L'enciclopedia del peperone

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Ellerì - La rivista intelligente

L’Enciclopedia del peperone Redazione: Isabella Terrano, Stefano Bandera, Luisa Luna Immagini: Sabrina Suadoni Copertina: Sabrina Suadoni Progetto grafico: Cosmonauta ©2013 La Rivista Intelligente - Tutti i diritti riservati


Ellerì - La rivista intelligente presenta

L’enciclopedia del peperone 28 recetas de amor y una cancion desperada

scritta da: Ornella Roccuzzo, Adele Parrillo, Annamaria Rossi, Sara Milla, Paolo Messina, Maria Grazia Serradimigni, Bistra Caparkova, Ornella Mascoli, Silvia Simoni, Elisabetta Zanghì, Andrea Lupi, Amelie Robion, Stefano Simonini, Sabrina Suadoni, Lillian Jacks, Rossana Cau, Isabella Terrano, Maria Pasqua Maizzi, Gabriella De Bartolomeo, Antonella Corsini, Riccarda Lombardi, Marina Cinelli, Simona Ciccioni, Mirella Mancini, Diego C. DelaVega


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Pipi sbiezzi rustuti

peperoni verdi piccoli e non piccanti arrostiti di Ornella Roccuzzo Prima arrostiti con pazienza, voltati e rivoltati, interi, sulla brace; chiusi, infiammati e scottanti, nella carta di un vecchio giornale, lasciati raffreddare, a far acqua del loro calore. Poi spellati con minuzia, con un’ultima carezza privati dei semi, sfilettati, messi in una fondina di terracotta, conditi con un filo d’olio e uno spicchio d’aglio schiacciato. E le mani artrosiche di mia nonna, Comare Ciccina, che compivano con cura amorosa ognuno di questi gesti.

Peperoni gialli veri per una finta carbonara

di Adele Parrillo Avete mai mangiato una finta carbonara? In epoca di finzioni ci sta che è una meraviglia! Il peperone giallo ridotto a crema qui usurpa il posto che è dell’uovo. Bisogna però cuocerlo prima in forno e poi spellarlo, infine frullarlo, e unire la crema ottenuta ai cubetti di mortadella precedentemente rosolata, anch’essa ladra in questa ricetta: ruba il posto del guanciale. Cuocete quindi gli spaghetti e mantecateli in padella con la salsa di peperoni e mortadella, aggiungendo un filo d’olio extra vergine d’oliva. Mmmm, la finta carbonara vi stupirà per bontà e delicatezza. Enciclopedia del peperone

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Pavròn ‘ntla bagna couda di Annamaria Rossi

Tre noci di burro sfrigolano piano in un pentolino di coccio, con un paio di spicchi d’aglio tirati su dal latte e sminuzzati in bricioline piccolissime. Cinque o sei alici debitamente dissalate e deliscate si sciolgono nella velenosa spuma, torturate da un cucchiaio di legno. Un’anima di panna, se c’è, altrimenti non importa. Dieci minuti a fuoco lentissimo bastano. I peperoni, gialli, rossi e verdi, sono già stati tagliuzzati a quadratini grandezza francobollo e scottati in acqua e succo di limone. Attendono impazienti di essere ricoperti dalla salsina fluida. Semplice, povera, intensa. Il gusto dei peperoni non si ripropone, garantito al limone.

Ceviche

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di Rossana Cau

Me l’ha fatta assaggiare Carlos, il mio amico peruviano e, accidenti, che bontà! Il segreto sono i peperoni, certo. Devono essere piccantissimi e rossi, del colore della passione. Dove trovarli qui a Milano? Boh! Io non mi azzardo neppure a cercarli. E poi tanta cipolla, ma tanta, tanta, dolce cipolla. Frutti di mare, adorabili. Pesce crudo... Che pesce? Non lo so. Mi fido di lui, Carlos, il mio amico. Il succo di dodici limoni e prezzemolo per guarnizione. Io mi sono innamorata di questi sapori, non so voi. Peperone, m’hai provocato... Enciclopedia del peperone


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Peperoni arrosto

di Sara Milla

Candide fringuelle, ecco un piatto leggero: peperoni arrosto. Orbene, dovrete dapprima distinguerli da carciofi, carciofi romaneschi, pomodori, e svariate cucurbitacee che si affacciano dai cestini dei vignaioli per accaparrarsi la vostra benevolenza. Una volta presi in carico i simpatici vegetali, vi recherete alla di vostra magione per scuoiarli, ma questo è meglio non farglielo sapere: essi immediatamente vi rinfacceranno di essere stati avventati nella scelta, che potevate approvvigionarvi di misere carote e sedani e farvi una schifosa cruderie. Introdotti in casa i tre apparentemente innocui peperoni, soffiate sul fuoco, e se non dovesse bastare a riattizzarlo, buttateci del kerosene. Alla prima vivace fiammata schiaffate i peperoni su una griglia e raccontate loro che quella è una sdraio, quel calore è il sole, e che l’abbronzatura eccessiva va di moda. Una volta carbonizzati, cercherete di spellarli scottandovi le dita e ululando tutto un frasario espressivo che neanche sapevate di possedere. A quel punto sarà opportuno sistemarli, a listarelle oblunghe, in una specie di piatto allungato, tipo fiamminga, ma più corta, condite con aglio, olio e sale. Divorate con moderazione, e al primo rutto sentitevi paghe e soddisfatte. Enciclopedia del peperone

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Peperoni ripieni

di Paolo Messina

Li ho svuotati dei semi, sbollentati appena per renderli più digeribili, e mentre facevo questo, in un’altra padella ho preparato le melanzane a funghetto. Se non le sai fare, sai poco della vita, ma non preoccuparti, incontrerai qualcuno che te le spiegherà, prima o poi. Così li ho riempiti di melanzane, ci ho messo la mollica di pane bagnata, qualcuno direbbe nel latte, ma io queste cose non le faccio. Li ho messi in forno finché non son stati pronti; troppo complicato ricordarsi per quanto e a che temperatura, io vado a braccio. Sono verdi, gialli, rossi, e so già che ce ne sarà uno che pizzica, mi frega sempre. Mi sembra manchi qualcosa... Già, dimenticavo: un pizzico d’aria di mare e il tocco di un’infanzia lontana.

La peperonata

di Maria Grazia Serradimigni

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Prendi sei peperoni, tre rossi e tre gialli, lavali bene e affettali. Prendi anche otto pomodori belli maturi, lava anch’essi e spezzettali. Dopo, prendi una cipolla, tagliala a fettine e falla rosolare ben bene nel burro e nello strutto. Quando la cipolla è dorata aggiungi i peperoni e falli appassire un po’. Poi mettici i pomodori, il sale, e lascia bollire piano piano, fino a che diventi una salsa bella consistente. Una micca di pane croccante, un bicchiere di vino... Che altro? Ecco qua la pevronèda. Enciclopedia del peperone


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Peperoni ripieni alla Bistra

di Bistra Caparkova Da vera bulgara, sono stata praticamente svezzata con i peperoni. Sono in grado di mangiarli a qualsiasi ora. Crudi, arrostiti, fritti, sottaceto, al forno, ripieni, in insalata. Sono la mia passionevole ossessione. Mi tengo stretta una ricetta della cucina bulgara, i peperoni ripie. ni al forno. Per eseguirla bene, bisogna comprare i peperoni verdi, lunghi, quelli con la buccia meno dura. In una padella si fa un soffritto di cipolla e carota tagliate sottili. Appena rosolate, vi si aggiungono circa 300 grammi di riso originario, ideale per minestre, e si mescola due-tre volte; poi si aggiungono 300-350 grammi di carne macinata. Sale, pepe, qualche pizzico di santoreggia essiccata, e il ripieno è pronto. I peperoni, già puliti dei semi e salati leggermente all’interno, aspettano nella teglia: è meglio sistemarli prima, così da rendersi conto di quanti ce ne stiano, avendo l’accortezza di lasciare qualche spazio tra di essi.

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Si passa a riempirli, usando un cucchiaino e senza pressare, perché il riso si gonfierà. Si chiude con una fettina di pomodoro infarinata leggermente e, negli spazi lasciati tra i peperoni, va il resto del ripieno. Acqua a coprire appena e via, in forno a 180°. Dopo che si sono

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ammorbiditi, si tira fuori la teglia, si aggiungono quattro uova sbattute con poco latte e si rimette in forno. La ricetta sarà pronta per le vostre pance quando i peperoni si saranno abbrustoliti e il riso amalgamato con acqua, uova e latte. Si mangiano freddi o caldi, con yogurt o senza. Mi raccomando: tirate fuori dal cassetto le forchette coi freni.

Peperoni all’agrodolce di Elisabetta Zanghì

Per prima cosa occorre tagliuzzare con delicatezza i peperoni a striscioline ine ine e la cipolla sanguigna di Tropea ad anellini ini ini. In una padella grande, tostare i pinoli con olio, sale e l’uva sultanina ina ina, per poi aggiungere la cipolla e dopo qualche minuto i peperoni oni oni. Lasciare cuocere il tutto tenendo il coperchio sopra la pentola e, di tanto in tanto, dare una mescolata in modo che non si attacchino. Nel frattempo lasciar sciogliere lo zucchero nell’aceto, e quando i peperoni saranno teneri teneri, aggiungerlo e lasciar cuocere ancora a fuoco lento. A fine cottura s’aggiunga una spolveratina ina ina di pangrattato. Il gusto tartagliato dell’antica semplicità, perdonate ate ate, stasera ho ospiti a cena ena ena e sono molto agitata ata ata.

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Pollo con i peperoni di Lillian Jacks

Mio marito è romano e sua mamma aveva mani d’oro in cucina. Quando mi sono sposata non avevo grande vena culinaria e così ho attinto nel vasto ricettario della mia amata suocera che, per mia disgrazia, aveva allevato il suo rampollo a suon di amatriciane, fritti di verdure pastellate, carciofi in tutte le salse e via ricettando. Una cosa che ho imparato è il gustosissimo pollo con i peperoni. Il mio matrimonio dura da quarant’anni, sono diventata una brava cuoca, e a volte questo marito l’ho preso per la gola (non in senso stretto, anche se qualche volta l’avrei fatto volentieri). Ecco la mia semplicissima ricetta: rosolo due o tre spicchi d’aglio leggermente schiacciati in olio extra vergine d’oliva. Aggiungo il pollo a pezzi, faccio rosolare, aggiungo mezzo bicchiere abbondante di vino bianco buono e lo faccio sfumare. Ora quattro peperoni, due gialli e due rossi, tagliati a falde piuttosto grosse, precedentemente arrostiti in una padella con aglio e poco olio. Insieme ai peperoni una scatola di pelati (d’estate metto pomodori freschi a pezzi), un peperoncino, sale, pepe, e lascio cuocere coperto per una ventina di minuti. Tolgo il coperchio, alzo la fiamma e lascio cuocere altri dieci minuti. Un buon vinello bianco e tanto pane per l’irrinunciabile, deliziosa scarpetta.

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Dietetici

per ciccione golose di Ornella Mascoli Ero alla dieta numero boh. Accoltellavo con odio omicida la bistecca alla piastra ed ero carica di voglie sontuose. La fame stimolava ricordi papillari, acuti come spilli: ho rievocato mamà Olga, suocera e madre acquisita, mentre sfilettava un peperone rosso. Que lindos morrones carnudos, che bei peperoni carnosi, sospirava. Erano, per lei, l’emblema dell’opulenza del primo mondo.

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Nostalgia e appetito. Una busta multicolore di peperoni. Ne ho tagliati alcuni a striscioline, spadellati con aglio, sale e acqua, poca poca, e messi a sudare sul fuoco basso. Li ho infine ridotti in crema, arricchiti con la regalità del basilico, un cucchiaio di yogurt per conferire cremosità e un filo d’olio quaresimale. I trenta grammi di pasta mi hanno sorriso. L’altra metà dei peperoni nella busta è stata spaccata in due e ammosciata in forno ventilato, su carta forno e con l’aiuto del sale. Olio, nisba. Intanto, frenetica mixavo, a velocità quattro, carne trita magra, pane ammollato nel latte in dose omeopatica, uovo, pomodori secchi, sale, pepe e sommacco. Un po’ di scorza di limone e via, a imbottire le barchette di peperone con una cucchiaiata di sugo, senz’olio anch’esso, color rosso valentino. Varo in forno. Mai giunti in porto: li ha mangiati mio figlio. Ho compreso il punto di vista di Crono.

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Marmellata di peperoni di Antonella Corsini

Ricordate la Maria Egisto e la mia nonna Teotiste? No? Meglio per voi. Questo è quello che io e la tata Maria facevamo nella calura estiva di quelle quattro case a Castelvecchio. Mi raccomando, attenzione massima! Pulire e togliere i semi ai peperoni. Maria usava i guanti perché diceva che le pizzicavano le mani. Spezzettarli con i pomodorini e la mela: con la buccia, per la pectina. Far cuocere il tutto allungato con un dito d’acqua. Quindi passare il composto con il classico passatutto e aggiungere lo zucchero (Maria faceva ad occhio).

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Far bollire mezz’ora circa. Qui entravo in ballo io: con il cucchiaio riempivo i barattolini; poi li capovolgevamo per farli raffreddare lentamente e invasavamo la marmellata calda. Stupenda, di colore rubino, leggermente piccante, eccezionale da abbinare a formaggi e carni. Noi la mangiavamo con il pecorino toscano che i miei genitori portavano il sabato, quando venivano a trovarci. Super, ragazzi, sia la Maria che la marmellata. La mia nonna Teotiste un po’ meno.

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Ppruss a skakkiat

di Gabriella De Bartolomeo

È skakkiat? Provate a ripeterlo, con voce gutturale, il mento in avanti, la a chiusa, prolungata da una t sibilata tra i denti. Impossibile. Il dialetto tarantino è un inseguirsi di codici fiscali, pochissime vocali. Speri sempre che Mike Bongiorno risorga e dica: gira la ruota e compra una vocale. La cucina pugliese è una cucina povera, non si butta via niente. Skakkiare significa scegliere, ma in questo caso si prendono i peperoni meno belli, ammaccati. Si tagliano, si skakkiano i pezzi migliori e si recupera il più possibile. Quindi si riscalda l’olio, l’aglio in camicia, togliendolo appena avrà insaporito l’olio, poi si buttano i peperoni nella padella, salando e aggiungendo qualche foglia di basilico. A metà cottura, quando i peperoni saranno appassiti abbastanza, si aggiungono dei pomodorini. Si prosegue la cottura e in fine si aggiunge del basilico fresco. Ottimo come contorno di carne.

Insalata di peperoni e arance

di Andrea Lupi Variante capsica della classica insalata siciliana. Invece dei finocchi si fanno convivere le arance rosse e bianche con listarelle di peperoni rossi crudi, ovvero gialli, arrostiti e lasciati seccare. Il resto è noto. Aulive nivure,

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cipolle, olio, sale e una spolverata di pepe. Io aggiungerei anche della menta e del prezzemolo per stemperare il sapore e profumare l’alito. Se assaggiandola vi sembra troppo poco amalgamata, provate a versare un cucchiaio di aceto di vino bianco. Se riassaggiandola vi pare che il sapore sia troppo aspro, aggiungete un po’ di limone e i finocchi che avevate tolto dalla ricetta. Se assaggiandola di nuovo vi accorgete che fa veramente schifo, buttate tutto e bevetevi un bicchiere di cabernet sauvignon friulano, vino caratterizzato da un intenso retrogusto di peperone. Prosit.

Budino ai peperoni

di Elisabetta Zanghì

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S’ammorbidisca in acqua fredda la colla di pesce e nel contempo si stufi nel burro un trito di cipolla, unendo poi i peperoni a listarelle e sale in modica quantità. Si lascino andare per 20 minuti a fuoco lento, lento, lento. Si strizzi la colla e la si sciolga nel latte su fuoco dolce. Si frullino i peperoni e s’uniscano alla panna leggermente montata e alla colla di pesce anzidetta. Si versi infine il composto in uno stampo unto e lo si metta in frigo per almeno tre ore. Si serva, a piacere, con passato di pomodoro condito con olio e limone, e decoro di menta piperita in cima. Dimenticavo: si mangi al chiaro di luna, possibilmente con una persona intelligente

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Peperoni gialli

con l’acciuga (di nonna Memma) di Silvia Simoni Olio d’oliva, aglio a spicchi, filetti di acciuga e peperoni gialli tagliati a listelli in quest’ordine, non in rapida successione, ma con brevi tempi di attesa nel susseguirsi degli ingredienti. Olio caldo che scalda l’aglio, acciuga che si scioglie e infine i peperoni. Un velo d’acqua e il coperchio sulla padella, per aiutare la cottura. Tutto qui. Se proprio si cerca la perfezione, si può togliere la pelle ai peperoni, strisciolina per strisciolina, mentre sono in cottura. Io lo faccio con le dita e mi scotto sempre: la perfezione non è roba per signorine.

Bruschetta degli amici

di Marina Cinelli Di una semplicità vergognosa. Prendere una padella antiaderente, scaldar l’olio e adagiare i peperoni (gialli o giallo-verdi) a listarelle. Farli appassire, salare e pepare. Durante la cottura, aggiungere pochissima acqua calda se non sono ancora pronti. Devono risultare molli e bruniti. Né aglio, né cipolla, né scalogno. Verso la fine aggiungere qualche fogliolina di basilico strappata a mano. La guarnizione della bruschetta è questa: pane toscano appena abbrustolito, un po’ di robiola spalmata sopra, qualche listarella di peperone e un’acciuga sott’olio. Servite a una tavola con gli amici intorno.

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Vesuvio di peperoni

di Ornella Mascoli

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A ogni azione restrittiva dell’alimentazione, corrisponde una reazione uguale e contraria. Le mie sono famose, con qualche ragione. Allora dagli scomparti segreti compare la panna, e il gorgonzola fa sentire i suoi effluvi non propriamente primaverili. Il peperone listellato passa a cotture meno quaresimali, con aglio, olio, acqua e sale. A parte, preparate un riso standard, italico e cicciotto; niente chicchi longilinei e con gli occhi a mandorla. Basta che non scuocia, altrimenti desistete, ché l’orrido pappone da cane anziano non è per noi. Mentre il riso si lessa, disponete a raggiera i peperoni in uno stampo da ciambellone e lasciate sul fondo l’abbondante e godurioso sughetto. Indi, a riso lesso, mantecate con panna, parmigiano e gorgonzola. Il concentrato di colesterolo che ne consegue andrà spalmato con grazia nello stampo. Sta a voi non rovinare il disegno, io non son capace. Infine, scaravoltate - l’ho detto! Come la Clerici - in un piatto e portate in tavola il vulcano. E non lasciatevi beccare dall’eruzione in pose poco consone, ché i turisti nei prossimi millenni vi misureranno il girovita.

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Muffin ai peperoni

di Simona Ciccioni

Non amo i peperoni. No, non è vero, li adoro, ma non posso mangiarli. L’unico strappo alla regola lo faccio con i muffin ai peperoni. Credetemi, vale la pena accendere il forno anche a ferragosto! Gli ingredienti sono per otto muffin, ma non mangiateli tutti: per quanto soffici e sfiziosi, si tratta pur sempre di peperoni... Per prima cosa, pulite i peperoni eliminando il picciolo, i semi e le coste bianche, tagliatelo a pezzettini e poi mettetelo in padella con un filo d’olio. Fate cuocere per dieci minuti, salate e aggiungete 40 grammi di olive nere. Nel frattempo, mescolate insieme 140 grammi di farina, 25 grammi di parmigiano, mezza bustina di lievito chimico, pepe e sale. In un altro recipiente, mescolate l’uovo con 100 ml di latte e 50 ml d’olio. Unite questo ultimo composto con il composto di farina, parmigiano e olive. Mescolate e aggiungete all’impasto i peperoni e 60 grammi di provolone precedentemente tagliato a cubetti, distribuendolo omogeneamente nell’impasto. A questo punto, se avete ancora pazienza, versate il composto dei muffin salati nei pirottini imburrati e infarinati riempiendoli per due terzi. Se siete sfaticati come me, potete usare anche la carta forno.

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Infornate i muffin a 180° e cuocete per venti minuti circa. Lasciar intiepidire prima di portare in tavola; diversamente, il rischio ustione alla Fantozzi è altissimo.

La tenda di Maria

ovvero i peperoni cruschi di Lucania di Amelie Robion Arrivammo alle prime luci dell’alba, dopo aver guidato per la notte intera. Domenico ci aspettava al porto, senza dire una parola fece un cenno con il capo e noi lo seguimmo sbadigliando. La sua casa era sopra il vicolo e sfoggiava come tenda una fitta trama di peperoni rossi di forma allungata.

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Uno dei primi viaggi al sud, la curiosità mi divorava. Gli amici presero possesso delle camere, io mi fermai con Maria, la moglie di Domenico, e gustai il miglior caffè della mia vita. Maria iniziò a raccontare: i peperoni cruschi sono fra le principali conserve per l’inverno, vengono con sapienza disposti l’uno vicino all’altro a formare le caratteristiche collane, grazie a un filo di cotone che li unisce dal picciolo, e poi fatti essiccare al sole della Lucania. Si utilizzano peperoni lunghi e dalla polpa sottile, di colore verde e rosso, i migliori sono quelli di Senise. Quando si decide di cucinarli, si aprono in due per il senso della lunghezza, si spolverano con cura con un

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panno asciutto. In una padella, meglio se di ferro, colma di ottimo olio, si fanno dorare per pochi secondi e poi si scolano e si dispongono in un piatto. Saranno veri peperoni cruschi se rimarranno croccanti dopo la cottura, e qui svelo il segreto di Maria: appena scolati, subito in un luogo freddo per alcuni minuti. Lo sbalzo termico donerà croccantezza a volontà. Ottimo come contorno per il baccalà e le salsicce, anche in abbinamento con le patate. Con le briciole di questi peperoni, perché noi non buttiamo nulla, si condiscono minestre, paste o legumi.

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Ragù con peperone

di Stefano Simonini

Ti svegli la mattina, ti senti un po’ ghiottone, decidi che prepari un bel ragù col peperone. L’ideale è essere in casa da soli, magari fuori c’è il sole e si possono spalancare le finestre: non rimane l’odore di cibo stagnante che fa arricciare il naso agli ospiti. Per accompagnare l’esecuzione della ricetta, consiglierei musica popolare, un’Orietta Berti di quando il suo Osvaldo la faceva cinguettare come una passerotta, ché sicuramente stimola il cucinare. Taglio la cipolla abbastanza grossa, che non piace quasi a nessuno... Se mai vi capitasse di essere miei ospiti, sappiate che odio quando ve la togliete dalla bocca con le dita e ne fate una montagnetta a bordo piatto. Una volta soffritta la cipolla, aggiungo la carne tritata, generalmente di manzo, la faccio rosolare fino a quando è cottarella e aggiungo la salsa di pomodoro, generalmente di ciliegino biologico. Anche quando preparo il semplice ragù, non metto né sedano, né carota, quindi non ve lo aspettate nemmeno qui. Passati quindici minuti, mentre io e l’Orietta - tra vie dei ciclamini al centoventitré vendevano le bambole vestite come me e fin che la barca va lasciala andare - facciamo dei coretti da domenica, taglio i peperoni a tocchetti, gialli e rossi, mai verdi, e lascio cuocere a fuoco lento. Ci ho messo

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del sale grosso e un pizzico di peperoncino, ché il pepe non mi piace molto. Ogni tanto vado a controllare che tutto proceda per il meglio, rigorosamente tallonato dal mio bassotto Ninou che vorrebbe assaggiare, e aspetto che dopo tre ore circa la meraviglia sia pronta. Del peperone nemmeno l’ombra, ma se ne sente il sapore. Da mangiare rigorosamente con pasta grossa, uno spaghettone di quelli difficili da masticare o un bel rigatone. Non sono un cuoco provetto, ma avendo vissuto all’estero e cucinato per gente che arrivava da paesi con cibi improponibili, ho sempre fatto la mia porca figura. Bon appétit!

I friarielli

di Isabella Terrano

Altro che nouvelle cuisine. Qui la cucina è vecchia, di quelle della nonna, con il sugo messo a pipitiare sin dal mattino nella caccavèlla di rame e diffondere per tutta la casa il suo odore, l’odore della domenica.

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E d’estate, a sostituire il profumo del raù, ecco i peperoni: di ogni forma, colore, tipo; grigliati, imbottiti, fritti... Eh, ma poi si ripresentano, dicono. A me l’unica cosa che si ripresenta del peperone è la fame: più ne mangio, più ne voglio. Uno dei prediletti è senza dubbio il

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friariello. Da non confondere con quello delle parti vesuviane, che è un broccolo, il friariello, il cui nome deriva presumibilmente da frìere - friggere - è un delizioso membro della Famiglia Solanacea. Piccolo, verde, a modo, con una simpatica forma a cornetto e profumo di paradiso al peperone. Il friariello lo dovete friggere, appunto, dopo averlo privato del picciolo e dei semi - ma senza tagliarlo in due, mi raccomando -. Successivamente, fatelo insaporire per qualche minuto in un sughetto, non troppo tirato, preparato con olio evo, aglio, pomodorini, sale e il cugino malandrino del nostro: il peperoncino. Più semplice di così… Rovesciate nel piatto di portata o in una pirofila e servite. Se la presentazione non risulta da cinque stelle, fregatevene: il friariello brilla di luce propria. Piuttosto, procuratevi un buon pane con la crosta spessa e croccante e dell’ottimo vino rosso.

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Peperoni alla «Non mi vai né giù né su.»

di Riccarda Lombardi Prendete tre peperoni, uno verde, uno giallo e uno rosso. Mi raccomando, non scambiateli con quelli che fanno gli occhi dolci ma poi sono piccanti e non vanno giù neanche con i saltelli! Tagliateli a fettine non molto grandi, ma nemmeno molto piccole, come solo alcuni sono bravi a fare. In una padella mettete a rosolare aglio e olio. Rosolare, proprio come fate con lo sguardo malizioso al tavolo del ristorante con il tizio che vi piace. Aggiungete i peperoni e lasciateli ammorbidire coprendo con un bel coperchio. A metà cottura aggiungete sale qb e tanti capperi sotto aceto. Fate evaporare l’aceto, in sostanza quello che fate dopo un’arrabbiatura. Aggiungete della mollica di pane raffermo sminuzzata, ché non si butta via niente. Quando il pane ha preso il sapore del peperone, che a sua volta ha preso il sapore dei capperi, togliete dal fuoco e servite. Vedrete che buoni. Dubito, davvero dubito, che potrete dimenticarli. Almeno, non senza l’aiuto di un alka selzer.

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Peperoni di Carmagnola alla Conte di Carmagnola

di Maria Pasqua Maizzi Ricetta di coniglio grigio con corno di peperone stracciato a brani, in salsa vinaigrette, anche detta Peperoni di Carmagnola alla Conte di Carmagnola. Preparo in una ciotola o piatto da pinzimonio (un tempo, in campagna, si usava una scodella) una vinaigrette con olio extravergine di oliva, filetti di carne di coniglio grigio ridotto quasi a paté. Con i rebbi della forchetta struscio leggermente uno spicchio d’aglio per un tenue souvenir del suo profumo. Poche gocce, con un pizzico di sale. Pesto ancora un po’ il paté su una bruschetta precedentemente strusciata, e piano ripongo il corno di peperone stracciato a brani. Mi raccomando, stracciare bene. Vino consigliato, Montecarlo Bianco. Da degustare a lume di candela con sottofondo dell’inno dei Sanculotti.

La vècia col caval pisst

di Maria Grazia Serradimigni

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Sarebbe la vecchia, in quanto antica, ricetta col macinato di cavallo, che a Parma è molto popolare, cucinato in tutte le salse e anche crudo, a mo’ di tartare. Prendo una padella grande e antiaderente e friggo, in abbondante olio, delle patate (con aglio e rosmarino).

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Dopo averle fritte e aver tolto l’aglio, le metto da parte e, nello stesso olio, faccio rosolare una cipolla tagliata a fettine sottili e un altro spicchio d’aglio. (Una volta si usava il lardo: erano altri tempi, altri appetiti, altri stomaci). A rosolatura compiuta, aggiungo due peperoni, uno giallo e uno rosso, tagliati a listarelle sottili, e faccio cuocere per circa dieci minuti, allungando all’occorrenza con un mestolo di brodo. Io ci metto anche un paio di pomodori ben maturi, che oltre al sapore danno un’altra sfumatura di rosso. Quando è tutto ben cotto, aggiungo le patate fritte e, facendo attenzione a non schiacciarle, raccolgo le verdure da una parte nella padella, e nello stesso olio di cottura faccio saltare velocemente il macinato di cavallo perché si insaporisca. A questo punto, amalgamo verdure e carne e aggiusto di sale. Un tempo, quando il cavallo era molto costoso, al suo posto si usava mettere la carne avanzata del brodo, sbriciolandola dentro le verdure. Si consiglia qualche buon bicchiere di lambrusco onde evitare riproposizioni.

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Molliche di pane e... acque termali

di Antonella Corsini La mia nonna, Regina Margherita, solitamente in estate andava a Montecatini Terme a fare le cure termali per, diceva lei, svegliare il corpo e la mente attraverso le straordinarie proprietà delle acque termali. Lì conobbe la Sig.ra Domenica Moramarco e divennero grandi amiche. Una volta l’anno andava ad Altamura a trovare l’amica, e quando questa le telefonava, le diceva sempre: «Torna, è ora che assaggi molliche di pane, l’odore dei forni come te lo manderemo?» Non era altro che un piatto che poi entrò nella mia famiglia, e come ogni ricetta di famiglia, non ho dosi o proporzioni, l’ho assimilata semplicemente guardando con amore i gesti di mia nonna.

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Il piatto si chiama Peperoni con mollica di pane e mandorle. Grossomodo io faccio così (una volta all’anno): in un bicchiere faccio sciogliere lo zucchero nell’aceto mescolando con un cucchiaino. Taglio i peperoni a dadini piuttosto grandi e in una padella li faccio soffriggere a fuoco lento con abbondante olio. Giunti a cottura, metto da parte i peperoni e nel loro olio bollente soffriggo la mollica di pane fino a quando non risulta dorata e i pezzettini più grandi acquistano croccantezza. Rimetto i

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peperoni nella padella saltandoli assieme alla mollica di pane soffritta, aggiungendo le mandorle sminuzzate. A questo punto, il sale. Poi aggiungo il composto di aceto e zucchero e proseguo la cottura fino a quando questo non sarà sfumato del tutto. Se siete a dieta non avvicinatevi troppo a questa ricetta: deve essere condita con tutti i crismi; non lesinate sull’olio, chÊ il pane lo assorbirebbe completamente. Alla nonnina Regina Margherita e a Donna Moramarco veniva una squisitezza; a me, diciamo passabile.

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Salsa verde di peperoni antistress

di Elisabetta Zanghì Prendiamo un coltello affilato che faccia pensare a cose strane da fare sul marito che ci ha appena fatto arrabbiare; sul tagliere andiamo a tagliuzzare i filetti di peperone insieme al prezzemolo e via: zaczaczac! Ponete il trito in casseruola, raccomando l’acciaio, più facile da pulire dopo, e unitevi aceto di vino, due cucchiai di salsa di pomodori e il sale iodato - che a lui fa tanto male alla tiroide, ma a me che sono ipotiroidea no! -. Portate poi a ebollizione e continuate la cottura a fuoco moderato per una trentina di minuti... Oh, che ricordo mi sovviene! Ma no, quella era veneta, non trentina. Fedifrago! Levate la salsa dal fuoco e, quando sarà fredda, aggiungete un filino d’olio, di quello extra vergine. Si conserva bene nei vasi ermeticamente chiusi, sapete com’è, il vostro maritino potrebbe star male se gonfiasse il vasetto, fate molta attenzione... La salsa è indicata per carni lessate e uova sode. Vi sarete domandati perché i peperoni da usare siano quelli verdi. Per farlo arrabbiare un po’, ovviamente!

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Peperoni e termodinamica.

di Mirella Mancini I peperoni erano languidamente distesi nella teglia, lucidi, di un giallo carico, il colore preferito di mia madre. Al ritorno a casa, nell’intervallo di chiusura del negozio, li aveva preparati per la cena, secondo la ricetta di una delle signore che frequentavano la profumeria. Si puliscono i peperoni e se ne tolgono i semi, si riempiono con un impasto fatto di pane ammollato nell’acqua, tonno all’olio d’oliva extravergine, sale, pepe, abbondante parmigiano grattugiato e un uovo per amalgamare tutto. Poi si mettono in forno, a diventare traslucidi e fragranti. Cibo semplice, da mamma che lavora. La sera, li aveva messi a tavola guardandomi in tralice, con il suo sorriso e il piccolo scatto della testa, così tipico. Dopo una giornata normalmente infernale, seduta a tavola ammiravo quel cibo dorato e appagante e li avevo perdonati tutti: i miei ipocriti datori di lavoro, l’umanità vociante e puzzolente che affollava gli autobus, i pervertiti con la mano morta (quelli un po’ meno).

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Assaporavo in anticipo e con altrettanta soddisfazione la goduria che stavo per provare, consapevole di tutto ciò che mi circondava. Ero amata, felice e con un vantaggio: sapevo di esserlo. Dovevo godere di tutto, perché ero Enciclopedia del peperone


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certa che sarebbe finita, anche senza sapere come. È il primo principio della termodinamica: non esiste il moto perpetuo, non si può avere tanto per sempre. Non mi aspettavo di riscoprire, invece, il secondo principio: il calore dei sentimenti non va perso, si trasforma in energia. A tanti anni dalla morte di mia madre, quando vedo peperoni gialli, ne rivedo il sorriso e il piccolo cenno della testa, così tipico. E sorrido.

Vita da peperone

di Diego C. DelaVega

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«Ebbene sì, io sono un peperone! Sono stato verde, poi sono diventato giallo e, in ultimo, mi rivestii di un bel rosso sgargiante! Profumavo molto, ero la star dell’orto, facevo invidia persino a quei ridicoli pachini del rione accanto. Ero ormai maturo quando, all’improvviso, arrivò un alieno e mi rapì. Mi strapparono le gambe e, per il dolore, persi conoscenza. Fui risvegliato in un obitorio pieno di cadaveri. Io, come altri, stavo schiacciato in una cassetta di legno. Sentivo le urla strazianti delle melanzane e delle carote mentre le zucche venivano brutalmente squarciate vive. Svenni per lo spavento. Rinvenni avvolto in un pezzo di carta ruvida, al buio e al freddo; da uno spiraglio intravidi una bottiglia di latte. Dio mio, dov’ero finito? Passarono giorni e giorni. Avevo la mente intorpidita

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quando gli alieni mi affettarono e svuotarono; volevo gridare I miei semi, i miei figli! No! Tutto inutile, in pochi istanti fui ustionato in un succo di sangue di olive. Che dolore! Come se non bastasse aggiunsero sale e teste mozzate di capperi, la puzza di aglio morto mi fece nuovamente perdere i sensi. Ecco, è così che sono arrivato qua in questo posto putrefatto e acido, a te invece com’è andata?» «Io sono un trancio di carne, prima ero una grossa vacca, qua sono in forma di polpetta, una storia ben più lunga della tua.» «Immagino, comunque non voglio morire qua; questo pezzo di patata, qua accanto a me, ha detto che ci ridurranno tutti in escrementi e andremo a concimare gli orti da cui veniamo. Non so tu, ma io non mi arrendo.» «E cosa vorresti fare?» «Cosa voglio fare? Semplice, scappo via. Sai cos’ho in mente? Vedo l’uscita, là in alto, vi saluto tutti, IO TORNO SU!» ...e così, da tempo immemore, continuiamo a ingoiare peperoni che, animati da spirito libero e indipendente, regolarmente cercano di tornare alla vita da cui li abbiamo strappati. Amen, anzi, Burp!

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Come scattare una bella e buona insalata greca

di Sabrina Suadoni Peperoni gialli e rossi, olive nere, formaggio feta, cetrioli, pomodori datterini, cipolla, olio, sale e pepe qb. Tagliate tutti gli ingredienti cercando di rispettare la naturale forma del singolo prodotto: il cerchio del cetriolo, gli anelli della cipolla, le strisce spesse del peperone, mentre la feta tagliatela a cubetti e lasciate interi i datterini e le olive. Procuratevi un recipiente di coccio, ce ne sono di belli colorati, ma per questa scatto/ricetta trovo sia più indicato il color terracotta.

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Mescolate tutti gli ingredienti salando e pepando; l’olio va inserito per ultimo ad amalgamare i sapori. Fate molta attenzione al giallo intenso del peperone e al bianco del formaggio, perché potrebbero riproporsi sparando troppo la loro luce e la foto risulterebbe poco equilibrata nei toni. Se potete, scattate con luce naturale, o se invece siete costretti a un interno, mi raccomando di valutare bene il tipo di luce artificiale che avete (no flash). Decidete l’inquadratura, l’effetto che volete dare all’immagine, lo sfondo migliore per esaltare il vostro allegro piatto. Impostate tutte le funzioni della vostra macchina fotografica, ora siete pronti... CLICK!

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