Bizzarro Magazine vol. 3 - Gamedrome (anteprima)

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GAMEDROME | COLOPHON

L

a settima arte non è un monolito ma una spugna dai confini irregolari, che assorbe gli stimoli dal circondario e schizzando li restituisce al mondo. Il cinema stesso è un’arte polifonica: si realizza a più mani, richiede le maestranze più disparate e accoglie in sé – come condizione fondante – la coesistenza di tutte le forme d’espressione. Un film è musica (colonna sonora), pittura (costruzione delle inquadrature), teatro (recitazione e regia), letteratura (sceneggiatura e trattamento), fotografia (luci) e, volendo essere puntigliosi, fumetto (storyboard) e illustrazione (concept art). Per non parlare dei costumi, delle scenografie e delle coreografie, che chiamano in ballo la moda, il design, l’architettura, la danza e la scultura. Veniamo subito al punto: si può parlare di cinema senza approdare altrove? Si può analizzare un film in maniera approfondita senza chiamare in causa altre forme d’arte? Si può davvero nutrire una passione profonda per il grande schermo senza essere incuriositi dai fumetti, dall’arte e dalla letteratura? Sinceramente, crediamo proprio di no. Men che meno oggi, nell’epoca dei link e degli ipertesti: facendo una ricerca, per esempio, sulla fisica quantistica, con un semplice click si può passare da un testo scientifico a un film di John Carpenter, restando coerenti alla materia iniziale. Chi, ancora oggi, si arrocca in teorizzazioni esclusivamente filmocentriche, compie un esercizio vecchio di anni, e probabilmente si chiude in un recinto slegato dalla realtà, parlandosi addosso senza vedere l’elefante nella stanza e restando rigorosamente in vitro. Ecco perché «Bizzarro Magazine» ha sempre discusso di cinema senza soffermarsi solo sui film. Non si può parlare di western senza chiedersi chi fosse realmente Billy the Kid e non si può analizzare Ken Shiro senza sfociare nella cultura del popolo giapponese. Nonostante peregrinazioni ondivaghe ed estreme, si continua inevitabilmente a parlare di cinema. Potevamo, per esempio, far finta che film e videogame fossero due materie distinte, buone solo ad associarsi per generare adattamenti acchiappapubblico e per iniziare sterili discussioni sulla fedeltà all’originale. Invece ci siamo convinti che il videogame è assolutamente cinema, e parla la stessa lingua dei film (quella delle immagini in movimento). Potevamo anche far finta che in questo discorso a due, materie come l’arte (?), la letteratura (??) e la musica (???), non c’entrassero nulla. Ma non l’abbiamo fatto. L’onestà prima di tutto. Buoni pixel e buone cose bizzarre. Daniele “Danno” Silipo


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SOMMARIO 5. PREFAZIONE: COME BUSTER KEATON (di Maurizio Nichetti) 8. TRAILER COMICS 9................................................ Tommaso “Spugna” Di Spigna (testi e disegni) 15.......................................... Valeria Bafumi (disegni); Vincenzo Pandolfi (testi) 21................... Daniele Serra e Abhishek Singh (disegni); Biagio Cephalus & Smoky Man (testi); Daniele Tomasi (lettering) 27. DIZIONARIO ESSENZIALE DEL CINEMA VIDEOLUDICO 28.... Introduzione: Ready? Play! (di Davide Pessach e Daniele “Danno” Silipo) 44..................................................... Primo piano: Level Five (di Davide Pessach) 46................................... Primo piano: Videodrome/eXistenZ (di Davide Pessach)

50..................................................... Primo piano: The Beach (di Davide Pessach) 70........................................................ Omaggio: Uwe Boll (di Emanuele Rauco) 73.............................................................................................................. Portfolio 77. FOCUS 78................................................................ Cult movie: Tron (di Raffaele Meale) 84...................... Videogame: Avoid missing ball for high score (di Davide Pessach) 92.................................... Arte: Ho fraggato Andy Warhol (di Marco Andreoletti) 98............................................ Vademecum: Game O Rama (di Davide Pessach) 105. EXTRA 106................................................ Musica: Sentire a 8 bit (di Andrea Avvenengo) 108............................... Letteratura: Cronache del cyberspazio (di Davide Pessach) 111......................................... Letteratura: La Bibbia nerd (di Marco Andreoletti) 112. MINI-INSERTO: MOSTROLOGIA VIDEOLUDICA 114. RACCONTO: CHEAT (di Gabriel Ellis) 119................................................................................................... Indice dei film 121........................................................................................................ Bibliografia 122.................................................................................................... Collaboratori 124.......................................................................................................... Backstage 6 | BIZZARRO MAGAZINE | VOLUME 3


GAMEDROME | PREFAZIONE

Come

Buster Keaton di Maurizio Nichetti

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a prima emozione creata da figure in movimento su uno schermo bianco la si deve all’immagine di un treno che entra in stazione, un breve filmato di quarantacinque secondi proiettato il 6 gennaio 1896 in un baraccone da fiera. Gli spettatori dell’epoca, ingenui e non ancora abituati a quella magia, si sentirono a tal punto coinvolti da non riuscire a reggere l’emozione: le cronache raccontano di gente fuggita via terrorizzata. In quel momento, nasceva la settima arte. Da quel giorno il cinema non ha mai smesso di crescere e sviluppare nuove tecniche, e gli spettatori si sono evoluti di pari passo. Abituato a ogni genere di provocazione, a storie esasperate e ritmi frenetici, il pubblico odierno raramente si lascia coinvolgere da una semplice storia, da un’avventura. Oggi si corre al cinema richiamati dall’ultima innovazione tecnologica, si resta affascinati dal 3D o da un’animazione particolarmente realistica, ma tutto questo tecnicismo non ha nulla a che vedere con quell’immedesimazione che provava lo spettatore di inizio ’900, quando l’industria cinematografica era ancora tutta da inventare. La tecnica oggi riesce a riprodurre la realtà alla perfezione, ma questo

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qUeStO e’ BellO GROSSO!

Ok, Il SUO OUtpUt DANNI RIeNtRA NeI pARAmetRI pRevIStI. BeNe, SIAmO ANCORA NeI tempI. pASSIAmO AllA pROSSImA qUeSt.

ASpettA UN AttImO... lA SeqUeNzA DI COmBAttImeNtO NON eRA FINItA?


GAMEDROME | DIZIONARIO ESSENZIALE

OPERAZIONE

DIABOLICA

[Seconds] di John Frankenheimer – Usa, 1966 Ricominciare la propria vita all’infinito, esattamente come succede in un videogioco, è il pretesto utilizzato da Fran­ kenheimer per raccontare una vicenda tanto umana quanto deprimente e stordente nel suo pessimismo. Seppur con qualche comprensibile licenza sulla plausibilità di alcune trovate, la storia cattura da subito, reggendo fino al tremendo e (purtroppo) indimenticabile fina­ le. Schopenhauer definiva la vita come un fatale alternarsi di dolore e noia: dove l’uno scema l’altra risorge, inevitabilmente. Costruito su questa base, Operazione diabolica è un film azzardato ma affascinante: da un parte rischia di affossare lo spettatore sotto il peso della propria sceneggiatura, dall’altra lo gratifica, riuscendo costantemente a stupire con le sue inusuali scelte tecnico-stilistiche. Grandangoli estremi, inquadrature sbilenche e qualche tocco espressionista fanno di quest’opera un’esperienza estetica unica, ancora oggi e anche agli occhi dei cinefili più sofisticati. (DP)

far fronte a un pericoloso gioco di realtà virtuale a cui si sono appassionati i figli e che li trasporterà direttamente nella savana, a contatto con belve feroci. Nel secondo, un gruppo di astronauti atterrano su un pianeta incessantemente battuto da una strana pioggia; nel terzo gli ultimi sopravvissuti sulla Terra si trovano ad affrontare una terribile scelta in vista dell’imminente fine del mondo. Nella sua totalità, L’uomo illustrato si palesa come perfetto esemplare di un nuovo tipo di fantascienza che caratterizzerà i successivi anni ’70, ma il motivo principale per cui rientra in questo dizionario è ovviamente il primo episodio: una vicenda che lo rende ancor più in anticipo sui tempi, soprattutto per il tema trattato, quasi pionieristico. Non a caso, la pellicola di Jack Smight è tratta dall’omonima raccolta di racconti del grande Ray Bradbury, uno che di profezie e visioni del futuro ne sa qualcosa. Da menzionare l’intensa ed eterogenea perso­ nalità interpretativa di Rod Steiger, che appare protagonista assoluto assieme a un ottimo cast di supporto. (AG)

IL MONDO

ILLUSTRATO [The Illustrated Man] di Jack Smight – Usa, 1969 Il giovane vagabondo Will incon­ tra il misterioso Carl, un uomo il cui corpo è rivestito da incredibili tatuaggi che fanno da spunto a una serie di racconti futuristici. Nel primo, due genitori devono

ANNO 2000

SUL FILO

[Welt am Draht] di Rainer Werner Fassbinder – Germania, 1973

L’UOMO

una storia piuttosto semplice sulle classiche realtà a cascata, riuscendo però a condirla con una sceneggiatura e una regia incredibilmente aderenti al taglio filosofico dell’argomento trattato. La vicenda si concentra sui rapporti umani, sugli intrighi e sullo stato d’animo del protagonista, alle prese con la stessa verità che lacererà la vita del cyborg Rachael in Blade Runner: il senso dell’esistenza in un mondo che sembra essere una simulazione ludica di un universo superiore. Ma il regista non si ferma qui e ne approfitta per parlare di scelte morali, di destino sociale, d’amore e di responsabilità nello sviluppo tecnologico; tutto con grande pulizia e con il tocco surreale ed elegante che lo contraddistingue. Un gioiello da esplorare e da rivedere continuamente per portare a casa ogni volta uno stimolo diverso. (DP)

Accettando di percorrere per intero l’interminabile minu­taggio di questo capolavoro firmato Fassbinder (più di duecento mi­ nuti) e sopportando un modo decisamente ridondante di fare cinema, si ottiene una straordinaria ricompensa: la più profonda esperienza cinema­ tografica sull’argomento delle realtà parallele. Fassbinder elabora

LA CORSA DELLA MORTE [Death Race 2000] di Paul Bartel – Usa, 1975 Uno dei pochissimi film (assieme a titoli del calibro di I 3 dell’Operazio­ ne Drago o I guerrieri della notte) ad aver influenzato direttamente l’immaginario videoludico prima ancora che questo prendesse forma. Nel mondo ultrapop sviluppato da Bartel e Corman, la Transcontinental Road Race

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è l’evento più seguito dell’anno: trattasi di una gara automobilistica dove vince chi investe più pedoni. I partecipanti sono una schiera di personaggi coloriti, ognuno dotato di un mezzo che rispecchia il proprio eccentrico stile (come succede nel cartone animato Wacky Races). Da questi presupposti si sviluppa una trama delirante, fatta di feroce ironia anti-establishment e gelide sferzate al buongusto. Geniale, coloratissimo, capace di incastonarsi nell’immaginario collettivo in maniera istantanea. Rimarranno nella memoria il conteggio dei punti in so­ vrimpressione (con tanto di bonus per vecchi in carrozzina), un giovane Stallone nella parte di Machine Gun Joe e il sempre carismatico David Carradine in quella del pluricampione Frankenstein. (MA)

TRON [Id] di Steven Lisberger – Usa, 1982 Il progenitore di Matrix (vedi pag. 48) è proprio qui, in questa produzione Disney, in cui un giovanissimo Jeff Bridges guida una rivoluzione all’interno di un computer, al fianco e contro programmi e codici dal volto umano. Siamo all’inizio di una tendenza che culminerà proprio con il film dei fratelli Wachowski, e che qui fa sgorgare purissima la sua ispirazione tra effetti speciali godibilissimi, colonne sonore a base di sintetizzatori da videogame e una sceneggiatura non proprio impeccabile. I cattivi rimangono oppressori e illiberali anche quando si tratta di bit e righe di codice, e questo non può che far sorridere chi, oggi, non si lascia distrarre da effetti speciali (allora) mirabolanti. Una pietra miliare. (DP) [Su Tron vedi anche da pag. 78]

un videogame di simulazione, che si fa tramite per una riflessione epistemologica sull’esistenza. Ul­­ timo film di Natalie Wood, scomparsa tragicamente durante le riprese. (CG)

NIGHTMARES BRAINSTORM

GENERAZIONE ELETTRONICA [Brainstorm] di Douglas Trumbull – Usa, 1983

INCUBI

[Nightmares] di Joseph Sargent – Usa, 1983 Composto da quattro episodi, il film è presente in questa sede soprattutto per il segmento denominato Bishop of Battle, l’unico a tematica videoludica. J.J. Cooney (interpretato da un giovanissimo Emilio Estevez) è un ragazzo ossessionato da un videogioco dalla grafica piuttosto rozza (siamo nei tecnologicamente spartani anni ’80). Vuole rag­ giungere il livello tredici, quel­ lo finale, ma le sue abilità lo tengono impalato al dodicesimo. Intrufolatosi notte tempo nella sala giochi riuscirà nel suo intento, ma il videogame rivelerà una sorpresa molto pericolosa. Episodio simpatico anche se datato, sulla scia di Ai confini della realtà, che sembra voler mettere in guardia i giovani da una frequentazione sconsiderata della sala giochi. Chiaramente ottiene l’effetto contrario ma lancia di fatto quella poetica anti­ videoludica diventata col tempo un filone a sé (vedi Brainscan, Il mostro oltre lo schermo, Stay Alive, a pag. 40, 51, 57). Per nostalgici. (DS)

Il piacere estatico del gioco e le sue derive più pericolose, l’im­ mersione plurisensoriale nel cyberspazio, l’esplicitazione meta­ cinematografica della ricezio­ ne spettatoriale: prima di Strange Days (vedi pag. 43), Nirvana (vedi pag. 43) ed eXistenZ (vedi pag. 46), c’era già tutto nella seconda regia del maestro degli effetti speciali (2001: Odissea nello spazio; Star Trek; The Tree of Life) Douglas Trumball. Concepita come di­ mostrazione di un brevetto dell’autore (lo showscan, capace di proiettare una pellicola di 70 mm in sessanta fotogrammi al secondo per ottenere un maggiore realismo), Brainstorm è un’opera affascinante e spettacolare, ancora oggi capace di sorprendere per il suo approccio avanguardistico al tema della realtà virtuale. Più che nella trama – due scienziati inventano un congegno in grado di registrare le percezioni di un individuo, consentendo così ad altri di riviverne le esperienze – la portata innovativa risiede nell’impiego del linguaggio fil­ mico con l’espediente della soggettiva, che diventa strumento per dispiegare le potenzialità del [Id] di David Cronenberg – Canada, dispositivo (dal volo spaziale alle 1983 montagne russe, dal rapporto sessuale fino alla morte) come in Vedi “Primo piano” a pag. 46.

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VIDEODROME


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WARGAMES GIOCHI DI GUERRA

[WarGames] di John Badham – Usa, 1983 La tecnologia deve mantenere un ruolo subordinato rispetto all’uo­ mo, pena catastrofi apocalittiche. Questo messaggio, oggi fin trop­ po abusato, all’inizio degli anni ’80 trova in Wargames una delle migliori rappresentazioni cinema­ tografiche. Trama snella, incedere veloce e brioso, interpretazioni puntuali fanno di questo lavoro una delle migliori performan­ ce di John Badham. Dal clima di commedia giovanilistica a stelle e strisce anni ’80 si passa veloce­ mente all’incombere di una guerra termonucleare globale, non senza meravigliarsi di quanto questa possa essere effettivamente pro­ babile, insensata e ben lontana da una mera fantasia cinematografica (ovviamente bisogna sapersi calare nelle consapevolezze di trent’anni fa). Ma Wargames è godibilissimo anche oggi, segno che si tratta di un capolavoro: cultura popolare, ma di prima qualità. (DP)

chiarissimo impianto videoludico: abbiamo una principessa da salvare, un mostro finale da rag­ giungere e sconfiggere e sette diversi livelli da superare, nonché un computerino da polso che fornisce tutte le informazioni di base per risolvere ogni schema. Niente però riesce a sollevare questo film da terra, neanche una cabina di regia composta dal meglio della premiata ditta Empire/Full Moon. Tutto si palesa ben presto come un confusissimo esercizio di stile, magari simpatico ma inevitabilmente disastroso e pasticciato (il titolo italiano, in tal senso, rende benissimo l’idea). Peccato. (DS)

sua grande occasione, il giovane si intrattiene guidando astronavi galattiche in un videogioco da bar, dov’è un vero asso. Ma il giochino nasconde un segreto: è un mezzo per reclutare nuove leve pronte a guidare astronavi da combattimento. Prelevato nottetempo da un alieno, viene portato tra le stelle e diventa un pilota della Lega Galattica. Intanto, sulla Terra, un robot dalle sembianze identiche al ragazzo, cerca di sostituirlo come può. Un sottotesto (involontario?) così smaccatamente pro-videoga­ me non si era ancora visto: il desiderio di riscatto, di ottenere una vita migliore, e la capacità di trasformare i sogni in realtà passano per il mondo dei video­ giochi, metafora di una passione sana da perseguire con dedizione perché, prima o poi, può portare buone cose. Per il resto, siamo di fronte a una divertente space opera frammista a commedia, chiaramente in­fluenzata dall’inar­ rivabile Guerre stellari. Gli ef­ fetti digitali non hanno nulla da invidiare alle grafiche dei videogiochi anni ’90. (DS)

L’IMPLACABILE

IL DEMONE DELLE

GALASSIE INFERNALI

[The Running Man] di Paul Michael Glaser – Usa, 1987

[Ragewar] di D. Allen, C. Band, J. Buechler, S. Ford, P. Manoogian, T. Nicolaou, R. Turko – Usa, 1984 Paul, un mago del computer, viene rapito dal demone Mestema che lo trasporta in un mondo parallelo. La sua ragazza è ostaggio del satanasso e il giovane, per salvarla, dovrà superare sette prove ambientate in sette scenari diversi (si va dalla giungla al dopo apocalisse). Film sgretolato e inconcludente ma di

GIOCHI

STELLARI [The Last Starfighter] di Nick Castle – Usa, 1984 Bravo giovanotto vive in un campeggio di roulotte, ma sogna il cielo. Vuole entrare in aviazione attirando lo sfottò degli altri ragazzi che preferiscono il binomio donne e motori. Mentre aspetta la

Los Angeles, anno 2019: gli Stati Uniti sono divenuti un paese totalitario. La televisione trasmette un gioco che è una caccia all’uomo, ma quando arriva il turno di Ben Richards le cose cambiano. Tratto dal romanzo L’uomo in fuga di Stephen King (pubblicato nel 1982 sotto pseudonimo) il film di Glaser rivisita in chiave deliberatamente pop-videoludica le intuizioni apocalittiche dello scrittore di Portland, spingendo l’acceleratore sulla fantapolitica. Chiudendo un occhio sull’orrida tutina giallo-

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GAMEDROME | CULT MOVIE

Il sogno (video)ludico di Tron e Tron: Legacy parole di Raffaele Meale illustrazione di Ratigher

«Un sogno lucido è un sogno nel quale il soggetto è consapevole di sognare. È facile dedurre come un sogno lucido costituisca un banco di prova. Lo stato di sogno è generalmente relazionato all’irrazionale, in completa discontinuità con l’esperienza da svegli. […] Alcuni soggetti sostengono che durante il sogno lucido riescono a trattenere la maggior parte, o addirittura tutti, i ricordi che essi possiedono nello stato di veglia. Se questo fosse vero, vorrebbe dire che la citata “discontinuità con l’esperienza da svegli” è evidentemente ridotta al minimo. Inoltre, alcuni sogni lucidi sembrano imitare in modo molto preciso la vita da svegli»1.

L’

incipit disegnato da Celia Green nel 1968 per il suo Lucid Dreams (testo fondamentale per lo sviluppo degli studi sull’onironautica, branca della psichiatria inaugurata agli albori del ventesimo secolo dal lavoro di Frede­ rik van Eeden2) a prima vista potrebbe spiazzare il lettore interessato a una riflessione sulla storia di/dei Tron, culto della fantascienza dell’epoca informatica rinverdito, appena due anni fa, da un ritorno di fiamma hollywoodiano. Per questo mo­ tivo converrà procedere per gradi… VOLUME 3 | BIZZARRO MAGAZINE | 81


GAMEDROME | ARTE

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GAMEDROME | ARTE

Lo strano e contraddittorio rapporto tra arte e videogiochi

Videogame can never be art ?

L’

parole di Marco Andreoletti illustrazione di Matteo Cuccato

arte dei videogiochi, l’arte con i videogiochi o i videogiochi come arte? Potrebbe sembra­ re una domanda gratuita e pleonastica – oltre che vagamente marzulliana – eppure il fulcro di tutta la discussione sul valore di questo nuovo medium passa da qui. Per renderci conto di quanto siamo lontani da una lettura univoca del fenomeno suggerisco un semplice esperimento: leggere dieci saggi sull’argomento, presi a caso da fonti diverse. Ci ritroveremo tra le mani dieci differenti chiavi di lettura, ognuna delle quali influenzata dal bagaglio culturale dell’autore. Questo perché il videogame non è ancora riuscito – nonostante gli vengano de­ dicate megamostre celebrative in importanti musei, come The Art of Video Games allo Smithsonian di Washington – a farsi ingabbiare negli angusti cubi­ coli accademici, arrivando così a lambire, con i suoi fugaci prolungamenti, personalità diversissime tra

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ci si doveva accontentare di musi­ chette vagamente ispirate ai temi dei film e grumi di pixel in cui im­ pegnarsi a vedere le scene migliori del prodotto originale.

Beauty & the Beast (1982, Usa)

Sviluppatore: Imagic Piattaforma: Intellivision System

E.T. (1982, Usa)

Sviluppatore: Atari Piattaforma: Atari vcs 2600 Chi ha detto che solo i videogiochi migliori fanno la storia? E.T. dimo­ stra l’esatto contrario. Sviluppato in tutta fretta per assicurarsi l’ar­ rivo nei negozi durante il periodo natalizio (subito dopo l’uscita del film), il videogame doveva essere il classico blockbuster videoludi­ co in grado di catalizzare comple­ tamente l’attenzione dei bambini americani durante le feste. L’obiet­ tivo venne centrato in pieno: il videogioco – praticamente ingio­ cabile – deluse così tanto da diven­ tare famoso, prendendosi tutta la scena. Non solo, il titolo prodot­ to da Atari divenne il simbolo di quel disastro che pochi mesi dopo avrebbe travolto l’intero settore (la grande crisi del 1983). E.T. era l’ennesima cartuccia immessa su un mercato ormai saturo, affollato da titoli troppo simili e aziende at­ tratte da alti guadagni. Per di più, tenne a battesimo quella che sa­ rebbe diventata presto una pessi­ ma abitudine del settore: sfruttare successi cinematografici sempli­ cemente applicandone il titolo su prodotti realizzati con pochissima cura. Bisognerà attendere circa vent’anni per ascoltare riflessioni interessanti sulla commistione dei due linguaggi e per giocare titoli innovativi in questo senso; allora

Ispirato per metà al capolavoro di Jean Cocteau La Belle et la Bête (1946) e per metà al King Kong del 1933 firmato RKO, Beauty & the Beast ha un approccio più profes­ sionale e rispettoso. Gli svilup­ patori prendono il tema di fondo della storia originale, ne estraggo­ no alcuni stilemi e costruiscono intorno a questi elementi un vi­ deogioco dotato di un gameplay solido e interessante. Una sorta di Donkey Kong (che aveva debuttato solo un anno prima) riciclato spu­ doratamente, benché arricchito di nuovi elementi e di una struttura più durevole e snella. La grafica è colorata e piacevolissima e si ini­ zia a sentire un principio di ten­ sione drammatica che proprio il capolavoro seminale di Miyamoto aveva inaugurato. È interessante notare che il gameplay verticale inaugurato da Donkey Kong sarà tra i più longevi della storia dei videogiochi. Ispirerà, tra gli altri, una celebre serie da sala giochi de­ nominata Crazy Climber e tuttora apprezzatissima dai nostalgici.

Microsurgeon (1982, Usa)

Sviluppatore: Imagic Piattaforma: Intellivision System Vagamente ispirato al curioso Viaggio allucinante (Fantastic Voya­ ge, 1966), questo Microsurgeon è probabilmente la più coraggiosa produzione della fertilissima Ima­

gic. Al comando di una navicella miniaturizzata, il giocatore pene­ tra in un corpo umano (estrema­ mente dettagliato per l’epoca) alla ricerca di nemici dell’organismo definiti con precisi termini medici, ai quali somministrare altrettanto precise cure differenziate (illustra­ te ampiamente nel libretto delle istruzioni). La carta d’identità di questo titolo stupisce alquanto, poiché il gioco ha un’eccellente profondità di gameplay e un’at­ mosfera tesa ed emozionante, ben­ ché possa contare soltanto su una manciata di memoria e qualche pixel colorato. Eppure la finzione regge molto bene, grazie soprattut­ to alla cura riposta nei testi e alla precisione con cui il corpo umano viene descritto. Ancora oggi è uno dei titoli più citati nei dibattiti re­ lativi all’evoluzione del linguaggio videoludico.

Dracula (1982, Usa) Sviluppatore: Imagic Piattaforma: Intellivision System

Ogni notte un livello di gioco, ogni notte a caccia di sangue tra i passanti di un’anonima cittadina evitando guardie, lupi, avvoltoi e alternando lo stato umano a quel­ lo di pipistrello; il tutto tra tuoni, fulmini e la Toccata e fuga in Re minore di Bach. È il 1982 e stiamo sempre parlando di manciate di pixel in cui riconoscere, con gran­ de sforzo, scenari fantastici; ma la fusione tra atmosfera evocativa e gameplay, in cui si fa sentire l’ur­ genza di una situazione drammati­ camente anomala, ha fatto scuola per i videogiochi di generazione successiva. Siamo anche di fronte a uno dei primi videogame in cui il giocatore impersona un villain che uccide (e crea zombi!) impune­ mente e fugge dalla legge. Nessun eroe che deve trionfare, nessuna principessa da liberare, soltanto un ammasso di pixel destinato

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alla dannazione elettronica eterna. Dracula alla fine muore sempre, per risorgere puntualmente nella partita successiva. Capolavoro.

Tron: Deadly Discs (1982, Usa)

Sviluppatore: Mattel Piattaforma: Intellivision System, Atari vcs 2600 I combattimenti a base di dischi simil-frisbee presenti nel celebre film Tron sono troppo divertenti per non trarne un videogioco, e la Mattel è la prima a provarci, otte­ nendo peraltro un discreto succes­ so. Tron: Deadly Discs prevede una serie di combattimenti all’interno di un’arena, in cui si alternano avversari con capacità ed equi­ paggiamento differenti, nonché il classico guardiano – presente an­ che nel film – che agisce da boss. Il gameplay è basato esclusivamente sul lancio dei dischi (che possono essere usati anche come scudi) e sul movimento, per un videogame dagli interessanti risvolti strategi­ ci, più adatto a giocatori riflessivi che agli appassionati d’azione. Per la prima volta si mima in maniera abbastanza fedele l’intera porzione di un film.

Ghostbusters (1984, Usa)

Sviluppatore: Activision Piattaforma: multipiattaforma (C64) Con il progredire delle piattafor­ me (C64, Spectrum, nes) le possi­ bilità tecniche aumentano, ed ecco arrivare i primi titoli in grado di mimare più efficacemente le trame multievento del cinema. Ghostbu­ sters offre interessanti novità in questo senso: colonna sonora basata sul classico refrain del film, possibilità di selezionare e gestire un inventario di armi e accessori,

un abbozzo di strategia nella scel­ ta degli eventi. Il dettaglio grafico aumenta (soprattutto nella versio­ ne Commodore 64) e di pari passo cresce anche l’immedesimazione nelle vicende. Compare anche un abbozzo di gestione economica, niente di complesso e rivoluziona­ rio (perlomeno non al pari di Eli­ te, il capolavoro di David Braben pubblicato nello stesso anno) ma quanto basta per influenzare il ga­ meplay e le decisioni del giocatore. Lo sviluppatore unico, David Cra­ ne, diventerà una sorta di leggen­ da fra i game developer dell’epoca: dopo l’acclamato Ghostbusters, lan­ cerà quello che è oggi considerato il padre dei simulatori di vita uma­ na, quel Little Computer People dal quale nascerà molti anni dopo la serie The Sims (di un altro geniale sviluppatore, Will Wright).

Platoon (1987, Usa)

Sviluppatore: Ocean Piattaforma: multipiattaforma (C64) Siamo nel 1987 e l’era dei 32 bit sta per portare una ventata di novità. Ma le vecchie macchine da gioco a 8 bit come il Commodore 64 e il nes sanno ancora offrire ottimi prodotti. Ed ecco che arriva il ca­ polavoro di questa generazione hardware, per quanto concerne la trasposizione cinema-videogioco. Si tratta di Platoon, videogame d’azione su tre livelli ambientato in Vietnam e ispirato al celebre film di Oliver Stone. La varietà di situazioni (giungla, villaggi, tunnel sotterranei) e di gameplay (sparatutto orizzontale, verticale, in soggettiva o in terza persona) ne fanno un titolo anche molto di­ vertente da giocare, oltre a offrire un dettaglio grafico assolutamente all’avanguardia e una cura dei par­ ticolari che solo altri capolavori (come The Last Ninja dei System 3) sapranno eguagliare. Platoon è ce­ lebre tra gli appassionati anche per

l’ottima colonna sonora realizzata da Jonathan “Choroid” Dunn.

Indiana Jones and the Last Crusade (1989, Usa) Sviluppatore: Lucasfilm Games Piattaforma: multipiattaforma (Amiga)

Nel genere delle avventure grafi­ che (anche denominate punta e clicca) il nome Lucasfilm Games è una sorta di garanzia. Da que­ sti studios usciranno capolavori assoluti come Maniac Mansion, Zak McKracken and the Alien Mindbenders e The secret of Mon­ key Island; tutti realizzati con la collaborazione di Ron Gilbert e del suo scumm (Script Creation Utility for Maniac Mansion). Tra i titoli che hanno reso celebre la Lucasfilm Games c’è anche India­ na Jones and the Last Crusade, in cui compare per la prima volta la possibilità di completare il gioco in modi differenti e di veder asse­ gnato un punteggio più alto ogni volta che si scopre una soluzione alternativa a una situazione pro­ blematica. Un’innovazione fonda­ mentale per l’epoca. Il successo fu tale che venne r­ ealizzato anche un seguito, I­ndiana Jones and the Fate of Atlantis, le cui vendite superaro­ no il predecesso­re, infrangendo la barriera del ­milione di copie.

Moonwalker (1990, Gran Bretagna)

Sviluppatore: Sega Piattaforma: Arcade e console La trama del videogioco ricalca fe­ delmente quella del film (che però è molto più anarchico e ondivago). Michael Jackson è impegnato a salvare dei bambini dalle grinfie di una non meglio definita banda cri­

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GAMEDROME | MUSICA

Quel fenomeno musicale chiamato chiptune

parole di Andrea Avvenengo

I

l chiptune (o chip music) è un genere musicale caratterizzato da brani composti utilizzando esclusivamente suoni a 8 bit di vecchie console e computer. Inizialmente, era l’unico modo per creare colonne sonore ai videogame, in un secondo momento è diventato un vero e proprio fenomeno musicale, tanto che, soprattutto oggi, c’è chi realiz­ za musichette lo-fi “suonando” antiquate console di gioco. Detto così potrebbe sembrare poco più di un hobby infantile, una cosa di poco conto, eppure c’è chi lo prende molto sul serio. Secondo Peter Swimm – organizzatore del Pulsewave show – il chiptune è un movimento la cui genesi (e ragion d’essere) non dista molto da quel brodo di coltura sociale e cultu­

rale che in momenti diversi ha dato vita al punk e all’hip hop. Rincara la dose il musicista Chris Burke aka Glomag, affermando addirittura che tale feno­ meno, nei primi anni del nuovo millennio, avrebbe potuto rappresentare per l’elettronica più conven­ zionale l’elemento destabilizzante, capace di portare l’intero genere a un nuovo livello di evoluzione, così come fece il punk per il rock’n’roll. Secondo i molti detrattori, il chiptune rimane un rituale di regressio­ ne collettiva riservato a pochi eletti, che per un paio d’ore fingono di essere teenager immersi nell’appa­ gante alienazione a 8 bit firmata Nintendo e Co. Da qualsiasi parte la si voglia guardare vi è una certezza, condivisa sia dai sostenitori che dai detrattori: come

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GAMEDROME | LETTERATURA

Letteratura e videogame parole di Davide Pessach

L

etteratura e videogame sono legati da un rapporto di reciproca influenza e ispirazione. Sebbene venga lecito pensare che la letteratura .abbia fornito maggiori spunti al mondo videolu­ dico (non fosse altro per motivi cronologici e quan­ titativi), analizzando a fondo la questione scopriamo che non è esattamente così: una volta snocciolati gli esempi più lampanti, come i videogiochi ispirati alle opere di Lovecraft1, i titoli della serie Dune2, Sherlock Holmes e il recentissimo Dante’s Inferno (ispirato in maniera molto libera alla Divina Commedia), bisogna mettere mano a trasposizioni un po’ meno note al grande pubblico. È il caso della serie di racconti The Witcher di Andrzej Sapkowski dai quali è stato trat­ to l’omonimo videogioco rpg (che ha recentemente avuto un seguito di buon successo), o di Metro 2033, il romanzo fantascientifico di Dmitry Glukhovsky da cui è nato il videogame survival horror targato thq. C’è spazio anche per operazioni commercialmente più ovvie, come la trasposizione della saga The Lord of the Rings. Ma questo breve elenco, ampliato nelle

note, è tutto quanto offre di rilevante il mondo dei videogiochi ispirati alla letteratura; cosa abbastan­za sorprendente, considerando che per gli altri media il favorito è proprio il serbatoio creativo letterario, basti pensare al cinema. Le ragioni di questa storia d’amore mai sbocciata sono da identificarsi in tar­ get non proprio corrispondenti, e in un approccio alla creazione artistica che nei videogiochi prevede un processo maggiormente basato sull’originalità, magari influenzata da letture o visioni di film, ma spesso caratterizzata da riferimenti liberi e scollegati dal referente specifico. Per quanto riguarda invece l’influenza dei videogame sulla letteratura, fino a po­ chi anni fa avremmo trovato un gruppo ancora più sparuto di opere. Tuttavia i recenti trend di marke­ ting, che puntano con decisione all’espansione del brand su diversi media, hanno invertito la tendenza. In pratica, trovare un videogioco di successo privo di una trasposizione letteraria è cosa molto difficile. Il livello qualitativo è spesso dimenticabile e il fatto che il picco massimo si trovi in corrispondenza dello

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illustrazione di Daniele “Danno” Silipo


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