nel 1528 muore la madre. A questo punto il padre la affida alle monache agostiniane della città, come educanda, entrando nel 1531 ed uscendovene, perché si ammala, l'anno seguente. Lasciato il collegio si reca a casa dello zio Pedro Sánchez de Cepeda. Qui, circondata da affetto e cure, matura la sua vocazione religiosa, dichiarandola apertamente al padre nel 1533. Fugge di casa nel 1535 ed entra nel monastero dell'Incarnazione di Avila e veste l'abito religioso il 2 novembre 1536, con la professione solenne il 3 novembre dell'anno successivo. Una strana malattia la costringe a lasciare il convento e si ritrova a Becedas, condottavi dal padre. Da qui, dopo cure intense che la minano fisicamente e moralmente, ritorna ad Avila, quasi moribonda. Le sue condizioni sono al limite delle forze. Chiede di confessarsi, ma il padre le nega il permesso. Dopo un collasso, rimane in coma per quattro giorni. Si riprende, nonostante tutto, ma rimane completamente paralizzata. Chiede di essere ricondotta al monastero, ove rimane immobile per otto mesi e per altri tre anni non riuscirà quasi a muoversi. Solo nel 1543, quasi per miracolo, riesce nuovamente ad alzarsi e camminare. Nel dicembre 1543 muore il padre. Oltre a ciò si manifestano diverse malattie che permangono fino alla quaresima del 1554, in cui la vista di una statua dell'Ecce Homo la colpisce così profondamente da segnare l'inizio della sua nuova vita spirituale. L'idea di un nuovo monastero nasce intorno all'anno 1560-61. Prevede l'aggregazione di poche donne (undici o dodici) che si dedichino alla vita di preghiera, alla pratica della mortificazione e alla solitudine secondo la Regola primitiva dell'Ordine del Carmelo, consegnata agli eremiti del Carmelo dal patriarca di Gerusalemme, sant'Alberto, verso il 1210 ed approvata da papa Innocenzo IV nel 1247. Nonostante le opposizioni, nel febbraio 1562 arriva da Roma l'autorizzazione ad intraprendere le Fondazioni della progettata riforma. Il 24 agosto dello stesso anno si inaugura ad Avila il primo Carmelo riformato, intitolato a san Giuseppe. Nel 1567 fonda un secondo Carmelo a Medina del Campo ed incontra fra’ Giovanni della Croce, convincendolo ad abbracciare il nuovo stile di vita carmelitana. Nel novembre 1568, Giovanni della Croce e padre Antonio Heredia fondano a Duruelo il primo convento della Riforma maschile. Nascono, nonostante le difficoltà, diciotto monasteri fra Castiglia ed Andalusia. Nascono proprio qui alcune violente reazioni, al punto che il Capitolo generale, tenuto a Piacenza nel maggio del 1575, proibì a Teresa di fondare altre case e la obbligò a non uscire dal monastero di Toledo. Morto il nunzio Ormaneto, favorevole alla riforma proposta e realizzata da Teresa, il nuovo, Filippo Sega, che ritiene gli “scalzi” dei ribelli, ritorna alla precedente situazione. Giovanni della Croce, nel 1577, viene incarcerato a Toledo, nonostante l'intervento di Teresa presso il re, teso a chiedere la sua liberazione. Il tribunale 19


dell'Inquisizione accusa perfino lei, fino all’assoluzione definitiva del Breve di Gregorio XIII (Pia consideratione) del 22 giugno 1580, con il quale ottiene il riconoscimento della sua riforma. Ammalata gravemente, Teresa continua la sua missione fino alla sua morte, avvenuta il 4 ottobre 1582 ad Alba de Tormes dopo un lungo viaggio per l'ultima fondazione di Burgos. Muore fra le braccia di una monaca, mentre un mistico profumo avvolge la sua cella. Il 24 aprile 1614 viene beatificata da papa Paolo V. Diviene santa il 12 marzo 1622 ad opera di papa Gregorio XV. Il 27 settembre 1970, papa Paolo VI la riconosce Dottore della Chiesa con la Lettera Apostolica Multiformis Sapientia Dei. http://it.wikipedia.org/wiki/Teresa_d'%C3%81vila * Teresa de Cepeda y Ahumada nasce ad Avila (Castilla y León, Spagna) il 28 marzo del 1515 in una famiglia numerosa e benestante, da Alfonso Sanchez de Cepeda e da Beatrice de Ahumada, entrambi marrani, ebrei neoconvertiti al cattolicesimo. A dodici anni la madre, dalla quale aveva imparato a leggere, ad amare in particolare i romanzi cavallereschi e le vite dei santi, muore. Nel 1533, all'età di vent'anni, nonostante l'amore che la lega al padre, fugge da casa per ritirarsi nel convento delle carmelitane dell'Encarnacion di Avila, dove trascorre circa vent'anni di vita conventuale, sottomessa ad una regola che le consente di mantenere molti contatti mondani, dai quali in seguito prenderà le distanze. Più tardi lei stessa considererà questo periodo, precedente alla sua vera conversione, un tempo infausto e assai buio della sua vita. «Donna inquieta e girovaga, disubbidiente e contumace…» (Filippo Sega), la scelta del convento le sembrerà, per sua stessa ammissione, paradossalmente più libera di quella matrimoniale, ma in seguito affermerà di ritenere migliore la scelta delle giovani di sposarsi, piuttosto che quella di vivere in certi monasteri in cui regna l'immoralità (dal Libro della mia vita). Verso i quarant'anni, colpita da una malattia grave e misteriosa, rischia la morte. Guarisce poi miracolosamente, ma non del tutto, dedicandosi all'orazione e alla scrittura minuziosa di tutte le personali esperienze mistiche che costituiscono il tema principale della sua opera, cui giunge sempre su richiesta dei suoi padri spirituali o in vista dell'insegnamento alle sorelle del convento. A partire dal 1560, scontrandosi con l'autorità ecclesiastica, propone la necessità di una riforma dell'ordine che ripristini l'antico rigore della regola. Si dedica così alla riforma del Carmelo insieme a Giovanni della Croce e fonda il primo monastero delle Scalze nel 1562. Molte altre fondazioni seguiranno a questa. Morirà ad Alba de Tormes nel 1582, all'età di 67 anni, durante un viaggio a Burgos per la costituzione di un nuovo monastero. Canonizzata nel 1622, nel 1970 sarà nominata Dottore della Chiesa, divenendo una delle pochissime donne innalzate a questo onore.

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Ha scritto opere che rappresentano tutt'oggi un lascito di straordianaria importanza: Cammino di perfezione (1562-1573), Libro delle dimore (1576-1577) e Fondazioni del 1582. Ma l'opera di gran lunga più conosciuta rimane il Libro della mia vita (15621565). «Signore dell'anima mia, tu, quando pellegrinavi quaggiù sulla terra, non disprezzasti le donne, ma anzi le favoristi sempre con molta benevolenza e trovasti in loro tanto amore, persino maggior fede che negli uomini. Nel mondo le onoravi. Possibile che non riusciamo a fare qualcosa di valido per te in pubblico, che non osiamo dire apertamente alcune verità, che piangiamo in segreto, che tu non debba esaudirci quando ti rivolgiamo una richiesta così giusta? Io non lo credo, Signore, perché faccio affidamento sulla tua bontà e giustizia. (So che sei un giudice giusto e non fai come i giudici del mondo, per i quali, essendo figli di Adamo e in definitiva tutti uomini, non esiste virtù di donna che non ritengano sospetta). O mio Re, dovrà pur venire il giorno in cui tutti si conoscono per quel che valgono. Non parlo per me, poiché il mondo conosce la mia miseria. Vedo però profilarsi dei tempi in cui non c'è più ragione di sottovalutare animi virtuosi e forti, per il solo fatto che appartengono a delle donne». In queste parole forse è racchiuso (…) il primo impensabile anelito all’emancipazione femminile. Impensabile perché espresso da una donna del Cinquecento, volontariamente rinchiusa in un monastero di clausura e che, pur dotata di una prorompente personalità innovatrice (…), ha trovato nell’ortodossia ecclesiastica il modo per esprimersi pienamente e per raggiungere vette di sapienza umana e religiosa mirabilmente incise in opere altrettanto grandi sul piano squisitamente letterario. Nel Libro della mia vita, forse la sua opera più importante, sia sotto l’aspetto religioso che artistico, Teresa si mostra come una donna dal carattere focoso (i primi peccati di cui si accusa sono quelli contro la “purezza” e spesso si rivolge a Maria Maddalena), eccitabile, fantasioso, indomito; di poca salute, ma dalla volontà saldissima. Tutta l’opera - indirizzata a Padre Garcìa de Toledo - e da questi sollecitata- si rivelerà, nel procedere, diretta a mostrare il cammino faticoso di conversione compiuto dalla Santa, ma anche una sorta di autodifesa dalle accuse mosse contro di lei da una parte della Chiesa a proposito delle sue esperienze di “estasi” e di “trasporti” mistici. Molte anche le dichiarazioni (…) contro ogni formalismo e bigottismo: «...giacché non sono mai stata amante di certe devozioni praticate da alcune persone - specialmente donne con cerimonie che io non ho mai potuto soffrire….». E certamente provocatori, non solo in quel contesto storico e sociale, appaiono gli incitamenti ad amare Cristo nella sua interezza e quindi anche nella sua umanità “fisica”: «Immaginati di essere alla presenza di Cristo: impara a innamorarti molto della sua Umanità e a portarlo sempre con te, a parlare con Lui, a chiedergli aiuto per le tue necessità, a lamentarti con Lui dei tuoi problemi, a rallegrarti con Lui nei momenti di gioia, senza ricorrere a preghiere complicate, usa invece parole semplici». Altro singolare tratto di modernità di Teresa è senza dubbio l’amore mai interrotto per la lettura, consolazione e guida di tutta la vita: dapprima vissuta dolorosamente come 21


sviamento dai propositi di santità e, solo in seguito, come incitamento alla meditazione, luce e conforto negli anni difficili dello sbandamento spirituale: «…avendo sempre amato le lettere, anche se gran danno spirituale mi fecero i confessori pseudo letterati….Un vero dotto non mi ha mai ingannato»; e ancora: «… perché se mi avessero vietato l’aiuto del libro, credo che mi sarebbe stato impossibile durare diciotto anni in questo travaglio e in questa aridità, per incapacità, come dico io, di ragionare». La forma letteraria del Libro della mia vita può essere considerata quella del soliloquio, espressa nel discorso diretto, talvolta rivolto a Dio, altre all’ideale lettore e discepolo, ma spesso anche modernamente risolto in una sorta di spietata autoanalisi, lucida, cruda, eppure – sorprendentemente - mai mortificatoria. L’umanità e la femminilità di Teresa, infatti, non si annullano nell’amore per il Cristo, ma in esso si esaltano e si moltiplicano. (…) «La vita di Teresa, scritta da lei stessa, è il libro più profondo, più pregnante, più penetrante che esista nella letteratura europea…Tutto in queste pagine, senza vesti profane, senza coloriture o esteriorità, ma puro, denso, schietto, possiede drammaticità, interesse, ansietà tragica…» (J.Martìnez Ruiz). Non letterata, non poetessa, non erudita, non moderna né “classica”, eppure sempre “contemporanea”, universale, scrittrice appassionata ed elegante, autrice di versi e lettere gravide d’emozione, Teresa D’Avila, al di là della particolarissima posizione che le compete nell’ambito della storia della Chiesa cattolica e nell’iconografia cristiana, dovrebbe sempre essere presa in considerazione per la realtà paradigmatica che incarna: quella di donna perennemente innamorata della propria femminilità, e della virilità dell’”uomo” Cristo. Sempre e soprattutto donna: in ogni momento della sua esperienza mondana come in quella di “convertita” e, infine, solo successivamente nelle vesti di Santa e Dottore della Chiesa. Margaret Collina Milano, 2 gennaio 2002 http://www.italialibri.net/appendice/0102-1.html

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La via mistica Teresa d’Avila è una personalità che merita di essere considerata con attenzione da chiunque abbia interesse per la vita spirituale. Certo, un cristiano troverà nelle sue opere un linguaggio che gli è più familiare di altri, ma anche un buddhista o un induista, o chiunque altro, se vorrà cogliere il fondo del suo messaggio, troverà qualcosa di utile alla sua pratica, soprattutto dal punto di vista psicologico. Teresa è stata infatti, come lei stessa ci dice alla fine dell’autobiografia, una grande maestra spirituale, con una pratica di insegnamento affinata per tutta la vita. La prima cosa che colpisce è la sua personalità, molto poco corrispondente alla visione edulcorata che la tradizione agiografica stende come un sudario su tutti i grandi canonizzati, col risultato di renderli lontani e inaccessibili, anziché farne modelli di vita per tutti. La chiesa sembra escludere l’idea che un santo possa sbagliare, cioè che possa essere umano, e così ogni volta che Teresa denuncia serenamente le sue colpe e le sue manchevolezze, troviamo a pie’ di pagina la nota di un pio commentatore impegnato a testimoniare con fervore che si sa bene che “non commise nessun peccato mortale”. (…) Meriterebbe un cenno particolare, per cogliere meglio la personalità di Teresa, anche un suo dono specifico, che fu quello della relazione interpersonale, in particolare la sua capacità di affetti profondi, di devozioni assolute, di slanci che la portavano in estasi, tutti segni del suo carattere impulsivo, generoso, poco incline a rispettare le forme stereotipate della vita monastica: ma il discorso sarebbe lungo e ci distoglierebbe dal dedicare tutta l’attenzione a quello che ella chiamò “il metodo di orazione”, cioè la pratica seguita per giungere al momento culminante dell’“unione trasformante”. Nella sintesi che segue terremo conto, dunque, soprattutto di ciò che può maggiormente interessare un praticante di meditazione. (…) Le prime considerazioni riguardano due fatti: il primo è che questo tipo di lavoro interiore non è per tutti e che occorre una predisposizione, il secondo che è necessario un certo tipo di sforzo, maggiore all’inizio e sempre più leggero man mano che si procede, fino a cessare del tutto nel grado più alto. Questo lavoro consiste essenzialmente nel cercare di calmare l’irrequietezza della mente che è data, nel linguaggio classico di Teresa, dalla dispersione delle potenze, o facoltà, dell’anima: intelletto, memoria e volontà (noi potremmo dire, con un linguaggio oggi più accessibile: pensieri, ricordi e affetti). Tutto dunque nasce dall’osservazione, tipica dei mistici di tutti i paesi, che queste facoltà normalmente non sono soggette a controllo e, agendo a loro piacere, mantengono la psiche in stato di agitazione e di disordine, rendendo impossibile ogni tentativo di instaurare la pace e la calma interiori. Più precisamente, si potrebbe dire che lo stato disordinato in cui si trovano impedisce l’accesso a quel ‘fondo’ dell’anima (…) in cui regna sempre la quiete divina. 1. Raccoglimento, prime “stazioni”, prima acqua Per ottenere questo risultato, lo sforzo iniziale consiste nel ‘raccoglimento’, che è un modo per tenere occupata la mente su un unico oggetto, evitando che si disperda come fa di solito. L’oggetto, indicato da Teresa, è in realtà più d’uno, ma questi si possono ridurre a tre o quattro principali. 23


Al primo posto possiamo mettere quello più tradizionale per un cristiano, che è la meditazione, ossia l’attenta osservazione di un episodio importante della Scrittura, come per esempio la passione di Cristo. (…) Un altro metodo consiste nella lettura di un libro, soffermandosi di tempo in tempo su qualcosa che attragga in modo particolare l’attenzione, oppure nella meditazione di una propria mancanza o difficoltà, e infine nella contemplazione della natura. Per me bastava anche la vista dei campi, dell’acqua e dei fiori. 2 Poiché però sappiamo che questi inizi sono caratterizzati da sforzo, dobbiamo pensare che si debba esercitare una buona dose di volontà per mantenere l’attenzione concentrata il più possibile sull’oggetto prescelto: scegliendo una metafora che le è cara, Teresa dirà che all’inizio della via si è simili a un giardiniere che attinga faticosamente l’acqua dal pozzo per innaffiare il giardino. In questa prima fase non mancano osservazioni rivolte ai principianti, che meritano, per l’acume con cui sono formulate, la dovuta attenzione. In particolare, viene segnalata l’importanza del fare tutto con leggerezza e allegria, senza cercare di soffocare i propri desideri, anche quando sono semplici e umanissimi desideri di riuscita nel cammino intrapreso; inoltre la raccomandazione di non affidarsi in maniera acritica ai maestri spirituali (“oggi così rari e così pochi di numero”) - detta proprio da lei che si affidò totalmente ad alcuni di essi - mette in luce il fatto che il suo entusiasmo non fu mai disgiunto da una sicura capacità di giudizio. (…) Infine, meritano di essere ricordate, per una loro universale opportunità, alcune raccomandazioni. La prima è quella di non credere che giovi al raccoglimento avere tutto quello che può sembrare necessario, in termini di silenzio o di ambiente adatto, sotto pretesto che le cure temporali disturbino l’orazione. La seconda, notevolissima per il suo anticonformismo, esprime diffidenza verso certi slanci comuni ai principianti: Quando non sapevo ancora come correggere me stessa, desideravo grandemente di fare del bene agli altri: tentazione molto comune ai principianti e che a me riuscì assai bene. Appena si è cominciato a gustare la pace e i vantaggi dell’orazione, si desidera che tutti si facciano spirituali. 3 (…) Per semplicità tralascio i particolari che riguardano alcune distinzioni graduali in questa prima fase del raccoglimento: Teresa la divide in tre livelli, nei quali è possibile esaminare diverse forme delle prime difficoltà, come la tentazione di rinunciare e l’aridità interiore, quando sembra che anche gli sforzi non abbiano effetto di alcun genere e il principiante si sente depresso e smarrito.4 (…) E passiamo ora allo stadio successivo, che è quello della ‘quiete’. 2. Quiete, quarta “stazione”, seconda acqua 2

S. Teresa di Gesù, Opere, Roma, Postulazione generale O. C. D., 1997, p. 102. Ib., pp. 84, 131. 4 Questi diversi stadi sono chiamati, nel Castello interiore, col termine spagnolo di moradas, cioè di soste o tappe; nelle edizioni italiane più recenti è invalso l’uso di chiamarle ‘mansioni’, dal latino del Vangelo di Giovanni (14, 2), espressione di senso piuttosto dubbio in italiano, che rischia il fraintendimento. Credo perciò che sarebbe meglio tradurre con ‘stazioni’, usando il termine con cui si traduce in genere l’espressione analoga usata nel sufismo, il misticismo musulmano, che poteva non essere del tutto ignoto a Teresa, non foss’altro che per ragioni di contiguità geografica e ambientale (il regno di Granata era caduto solo 23 anni prima che lei nascesse). 3

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Questa tappa intermedia del percorso si caratterizza, come dice il termine che la designa, per una notevole ‘sospensione delle potenze’. In realtà, però, l’unica che è veramente in quiete e non subisce più distrazioni è l’affettività (nel linguaggio tradizionale la ‘volontà’), perché, senza alcuno sforzo, è tutta concentrata sull’oggetto contemplato. Questo stato di grazia dà un senso di pienezza e di pace, non disturbato dal fatto che pensieri e ricordi (‘intelletto’ e ‘memoria’) continuino a occupare la mente, ma l’attenzione li lascia trascorrere senza soffermarsi e senza distogliersi dall’oggetto contemplato. Si tratta dunque già di uno stato assai speciale a cui moltissimi sono in grado di arrivare, come Teresa ci dice, anche se ben pochi riescono poi a superarlo per andare oltre. Quello che occorre, però, è un po’ di fiducia in sé, “un’umile e santa presunzione” di riuscita. (…) Quello che in realtà lo rende prezioso è la funzione di purificazione che comporta e sulla quale molto insiste Teresa: L’acqua che qui il Signore concede contiene grandi tesori e favori preziosi, e fa crescere in virtù in modo incomparabilmente maggiore che non nello stato precedente. L’anima va spogliandosi delle sue miserie e acquistando qualche conoscenza delle delizie del cielo. E mi pare che questo la faccia maggiormente progredire… Arrivati a questo punto, si perde l’avidità delle cose terrene, sino a non trovare in esse più alcuna soddisfazione… Credo impossibile tanta felicità nelle gioie della terra. In esse vi è sempre qualche cosa che contrasta, mentre qui non vi è che contento. 5 L’acqua cui allude qui Teresa appartiene alla già menzionata metafora. In questa fase la fatica è molto minore, perché il giardiniere si avvale di una ruota, grazie alla quale attinge con maggiore facilità. Si tratta dunque di un esercizio che progressivamente affina l’interiorità, senza che sia necessario fare uno sforzo diretto in tal senso. Lo sforzo, cioè, non è teso a esercitare questa o quella virtù, ma si concentra nell’‘orazione’, dopo di che la virtù si fa strada nel cuore, come naturale conseguenza dell’‘orazione’ stessa. Dirà più avanti a questo proposito: Credo che molte anime cadano in errore pretendendo di volare prima che il Signore dia loro le ali… Esse cominciano con grande fervore e desiderio, assolutamente decise a progredire in virtù… ma si scoraggiano appena vedono cose di maggior perfezione concesse da Dio a chi è più innanzi… oppure appena leggono nei libri di orazione e contemplazione che per salire a tanta dignità si devono fare delle cose che esse non hanno la forza di praticare. Quei libri, ad esempio, insegnano di non curarsi se alcuno dice male di noi, ma di goderne, anzi, più che di una lode; di non stimare l’onore, di staccarsi dai parenti fino a sentir disgusto di stare con essi se non sono di orazione, e altre cose del genere che, a mio parere, sono un puro dono di Dio, perché soprannaturali o contrarie alle nostre inclinazioni naturali… Quelle anime non si affliggano, ma confidino in Dio e… continuino nell’orazione. 6(…) 3. Unione ordinaria, quinta “stazione”, terza acqua, “incontro” Questa fase è caratterizzata da pochissimo sforzo e, se riferita alla metafora dell’acqua, è paragonata alla facilità con cui il giardiniere lascia che un canale irrighi un 5 6

Ib., p. 142. Ib., pp. 311s.

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giardino o, secondo un’altra metafora assai cara a Teresa, al momento del primo incontro in una relazione tra due amanti. Qui si può parlare con maggior esattezza di ‘sonno delle potenze’, anche se non si tratta ancora di un sonno completo. Le fantasie, infatti, sono presenti come ‘farfallette notturne’, quindi non disturbano quasi affatto la concentrazione, ma quel che è più caratteristico è che si assiste alla presenza di un doppio regime, per così dire: da un lato infatti si fruisce di quella sospensione e dello stato di silenzio e quiete profonda a esso collegati, dall’altro però è possibile, se si vuole, condurre le attività della vita ordinaria senza che quello stato sia interrotto. È un preludio, si potrebbe dire, al momento finale del percorso, a una situazione cioè in cui il mutamento si è verificato così in profondità che tutta la vita, e non soltanto certi momenti, sono illuminati e accompagnati dalla continua presenza dello Spirito, come meglio vedremo. (…) 4. Unione estatica, sesta “stazione”, quarta acqua, fidanzamento spirituale Prendendo a prestito un termine sanscrito ben noto, questo potrebbe chiamarsi il momento in cui Teresa raggiunge il più profondo samadhi. Ascoltiamo come lei stessa ne parla: Qui non vi è che un sentimento: quello della gioia, senza sapere di che. Si sente di godere un bene che ha in sé ogni bene, ma senza comprenderlo. Tutti i sensi sono assorbiti in questo gaudio, e nessuno può occuparsi di altre cose, esterne o interne… Aggiungo che se è unione di tutte le potenze, l’anima non può occuparsi di nulla, neppure volendolo. Anzi, se lo potesse, non sarebbe unione…7 Si tratta dunque di uno stato di totale assorbimento, o di estasi, che dura non più di una mezz’ora e non sempre con la stessa intensità, perché le ‘potenze’ dell’anima tendono a riprendere il sopravvento, anche se vengono sempre di nuovo tacitate dalla potenza che sola resta sempre nello stato di quiete, cioè la volontà, come abbiamo già visto. Le metafore teresiane che descrivono questa sesta ‘stazione’ sono quelle del ‘fidanzamento’ e della ‘quarta acqua’, cioè la pioggia, che arriva per decisione del cielo, senza che il giardiniere faccia il minimo sforzo per procurarsela, simile anche a un’onda, che trasporta irresistibilmente una barca. Poiché a questa stazione estatica sono legati i fenomeni più mirabolanti, capita che molti conoscano S. Teresa solo per questo, con grave pregiudizio del vero valore del suo insegnamento. (…) È proprio Teresa, del resto, a farci notare che i fenomeni in sé non sono importanti, che anzi possono trarre in inganno (…) per essere legati a insani fenomeni psichici, come le ‘possessioni’. Ma a parte le esplicite affermazioni in questo senso, molto di più colpisce il fatto che la ‘stazione’ dell’unione estatica non rappresenta il grado massimo dell’itinerario, ma è soltanto la penultima, la sesta: (…) a quella conclusiva Teresa dedicherà, nel Castello interiore, tutto lo spazio che le compete come settima e suprema, trovandosi al centro di quel castello, che è l’anima, dove risiede la presenza stessa di Dio. 7

Ib., p. 170.

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5. Unione trasformante, settima “stazione”, matrimonio spirituale Che dopo l’estasi, dove già si è sperimentata la pienezza dell’unione mistica, venga uno stato ulteriore e più alto, nel quale è possibile svolgere, nel normale possesso di tutte le facoltà, le azioni della vita quotidiana, è qualcosa che a prima vista può sorprendere, ma che trova in realtà un riscontro degno di nota in altre importanti tradizioni: si possono fare almeno due esempi che ci permettono di capire meglio l’esperienza descritta da Teresa. Il pensiero va in primo luogo ai mistici musulmani, i sufi, che distinguono due ‘stazioni’ alla fine del percorso. Quella più nota si chiama fana, estinzione, che allude al dissolversi della personalità individuale nella totalità dell’essere e nell’unione con Dio. Addirittura certe scuole, nel timore che fana possa intendersi come una rinuncia a sé che conservi un residuo di egocentrismo ascetico, preferiscono parlare di fana an-al- fana, cioè di estinzione dell’estinzione. Ma proprio qui, quando sembra che non ci sia spazio per nient’altro, ecco comparire una nuova ‘stazione’, chiamata baqa, cioè esistenza, un ritorno all’esistenza nel mondo e per il mondo. Non troppo dissimile sembra il senso delle due ultime illustrazioni Zen della ricerca del bue: anche qui, al dissolversi dei due, bue e pastore, nell’unione, segue il ritorno tra la gente, nella piazza del mercato, con le mani aperte. (…) Vediamo ora alcuni particolari più significativi, relativi a questa settima e ultima stazione. Qui dunque non ci sono più né estasi né rapimenti, ma anzi il preciso riconoscimento che tutti i gradi di ‘orazione’ precedenti avevano come unico scopo quello di introdurre l’anima a quest’ultima ‘stazione’. Ciò che infatti caratterizza il matrimonio mistico è una piena intuizione dell’essenza di Dio. Teresa usa la parola ‘visione’ precisando molto bene, come fa sempre, che essa non ha nulla di immaginativo né di sensoriale (dice sempre che “non vedeva nulla”), né di intellettuale nel senso logico-discorsivo del termine. Nel linguaggio psicologico non resta dunque che il termine ‘intuizione’ per definire una cosa del genere. Una volta avuta quest’esperienza, sembra a Teresa che la presenza di Dio non l’abbandoni più, e che risieda nella parte più intima di se stessa, come in un abisso molto profondo che per difetto di scienza non sa definire… 8 …In essa infatti (l’anima) trova un grande aiuto per avanzarsi in perfezione… infatti quella persona (Teresa) si trovò migliorata in ogni cosa, persuasa che l’essenziale della sua anima non si muovesse più da quella stazione, per pene e affari che avesse. 9 Per rendere più accessibile il discorso, si serve del paragone secondo cui l’unione ordinaria (cioè la quinta stazione) può essere simile alla fiamma unita di due candele avvicinate, che in qualunque momento possono essere allontanate, mentre l’unione trasformante è come l’acqua di un fiume che è sfociato nel mare, o la pioggia in un fiume, o la luce che entra da due diverse finestre.

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Ib., p. 939. Ib., p. 940.

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(…) Dobbiamo dunque immaginare che l’ingresso nella settima stazione costituisca come un concreto e ormai indistruttibile nucleo di pace all’interno di sé: un nucleo che si esprime nella sensazione-percezione della Presenza come “vita” e come “sostegno” (“O Vita della mia vita! O Sostegno che mi sostieni”). Prezioso per la comprensione è anche un ulteriore accenno all’effetto che i dolori della vita hanno su chi è arrivato a questo livello: No, sorelle, neppure queste anime van senza croce. Però non si angustiano, né perdono la pace. Tutto passa rapidamente come un’onda, o come una tempesta a cui segua la bonaccia. La presenza del Signore che portano con sé fa dimenticare loro ogni cosa. 10 (…) Mi sembra bello concludere, a questo punto, con un passo dell’autobiografia, in cui Teresa descrive con commovente efficacia la propria vita di unione e di pace, sottolineando in particolare l’ormai raggiunto distacco: Essendo così lontana dal mondo e in compagnia così piccola e santa, vedo ogni cosa come da un’altura, per cui poco mi curo di ciò che si dica o si sappia di me. Più che delle chiacchiere a mio riguardo mi interesso di ogni più piccolo progresso che un’anima possa fare… La vita mi è divenuta come una specie di sogno, e sogno mi sembra tutto quello che io vedo. Non sento più né grandi gioie, né grandi afflizioni. E se talvolta ne provo ancora, è solo per poco tempo, tanto da meravigliarmene io stessa, rimanendomene poi con l’impressione come di una cosa sognata. 11 Franco Michelini Tocci, Alcuni insegnamenti di Santa Teresa d’Avila http://digilander.libero.it/Ameco/sati011/franco.htm

10 11

Ib., p. 955. Ib., pp. 431s.

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Il castello interiore Secondo santa Teresa d'Avila, l'anima e' un maestoso castello, che visto gia' dall'esterno ha un aspetto spettacolare. Tante persone, infatti, si accontentano di guardarlo da fuori, perche' non hanno la chiave per accedervi. Attorno al castello si aggirano tantissimi animaletti, di natura e specie diverse, che rappresentano tutti i vizi e le impurita' dell'anima. E tante persone vivono bene in mezzo a tali animaletti, senza preoccuparsi di cosa potra' mai celare un cosi' bello e maestoso castello. Ci sono pero' delle persone che decidono di entrare, ma per poterlo fare occorre disporre di un'unica chiave: la preghiera. Essa non e' semplicemente un recitare mnemonicamente delle frasi, in cui non si sa con chi si sta parlando e non si ha lo spirito rivolto verso l'Interessato, bensi' trattasi di un dialogo a tu per Tu con il Creatore. E' un incontro d'amore tra due persone, che si amano e si vogliono conoscere sempre piu' a fondo. Quando l'anima ha capito cio', e' in grado di entrare nel castello... (‌) Si e' detto che l'anima e' un maestoso castello, a cui si puo' accedere con un'unica chiave, che e' la preghiera. Questo meraviglioso castello e' composto da sette dimore principali, a cui l'anima accede gradatamente, passo dopo passo, compiendo un cammino di purificazione interiore. Nella prima dimora, l'anima e' ancora molto spaesata e soprattutto e' ancora molto attaccata ai vizi di questo mondo e non e' in grado di vedere lo splendore delle pareti di questa prima stanza, perche' insieme con lei entra una tal quantita' di animaletti provenienti da fuori, che tutte le bellezze del castello appaiono ancora oscurate. Se pero' l'anima persevera nella preghiera, riesce ad oltrepassare questa prima dimora ed attraversare via via tutte le altre. L'arma fondamentale da usare per vincere le tentazioni e proseguire nel cammino spirituale è sempre e solo la preghiera. (‌) Man mano che l'anima procede nella scoperta del suo castello interiore, sempre piu' viene purificata e sempre piu' si accorge che il Padrone di questo castello non e' altro che Colui che santa Teresa definisce Sua Maesta': Dio. Questa e' una realta' sconvolgente, perche' santa Teresa afferma che Dio e' dentro di noi, e' il sovrano del castello. Quindi non occorre cercarLo in posti sconosciuti, chissa' dove, perche' Dio e' dentro di noi e abita la nostra anima. Non a caso il Signore Gesu' dice queste parole: "...e noi verremo ad abitare presso di lui...". Cio' e' riferito al fatto che chiunque decide di entrare in questo maestoso castello, incontra il Sovrano, che e' niente poco di meno che Dio stesso in persona. Ecco perche' e' cosi' importante amare il prossimo, perche' dentro di lui, come dentro di me, e' presente Dio. E questo non e' affatto panteismo (vedere Dio in tutte le cose), ma e' il semplice frutto dell'amore di Dio per l'uomo, Dio che per primo ha amato l'uomo, cosi' tanto da dare la Sua Vita per lui. E l'uomo deve solo accogliere e rispondere a questo grande amore che e' gia' dentro di lui... Il castello interiore di Santa Teresa d'Avila di Angelica Lo Duca http://piccolosole.blogspot.com/2008/09/il-castello-interiore-di-santa-teresa.html

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* “Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo. (...) al centro, in mezzo a tutte, vi è la stanza principale, quella dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l'anima. Dobbiamo ora vedere il modo di poter entrare. Sembra che dica uno sproposito, perché se il castello è la stessa anima, non si ha certo bisogno di entrare, perché si è già dentro. (...) Però dovete sapere che vi è grande differenza tra un modo di esservi e un altro, perché molte anime stanno soltanto nei dintorni, (...) senza curarsi di andare innanzi, né sapere cosa si racchiuda in quella splendida dimora, né chi l'abiti, né quali appartamenti contenga. Se avete letto in qualche libro di orazione consigliare l'anima ad entrare in se stessa, è proprio quello che intendo io. Per quanto io ne capisca, la porta per entrare in questo castello è l'orazione e la meditazione. (…) Ritorniamo dunque al nostro castello e alle sue molte mansioni. Non dovete figurarvi queste mansioni le une dopo le altre, come una fuga di stanze. Portate il vostro sguardo al centro, dove è situato l’appartamento o il palazzo del Re. Egli vi abita come in una palmista, di cui non si può prendere il buono se non togliendo le molte foglie che lo coprono. Così qui: intorno e al di sopra della stanza centrale, ve ne sono molte altre, illuminate in ogni parte dal Sole che risiede nel mezzo. Le cose dell’anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, perché la capacità dell’anima sorpassa ogni umana immaginazione. Importa molto, dunque, che un’anima di orazione, a qualunque grado sia giunta, venga lasciata libera di circolare come vuole, in alto, in basso e ai lati, senza volerla incantucciare e restringere in una stanza sola. Poiché Dio l’ha fatta così grande, non obblighiamola a rimaner troppo nello stesso posto, sia pure nel proprio conoscimento… (…) Non so se mi spiego bene: è tanto importante conoscerci, che in ciò non vorrei vi rilassiate, neppure se foste già arrivate ai più alti cieli, perché mentre siamo sulla terra non vi è cosa più necessaria dell’umiltà. (…) Quelli dunque che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all'acqua della fonte. Essendo vicinissimi al focolare, basta un minimo soffio dell'intelletto perché si infiammino d'amore, già disposti come sono a ciò, trovandosi soli con il Signore, lontani da ogni oggetto esteriore. Per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento, si deve agire non a forza di braccia ma con dolcezza. Quando il raccoglimento è sincero, l'anima sembra che d'improvviso s'innalzi sopra tutto e se ne vada, simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico si rifugia in una fortezza: dovete sapere tuttavia che questo raccoglimento non è una cosa soprannaturale, ma un fatto dipendente dalla nostra volontà e che noi possiamo realizzare con l'aiuto di Dio. (…) Esiste poi un raccoglimento che mi sembra soprannaturale. Non consiste né nel mettersi all’oscuro, né nel chiudere gli occhi: tuttavia gli occhi si chiudono e si 30


desidera la solitudine. Allora, a quanto sembra, si costruisce, senza alcuna fatica, il palazzo dell’orazione di cui ho parlato: i sensi e le altre cose esteriori sembrano rinunciare ad ogni loro diritto, per dar modo all’anima di ricuperare i suoi che ha perduti. (…) Ma non crediate già che questo raccoglimento si ottenga col lavoro dell’intelletto, sforzandosi di pensare a Dio dentro di noi, né con quello dell’immaginazione, rappresentandocelo in noi. Questo sarà un ottimo ed eccellente metodo di meditazione, perché fondato sulla verità dell’inabitazione di Dio, ma non è quello che intendo dire, perché, dopo tutto, è sempre una cosa che con l’aiuto del Signore può essere fatta da chiunque. (…) Quello di cui parlo è diverso. Talvolta, ancor prima che abbiamo incominciato a pensare a Dio, proviamo in modo assai marcato un’impressione soave di raccoglimento… La cosa non dipende dalla nostra volontà: non ha luogo che quando Dio vuol farci questa grazia. Sono dell’opinione che Dio sceglie per accordarla persone che hanno rinunciato alle cose del mondo e le invita a darsi in modo speciale alle cose interiori, anime che Egli stesso evidentemente chiama ad ascendere più in alto. (…) Benché dunque non si parli che di sette mansioni, ognuna di esse si suddivide in molte altre, collocate in basso, in alto e ai lati, con bei giardini, fontane ed altre cose così deliziose da farvi bramare di struggervi tutte, in lode a quel gran Dio che le ha create a sua immagine e somiglianza. (…) Pensando alla vostra stretta clausura, ai pochi motivi d'intrattenimento che avete, e come in certi monasteri difettiate pure di uno spazio conveniente, mi pare, sorelle, che vi debba essere di conforto potervi ricreare in questo Castello interiore, nel quale vi è lecito entrare e passeggiare in qualunque ora senza il permesso della Priora. Certo, con le vostre sole energie non potete entrare in tutte le sue mansioni, neppure se vi sembra di essere assai forti, a meno che non v'introduca lo stesso Signore del castello: perciò, se incontrate resistenza, vi consiglio di starvene tranquille, per non disturbarlo in tal maniera da chiudervene per sempre l'entrata. Allora, recandovi in esse frequentemente, lo potrete servire così bene da meritare che v'introduca nella sua stessa mansione, da cui non uscirete mai più (…). E se per obbedienza doveste star fuori molto tempo, al vostro ritorno vi farebbe sempre trovare aperta la porta. E abituate che foste a riposarvi nel castello, la sola speranza di ritornarvi e che nessuno vi può togliere - vi renderebbe leggera ogni cosa, anche se molto dura. Se in questo che ho scritto troverete qualche cosa di buono, credetemi: l'avrà dettato il Signore a vostra consolazione. Io non vi ho aggiunto che il difettoso. A gloria di Dio che vive e regna per tutti i secoli! Amen.” (liberamente tratto dal Castello interiore di santa Teresa d’Avila)

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Pensieri Nada te turbe, nada te espante. Quien à Dios tiene nada le falta, solo Dios basta. Todo se pasa, Dios non se muda, la paciencia todo la alcanza. 12 Preghiera L'orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente intrattenimento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d'essere amati. ... la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l'orazione. Se Dio vuole entrare in un'anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo. Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando. ...nel cominciare il cammino dell'orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succedere, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presentano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero. Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente: la continua conversazione con Cristo aumenta l'amore e la fiducia. Immagini devozionali Buon mezzo per mantenersi alla presenza di Dio è di procurarvi una sua immagine o pittura che vi faccia devozione, non già per portarla sul petto senza mai guardarla, ma per servirsene ad intrattenervi spesso con Lui ed Egli vi suggerirà quello che gli dovete dire. Dialogo don Dio Se parlando con le creature le parole non vi mancano mai, perché vi devono esse mancare parlando con il Creatore? Non siate così semplici da non domandargli nulla! Chiedetegli aiuto nel bisogno, sfogatevi con Lui e non lo dimenticate quando siete nella gioia, parlandogli non con formule complicate ma con spontaneità e secondo il bisogno.

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Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. A chi è vicino a Dio non manca nulla, Dio solo basta. Tutto passa, Dio non cambia, La pazienza ottiene ogni cosa ( Santa Teresa di Gesù, Poesia, 9)

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Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande: credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde. Letture spirituali A chi batte il cammino della preghiera giova molto un buon libro: per molti anni, a meno che non fosse dopo la Comunione, io non osavo cominciare a pregare senza libro. Per me bastava anche la vista dei campi, dell'acqua, dei fiori: cose che mi ricordavano il Creatore, mi scuotevano, mi raccoglievano, mi servivano da libri. Godevo spesso di considerare la mia anima sotto la figura di un giardino e immaginarmi il Signore che vi prendesse i suoi passeggi. Allora lo pregavo di voler aumentare il profumo dei piccoli fiori di virtù che sembravano li per sbocciare e rinforzarli per amore della sua gloria, giacché nulla io volevo per me. Lo pregavo pure di tagliare quelli che voleva, sicura che sarebbero ricresciuti più belli (...). Bisogna far poco conto della nostra miseria, che è meno di nulla: allora l'anima progredirà in umiltà, e i fiori torneranno a sbocciare. Raccoglimento Quelli che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all'acqua della fonte. Essendo vicinissimi al focolare, basta un minimo soffio dell'intelletto perché si infiammino d'amore, già disposti come sono a ciò, trovandosi soli con il Signore, lontani da ogni oggetto esteriore. Per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento, si deve agire non a forza di braccia ma con dolcezza. Quando il raccoglimento è sincero, l'anima sembra che d'improvviso s'innalzi sopra tutto e se ne vada, simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico, si rifugia in una fortezza. Dovete saper che questo raccoglimento non è una cosa soprannaturale, ma un fatto dipendente dalla nostra volontà e che noi possiamo realizzare con l'aiuto di Dio. Anima Sapevo benissimo di avere un'anima, ma non ne capivo il valore, né chi l'abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere. Se avessi inteso, come ora, che nel piccolo albergo dell'anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l'avrei lasciato tanto solo...e sarei stata più diligente per conservami senza macchia.

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Lavoro Non si creda che nuoccia al raccoglimento il disbrigo delle occupazioni necessarie. Dobbiamo ritirarci in noi stessi, anche in mezzo al nostro lavoro, e ricordarci di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, dell'Ospite che abbiamo in noi, persuadendoci che per parlare con Lui non occorre alzare la voce. Il Signore ci conceda di non perdere mai di vista la sua divina presenza. Amore Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d'oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c'era da desiderarne la fine, né l'anima poteva appagarsi che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po', anzi molto. È un idillio cosi soave quello che si svolge tra l'anima e Dio, che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che io mento… * Vivo, ma in me non vivo per quanto la morte imploro che mi sento di morir, perché non moro. Più in me non vivo e giubilo, vivo nel mio Signore, che per se mi volle, e brucio per lui d’intenso ardore. Gli diedi il cuore, e in margine scrissi con segni d’oro: Mòro perché non mòro”. *

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TERZA PARTE: SANTA TERESA DI LISIEUX

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La vita Io devo morire. Morire dissolvendomi, appassendo, giorno dopo giorno, come una rosa che si sfoglia. Dentro ad una offerta, la più assoluta, senza cura, senza pretese, senz'arte. Thérèse Françoise Marie Martin, meglio conosciuta come Teresa di Lisieux (Alençon, 2 gennaio 1873 – Lisieux, 30 settembre 1897), è stata una religiosa e mistica francese. Monaca carmelitana presso il monastero di Lisieux, è venerata come santa dalla Chiesa cattolica; nella devozione popolare è più nota come santa Teresina, diminutivo usato per distinguerla dall'altra santa carmelitana e Dottore della Chiesa Teresa d'Avila. “Santa Teresa del Bambin Gesù del Santo Volto” è il nome da lei assunto al momento della professione dei voti. La sua festa liturgica ricorre il 1º ottobre. Patrona dei missionari dal 1927, dal 1944, assieme a Giovanna d'Arco, è considerata anche patrona di Francia. Il 19 ottobre 1997 fu dichiarata Dottore della Chiesa, la terza donna a ricevere tale titolo dopo Caterina da Siena e appunto Teresa d'Avila. In gioventù entrambi i suoi genitori avevano desiderato abbracciare la vita consacrata, desiderio che nessuno dei due poté realizzare. La dimensione religiosa fu comunque molto presente nella loro vita matrimoniale, tanto che i coniugi Martin sono venerati come beati dalla Chiesa cattolica. Teresa rimase orfana di madre all'età di quattro anni: nei suoi manoscritti racconta che questa fu la prima bara che vide. La seconda fu soltanto quindici anni dopo, quando si trovò di fronte alla bara di madre Genoveffa di santa Teresa, un'altra delle figure più significative della vita di Teresa. Un legame quasi filiale legava Teresa alle sue sorelle maggiori, Pauline e Marie. Nel 1882, quando Pauline entrò nel monastero carmelitano, la crisi innescata dalla morte della madre si acuì e Teresa giunse a somatizzare il suo stato psichico: avrebbe desiderato seguire la sorella in convento, ma ciò le fu negato per la sua giovane età. Questa prima crisi si risolse nel giro di pochi mesi, ma si ripresentò con l'ingresso in convento dell'altra sorella, Marie, nel 1886. Nella notte del successivo Natale, Teresa risolse la sua nevrosi: ella comprese il suo bisogno di intraprendere una ricerca per giungere ad una conoscenza approfondita di Dio. Questa ricerca, che Teresa definì "Scienza d'amore", le fece maturare il desiderio di diventare suora carmelitana, seguendo le orme delle sorelle. All'età di 14 anni Teresa decise quindi, seguendo l'esempio di Teresa d'Avila, di «mettersi sulle tracce» di Gesù, diventando anch'essa monaca. Sebbene le monache del Carmelo avessero dato il loro parere favorevole, e il padre e con qualche difficoltà anche lo zio avessero dato la loro autorizzazione, per la sua giovane età ella trovò l'opposizione del parroco di Saint-Jacques, il reverendo Delatroètte, che le consigliò di rivolgersi al vescovo. Nel novembre 1887 il vescovo di Bayeux, Flavien-Abel-Antoinin Hugonin, le negò il permesso e lei intraprese con il padre Louis ed la sorella prediletta Celine un viaggio a Roma per rivolgere questa sua richiesta direttamente a papa Leone XIII. Nel 1887, per i 50 anni di sacerdozio del Papa Leone XIII, le diocesi di Coutances e di Bayeux organizzarono un pellegrinaggio a Roma, dal 7 novembre al 2 dicembre. Al 36


viaggio partecipò un gruppo di 197 pellegrini, di cui un quarto appartenenti alla nobiltà francese, mentre 65 erano ecclesiastici. Il pellegrinaggio ebbe una cerimonia ufficiale di apertura che si svolse a Parigi nella cripta della basilica del Sacro Cuore a Montmartre la domenica del 6 novembre. A Roma, durante l'udienza con Leone XIII, nonostante il divieto di parlare in presenza del Papa imposto dal vescovo di Bayeux, Teresa si inginocchiò davanti al Pontefice, chiedendogli di intervenire in suo favore per l'ammissione in convento. Il Papa tuttavia non diede l'ordine auspicato, ma le rispose che, se la sua entrata in monastero era scritta nella volontà di Dio, questo desiderio si sarebbe certamente adempiuto. Sulla via del ritorno il vescovo cambiò opinione su Teresa e diede il proprio permesso. A poco più di quindici anni, il 9 aprile 1888, Teresa fece il suo ingresso al Carmelo, dove assunse il nome di "Teresa del Bambin Gesù", aggiungendovi in seguito "del Volto Santo". In monastero conobbe la fondatrice del Carmelo di Lisieux, Madre Genoveffa, al secolo Claire Bertrand: quest'anziana monaca fu modello di vita monastica e riferimento teologico per Teresa. Fu lei infatti che la esortò a coltivare il valore della pace a cui Teresa già aspirava per indole, e attorno a questo tema Teresa ricamò il suo pensiero teologico. Nel 1894, dopo una lunga convalescenza, il padre morì, e Celine che lo aveva accudito, entrò nello stesso Carmelo dove già si trovano le sorelle. Nell'aprile del 1896 Teresa contrasse la tubercolosi, malattia che nel giro di 18 mesi la portò alla morte: questo periodo di malattia fu accompagnato da una crisi profonda della fede, che lei chiamò "notte della fede". Durante questo periodo ella fu tentata di abbandonare la sua vocazione e si sentiva spinta all'ateismo ed al materialismo. A partire dall'8 luglio 1897 Teresa lasciò definitivamente la sua cella per l'infermeria del monastero: durante questo ultimo periodo della sua vita Teresa subì diverse tentazioni e meditò anche il suicidio La santa morì il 30 settembre, verso le 19 e 20. Il giorno dopo il suo corpo venne esposto nel coro, dietro le grate: davanti al feretro sfilarono fino alla domenica sera parenti, amici e fedeli facendo toccare al corpo esanime di Teresa rosari e medaglie, secondo l'usanza di quei tempi. La mattina del 4 ottobre un carro funebre trainato da due cavalli condusse la salma della grande mistica nel nuovo cimitero delle Carmelitane e ne occupò il primo posto. http://it.wikipedia.org/wiki/Teresa_di_Lisieux * Si arrampica a Milano sul Duomo fino alla Madonnina, a Pisa sulla Torre, e a Roma si spinge anche nei posti proibiti del Colosseo. La quattordicenne Teresa Martin è la figura più attraente del pellegrinaggio francese, giunto in Roma a fine 1887 per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Ma, nell’udienza pontificia a tutto il gruppo, sbigottisce i prelati chiedendo direttamente al Papa di poter entrare in monastero subito, 37


prima dei 18 anni. Cauta è la risposta di Leone XIII; ma dopo quattro mesi Teresa entra nel Carmelo di Lisieux, dove l’hanno preceduta due sue sorelle (e lei non sarà l’ultima). I Martin di Alençon: piccola e prospera borghesia del lavoro specializzato. Il padre ha imparato l’orologeria in Svizzera. La madre dirige merlettaie che a domicilio fanno i celebri pizzi di Alençon. Conti in ordine, leggendaria puntualità nei pagamenti come alla Messa, stimatissimi. E compatiti per tanti lutti in famiglia: quattro morti tra i nove figli. Poi muore anche la madre, quando Teresa ha soltanto quattro anni. In monastero ha preso il nome di “suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo”, ma non trova l’isola di santità che s’aspettava. Tutto puntuale, tutto in ordine. Ma è scadente la sostanza. La superiora non la capisce, qualcuna la maltratta. Lo spirito che lei cercava, proprio non c’è, ma, invece di piangerne l’assenza, Teresa lo fa nascere dentro di sé. E in sé compie la riforma del monastero. Trasforma in stimoli di santificazione maltrattamenti, mediocrità, storture, restituendo gioia in cambio delle offese. E’ una mistica che rifiuta il pio isolamento. La fanno soffrire? E lei è quella che "può farvi morir dal ridere durante la ricreazione", come deve ammettere proprio la superiora grintosa. Dopodiché, nel 1897 lei è già morta, dopo meno di un decennio di vita religiosa oscurissima. Ma è da morta che diviene protagonista, apostola, missionaria. Sua sorella Paolina (suor Agnese nel Carmelo) le ha chiesto di raccontare le sue esperienze spirituali, che escono in volume col titolo Storia di un’anima nel 1898. Così la voce di questa carmelitana morta percorre la Francia e il mondo, colpisce gli intellettuali, suscita anche emozioni e tenerezze popolari che Pio XI corregge raccomandando al vescovo di Bayeux: Dite e fate dire che si è resa un po’ troppo insipida la spiritualità di Teresa. Com’è maschia e virile, invece! Santa Teresa di Gesù Bambino, di cui tutta la dottrina predica la rinuncia, è un grand’uomo. Ed è lui che la canonizza nel 1925. (…) Domenico Agasso, Famiglia Cristiana

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Teresa dottore della Chiesa Santa Teresa di Lisieux è universalmente conosciuta come la Santa che ha insegnato al mondo la "Piccola via dell’infanzia spirituale" e ha parlato spesso della necessità di "farsi piccoli davanti a Dio" e di aver trovato "una via tutta dritta, molto breve, una piccola via tutta nuova" per andare in cielo. Ansiosa che questa "piccola via" venga insegnata ai cristiani, S. Teresa non ha paura di rifiutare con decisione la fede dei sapienti e degli intelligenti: la sua via per giungere al cielo è la via della semplicità, la via dei miti e dei puri di cuore. I trattati complicati, dove la fede pare riservata ai teologi e a pochi eletti non la interessa: Teresa non si stanca di ripetere che la Buona Novella è rivelata ai piccoli e che la Parola di Dio dona sapienza ai semplici. S. Teresa nella sua piccolezza e umiltà è la madre e il modello di tutti i figli di Dio. Svuotata di tutto, riceve se stessa in dono dal Padre. Si sente un nulla e in Dio diventa tutto. Lascia agire Dio in sé, come una bambina nelle mani del papà. L’estremo gesto spirituale indicato da Teresa è l’abbandono, l'unica via che porta inevitabilmente fra le braccia di Dio. Teresa non ha altro desiderio che nascondersi fra le braccia di Dio, per lasciarsi accarezzare da Lui, per lasciarsi inondare dall’oceano della sua Misericordia. L’abbandono è in definitiva il gesto di fiducia più definitivo ed autentico, perché è la rinuncia completa alla propria volontà ed è la sottomissione totale alla volontà del Padre. S. Teresa sconvolge la chiesa e il mondo come un «uragano di gloria» (Pio XI). Già durante la sua vita ci fu un’incredibile ondata di miracoli: (la celebre "pioggia di rose") che persuase il popolo cristiano del fatto che Dio accreditava quella "piccola santa" rendendola gloriosa e potente. Parimenti ci fu anche un’ondata di conversioni: uomini che si sentirono letteralmente guidati dalla mano soave di questa fanciulla. Ancora oggi il mondo intero si trova a vezzeggiare Teresa: la si definisce la fanciulla più amata della terra. Teresa a tutti grida che Gesù vuole perdonarci, vuole guarirci, vuole inondarci del suo amore, perché Lui stesso ha bisogno d’amore: (…) Ecco tutto ciò che Gesù si aspetta da noi: non ha bisogno delle nostre opere, ma solo del nostro amore. Aveva sete, ma dicendo: Dammi da bere, il Creatore dell’universo chiedeva amore alla sua creatura. Aveva sete d’amore. Teresa di Lisieux ci mette in contatto con la sua anima. Acuta contemplativa, ricca di esperienza e di saggezza, ci indica l’itinerario più semplice per raggiungere il fine della vita: entrare in intimità con Dio come un Padre misericordioso e tenero verso chi, persuaso della propria debolezza e delle proprie miserie, si volge a lui con illimitata confidenza. (…) Volgendo lo sguardo a Teresa nascerà in ognuno di noi la nostalgia di diventare come quei piccoli ai quali Cristo dà in eredità il regno dei cieli. Si comprenderà come la vita sia un bene che l’essere umano riceve, senza alcun merito. Un dono e un mezzo per ricevere e dare amore e così realizzare l’essenza dell’essere umano: Bisogno d’amare e di essere amato. (…) http://digilander.libero.it/raxdi/index5.htm 39


* Intervista a Mons. Guy Gaucher, Vescovo ausiliare di Bayeux e Lisieux Santa Teresa di Gesù Bambino è la terza donna, dopo santa Caterina di Siena e santa Teresa d’Avila, a essere proclamata Dottore della Chiesa: Mons. Guy Gaucher ci spiega le conseguenze di questa proclamazione. Innanzitutto, Mons. può spiegarci chi è un Dottore della Chiesa? La più importante e più precisa condizione è di aver arricchito la Chiesa di una dottrina detta “eminente”, vale a dire che ha un certo peso, una certa superiorità, una certa autorevolezza, e che è utile alla Chiesa universale. Non si tratta di qualcosa di totalmente nuovo, perché di fatto non c'è niente di nuovo da aggiungere al Vangelo: ma la Chiesa è nella Storia. Si tratta di una dottrina che illustra qualcosa di particolarmente utile in un momento particolare della storia della Chiesa universale, e il cui contenuto è riconosciuto come un apporto teologico e spirituale molto importante. Come si è posta per Teresa la questione del Dottorato? La storia del Dottorato di Teresa è un’antica questione. Si può dire che in un certo modo risale a Teresa stessa, poiché ella aveva desiderato (uno dei suoi tanti desideri "folli") essere Dottore: "Mi sento la vocazione di Guerriero, di Sacerdote, di Apostolo, di Martire (...). Malgrado la mia piccolezza, vorrei illuminare le anime come i Profeti, i Dottori...” (…) Un dossier fu dunque preparato e inviato a Pio XI; questo pontefice era un grande teresiano, poiché ha beatificato, canonizzato Teresa e l'ha dichiarata "patrona delle Missioni". Ma per il Dottorato ha detto "no" perché era una donna: aveva già rifiutato il Dottorato di Teresa d’Avila per la stessa ragione. Forse era prematuro? Il Papa ha lasciato il caso ai suoi successori. (…) Nel 1970, ebbe luogo un evento fondamentale: Paolo VI ha dichiarato due donne Dottori, Teresa d’Avila e Caterina da Siena. Fu un avvenimento considerevole, di cui sfortunatamente, ventisette anni dopo, non si sono ancora tratte le conseguenze. Alcuni dissero allora: "E Teresa di Gesù Bambino?". La situazione rimase perciò stagnante per lungo tempo: poi un giorno, bruscamente e all'improvviso, hanno accettato che si presentasse una richiesta per il Dottorato. La si è formulata, bisogna dirlo, velocemente, ma molto seriamente, perché c'erano già alle spalle trent'anni di lavoro su questa questione: tutto è andato bene ed è arrivata al Santo Padre. (…) Secondo lei, c'è una posta in gioco particolare al fatto che Teresa, che è una donna, sia proclamata Dottore della Chiesa? C'è una posta in gioco particolare, penso: il messaggio di Teresa, la spiritualità di Teresa, sono particolarmente adatti al nostro tempo. E poi, è molto importante nel dibattito sul ruolo della donna nella Chiesa: è giustamente il dibattito attorno al Dottorato. Alcuni dicono di amare molto Teresa, la sua santità, ma che non avendo scritto dei trattati di teologia, non può essere Dottore. 40


Da questo punto di vista, per diciannove secoli, non si sono mai potuto avere delle donne Dottore: in effetti, l'educazione e lo studio erano riservati agli uomini. Già, nel 1973 Urs von Balthasar, uno dei grandi teologi di questo secolo, domandò, a Notre Dame di Parigi, per il centenario di Teresa, che il corpo degli uomini teologi incorporasse l'apporto delle grandi donne mistiche della Chiesa. Citò anche Ildegarda, Caterina di Siena, Teresa d’Avila, ecc. Quando si integrerà Teresa alla Teologia, che è rimasta una teologia speculativa e maschile? Ora, le donne fanno degli studi, ma fino a qualche tempo fa, non potevano. Per esempio, Caterina da Siena, nel XIV secolo, morta a trentatrè anni, era illetterata. Noi abbiamo un Dottore della Chiesa illetterato! Fu guardata con sospetto dall'Inquisizione; in più era una mistica. Fu seguita da Raimondo di Capua, domenicano, che era il suo padre spirituale e che divenne Generale dell'Ordine: vide che questa donna poteva dire qualche cosa, e che la Teologia non è solamente speculativa ma anche simbolica e intuitiva. San Tommaso d'Aquino mostra che ci sono due vie per parlare di Dio: la via speculativa, di cui si è valso, ma anche la via metaforica, la via simbolica. Per ragioni storiche, le donne sono piuttosto da questo lato. Teresa d’Avila, due secoli più tardi, diceva anche che lei non sapeva niente. Anche lei è stata minacciata dall'Inquisizione. Anche lei è stata salvata dai domenicani, dai gesuiti, che hanno mostrato che non era folle ma che apportava qualche cosa. C'era un pregiudizio anti-femminile molto forte. Le donne erano considerate "ignoranti", non avevano voce in capitolo. Giovanna d'Arco ne ha subito le conseguenze... Ma c'è un modo oltre a quello speculativo di parlare di Dio, e di apportare su Dio, come diceva Balthasar, delle luci e delle intuizioni che spesso gli uomini non hanno visto. Insistette soprattutto sul fatto che nella scoperta della Misericordia, che è al centro del mistero di Dio, le donne sono andate più lontano degli uomini. È vero che i santi sono teologi perché hanno sperimentato Dio, e come diceva Julien Green "hanno fatto il cammino". Anche se pretendono di balbettare, perché Dio è Dio, e non si sa come parlare di Lui. Conoscono meglio il cammino di coloro che fanno della teologia in camera. Questo significa che Teresa è considerata come teologa? (…) Nel Concilio Vaticano II, Teresa non è mai nominata, non più del resto che Teresa d’Avila. Non si sono citati i santi moderni, ma i Padri. È il modo di fare di un concilio. Ma teologi hanno detto che Teresa vi era presente. Degli articoli sono stati fatti per mostrare che i grandi assi della teologia di Teresa sono passati nel Vaticano II. Ma, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che è uscito nel 1992, ella è citata sei volte, e sempre in punti strategici. Vi si trova Teresa d’Avila, Caterina di Siena e altre donne, ma Teresa è la più citata di tutte le donne. È un segnale forte e pieno di speranza. http://www.carmelovocazioni.it/teresina/dottore.html

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Preghiere e poesie A volte, quando il mio spirito è in un'aridità così grande che mi è impossibile ricavarne un pensiero per unirmi al Buon Dio, recito molto lentamente un Padre Nostro e poi il saluto angelico; allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono la mia anima ben più che se le recitassi precipitosamente un centinaio di volte... La Novena delle rose Passerò il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Farò scendere una pioggia di rose Dal Vangelo di Luca appare chiaro come la forza che animava gli apostoli fosse certamente lo Spirito Santo e come Egli sia sceso sopra di loro mentre erano riuniti insieme in una preghiera comunitaria, seguendo l'insegnamento dato da Gesù: "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Una Novena di preghiera e d'intercessione è dunque un'antica tradizione della Chiesa. Si ispira alla preghiera fatta con un cuore solo dagli apostoli, riuniti attorno a Maria nel Cenacolo, durante i nove giorni che separano l'Ascensione del Signore dalla discesa dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste. (…) Ogni Novena persegue un fine spirituale o materiale. Nessun aspetto della nostra vita è indifferente, e meno ancora straniero, al Padre Nostro che è nei Cieli. Egli ci accorda ogni grazia, ogni dono che favorisce la nostra crescita spirituale, a condizione che noi glielo chiediamo: "Chiedete e vi sarà dato”. Una novena dunque produce buoni frutti quando è fatta con fervore e nel totale abbandono alla volontà di Dio. Padre Putigan, il 3 dicembre 1925, cominciò una novena chiedendo una grazia importante. Per sapere se veniva esaudito, chiese un segno. Desiderava ricevere una rosa in dono quale garanzia di aver ottenuto la grazia. Non fece parola con nessuno della novena che stava facendo. Al terzo giorno, ricevette la rosa richiesta ed ottenne la grazia. Cominciò un'altra novena. Ricevette un'altra rosa ed un'altra grazia. Allora prese la decisione di diffondere la novena "miracolosa" detta delle rose. Oggi in tutto il mondo si pratica questa novena.... (…) Aiutate la mia fede e la mia speranza, o Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo; realizzate ancora una volta la vostra promessa di passare il vostro cielo a fare del bene sulla terra, permettendo che io riceva una rosa come segno della grazia che desidero ottenere. 1. Primo giorno - La piccolezza Celina (l’amata sorella di Teresa, anch’essa carmelitana, n.d.r.) racconta: "Tutta scoraggiata, con il cuore grosso per una lotta che mi sembrava insormontabile, andai a dire a Teresa: "Questa volta è impossibile, non ce la faccio a superarla!"

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Non mi stupisce, mi rispose. Noi siamo troppo piccole per superare le difficoltà, dobbiamo passarci sotto. Ella mi ricordò allora un episodio della nostra infanzia. Eccolo. “Ci trovavamo presso dei vicini ad Alençon; un cavallo ci sbarrava l'entrata del giardino. Mentre i grandi cercavano un altro accesso, la nostra amichetta non trovò di meglio che passare sotto l'animale. Si infilò per prima e mi tese la mano, la seguii con Teresa e senza dover piegare troppo la nostra piccola persona raggiungemmo la meta.” Ecco che cosa si guadagna ad essere piccoli, concluse. Non ci sono ostacoli per i piccoli, si intrufolano dappertutto. Le grandi anime possono superare i problemi, raggirare le difficoltà, arrivare a mettersi al di sopra di tutto con il ragionamento e la virtù, ma noi che siamo piccolissime, dobbiamo guardarci bene dal provarci. Passiamo sotto! Passare sotto ai problemi significa non affrontarli troppo da vicino, non ragionarci troppo sopra. Proposito: Oggi sforzati di accettare nell'amore tutte le situazioni che non sono conformi a ciò che desideri o ti aspetti, per conservare sempre nel tuo intimo la pace e la gioia. 2. Secondo giorno - La fiducia La via della piccola Teresa è fondata sulla fiducia e sull'amore. Ella dice: Custodite con cura la vostra fiducia, è impossibile che Dio non ne tenga conto, perché Egli misura sempre i suoi doni secondo la nostra fiducia. Ella racconta la storia seguente: Un re, partito per la caccia, stava inseguendo un coniglio bianco che i suoi cani stavano per raggiungere, quando il coniglietto, sentendosi perduto, ritornò rapidamente indietro e saltò nelle braccia del cacciatore. Costui, commosso da tanta fiducia, non volle più separarsi dal coniglio bianco, e non permise a nessuno di occuparsene, riservandosi perfino il compito di nutrirlo. Lo stesso farà con noi il Buon Dio se inseguiti dalla giustizia, rappresentata dai cani, cercheremo rifugio nelle braccia stesse del nostro Giudice... Proposito: Oggi, ogni volta che ti capita di fare uno sbaglio, sforzati di cercare rifugio nelle braccia del Padre Divino, come ha fatto il coniglietto. Poni anche una tale fiducia nella Sua Misericordia da non avere più alcuna tristezza per avere commesso questa imperfezione. 3. Terzo giorno - Il sorriso La piccola Teresa dice: Il mio modo speciale è quello di essere gioiosa, di sorridere sempre, sia quando cado che quando ottengo una vittoria". "Quando non capisco niente degli avvenimenti sorrido e dico grazie. Quando soffro molto, invece di avere un'aria triste, reagisco con un sorriso. All'inizio non ci riuscivo molto bene, ma ora è un'abitudine che sono felice di aver preso. Proposito: Oggi sforzati di offrire a Dio le situazioni dolorose della tua giornata reagendo con un sorriso.

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4. Quarto giorno - L'amore del prossimo C'è in comunità una sorella che ha il talento di dispiacermi in tutto... ma non volevo cedere all'antipatia naturale che provavo. Mi sono detta che la carità non doveva consistere nei sentimenti, ma nelle opere, perciò mi sono impegnata a fare per questa sorella ciò che avrei fatto per la persona che amo di più. Ogni volta che la incontravo pregavo per lei il Buon Dio, offrendoGli tutte le sue virtù e i suoi meriti... Non mi limitavo a pregare molto per la sorella che mi procurava tante lotte: mi sforzavo di farle tutti i favori possibili e, quando avevo la tentazione di risponderle in modo sgarbato, mi limitavo a farle il mio più gentile sorriso e mi sforzavo di sviare il discorso... Spesso poi, quando non ero in ricreazione (voglio dire durante le ore di lavoro), avendo alcuni rapporti di ufficio con questa sorella, quando le mie lotte erano troppo violente, fuggivo come un disertore. Poiché ella ignorava assolutamente ciò che provavo per lei, mai ha supposto i motivi del mio comportamento ed è persuasa che il suo carattere mi sia simpatico. Un giorno in ricreazione mi disse con un'espressione contentissima pressappoco queste parole: "Vorrebbe dirmi, mia Suor Teresa di Gesù Bambino, cosa l'attira tanto verso di me, che ogni volta che mi guarda la vedo sorridere?" Ah, ciò che mi attirava era Gesù nascosto in fondo alla sua anima, Gesù che rende dolce ciò che c'è di più amaro! Proposito: Oggi sforzati di fare un atto di carità, una parola, un gesto verso qualcuno con cui forse fai fatica ad intenderti. 5. Quinto giorno - L'umiltà La piccola Teresa dice: Praticherete l'umiltà, che non consiste a pensare e a dire che siete pieni di difetti, ma ad essere felice che altri lo pensino e perfino lo dicano. Una delle sue sorelle dà la seguente testimonianza: Una suora anziana non riusciva a capire come fosse possibile che Suor Teresa di Gesù Bambino, così giovane, si occupasse delle novizie e senza troppi complimenti le faceva sentire le sue riserve a questo proposito. Un giorno durante la ricreazione essa le disse delle parole molto dure, e fra l'altro che doveva piuttosto pensare a guidare se stessa che dirigere le altre. Io osservavo attentamente la scena da lontano, l'aria di dolcezza angelica della Serva di Dio contrastava fortemente con l'aria appassionata della sua interlocutrice e la sentii rispondere: "Ah! Sorella, lei ha proprio ragione e sono anche più imperfetta di quanto lei creda!". Proposito: Quanto è grande l'Amore di Dio per ogni uomo! Oggi sforzati di accettare l'altro così com'è, perché tu stesso ricevi costantemente la Misericordia di Dio, malgrado le tue debolezze e le tue imperfezioni. 6. Sesto giorno - La vita nascosta Secondo la sua esperienza, la piccola Teresa confessa che l'ultimo posto è il meno desiderato in una comunità. Tuttavia è sicuramente proprio lì che si trova Gesù. Per esprimere questo concetto ella prende l'immagine di un insignificante granello di sabbia su una grande spiaggia e dice alle sue novizie:

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Soprattutto siamo piccole, così piccole che tutti possano calpestarci, senza neppure che noi mostriamo di sentirlo e soffrirne... Quale beatitudine essere nascosta così bene che nessuno pensa a te; essere sconosciuta perfino alle persone che vivono con te! Il granello di sabbia non desidera essere umiliato: sarebbe ancora troppo importante, giacché si sarebbe obbligati ad occuparsi di lui; egli non desidera che una cosa: essere dimenticato, non contare nulla! Ma desidera essere visto da Gesù! Proposito: Oggi sforzati di fare tutto per amore di Dio senza aspettarti nessuna riconoscenza da parte degli uomini, nella sola gioia che Dio lo veda. 7. Settimo giorno - Essere una madre per i sacerdoti La piccola Teresa dice: Ebbene, io sono la figlia della Chiesa... Le opere clamorose gli sono vietate: non può predicare il Vangelo, versare il suo sangue... Ma che importa? I suoi fratelli lavorano al posto suo e lui, piccolo bambino, si mette vicinissimo al Re e alla Regina, ama per i suoi fratelli che combattono... Ma come testimonierà il suo Amore, dal momento che l'Amore si prova con le opere? Non ho altro mezzo per provarti il mio amore che gettare fiori, cioè non lasciar sfuggire nessun piccolo sacrificio, nessuno sguardo, nessuna parola, approfittare di tutte le cose più piccole e farle per amore!... Voglio soffrire per amore e anche gioire per amore. Ella scrive al Padre Roulland, che le è stato donato come fratello: Tutto quanto chiedo a Gesù per me, lo chiedo anche per lei. Come Giosuè, lei combatte nella pianura. Io sono il suo piccolo Mosè e incessantemente il mio cuore è rivolto verso il Cielo per ottenere la vittoria. O fratello mio, come sarebbe da compiangere se Gesù stesso non sostenesse le braccia del suo Mosè! Proposito: Oggi sforzati di offrire coscientemente per il Santo Padre tutte le situazioni spiacevoli e dolorose. 8. Ottavo giorno - La riconoscenza La piccola Teresa dice: Ciò che attira maggiormente le grazie del Buon Dio è la riconoscenza, perché se noi Lo ringraziamo per un beneficio, Egli è commosso e si affretta di darcene altri dieci e se Lo ringraziamo ancora con la stessa effusione, che incalcolabile moltiplicazione di grazie! Ne ho fatto l'esperienza, provate e vedrete. La mia gratitudine è infinita per tutto ciò che mi concede e gliene do la prova in mille modi. Proposito: Oggi metti per iscritto venti ragioni per le quali vuoi ringraziare Dio. Non dimenticare di metterci concretamente un momento doloroso della tua vita. Farai sgorgare da questa sofferenza una grazia per tanti altri se sai offrirla per amore. 9. Nono giorno - La pioggia di rose La piccola Teresa ha promesso molte volte che dopo la sua morte avrebbe fatto piovere dal Cielo dei petali di rose. Ella dice a questo proposito: Un'anima infiammata di amore non può restare inattiva. 45


Se voi sapeste quanti progetti faccio su tutte le cose che farò quando sarò in Cielo... Incomincerò la mia missione... Ma sento soprattutto che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di far amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola via alle anime. Se il buon Dio esaudisce i miei desideri, il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo. Voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Proposito: Oggi invoca l'aiuto della piccola Teresa in tutte le intenzioni che ti si presentano durante il giorno, con la sicurezza di essere esaudito perché lei lo ha promesso. Preghiera per i bimbi O cara Santa Teresa, Piccola sorella di Gesù Bambino, sotto il bianchissimo manto della vostra protezione mettiamo l'innocenza dei nostri bambini. Queste tenere anime, che formarono sempre la delizia del cuore divino, e che voi chiamaste "lo specchio di Dio" sono inapprezzabili tesori, di cui noi siamo i depositari e i custodi, per crescerli a Dio. Voi vedete e sapete quanto è tremenda la nostra responsabilità, e quanto ognor più difficile si renda il dovere di salvare questi cuori innocenti dalla strage che satana mena oggi pel mondo. O Piccola Santa! Per le ineffabili dolcezze della Divina Infanzia, per l'amore santissimo che portaste al Piccolo Gesù, custodite i nostri tesori, conservate il loro candore, vegliate sulla loro innocenza. Che essi crescano per le compiacenze di Dio, per la gioia degli Angeli, per la delizia del vostro cuore, e per la felicità nostra. Diteci le parole per istruirli, dateci l'eloquenza del buon esempio per educarli, per edificarli al bene ed alla virtù. Tenete lontani da essi tutti i pericoli, che mai il peccato sciupi la bellezza delle loro anime, e fate, che cresciuti sino alla pienezza della età, glorifichino Iddio con una vita santa, ed infine compiano in cielo il numero degli eletti. Così sia. Per la pace nelle famiglie O piccola Santa Teresa, genio tutelare della famiglia cristiana, voi che foste il raggio di sole ed il sorriso della vostra benedetta e avventurata famiglia, compiacetevi accogliere sotto la vostra protezione la mia, che raccomando caldamente alla vostra bontà. Che la pace e la quiete della vostra allieti anche la mia, con la riproduzione di tutto il bene e di tutte le virtù di cui la vostra fu santuario. Che il nome di Dio sia adorato e benedetto nella mia casa, che la sua santa legge, ed i precetti della nostra Madre Chiesa siano da tutti e da ciascuno diligentemente osservati. Allontanate dalla mia casa il peccato e lo spirito di vanità e di dissipazione del secolo. Che sian lungi dalla mia casa l'irriverenza, la gelosia, la diffidenza, l'invidia, l'odio, le sventure, i mali, e solo regni su tutti l'onda piena dell'amore, della carità, del reciproco compatimento, del bene.

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O Piccola Santa, delizia dei vostri genitori, orgoglio santo di tutta la vostra famiglia, per l'amore tenerissimo che nutriste verso gli autori dei vostri giorni, verso tutti i vostri cari, benedite la mia famiglia: che il buon esempio e la virtù discenda dall'alto su quelli che obbediscono, per risalire, tramutato in obbedienza e rispetto, verso coloro che hanno la responsabilità della casa. Che nella vostra protezione, e santa devozione, questa famiglia sia una di amore, di pensiero, di azione, per esser una nella felicità della terra e nella beatitudine del cielo. Così sia. http://www.carmelovocazioni.it/teresina/preghiere.html * La mia Gioia Vi sono delle anime sulla terra Che cercano invano la felicità Ma per me, è tutto il contrario La gioia si trova nel mio cuore Questa gioia non è effimera La possiedo per sempre Come una rosa primaverile Mi sorride ogni giorno. Veramente sono fin troppo felice, Faccio sempre la mia volontà... Potrei non essere lieta E non mostrare la mia allegria ?... Mia gioia, è amare la sofferenza, Sorrido versando lacrime Accetto con riconoscenza Le spine miste ai fiori. Quando il Cielo azzurro diventa scuro E sembra abbandonarmi, La mia gioia, è di restare nell'ombra Di nascondermi, abbassarmi. La mia gioia, è la Volontà Santa Di Gesù mio unico amore Così vivo senza alcun timore Amo la notte quanto il giorno Mia gioia, è restare piccola Così quando cado nel cammino Posso rialzarmi in fretta E Gesù mi prende per mano Allora colmandolo di carezze Gli dico che Egli è tutto per me E raddoppio di tenerezze 47


Quando si nasconde alla mia fede. Se talvolta verso delle lacrime La mia gioia è di nasconderle bene Oh ! che fascino ha la sofferenza Quando si sa velarla di fiori! Voglio ben soffrire senza dirlo Perché Gesù sia consolato La mia gioia è di vederlo sorridere Mentre il mio cuore è esiliato... La mia gioia è di lottare senza sosta Per generare degli eletti E' col cuore ardente di tenerezza Che spesso ripeto a Gesù: "Per te, mio Divin Fratellino "Sono felice di soffrire "La mia sola gioia su questa terra "E' di poterti rallegrare. "Ancora a lungo accetto di vivere "Signore, se è questo il tuo desiderio "In Cielo vorrei seguirti "Se ciò ti facesse piacere. "L'amore, questo fuoco della Patria "Non cessa di consumarmi "Che mi fanno la morte o la vita? "Gesù, la mia gioia, è di amarti!" * Offerta della giornata Dio, ti offro tutte le azioni che farò oggi, nelle intenzioni e per la gloria del Sacro Cuore di Gesù; voglio santificare i battiti del mio cuore, i miei pensieri e le mie opere più semplici unendoli ai suoi meriti infiniti, e riparare le mie colpe gettandole nella fornace del suo amore misericordioso. O mio Dio! ti domando per me e per coloro che mi sono cari la grazia di compiere perfettamente la tua santa volontà, di accettare per tuo amore le gioie e le pene di questa vita passeggera affinché siamo un giorno riuniti nei Cieli per tutta l'eternità. Così sia. *

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Storia di un’anima “Mi sono chiesta a lungo perché il Buon Dio facesse delle preferenze, perché tutte le anime non ricevessero un uguale grado di grazie; mi stupivo vedendolo elargire favori straordinari ai Santi che l'avevano offeso, come san Paolo e sant'Agostino e che Egli costringeva, per così dire, a ricevere le sue grazie; o leggendo la vita dei Santi che Nostro Signore si è compiaciuto di coccolare dalla culla alla tomba, senza lasciare sul loro cammino alcun ostacolo che impedisse loro di elevarsi verso di Lui, e prevenendo queste anime con favori tali che non potevano fare a meno di conservare immacolato lo splendore della loro veste battesimale, mi domandavo perché i poveri selvaggi, per esempio, morivano così numerosi prima di aver solo sentito pronunciare il nome di Dio... Gesù si è degnato di istruirmi su questo mistero, ha messo davanti ai miei occhi il libro della natura, e ho capito che tutti i fiori che ha creato sono belli, che lo splendore della rosa e il candore del Giglio non cancellano il profumo della piccola violetta o la semplicità incantevole della margheritina... Ho capito che se tutti i fiorellini volessero essere delle rose, la natura perderebbe il suo manto primaverile, i campi non sarebbero più smaltati di fiorellini... Così accade nel mondo delle anime, che è il giardino di Gesù. Egli ha voluto creare i grandi Santi che possono essere paragonati al Giglio e alle rose, ma ne ha creati anche di piccoli, e questi devono accontentarsi di essere delle pratoline e delle violette, destinate a rallegrare lo sguardo del Buon Dio quando lo abbassa ai suoi piedi; la perfezione consiste nel fare la Sua volontà, nell'essere quello che Lui vuole... Ho capito anche che l'amore di Nostro Signore si rivela tanto all'anima più semplice, che non oppone alcuna resistenza alla sua grazia, quanto all'anima più sublime; infatti, dato che il gesto più proprio dell'amore è di abbassarsi, se tutte le anime assomigliassero a quelle dei Santi dottori che hanno illuminato la Chiesa con lo splendore della loro dottrina, il Buon Dio non scenderebbe abbastanza in basso giungendo fino al loro cuore; ma Egli ha creato il bambino che non sa niente e fa sentire solo deboli grida, ha creato il povero selvaggio che è guidato solo dalla legge naturale ed è fino al loro cuore che Egli si degna di abbassarsi, sono proprio questi i suoi fiori di campo la cui semplicità lo rapisce... Discendendo in questo mondo il Buon Dio mostra la sua grandezza infinita. Come il sole rischiara sia i cedri sia ogni fiorellino, come se esso fosse l'unico sulla terra, così Nostro Signore si occupa in modo particolare di ogni anima come se essa non avesse uguali; e come in natura tutte le stagioni sono regolate in modo da far sbocciare, nel giorno stabilito, anche la più umile margheritina, allo stesso modo tutto concorre al bene di ogni anima. * Lo sapete, Madre mia, ho sempre desiderato essere una santa, ma ahimé! ho sempre constatato, quando mi sono paragonata ai santi, che c'è tra me e loro la stessa differenza che esiste tra una montagna la cui cima si perde nel cielo e il granello di sabbia scura calpestato sotto i piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: se il Buon Dio non può ispirare desideri irrealizzabili, posso dunque, malgrado la mia piccolezza, aspirare alla santità. Crescere è impossibile: mi devo sopportare così come sono, con tutte le mie imperfezioni, ma voglio cercare il modo di andare in Cielo per una 49


piccola via molto diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova. Siamo in un secolo di invenzioni: ora non facciamo più neanche lo sforzo di salire i gradini di una scala, perché tra i ricchi un ascensore li sostituisce benissimo. Anch'io vorrei trovare un ascensore per elevarmi sino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri santi l'indicazione dell'ascensore oggetto del mio desiderio e ho letto queste parole uscite dalla bocca della Sapienza Eterna: "Se qualcuno è piccolo venga a me" (cfr. Prv 9,4). Allora io sono giunta alla conclusione che avevo trovato quello che cercavo e, volendo sapere, o mio Dio! cosa farete al piccolo che risponderà alla vostra chiamata, ho continuato le mie ricerche; ed ecco che cosa ho trovato: "Come una madre accarezza suo figlio, così vi consolerò, vi porterò sul mio seno e vi cullerò sulle mie ginocchia!". (cfr. Is 66,13.12) Ah! mai parole più tenere, più melodiose, sono venute a rallegrare la mia anima. L'ascensore che deve portarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, o Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere; al contrario, devo restare piccola e diventarlo sempre di più. * Mi ricordo di un sogno che devo aver fatto verso quest'età (4 anni, n.d.r.) e che si è impresso profondamente nella mia immaginazione. Una notte ho sognato che uscivo per andare a passeggiare da sola in giardino; giunta al primo dei gradini che bisognava salire per arrivarci, mi fermai presa dallo spavento. Davanti a me, vicino al pergolato, si trovava un barile di calce, e su questo barile due piccoli orrendi diavoletti danzavano con un'agilità sorprendente, nonostante avessero dei ferri da stiro ai piedi. All'improvviso gettarono su di me i loro occhi fiammeggianti, ma al tempo stesso, sembrando molto più spaventati di me, si precipitarono giù dal barile e andarono a nascondersi nella stanza del guardaroba, che si trovava di fronte. Vedendoli così poco coraggiosi, volli sapere che cosa avrebbero fatto, e mi avvicinai alla finestra. I poveri diavoletti correvano sui tavoli e non sapevano come sfuggire al mio sguardo. Ogni tanto si avvicinavano alla finestra, guardando con aria agitata se io ero ancora lì e vedendomi ancora ricominciavano a correre come disperati. Sicuramente questo sogno non ha nulla di straordinario, tuttavia credo che il Buon Dio abbia permesso che me ne ricordi per dimostrarmi che un'anima in stato di grazia non ha nulla da temere da diavoli che sono solo dei vigliacchi, pronti a scappare davanti agli sguardi di una bambina... * Una volta mi stupivo del fatto che in Cielo il Buon Dio non desse uguale gloria a tutti gli eletti, e temevo che non tutti fossero felici; allora Paolina mi disse di andare a cercare il grande bicchiere di Papà e di metterlo accanto al mio, come un piccolo ditale, poi di riempirli d'acqua, e mi domandò quale dei due fosse il più pieno. Le dissi che erano pieni entrambi e che era impossibile mettervi acqua più di quanta ne potessero contenere.

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La mia cara Madre mi fece così capire che in Cielo il Buon Dio avrebbe dato agli eletti tanta gloria quanta ne potevano ricevere e anche l'ultimo non avrebbe avuto niente da invidiare al primo. Così, mettendo alla mia portata i segreti più sublimi, sapevate, Madre mia, dare alla mia anima il nutrimento di cui avevo bisogno... * A volte rammento certi particolari che sono per la mia anima come una brezza primaverile. Eccone uno che si presenta alla mia memoria. Una sera d'inverno svolgevo come al solito il mio piccolo ufficio. C'era freddo e faceva notte...; all'improvviso udii da lontano il suono armonioso di uno strumento musicale, allora immaginai un salone ben illuminato, tutto splendente di dorature, ragazze vestite in modo elegante che si scambiavano complimenti e gentilezze mondane; poi il mio sguardo si diresse sulla povera malata che sostenevo. Invece di una melodia sentivo di tanto in tanto i suoi gemiti lamentosi, invece delle dorature vedevo i mattoni del nostro chiostro austero, appena illuminato da una debole luce. Non so esprimere quello che accadde nella mia anima, quello che so è che il Signore la illuminò con i raggi della verità, che superarono il bagliore tenebroso delle feste terrene a tal punto che non potevo credere alla mia felicità...Ah! non avrei dato i dieci minuti impiegati per svolgere il mio umile ufficio di carità per godere mille anni di feste mondane... Se già nella sofferenza, nei combattimenti, si può godere un attimo di felicità che supera tutta la felicità della terra, considerando che il buon Dio ci ha ritirate dal mondo, cosa sarà in Cielo quando, immerse nella gioia e nel riposo eterno, vedremo la grazia incomparabile che il Signore ci ha fatto scegliendoci per abitare nella Sua casa, vero atrio del Cielo?...” * Vivere d'amore, che strana pazzia! Mi dice il mondo: smettila di cantare! e bada a non sprecare i tuoi aromi, la tua vita, impiegali utilmente! Ma amarti, Gesù, che feconda perdita! Ogni mio aroma è tuo, per sempre. E voglio cantare, lasciando il mondo: Io muoio d'amore! Morir d'amore, ecco la mia speranza: quando vedrò spezzati i miei lacci, Dio sarà la mia gran ricompensa: non voglio altri beni. Son tutta presa del suo amore, e venga, dunque, a stringermi a sé per sempre. Ecco il mio cielo, il mio destino: Vivere d'amore. *

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APPENDICE

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1. Giovanna d’Arco In apertura della nostra Appendice non poteva mancare un omaggio alla Pulzella d’Orleans, simbolo di perfezione per tutte le donne cristiane: in onore della sua determinazione e della sua semplicità riportiamo di seguito la sua dichiarazione di guerra al re d’Inghilterra, redatta alla vigilia della prima delle sue folgoranti battaglie. “+ Jesus-Maria + Re d’Inghilterra, e voi, duca di Bedford, che vi dite reggente del regno di Francia, voi Guillame de la Poule conte di Suffort , Jean signore di Talbot e voi, Thomas signore d’Escalles, che vi dite luogotenti del suddetto duca di Bedford, ubbidite al Re del Cielo, restituite alla Pulzella, che è stata mandata da Dio, Re del Cielo, le chiavi di tutte le buone città che avete preso e profanato in Francia. E’ venuta qui da parte di Dio per sostenere la dinastia regia. E’ pronta a fare la pace, se vorrete renderle ragione abbandonando la Francia e pagando per il tempo in cui l’avete tenuta occupata. E voi tutti, arcieri, soldati, gentiluomini e altri che vi trovate davanti alla città di Orléans, tornatevene al vostro paese, in nome di Dio; e se non fate così, aspettate notizie dalla Pulzella, che tra breve vi verrà a trovare, con vostro grave danno. O Re d’Inghilterra, se non fate così, io sono comandante di guerra e in qualsiasi luogo della Francia mi imbatterò nella vostra gente la farò andar via, volente o nolente. E se non vorranno ubbidire li farò uccidere tutti quanti; sono qui inviata da Dio, il Re del Cielo, per buttarvi fuori ad uno ad uno da tutta la Francia. Se invece vogliono ubbidire, li tratterò con misericordia. E non fatevi altre idee, perché da Dio, il Re del Cielo, figlio di Santa Maria, non avrete mai il regno di Francia, ma lo avrà il re Carlo, vero erede: perché questo vuole Dio, il Re del Cielo, e questo è stato rivelato dalla Pulzella al re. Se non volete credere a queste notizie da parte di Dio e della Pulzella, dovunque vi troveremo vi daremo addosso, e faremo un così grande urlo di guerra che da mille anni in Francia non ce n’è stato uno simile, se voi non ci renderete ragione. E state ben certi che il Re del Cielo invierà alla Pulzella più forze di quante non sapreste dispiegare in tutti i vostri assalti contro di lei e contro i suoi bravi armati: e dalle botte che prenderete si vedrà chi avrà maggiori ragioni dal Dio del Cielo. Voi, duca di Bedford, la Pulzella vi prega e chiede di non far distruggere più niente. Se le renderete ragione, potrete andare in sua compagnia là dove i francesi compieranno il più bel fatto d’armi che sia mai stato compiuto dalla cristianità. E fate sapere se volete fare pace nella città d’Orléans: se non lo fate, presto vi dovrete accorgere dei gravi danni che vi capiteranno. Scritto il martedì della Settimana Santa, 22 marzo 1429.” 53


2. Pensiero indiano e mistica carmelitana Presentiamo di seguito l’introduzione ad uno studio comparativo fra le tradizioni mistiche d’Oriente e d’Occidente, compiuto nei lontani anni 70 dallo swami Siddhersvarananda, monaco della Ramakrishna Mission, a testimonianza di cosa si debba intendere (e non) per Unità delle Religioni. (…) Poiché in India il pensiero cristiano gode di grande favore, (…) ho voluto penetrare nell’intimo della spiritualità occidentale, ed è per questo che ho studiato molto da vicino Santa Teresa d’Avila, San Giovanni della Croce, Santa Teresa del Bambin Gesù (…), che mi hanno rivelato una fratellanza d’animo con la mistica indiana. Tuttavia devo dire che qui non mi porrò dal punto di vista religioso: la religione infatti alza delle barriere tra gli uomini, perché si appoggia su dei concetti che, allo stesso tempo, sono indizi di unione e di contrapposizione. Ecco perché, se si tiene conto dei valori teorici e dottrinali, non ci può essere amicizia tra le singole religioni. La parola spiritualità, più conforme alle nostre idee, è invece di ordine più universale: essa intende indicare quella vita che lentamente nasce nella parte più profonda di noi stessi e che è indefinibile, perché si rinnova continuamente. Tutto ciò che la manifesta (simboli, idee, credenze) non è altro che l’involucro mutevole, a seconda delle diverse dottrine e delle diverse nozioni che l’uomo si fa di Dio (…): ma se prendiamo la parola religione nel significato di sforzo dell’individuo per realizzare un più alto livello di coscienza, allora, nell’ambito delle varie religioni, per quanto diverse esse siano, scopriamo una vera unità di aspirazione, (…) uno schiudersi dell’anima, (…) che trasforma l’uomo da essere animale a essere divino. (…) Se infatti consideriamo la vita dei grandi mistici, vediamo che in essa si compie una specie di realizzazione spirituale che li rende tutti fratelli nel medesimo slancio di simpatia per l’umanità: dimentichi delle barriere dottrinali e delle divergenze teoriche, essi sono soltanto amanti della Verità, qualunque sia la forma sotto la quale l’hanno scoperta, e questo amore irradia e attira come nessun dogma potrà mai fare. (…) Soprattutto nella mistica carmelitana ho trovato la stessa spinta che caratterizza i pensatori indù. E’ forse perché questa mistica, completamente rivolta a risalire verso l’anima, si disinteressa – nella sua essenza – delle conquiste esteriori e del proselitismo, cose estranee allo spirito indù? Oppure (…) perché la mistica carmelitana, a sua insaputa, avrebbe ricevuto l’impronta del pensiero sufi? In questo caso ci sarebbe un vero legame tra essa e l’India, intermediaria la Spagna. (…) Nel corso di questo studio (…) avrò occasione di segnalare anche differenze fondamentali, quali ad esempio quelle che si riferiscono all’anima e a Dio: queste differenze non investono affatto l’essenza dell’anima, l’importanza sta solo nel fatto che, conducendo entrambe a interpretazioni diverse, esse generano incomprensione. (…) E tuttavia (a rischio di attirarci l’accusa di sincretismo, volendo conciliare degli inconciliabili) non ci impediscono affatto di riconoscere al di sopra di esse un’identità di ispirazione. (…) Parecchie persone, ad esempio, conoscendo le diverse tappe di esperienza spirituale di Santa Teresa d’Avila, tentano di fare, quando conoscono Ramakrishna o qualche altro mistico indù, qualche accostamento. Questa maniera di pensare ci 54


impedisce di conoscere perfettamente le diverse posizioni di questi mistici e il loro vero atteggiamento di fronte al problema di Dio. Ridurre queste diverse posizioni ad un denominatore comune vuol dire crearsi artificialmente un assoluto, che crollerà alla minima analisi di un ricercatore più acuto. Se cerchiamo delle similitudini, dobbiamo sapere che ci sarà impossibile trovarle nelle diverse dottrine o nelle diverse interpretazioni teologiche che ci sono state date dalle singole parti: il mistico cristiano e il mistico dell’India hanno un sottofondo intellettuale e dottrinale completamente diverso. Se mi permetto di dire che nel contenuto psicologico delle loro esperienze si possono rivelare alcune similarità, non voglio dire quindi che “tutto ciò rappresenta la stessa cosa”. Nessuno di noi ha la possibilità di penetrare nell’intimo delle estasi di una Santa Teresa, di un Ramakrishna o di qualche altro mistico: questi Santi appartengono a un mondo ideale che può essere apprezzato solo da colui che vi ha l’accesso. E’ nella trasformazione del carattere che possiamo osservare la loro similarità. Tutti i grandi mistici hanno vissuto nell’Amore, hanno visto il mondo e verso di esso si sono comportati in modo del tutto diverso dal nostro. Tutti sono divenuti, per usare il linguaggio della Gita, degli sthitaprajna (“uomini dall’intelligenza fermamente stabile”). Allora non c’è più bisogno di dire che “tutto ciò rappresenta la stessa cosa”: immediatamente riconosciamo in tutti i mistici, di qualsiasi luogo essi siano, la stessa affinità. Se dunque ci è permesso, per esempio, raffrontare le estasi di Santa Teresa con le differenti tappe del savikalpa samadhi, non dobbiamo dimenticare che il modo di vedere secondo la rivelazione ebraica è quasi agli antipodi di quello dei Veda: detto questo, non è men vero che la psiche umana, di qualsiasi cibo dottrinale si sia alimentata durante la sua formazione, presenta aspetti analoghi. “Tutti gli sciacalli gridano alla stessa maniera”, diceva Ramakrishna. (…) I mistici sono esseri eccezionali che, durante questa stessa vita, ricevono per grazia divina certi mezzi di conoscenza che l’uomo ordinario non possiede. (…) Dopo aver gustato la stessa realtà, il loro linguaggio risulta essere in accordo: il fatto è che, in sostanza, tutti parlano della stessa unione. (…) Sia che siamo indù, cristiani, musulmani, parsi, buddisti o ebrei, ciò che cerchiamo attraverso l’esperienza dei mistici è questo irradiamento d’amore che trasforma la nostra vita: è nell’amore infatti che svaniscono tutte le contraddizioni, poiché, per colui che l’ha realizzato nel suo cuore, non esiste più la diversità. Om Shanti Shanti Shanti Swami Siddhesvarananda, Pensiero indiano e mistica carmelitana, Ashram Vidya, Roma 1977

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3. La voce del Magistero Tutti i pontefici del Novecento sono stati affascinati dalla fede semplice di santa Teresa di Gesù Bambino, basata sulla ‘piccola via’ dell’abbandono totale a Dio: riportiamo in queste pagine alcune fra le loro principali dichiarazioni a riguardo. Leone XIII - Il 20 novembre 1887 santa Teresa di Gesù Bambino incontrò, a 15 anni, papa Leone XIII nel corso di un pellegrinaggio organizzato dalla diocesi di Lisieux, chiedendogli con ingenua audacia il permesso di entrare nel Carmelo in anticipo sull'età prescritta. Il Papa le ripose in modo lapidario: Bene. Entrerete se Dio lo vorrà. Il vecchio Pontefice non poteva immaginare che la vicenda di questa fanciulla avrebbe tanto segnato i pontificati dei suoi successori. Pio X - Ecco la più grande santa dei tempi moderni, proclamò Papa Pio X. Una spiritualità tutta imperniata sulla fiducia e sull'abbandono docile alla misericordia di Dio, come quella di Teresa, appariva in contrasto con il rigore di un'ascesi centrata sulla rinuncia e sul sacrificio di sé: l'eco di questo "sospetto" verso la dottrina di Teresa giunse così fino alle orecchie del Papa, il quale, una volta, replicò con decisione ad uno di questi detrattori: La sua estrema semplicità è la cosa più straordinaria e degna d'attenzione in quest'anima. Ristudiate la vostra teologia. Benedetto XV - L'infanzia spirituale (cioè la dottrina mistica di Santa Teresa, n.d.r.) è formata da confidenza in Dio e da cieco abbandono nelle mani di Lui [...]. Non è malagevole rilevare i pregi di questa infanzia spirituale (…), poiché essa esclude (…) il superbo sentire di sé; esclude la presunzione di raggiungere con mezzi umani un fine soprannaturale; esclude la fallacia di bastare a sé nell'ora del pericolo e della tentazione. [...] Auguriamo che il segreto della santità di suor Teresa di Gesù Bambino non resti occulto a nessuno. Pio XI - Più di ogni altro papa, Pio XI fu accompagnato per tutta la vita da una profonda devozione verso la piccola Teresa. Quando era ancora nunzio apostolico a Varsavia teneva sempre sul tavolo la Storia di un'anima; lo stesso continuò a fare dopo essere divenuto arcivescovo di Milano. Durante il suo pontificato Teresa fu elevata, con grande rapidità, all'onore degli altari: beatificata il 29 aprile del 1923; canonizzata il 17 maggio del 1925; il 14 dicembre 1927 fu proclamata, insieme a san Francesco Saverio, patrona universale delle missioni cattoliche. All'intercessione di Teresa papa Ratti attribuì in seguito una protezione speciale in momenti cruciali del suo pontificato. Nel 1927, in uno dei frangenti più duri della persecuzione contro la Chiesa cattolica in Messico, affidò quel Paese alla protezione di Teresa: Quando la pratica religiosa sarà ristabilita in Messico, scriveva ai vescovi, desidero che venga riconosciuta in santa Teresa di Gesù Bambino la mediatrice della pace religiosa nel vostro Paese. Pio XII - Figlia di un cristiano ammirevole, Teresa ha imparato sulle ginocchia paterne i tesori di indulgenza e di compassione che si nascondono nel cuore del Signore! [...] Dio è un Padre le cui braccia sono costantemente rivolte ai figli. Perché non rispondere a questo gesto? Perché non gridare senza posa verso di lui la nostra immensa angoscia?

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Così papa Pacelli esprimeva, nel radiomessaggio dell'11 luglio 1954, in occasione della consacrazione della Basilica di Lisieux, il cuore della "via dell'infanzia spirituale" indicata da Teresa. Giovanni XXIII - Santa Teresa la Grande [Teresa d'Avila, ndr], io l'amo molto... ma la Piccola: ella ci conduce alla riva [...]. Bisogna predicare la sua dottrina così necessaria. (…) Grande fu Teresa di Lisieux per aver saputo, nella umiltà, nella semplicità, nell'abnegazione costante, cooperare alle imprese e al lavoro della grazia per il bene di innumerevoli fedeli. (…) Giungevano nel porto di Costantinopoli (al tempo della sua nunziatura apostolica in Turchia, n.d.r.) ingenti navi da carico, che però non riuscivano, data la natura dei fondali, ad avvicinarsi alle banchine. Ecco quindi, accanto ad ogni grande nave, procedere presso i moli un battello, la cui presenza poteva, a prima vista, sembrare superflua, ed era invece preziosissima, poiché esso assolveva il compito di trasbordare le merci alla grande riva. Paolo VI - Sono nato alla Chiesa il giorno in cui la santa nacque al cielo. Questo le dice quali sono gli speciali legami che ad essa mi vincolano. Mia madre mi ha fatto conoscere santa Teresa di Gesù Bambino ch'ella amava. Ho già letto parecchie volte l'Histoire d'une ame, la prima volta in gioventù. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo insegna a non contare su sé stessi, sia che si tratti di virtù o di limitatezza, ma sull'amore misericordioso di Cristo, che è più grande del nostro cuore e ci associa all'offerta della sua passione e al dinamismo della sua vita. Teresa visse la sua personale via di santità in mezzo a un ambiente pieno di limiti. Tuttavia essa non attese, per iniziare ad agire, un modo di vita ideale, un ambiente di convivenza più perfetto, diciamo piuttosto che essa ha contribuito a cambiarli dal di dentro. L'umiltà è lo spazio dell'amore. La sua ricerca dell'Assoluto e la trascendenza della sua carità le hanno permesso di vincere gli ostacoli, o piuttosto di trasfigurare i suoi limiti. Giovanni Paolo I - Teresa non cercò esperienze diverse da quelle che il cristianesimo del suo tempo le offriva. (…) Non cercò esperienze straordinarie: Confessione a sei anni, la preparazione alla prima comunione in famiglia, il pellegrinaggio - che per Teresa furono altamente istruttivi -, il monastero, cioè la vita religiosa coi voti, la regola, l'austerità. Oggi, commentava a questo proposito Papa Luciani, sotto pretesto di rinnovamenti, si tende talvolta a svuotare tutte queste cose del loro valore. Teresa non sarebbe d'accordo, a mio avviso. Giovanni Paolo II - Proclamando, nel 1997, Teresa di Lisieux dottore della Chiesa universale (terza donna a ottenere questo titolo dopo Teresa d'Avila e Caterina da Siena), Giovanni Paolo II ha di fatto raccolto l'eredità dei suoi predecessori. liberamente tratto da Giovanni Ricciardi, "30 Giorni", Maggio 2003

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4. Padre Sergio Un sant’uomo si recò a visitare un monastero nelle vicinanze, dove viveva un monaco famoso per la sua umiltà, chiedendo all’abate di poterlo incontrare. “E’ vero che sei molto umile?” gli chiese quando questi arrivò. “Sì”, rispose quello, e se ne andò.13 Nel finale del racconto Padre Sergij, Tolstoj descrive l’illuminazione di un exnobile, ex-ufficiale, ex santo ed ex-taumaturgo, che divenuto vagabondo trova nella sua fuga ospitalità presso un'umile donna di casa, oppressa dal lavoro per la famiglia, scoprendo in lei qualcuno che pratica veramente il culto in spirito e verità, nonostante essa frequenti poco la chiesa e preghi male e in modo confuso ("l'unica cosa che vedo è tutto il mio schifo”). Egli si rende conto così di quanto sia stata vana la sua vita fino ad allora, e medita in cuor suo: Io ho vissuto per gli uomini col pretesto di Dio, e lei vive per Dio, immaginandosi di vivere per gli uomini. Una sola azione buona, una tazza d'acqua offerta senza pensiero di ricompensa, è più preziosa di tutti i benefici che ho portato alla gente. E così, illuminato da questa testimonianza di umiltà quotidiana, fatta di piccole cose e inconsapevole di sé, accanto a questa donna così insicura di fronte alla sua inadeguatezza Padre Sergio trova finalmente Dio: e poi va, mescolandosi tra i poveri, rifiutando di dare il suo nome alla polizia ("era un servo di Dio") e facendosi deportare in Siberia, dove lavora come domestico ("lavora nell'orto del suo padrone, insegna ai bambini e accudisce i malati"). Per tutta la vita ha cercato Dio in maniera straordinaria, adesso lo trova nella vita ordinaria di una donna qualunque. * Lev Tolstoj scrisse la sua novella Padre Sergio tra il 1890 e il 1898, ma la pubblicazione non arrivò sino al 1911, quando il gigante della letteratura era scomparso da pochi mesi. (…) Il principe Stjepàn Kasàtskij, giovane ufficiale della Guardia ai tempi dello Zar Nikolàj Pàvlovic, vive per il suo imperatore, deciso a «dimostrargli la sua sconfinata devozione», vero «amoroso rapimento». Ma quando la promessa sposa, la contessina Korotkòv, gli rivela di essere stata amante proprio del suo idolo, lo Zar, il principe Stjepàn lascia la divisa e Pietroburgo e si rifugia in convento. La sorella decifra bene la scelta drammatica, come Stjepàn «si fosse fatto monaco per trovarsi più in alto di quelli che volevano dargli a sentire di star più in alto di lui»: scendere nella scala del mondo per salire in spirito.

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Dai Detti dei Padri del deserto

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Una volta rifugiato in monastero, infatti, l'ex principe assume l'odore di santità, riverito come «Padre Sjerghìj», talmente celebre da essere trasferito a un convento non lontano dalla capitale, dove le dame tornano a far di tutto per essere ammesse al suo cospetto, e il priore, uomo mondano (…), decide di esibirlo da trofeo davanti agli ex colleghi della Guardia, ora generali. Padre Sergio capisce infine che l'orgoglio, l'ambizione, le smanie vane e sociali da cui è scappato (le «vanità» dell'Ecclesiaste) lasciando l'esercito sono vive, sotto il saio dell'umiltà. Per la seconda volta fugge e si fa eremita. Così austero, devoto e penitente che i fedeli da ogni parte di Santa Madre Russia corrono alle sue benedizioni. E quando una dama allegra arriva in slitta e prova a sedurlo, fingendosi assiderata fuori dalla sua grotta, Padre Sergio impugna l'ascia e si amputa l'indice della mano sinistra pur di vincere la tentazione. Ormai vicino a chiudere in perfezione una vita alla ricerca di forza interiore, morale e verità, con i pellegrini che accorrono alle sue benedizioni e prediche da ogni parte, miglia e miglia nella neve, celebrato, onorato e adulato, Padre Sergio cadrà nel peccato, sedotto da una ragazza «isterica», che gli è stata portata perché la guarisse. Sconvolto per avere perduto, dopo le ambizioni umane anche le spirituali, l'ex principe ed ex sant'uomo torna di nascosto all'antico villaggio d'infanzia. Cerca, e non sa perché, una bambina che tutti prendevano allora in giro, la sempliciotta Pàsenka: la donna è anziana, con tanti guai familiari, marito, figli, nipoti, e troppe cure domestiche, rammendare, rigovernare. Stupita di vedersi davanti il compagno di giochi la cui fama di santo l'ha tante volte commossa, racconta la propria vita in breve «Di me, non mette conto parlare». Padre Sergio è folgorato. L'ossessiva ricerca di successo, dall'esercito alla Chiesa, lo ha allontanato dalla gente semplice, la famiglia, il villaggio, gli «altri», da cui ha cercato di distinguersi, pur di essere «migliore». E' una rivelazione: «Io ho vissuto per gli uomini sotto il pretesto di viver per Dio, lei, Pàsenka, vive per Dio figurandosi di viver per gli uomini». Nel servire con semplice cura la comunità è la gloria: Padre Sergio si fa pellegrino e va, deportato, in Siberia. Gianni Riotta, L’esempio di Padre Sergio di Tolstoj: i semplici salveranno il mondo, articolo Sole 24 Ore, 29 agosto 2010 * Finalmente Padre Sergio si addormentò, e in sogno gli apparve un angelo, che veniva a lui dicendo: “Và da Pàsenka, impara da lei che cosa tu devi fare, in che sta il tuo peccato, in che la tua salvezza!” *

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Conclusioni Al termine di questo nostro viaggio sulla Mistica dell’Occidente è necessaria qualche precisazione concluisva, per chiarire brevemente alcuni aspetti specifici su quanto trattato in questa Terza Parte del nostro lavoro; sebbene infatti in campo spirituale sia fuori luogo effettuare distinzioni “di genere” (non c'è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, poiché tutti siete uno in Cristo Gesù, diceva san Paolo), nelle testimonianze delle tre grandi mistiche che abbiamo letto ci troviamo tuttavia di fronte a tematiche e linguaggi del tutto particolari, che coniugano fra loro una sensibilità tipicamente femminile con una determinazione ed una volontà dai tratti più marcatamente maschili, trovando proprio in ciò la loro ricchezza e originalità. I frequenti riferimenti all’estasi, alla nostalgia, allo struggimento d’amore presenti negli scritti di queste sante ci fanno ricordare, ad esempio, le gopi dell’India, la cui spiritualità viene considerata da Krishna come la forma di devozione più alta in assoluto; e contemporaneamente, tanto per restare nell’ambito di una tematica che ci è cara, non possiamo non constatare l’evidente parallelismo fra l’azione politico-religiosa di Caterina da Siena e la pratica del karma-yoga, fra la spiritualità contemplativa di Teresa d’Avila e quella dell’jnana-yoga (nella forma della meditazione non concettuale, o dhyana) e fra la ‘piccola via’ di Teresa di Lisieux e il sentiero del bhakty yoga. La mistica di queste tre sante (a volte apparentemente ingenua, a volte estremamente complessa, ma sempre profondamente vissuta) scaturisce infatti dall’esperienza diretta e non dalla speculazione teologica o intellettuale: e il fatto stesso che tutte e tre siano state nominate Dottori della Chiesa sta a testimoniare, una volta di più, come la vera conoscenza spirituale sia da considerarsi il prodotto di una trasformazione interiore e non una questione filosofica o culturale. La presenza infine in queste pagine di numerosi riferimenti alla terminologia cattolica, forse eccessivi per la sensibilità di qualcuno, è dovuta (oltre ovviamente all’argomento trattato, che non può prescindere da tali riferimenti) anche al fatto che nel mondo contemporaneo questi temi vengono veicolati quasi esclusivamente dalla letteratura religiosa, a causa della ben nota mancanza di interesse per tali argomenti da parte del cosiddetto “pensiero laico” moderno: una ragione in più, questa, per incoraggiare lo studio di queste tematiche, emancipandole da una lettura di tipo unicamente confessionale e risvegliandone l’interesse in tutti i sinceri ricercatori spirituali, a qualunque tradizione religiosa appartengano. Al termine del prossimo biennio, una volta conclusa questa lunga maratona nella Mistica dell’Occidente, potremo così affacciarci, con consapevolezza e amore, su quella “terra di Dio” che tanto amiamo e a cui sentiamo di appartenere, nel corpo e nell’anima, fin dall’alba dei tempi: e sarà l’India del cuore, la nostra patria ancestrale, a rivelarci allora i suoi segreti, sarà l’India immortale, la terra dei padri, ad accoglierci tutti, dopo tanto cammino, sulle rive del Gange. E il nostro viaggio, a quel punto, ricomincerà da lì. Om Sai Ram Roma, 9 Gennaio 2011

Pierluigi Gallo

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