IMQ Magazine n. 96

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Anno XXX Numero 96 Settembre 2012 IMQ, via Quintiliano 43 - MI

96 NOT IZIE HANNO PARLATO DI FUTURO: • Geopolitica: Riccardo Redaelli e Tiberio Graziani • Politica internazionale: Enrico Fassi • Politica nazionale: Michele Ainis • Economia: Krugman, Fitoussi, Roubini, Latouche, Vaciago

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M A G A Z I N E

STORIE DI QUALITÀ

• Città: Carlo Ratti • Materiali: Leonida Miglio • Medicina: Andrea Pavesi, Mauro Giacca, Costantino Davide • Filosofia: Aldo Masullo • Astrofisica: Giovanni Bignami • Matematica: Piergiorgio Odifreddi

P E R

U N A

• Giornalismo: Aldo Cazzullo • Editoria: Francesco Bevivino e Lele Rozza • Musica: Stefano Bollani • Fotografia: Antonio Amendola • Cucina: Davide Oldani

V I T A

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Q U A L I T À

• CDP: la misura del sostenibile che piace anche in Borsa

QUALITÀ DELLA VITA • Hobby: l’arte della calligrafia • Sport: il rugby a sette • Viaggi: Empordà

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S I C U R E Z Z A


Numero 96 Direttore Responsabile Giancarlo Zappa Capo redattore Roberta Gramatica Progetto grafico Fortarezza & Harvey Impaginazione Joint Design s.a.s. Hanno collaborato Eliana De Giacomi Ursula Dobrovic Simon Falvo Laura Ferro Rosylea Gimbatti Velia Ivaldi Walter Molino Giordana Sapienza Paolo Subioli Emiliano Porcu (foto) Direzione, Redazione, Amministrazione IMQ, Istituto Italiano del Marchio di QualitĂ Via Quintiliano 43 20138 Milano tel. 0250731 - fax 0250991500 mkt@imq.it - www.imq.it


EDITORIALE

TUTTO EBBE INIZIO DAL FUTURO DI GIANCARLO ZAPPA

“Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua credulità dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l’avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza scherzi, donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali peraltro finivano per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse giaciuto con loro.” Dovessimo dare ascolto alla Pizia Pannychis XI, protagonista del dissacrante libro di Friedrich Dürrenmatt, del quale abbiamo ripreso l’incipit, le profezie sul futuro sono tutte cose inventate di sana pianta, spesso anche piuttosto noiose e di sicuro per nulla veritiere (salvo coincidenze imprevedibili). Ma è chiaro che stiamo parlando di vaticini e oracoli in voga davvero molti secoli fa, che sebbene sulla strada abbiano seminato i più disparati discendenti - dai maghi ai cartomanti passando per gli oroscopisti improvvisati - oggi non avrebbero di certo la stessa fortuna avuta allora. Tuttavia è altrettanto vero che, da sempre, è parte di ogni umana essenza il desiderio di provare ad anticipare gli eventi che non sono ancora avvenuti. Una tentazione nella quale siamo voluti cadere anche noi, con questo numero di IMQ Notizie, nel quale abbiamo deciso di parlare del “cosa sarà”. Per farlo, non siamo naturalmente ricorsi a voli di uccelli, sfingi e sfere di cristallo - e tantomeno alla Pizia di Dürrenmatt, che si sarebbe inventata chissà che cosa - ma alle parole di autorevoli rappresentati della nostra società. Passando dalla matematica alla musica, dalla geopolitica alla medicina, dal giornalismo alla cucina, dall’astrofisica all’editoria, con la loro collaborazione abbiamo provato a immaginare quella parte del tempo che non ha ancora avuto luogo. Come? Seguendo il presupposto empirico-sintomatologico, alla base della medicina ippocratica, che prevede di studiare il futuro semplicemente analizzando il passato e analizzandone i sintomi. Il risultato? Un interessante viaggio nella macchina del tempo. Una bella anticipazione del domani che, al termine di tutte le interviste effettuate, abbiamo provato a sintetizzare razionalizzandola per parole chiave, scoprendo commistioni e sovrapposizioni inaspettate tra i vari ambiti trattati, ma soprattutto l’egemonia indiscussa di due tematiche chiave: qualità e condivisione. Il numero prosegue poi con la rubrica “Storie di qualità”, nella quale parliamo del Carbon Disclosure Project, uno strumento che, a detta di molti, rappresenta per il futuro (ancora lui) dell’ambiente quello che i raggi X hanno significato per la medicina. Segue la rubrica “Qualità della vita” con i consigli per gli hobby, lo sport e il tempo libero, per poi finire con la consueta “Curiosità”, da non perdere, in questo numero più che mai. Buon viaggio nel… domani.

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SOMMARIO PRIMO PIANO: IL FUTURO 4

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POLITICA INTERNAZIONALE: ENRICO FASSI (ISPI) Dal ruolo dell’Italia a quello dell’Unione europea, passando attraverso il concetto di “globalizzazione” e la funzione dell’ONU: quali scenari si prevedono a proposito di relazioni internazionali?

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POLITICA NEL “BEL PAESE”: MICHELE AINIS La Democrazia del futuro: a fronte della crisi dei partiti, che ne sarà della nostra politica e del nostro sistema costituzionale?

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tas c a b i l i d e l l ’ ambi e nte

Federico Pedrocchi

parole per il futuro

GEOPOLITICA: RICCARDO REDAELLI (UNIVERSITÀ CATTOLICA) E TIBERIO GRAZIANI (ISAG) Finita l’era del modello unipolare, con un’unica potenza egemone, il nostro Pianeta sarà sempre più una realtà multipolare. Tra frammentazioni e integrazioni, passando dalla Russia alla Cina, dal Kazakistan all’Iran, quali saranno nei prossimi anni le potenze economiche e i Paesi da tenere sott’occhio?

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LE PAROLE Quali saranno i concetti chiave del futuro?

ECONOMIA: CRESCITA O AUSTERITÀ? Capitalismo contro socialismo? Roba scaduta già nel secolo scorso. Borghesia contro proletariato? Preistoria. Liberisti contro statalisti? Categorie del passato. Il nuovo dibattito planetario oggi è uno e uno soltanto: crescita o austerità?

Piccolo vocabolario dei prossimi decenni

Volume ideato con il contributo di

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LE PAROLE PER IL FUTURO Quali saranno i concetti chiave del futuro? Uno di questi potrebbe essere “custom” ovvero personalizzazione: delle cure, dei servizi, delle informazioni... Ma non solo. A cimentarsi in questo esercizio di previsioni, ci ha provato Federico Pedrocchi con “Parole per il futuro” un libro di prossima uscita, edito da Edizioni Ambiente e ideato con il contributo di IMQ.

MATERIALI: LEONIDA MIGLIO (LABORATORIO L-NESS POLITECNICO DI MILANO) Celle solari ad alta efficienza per satelliti, più leggere ed economiche; sensori che monitorano le operazioni in laparoscopia con bassissime dosi di raggi x; dispositivi elettronici di potenza, per gestire autoveicoli e produzione di energie alternative, meno costosi e più efficienti: se gli atomi dei materiali vengono ben impilati, tutto questo è già possibile. MEDICINA: ANDREA PAVESI (SMART) Sulle staminali molto è stato scoperto, ma un vero e proprio mondo è ancora da ricercare per queste cellule che, in un futuro molto prossimo, ci “ripareranno”.

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MEDICINA: MAURO GIACCA (ICGEB) Le nuove (rischiose) frontiere del doping e le sue (grandiose) opportunità.

ECONOMIA: ECONOMISTI A CONFRONTO TRA DIAGNOSI E TERAPIE Un confronto tra le teorie e il pensiero dei principali economisti mondiali: Paul Krugman, Jean Paul Fitoussi, Nouriel Roubini, Serge Latouche, Giacomo Vaciago.

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MEDICINA: COSTANTINO DAVIDE La chirurgia estetica: una disciplina in rapida crescita grazie anche a tecnologie sempre meno invasive.

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FILOSOFIA: ALDO MASULLO Il Socrate del terzo millennio? Non sarà un tecnocrate.

CITTÀ: CARLO RATTI (MIT) Una volta si parlava del binomio uomomacchina. Oggi e nel futuro, la relazione sarà uomo-città, in un rapporto in cui quest’ultima rappresenterà sempre di più un’interfaccia per raccogliere informazioni indispensabili all’obiettivo finale: il vivere meglio.

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FILOSOFIA: EREMITI AL TEMPO DI TWITTER Isolarsi dal consesso civile, seguire un proprio cammino di spiritualità, sottrarsi agli affanni del mondo per riscoprire Dio: cose d’altri tempi o una scelta per il futuro? Lo abbiamo chiesto a chi eremita lo è diventato davvero.

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ASTROFISICA: GIOVANNI BIGNAMI (INAF) Conosciamo solo il 5% del nostro Universo. E ciò che sappiamo lo dobbiamo per una buona parte ai ricercatori italiani. Non per niente, nel campo dell’astrofisica, il nome dell’Italia è spesso associato a quello di eccellenza. E per quanto riguarda il futuro?

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MATEMATICA: PIERGIORGIO ODIFREDDI La matematica ci circonda. Ma anche lei ha un futuro?

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GIORNALISMO: ALDO CAZZULLO Quello del futuro? Parte dalla vita vera.

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EDITORIA: FRANCESCO BEVIVINO E LELE ROZZA (BLONK) Inchiostro o bit? Tra editoria tradizionale e editoria digitale, quale sarà il futuro dei libri?

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MUSICA SENZA LEADER: IL FUTURO È GIÀ ARRIVATO Quarant’anni dopo Woodstock, la previsione di Janis Joplin «quattrocentomila persone insieme e nessun capo. Noi non abbiamo bisogno di leader, noi ci teniamo l’un l’altro», ha ottenuto la sua definitiva consacrazione in Internet che, a parere di molti, può essere considerata un frutto tardivo del più autentico spirito Sessantottino.

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MUSICA: STEFANO BOLLANI Che musica ascolteremo nei prossimi anni. E come l’ascolteremo? Che evoluzione avranno le case discografiche


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STORIE DI QUALITÀ e che ruolo daremo alla musica? Oltre alle risposte, un fatto è certo: la musica del futuro sarà una meravigliosa commistione tutta da ascoltare. 76

MUSICA: L’ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO Vivono a Roma, ma provengono da una dozzina di Paesi differenti: Parlano altrettante lingue e si sono formati su generi musicali diversissimi. Eppure, incontrandosi, sono riusciti a trovare una sonorità unica. Un cocktail ben shakerato di ritmi e voci che è diventato il loro inequivocabile marchio di fabbrica, ispirando molte “imitazioni” in giro per l'Italia.

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Soprattutto se a scattarle non è più solo un autore, ma tanti fotografi con visioni e sensibilità diverse, in grado di offrire un’immagine con più punti di vista e capaci di dare visibilità, complice la Rete, a piccole storie, veicolando importanti messaggi sociali. 80

IL FUTURO DELL’AMBIENTE? IN BORSA Qualcuno lo ha definito un mezzo che, per l’ambiente, rappresenta quello che i raggi X hanno significato per la medicina. Altri ne hanno parlato come di uno “strumento vitale”. Oltre alle definizioni e ai paragoni, una cosa è certa: per le aziende, il Carbon Disclosure Project (CDP) offre, più di ogni altro mezzo, un atout in grado di dare valore economico agli investimenti effettuati in termini di cambiamento climatico, ma anche di dimostrare che, l’etica del profitto, non è più il solo strumento per misurare la capacità competitiva di un’azienda.

CUCINA: INTERVISTA A DAVIDE OLDANI Quando il Pop, la qualità e il territorio entrano in cucina.

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GLOSSARIO

FOTOGRAFIA: ANTONIO AMENDOLA (S4C) Nella fotografia è già stato inventato tutto? Probabilmente no. Ma sicuramente non è stato inventato tutto nell’ambito dell’utilizzo delle fotografie.

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VERSO L’UOMO BIONICO. intervista a Mauro Giacca (ICGEB). Utilizzare il DNA per creare atleti perfetti. La pratica a livello illegale potrebbe aver già creato qualche cyborg anche se, al momento, non esistono prove. L’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) da alcuni anni effettua ricerche per capire e combattere questo fenomeno.

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La misura del sostenibile che piace anche in Borsa.

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LA MATEMATICA CI CIRCONDA. intervista a Piergiorgio Odifreddi Dalla letteratura alla musica, dall’architettura all’arte, passando per la biologia, la tecnologia fino all’ironia, la matematica ci circonda. Ma anche la matematica ha un futuro?

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IL GIORNALISMO? UNA QUESTIONE DI VITA VERA. intervista a Aldo Cazzullo Grazie a Internet e ai social network, contenuti e idee circolano in libertà. Alcuni pensano anche di poter essere giornalisti di se stessi, altri rischiano di far coincidere i confini della mente con quelli del mondo. E i cronisti di professione? Non dovrebbero mai dimenticare che prima di un monitor, ci sono sempre le persone in carne e ossa e che un ritorno alle origini, con la cronaca e i report di vita vera, non potrebbe che far bene.

CARBON DISCLOSURE PROJECT (CDP)

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IL CAMBIAMENTO CLIMATICO COME STRATEGIA Intervista a Diana Guzman - Direttore Sud Europa CDP.

QUALITÀ DELLA VITA 90

HOBBY: MOTTAINAI!

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SPORT: RUGBY A SETTE

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VIAGGI: EMPORDÀ

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LIBRI, FILM, MUSICA

RUBRICHE 100 Panorama News 102 Brevi IMQ 104 Curiosità

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PRIMO PIANO: LE PAROLE DEL FUTURO

LE PAROLE PER IL FUTURO AVETE MAI PROVATO A PENSARE ALLE PAROLE CHE POTREBBERO CARATTERIZZARE IL FUTURO? NOI SÌ. UN GIORNO CI SIAMO MESSI ATTORNO A UN TAVOLO E ABBIAMO PROVATO A IDENTIFICARLE. ALL’INIZIO NE SONO EMERSE DAVVERO TANTE. POI ABBIAMO COMINCIATO A SCREMARLE, MANTENENDO SOLO I TERMINI PIÙ FUTURISTICI O QUELLI CHE, ANCHE SE GIÀ ESISTENTI, NEI PROSSIMI ANNI POTREBBERO ACQUISIRE UN’ACCEZIONE DIVERSA. IL RISULTATO? PER CORRETTEZZA EDITORIALE NON VE LO POSSIAMO ANCORA DARE. LE VOCI INDIVIDUATE INFATTI, VERRANNO RACCOLTE IN UN LIBRO, REALIZZATO CON EDIZIONI AMBIENTE E FEDERICO PEDROCCHI*, CHE VERRÀ PUBBLICATO IN AUTUNNO. QUALCHE ANTEPRIMA? CERTAMENTE, UNA PAROLA: CUSTOM. 4


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fra un buon numero di opzioni, sia per la carrozzeria sia, soprattutto, per gli interni. È il risultato di sistemi di produzione basati su tecnologie - robot, essenzialmente - in grado di diversificare e contenere i costi. Tutta l’informatica sviluppatasi dal 1960 ad oggi è una storia di progressiva customizzazione. Internet è la sua applicazione più nota, quella che oggi è usata da circa tre miliardi di persone, uno strumento che nei suoi vent’anni di crescita ha proposto livelli sempre più elevati di soluzioni su misura. Oggi abbiamo portali di informazione che consentono al singolo utente di scegliere alcune tipologie di contenuti e comporre la propria homepage.

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ustom: un termine inglese, come molti altri usati nelle scienze e nelle tecnologie e diventati di uso comune in tutte le lingue. Lo si può tradurre in vari modi, tutti sostanzialmente convergenti, nella sua declinazione come aggettivo (customized) verso il significato seguente: manufatto/dispositivo progettato e realizzato su misura, in base alla necessità del cliente o della funzione che dovrà svolgere, progettato dunque in maniera specifica, ma con tante sfumature, in modo da rappresentare le esigenze di molti utenti diversi. La cosa singolare è che abbiamo da sempre alcuni territori delle attività umane nei quali la “customizzazione” regna sovrana. Un buon esempio è la letteratura gialla, che ha un suo nucleo di ingredienti fondamen-

tali molto preciso, ma poi abbiamo autori e stili narrativi che separano il pubblico, vastissimo, di chi ama questo genere di narrazione. Dopodiché, ai primi del secolo scorso, Henry Ford, dopo aver lanciato la Ford T, pronunciava la famosa frase “compratela del colore che volete basta che sia nera”. Dieci milioni di unità vendute, tutte uguali e tutte dello stesso colore, a un prezzo che per la prima volta rendeva accessibile l’auto al cittadino medio. La letteratura gialla è facilmente customizzabile, come la musica rap, perché è tecnologicamente facile farlo, e costa poco. La componente dei costi è fondamentale. Anche i megayacht comprati dai tycoon russi o da alcuni sceicchi arabi, sono alquanto personalizzati, tanto da essere unici, ma con costi stratosferici. La sfida è introdurre customizzazione nel grande territorio intermedio degli oggetti comuni. Non sono pochi quelli che la stanno accettando. Nel mondo dell’auto la personalizzazione del prodotto è operativa da un certo numero di anni. Vi sono case automobilistiche che propongono siti Internet nei quali si possono scegliere

Tutto ciò per quanto riguarda il presente. Ma nel futuro? Forse l’applicazione più sorprendente in termini di “custom” è quella che vedremo nel campo della medicina. Michele Fumagalli, chimico, scrive sul Notiziario Chimico Farmaceutico, n° 2, 1997:«La preparazione della Teriaca (ndr - nota anche come Triaca, farmaco universale prodotto in grandi quantità) in Venezia, veniva fatta in pubblico assumendo quasi un tono di festa. Gli speziali operavano alla presenza dei “Ministri di Giustizia e de’ Signori Dottori del Collegio de Periti dell’arte della Spezieria e l’ausilio di molti nobili apparati” e seguivano un rituale studiato nei minimi particolari. Chi operava mescolando e triturando era vestito con casacca bianca e pantaloni rossi al fine di mostrarsi meglio al pubblico che assisteva. Il periodo dell’anno dedicato all’evento cadeva nel mese di maggio in quanto alcuni componenti raggiungevano solo in quel tempo il perfetto stato di impiego. Il rispetto degli influssi astrali aveva anch’esso un peso nella preparazione, potendo donare, secondo le credenze del tempo, facoltà speciali al rimedio». Non solo nella Venezia del XVI secolo ma in molte città europee dell’epoca si svolgeva il rito pubblico della preparazione della Teriaca. Alla base del prodigioso medicamento: «la vipera, bollita in acqua fresca di fonte, 5


PRIMO PIANO: LE PAROLE DEL FUTURO

ALL’OPPOSTO DEL CUSTOM C’È LO STANDARD

salata ed aromatizzata con dell'aceto, dopo essere stata scolata dal suo brodo, impastata con del pane secco finemente triturato ed infine lavorata a mano in forme rotondeggianti ed essiccata all'ombra». E le vipere, questo è ovvio, lo sappiamo tutti, dovevano essere catturate dopo il loro letargo. Qualche passo in avanti, negli ultimi anni, la farmacopea l’ha certamente fatto. Leggendo le istruzioni contenute in molti farmaci, tuttavia, si coglie con relativa facilità che la miscela curativa non va bene per chiunque. Lo si coglie soprattutto da quando sono state introdotte normative più esi-

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genti, che impegnano le case farmaceutiche a descrivere come certi effetti collaterali siano più o meno probabili: 1 caso su 10, 1 caso su 1000… Le ricerche biomediche stanno oggi scoprendo, con grande evidenza, che una malattia ha molteplici declinazioni a seconda dei singoli soggetti che l’hanno contratta. Questo non significa che abbiamo svariate decine di milioni di diabetici diversi sparsi per il mondo. Ma una sola tipologia di diabetico/a, questo no, è certamente falso. Le ragioni di queste diversità sono molteplici. Alcune sono facili da comprendere se pensiamo che un essere

Non vogliamo dedicare troppo spazio al tema “standard”, sebbene sia di grande importanza. Lo è da sempre, fra l’altro, e quindi segnalarlo come uno dei trend importanti dei prossimi anni non sarebbe una novità se, ad esserne oggetto, non fossero una schiera di “cose” nuove che andrebbero assolutamente standardizzate. Vediamo. Qualcosa di interessante si è messo in moto: una legge del Parlamento Europeo ha dato indicazioni precise perché siano resi standard tutti gli alimentatori di cellulari. Basterebbe questo solo esempio per comprendere quale immane spreco di materiali sia in corso da anni, con un numero incalcolabile di alimentatori dismessi che giacciono in cassetti casalinghi o di ufficio, oppure che - sappiamo come vanno le cose - sono buttati nella spazzatura insieme ai resti del pollo arrosto. Ma c’è ancora un oceano di allineamenti da mettere in campo perché molte altre macchine, distribuite nei settori più diversi, si presentino con forti standard nella componentistica di base e nei software che le gestiscono, premessa essenziale per creare, ad esempio, le reti fra servizi diversi che le tecnologie Cloud stanno prefigurando. Ricordiamo che tutti i processi di standardizzazione significano risparmi energetici e riduzione dei costi.


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Nel futuro? st’ultima ha sempre mesumano ha una sua coForse l’applicazione so molta più enfasi, nella stante storia alimentare, sua attenzione terapeutipsicologica, ambientale, più sorprendente ca, sul soggetto singolo e uno stile di vita che si in termini la cornice esistenziale e esprime nello svolgere di “custom” è ambientale in cui è racun lavoro manuale e fatiquella che vedremo chiuso. Ma sul piano dei coso oppure sedentario, nel campo farmaci non ha certaun passato genetico, della medicina. mente ottenuto i risultati quella della famiglia a della medicina occidencui appartiene che, a sua tale. Ora, qui da noi, si sta volta, fa parte di una popolazione. La malattia è come l’ac- facendo strada una disciplina, definita System Biology, che pone al centro qua: si adatta alla forma che trova. del suo operare l’uso dell’elaborazioNel terzo millennio curare seguirà sempre più procedure custom. Non è ne dei dati via computer e il patrimostato possibile farlo prima perché nio conoscitivo della genetica. Jan mancavano strumenti e conoscenze. van der Greef, olandese, docente di Analytical Biosciences all’Università di Sul piano degli strumenti oggi sono possibili soluzioni che non molti anni Leiden e direttore del Centro Sinofa avrebbero fatto dire a qualunque olandese per la Medicina preventiva e medico “ok, io Star Trek lo guardo al- personalizzata, scrive su Nature (22/29 dicembre 2011): «In uno stula sera quando torno a casa”. Wearable diagnostic, è la defini- dio condotto dal nostro centro su pazione comunemente usata a livel- zienti affetti da artrite reumatoide, i lo internazionale, ovvero diagno- medici appartenenti alla scuola TCM stica indossabile. Un piccolo stru- (ndr: Traditional Chinese Medicine) mento che si può portare al polso, op- suddivisero i soggetti in categorie pure una maglietta nella quale sono “calde” e “fredde”, basandosi su immersi tanti piccoli sensori, a volte questionari che evidenziavano atteganche collocati, senza creare alcun di- giamenti comuni, entità e caratterististurbo, sotto pelle: le modalità sono che dei dolori, altri sintomi come la sete e la febbre, ed anche analisi deldavvero tante, spesso basate su circuiti integrati molli ed elastici e quin- la lingua e del polso. Una analisi, dedi capaci di adattarsi ai movimenti del gli stessi due gruppi di pazienti, con i corpo umano. Questa strumentazio- metodi della System Biology, ha mesne può dialogare, anche a notevoli di- so in luce significative differenze stastanze, con computer che raccolgono tistiche notevoli fra di loro…». I due tutti i dati, permanentemente, co- approcci, quindi, hanno trovato imstruendo progressivamente un profilo portanti confluenze, mostrando comolto accurato del paziente. In paral- me tecnologie avanzate recuperino tutto ciò che di positivo può esserci in lelo altra conoscenza arriva, e arriverà, dagli enormi progressi nello studio tradizioni antiche.** z dei geni, come dalle Nanotecnolo** TRATTO DA gie, che metteranno a disposizione “PAROLE PER IL FUTURO”, farmaci con effetti collaterali ben più EDIZIONI AMBIENTE, ridotti di quelli attuali, sebbene ci siaIDEATO CON IL CONTRIBUTO DI IMQ - IN COMMERCIO no ancora da capire eventuali nuove DA AUTUNNO 2012 tossicità delle possibili nanomedicine. Una rotta precisa, comunque, è tracciata. In questa prospettiva si apre uno scenario interessante, perché diventa praticabile una convergenza fra la medicina occidentale e quella orientale, tipicamente quella cinese. Que-

* FEDERICO PEDROCCHI GIORNALISTA DI SCIENZA. CONDUCE E DIRIGE LA TRASMISSIONE SETTIMANALE DI SCIENZA MOEBIUS E IL SITO DELLA TRASMISSIONE STESSA, IN ONDA SU RADIO 24 - IL SOLE 24 ORE. DIRIGE TRIWÙ, UNA WEB TV DEDICATA ALL’INNOVAZIONE. FA ATTUALMENTE PARTE DEL GRUPPO DI COORDINAMENTO DEL PROGETTO EUROPEO NANOCHANNELS, DEDICATO ALL’ANALISI DELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO SULLE NANOTECNOLOGIE. COORDINA L’ATTIVITÀ SEMINARIALE DELLO SMART CITY ROADSHOW, PROGETTO DI SMAU IN COLLABORAZIONE CON ANCI, SERIE DI APPUNTAMENTI DEDICATI AI PROGETTI PER LE CITTÀ INTELLIGENTI. INSEGNA NEW MEDIA AL MASTER IN COMUNICAZIONE SCIENTIFICA E INNOVAZIONE DELLA UNIVERSITÀ MILANO BICOCCA. HA SVOLTO ATTIVITÀ DI CONSULENZA PER LA COMMISSIONE EUROPEA IN MERITO ALLE PRASSI FORMATIVE PER MIGLIORARE IL RAPPORTO FRA MEDIA E RICERCA SCIENTIFICA.

tascabi li d e l l ’ ambi e nte

Federico Pedrocchi

parole per il futuro

Piccolo vocabolario dei prossimi decenni

Volume ideato con il contributo di

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA GEOPOLITICA

CHI GOVERNERÀ IL PIANETA? FINITA L’ERA DEL MODELLO UNIPOLARE, CON UN’UNICA POTENZA EGEMONE, IL NOSTRO PIANETA SARÀ SEMPRE PIÙ UNA REALTÀ MULTIPOLARE. TRA FRAMMENTAZIONI E INTEGRAZIONI, PASSANDO DALLA RUSSIA ALLA CINA, DAL KAZAKISTAN ALL’IRAN, QUALI SARANNO NEI PROSSIMI ANNI LE POTENZE ECONOMICHE E I PAESI DA TENERE SOTT’OCCHIO? 8


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VEDO, PREVEDO E STRAVEDO CHE NEI PROSSIMI ANNI CINA, INDIA, BRASILE, TURCHIA E INDONESIA SI CONSOLIDERANNO COME NUOVE POTENZE ECONOMICHE E CHE RUSSIA, BIELORUSSIA E KAZAKISTAN SARANNO DA TENERE SOTTO OSSERVAZIONE. SFERA DI CRISTALLO? NO DI CERTO: GEOPOLITICA. UNA DISCIPLINA, ANZI NO, UNA “MULTIDISCIPLINA” ASSAI COMPLESSA CHE PORTA CON SÉ UN IMPONENTE BAGAGLIO DI SETTORI DI INDAGINE, DI LUOGHI E DI ATTORI. GRAZIE ALLA QUALE È POSSIBILE RISALIRE ALLE CAUSE E ALLE CIRCOSTANZE CHE HANNO PORTATO A DETERMINATE RELAZIONI TRA GLI STATI, MA ANCHE PREVEDERE I MOVIMENTI DELLE GRANDI POTENZE E LE AZIONI CHE INFLUENZERANNO GOVERNI, RELIGIONI, RISORSE, RELAZIONI INTERNAZIONALI. PER PROVARE A INDIVIDUARE IL FUTURO DEGLI EQUILIBRI INTERNAZIONALI E L’HIT-PARADE DEI PAESI IN MAGGIORE MOVIMENTO, CI SIAMO RIVOLTI A DUE ESPERTI DELL’ARGOMENTO: RICCARDO REDAELLI E TIBERIO GRAZIANI.

INTERVISTA A RICCARDO REDAELLI Professore associato di Storia delle civiltà e delle culture politiche e docente di Geopolitica e di Cultura e civiltà del Medio Oriente presso la Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Identifichiamo anzitutto l’ambito: cos’è la geopolitica? Parto con una precisazione. Geopolitica è un termine riscoperto negli ultimi vent’anni. Precedentemente, infatti, per quasi tutta la seconda metà dello scorso secolo, era stato bandito in quanto, ingiustamente, associato al nazismo. Le definizioni di “geopolitica” sono innumerevoli; quella che mi piace di più è quella secondo la quale non esiste una definizione vera e propria. Alcuni studiosi paragonano la geopolitica a un elefante: pochissimi sanno descriverne i tratti distintivi, ma vedendolo per strada tutti lo riconoscono immediatamente. Sebbene esistano numerose e differenti geopolitiche, in generale possiamo però dire che la geopolitica è quella disciplina che analizza tutte le situazioni di crisi, di rischio, le sfide a vari livelli che gli Stati e le organizzazioni internazionali devono affrontare nei vari scenari regionali, prescindendo del tutto da ogni visione ideologica. La geopolitica, infatti, cerca di analizzare nel modo più oggettivo possibile i veri fattori di instabilità, al fine degli interessi del proprio stato o della propria istituzione. Non è una disciplina solo analitica, ma è anche predittiva e prescrittiva e dà, inoltre, delle indicazioni su come uno Stato dovrebbe muoversi all’interno dei vari scenari locali. Nel definire la geopolitica (ma, come anticipato sopra, sarebbe più corretto parlare di “geopolitiche”) c’è un’ampia pluralità di fattori da considerare: alcuni sono di hard security, vale a dire ri-

guardanti la sicurezza militare, per i quali le analisi si concentrano sui grandi “archi di crisi” (primo fra tutti quello mediorientale, seguito da quello dell’Africa Sub-Sahariana); poi ci sono i fattori di soft security, che riguardano le tematiche del futuro, in particolare come influiranno sul nostro sistemaPaese e sulla nostra sicurezza in senso ampio. Per dare qualche esempio: il rapporto tra i trend demografici e la marginalizzazione demografica dell’occidente; oppure, il trend della geopolitica delle risorse, che analizza la competizione per il controllo e lo sfruttamento delle risorse energetiLa geopolitica, che, agricole, alcuni la paragonano minerarie. O a un elefante: ancora la geopolitica dell’acpochissimi sanno qua, che è semdescriverne i tratti pre più un eledistintivi, ma mento di com- vedendolo per strada petizione e intutti lo riconoscono stabilità. Vi soimmediatamente. no poi analisi su discorsi più culturali, cioè su come la penetrazione culturale e linguistica può rafforzare il soft power di uno Stato: un esempio per tutti è rappresentato dagli Stati Uniti i quali oltre alla loro capacità di hard power hanno beneficiato della forte diffusione della loro cultura alta e bassa, a cominciare da McDonald e ai film per arrivare alle loro Università. Vi è poi la Critical Geopolitics, una riflessione più epistemologica sui mec9


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA GEOPOLITICA

altri Paesi, nella quale gli USA hanno mantenuto l’egemonia militare (da cui definizione di “sistema asimmetrico”). Le nuove potenze di oggi (ma in alcuni casi sono le vecchie potenze che tornano alla ribalta dopo secoli di declino) sono la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia, l’Indonesia, tutte realtà con un sistema di valori e interessi molto diversi da quello occidentale.

canismi di costruzione del consenso al potere, che analizza in modo critico la geopolitica, considerandola soprattutto uno strumento di potere dei grandi paesi occidentali. Il 2012 è un anno contrassegnato da un ricambio generalizzato della classe politica (ritorno di Putin in Russia e del socialismo in Francia, ricambio ai vertici del partito in Cina…). Sono cambiamenti che saranno in grado di sconvolgere la geopolitica del pianeta? E più in generale, quali sono gli elementi cardine in grado di modificare gli equilibri geopolitici? La geopolitica ha uno sguardo piuttosto ampio; per quanto siano importanti le classi politiche, essa non le analizza più di tanto, perché crede che ci sia una continuità di interessi e di proiezioni di potenza da parte dei singoli Stati nel lungo periodo che vada oltre il singolo attore politico. Ad esempio, la Russia ha un interesse verso il Sudest Europeo, verso i cosiddetti Mari Caldi, che prescinde da chi si trova al potere perché si tratta di un interesse costante, che dura da secoli. Oppure, pensiamo alla Cina, che fa una 10

Nei suoi testi ha approfondito particolarmente il ruolo dell’Iran e del Fondamentalismo Islamico; a questo proposito, cosa ci riserva il futuro? L’Iran rappresenta un punto cruciale della crisi mediorientale, soprattutto g e o p o l i t i c a per il suo tentativo di ottenere una camolto efficiente, pacità nucleare latente (che significa non avere materialmente la bomba, attenta ai propri intema avere la capacità di fabbricarla). ressi, e che va oltre la singola persona che è al potere. Questo è solo un aspetto del problema: Una geopolitica che riguarda il il tentativo dell’Iran, infatti, è quello di uscire dall’isolamento nel quale è stato consolidamento del Paese come atconfinato dagli USA e diventore internazionale e la messa tare così un attore regionain sicurezza delle sue fragili Le nuove le quasi egemonico. Tentalinee di comunicazione marittime, sia per le potenze di oggi sono tivo che però ha inimicato quasi tutti i Paesi dell’area e esportazioni dei loro prola Cina, l’India, soprattutto ha scatenato la dotti, sia per l’importazioil Brasile, la Turchia, reazione dei Paesi arabi ne dell’energia e delle l’Indonesia, tutte sunniti, che stanno cercanmaterie prime. realtà con un sistema do di reagire alla crescita Quindi, a meno di non di valori molto diversi dell’arco sciita e in particoavere grandi rivoluzioni che cambino del tutto da quello occidentale. lare dell’Iran, che è sciita e persiano, quindi da seml’assetto di uno Stato (copre nemico del mondo arame ad esempio la Rivoluziobo-sunnita. L’Iran è stato inoltre “aiune Iraniana, la caduta di Mubarak o dell’Unione Sovietica), la sostituzione di un tato” dai disastri combinati dagli USA in Iraq e in Afghanistan e si è rafforcapo di governo con un altro attira meno l’attenzione della geopolitica che si zato. Si tratta, però, di un rafforzaconcentra soprattutto sulle questioni del mento più fragile di quanto non sembrasse qualche anno fa perché resta lungo periodo. comunque un Paese isolato, perché lo Quali paesi domineranno gli assetti sciismo si sta rafforzando in alcune aree ma in altre è sempre sottopresgeopolitici futuri? sione (ad esempio in Libano e in Siria) Oggi si definisce il sistema internazionae perché l’arco sunnita è decisamente le come un sistema multilaterale e asimpassato al contrattacco e può contametrico. Mi spiego: gli USA hanno avure su risorse economiche più consito un momento unipolare durante il quale hanno registrato una fase di forte stenti. In questo frangente, il radicaliespansione egemonica, che ha portato, smo islamico ne guadagna: più è forte il conflitto tra mondo arabo e monsuccessivamente, a un loro indebolido persiano, tra sunniti e sciiti, e più mento. Da questo indebolimento è scaturita una fase multipolare in cui si sono si rafforzano le frange estremiste di imposti sulla scena internazionale anche questa religione, con relative conse-


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guenze anche per l’occidente. Quale sarà il ruolo dell’Italia nello scenario geopolitico internazionale? Ahimè, l’Italia da anni prova a sostenere un ruolo internazionale molto attivo (con le missioni di pace e quelle umanitarie) che però stenta a mantenere, e non solo per la crisi economica. L’Italia, infatti, negli ultimi tempi ha accusato anche una fortissima crisi di immagine, e quando ha cercato di recuperare è stata travolta dalla crisi economica. A parte questo, dando un’occhiata a tutti i trend demografici, economici, delle risorse, si nota una progressiva ed evidente marginalizzazione dell’Europa e, all’interno dell’Europa, anche del nostro Paese. Quindi, il ruolo geopolitico del vecchio continente sarà progressivamente ridotto: basti pensare che nel 2050 l’Europa rappresenterà solo il 4% della popolazione mondiale e che nel 2030, un abitante su tre, nel mondo, sarà indiano o cinese. Potremmo cercare di risollevare la situazione con una classe politica europea capace di gestire le situazioni nel lungo termine e che non presti ascolto solo alle paure del popolo. Ma una classe politica del genere non esiste, né in Europa, né in Italia.

la competizione futura si baserà sempre più sul controllo delle risorse, non solo politico ma anche economico-finanziario, tramite joint ventures e accordi di lungo periodo. In questo senso, il Paese che si è mosso meglio è la Cina: metà delle risorse dell’Africa sono già nelle mani dei cinesi che hanno saputo stringere accordi molto forti e a lungo termine con i governi locali. La Cina può inoltre contare su una forza lavoro enorme a basso prezzo, ha il vantaggio che le aziende cinesi non devono retribuire ogni anno i loro azionisti; in questo modo, possono fare investimenti e offrire condizioni che le ditte occidentali difficilmente possono consentire.

Quali sono i concetti e le parole chiave che caratterizzeranno il futuro della geopolitica? Risorse, energia, acqua, crescita demografica, cambiamento climatico, ma anche tecnologia militare, human security. Quest’ultima è da intendersi non solo come sicurezza militare dello Stato, ma come sicurezza dell’individuo, intesa come libertà dal bisogno, dalla paura e dalla costrizione. z

Come si intersecano geopolitica dei Paesi e geopolitica delle risorse? Sono strettamente intrecciate perché

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA GEOPOLITICA

INTERVISTA A TIBERIO GRAZIANI Presidente IsAG, Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, e direttore della rivista “Geopolitica”.

In questo momento di crisi globale, lo studio della geopolitica aiuterebbe i giovani a superare le incrostazioni ideologiche e ad avere future classi dirigenti più preparate e realistiche nell’identificazione delle nostre necessità .

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Come si evolverà lo studio della geopolitica? Lo studio della geopolitica è in grande evoluzione, possiamo addirittura parlare di un “rinascimento” della geopolitica. In Italia, l’IsAG è stato un precursore perché ha capito presto che la geopolitica va pensata come materia multidisciplinare che si avvale dell’apporto di quelle che nel nostro Istituto definiamo scienze ausiliare: ne sono esempi la demografia, la statistica, l’analisi di asset strategici come della conoscenza scientifica e tecnologia, le alte tecnologie o, ancora, le scienze legate alla politica interna, alla sociologia, alla coesione sociale, all’etnografia. Uno degli ambiti che interesserà sempre di più i geopolitici, sarà quello rivolto al dialogo delle civiltà: questo perché la disciplina si sta sempre più concentrando nello studio relativo all’aggregazione di grandi spazi nei quali convivono diverse popolazioni con differenti culture e religioni e

dove, quindi, è facile che nascano scontri e tensioni. La geopolitica del futuro andrà quasi a contrastare quelle tendenze di fine secolo, e di matrice anglosassone, che invece si basavano sullo scontro tra le civiltà. Posso dire che da parte nostra, ci sarà molto da fare e da studiare per individuare quegli elementi che

possono contenere e ridurre le tensioni tra le diverse popolazioni che convivono nella stessa unità geopolitica, e dunque aiutare i decisori politici a realizzare unità geopolitiche stabili. Il primo numero del 2012 di “Geopolitica” è dedicato ai “Vent’anni di Russia”; com’è cambiato il suo ruolo in questo periodo e quale sarà negli assetti geopolitici futuri? Abbiamo voluto dedicare questo numero alla Russia perché il suo ruolo, specialmente dopo il collasso dell’Unione Sovietica, è diventato importante per l’intero Pianeta. Mosca, a partire dalla prima presidenza di Putin e quindi da circa dodici anni, determina l’agenda internazionale. Dal punto di vista geopolitico, due decenni sono un periodo piuttosto esiguo, tuttavia l’affermazione della Russia come attore globale merita un’adeguata riflessione, utile per la valutazione degli orientamenti della futura politica estera di Mosca e soprattutto per la sua prassi geopolitica nei confronti di alcune aree del Pianeta. La Federazione Russa, nata dalle ceneri dell’Unione Sovietica, dopo un primo periodo di instabilità, è riuscita in poco tempo a riconfermare il suo ruolo di gigante internazionale. Nel delicato e fugace sistema unipolare, contraddistinto dall’espansione statunitense verso la massa euroasiatica, peraltro attuata con la prassi delle guerre cosiddette “umanitarie” in Afghanistan, Iraq e Libia, Mosca ha recuperato pienamente il prestigio sia sulle nazioni ex sovietiche, sia presso gli attori globali emergenti come Cina, India, Brasile, Sudafrica. Questo prestigio ritrovato presso i Paesi emergenti ha consentito un sostanziale riequilibrio, appena offuscato dalla crisi del 2008 in Georgia, e ha portato a un nuovo assetto, che possiamo definire trans-regionale e pro-euroasiatico, nel quale la Federazione Russa, lungi dall’assumere la posizione egemone che aveva nell’Unione Sovietica, ha privilegiato gli aspetti cooperativi volti allo sviluppo socioeconomico e alla sicurezza collettiva dell’intera area. Questa prassi cooperativa adottata da Mosca ha caratterizzato anche le relazioni intessute in un secondo momento con i Paesi emergenti: oggi, con questi Paesi, la Russia costituisce il formidabile raggruppamento geo-economico dei Brics (e cioè, oltre alla Russia, Brasile, India, Cina e Repubblica Sudafrica-


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na), destinato a incidere sempre più profondamente nei futuri scenari globali. La riaffermazione di Mosca sul piano internazionale mondiale è stata possibile grazie a due fattori: la consapevolezza della classe dirigente russa, capitanata da Putin, circa il ruolo della relazione che passa tra la coesione interna e gli aspetti strategici del paese e, in secondo luogo, lo stabilirsi di nuovi e adeguati rapporti con l’estero vicino (un esempio recente è ben rappresentato dalla costituzione dell’unione euroasiatica doganale tra Bielorussia, Kazakistan e Russia). Il ritorno della Russia quale attore globale nelle dinamiche internazionali, per altro forte di importanti partenariati che raggruppano le principali nazioni asiatiche come l’organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, l’organizzazione euroasiatica economica (EurAsEC) e i Brics, costituisce uno degli elementi essenziali che contrassegneranno il sistema multipolare futuro. Occorre anche dire che Mosca dovrà superare delle sfide: sul fronte interno, saranno sfide relative alla pace sociale, alla modernizzazione della struttura pubblica e dei processi industriali, all’adeguamento dell’apparato di difesa; sul fronte internazionale, le sfide concerneranno il mantenimento dello status di nazione - continente e la sua funzione nell’accelerazione del processo multipolare (che è già a uno stato avanzato). Quali saranno i temi caldi e i principali attori geografici, economici e politici sui quali si concentrerà la disciplina? I temi caldi saranno tantissimi e saranno relativi sicuramente alle risorse energetiche, al primato tecnologico, al consolidamento del sistema multipolare e alla modernizzazione degli assetti post industriali. Per quanto riguarda gli attori geografici, possiamo dire che le aree che saranno a lungo oggetto di attenzione della geopolitica sono il Mediterraneo (includendo anche il Vicino Medio Oriente), l’Africa e l’Asia Centrale. L’Asia Centrale e il Mediterraneo rappresentano due focus molto importanti per l’IsAG ma in generale per tutti gli studiosi di geopolitica. In particolare, il Kazakistan: soprattutto negli ultimi cinque anni, infatti, questo Paese ha registrato un forte sviluppo economico che ora sta dando dei frutti in termini di modernizzazione e adeguamento delle infrastrutture. Il presiden-

te Nezarbaiev ha compiuto un lavoro che per quanto riguarda il Kazakistan, e di conseguenza l’Asia Centrale, è davvero epocale. Sarà quindi molto interessante per noi italiani e per tutti gli europei porre l’attenzione su quest’area. Un altro Paese sul quale sarà interessante indagare è la Bielorussia: grazie probabilmente all’unione con la Russia e il Kazakistan, sarà un Paese che avrà bisogno di investimenti e di know how che può venire benissimo dall’Italia e dall’Europa. Immaginiamo che la geopolitica venga inserita come materia obbligatoria nei i licei. Quali i vantaggi? Questa è una domanda interessante e, a mio avviso, una richiesta che bisognerebbe davvero rivolgere a chi di competenza. Si tratta di un tema al quale tengo molto e che affrontai tempo fa durante una conversazione con il Professor François Thual, decano degli studi di geopolitica in Francia. Ritengo che lo studio della geopolitica, parallelamente a quello dell’educazione civica, sia fondamentale per la preparazione al futuro delle nuove generazioni, soprattutto in questo momento di crisi globale. La geopolitica, infatti, aiuterebbe le nuove generazioni a superare le incrostazioni ideologiche nelle quali ancora soggiacciono; il vantaggio per la società si rifletterebbe, oltre che in una più adeguata preparazione delle future classi dirigenziali, anche nell’identificazione realistica delle necessità politiche, culturali ed economiche del nostro paese.

PER DIFFONDERE LO STUDIO DELLA GEOPOLITI-

CA ISAG SI AVVALE SOPRATTUTTO DELLA RIVISTA TRIMESTRALE GEOPOLITICA E DELLA SUA VERSIO-

NE ONLINE (WWW.GEOPOLITICA-RIVISTA.ORG) CHE VIENE AGGIORNATA QUOTIDIANAMENTE.

PRODUCE RAPPORTI E ANALISI GEOPOLITICHE PER AREA GEOGRAFICA E PER AREA TEMATICA (AD ESEMPIO LE RISORSE, L’ENERGIA O L’ACQUA, I CONFLITTI, I CAMBIAMENTI CLIMATICI, LE TENSIONI DELLE AREE GEOGRAFICHE “CALDE”, LA SICUREZZA). PUBBLICA LIBRI, ALCUNI DI TAGLIO PIÙ SPECIALISTICO E ALTRI PIÙ DIVULGATIVI, E GUIDE DI AFFARI SULLE VARIE AREE GEOGRAFICHE CHE POSSONO INTERESSARE IL SISTEMA COMMERCIALE ED ECONOMICO DELLE IMPRESE ITALIANE. ANCORA, PARTECIPA A CORSI DI GEOPOLITICA IN COLLABORAZIONE CON LE UNIVERSITÀ ITALIANE E STRANIERE, ORGANIZZA STAGE E CORSI DI FORMAZIONE CON CENTRI SPECIALIZZATI OMOLOGHI DELL’ISAG E UNA RICCA ATTIVITÀ SEMINARIALE CHE SVOLGE SIA SU RICHIESTA, SIA NELL’AMBITO DELLA PROMOZIONE DELLA RIVISTA. INOLTRE, ORGANIZZA CONFERENZE CON PARTNER DEL SISTE-

Quali sono i concetti che caratterizzeranno il futuro della geopolitica? Per rispondere a questa domanda bisogna fare riferimento all’analisi del processo di transizione dalla fase unipolare a quella multipolare. Tale processo ci induce a ritenere che i concetti guida e le parole chiave del futuro della geopolitica potranno essere: il consolidamento del multipolarismo, la tensione tra la tendenza alla frammentazione degli spazi geopolitici e la tendenza all’integrazione di vaste aree geopolitiche, la migrazione, il continentalismo, la parcellizzazione di unità geopolitiche, le aggregazioni sub-regionali, le organizzazioni di sicurezza collettiva, i Paesi Brics, l’integrazione euroasiatica, l’integrazione indio-latina, le risorse energetiche, l’alta tecnologia, le terre rare e l’acqua, ovviamente! z

MA ECONOMICO E INDUSTRIALE ITALIANO ED ESTERO; DI RECENTE, AD ESEMPIO, HA DEDICATO UN EVENTO AI PAESI BRICS INSIEME ALLO STUDIO

INTERNAZIONALE NCTM, CON LA PARTECIPAZIONE DI FUNZIONARI DELLE CINQUE AMBASCIATE, DI CONFINDUSTRIA, DEL CEMISS (IL CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI). A BREVE NE SVOLGERÀ UN ALTRO DEDICATO AL BRASILE , OLTRE A MOLTI ALTRI, PER UNA MEDIA DI CIRCA UN EVENTO OGNI MESE/MESE E MEZZO. I RICERCATORI ISAG, INOLTRE, PARTECIPANO IN MANIERA CONTINUATIVA A FORUM E CONFERENZE NAZIONALI E INTERNAZIONALI ORGANIZZATE DA UNIVERSITÀ E CENTRI DI STUDIO: IN PARTICOLARE, PRENDE PARTE AI FORUM ITALO-RUSSI ORGANIZZATI DA LA

SAPIENZA EA QUELLIANNUALI DEI WORK PUBLIC FORUM - DIALOGO DI CIVILTÀA RODI. E POI, OVVIAMENTE, CI SONO LE INTERVISTE!

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA POLITICA INTERNAZIONALE

IL RUOLO DELL’ITALIA E QUELLO DELL’UNIONE EUROPEA NEL MUTATO QUADRO GEOPOLITICO INTERNAZIONALE; LA FUNZIONE DELL’ONU E IL PROCEDERE DELLA GLOBALIZZAZIONE NELLE SUE DISTINTE DIMENSIONI: QUALI SCENARI SI PREVEDONO A PROPOSITO DI RELAZIONI INTERNAZIONALI?

L’ORIZZONTE DEL MONDO Intervista a Enrico Fassi, docente di Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica di Milano e Associate Research Fellow presso l’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.

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a ricerca ISPI si focalizza su tematiche di particolare interesse per l’Italia e le sue relazioni internazionali; a questo proposito, al centro di quali scenari si troverà l’Italia in futuro? Per rispondere a questa domanda occorre innanzitutto distinguere un livello generale, o più precisamente sistemico, che riguarda il mondo nel suo complesso, e un livello più specifico, relativo al rango/ruolo dell’Italia e alla sua particolare collocazione geopolitica. A livello di macro-scenari si possono identificare almeno due tendenze: da una parte la frammentazione del sistema internazionale, un tempo unificato dallo scontro ideologico della Guerra Fredda, in una serie di sottosistemi, ciascuno caratterizzato da determinati attori, norme e regole di comportamento. Dall’altra, il cosiddetto Global Shift, ovvero una ridi14

stribuzione di potenza a livello internazionale che vede emergere sempre di più le potenze asiatiche – Cina ed India su tutte - con un conseguente spostamento dell’epicentro della politica internazionale dall’Atlantico al Pacifico. Tali processi globali hanno ricadute importanti anche nel contesto europeo ed euro-atlantico nel quale è inserita l’Italia. Per quasi 40 anni la NATO e l’Unione europea sono infatti stati i cardini, sostanzialmente indiscussi, all’interno dei quali si è mossa la politica estera del nostro paese. In un certo senso, con la fine del sistema bipolare, tali costanti sono divenute variabili, e con l’11 settembre - e la guerra in Iraq - si sono rilevate sempre più le possibili contraddizioni tra europeismo e atlantismo, acuendo in qualche misura il disagio di una media potenza che si è trovata, talvolta suo malgrado, a dover (tornare a) compiere scel-

te importanti in politica estera. A questo si aggiunga che anche la terza classica direttiva della politica estera italiana, ovvero quella mediterranea, si è messa in movimento con la “primavera araba”, portando a un ripensamento necessario di quelli che erano considerati rapporti solidi e tendenzialmente stabili. In tal senso, i tentennamenti italiani di fronte alla crisi libica sono in una certa misura imputabili anche all’inevitabile smarrimento provocato dall’evoluzione di questo più ampio quadro geopolitico. Quale sarà il ruolo degli organismi internazionali (ad esempio l’ONU)? Molto dipenderà dal modo in cui le organizzazioni internazionali sapranno evolversi e adattarsi in modo coerente agli scenari appena descritti. Se è vero che le istituzioni possono rivestire di un


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manto di legalità e legittimità quelli che altrimenti sarebbero crudi rapporti di forza, difficilmente esse hanno la forza di incidere su tali squilibri. Dall’altra parte, il rischio delle istituzioni è invece quello di cadere vittime di una sorta di sclerosi, di viscosità, di resistenza al cambiamento, per cui finiscono per cristallizzare una situazione de jure che tende progressivamente ad allontanarsi dalla realtà de facto. L’ONU è un po’ il simbolo di tale difficoltà. Al suo interno convivono infatti due diversi principi di legittimazione: il principio di uguaglianza, che caratterizza l’Assemblea Generale, e quello del peso strategico dei singoli attori, incarnato dal Consiglio di Sicurezza e dal diritto di veto dei membri permanenti. Dopo una sorta di lunga paralisi dettata dalla Guerra Fredda, nei primi anni ‘90 il Consiglio di Sicurezza è tornato a interpretare un

ruolo di primo piano, ma il mutamento del contesto fa si che oggi sia percepito come un organismo sempre meno rappresentativo. Questo in parte spiega anche il passaggio verso meccanismi di cooperazione meno strutturati, come le coalizioni ad hoc, o a formule come quella del G20, in cui gli attori emergenti possano trovare maggiore spazio. Quale sarà il futuro dell’Unione europea? In questa fase è difficile - se non impossibile - prevedere quale sarà il futuro dell’Ue. Di certo l’Unione si trova di fronte a sfide di vasta portata. Innanzitutto, la crisi economica ha messo in discussione l’unico aspetto che fino ad oggi era ritenuto il caposaldo del progetto d’integrazione europea, ovvero la sua dimensione economica. All’inizio di questa crisi, di fronte ai rischi di insolvenza di al-

cuni paesi, l’Europa ha reagito in modo intempestivo e scarsamente coeso, ingenerando così anche una crisi di sfiducia che ha finito per contagiare anche l’Euro. A oggi, i meccanismi di coordinamento e di governance economica che sono stati messi in campo non sembrano sufficienti a scongiurare il ripetersi di crisi analoghe. Dal punto vista politico le sfide non appaiono di minore portata. Dopo l’euforia dell’allargamento dell’Ue da 15 a 27 paesi, l’Unione si trova oggi a dover affrontare sia i nodi irrisolti di tale processo - dal fallimento del Trattato Costituzionale alla qualità delle istituzioni democratiche dei nuovi paesi membri, dai rapporti con la Russia al futuro dei Balcani - sia un contesto geopolitico in rapido mutamento. Proprio sulla capacità dell’Ue di esercitare un ruolo efficace e credibile innanzitutto nel quadro regio15


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA POLITICA INTERNAZIONALE

nale, e in particolar modo nei confronti di quella che viene definita l’area del Vicinato - che si estende dal Marocco fino alla Bielorussia, passando per il Medioriente ed il Caucaso - si gioca in gran parte il suo futuro.

Si parla di globalizzazione già da diversi anni; ma c’è ancora così tanto da “globalizzare”? In effetti quello della globalizzazione è stato uno dei concetti chiave degli ultimi 15-20 anni. Tuttavia, rispetto ai facili entusiasmi dei primi anni ’90, oggi prevale una valutazione più equilibrata di questo processo, che è al contempo economico, politico e culturale, e che si è rivelato molto meno coerente ed uniforme di quanto si potesse inizialmente pensare. Da una parte, la globalizzazione procede con diverse velocità nelle sue varie dimensioni: un problema in tal senso è dato dal fatto che alla globalizzazione economica non è corrisposta un’analoga globalizzazione dei diritti e dei meccanismi di governance. Dall’altra parte, l’idea della globalizzazione come di un processo di progressiva unificazione e uniformazione del mondo sulla base di determinati modelli politicoculturali (di matrice occidentale) si è scontrata tanto con l’emergere di forme di resistenza culturale - si pensi al ritorno delle identità primarie (religione, etnia, clan ecc.. ) come fattore di aggregazione e scontro politico - quanto con il relativo successo di modelli politici alternativi - dalla “democrazia sovrana” di Putin, all’autoritarismo cinese, alla teocrazia iraniana. Al tempo stesso, la dimensione regionale dei fenomeni politici, economici e sociali sembra assumere un peso relativo sempre maggiore nei confronti delle spinte globalizzanti. All’interno dell’ISPI si svolgono le attività didattiche dell’ISPI School, rivolto principalmente all’approfondimento di cinque aree tematiche (emergenze, diplomazia, sviluppo, affari europei e attualità internazionale); secondo lei, quali tra questi temi è più “urgente” e più caldo? 16

Tutti questi ambiti sono in realtà strettamente legati tra loro. Dovendo indicare un tema prioritario, sceglierei quello dello sviluppo, perché ritengo che una delle questioni più urgenti che la comunità internazionale si trova a dover affrontare riguardi proprio le disuguaglianze che caratterizzano l’attuale sistema. Ma come detto si tratta di un tema trasversale che investe tutti gli ambiti appena citati: molte delle crisi e delle emergenze degli ultimi anni sono legate a guerre, carestie o calamità naturali che assumono dimensioni tragiche proprio a causa dello scarsissimo livello di sviluppo dei paesi nei quali si verificano. Il tema del sottosviluppo è al tempo stesso un problema che interessa da vicino l’Europa, che non può illudersi di regolare e contenere la pressione migratoria senza un’adeguata politica di sviluppo indirizzata verso la sponda sud del Mediterraneo e l’Africa sub-sahariana. In termini di diplomazia internazionale, il tema dello sviluppo si intreccia tanto con quello della riforma delle istituzioni internazionali quanto con il problema della sostenibilità ambientale degli attuali modelli di sviluppo.

In questa fase è difficile prevedere quale sarà il futuro dell’Ue. Di certo l’Unione si trova di fronte a sfide di vasta portata.

Quali sono secondo lei le parole chiave e i concetti che caratterizzeranno il futuro della politica internazionale? Oltre al tema delle disuguaglianze, cui ho già accennato, ne citerei altri due: pluralità e sicurezza. Il primo riguarda qualcosa di nuovo, ossia il processo di adeguamento delle istituzioni di governance (pensiamo all’ONU, al G8, ma anche alle riforme dei diritti di voto di WB e FMI) dell’attuale ordine internazionale e in particolare la sua capacità di essere al tempo stesso inclusivo e rappresentativo di un pluralismo (di modelli, di culture, di istanze) che non può più essere ignorato da parte dell’Occidente. In termini di rappresentatività il passaggio di consegne tra il G8 e il G20 è da considerarsi senza dubbio un progresso: intorno al tavolo che fino a

oggi aveva escluso poco meno della metà della ricchezza del pianeta, e quasi il 90% dei suoi abitanti, siedono oggi simbolicamente circa i 2/3 della popolazione mondiale, oltre l’85% del PIL e l’80% del commercio globale. Più incerta è invece la capacità di quest’ordine - di matrice prettamente occidentale - di continuare a funzionare con le medesime regole in un momento in cui la pluralità culturale, che è sempre esistita in campo internazionale, si accompagna a inediti rapporti di forza in favore degli attori non occidentali. Il secondo concetto, quello di sicurezza, è invece un concetto antico - per così dire “classico” - in politica internazionale, che si va tuttavia riempiendo di nuovi contenuti. I problemi di sicurezza con i quali dovremo con-


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frontarci in futuro infatti non saranno più legati al rischio di una invasione territoriale da parte di altri stati o di una guerra nucleare tra le grandi potenze (com’era durante la Guerra fredda), ma proverranno sempre più da attori privati, non statuali: reti terroristiche, criminalità organizzata, pirateria ecc. Inoltre, ad essere minacciata non sarà più solo -

o soprattutto - la sopravvivenza fisica, ma in particolare il livello di benessere delle nostre società e le risorse che consentono di mantenerlo: si tratterà pertanto sempre più di sicurezza energetica, alimentare, ambientale così come quella legata alla libera fruizione delle infrastrutture di trasporto e comunicazione (si pensi ad esempio ad Internet e

agli esiti potenzialmente devastanti del cyberterrorismo). Insomma, una preoccupazione antica, quella della sicurezza, ma che richiede risposte e paradigmi concettuali sempre nuovi. z

LE RELAZIONI INTERNAZIONALI E L’ISPI

Le relazioni internazionali rappresentano un ramo delle scienze politiche e si concentrano principalmente sui rapporti tra i principali attori internazionali (gli Stati, le organizzazioni inter e non governative, l’economia). L’operato di questi attori (e quindi anche la disciplina delle relazioni internazionali) finiscono inevitabilmente per interessare il dibattito pubblico, dal momento che i rapporti tra gli Stati o le decisioni diplomatiche e militari che vengono prese dai governi si ripercuotono anche sulle popolazioni. In Italia, tra gli studiosi che si occupano di tutto questo ci sono quelli dell’ISPI, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, che rappresenta una delle realtà italiane più antiche e prestigiose in materia di relazioni internazionali. Il fulcro delle attività dell’Istituto ruota in primo luogo attorno alla ricerca (strutturata in Osservatori e Programmi su specifiche aree geopolitiche o tematiche trasversali), oltre che alle attività di formazione, divulgazione e alle pubblicazioni. Il tutto destinato a un target molto ampio: dagli studenti ai rappresentanti del mondo politico, dell’economia e della cultura, dagli esponenti delle amministrazioni pubbliche a quelli degli organismi internazionali e delle organizzazioni non governative.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA POLITICA

LA DEMOCRAZIA DEL FUTURO E SE LA CRISI DELLA POLITICA PORTASSE ALLA FINE DEI PARTITI? ALLE ULTIME ELEZIONI AMMINISTRATIVE HANNO PROLIFERATO LISTE CIVICHE E MOVIMENTI, E IL VENTO DELLA COSIDDETTA “ANTIPOLITICA” SEMBRA SOFFIARE SEMPRE PIÙ FORTE. NE ABBIAMO PARLATO CON IL COSTITUZIONALISTA MICHELE AINIS CHE CI HA RICORDATO UN VERBO IN PARTICOLARE: CONCORRERE. Intervista a Michele Ainis* * MICHELE AINIS Costituzionalista, professore universitario di Diritto Pubblico presso l'ateneo di Roma 3, editorialista per il Corriere della Sera e L’Espresso, Michele Ainis è soprattutto un attento osservatore della politica e società italiana attraverso le lenti del diritto. Il suo ultimo saggio è “L’Assedio. La Costituzione e i suoi nemici” (Longanesi, 2011).

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Professore Ainis, la politica è in ginocchio, travolta da scandali di corruzione e fallimenti economici. I tecnici sono al governo. E i partiti tradizionali come stanno? Malissimo. E che siano in pessima salute è sotto gli occhi di tutti. La fiducia dei cittadini è ai minimi termini. È un fenomeno diffuso in Europa, che in Italia deriva da precise responsabilità: se ci ritroviamo un sistema economico disastrato, certamente dipende da fattori economici internazionali, ma anche dal fatto che questi vent'anni di seconda Repubblica, in cui hanno governato a turno destra e sinistra, hanno prodotto conti economici sballati ed etica pubblica precipitata. I partiti sono controllati da oligarchie ristrette ma alimentati con quattrini pubblici, e la politica è diventata un mestiere ben retribuito, anziché un servizio. I cittadini non amano più i partiti. È per questo che alle ultime elezioni amministrative si sono affermate così tante liste civiche? In effetti nell'ultima tornata elettorale le liste civiche, cioè senza simboli di partito, sono state ben il 61% in più rispetto al voto precedente, e solo a considerare i comuni capoluogo. Però bisogna anche riflettere su un fatto: se è vero che talvolta la lista civica corre in proprio, collegata a un candidato di partito il cui colore politico ha poca importanza nel contesto locale, è altrettanto vero che più spesso funge da “masche-

ra” per i partiti tradizionali. Questi sembrano padroneggiare l'escamotage che trovò Ulisse con Polifemo accecato: dichiarando di essere “Nessuno”, si rendono anonimi, restando in realtà protagonisti. In più occasioni lei ha ribadito la necessità di una riforma del sistema politico. Quali sono secondo lei le primissime cose da fare? Attuare la Costituzione. Nell’articolo 49 c'è un verbo fondamentale: “Concorrere”. Ciò vuol dire che i partiti non dovrebbero essere quello che sono diventati, gli attori unici della scena politica, ma dei co-protagonisti. Vuol dire che l'attività politica dovrebbe svolgersi anche in forme diverse, e dovrebbe essere possibile esercitare il proprio ruolo di cittadini in altri modi che non implicano l'iscrizione a un partito politico. Lei ha parlato di una “Quarta stagione” dei partiti. Dal Reform Act del 1832 e i raggruppamenti di notabili dell'Ottocento, siamo passati ai partiti di massa dopo l'introduzione del suffragio universale. Oggi siamo ai partiti personali in cui la sorte del leader coincide con quella del partito. La “Quarta stagione” dovrebbe essere quella di partiti più leggeri e meno ricchi. Interlocutori - non gli unici - dell'etica politica generale. In tal senso l'attuale esperienza del governo tecnico sta mostrando agli italiani che ci può essere un esecutivo che - al di là dei provvedimenti che possono pia-

cere o meno - ha una sua autorevolezza non ricevuta in delega dai partiti. I partiti sono malaticci, ma la nostra democrazia funziona o come sostengono alcuni è sospesa? Direi che stiamo attraversando una fase critica che può essere salutare se ci porta a scoprire per intero il sistema democratico: a chiedere più democrazia diretta, più democrazia partecipativa e un po’ meno di democrazia rappresentativa, che è quella degenerata nella partitocrazia. Proviamo a lavorare di immaginazione: si potrebbe sperimentare nel 21° secolo una democrazia diretta e partecipativa pura, in cui si faccia a meno della rappresentanza? No, assolutamente no. Però la fortuna della democrazia rappresentativa - ovvero dei parlamenti - coincide con la fortuna dei partiti. Se consideriamo tutto il percorso storico, quello dei partiti è un tempo minore. È auspicabile che un prossimo tempo, non solo in Italia - pensiamo a movimenti come Occupy Wall Street, o esperienze come quelle di Bilancio partecipativo, o il forum di Porto Alegre - porti più democrazia diretta e partecipativa. D'altra parte, se guardiamo anche solo alla vicina Svizzera, dove c'è una democrazia rappresentativa ma anche una forte democrazia diretta, notiamo che i cittadini di quel Paese sono molto meno scontenti dei loro governanti di quanto non lo siamo noi. z 19


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ECONOMIA

CRESCITA O LA SFIDA MONDIALE D

ue parole antiche i cui significati economici sono entrati con insistenza nella nostra vita quotidiana, e forse non è un caso che dopo il fallimento della “turbofinanza” si sia tornati a ragionare su parole e concetti semplici, a portata di tutti. Crescita o Austerità? Liberare risorse pubbliche per favorire il rilancio dell'economia o continuare

a stringere i cordoni della borsa per rimettere a posto i conti? Nelle pagine che seguono sono riportate le analisi di alcuni tra i più influenti economisti del mondo, ma la domanda preliminare - da ripetersi alla fine di questa sintetica trattazione - è: davvero nel mondo dell'economia globale, governato dalle banche centrali e dal Fondo monetario internazionale, i singoli stati sono ancora liberi di scegliere tra crescita e austerità? Certo, chi non vorrebbe crescere? Chi non vorrebbe pagare meno tasse e avere migliori tutele e servizi sociali? E chi avrebbe da ridire se aumentassero i posti di lavoro con i conti del bilancio statale in perfetto ordine? Ma se è scontato che tutti vorremmo la crescita e magari anche un pizzico di austerità, il vero dilemma è che forse nessuno - i governi, le imprese, i cittadini - può scegliere davvero. E non si tratta - attenzione! - di un mondo cattivo governato dalle multinazionali o dalla volontà di dominio di un’organizzazione criminale: il punto è che l'intero sistema economico mondiale appare come prigioniero di se stesso. D’altra parte, politiche rigoriste eccessive “alla tedesca” sono destinate a fallire fuori dai confini teutonici, perché basate su un welfare che, sia pur costoso, è imperniato su un ciclo virtuoso: tutti pagano le tasse, la macchina dello Stato funziona ed eroga servizi. Sono questi i presupposti su cui si

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IMQ NOTIZIE n.96

AUSTERITÀ? CAPITALISMO CONTRO SOCIALISMO? ROBA SCADUTA GIÀ NEL SECOLO SCORSO. BORGHESIA CONTRO PROLETARIATO? PREISTORIA. LIBERISTI CONTRO STATALISTI? CATEGORIE DEL PASSATO. IL NUOVO DIBATTITO PLANETARIO OGGI È UNO E UNO SOLTANTO: CRESCITA O AUSTERITÀ? fondano i sussidi destinati alle famiglie, alle giovani coppie e agli studenti di Berlino o Amburgo. E se i salari dei metalmeccanici tedeschi crescono più del doppio rispetto all'inflazione (mentre in Italia la proporzione è inversa) è inutile pensare che basterebbe “copiare la Germania”: senza riforme strutturali l'austerità è destinata a spargere sale sul terreno

dello sviluppo. Viva la crescita allora? Certo, ma chi ci assicura che il rilancio della spesa pubblica e una politica monetaria espansiva produrrebbero davvero molti più posti di lavoro? E se i veri problemi - cronici in Europa - fossero prima di tutto i costi esorbitanti e il peso della burocrazia che disincentiva la creazione di imprese e gli investimenti? L'attesa messianica, adesso, è tutta per il neo presidente francese François Hollande, eletto con la promessa di rivedere i rigidi patti che vincolano i paesi della zona euro e che dall'altra parte dell'Atlantico ha un partner strategico in Barack Obama, il presidente americano che si giocherà tra pochi mesi la rielezione vantando i buoni (ma non straordinari) dati della ripresa Usa. La partita è mondiale: i difensori dell'austerità si fronteggiano contro i guerrieri della crescita. Ma è inutile aspettarsi di vedere un finale di partita: la speranza più concreta è che questa crisi finisca almeno per insegnarci qualcosa. z

ITALIA: I NUMERI DELLA CRISI DEBITO PUBBLICO PRESSIONE FISCALE RECESSIONE DISOCCUPAZIONE PIL

1.946 miliardi di euro 55% -1,3% PIL su base annua 9,8% 1.600 miliardi di euro

FONTE

Banca d'Italia Confcommercio Istat Ocse stima Istat

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ECONOMIA

DIAGNOSI E TERAPIE CONTRO LA CRISI: ECONOMISTI A CONFRONTO UN CONFRONTO TRA LE TEORIE E IL PENSIERO DEI PRINCIPALI ECONOMISTI MONDIALI: PAUL KRUGMAN, JEAN PAUL FITOUSSI, NOURIEL ROUBINI, SERGE LATOUCHE, GIACOMO VACIAGO.

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IMQ NOTIZIE n.96

PAUL KRUGMAN Premio Nobel per l'Economia nel 2008, insegna Economia e Relazioni internazionali all'Università di Princeton. ULTIMO LIBRO: “Il ritorno dell'economia della depressione e la crisi del 2008” - Garzanti, 2009

IL PREZZO DELL'AUSTERITÀ Il premio Nobel per l'Economia 2008 è uno che ama andare controcorrente. Prendiamo le banche, per esempio. Quando tre anni fa esplose la grande bolla nel sistema economico-finanziario, Krugman guardò con sorprendente favore al loro salvataggio operato da molti governi occidentali: se l’infezione era nata nei caveau degli istituti di credito, era giusto intervenire proprio lì, per mantenere un minimo di normalità nella circolazione del denaro e non far crollare la fiducia dei risparmiatori. Perché allora, si chiede Krugman nei suoi editoriali sul New York Times, i governi non sono intervenuti con la stessa decisione quando la crisi ha iniziato a mordere lavoratori, pensionati, piccoli imprenditori? Se salvare le banche era un problema politico, non lo è altrettanto la vita di milioni di persone e di imprese? Secondo il professore di Princeton tagliare salari e pensioni è una ricetta, certo, ma non è l'unica e, soprattutto, i risultati sembrano dimostrare come non sia neppure infallibile. In Europa, infatti, i tassi di disoccupazione crescono a livelli allarmanti. A esclusione della Germania, la crescita è stagnante o negativa (come nel caso dell'Italia). Qual è la priorità allora? La ricetta di Krugman è semplice: creazione di nuovi posti di lavoro attraverso un piano di investimenti europei; promozione di uno sviluppo sostenibile puntando sull'efficienza energetica e la banda larga; potenziamento dell'offerta formativa per i giovani e facilitazioni creditizie per gli investimenti privati. Utopie? In un recente editoriale, commentando l'impressionante serie di suicidi di imprenditori in Europa, Krugman ha confessato di essere pessimista: “Finché i governi reagiranno alla depressione con l'austerità, la crescita resterà lontana. Imporre misure sempre più severe per paesi che già soffrono di un tasso di disoccupazione tipico della depressione è veramente inconcepibile. Se politici e banchieri non invertiranno la rotta, a pagare il prezzo sarà il mondo intero”.

JEAN PAUL FITOUSSI Economista francese, insegna all'Istituto di studi politici di Parigi e presiede l'Osservatorio francese sulle congiunture economiche. ULTIMO LIBRO: “La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il PIL non basta più per valutare benessere e progresso sociale” - Etas, 2010 (con J. Stiglitz e A. Sen)

RIFORMARE LA BANCA CENTRALE EUROPEA Jean Paul Fitoussi in Italia è un volto noto. Sarà anche per quel suo italiano da ispettore Closeau, ma i programmi televisivi se lo contendono settimanalmente. Il suo vero dono però è la chiarezza di chi molto sa e molto riesce a far capire anche a chi con lo spread ha poca dimestichezza. Docente di economia all'Istituto di studi politici di Parigi, Fitoussi è un europeista della prima ora, ma da tempo va predicando una grande riforma dell'UE che parta dalla Banca Centrale Europea. Ma cosa c'entra la BCE con la crisi che ci morde le caviglie? C'entra eccome. Perché la gestione della cassa è passata di fatto dai Paesi membri all'unico organismo sovranazionale 23


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ECONOMIA

europeo dotato di potere reale. Così i paesi che avevano fatto della svalutazione un motore per le esportazioni (l'Italia su tutti) si trovano in difficoltà. La tesi di Fitoussi è confermata dai dati della Banca d'Italia sulle bilance dei pagamenti (la differenza tra importazioni ed esportazioni) dei Paesi che compongono Eurolandia. In dieci anni la bilancia della Germania è passata da meno 1,3 punti a più 5. Quella della Spagna da -2,9 a -5,4. La Grecia da -5,5 a -11,3. Il Portogallo da -8,5 a -9,3. L’Italia che era in leggero attivo adesso ha un passivo di tre punti, esattamente come la Francia. Se d'incanto l'euro non ci fosse più e tornassimo indietro nel tempo, il marco tedesco starebbe attorno alle 2.200 lire (mentre l’euro vale 1.936,27 lire). In sostanza: la svalutazione che prima avvantaggiava l'Italia adesso fa correre le esportazioni tedesche. Cosa fare per rimettere le cose a posto e assicurare un maggiore equilibrio tra i Paesi membri? Secondo Fitoussi bisogna ricominciare quasi da zero, costruendo meccanismi di solidarietà autentici, con gli Stati forti che aiutano quelli deboli in cambio di precise garanzie di impegno. Insomma, il modello di un governo federalista europeo che metta in comune il debito e che consenta alla BCE di emettere i fantomatici Eurobond, i titoli di Stato europei. La sfida lanciata dal professore è di quelle toste: per uscire dalla crisi non basta definire una sorveglianza reciproca sulle politiche fiscali, ci vuole un'Europa vera.

SERGE LATOUCHE Economista e filosofo francese, insegna Scienze economiche all'Università di Parigi. ULTIMO LIBRO: “Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita” - Bollati Boringheri, 2011

LA DECRESCITA FELICE Crescere, crescere a tutti i costi altrimenti è la fine. E se invece il capitalismo fosse arrivato al capolinea? Avvertenza: Serge Latouche, economista e filosofo francese, non è comunista. Ve lo immaginate, del resto, un dirigente del Politbjuro impegnato a scrivere piani economici quinquennali se si fosse trovato davanti un elegante signore brizzolato che gli parlava di “decrescita felice”? Come minimo lo avrebbe sbattuto in Siberia, dove in effetti anche per i tuberi crescere è un'impresa. Dunque c'è questo brillante professore parigino che si è convinto della fine del capitalismo, senza per questo che i cavalli dei cosacchi si abbeverino alla fontane di San Pietro. Latouche parte da considerazioni tanto condivisibili da apparire banali: la nostra economia è basata sulla crescita infinita, si deve crescere per crescere. E quindi è necessario far crescere i bisogni all’infinito: consumare sempre di più e distruggere i prodotti che consumiamo. Questo fa sì che si consumi anche una quantità enorme di risorse naturali, che compromettono anche l’ambiente. Per Latouche, allora, l'unica via d'uscita è la porta, ovvero l'abbandono di questo modello economico e la progettazione di un sistema in cui l'occupazione non sia più legata solo alla crescita del Pil. Bellissimo a dirsi, molto complicato a farsi. È pur vero che nell'attuale sistema le disuguaglianze si sono moltiplicate. E allora forse una società che sia capace di porsi dei limiti potrebbe essere pure una società felice, capace di riportarci a una dimensione più umana. Quella che propone Latouche è una rivoluzione culturale, ma anche un cambiamento radicale dei sistemi di produzione: produrre meno ma meglio, lavorare meno ma investire - anche economicamente - in altre forme di ricchezza come i beni relazionali. Gli economisti classici vedono Latouche come il fumo negli occhi: utopia, chiacchiere. Eppure lui è convinto che quando usciremo finalmente dalla crisi ci ritroveremo più saggi e capiremo che una società con tanti disoccupati e tanti prodotti che non trovano più consumatori è uno spreco gigantesco. 24

NOURIEL ROUBINI Economista statunitense di origini turche, insegna alla New York University. ULTIMO LIBRO: “La crisi non è finita” Feltrinelli, 2010 (con S. Mihm)

RISCHIO CATASTROFE (MA DI BREVE PERIODO) Adesso lo prendono tutti molto sul serio. Fino a tre anni fa invece, quando nei consessi della finanza internazionale sul palco saliva lui, qualcuno - neppure sottovoce - diceva: “Ecco la Cassandra”. Nouriel Roubini, nato a Istanbul da genitori ebrei iraniani, cresciuto tra Teheran, Tel Aviv e Milano, dove si laurea alla Bocconi prima di prendere il volo per gli States. E cosa aveva fatto di così sconveniente il buon Roubini per suscitare cotanti sospetti? Semplicemente il suo lavoro, ovvero analizzare flussi, numeri e tendenze fino ad arrivare a prevedere l'arrivo della tempesta, cioè la grande crisi finanziaria che ha messo in ginocchio le economie del mondo occidentale sulle due sponde dell'Atlantico. Lui aveva messo tutti sull'avviso fin dal 2006, accolto da scetticismo e perfino qualche sberleffo, ma erano tempi in cui un ex consigliere economico di Bill Clinton non godeva di grandi simpatie. Oggi il mantra di Roubini è che al rigore (necessario) debba seguire la crescita entro un anno. Altrimenti, ha spiegato al recente Workshop Ambrosetti, si preparano scenari apocalittici. Bella beffa se tutti i sacrifici che i governi stanno imponendo ai cittadini si rivelassero inutili. Per questo, è la tesi di Roubini, occorre che la BCE riduca il costo del denaro e utilizzi tutti gli strumenti per aumentare la liquidità, come ha iniziato a fare nel novembre scorso, ottenendo una temporanea riduzione delle tensioni finanziarie. Adesso però si rischia di fare un passo indietro e allora Roubini è netto: ci vuole una politica monetaria “accomodante”, ovvero un'austerità fiscale più morbida e soprattutto la svalutazione dell'euro, necessaria per recuperare competitività esterna, senza la quale gli squilibri diverranno insostenibili e molti paesi della zona euro sarebbero costretti a ristrutturare i propri debiti e infine uscire dall'Unione monetaria. Uno scenario da catastrofe mondiale. Adesso che sembra passato un secolo e il coro dei soloni non fa che rimarcare il parallelo con la Grande Depressione del '29, lui però sussurra che il suo pessimismo è soltanto di breve periodo: insomma, uscire dalla crisi si può, e magari anche più in fretta di quanto si pensi.


IMQ NOTIZIE n.96

GIACOMO VACIAGO Economista italiano, ordinario di Politica economica all'Università Cattolica di Milano. ULTIMO LIBRO: “Per tornare a crescere” - Il Sole 24 Ore, 2005

L'ORA DELLA “DISTRUZIONE CREATRICE” Ripete spesso una frase il professor Vaciago: “La crescita è come una scala mobile: o si sale insieme o non si sale. Non si può crescere gli uni a spese degli altri”. La lezione l'ha imparata da Jacques Delors, grande cattolico francese e padre fondatore dell'euro, che ai tavoli delle diplomazie europee convinceva i partner della bontà della moneta unica spiegando che a crescere doveva essere l'Europa, non i singoli Paesi. Giacomo Vaciago è uno dei più autorevoli economisti italiani, ordinario di Politica economica all'Università Cattolica di Milano. In questa fase così delicata la sua idea guida è che l’Europa non possa portare a livello comune solo il valore della stabilità e del pareggio di bilancio. La crisi è pesante, l'economia del nostro Paese non tira e le imprese soffrono. E l'Unione europea, senza poteri politici, sembra più una gabbia che un terreno di crescita. Secondo il professore piacentino lo stallo della crisi risiede nel peccato originale dell'UE che ha dimenticato un elemento chiave dell'unione tra i Paesi, e cioè che ognuno si specializzasse nei propri mercati di riferimento. E così, mentre Usa, Cina, India e Brasile scappano, la Germania galoppa da sola e l'Europa che ci ritroviamo non è quella che sognavano i nostri padri. Falsa partenza, dunque, ma la gara è appena cominciata. In una recente intervista ad Avvenire Vaciago ha ricordato che “Ci sono state otto recessioni negli ultimi sessant’anni, con una durata media di un anno e mezzo. Per ripartire, dovremo fare delle scelte: basta guardare solo alla domanda interna, per crescere serve innovazione, far fuori il vecchio per produrre qualcosa di nuovo”. La vecchia “distruzione creatrice” di Schumpeter, il grande economista austriaco vissuto nella prima metà del '900. Dunque, in concreto la ricetta di Vaciago sono le grandi infrastrutture europee, la crescita dimensionale delle imprese e lo sviluppo della banda larga. E soprattutto, dare fiato alle imprese potenziando la Banca Europea degli Investimenti. La fine del tunnel non è poi così lontana, è ora di prepararsi a uscire. E l'Italia ha molte risorse su cui puntare.

GLOSSARIO DELLA CRISI Banca Centrale Europea Istituzione centrale con il compito di preservare il potere di acquisto della moneta unica e assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi nell’area dell’euro.

Bolla speculativa Fenomeno finanziario che fa impennare le quotazioni dei titoli oltre il loro reale valore.

Debito pubblico Totale delle passività di uno Stato, rappresentato dai titoli del debito.

Eurobond Emissioni obbligazionarie dell'Unione europea.

Eurozona Il territorio dei 17 Stati che adottano l'euro come moneta nazionale.

Default Incapacità di uno Stato di pagare i titoli che ha emesso.

Fed È la banca centrale americana.

Ftse Mib È l'indice delle 40 principali azioni quotate alla Borsa di Milano.

Rating È il giudizio di affidabilità degli Stati che emettono prestiti obbligazionari. Il giudizio migliore in assoluto è quello rappresentato dalla tripla A, poi si scende alla doppia A, per poi declinare fino alla C.

Spread È il differenziale di rendimento tra i BTP italiani a 10 anni e il Bund tedesco avente la stessa durata. Esprime il maggior rischio percepito dal mercato dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi. 25


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLE CITTÀ

TALK TO ME: OVVERO, TUTTO QUELLO CHE LE NOSTRE CITTÀ CI POSSONO RACCONTARE

INTERVISTA A CARLO RATTI*

UNA VOLTA SI PARLAVA DEL BINOMIO UOMO-MACCHINA. OGGI E NEL FUTURO, LA RELAZIONE SARÀ UOMO-CITTÀ, IN UN RAPPORTO IN CUI QUEST’ULTIMA RAPPRESENTERÀ SEMPRE DI PIÙ UN’INTERFACCIA PER RACCOGLIERE INFORMAZIONI INDISPENSABILI ALL’OBIETTIVO FINALE: VIVERE MEGLIO. CIÒ CHE INFATTI STA AVVENENDO OGGI SU SCALA URBANA RICORDA QUANTO ACCADDE DUE DECENNI FA IN FORMULA 1. FINO A QUEL MOMENTO GLI ASPETTI PREDOMINANTI ERANO LA MECCANICA DELLE AUTO E L’ABILITÀ DEI PILOTI. POI SI CAPÌ CHE NON ERA SUFFICIENTE E SI INIZIÒ A TRASFORMARE LA MACCHINA IN UN SISTEMA INTEGRATO MULTITECNOLOGICO CON MIGLIAIA DI SENSORI A BORDO IN GRADO DI COMUNICARE TUTTE LE INFORMAZIONI NECESSARIE A PREVEDERE L’ANDAMENTO DELLE PRESTAZIONI DELLE SUE PARTI COSTITUENTI E QUINDI DELL’INTERO SISTEMA. ESATTAMENTE QUELLO CHE SUCCEDE NELLE CITTÀ. GIÀ COPERTE DA UNA RETE DIGITALE CAPILLARE CHE FUNGE DA SENSORI, LE REALTÀ URBANE CI POSSONO OGGI PARLARE E COMUNICARE TUTTI I DATI NECESSARI. A NOI IL RUOLO DI INTERPRETARLI E UTILIZZARLI PER MODIFICARE I LUOGHI DEL NOSTRO VISSUTO. PERCHÉ COME DICEVA BUCKMINSTER FULLER A METÀ DEL NOVECENTO: «SMETTIAMOLA DI CERCARE DI RIFORMARE LA SOCIETÀ. CAMBIAMO L’AMBIENTE FISICO! LA SOCIETÀ SI RIFORMERÀ DA SOLA SE L’AMBIENTE È QUELLO GIUSTO...». 26


IMQ NOTIZIE n.96

F

orse, dentro casa, basterà un comando vocale per far funzionare gli elettrodomestici; oppure avremo le stanze piene di robottini parlanti e tuttofare. E forse abiteremo in città dove, per legge, non sarà possibile avere una percentuale troppo bassa di aree verdi e, magari, ogni città sarà totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico perché, per il suo fabbisogno si farà bastare il sole, il vento, i parchi. Chissà se, nelle nostre città del futuro, vedremo mai quegli scenari fantascientifici che ammiriamo in tanti film e se invece delle automobili guideremo delle navicelle spaziali dotate di tutti i comfort. In realtà, basterebbe solo che, in futuro, le nostre città fossero più “intelligenti”, pensate a misura d’uomo e più vivibili. O forse diventeremo noi esseri umani più intelligenti, sensibili e rispettosi nei confronti delle nostre città (e quindi anche dei loro abitanti); il che, probabilmente, potrebbe essere la trasformazione più clamorosa della storia della civiltà. Ma questi sono solo pensieri sparsi qua e là,

fatti per introdurre questo articolo sulle città del futuro e sulle modalità per avviare uno sviluppo urbano sostenibile. Per parlarne abbiamo intervistato Carlo Ratti. Un architetto, ingegnere, designer, che non si è limitato a pensieri e immaginazioni, ma che da tempo è passato ai fatti, concretizzando già una parte di probabile futuro. Come si vivrà in futuro? A metà degli anni Novanta, complice l’esplosione di Internet trainato dai primi browser, molti parlavano di “death of distance”, riprendendo il titolo di un celebre libro di Frances Cairncross. L’esplosione delle Reti faceva presagire l’annullamento delle distanze nel mondo fisico. L’idea era così radicata che lo scrittore americano George Gilder si sbilanciò fino ad affermare che, cancellate le distanze, anche le città sarebbero scomparse, in quanto «inutile retaggio del passato». In realtà, da allora il numero di persone che preferiscono vivere in aree urbane è aumentato costantemente, fino a superare nel 2008 il

cinquanta per cento della popolazione mondiale - un evento senza precedenti nella storia dell’uomo. La Cina, da sola, ha in progetto di costruire più città nei prossimi vent'anni di quante non ne siano mai state costruite dall'uomo negli scorsi millenni. Eppure, tutto questo non nega la possibilità di un ritorno alla natura. È un po' il vecchio sogno di Elisée Reclus, il noto geografo francese: "Man must have the double advantage of access to the delights of the town, with its solidarity of thought and interest, its opportunities of study and the pursuit of art, and, with this, the liberty that lives in the liberty of nature and finds its scope in the range of her ample horizon" (ndt - L’uomo deve avere un doppio vantaggio nell’accedere ai piaceri della città: l’accesso alla sua comunanza di pensiero e di interessi e alle opportunità di studio e di esercizio dell'arte, ma anche l’accesso alla libertà che vive nella libertà della natura e trova il suo scopo nei suoi ampi orizzonti).

Quali sono gli studi e i dispositivi tecnologici che in maggior misura in questo 27


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLE CITTÀ

momento stanno consentendo il cambiamento delle città, sia in termini fisici sia in termini di vivibilità? Più che di 'grandi' tecnologie, dobbiamo parlare della grande quantità di tecnologie portatili e ormai economiche. Ad esempio, ognuno di noi, semplicemente portando con sè un telefono, può diventare, volendo, una sorta di centralina in grado di rilevare e trasmettere dati sull'ambiente (localizzazione, informazioni sulla mobilità, etc...).

se incasellare le informazioni, razionalizzandole. Oggi dovremmo pensare che la conoscenza e l’innovazione è anzitutto condivisione delle informazioni. E grazie a Internet e ai social network è sempre più possibile. Un altro cambiamento a cui fare ancora attenzione credo sia la potenzialità del digitale che ritorna al mondo fisico. Pensiamo solo alla campagna di Obama, che era partita dalle Reti per poi portare all’elezione effettiva del Presidente.

Alla sostenibilità cosa seguirà? Ci può fare qualche altro esempio? Il progetto nato come Wikicity, esteso poi Cerchiamo di arrivarci in fretta, poi lo scopriremo! con Live Singapore! Un progetto che si occupa della mappatura in tempo reale delle Come si arriverà (se si arriverà) al tradinamiche della città. Mappe che non si limitano a rappresentare il territorio urbano, sporto sostenibile? ma diventano istantaneamente strumenti a Non con un'equazione magica, ma con sodisposizione dei cittadini che possono così luzioni diverse da caso a caso, che partano intraprendere le loro azioni e decisioni sulla dalle specificità dei luoghi. Quel che occorbase di informazioni sempre aggiornate. In re è sviluppare cose nuove, non sperimenquesto modo le mappe alterano il contesto tare quanto fatto da altri. Ognuno deve trocittadino che a sua volta altera le mappe, con vare la propria strada. Per Copenaghen, ad l'obiettivo ultimo di migliorare l'efficienza e esempio, abbiamo progettato la Copenaghen Wheel. Un congegno in grado di la sostenibilità dell'ambiente urbano. Cito anche il progetto Trash Track, studiato per trasformare qualsiasi bicicletta in una bici la città di Seattle, nel quale, attraverso una elettrica a pedalata assistita, ossia dotata di sorta di chip installato sui materiali di scarto, una batteria elettrica in grado di accumulasi è risaliti al percorso compiuto dai prodotti re l'energia passiva prodotta dalla pedalata per poi rilasciarla quando necessario, come a fine vita - scoprendo che spesso sono tutt’altro che a km zero - permettendoci poi di ad esempio in salita. Provvista di un chip stendere piani di ottimizzazione dei sistemi bluetooth per lo scambio delle comunicazioni, di sensori ambientali di riciclaggio. Anche dalle fotoche interagiscono con lo grafie si possono raccogliere smartphone, di elettronica infinite informazioni. Quel che Prendiamo ad esempio occorre è sviluppare di controllo in grado di sbloccare il dispositivo di Flickr. Analizzando il matecose nuove, non chiusura, semplicemente ririale pubblicato si può ad esempio risalire al percorsperimentare quanto conoscendo lo smartphone del proprietario. In pratica, so maggiormente seguito fatto da altri. attraverso gli speciali sensodai turisti in una città, i lori collegati via bluetooth allo cali più frequentati dai resismartphone collocato sul manubrio, il ciclidenti o dagli esterni, le ore di frequentaziosta riceve informazioni dalla bicicletta, ma ne e così via. In base ai colori delle foto è addirittura possibile risalire alle zone a rischio anche dal web, sulla velocità, sulla distanza percorsa, sullo stato del traffico e sui persiccità. corsi da preferire (sfruttando il GPS dell'iPhone). E addirittura sulla prossimità o Dal Mit è possibile avere qualche anticipazione su “percorsi” di cambiamento meno di amici in zona o sul livello di inquinamento urbano in quel preciso punto. non ancora esplorati, ma presto esploTutti dati che il ciclista stesso può decidere rabili? di trasmettere al web server del Comune Cercherei di puntare l'attenzione soprattutper aggiornamenti in tempo reale. to su tutti quei sistemi "bottom up", che In Francia è nata invece l’idea di studiare partono dal coinvolgimento dei cittadini. un’applicazione che permetta di capire Una volta si pensava che la conoscenza fos28

* CARLO RATTI, ARCHITETTO E INGEGNERE, DIRETTORE DEL SENSEABLE CITY LABORATORY DEL MASSACHUSSETS INSTITUTE OF TECHNOLOGY. Architetto e ingegnere, dirige il Senseable City Lab del MIT, gruppo di ricerca da lui fondato nel 2004 che si propone di esplorare e riprogettare le città sviluppando le possibilità offerte


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IL FUTURO DELLE AUTO: con il tasso alcolemico alto non si parte! Negli ultimi anni sono state numerose le campagne di sensibilizzazione per ridurre gli incidenti stradali, spesso causati da conducenti in stato di ebbrezza. Per quanto meritevoli, però, da sole non sono ancora riuscite a diminuire in maniera significativa il numero dei morti e dei feriti su strada. Ma ecco che dall’America arriva una nuova idea: l’auto che non parte se il conducente ‘ha bevuto troppo’. Un gruppo di ricerca promosso dall’Alliance of Automobile Manufactures (gruppo commerciale di settore che rappresenta 12 produttori di auto) e dalla National Highway Safety Administration (ente statunitense che vigila sulla sicurezza dei veicoli) sta sperimentando una nuova tecnologia in grado di rilevare il tasso alcolemico del conducente per impedirne la guida nel caso in cui la percentuale di alcool nel sangue sia maggiore rispetto ai limiti stabiliti dalla legge. Gli studiosi si sono basati sulle tecnologie già esistenti e hanno perfezionato un sistema di sensori passivi che installati sul veicolo, o in punti sensibili al tocco, come sulla chiave o sul pulsante di start del motore, sono in grado di rilevare istantaneamente il grado di alcool presente nel sangue dell’autista. Questa tecnologia salvavita potrebbe essere installata su qualsiasi veicolo e diventare un dispositivo permanente per tutte le autovetture. L’obiettivo finale dei ricercatori è produrre un dispositivo che possa agire in meno di un secondo e che possa coprire una durata pari all’intera vita dell’automobile. Tale meccanismo permetterà di aumentare la sicurezza stradale e salvare centinaia di vite ogni anno. Quando si dice intelligenza artificiale! quanto tempo ci vuole ad attraversare la città con i vari mezzi di trasporto e calcolare anche la quantità di anidride carbonica consumata. Il che offre un nuovo modo di vivere la città e promuove la sostenibilità.

dalle tecnologie di avere dati e flussi in realtime. Partner di uno studio con sede a Torino, Ratti è una delle figure di riferimento del dibattito sulle Smart City del futuro e un pioniere dell’utilizzo delle nuove tecnologie per progettare edifici intelligenti e stili di vita migliori. I lavori di Ratti sono stati esposti in numerose manifestazioni e musei di tutto il mondo, tra cui la Biennale di Venezia, il Design Museum Barcelona, il Science Museum di Londra, il Gafta di San Francisco e il MoMA di New York.

Secondo lei, come la teoria economica della decrescita (la teoria che sostiene la riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l'obiettivo di stabilire una nuova relazione di equilibrio ecologico fra l'uomo e la natura, nonché di equità fra gli esseri umani stessi) potrà essere applicata anche all'architettura/urbanistica? Ci sono molti modi per intendere crescita e decrescita. A me piace pensare che la crescita vera sia quella che parte da una miglior conoscenza del mondo che ci circonda, e che questa pertanto possa e debba continuare. Ma se per crescita intendiamo la costruzione di nuove case, allora sono perfettamente d'accordo. In Italia - Paese in cui la popolazione non cresce e gli standard abitativi non cambiano - le città devono crescere su se stesse, recuperare aree dismesse piuttosto che sottrarne di nuove alla campagna. Continuare a costruire significherebbe solo condannare allo svuotamento e al degrado le aree esistenti. I Paesi del consumismo energetico e tecnologico possono per certi versi prendere spunto dai Paesi con scarsa disponibilità delle energie e delle risor-

se tecnologiche? Penso che gli insegnamenti possano venire da tutte le parti - sia dalla Svezia che dalla Sierra Leone. Quali sono le tendenze che caratterizzeranno l’architettura del futuro? Le Corbusier disse che la civiltà della macchina era alla ricerca, e che avrebbe finito col trovare, una propria espressione architettonica. Oggi è la civiltà digitale/nanotech/biotech/ecc. a cercare. Troverà anche lei la sua strada! Ci saranno oggetti, mobili, complementi d’arredo dei quali impareremo a fare a meno e altri che invece diverranno indispensabili? Lo scaffale dei vhs non se la passerà benissimo. Per contro, è difficile pensare a un'applicazione che sostituisca una sedia o una credenza. Cosa dobbiamo aspettarci dal design di domani? Che risponda alle nostre esigenze di domani. Quali sono i concetti e le parole chiave che domineranno il futuro? Riconfigurabilità, stavolta davvero, e tanto ubiquitous computing. Essere sempre e dappertutto affinché possiamo tornare a concentrarci sulle cose che contano davvero, una vita più semplice e la capacità di coz struire una folta trama sociale. 29


PRIMO PIANO: I MATERIALI DEL FUTURO

IL MATERIALE? SE BEN IMPILATO

DIVENTA PERFETTO 30


IMQ NOTIZIE n.96

CELLE SOLARI AD ALTA EFFICIENZA PER SATELLITI, PIÙ LEGGERE ED ECONOMICHE; SENSORI CHE MONITORANO LE OPERAZIONI IN LAPAROSCOPIA CON BASSISSIME DOSI DI RAGGI X; DISPOSITIVI ELETTRONICI DI POTENZA, PER GESTIRE AUTOVEICOLI E PRODUZIONE DI ENERGIE ALTERNATIVE, MENO COSTOSI E PIÙ EFFICIENTI: SE GLI ATOMI VENGONO BEN IMPILATI, TUTTO QUESTO È GIÀ POSSIBILE.

Intervista a Leonida Miglio, docente di Fisica della Materia all’Università di Milano Bicocca.

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ual è il segreto di un materiale perfetto, non soggetto a rotture, distorsioni o altre imperfezioni? Crescere ben impilato! Sembra semplice, ma in realtà la questione ha comportato ricerche lunghe e faticose per i ricercatori del Centro Interuniversitario per le Nanostrutture Epitassiali su Silicio e Spintronica L-NESS (del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano - Bicocca con il Dipartimento di Fisica e il Polo Territoriale di Como del Politecnico di Milano) e del Laboratorio di Fisica dello Stato Solido del Politecnico di Zurigo, insieme al Centre Suisse d’Electronique et de Microtecnique di Neuchatelle. Gli studiosi hanno dimostrato come si possano integrare strati di materiali semiconduttori, particolari e diversi, sul silicio (abbondante, economico e ben conosciuto), senza che si verifichino rigetti, difetti o rotture. Grazie a questa scoperta si potrà ottenere un miglioramento delle prestazioni dei diversi materiali applicati sul silicio, potenziandone le proprietà. In concreto, questa tecnologia

permetterà di realizzare celle solari ad alta efficienza per satelliti, più leggere ed economiche; sensori che monitorano le operazioni in laparoscopia con bassissime dosi di raggi X; dispositivi elettronici di potenza meno costosi e più efficienti, per gestire autoveicoli e produzione di energie alternative. Altri vantaggi? Lo abbiamo chiesto a uno dei “padri” di questa scoperta, il prof. Leo Miglio del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università Milano Bicocca. Quali saranno i principali vantaggi che deriveranno dalla scoperta dei ricercatori del Centro Interuniversitario per le Nanostrutture Epitassiali su Silicio e Spintronica L-NESS? Siamo partiti dal presupposto che nelle due principali applicazioni dei semiconduttori, i dispositivi per l’elettronica e per la produzione di energia da celle fotovoltaiche, ci sia un problema comune, ovvero quello di mettere un materiale di buona qualità su un substrato abbondante e a basso costo (in genere il silicio), creando continuità di atomi e arginando le problematiche di cui sopra. Ebbene, abbiamo trovato la soluzione! La svolta sta nel fatto che adesso la deposizione dello strato attivo soprastante è a prova di crepe e difetti: certo, tutto ciò porterà ad applicazioni

innovative, compresa probabilmente quella di un rivelatore di immagini a raggi X per uso medicale estremamente sensibile e preciso. Altri vantaggi per il consumatore staranno anche nell’avere dispositivi convenzionali ad un costo minore, perché realizzati integrando un materiale prezioso su di un substrato economico e ben conosciuto, il silicio. La nostra scoperta ha alle spalle un duro e costante lavoro, associato a notevoli competenze e risorse faticosamente guadagnate su singoli progetti, binomio fondamentale per ottenere risultati di alto livello. La ricerca, a mio avviso, è una sfida personale entusiasmante e divertente, ma alla lunga deve portare ad un miglioramento tangibile delle condizioni di vita per tutti. In quest’ottica, viene ad assumere un valore sociale, in cui trova giusta collocazione, anche lo sviluppo industriale delle scoperte. “Il segreto di un materiale perfetto è crescere (su di un altro) ben impilato”: cosa significa? L’espressione deriva dalla tecnologia di deposizione di semiconduttori che abbiamo messo a punto: l’impilamento (un po’ come i libri si impilano sul tavolo di una biblioteca) deriva dal fatto che realizziamo l’allineamento del materiale depositato in cima a pilastri lito31


PRIMO PIANO: I MATERIALI DEL FUTURO

grafati nel substrato di silicio. In questo modo, si ottengono tanti blocchi separati invece di un film continuo, per un processo che è chiamato “autoassemblaggio”. A sua volta, tali blocchi permettono di accomodare separatamente le differenze di struttura e di espansione termica tra i due materiali, evitando la creazione di difetti nell’orditura atomica (distorsioni, rotture e slittamenti), che sono invece tipici del film continuo. Insomma, è una specie di “federalismo” nel campo dei materiali. Su quali altri studi legati alla scoperta di nuovi materiali si stanno concentrando i ricercatori? Per semplificare le cose, va detto innanzitutto che esistono due differenti tipologie di materiali. Da un lato ci sono infatti i cosiddetti “materiali strutturali”, impiegati nel campo della meccanica, della edilizia e simili, mentre dall’altro ci sono i cosiddetti “materiali funzionali” che vengono usati per le proprietà elettroniche, ottiche, o chi32

miche che hanno. Proprio su questa seconda tipologia di materiali si stanno concentrando le ricerche condotte in questo Dipartimento di Scienza dei Materiali e in molti altri laboratori nel mondo. In tale campo, le Nanotecnologie hanno portato tutta una serie di nuove scoperte e opportunità: basti pensare il successo scientifico e mediatico del grafene, fogli di carbonio strettamente bidimensionale, recentemente oggetto di premio Nobel. Che possibilità ci sono che i nuovi materiali del futuro siano anche “green”? Il concetto di sviluppo sostenibile è ormai metabolizzato da tempo, sia nelle imprese, sia nei laboratori. Per esempio, si cercano soluzioni tecnologiche che non contemplino materiali tossici o troppo rari, oppure, se assolutamente necessari per le loro proprietà, si cerca di ridurli a quantitativi innocui per l’uomo e per l’ambiente. Nanoparticelle che emettono luce contenenti il cad-

mio, ad esempio, stanno per essere sostituite da altre che contengono composti dello zinco, più sicuro e abbondante. Secondo lei con cosa costruiremo le case e gli edifici in futuro? Credo che un’ottima soluzione per le case del futuro - al di là dell’utilizzo di materiali ‘green’ - potrebbe essere non già la creazione ex novo di edifici, quanto la possibilità di riutilizzare e riadattare tecnologicamente edifici preesistenti. Tra cui, ad esempio, le case degli anni Sessanta e Settanta, che sebbene presentino diversi problemi soprattutto in termini di invecchiamento dei materiali e degli impianti utilizzati, comporterebbero un grave costo per essere abbattute. Qui si è costruito in cemento armato, non in metallo e cartongesso come negli Stati Uniti! Quali altri materiali prenderanno sempre più piede in futuro?


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IL FUTURO? STA NEL RIUSO.

A INSEGNARCELO È L’UNIVERSO STESSO, IL PRIMO GRANDE RICICLONE DELLA STORIA.

Credo che saranno sempre più utilizzati materiali in grado di assicurare il massimo dell’efficienza e il minimo dei costi. Sembra una banalità, ma il costo economico e sociale di materiali che siano difficili da smaltire o riciclare diventerà una barriera insormontabile per la loro commercializzaz zione.

È infatti bene ricordare che gli atomi di cui è fatto il nostro corpo, qualche miliardo di anni fa sono stati prodotti da una stella in qualche parte dell’Universo. Molte ricerche storiche, negli ultimi decenni ci hanno svelato tante “vite quotidiane” di popolazioni di mille o duemila anni fa, per arrivare a tutto l’800, e raccontano di una grande attenzione a recuperare materiali e attrezzi, a buttare via poco, insomma. È da questa lunga tradizione che nasce, per esempio, l’uso della cenere dei focolai, fatta prima bollire e poi asciugata, come detersivo per il bucato. Tuttavia, è verosimile assimilare tale attenzione a non sprecare al ben noto comportamento degli animali nei grandi parchi africani, dove è assolutamente proibito dar loro del cibo perché l’abitudine a procurarselo, cacciando per esempio, la perderebbero in un battibaleno. Una certa attività artigianale del riuso, però, inserita in percorsi industriali, c’è sempre stata. Le ossa, per esempio. Scrive Lorenzo Pinna in Autoritratto dell’immondizia (Bollati Boringhieri, 2011): “Le ossa, specialmente quelle più grandi, erano la materia prima per fabbricare bottoni, pettini, fermagli e oggettistica varia (portasigarette, giochi come gli scacchi e la dama). … [le ossa] potevano trasformarsi nel ‘nero animale’, uno speciale carbone con cui la nascente industria dello zucchero filtrava e sbiancava le melasse ottenute con le barbabietole. I primi fiammiferi che si accendevano per sfregamento, apparsi intorno al 1830, avevano la capocchia di fosforo estratto dalle ossa”. (tratto da “Parole per il futuro”, Edizioni Ambiente, ideato con il contributo di IMQ - in commercio da autunno 2012). 33


PRIMO PIANO: I MATERIALI DEL FUTURO

BATTERIA SOSTENIBILE? CON LA CARTA SI PUÒ FARE! La carta è uno dei materiali più diffusi e più versatili al mondo. Con la carta produciamo quaderni, riviste, libri, confezioni regalo; la usiamo per pulire, asciugare, per scrivere e, soprattutto, è un materiale facile da riciclare. Chi lo avrebbe mai detto che dalla carta si sarebbero potute ottenere persino delle batterie sostenibili? Eppure, grazie allo studio condotto dai ricercatori del Politecnico di Poznan, in Polonia, e dell’Università di Linköping, in Svezia, sarà finalmente possibile produrre delle batterie con materiali riciclabili ed eliminare l’attuale utilizzo di elementi rari e inquinanti, come il cobalto e il cadmio. Basterà ricorrere a della semplice carta e alla lignina, un liquame di scarto della lavorazione della carta e presente per il 20-30% in ogni albero. Una ricerca, quella pubblicata dalla rivista Science a marzo, che rivoluziona il mondo delle batterie e che, come riportano gli stessi studiosi, trae la sua ispirazione dal processo naturale della fotosintesi clorofilliana. Durante la fotosintesi, gli elettroni vengono catturati da molecole trasportatrici, i chinoni, che quando rilasciano il carico liberano anche energia. Similmente la batteria di carta si basa su un catodo di lignina e poli-

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pirrolo, un polimero conduttore, che origina un materiale composito capace di trattenere efficacemente le cariche elettriche. Infatti, i chinoni permettono ai derivati della lignina di perdere un protone per catturare al suo posto la carica negativa e, dal canto suo, il polipirrolo conserva tale condizione fino al rilascio della carica. Le batterie ricaricabili presentano ancora alcuni limiti: durante i primi test condotti su una pellicola di lignina e polipirrolo spessa mezzo micron, si è osservato che gli elettrodi caricati tendono a scivolare velocemente, riducendo la capacità della batteria di trattenere l’energia accumulata per lunghi periodi di non utilizzo. Tuttavia, secondo i ricercatori, è possibile risolvere il problema e ottimizzare così la tenuta delle batterie attraverso l’uso di altri derivati della lignina più performanti. Una prima immediata applicazione potrebbe riguardare il settore fotovoltaico: la nuova batteria di carta potrebbe essere, infatti, la soluzione ideale per stoccare l’energia prodotta dai sistemi fotovoltaici in modo economico e sostenibile.


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LA SFIDA DEL FOTOVOLTAICO? SPAZIALE! Qual è una delle sfide che oggi affascina gli scienziati aerospaziali di tutto il mondo? Catturare l’energia del sole nello spazio, luogo in cui l’assenza di atmosfera permette un accumulo 24 ore su 24 di energia ad alta intensità, per soddisfare il fabbisogno energetico mondiale in modo efficiente e sostenibile. Un campo, quello del fotovoltaico spaziale, che ha prodotto una vasta letteratura. Negli anni, infatti, sono stati presentati numerosi progetti che, a causa della loro insostenibilità economica e strutturale, non hanno trovato alcuna applicazione concreta rimanendo belle idee solo sulla carta. Tuttavia, sembra che qualcosa stia cambiando. John Mankins, ingegnere dell’Artemis Innovation Management in California, ha presentato al contest 2012 della NASA il primo progetto di fotovoltaico spaziale ‘realizzabile’: il SPS-ALPHA (Solar Power Satellite via Arbitrarily Large PHased Array) che mira alla creazione di una centrale energetica orbitante del futuro. Ancora una volta la natura è stata fonte d’ispirazione per l’uomo: la struttura della matrice satellitare progettata da Mankins e il suo gruppo si configura, infat-

ti, come un fiore, i cui petali sono rappresentati da specchi mobili. Nello specifico, gli specchi saranno fabbricati in film sottile sulla superficie curva della matrice per catturare e indirizzare la luce solare verso le celle fotovoltaiche presenti sul retro della struttura. Inoltre, per facilitarne la produzione in serie e abbatterne i costi, i singoli moduli peseranno tra i 50 e i 200 kg e saranno a controllo individuale. Per completare il processo, l’energia solare raccolta sarà convertita in microonde e trasmessa sulla Terra attraverso un sistema wireless sotto forma di energia di bassa intensità di radio frequenza. Per il momento i finanziamenti stanziati dalla NASA serviranno per sottoporre il progetto SPS-ALPHA e valutarne la fattibilità e l’efficienza. In seguito, se la fase di verifica avrà un esito positivo, si potrà procedere con la costruzione di un prototipo in scala che ne dimostrerà l’effettivo funzionamento sul campo. Questo ‘fiore fotovoltaico’ potrebbe immettere nella rete elettrica migliaia di megawatt di energia pulita rivoluzionando il concetto, finora solo astratto, di fotovoltaico spaziale.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

LE CELLULE CHE CI RIPARERANNO I MIEI RENI NON FILTRANO PIÙ TANTO BENE? NESSUN PROBLEMA: FACCIO UN SALTO DAL MIO RIVENDITORE DI FIDUCIA E ME LI FACCIO CAMBIARE. FORSE STIAMO ESAGERANDO E A QUESTO PUNTO NON ARRIVEREMO MAI, EPPURE UNA COSA È CERTA: PER QUANTO RIGUARDA LA RICERCA SULLE STAMINALI MOLTO È STATO SCOPERTO, MA UN VERO E PROPRIO MONDO È ANCORA DA SCOPRIRE. DUNQUE, CHISSÀ…

Intervista ad Andrea Pavesi, Postdoctoral Associate al Singapore - MIT Alliance for Research and Technology (SMART).

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olitamente, quando nel nostro paese si parla di ricerca (specialmente quella sulle staminali) si parla anche di “fuga dei cervelli”, “mancanza di fondi” e di “poca considerazione”. Un vero delitto, visto che, come ci dice il giovane ricercatore Andrea Pavesi, ci sarebbe ancora tanto da scoprire se solo i finanziamenti fossero adeguati e se si superassero le tante resistenze che si avvertono nei riguardi delle applicazioni tecnologiche. In poche parole, se ci si credesse un po’ di più. A questo proposito un ottimo esempio viene dall’Oriente, e in particolare dallo SMART di Singapore (dove Pavesi lavora): un luogo nel quale esperti e ricercatori non hanno paura di cercare, di sperimentare e di uscire fuori dagli schemi delle metodologie mediche e biotecnologiche classiche. 36

Quali novità riserverà la medicina del futuro? La medicina è la scienza che si occupa soprattutto della prevenzione e della cura delle patologie. Sin dalle più antiche civiltà l’uomo ha cercato di allungare il più possibile la propria vita ricorrendo a diverse strategie. Quindi, possiamo prevedere che, con molta probabilità, anche in futuro l’obiettivo della medicina resterà lo stesso, ossia estendere al massimo la durata della nostra esistenza. Chissà, magari in futuro potremmo anche essere in grado di autoripararci, trovando il modo di sostituire o rigenerare parti del nostro corpo non più funzionanti. Potremmo avere il nostro “negozio di fiducia” per alcuni “pezzi di ricambio” su misura! Pensando invece a un futuro più contenuto e concreto, saremo a breve in grado di riconoscere in modo molto preco-


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ce diverse tipologie di forme tumorali e di intervenire in maniera mirata. Per alcune tipologie di tessuti, siamo già in grado di riparare e/o sostituire il “componente” danneggiato; riusciamo a ricreare pelle e ossa partendo da differenti cellule; purtroppo si avverte però ancora molta inerzia nell’applicazione di queste tecnologie alla clinica quotidiana. Per far sì che divengano più frequenti, bisognerebbe trovare il partner clinico giusto, che abbia voglia di sperimentare ed uscire dal guscio dei metodi di cura classici. Credo che la medicina del futuro sarà, o per lo meno me lo auguro, sempre più a portata di tutti e sempre meno funzione del medico luminare. Di cosa si occupa lo SMART di Singapore? SMART è l’acronimo di Singapore MIT Alliance for Research and Technology, è il piu importante centro di ricerca del MIT al di fuori degli Stati Uniti, che vuole imporsi come un importante canale di comunicazione con l’Asia. Il lavoro dello SMART si concentra su quattro macro aree, a loro volta divise in altri sottogruppi. Le macro aree sono: BioSystem and Micromechanics (BioSyM), dove lavoro io, il Center for Environmental Sensing and Modelling (CENSAM), l’Infectious Disease (ID) e la Future Urban Mobility (FM). Nello specifico, all’interno dell’area ByoSym ci concentriamo su tre diverse scale dimensionali (molecolare, cellulare e tissutale) per studiare i meccanismi che scatenano determinate patologie: ad esempio, cerchiamo di capire come un tumore si propaga all’interno dell’organismo oppure quali stimoli possono far trasformare una cellula staminale totipotente in una cellula con una funzione ben specifica, da utilizzare per creare il tessuto di interesse (questo, in particolare, è ciò di cui mi occupo io). Il tutto in modo direttamente trasferibile alla pratica clinica. Allo SMART si appoggia l’Innovation Center, che ha l’obiettivo di trasferire le idee vincenti e i prototipi funzionanti direttamente all’industria, per poter avere il prima possibile un vero e pro37


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

prio prodotto da utilizzare sul campo. Lo SMART, pertanto, ha il ruolo di trasferire la ricerca e i progetti dal laboratorio alle aziende in modo da evitare il classico ristagno nei laboratori di progetti validi. Quali contributi alla medicina del futuro possono venire dai progetti di ricerca attualmente in corso allo SMART di Singapore? Di sera, tra un caffè e l’altro ci si trova a fare due chiacchere tra colleghi in laboratorio e ci si scambia un po’ di idee; chiunque dovrebbe sentire con quale entusiasmo ed energia ci si raccontano le ultime news, cosa si pensa delle procedure messe in atto per un determinato esperimento o che risultati si sono trovati nella nottata precedente! E si riempiono pareti di simpatici scarabocchi! Tornando ai veri e propri contributi, mi vengono in mente alcuni esempi: a livello cellulare, si sviluppano alcuni dispositivi microfluidici (si tratta di cubettini di silicone trasparente, all’interno dei quali scorrono fluidi e cellule) in grado di replicare il meccanismo di innesco delle metastasi. L’obiettivo è trovare il modo più efficace per bloccare il fenomeno. In pratica si studia come la cellula tumorale vada ad infilarsi all’interno di un vaso e come si viene a creare pertanto un canale di comunicazione (e alimentazione) fra la massa tumorale e il sistema vascolare. Una volta afferrato l’innesco di questo fenomeno si potrà bloccare e circoscrivere la massa e rimuoverla riducendo il pericolo di metastasi. Altri sistemi vanno a replicare, sempre in vitro e alla microscala, alcuni organi come cuore, polmoni e fegato; si cerca di studiare il meccanismo per il quale le cellule pluripotenti (le staminali provenienti da origini diverse: ad esempio dal midollo, dal feto, dal tessuto adiposo) possano andare a sostituire le cellule danneggiate e ristabilire la funzione originale dell’organo. Oppure, si esamina come si vengono a formare alcune particolari patologie andando a cambiare le condizioni alle quali viene sottoposto il modello di organo ricreato nel microambiente. Alcuni strumenti molto interessanti permettono con una piccola quantità 38

di sangue di effettuare screening di patologie in modo rapido ed efficace. A livello molecolare invece, si cerca di ottimizzare alcuni processi di iterazione fra molecole per aumentare l’efficacia di alcuni farmaci e renderli il più specifici possibile. Oppure, in vivo, cioè su cavia, si cerca di capire come creare tecniche di riparazione dei tessuti riducendo il più possibile l’invasività dell’intervento. Quali sono gli sviluppi futuri previsti per l’ambito delle biotecnologie? Se dovessi esprimere il concetto con delle parole chiave potrei parlare di: early detection (ossia rilevare il prima possibile l’evento patologico); targeting and drug delivery (che significa creare una cura il più possibile mirata); generation and regeneration (partendo da cellule staminali del paziente stesso, si prova a riparare o sostituire il “pezzo” danneggiato); infine, uno studio costante sui meccanismi alla base dell’innesco di particolari fenomeni cellulari, ancora completamente sconosciuti. A che punto siamo, in generale, con la ricerca sulle staminali? Quanto resta ancora da scoprire? Ci sono diversi tipi di cellule staminali e ognuno di questi ha comportamenti diversi e “regole di utilizzo” differenti che a volte ostacolano la ricerca in questo settore. Per capire come una cellula staminale possa diventare una cellula di nostro interesse, dobbiamo andare a rilevare/misurare alcuni particolari indicatori, che ci dicono se la cellula è diventata o meno quel che speravamo dopo averla sottoposta a un particolare trattamento. A volte, però, questo non basta: il fatto che alcuni marcatori si siano attivati non significa sempre che la staminale sia completamente differenziata e che sia diventata esattamente uguale, per esempio, ad una cellula cardiaca. Quello che attualmente stiamo cercando di ottenere è trovare un modo accurato per essere certi di aver differenziato la cellula staminale in quel che vogliamo ed avere quindi un controllo totale dell’intero processo di differenziamento.

Pertanto, c’è molto ancora da scoprire ma ci sono anche tante cose già scoperte che è possibile mettere in atto! Ad esempio, per l’osso, possiamo già pensare di ripararne “un pezzo” partendo dalla staminale e differenziarla in modo accurato; il problema è facilitare l’ingresso di queste tecnologie nella pratica clinica che, come dicevo prima, ha molta inerzia al riguardo (parlo soprattutto per il paese Italia, negli Usa il processo appare lento ma non impossibile). Qual è l’applicazione più importante che si fa (o che si potrebbe fare) delle staminali? Per quanto riguarda un’applicazione che già si fa, cito la riparazione dell’osso: si usa una sorta di impalcatura (scaffold) dove le cellule possono crescere, percepire le condizioni dell’ambiente che le circonda e differenziarsi in osso. Tutto questo consente all’osso di ripararsi e guarire da determinate patologie, malformazioni e particolari fratture. A questo proposito mi viene in mente, inoltre, l’esempio della trachea impiantata in Spagna qualche tempo fa: attraverso un biorettore (ossia una macchina che emula le condizioni dell’organo di interesse) dopo aver seminato le cellule, si aspetta che queste si adattino all’ambiente e acquisiscano la particolare funzione richiesta per poi essere trapiantate nel paziente. Ancora, si prova a iniettare direttamente le cellule staminali nei cuori infartuati, sperando che queste si fermino sul tessuto danneggiato e che in qualche modo possano rimpiazzarlo e ripararlo. Per quanto riguarda, invece, le applicazioni che si potrebbero ancora fare, cito la generazione di tessuti o di interi organi completamente autologhi, ottenuti cioè dal prelievo di alcune cellule staminali direttamente dal nostro corpo adulto o conservate nel cordone ombelicale. Penso anche alla cura di alcune patologie che intaccano la vitalità degli organi, che potrebbero essere scoperte una volta capito il meccanismo di riparazione e interazione che si sviluppa all’interno del nostro corpo.


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Dalle ricerche emergono sempre nuove scoperte legate all’uso delle staminali: dalla cura della fibrosi cistica alla creazione di neuroni, dalla cura della calvizie a quella della cecità (per citarne solo alcune). Ma come contribuisce l’Italia allo sviluppo della ricerca sulle staminali? Se sono qui allo SMART è perché in Italia, oggi, in questo settore, non è facile lavorare a livelli competitivi. Mancano i fondi per i progetti e quando ci sono, non sono sufficienti per questo tipo di attività perché, in molti casi, chi si occupa di amministrarli non ha la minima idea di come funzionino in realtà le cose. Ci sono comunque alcuni centri privati che sopravvivono con fondi propri oppure con finanziamenti che provengono da fondazioni solitamente bancarie. Tutto questo, per un ricercatore, è frustrante! Può capitare di lavorare per qualche anno su una particolare tematica e scoprire che un tuo collega americano ma anche più vicino a noi, svizzero, tedesco o francese ha portato a termine il tuo stesso lavoro in breve tempo solo perché ha ricevuto i fondi per acquistare la macchina necessaria e ottenere quindi risultati migliori in un terzo del tempo. L’Italia, ad oggi, non ritiene che la ricerca sia qualcosa di utile su cui investire, in pochi capiscono l’importanza che la ricerca ha per l’economia di un paese. A parte le staminali, quali altri ambiti di ricerca medica vanno assolutamente valorizzati? Sottolineo gli argomenti citati in precedenza in merito allo sviluppo delle biotecnologie; sono questi gli ambiti che necessitano di essere più valorizzati ora in questo settore. Sicuramente, la medicina nel nostro paese ha bisogno di aria fresca; è necessario che chi dirige un determinato reparto non sia troppo conservatore e che abbia lo spirito e la voglia di provare, scoprire e avanzare. Quali saranno le parole chiave e i concetti che caratterizzeranno la medicina del futuro? Rigenerazione e generazione, mininvasività, early detection, specific drug delivery. z 39


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

VERSO L’UOMO BIONICO Intervista al Professor Mauro Giacca, Direttore dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB).

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LE NUOVE (rischiose) FRONTIERE DEL DOPING: UTILIZZARE IL DNA PER CREARE ATLETI PERFETTI CHE POSSANO AVERE FASCE MUSCOLARI POTENTI O AUMENTARE LA RESISTENZA.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

La WADA, l’organismo mondiale per la lotta al doping, ha iniziato da alcuni anni una ricerca di carattere sperimentale per trovare una soluzione a una pratica che solamente ai giochi olimpici di Atene del 2004 sembrava fantascienza. Il meccanismo, spiegato in parole molto povere, è abbastanza semplice: si va a inserire un gene aggiuntivo all’interno del patrimonio genetico dell’atleta,in modo da aumentarne le prestazioni. La pratica a livello illegale potrebbe aver già creato qualche cyborg anche se, al momento, non esistono prove. L’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) da alcuni anni ha iniziato a effettuare delle ricerche per capire e combattere questo fenomeno. Mauro Giacca, direttore della sede triestina dell’Istituto, fa insieme a noi 42

il punto sulla ricerca. Segnalandoci, accanto ai risvolti negativi della terapia genica, anche quelli positivi. Anzi, fantastici.

preoccupata che le tecnologie della terapia genica possano essere utilizzate non solo a fini medici, ma allo scopo di aumentare le prestazioni atletiche.

Professore, a che punto siamo? La possibilità di eseguire pratiche di doping genetico è la diretta conseguenza dell’enorme sviluppo che ha avuto la terapia genica negli ultimi dieci anni. Questa disciplina è basata su una serie di tecniche che utilizzano il DNA come un vero e proprio farmaco, e ha come obiettivo uno spettro molto ampio di patologie, dalle malattie ereditarie a quelle cardiovascolari. Esistono oggi metodiche basate sull’utilizzo di virus modificati che sono molto efficaci nel trasferire geni nel cuore e nei muscoli scheletrici, e si conoscono molti geni in grado di potenziare la funzione di questi organi. La WADA, quindi, è molto

Quella che sembrava fantascienza potrebbe essere la realtà: si parla di alcuni atleti, sottoposti a queste pratiche, che nelle scorse edizioni dei giochi hanno vinto medaglie importanti. Ma pratiche così complesse possono essere effettuate in modo “empirico” con risultati accettabili? Non sono a conoscenza di casi accertati di doping genetico, e mi sembra molto difficile che questo possa avvenire in tempi brevi. Attualmente, le tecniche che sarebbero necessarie sono limitate ai laboratori di ricerca avanzati, e quindi difficilmente raggiungibili da atleti individuali. Molto diverso


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zati, e quindi difficilmente raggiungibili da atleti individuali. Molto diverso è però il discorso di un sistema di doping genetico organizzato, in cui esistano delle strutture vere e proprie che si occupano dello sviluppo e dell’applicazione di queste tecnologie, ad esempio in Paesi al di fuori dell’Europa e degli Stati Uniti. È proprio questo che preoccupa di più la WADA. Può spiegarci in maniera semplice come si opera per trasferire il DNA all’interno di una fibra muscolare? La metodica più efficace in questo momento è quella di utilizzare le tecniche dell’ingegneria genetica per modificare dei piccoli virus, inserendo nel loro DNA un gene che abbia la funzione desiderata, e poi di iniettare questi virus modificati nel muscolo. I vettori più efficaci per questo tipo di applicazioni sono basati su un virus chiamato AAV, che non causa nessuna malattia. Tra i geni considerati per il doping vanno ricordati quelli che codificano per l’eritropoietina (che già si usa per il doping somministrata quale proteina), l’IGF-1 (un fattore di crescita del muscolo) e gli inibitori della miostatina, una proteina che normalmente blocca l’ipertrofia muscolare.

proteine, quindi, sono virtualmente identiche a quelle prodotte normalmente dall’organismo. Lo scopo della nostra ricerca è quello di superare questo problema cercando direttamente il DNA trasferito a livello del sangue, obiettivo però difficile, perché questo è presente in quantità molto ridotte. Si dice che il doping sia sempre avanti rispetto all’antidoping, è veramente così in questo campo? Penso che questa sia una delle fortunate situazioni in cui la ricerca del doping sia arrivata prima del doping stesso. Anche se non sembra semplice sviluppare del test anti-doping genetico di facile implementazione. Quali possono essere le ripercussioni per questo tipo di ricerca nella vita di tutti i giorni? La terapia genica rappresenta una delle più grandi speranze per la terapia di malattie oggi incurabili, tra cui molte malattie ereditarie e patologie importanti come il morbo di Parkinson, il morbo di Alzheimer o le malattie cardiovascolari. Già oggi ci sono diversi pazienti curati grazie al trasferimento genico, particolarmente nel campo delle malattie ereditarie, e molte altre

sperimentazioni cliniche stanno generando risultati molto promettenti. In un futuro non troppo lontano qualcuno potrebbe dire addio a cure complicate e difficili e sfruttare la genetica? Per ora la terapia genica viene sviluppata per offrire soluzioni terapeutiche a pazienti con malattie gravi, che non hanno altre opzioni di trattamento. La tecnologia, tuttavia, sta avanzando così rapidamente che non è da escludere, in un futuro vicino, di pensare alla terapia genica anche per molte altre condizioni patologiche. Prima che questo succeda, ovviamente, bisognerà valutare accuratamente anche i profili di sicurezza di queste applicazioni: è la prima volta nella storia della medicina che il DNA viene usato come un farmaco, e questo rappresenta una frontiera del tutto inesplorata, insospettabile fino a qualche decina di anni fa. z

Quando potremo avere dei test che consentano l’individuazione di queste pratiche? Il doping genetico è difficile da identificare, perché le proteine dopanti sono prodotte direttamente dal muscolo stesso, a partire dal DNA trasferito: queste

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

SE LE STAMINALI TI FAN BELLA PUÒ ANCHE NON PIACERCI, MA I NUMERI PARLANO CHIARO: LA CHIRURGIA ESTETICA, DAGLI ANNI OTTANTA A OGGI, HA MOLTIPLICATO PER SETTE I SUOI INVESTIMENTI. SECONDO I DATI AICPE (ASSOCIAZIONE ITALIANA DI CHIRURGIA PLASTICA ESTETICA), SOLO IN ITALIA, LO SCORSO ANNO, SONO STATE EFFETTUATE 11.300 MASTOPLASTICHE ADDITIVE, 10.300 LIPOSUZIONI, 8.121 BLEFAROPLASTICHE. INTERVENTI CHE, SE NON ALTRO, GRAZIE ALLE NUOVE TECNOLOGIE, AI MATERIALI E AGLI STRUMENTI, STANNO DIVENTANDO SEMPRE MENO INVASIVI E SI RISERVANO UN FUTURO BEN CHIARO: NELLE STAMINALI. Intervista al dott. Costantino Davide, specialista in chirurgia plastica

C’

è da un po' di tempo l'ossessione, nella donna e (perché no?) nell'uomo moderno, di possedere un corpo sempre più perfetto. Un corpo ideale che, per la donna, abbia le labbra di Angelina Jolie, sia tornita come Penelope Cruz, abbia il décolleté di Salma Hayek. Per un uomo, che assomigli a George Clooney, abbia la gradevolezza sbarazzina di Brad Pitt o l'intensità di Johnny Depp. Insomma la domanda di oggi è: riuscirà la chirurgia plastica a modificare i volti e i corpi a nostro piacimento più di quanto

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venga fatto ora? “Difficile prevedere interamente il futuro” ci spiega il dott. Costantino Davide, specialista in chirurgia plastica. “Sono stati fatti passi da gigante negli ultimi anni, basti pensare a come erano i primi interventi, per questo credo che le prospettive future siano molto ampie. Si sono modificate soprattutto le tecniche, i materiali e gli strumenti. Si fanno anche interventi sempre meno invasivi con cicatrici ridotte al minimo. La tecnica è in continua evoluzione”.


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LA CHIRURGIA PLASTICA, RICOSTRUTTIVA ED ESTETICA La chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica comprende numerose branche: - la chirurgia che cura le malformazioni congenite (labbro leporino, palatoschisi...); - la chirurgia estetica che migliora i difetti congeniti o acquisiti della fisionomia e del corpo (dal lifting del viso alla rinoplastica, dalla chirurgia estetica delle labbra al lifting del seno, all’addominoplastica); - la chirurgia ricostruttiva che si occupa di situazioni di tipo patologico, ad esempio post oncologiche o post traumatica a seguito di incidenti; - il trattamento delle ustioni.

Per esempio? Per alcuni trattamenti al viso, oltre ai fillers di acido jaluronico e al botulino vengono usate altre sostanze assolutamente biocompatibili e con un riassorbimento molto più lento come l’idrossiapatite di calcio. Tutti questi prodotti, utilizzando una tecnica chiamata soft restoration, vengono introdotti tramite una piccola cannula per modificare il volume del viso, risollevare gli zigomi, rimodellare il contorno delle labbra e riempire le guance. Sta avendo sempre maggior diffusione

anche il gel piastrinico. In che cosa consiste? Si esegue un prelievo di sangue che viene centrifugato e trattato in modo da ricavarne solo le piastrine che, poi attivate, vengono reintrodotte con un ago sottilissimo sul viso, sul collo, sulle mani. Non ci sono problemi di rigetto: è ovvio, infatti, che usando lo stesso sangue del paziente si verifica una biocompatibilità totale.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

UN PO’ DI STORIA Quando è nata la chirurgia plastica? Secondo molte fonti le origini si perdono nella notte dei tempi e andrebbero collocate in India. Nei Veda, un'antichissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei popoli arii che invasero intorno al XX secolo a.C. l'India settentrionale, vi sono riferimenti espliciti a tentativi di innesti cutanei per fini ricostruttivi. Era infatti pratica usuale l'amputazione del naso in seguito alla trasgressione di alcune leggi. In Egitto nel 1600 a.C. (Papiro di E.Smith) viene descritto un peeling per eliminare le rughe. Il Sushruta Samhita, documento del chirurgo indiano Sushruta (siamo tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C), è da considerarsi il primo vero trattato di chirurgia estetica. In esso, il medico descrive la ricostruzione dell'orecchio. In Grecia, nel Corpus Hippocraticum, Ippocrate fa riferimento a deformità e malformazioni del volto, citando tecniche ricostruttive derivanti proprio dall’India. Nell’antica Roma, poi, due dei più grandi medici del tempo, Celso e Galeno, si interessarono di ricostruzioni a fini estetici, tra cui correzioni del labbro, interventi alle orecchie e al naso. Nel Rinascimento apparvero due importanti figure della chirurgia plastica: i Branca e i Vaneo che seppero approfondire le tecniche chirurgiche più avanzate del tempo. Successivamente il bolognese Gaspare Tagliacozzi specificò la tecnica del lembo brachiale bipeduncolato per la ricostruzione del naso, tecnica chirurgica che è ancora oggi utilizzata. Nella storia moderna un notevole impulso, in particolare alla chirurgia ricostruttiva e maxillofacciale, venne purtroppo dato dalla Grande Guerra.

Affrontiamo anche il problema cellule staminali... Le cellule staminali sono il presente e saranno anche il futuro della chirurgia estetica. Adesso si utilizza il grasso che contiene le cellule staminali per modificare i seni sia nel caso di una ricostruzione in seguito a mastectomia per tumore alla mammella, sia per il rimodellamento del seno a fini estetici.Il trapianto di tessuto adiposo e cellule staminali permetterà di ridurre sempre di più l’uso delle protesi consentendo così al corpo di adattarsi in modo naturale alle nuove forme. Inoltre le cellule staminali contenute nel tessuto adiposo agiscono con effetti rigenerativi e curativi sui tessuti circostanti. Le cellule staminali sono già usate a livello cardiologico o in dermatologia.

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Non ci dovrebbe essere un limite etico? Un limite al di là del quale non andare comunque? Ho conseguito la specializzazione a Padova e poi ho fatto la post graduation di tre anni a Rio de Janeiro presso il grande maestro professor Pitanguy. Mi è stata insegnata la via più naturale possibile, la via della moderazione. Bisogna rispettare le proporzioni, le armonie, non stravolgere i lineamenti ma migliorarli. Un chirurgo deve possedere non solo la manualità ma anche il senso estetico. Diciamo che è importante considerare il corpo umano come un’opera d’arte che va salvaguardata e non deturpata.


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LE CELLULE STAMINALI, UNA VIA MIRACOLOSA Le cellule staminali sono delle particolari cellule che si trovano praticamente in ogni organismo multi-cellulare. Ciò che le rende “magiche” è una loro capacità unica: a differenza di altre cellule, infatti, sono in grado di riprodursi attraverso il processo di divisione mitotica, e soprattutto di potersi di fatto differenziare in cellule specializzate. Si pensi che le prime evidenze scientifiche a proposito delle staminali si ebbero solo negli anni ’60, grazie agli studi di ricercatori canadesi. Volendo descrivere le principali tipologie di staminali esistenti, le si può raggruppare in cellule staminali embrionali e cellule staminali adulte. Le differenze sono tutto sommato intuitive: mentre le prime sono disponibili solo fino alla nascita, ospitate principalmente nel cordone ombelicale, le seconde si trovano nei tessuti adulti. A queste due tipologie di staminali corrispondono anche diversi scopi: mentre le prime esistono per la creazione di cellule specializzate nello sviluppo della vita, le seconde svolgono il ruolo di organo riparatore per cellule particolari, ossia assumono la struttura delle cellule malate, riportandole a nuova vita.

Qual è la motivazione più forte che ci spinge dal chirurgo estetico? Soprattutto l'insicurezza. Una parte di noi che ci fa sentire sempre e comunque a disagio. Fino a poco tempo fa molte persone dovevano convivere con delle parti del loro corpo che non sopportavano, con un risvolto psicologico dalle dimensioni assai importanti. Ora con un intervento, una blefaroplastica, un riempimento delle rughe, ecco che la persona acquista sicurezza, ha maggiore autostima, e vede la propria vita migliorare giorno dopo giorno, anche nei rapporti con il prossimo. E questi interventi vengono richiesti da moltissime persone senza distinzione di sesso, di età, di gruppo sociale. Come detto, se basta anche un piccolo intervento per sentirsi meglio, ben venga. z 47


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA FILOSOFIA

IL SOCRATE DEL TERZO MILLENNIO? NON SARÀ UN

TECNOCRATE Intervista a Aldo Masullo

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schiavo della sua disciplina e dei tecnicismi che questa implica, in grado di spaziare con vari occhi nella realtà e nella società.

Socrate, XXI secolo. Colpisce, Masullo, per la capacità non comune di rendere attuali i grandi uomini del pensiero filosofico, come ha fatto lo scorso febbraio a Trento nel corso del convegno “Socratica III”. Dove, alla domanda su chi possa raccogliere ai nostri giorni il testimone del grande ideatore della maieutica, il quasi novantenne studioso ha risposto: «Il Socrate del terzo millennio è un economista non tecnocrate»: un economista, cioè, non

Non solo economisti. «Sono tante le figure - ha continuato Masullo - che, in un modo o in un altro, portano dentro di sé, più evidente o meno lo stigma socratico: cioè il bisogno di conoscere se stessi, così come ripeteva l’oracolo di Delfi. Una necessità essenziale per tutti gli uomini che Socrate ha sottolineato nella sua ricerca, trasmettendola a tutti». Ed è un messaggio che resiste nel tempo, né teme di essere svilito da nuove ideologie: «Socrate è attuale oggi e lo sarà sempre per la semplice ragione che non ha creato nessun sistema e nessuna ideologia, destinati a nascere, invecchiare e morire. In Socrate non c’è nulla che possa morire perché la sua figura è quella di uomo che ha innanzitutto insegnato qualcosa che sentiva dentro di sé». È un po’, questo, il modo che ha Masullo di intendere tutta la filosofia: non soffre il tempo, né necessita svecchiamenti. A chi gli chieda a cosa serva, oggi, l’antica disciplina di Erodoto e Pla-

i presentano come filosofo: “Abbiamo qui il filosofo Masullo”. E allora io li interrompo con cortesia e chiarisco: filosofo? Ma no, non lo sono. Sono filosofo perché mi sta a cuore la vita. E posso dire d’aver costruito il mio pensiero soprattutto con l’obiettivo di imparare ad assaporarla, a morderla come si fa con un frutto succoso». Eccolo, il biglietto da visita di Aldo Masullo, classe 1923, avellinese di nascita, torinese per la prima educazione, al meridione tornato ancora ragazzo per completarvi la formazione superiore e scoprire la vocazione agli studi filosofici.

tone, risponde che è necessario intendersi sul senso della parola. «Trovo che la filosofia non abbia bisogno di essere attualizzata. Si mantiene serenamente viva da sola. Piuttosto, conta che la filosofia sia interpretata nel modo giusto. Io la vedo soprattutto come una strategia educativa. Una vera e propria ginnastica, un modo di esistere necessario perché il mondo si umanizzi definitivamente, perché prosegua nella marcia di liberazione di sé». Una certa idea di mondo. E come interpretare l’impegno politico di Masullo? Un uomo che è stato prima al fianco degli studenti nelle contestazioni del ‘68, poi deputato e senatore particolarmente sensibile ai temi dell’istruzione e della comunicazione, ora un personaggio molto attivo a Napoli, la città che lo ha accolto fra i suoi cittadini più illustri e ascoltati. «Mi sono sempre fatto vivo, al tavolo della politica, con questo stesso scopo. Umanizzare. E umanizzare per me vuol dire liberare. È questa la mia idea del mondo». Un mondo capace di guardare al futuro, filosofeggiando giusto un po’... z

FILOSOFIA PER BAMBINI L’appuntamento è tutti gli anni a metà febbraio alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino: è la Settimana delle Favole Filosofiche, manifestazione organizzata dalla Fondazione TRG onlus e Teatro Stabile

d’Innovazione. Si tratta di una serie di iniziative artistiche, didattiche e divulgative ideate dagli attori e autori Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci. I temi al centro dell’evento sono l’identità

e il tempo e si affrontano attraverso il gioco, lo scherzo, lo humour e la riflessione non solo in scena, ma anche con laboratori, stages e incontri. www.casateatroragazzi.it/

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA FILOSOFIA

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EREMITI AL TEMPO DI TWITTER

ISOLARSI DAL CONSESSO CIVILE, SEGUIRE UN PROPRIO CAMMINO DI SPIRITUALITÀ, SOTTRARSI AGLI AFFANNI DEL MONDO PER RISCOPRIRE DIO: COSE D’ALTRI TEMPI O UNA SCELTA PER IL FUTURO? LO ABBIAMO CHIESTO A CHI EREMITA LO È DIVENTATO DAVVERO.

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remita. Parola che evoca un tempo lontano e, attraverso il fitto di boschi fin sulla cima dei monti, dentro nicchie scavate nella roccia ci conduce a un venerabile anziano, barba lunga, pochi stracci sul corpo magro, intento a raccogliere erbe selvatiche o a meditare in assoluto silenzio, dove i cinguettii appartengono solo agli uccelli e Twitter, semplicemente, non esiste. Ma c’è di che sorprendersi. Nell’immaginario collettivo l’eremita, “monaco” (da monos, uno) per eccellenza, è una figura medievale al pari dei cavalieri delle crociate o delle donne ritenute streghe. Pochi sanno che su tutto il territorio italiano vivono oggi, nel 2012, oltre trecento eremiti: uomini e donne che hanno scelto di seguire un proprio cammino di spiritualità, di sottrarsi agli affanni del mondo per riscoprire Dio. Ognuno di essi forgia una propria “regola” che deve essere approvata dal vescovo, un percorso personale a tal punto che non è assurdo pensare che esistano tante forme di vita eremitica

quanti sono gli eremiti stessi. E così c’è chi ha scelto di vivere in un eremo, isolato dal consesso civile e tuttavia aperto all’accoglienza di chiunque vada a cercarlo per chiedergli conforto, essere ascoltato, o imparare da lui l’ascolto di sé. Così è per don Paolo, che vive tra le colline di Mosciano nell’Appennino toscano e non si stupisce che siano in tanti a inerpicarsi per venire a conoscerlo e condividere, per qualche giorno, la sua semplice vita. «Le persone sanno che io ho tempo da dedicare loro perché, non avendo nessuno, posso darmi a tutti» dice. Ringrazia dei tanti doni che gli portano, e li dona a sua volta ai visitatori bisognosi. Il rispetto per la natura è fondamentale per un eremita, e in particolar modo per chi ha scelto di essere pienamente anacoreta, lontano dal mondo, come don Mauro. Da anni vive in Valdinievole (provincia di Lucca) in completo isolamento, producendo da sé con un paio di piccoli pannelli fotovoltaici quel po’ di elettricità necessaria a far funzionare il filtro per l’acqua che attinge

al vicino ruscello e ricaricare di tanto in tanto un telefono cellulare. Ogni anno dopo la Pasqua intraprende un pellegrinaggio di quaranta giorni: è l’unica occasione in cui abbandona l’eremo e si reca, letteralmente, dove lo porta lo spirito, dormendo presso conventi e parrocchie trovati sul cammino. Ma non tutti hanno bisogno di andare lontano per sentirsi più vicini a Dio. C’è chi ha costruito un eremo nella città, e accanto a negozi e a uffici “si fa abitare dal silenzio”. Come Antonella, laureata in Filosofia, studiosa di greco ed ebraico, che affianca al lavoro nella Biblioteca Nazionale di Firenze una dimensione di “eremitismo urbano” nella stessa città. «Ho vissuto in eremi e in monasteri, ma lo spirito mi chiedeva di restare in città; nella solitudine della mia casa mi porto tutto il peso della giornata, finché sento sgorgare la voce interiore. Il mio silenzio è la pustinìa, termine russo che indica il deserto senza istituzioni, stare nel mondo senza appartenervi». Persone normali, che hanno seguito un’intima esigenza. E che hanno molti dubbi, come tutti. «Ogni tanto penso che la mia vita non serva a niente» dice Don Mauro. «Poi guardo con gli occhi dello Spirito, e le cose cambiano: un eremita richiama la società al primato di Dio nell’esistenza, a cercare quell’incontro personale con il divino cui ognuno di noi è chiamato». z

PER SAPERNE DI PIÙ ! Isacco Turina I nuovi eremiti Medusa 2007 ! Cristina Saviozzi Come gufi nella notte Storie di eremiti del nostro tempo Edizioni San Paolo 2010 ! Espedita Fisher Eremiti Castelvecchi 2011

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ASTROFISICA

MA GLI ASTRI, STANNO A GUARDARE?

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CONOSCIAMO SOLO IL 5% DEL NOSTRO UNIVERSO. E CIÒ CHE SAPPIAMO LO DOBBIAMO PER UNA BUONA PARTE AI RICERCATORI ITALIANI. NON PER NIENTE, NEL CAMPO DELL’ASTROFISICA, IL NOME DELL’ITALIA È SPESSO ASSOCIATO A QUELLO DI ECCELLENZA. E PER QUANTO RIGUARDA IL FUTURO? NELLE MANI DEI GIOVANI STUDIOSI ITALIANI CHE, NONOSTANTE LE MILLE DIFFICOLTÀ CUI VA INCONTRO LA RICERCA IN QUESTI ANNI NEL NOSTRO PAESE, HANNO DECISO DI RIMANERE, CONTINUANDO IMPERTERRITI A CREDERCI E A RICERCARE.

Il Prof. Giovanni Bignami è ordinario di Astronomia e Astrofisica allo IUSS di Pavia. È Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e astrofisico tra i più noti a livello planetario. Tra i suoi numerosissimi titoli, vanta la presidenza di vari centri di ricerca spaziali tra i quali l’Agenzia Spaziale Italiana e quella Europea. Autore di molteplici articoli scientifici, di cui ben 16 pubblicati su Nature, è Membro dell’Accademia dei Lincei. Al Prof. Bignami si deve la scoperta di una nuova stella di neutroni: “Geminga”.

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lencare tutti i passi avanti che sono stati compiuti nel campo dell’astrofisica è davvero impossibile. E se tanti progressi sono stati fatti lo dobbiamo anche agli studiosi italiani che hanno fatto sì che (almeno) nel campo dell’astrofisica il nome dell’Italia sia spesso associato al concetto di “eccellenza”. Lo sanno bene i più di 1400 ricercatori e scienziati dell’INAF, l’Istituto Nazionale di Astrofisica, che collaborano attivamente a progetti “stellari” di grande spessore. L’INAF, che è il principale Ente di Ricerca italiano per lo studio dell’Universo, promuove, realizza e coordina a livello nazionale e internazionale le attività di ricerca nei campi dell’Astronomia e dell’Astrofisica. Si occupa inoltre dello sviluppo di tecnologie innovative e strumentazione d’avanguardia per lo studio e l’esplorazione del Cosmo e favorisce la diffusione della cultura scientifica grazie a progetti di didattica e divulgazione che si rivolgono alla scuola e alla società. Chi meglio quindi di Giovanni Bignami, presidente dell’INAF dall’agosto del 2011, poteva aiutarci a capire lo stato delle cose e del futuro dell’astrofisica?

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ASTROFISICA

Parlando di astrofisica, secondo lei quali sono state le scoperte più significative del settore? L'elenco è lungo. Partiamo dal Nobel 2011, assegnato agli studiosi che hanno dimostrato che l'universo si sta espandendo a un ritmo sempre più accelerato. Pensiamo anche ai raggi gamma ray burst, emissioni di alta energia dovute all'annichilimento tra materia e antimateria, che fino a qualche tempo fa rappresentavano uno dei più grandi misteri dell’astrofisica moderna ma che oggi sono un potente mezzo per misurare le distanze nell'Universo lontano. Cito anche l'astronomia a raggi x che ha permesso lo studio dei buchi neri, la cui forza di attrazione è tale da impedire ai fotoni (cioè alla luce) di sfuggirgli. Le ricerche di un grande scienziato scomparso di recente, Franco Pacini, hanno portato a un’importante novità nel campo della radioastronomia, ossia hanno permesso di individuare un corpo celeste fino a pochi anni fa sconosciuto, la pulsar, particolare esempio di stella di neutroni. Altra scoperta significativa è la mappatura dell'universo fatta a microonde, grazie al satellite dell'ESA Planck, che ci ha mostrato l'universo a soli 370 mila anni dal big bang (ad oggi ne sono passati 13.7 miliardi di anni), nel momento in cui l'universo iniziava a schiarirsi. È il momento più vicino al big bang mai raggiunto dalla ricerca astrofisica. E, infine, come non citare l'evidenza dell'esistenza di pianeti extrasolari! Se ne teorizzava l’esistenza sin dai tempi di Giordano Bruno, ma solo quattro secoli dopo se ne è avuta la prova con la scoperta di 51 Pegasi b, il primo pianeta scoperto in orbita attorno a una stella diversa dal nostro Sole. È possibile immaginare che esistano universi paralleli e pensare che oltre all'universo stesso ci sia qualcosa? L'ipotesi del “multiverso”, che contempla l’esistenza di più universi paralleli, seppur recente (risale circa alla metà del secolo scorso), ha avuto una sua evoluzione teorica importante. Preferisco mantenere una posizione “neutra” al riguardo: conosciamo del nostro universo appena il 5 per cento (il resto è materia oscura ed energia oscura), è troppo po54


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tellite della NASA Kepler. L’obiettivo di questo proLe stelle non getto non è solo rilevare ci guardano, pianeti extra solari ma anLe stelle stanno a guardare o possono influenma bisogna ricordare che analizzarne la composizione per capire se effetzare le nostre vite? che dobbiamo la tivamente possono esservi Non stanno neanche a nostra esistenza alla forme di vita o risultare guardare. Però, se da un lato le stelle non possono nostra stella, il sole. abitabili per l'uomo, in quel lontano futuro nel influenzare le nostre vite, quale la nostra specie avrà dall’altro bisogna ricordaraggiunto una tecnologia tare che noi dobbiamo la nole che le permetterà di superare i confini stra esistenza alla “nostra” stella, il Sole. del nostro sistema solare e avvicinare le La quiete del nostro sole può trarre in instelle più vicine. ganno perché la vita delle stelle è solitaMa i progetti sono anche tecnologia: in mente piuttosto turbolenta. Il nostro soItalia le ottiche adattive, che permettono le ha quattro miliardi di anni e per altri cinai nostri telescopi a terra di “vedere” coque non ci abbandonerà. me se fossero nello spazio, sono novità tecnologiche di cui andare fieri. A che punto sono gli studi per determinare la materia oscura delCosa riserva il futuro alla ricerca l’universo? È una delle grandi sfide che abbiamo di astrofisica in Italia? Il nostro Paese è tra i primi al mondo per fronte. Per effetto della lente gravitaziola sua eccellenza scientifica nel campo nale abbiamo evidenza che la massa predell'astronomia e dell'astrofisica. Dalla sente è notevolmente superiore a quella che vediamo. Ma da qui a capire cosa sia, radioastronomia allo studio delle alte energie dell'universo, e ora anche nella c'è ancora molto cammino da fare! caccia agli esopianeti, piuttosto che nelUn aiuto può venire da un grande progetto la cui realizzazione partirà a breve: lo studio del sole e tanto altro ancora. lo SKA, Square Kilometer Array, la più Pubblicazioni, premi e riconoscimenti testimoniano che l’Italia contribuisce pagrande rete di radiotelescopi mai concepita e realizzata, che ci aiuterà, ne sono recchio e ci spingono a fare ancora molcerto, a risolvere alcuni degli enigmi che to. Sono quindi ottimista su quello che il futuro ci riserverà. ci riserva l'universo. co per avventurarsi in altri universi!

che, però, è necessario dare loro le basi vere per fare ricerca. Come e dove troveremo queste basi? Nella ricerca astronomica e nell'astrofisica vi sono molti giovani eccellenti, che hanno già ricevuto prestigiosi riconoscimenti. La maggior parte di loro ha preferito una precarizzazione in Italia piuttosto che la sicurezza all'estero, perché vuole bene al suo Paese. E la base per il futuro della ricerca italiana sta proprio in questo: nel far sì che non si debba scegliere tra la precarizzazione o la sicurezza, ma che prevalga la consapevolezza di poter fare al meglio il proprio lavoro in un ambiente di eccellenza scientifica come è giusto che sia.

Quali sono le parole chiave e i concetti che caratterizzeranno il futuro dell’astrofisica? Da una parte ci sono i grandi enigmi come il big bang, la materia e l'energia oscura, l'origine della vita, la fisica dell'universo; dall'altra parte ci sono concetti come crescita, investimento sul futuro, formazione, giovani. Tutte queste Higgs! parole si legano tra Per provare a loro, le prime senspiegare il boza le seconde sone di Higgs ponon hanno tremmo partire dal futuro. z “porridge” (un esempio In suo articolo pubblicato qualche Tra i tanti progetti di cui si sta occuutilizzato anche dall’omosettimana fa su Che Futuro ha scritto pando l'INAF ce ne cita un paio? nimo scienziato irlandese al Ce ne sono diversi: il progetto SKA, ad della notevole volontà dei giovani riquale si deve la scoperta) assimicercatori italiani, che fa ben speraesempio, vede in prima fila il nostro istilabile, per consistenza, alla nostra tuto. Inoltre, siamo uno dei paesi più re nel futuro della ricerca mapolenta. Al suo interno le particelle si de in Italy. Nell'articolo coinvolti nell'ESO, l'organizzazione intermuovono, formano dei grumi e acquiammette angovernativa europea di scienza e tecnostano massa. Ciò che fa formare i grumi è il logia preminente in astronomia. Non che bosone di Higgs. La sua scoperta (ai primi di luposso glio) rappresenta il tassello che restava da individuan o n re per dare un senso a quel “modello standard” che la ficitare il sica moderna ha dato alla struttura intima della materia. Una scoTelescoperta i cui metodi e le tecnologie sperimentate avranno applicazioni anche in pio Naaltri ambiti. Pensiamo al ruolo dei magneti superconduttori, sviluppati dalle industrie italiane, nel zionale settore medico. O al Grid, il potentissimo sistema di calcolo utilizzato per questi esperimenGalileo delle ti, che tra meno di 10 anni invaderà le nostre case sostituendo il Web. Più direttamente Canarie che è si tratta di una scoperta determinante per studiare l’Universo. Già ora il valore di stato dotato di massa trovato per questo bosone ci può portare a pensare che non è detto un “cacciatore” di che l’Universo sia stabile, ma potrebbe essere meta-stabile, ovvero esopianeti che lavoche un bel giorno potrebbe ripiegarsi su se stesso e ritornarerà in sinergia con il sare nel vuoto dal quale è arrivato, 13,67 miliardi di anni fa. 55


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MATEMATICA

QUANTE BELLE COSE NEL CIELO DELLA MATEMATICA DI NUMERI PRIMI, ELLISSI E PARABOLE, PITAGORA ED EUCLIDE PROBABILMENTE CONTINUEREMO A SENTIR PARLARE PER MOLTO TEMPO. SOPRATTUTTO PERCHÉ NON SI TRATTA SOLO DI TEOREMI O FORMULE ASTRATTE, MA CONCETTI MOLTO CONCRETI E PRATICI CHE STANNO ALLA BASE DI NUMEROSE ESPRESSIONI DELLA NOSTRA VITA. DALLA LETTERATURA ALLA MUSICA, DALL’ARCHITETTURA ALL’ARTE, PASSANDO PER LA BIOLOGIA, LA TECNOLOGIA E ANCHE, PERCHÈ NO, DALL’IRONIA. LA MATEMATICA CI CIRCONDA. MA ANCHE LA MATEMATICA HA UN FUTURO?

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giusta soluzione alle diverse situazioni sgradevoli che affliggono la società odierna. E dato che probabilmente ci toccherà studiarla per sempre, prepariamoci a conoscere i concetti e i teoremi che sopravvivranno ai tempi, assieme a chi di matematica ne mastica, Piergiorgio Odifreddi. Intervista a Piergiorgio Odifreddi, matematico, logico e saggista.

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uale diplomato al liceo scientifico (ma non solo) non ha continuato a sognare per anni la prova di matematica del proprio esame di maturità? In linea di massima, fatta ovviamente eccezione per le menti particolarmente portate per l’argomento, la matematica fa paura a tutti perché appare come qualcosa di inspiegabile, astratta, complicata e difficile da capire. Eppure, aprendo meglio la mente e scavando un po’ più in profondità, ci accorgeremmo che nulla è più vicino a noi della matematica. La matematica è ovunque: nell’arte, nella musica, nell’economia, nella tecnologia, in poche parole nella quotidianità. La matematica c’è sempre stata e sempre ci sarà e probabilmente, se la si conoscesse meglio, si eviterebbero tanti errori e magari si troverebbe la

Quali teorie, teoremi, concetti salveremo per sempre, ossia saranno sempre presenti nei libri di testo per scuole e università? Bohr diceva: “Fare previsioni è sempre difficile, soprattutto sul futuro!”. Però possiamo immaginare che i teoremi classici dell’antichità, che ancora oggi dopo 2000 - 2500 anni continuano a essere centrali nello studio della matematica, rimarranno. Penso ad alcuni teoremi fondamentali che rappresentano l’alfabeto della matematica: quello di Pitagora, alcuni teoremi di Euclide sulla decomposizione dei numeri in fattori primi, alcuni teoremi di Archimede sul rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio. Per quanto riguarda invece i teoremi moderni è più difficile fare previsioni. Anche nella matematica, infatti, esistono le “mode”: per esempio, nell’800 andava molto di moda la geometria proiettiva, che oggi è ancora fondamentale ma nessuno direbbe che è la parte più importante della matematica. Anche Newton ed Eulero hanno trattato temi importanti ma per essere un

grande matematico non basta dimostrare un teorema, bisogna anche comprendere quali di questi teoremi sono importanti. Nel loro caso sarebbe interessante capire se sono dei grandi perché hanno fatto quei teoremi oppure se proprio perché hanno fatto quei teoremi allora sono diventati dei grandi! Un tempo studiavamo la matematica con l’aiuto di strumenti come il pallottoliere e poi con la calcolatrice. In futuro ci aiuteremo con…? Domanda ottimista, che presuppone che si continuerà a studiare la matematica! Ormai ci sono i computer e tante altre diavolerie elettroniche che tendono a trascurare le abilità di calcolo che c’erano una volta. Oggi si tende a fare troppo affidamento a calcolatrici e calcolatori, difficilmente la gente fa dei calcoli persino quando si tratta di numeri molto piccoli e, come nello sport, se manca l’allenamento si rischia di perdere le gare! Ma il computer ha cambiato parecchio il modo di fare matematica, non solo nell’abilità di fare i calcoli, ma anche nel permettere di visualizzare cose che fino a poco tempo fa non potevamo visualizzare. Faccio l’esempio dei frattali, che prima dell’avvento dei computer venivano studiati solo in teoria, ma non potevano essere visualizzati. La tecnologia comporta quindi vantaggi e svantaggi, come tutte le cose! 57


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MATEMATICA

In dieci parole una definizione di logica matematica. La logica è lo studio del ragionamento, la logica matematica è lo studio matematico del ragionamento. L’aggettivo “matematico” può essere messo in diverse posizioni: vicino a “studio”, vicino a “ragionamento” o, ancora, vicino a entrambe (“studio matematico del ragionamento matematico”). Non si studia solo il ragionamento in astratto, come facevano Aristotele e gli Scolastici; oggi, dall’800 e da Boole in particolare, lo si fa in modo matematico e, nello specifico, non si studia il ragionamento astratto che, ad esempio, possano usare gli avvocati o i politici nei loro discorsi, ma il ragionamento matematico, cioè la forma più astratta di questo ragionamento. Dunque, la logica è lo studio del ragionamento e la logica matematica è lo studio matematico del ragionamento matematico. Penna, pennello e bacchetta: più che le tre invidie del matematico, sono gli ambiti nei quali la matematica ha un ruolo portante? A livello intuitivo, nessuno crederebbe che la matematica possa avere un ruolo nella letteratura, nella pittura e nella musica. Invece, scavando, ci si accorge che, ad esempio, già dai tempi antichi la musica è fortemente connessa alla matematica. Pitagora addirittura riuscì a esprimere in frazioni le note musicali; in frazioni non astratte ma in frazioni “di corda”: quando pizzichi una corda della chitarra, questa emette una nota, se dividi la corda a metà, questa emette una nota che risulta un’ottava superiore alla nota precedente. Pitagora si accorse, quindi, che i rapporti numerici permettono di descrivere i rapporti armonici, inaugurando così una lunga serie di connessioni tra matematica e musica. Tra i moderni, il compositore Pierre Boulez è laureato in matematica e lo stesso vale per Philip Glass, del quale abbiamo apprezzato numerose colonne sonore per film. Passiamo alla pittura. Abbiamo accennato alla geometria proiettiva, che non è altro che la forma matematica della prospettiva e la prospettiva è una tecni58

ca pittorica usata già a partire del ‘400. Per la letteratura, forse, il rapporto è più complesso, però ci sono matematici che hanno preso il premio Nobel per la letteratura, l’ultimo è stato John Maxwell Coetzee. La matematica entra dentro la letteratura quando le opere sono costruite in modo matematico, strutturato, forse anche un po’ cervellotico. Ne è un esempio Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino, un romanzo scritto in maniera complessa, per spiegare il quale l’autore ha addirittura fatto ricorso a una quarantina di quadrati semiotici! Sorpassando Euclide, verso altre vie di fuga, quali potrebbero essere in futuro le nuove conquiste della matematica? La matematica certamente sta cambiando. Fino a cinquanta anni fa circa, era dominata, dal punto di vista pratico, dalle applicazioni fisiche e da problematiche come la meccanica e il moto dei corpi (dalle auto alle navicelle spaziali). Oggi si sta andando in due direzioni molto diverse che immagino saranno centrali e innovative ancora per molti decenni: l’informatica e la biologia. A proposito della biologia, c’è una spiegazione matematica anche per lo studio del DNA, di queste strane forme a doppia elica che si avvolgono su se stesse in modo molto complicato. Se noi prendiamo una corda composta da due filamenti e cerchiamo di separarli, la corda si annoda e i due filamenti non si dividono così facilmente. Esiste però una teoria matematica, la teoria dei modi, che spiega come faccia il DNA (che è l’analogo di una corda di 100 km compressa nello spazio di un pallone da calcio) a dividersi in due parti senza fare pasticci. Lei ha affermato che i matematici trovano più cose nel cielo della matematica, di quanto si sognino in terra i filosofi. Ma molti filosofi sono stati anche matematici, è corretto? Tra la fine del ‘800 e i primi del ‘900 si è divisa la matematica dalla filosofia. Prima di allora c’erano tantissimi matematici che erano anche filosofi, come Liebniz e Cartesio. Oggi ce ne sono me-

no: c’è ad esempio Kripke, un filosofo analitico che ha dato contributi importanti soprattutto alla logica. Quando a Talete chiesero se fosse nato prima il giorno o la notte, lui rispose: “La notte. Il giorno prima”. Come si lega la matematica all’umorismo? Credo che il legame esista. Un mio amico della Normale di Pisa, Gabriele Lolli, ha scritto un libro proprio sul rapporto tra matematica e umorismo, dal titolo Il riso di Talete. Si riferiva all’episodio in cui Talete, camminando con la testa rivolta all’insù verso le stelle, è finito in un pozzo e, per uscire, aveva avuto bisogno della sua signora di servizio. Le battute sono dei modi di parlare che giocano su significati plurimi del linguaggio. Anche la matematica è fatta così: i sistemi matematici sono utili perché, essendo astratti, possono essere applicati a campi completamente diversi da quelli per i quali sono stati inventati. L’universalità dei sistemi matematici deriva proprio da questa “ambiguità” (che noi matematici preferiamo definire “indeterminatezza”: non essendo completamente determinati, i sistemi matematici possono essere interpretati in tanti modi). Magari l’umorismo è più divertente ma anche la matematica lo è per coloro che la capiscono! Continuiamo con l’umorismo e una barzelletta. “In un hotel si trovano, un ingegnere, un chimico ed un matematico. All’improvviso, a ogni piano si avverte qualcosa bruciare. L’ingegnere al primo piano esce dalla sua stanza e vede che una sigaretta in una ceneriera è la causa. La spegne e va a dormire. Al secondo piano il chimico capisce che per spegnere il fuoco ci vuole l’acqua, spegne la sigaretta e va a dormire. Il matematico si alza, capisce che ha la soluzione e torna a dormire”. La domanda è: cosa in concreto potranno fare ancora i matematici per il futuro e la sostenibilità del nostro Pianeta? È vero, il matematico ha l’atteggiamento di chi è interessato a trovare le soluzioni in astratto, ma poi queste so-


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luzioni in astratto possono essere applicate in concreto. L’esempio più tipico che si fa in questo caso è quello delle sezioni coniche (parabola, ellissi, ecc) studiate da Apollonio, che inizialmente sembravano soltanto delle curiosità matematiche. Poi, però, si è scoperto che proprio le sezioni coniche, considerate dei divertimenti matematici, avevano delle applicazioni: Galileo, ad esempio, ha scoperto che i proiettili (o anche un pallone quando viene tirato) viaggiano lungo traiettorie paraboliche, Keplero scoprì invece che i pianeti, quando girano intorno al sole, hanno delle orbite che non sono circolari bensì ellittiche. Ci sono voluti quasi 2000 anni prima che le sezioni coniche fossero applicate in qualcosa di utile. La matematica è così: un concetto, per essere ritenuto matematicamente importante, non è detto che debba avere un’immediata applicazione. Questo atteggiamento è tipico anche della tecnologia: spesso le cose create per un determinato motivo sono poi usate anche per altro. L’uso primario del telefonino, per fare un esempio, è quello di fare telefonate, ma oggi si usa anche per tutt’altro. Psicostoriografia e Seldon-Asimov: per prevedere l’evoluzione della società o accelerare un po’ questo periodo storico, la matematica potrebbe darci una mano? Assolutamente! Anzi, magari non fa piacere dirlo ma, in parte, anche la matematica è causa di alcuni problemi recenti: si pensi che oggi si gioca in borsa anche tramite programmi

informatici e non solo ricorrendo alle intuizioni dei brokers. Sono stati dati diversi premi Nobel a persone che avevano condotto studi matematici di economia. L’economia è stata a lungo un campo filosofico in cui ognuno aveva una sua opinione; oggi non basta solo avere un’opinione, ma anche dimostrarla in modo preciso e matematico. Credo quindi che quando i problemi diventano complessi, pensare di risolverli solo in maniera intuitiva è un’illusione. Certo, per far quadrare il bilancio giornaliero in casa si può anche andare a intuito, ma se devi far quadrare il bilancio di una nazione devi fare dei calcoli. La logica ci aiuterà o ci distruggerà? Nel nostro mondo la logica è sempre un po’ in difetto: però, senza logica il mondo diventa un caos. Come esistono due emisferi (uno più intuitivo e l’altro più razionale) nel cervello degli uomini, così ci sono alcune persone più illogiche, antirazionali e alle quali la ragione dà fastidio, e altre che sono invece l’esatto contrario e che, secondo me, sono quelle che fanno andare avanti il mondo. Le cose non avvengono per caso ma avvengono perché qualcuno le ha pensate usando in un senso più o meno letterale la logica.

In realtà i paradossi spesso si risolvono soprattutto quando dietro ci sono questioni tecniche, a differenza di quanto accade con i paradossi connaturati alla natura che non possono essere risolti. Ma se tutto fosse razionale e risolubile la vita sarebbe anche un po’ noiosa, no? Che esistano delle aree in cui le questioni restano aperte non mi dispiace affatto. Quali concetti e parole chiave domineranno la matematica del futuro? Credo che i concetti classici ci saranno sempre: le figure geometriche, le forme, i poliedri, i poligoni. Nel campo dei numeri avremo sempre i numeri primi, i numeri razionali e quelli irrazionali, i numeri complessi. Poi ci sono anche tanti altri concetti moderni che però dovranno dimostrare di sopravvivere in questa “lotta per la sopravvivenza”. z

Forse ora viviamo in un paradosso. Il tempo lo risolverà? Questo è un po’ quello che Shakespeare faceva dire ad Amleto, ma in quel caso il tempo non ha risolto!

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DEL GIORNALISMO

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GIORNALISMO? UNA QUESTIONE DI

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GRAZIE A INTERNET E AI SOCIAL NETWORK, CONTENUTI E IDEE CIRCOLANO IN LIBERTÀ. ALCUNI PENSANO ANCHE DI POTER ESSERE GIORNALISTI DI SE STESSI, ALTRI RISCHIANO DI FAR COINCIDERE I CONFINI DELLA MENTE CON QUELLI DEL MONDO. E I CRONISTI DI PROFESSIONE? NON DOVREBBERO MAI DIMENTICARE CHE PRIMA DI UN MONITOR, CI SONO SEMPRE LE PERSONE IN CARNE E OSSA E CHE UN RITORNO ALLE ORIGINI, CON LA CRONACA E I REPORT DI VITA VERA, NON POTREBBE CHE FAR BENE. PER EVITARE CHE IL GIORNALISMO DIVENTI UN UFFICIO STUDI INCARICATO SOLO DI PRODURRE DOSSIER LUNGHI E DETTAGLIATI.

Intervista ad Aldo Cazzullo, inviato ed editorialista del Corriere della Sera.

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na volta c’erano i garzoni che per pochi spiccioli distribuivano i giornali ai passanti strillando a gran voce le ultime notizie, oggi siamo invece abituati a “sfogliare” gli articoli che più ci interessano su tablet e telefoni cellulari, in qualunque momento della giornata. È cambiata, quindi, radicalmente la nostra fruizione dei fatti, dei racconti, delle cronache. E a questo cambiamento si accompagnano anche delle evidenti novità nel modo di fare giornalismo. I giornali, ormai, non bastano più: ci sono i magazine online, i blog, i commenti e, ovviamente, gli immancabili Facebook e Twitter, ritenuti patria della libertà d’espressione e per questo frequentati da chiunque abbia voglia di comunicare e divulgare un’idea. Il giornalista è ovunque, frequenta ogni piazza mediatica, ma c’è anche chi, a fronte di questa “multi presenza”, invita a non perdere mai di vista la realtà. E a parlare con le persone, a vivere le storie per poterle poi documentare, a mantenere saldo il contatto con la verità. Assieme ad Aldo Cazzullo, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, cerchiamo di scoprire cosa ci riserverà il giornalismo del futuro. La fruizione del giornalismo è cambiata. La tecnologia ha cambiato in

parte le modalità di lavoro del giornalismo. Ma come dovrà operare il giornalista del futuro? È chiaro che non basterà più solo scrivere. Già adesso, a mio avviso, è bene che un giornalista sia sui giornali ma anche in libreria, sul web, in televisione e anche in giro, tra la gente. In tanti sono anche sui social network. Non ho nulla in contrario a questo proposito e anzi ammiro i colleghi che riescono a esserci; personalmente, io non sono né su Facebook né su Twitter perché non ne ho il tempo. Cerco, però, di essere su tutti gli altri canali e credo che, fra tutti, quello di essere in giro sia la cosa più importante. Non vorrei che lasciarsi assorbire del tutto da questa realtà virtuale, da questo continuo rimbalzo di sollecitazioni che arrivano dal web, possa far perdere di vista ai giornalisti la vita vera e le persone in carne e ossa. A me piace tanto stare tra la gente. Ad esempio, di recente, per il Corriere ho fatto un viaggio in Italia che mi ha portato in undici città diverse (che probabilmente costituirà la base di un mio prossimo lavoro); è stata davvero un’esperienza bellissima perché mi ha fatto ritrovare la funzione del cronista, l’essere tra le persone, passare una notte sulla volante della polizia, andare negli ospedali, allo stadio, nelle periferie. 61


PRIMO PIANO: IL FUTURO DEL GIORNALISMO

La mia impressione è che in futuro il lavoro del giornalista debba essere impastato con la vita più di quanto non lo sia adesso. Non vorrei che il giornalismo diventasse una sorta di ufficio studi in cui si pubblicano dossier lunghi e dettagliati e nei quali però non c’è la vita; per carità, è importante anche la documentazione, ma la vita vera è un’altra cosa. L'illusione che ognuno possa essere giornalista di se stesso: ma i citizen journalist possono essere utilizzati come fonti? E se sì, com’è possibile verificarle in questo "meticciato di informazioni" che è il crowdsourcing? Con questa domanda si apre un discorso molto interessante. Da una parte, è chiaro che i social network consentono a tutti, in teoria, di diventare in qualche modo giornalisti: se ti trovi davanti a un fatto, puoi filmarlo e poi metterlo online. Questo è molto stimolante, ma dall’altro lato, mi chiedo se così facendo non si corra il rischio di manipolazione. Se io sono testimone di 62

Non vorrei che crescesse una generazione di giornalisti per i quali i confini del mondo coincidono con quelli della loro mente.

un incidente o di una rissa, posso infatti darne la versione che più mi fa comodo, ricostruendo a mio piacimento il fatto. Si tratta quindi di un modo interessante e affascinante di fare giornalismo, nei confronti del quale, però, è necessario anche fare attenzione. Tuttavia, il rischio di manipolazione non deve comportare la chiusura totale nei confronti del citizen journalism. Prima abbiamo parlato dei social network come Facebook e Twitter: cosa ne pensa del modo di “fare giornalismo” e della rapida diffusione di news legata a questi canali? Sono scettico perché non vorrei che crescesse una generazione di giornalisti per i quali i confini del mondo coincidono con quelli della loro mente. Per cui, l’opinione è tutto e il fatto non è nulla, l’invettiva è tutto e il racconto non serve. Da questo derivano oggi fenomeni inquietanti come il confondere

il pensiero dell’intervistatore con quello dell’intervistato, nulla di più sbagliato! Ovvio che nel nostro lavoro si vuole cercare in qualche modo di “portare” l’intervistato a dire cose giornalisticamente interessanti e nel modo più chiaro possibile; ma questo non vuol dire condividere il suo pensiero, o mettergli in bocca un altro pensiero. Significa invece stimolarlo, mettendolo nella condizione di aprire liberamente il suo pensiero e il suo punto di vista. Cosa ne pensa del giornalismo di inchiesta finanziato dai lettori delle piattaforme online (secondo quindi i principi del crowdfunding): anche questo troverà sempre più spazio nel futuro? Non credo, dato che la gente è abituata a trovare online le notizie gratis. Questo ha in sé anche del pericoloso: è vero che su Internet trovi di tutto, ma


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pubblici. E questo accade anche con il giornalismo “ufficiale”, che sta a contatto con le sfere alte e che per questo è guardato con sospetto mentre, invece, Internet è visto come il luogo della verità. Non è così. Probabilmente, nel futuro i mezzi del giornalismo saranno sempre più Tv, Internet e nuovi media; quali svantaggi e Penso quali vantaggi questo che le due forme comporta? Io non credo che i new medi informazione (offline dia da soli possano divene digitale) possano continuare a coesistere; tare il giornalismo. Credo invece che possano esserci ma il futuro appartiene aziende editoriali molto dial giornale su iPad. versificate al loro interno nel senso che offriranno differenti servizi su diverse piattaforme. Al momento, la cosa secondo me più interessante è il giornale sull’iPad: è una rivoluzione straordinaria perché comporta l’assenza di edicole, distribuzione, stampa (il che da un lato è un disastro per chi lavora in questi ambiti, ma dall’altro lato rappresenta un grande risparmio per gli editori). Inoltre, mentre la pubblicità sul web è è vero anche che trovi quello che vospesso invasiva e fastidiosa, su iPad è gliono farti trovare. Internet è una interessante: hai davanti agli occhi una piazza elettronica in cui tutti gridano, specie di portale sul quale, se vuoi, puoi molti insultano e nessuno ascolta. E a cliccare e ti sembra di entrare proprio volte vedo che la gente “mette in piaz- dentro l’azienda, accanto ai suoi proza” i propri fatti personali con la sicu- dotti, oppure puoi anche acquistare direzza del naufrago che affida il suo rettamente lì. messaggio a una bottiglia, sicuro che Un altro vantaggio del giornale su iPad le onde del mare lo porteranno nelle è la multimedialità del mezzo: ad esemmani di un soccorritore che, però, alla pio, durante il viaggio che ho fatto in fine non c’è. Su Internet ognuno ascol- Italia per il Corriere ho girato anche un ta la propria voce, il massimo dell’in- video che, sull’iPad è stato poi comoterconnessione finisce per diventare damente affiancato al pezzo scritto. paradossalmente il massimo dell’auto- Detto questo, credo che i siti Internet ci referenzialità: tu pensi di parlare con saranno sempre, ma la vera rivoluzione tutti ma in realtà parli da solo. per il giornalismo futuro sarà il giornaLo stesso discorso vale anche per i blog le su iPad. Forse l’iPad non raggiungepersonali dove tutti dicono quello che rà la stessa diffusione del telefonino, vogliono, a volte insultando i propri ma chi legge il giornale, in linea di mascolleghi: non si fa così, la mediazione sima, lo avrà. dell’intervistatore è sempre importante. Il Financial Times due anni fa aveva Inoltre, una cosa che mi colpisce in scritto il necrologio della carta queste forme di giornalismo è la predi- stampata. Non è ancora avvenuto, sposizione molto negativa che si av- almeno in Italia. Per problema di verte nei confronti dei personaggi educazione digitale o altro?

Intanto, non c’è dubbio che la contrazione delle copie cartacee sia sotto gli occhi di tutti; la carta magari non morirà, ma di certo dimagrirà. Penso che le due forme di informazione (offline e digitale) possano continuare a coesistere; ma, ripeto, il futuro appartiene al giornale su iPad. Il Premio Pulitzer 2012 è andato a due testate online (Politico e Huffington Post): questa vittoria è sintomo di un cambiamento già in atto nel modo di fare giornalismo? Sì, e mi sembra giusto, coerente, logico e consequenziale a tutto quello cui abbiamo già accennato. Cosa riserverà il futuro alla libertà di informazione? Penso che ne uscirà rafforzata dal progresso tecnologico. Pensiamo alla televisione. L’Italia resta un paese televisivo: quasi tutti i libri in uscita, gli spettacoli teatrali e i prodotti provenienti dagli altri canali mediatici e tradizionali devono passare dalla televisione per avere successo. Pensiamo ora anche alle tappe fondamentali dell’evoluzione della Tv: la realizzazione del Tg unico, l’apertura dei nuovi canali Rai, la nascita della Tv privata, la nascita di un polo alternativo al duopolio Rai - Mediaset, la pay Tv, i canali digitali, i canali dei diversi gruppi editoriali e i canali stranieri. Insomma, con il tempo l’offerta si è moltiplicata a vista d’occhio e continuerà a farlo anche in futuro e tutto questo è sicuramente positivo. E, di conseguenza, è un vantaggio anche per la libertà di informazione. Cosa vorrebbe che il futuro riservasse al giornalismo? Mi auguro un futuro in cui non si smetta di fare i cronisti, non si smetta di andare in giro e di parlare con la gente e in cui si passi meno tempo in redazione e più per strada. Quali concetti e parole chiave domineranno il giornalismo del futuro? Di sicuro la multimedialità, lo sviluppo tecnologico, la partecipazione alla vita vera e la tecnologia iPad. z 63


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’EDITORIA

INCHIOSTRO IL MONDO DELL’EDITORIA STA VIVENDO UN MOMENTO CONTRASSEGNATO DA PROFONDI CAMBIAMENTI. IL PROGRESSO TECNOLOGICO E L’AVVENTO DELLA DIGITALIZZAZIONE STANNO INCORAGGIANDO I PROFESSIONISTI DEL SETTORE E I LETTORI A INTRAPRENDERE NUOVE STRADE E A SCEGLIERE NUOVE SOLUZIONI. LEGGERE E PUBBLICARE È APPARENTEMENTE MOLTO PIÙ SEMPLICE E IL RAPPORTO TRA AUTORE E SCRITTORE SI È DISINTERMEDIATO, DUNQUE SEMPLIFICATO. MA TUTTO CIÒ COME CAMBIERÀ L’INDUSTRIA DEL LIBRO E DELLA SUA FILIERA? CHE TIPO DI LETTORI DIVENTEREMO? E ANCORA: CHI FARÀ DA GARANTE NELLA SELEZIONE DEI TESTI? E INFINE: DOVREMO DAVVERO SCEGLIERE TRA SFOGLIARE E CLICCARE O POTREMO CONSERVARE ENTRAMBI? Intervista a Francesco Bevivino (Bevivino Editore) e Lele Rozza (www.blonk.it)

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O BIT?

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orse è solo un problema di generazione. Forse per chi, da sempre, è stato abituato “alle sudate carte”, a sfogliare le pagine e ad amare l’odore dei libri, risulterà difficile sostituirli con tablets, Reader ed e-Book. Per chi, invece, nell’era dell’esplosione del progresso tecnologico ci è nato, sarà probabilmente naturale e spontaneo non dover riempire scaffali, zaini e scatoloni di volumi, ma maneggiare con disinvoltura i nuovi strumenti della cultura. Il confronto tra l’editoria offline e quella digitale non è però fatto solo di nostalgia e abitudine. Lo svilupparsi dell’on-line è intimamente legato e consequenziale all’evoluzione della società, alla rivoluzione di Internet e, ovviamente, alle logiche del mercato. E non è qualcosa esclusivamente da demonizzare o da acclamare, perché, come in tutte le cose, porta con sé vantaggi e svantaggi. Per individuarli in modo più puntuale, riportiamo le interviste fatte a due editori. Uno tradizionale, Francesco Bevivino, dell’omonima casa editrice nata di recente, a editoria digitale già diffusa. L’altro digitale, Lele Rozza, editore della Blonk.it, fermamente convinto che, nei libri, l’inchiostro del futuro sarà in bit.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’EDITORIA

INCHIOSTRO! DALLA PARTE DELL’EDITORIA OFF LINE Ora che l’e-Publishing sembra stia rivoluzionando il modo di leggere, pubblicare e vendere i libri, quale futuro dobbiamo aspettarci per l’editoria? Sicuramente sarà un futuro splendido, lo dimostrano i social network e le altre piattaforme che nascono per condividere contenuti e interessi. Di certo si registreranno delle trasformazioni, bisogna capire di che tipo. L’editoria elettronica porta già con sé delle novità interessanti: ad esempio, il titolare di una casa editrice oggi potrebbe anche decidere di non avere alcuna presenza in libreria, cosa un tempo impensabile. E ancora: fino a qualche decennio fa, quello dell’editore era considerato un mestiere per ricchi perché sappiamo benissimo che i margini di guadagno non sono elevati mentre i costi da sostenere lo sono eccome (pensiamo solo ai costi di magazzino e di distribuzione). Oggi non è più così: un editore può decidere di produrre solo degli e-Book; oppure, con il print on demand, può addirittura scegliere di realizzare delle tirature limitate. Quindi, da questi punti di vista, il futuro si prefigura roseo. Un nodo cruciale, invece, riguarda la questione del diritto d’autore che, per come è concepita oggi, non ha più senso. Tutti gli aspetti inerenti a questa tematica, a partire, ad esempio, dal pagamento dei diritti alla famiglia dell’autore fino a 70 anni dopo la sua scomparsa, rappresentano, in questa fase di cambiamento, un nodo fondamentale. Come si comporteranno gli editori offline e quali nuovi modelli di busi-

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Intervista a Francesco Bevivino Titolare Bevivino Editore

ness si affacceranno sul mercato? Innanzitutto non è più concepibile essere un editore offline. Essere offline significa essere proprio off, spenti. Oggi nuove possibilità per gli editori provengono non solo dal progresso tecnologico, ma anche da tutti quei luoghi alternativi alle librerie che non erano nati per fare cultura ma che, poco per volta, stanno diventando sempre di più sedi di scambio culturale (ad esempio i bar che si attrezzano di salette in cui è possibile organizzare la presentazione dei nuovi libri in uscita o i supermercati). Diventa quindi fondamentale, per l’editore, trovare altre piazze (reali e virtuali), così come legarsi agli eventi e alle fiere di settore. L’evoluzione potrà risultare anche molto affascinante: se da un lato immagino gli e-Book utilissimi per il mondo scientifico, accademico e per i settori legati alla manualistica, dall’altro lato credo che i libri d’arte e i cataloghi di un certo livello continueranno ad avere il loro mercato di collezionisti e appassionati. Secondo lei quale sarà il futuro delle biblioteche? In un modo o nell’altro rimarranno, quantomeno come grande memoria di quello che è stato fatto negli ultimi 500 anni. Potrebbero diventare dei luoghi di scambio oppure supplire alla mancanza di autorevolezza della quale godevano le librerie un tempo. Queste, tempo fa, erano luoghi nei quali entravi alla ricerca di un libro e, se non lo trovavi, avevi a disposizione del personale competente, dei cultori che sapevano parlare di libri e sapevano consigliarti degli acquisti al-

ternativi. Oggi non è più così. Allora forse le biblioteche potranno diventare il luogo di crescita, di conoscenza e di scambio, un tempo rappresentato dalle librerie. Il digitale sostituirà definitivamente il cartaceo? Io continuo a pensare che in qualche modo la carta resisterà. Ma forse lo penso perché ho 40 anni e mi trovo nel mezzo di questo passaggio tra il cartaceo e il digitale. Probabilmente le future generazioni non si porranno neanche il problema se i libri prima fossero cartacei o meno, ma saranno abituati sin dalla prima fruizione ad avere a che fare con lavagne elettroniche e tablets. Il self-publishing rischia di annacquare il mercato? Finora non ne è stato capace, anche se un tempo non c’era Internet, o non era così diffuso, e quindi non era così facile diffondere i propri testi. Pubblicare non basta e nel self-publishing, fatta eccezione per lo scrittore, manca tutto il resto della filiera, a partire dal progetto editoriale che si va poi a coniugare con il progetto di visibilità e diffusione del testo. Lo spiega molto bene un aneddoto su Bompiani: quando gli veniva chiesto quale fosse il ruolo dell’editore lui rispondeva, ovviamente ironizzando, che l’editore non fa nulla, dato che alla pubblicazione di un libro lavorano lo scrittore, il grafico, lo stampatore, ecc. In realtà, il libro nasce dalla messa insieme di tutte queste energie e dalla linea editoriale e riconoscibile che ha l’edito-


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re. Ognuno di noi può stampare diverse copie delle proprie poesie e dei propri racconti racchiusi nel cassetto e venderle su Internet, ma questo non significa che siamo tutti scrittori! Detto questo, il self-publishing non rischia di annacquare il mercato; forse rischia alla lunga di annacquare i canali tradizionali (le librerie) però creerà sempre un maggior feeling con le nuove tecnologie. Il self-publishing, infatti, viene fatto quasi sempre con progetti in Rete e questa abitudine a gestire tutto il processo su Internet darà delle competenze migliori al lettore che verrà. Il ruolo degli editori dovrebbe essere anche quello di garantire sulla qualità del libro offerto: è ancora vero? Possiamo dire che sia (quasi) l’unica funzione dell’editore! Il valore dell’editore è quello di costruire una propria identità attraverso le sue pubblicazioni. La selezione delle opere, la cura, l’identificazione di un target e dei contenuti rappresentano il valore aggiunto che un editore ha rispetto a chi, appunto, fa del selfpublishing. Basta guardare gli editori a pagamento che pubblicano senza fare alcun tipo di selezione delle opere e dando un’occhiata al loro catalogo ci si rende conto della monotonia dei generi e del basso livello delle pubblicazioni. Oggi, con l’avvento di mix e contenuti multipiattaforma, possiamo dare e prenderci di tutto; la differenza la fa sempre chi sa selezionare.

bile solo in forma cartacea, oggi, anche accidentalmente, può finire sul tablet di un sedicenne. È evidente che a un ampliamento dei devices sui quali possiamo essere lettori corrisponde un ampliamento del pubblico dei lettori. Tutto sta nel capire che tipo di lettori sono. Quello che noto è la tendenza verso contenuti veloci e che siano fatti per immagini; non bisogna riflettere tanto sul numero (ma neanche sulla qualità) dei lettori quanto sulla tipologia dei contenuti. Prendiamo l’e-Book: non è altro che una tavoletta di pdf dove ho qualche opzione (ad esempio posso sottolineare una parola o inserire un segnalibro). Alcuni e-Book più sviluppati permettono di avere anche l’audio di riferimento o le immagini. Sviluppare dei contenuti di questo tipo, che possono anche portarti ad abbandonare il plot narrativo principale invitandoti a cliccare su link di approfondimento, è una questione fondamentale sulla quale bisognerebbe ragionare. L’equilibrio tra le mille possibilità che mi offre l’e-Book e la capacità di mantenere il centro del plot è un pro-

blema che andrà affrontato anche per capire chi saranno i lettori di domani. Il rapporto tra le immagini e il testo sarà nuovo: forse un giorno i libri somiglieranno sempre più alle sceneggiature cinematografiche! Quali saranno le parole chiave e i concetti che caratterizzeranno l’editoria del futuro? Credo che alla fine l’unica parola che con il tempo paga e possa fare la differenza sia “qualità”. z

L’editoria digitale modificherà il numero dei lettori e la loro qualità? Di primo acchito potrei dire che saranno moltiplicati: se prima il libro era accessi-

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’EDITORIA

BIT! Come mai ha scelto di cimentarsi nell’editoria digitale? Qual è il vantaggio di fare editoria elettronica? La scelta è arrivata dopo un’attenta analisi del mercato. E quello digitale ci è subito apparso in crescita istantanea, con il grande vantaggio del tempo: l’editoria digitale permette di massimizzare la possibilità di produrre buoni contenuti avendo un rapporto diretto con gli autori e con i lettori, bypassando la filiera distributiva tipica della carta stampata che è molto complicata. Come cambia (se cambia) la modalità di scrittura di un testo pubblicato in formato elettronico rispetto alla forma tradizionale? Il consumo della scrittura sta cambiando perché si stanno modificando gli strumenti attraverso cui si fruisce della scrittura stessa. Internet è sempre più il luogo dove si legge, con i suoi ritmi e l’overload informativo cui siamo esposti, segue delle regole diverse dalla carta stampata e dai libri. D'altra parte la buona letteratura non ha un supporto specifico. Scrivere un eBook è esattamente come scrivere un libro di carta, non c’è una sostanziale differenza. Noi pubblichiamo degli e-Book che potrebbero tranquillamente essere stampati. La cosa interessante sarà valutare se, in funzione del rinnovato rapporto con la lettura, diventerà necessario pensare a forme diverse in termini di proposta di contenuti. Il digitale permette sperimentazioni difficili sulla carta. Qual è il posto degli autori nel nuovo mondo digitale? Come sarà possibile tutelare i loro diritti? La questione della tutela del diritto d’autore è un patto che viene stretto tra chi produce contenuti e chi ne fruisce. Sostanzialmente, la sostenibilità sta nel proporre dei contenuti a un prezzo sen-

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DALLA PARTE DELL’EDITORIA ON LINE Intervista a Lele Rozza Direttore Editoriale Blonk.it

sato che consenta, da un lato all’autore di continuare a produrne, e dall’altro al lettore di poterne fruire in maniera corretta. Per quanto riguarda il rapporto tra lettori e autori, questo è fortemente disintermediato. Noi abbiamo esperienze di rapporti diretti importanti (anche molto belli) tra gli autori e i lettori, i quali sentono l’autore molto vicino e spesso, attraverso un’interazione diretta, costruiscono situazioni interessanti. Come accoglieranno l’e-Book le generazioni future rispetto a quelle attuali? È abbastanza naturale che ci sia un cambiamento di approccio. Oggi il passaggio è molto importante perché prevede l’acquisto di uno strumento e l’interazione con lo stesso. Un passaggio che pur essendo semplice potrebbe non essere ovvio; con il passare del tempo immagino che l'utilizzo dell’e-Reader sarà sempre meno traumatico. Inoltre sono abbastanza convinto che quella attuale non sia una situazione definitiva. Ci sarà un forte cambiamento, sia dal punto di vista tecnologico, sia dal punto di vista della fruizione. C'è grande sviluppo, in questo momento è difficile immaginare il futuro. Il digitale sostituirà definitivamente il cartaceo? Io non so se i libri di carta “moriranno”, ma sono abbastanza confidente che gli e-Book avranno un ruolo importante nella produzione della cultura negli anni a venire. Ritiene possibile una sempre maggiore diffusione nelle scuole e nelle università del libro elettronico, considerando la realtà italiana (strutture non sempre all’avanguardia,

mancanza di accesso a Internet, formazione tecnologica degli insegnanti non sempre adeguata...)? L’e-Book e il Reader non impongono necessariamente un costante accesso a Internet, nel senso che l’ePub (il formato in cui oggi viene distribuito l’e-Book) viene scaricato su un e-Reader, dopodiché è possibile leggerlo a prescindere da una connessione ad Internet. Perciò credo che il problema non sia tanto infrastrutturale quanto più legato alle abitudini e ai rapporti consolidati che attualmente legano la scuola all'editoria scolastica. Noi abbiamo fatto alcune riflessioni anche sulla questione del libro scolastico digitale. Personalmente sono abbastanza convinto che si andrà in quella direzione per un motivo ovvio: i costi inverosimili che le famiglie si devono accollare a fronte talvolta di un meccanismo che non funziona. Infatti, molto spesso capita di dover cambiare un testo che costa 30-40 euro perché la nuova edizione prevede un cambio di poche pagine. Credo sia possibile, e questa è la cosa su cui stiamo ragionando, ripensare l’editoria scolastica che, secondo la mia piccola esperienza di genitore che studia con i figli, talvolta è un po’ vecchiotta. Per quanto riguarda l’interattività, non bisogna uscire dalla logica della lettura; infatti, è possibile raccontare le cose in maniera diversa e affiancare alla lettura altri strumenti che rendono più efficaci le tecniche di apprendimento. Il self-publishing rischia di annacquare il mercato? Il self-publishing è un fenomeno che fa parlare di sé tantissimo pur avendo dei numeri assoluti molto piccoli. Se è capitato (come è capitato) che qualche autore ha venduto un sacco di copie par-


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tendo dal self-publishing, non credo che questo rappresenti necessariamente un orizzonte. C’è da dire che il mercato, così come era immaginato, era veramente troppo bloccato. L’editore aveva un potere eccessivo, mentre adesso il mercato è più fluido ed inclusivo. Rimane il fatto che la mediazione tra l’autore e un soggetto che funga da filtro prima e da validatore poi, sia sensata. Io autore tendo a innamorarmi del mio testo e a considerarlo come qualcosa che tutti vorranno leggere. Perciò vale la pena che ci sia un filtro che dica “quest’opera ha senso sul mercato e questa no”, una figura che analizzi la bontà del testo e la sua vendibilità. Chi vuole pubblicarsi lo può fare, non ci sono problemi a riguardo, ma non è così ovvio e né così banale. Chi intraprende l’esperienza del self-publishing deve conoscerne i linguaggi e le modalità di azione. Ad esempio, la costruzione di un ePub è teoricamente alla portata di tutti, ma un buon ePub non è così semplice da produrre. Molti non sanno che esiste uno strumento internazionale che valida gli ePub, perché non tutti i programmi che producono ePub generano prodotti validi. Lasciando stare i tecnicismi, il filtro di un editore che decide di fare un investimento su un testo collaborando con l'autore per migliorarlo, probabilmente può rendere il testo stesso più efficace. Dunque è ancora vero che il ruolo degli editori è anche quello di garantire sulla qualità del libro offerto? Mi piace pensare che quando decido di allocare del tempo alla lettura è perché in un’opera penso di trovare qualche forma di valore e che dietro ci sia qualcuno che ha già fatto una preselezione. La presa di responsabilità dell’editore di valutare la bontà di un testo, per me è fondamentale. Il mercato tradizionale talvolta segue logiche quantitative e la proposta di contenuti è addirittura eccessiva, ed i motivi sono legati proprio alla necessità di essere presenti massicciamente in libreria con una rincorsa alla produzione. La distribuzione disintermediata cambia questa logica e permette di riportare l'editore a un ruolo

più culturale e forse un po' meno commerciale. Naturalmente non tutto quello che sta su Internet è buono e credo che uno dei rischi possa essere il rumore prodotto da chi applica al digitale le stesse logiche quantitative che vengono applicate al mercato tradizionale. L’editoria digitale modificherà il numero di lettori? E la loro qualità? L’avvento di Internet prima dell’editoria digitale ha riportato alla scrittura e alla lettura. I comportamenti delle persone sono cambiati: è normale lo scambio delle e-mail ed è normale leggere e informarsi su Internet. Questo ha già mutato la situazione. Non credo che l’editoria digitale sarà la panacea di tutti i mali. Oggi viviamo in una situazione in cui l’informazione è la merce più ricercata e questa passa tramite i media tradizionali, la radio, la Tv, ma anche, e forse soprattutto attraverso Internet, dove si legge e si scrive. Questo credo abbia mutato e muterà sempre più l'approccio. Sulla qualità non saprei dire, mi aspetto senz'altro una grande quantità di ottimi contenuti. Come immagina la sua biblioteca nel futuro e il futuro delle biblioteche in generale? Sono molto contento che se mai dovessi fare un trasloco non dovrò più spostare 50 scatoloni di libri (perché all’epoca li contai ed erano 50!). Dentro il mio Kindle posso portarmi ovunque centinaia di volumi, spaziando su tutto ciò che più mi aggrada solo con qualche click. C’è poi un altro tema che rimane aperto, quello delle biblioteche, con la relativa questione della cata-

logazione e archiviazione. Sinceramente non ho alcuna idea su quale potrebbe essere il modello di business che le neobiblioteche adotteranno. Penso che la questione andrà gestita tenendo in considerazione il ragionamento precedente del rapporto tra lettore e scrittore. Oggi io non pago il diritto d’autore all’autore del libro che leggo, se questo è preso in prestito da una biblioteca. La questione dei libri prestati e di quelli che circolano è una realtà costante, e non so se in futuro ci sarà grandissima differenza. Quali saranno le parole chiave che caratterizzeranno l’editoria del futuro? Potrei dire delle cose relativamente banali come “innovazione” e “condivisione”, oppure ovvie come “leggerezza”. Onestamente non lo so, non ho idee precise. Noi abbiamo scelto di fare gli editori perché pensiamo che l’editoria digitale sia qualcosa che ha senso cavalcare e costruire. Tuttavia, non sono capace di immaginare come ci figureremo tra pochi anni. Non so come sarà l’editoria del futuro nel suo complesso. Il formato ePub che utilizziamo oggi è molto perfettibile. Lo stesso dicasi per i Reader. Si sta lavorando moltissimo per costruire nuove occasioni e nuove possibilità, perciò tutto diventa un po’ più liquido. In questo momento temo ci siano più domande che risposte. z

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MUSICA

MUSICA SENZA LEADER

IL FUTURO È GIÀ ARRIVATO

I

n Rete la musica non si ascolta da soli, né viene imposta da alcuno. L’ascolto musicale è una delle espressioni di quell’“intelligenza collettiva” che la Rete stessa ha fatto emergere. Ai tempi di Woodstock, i giovani erano animati da spirito di ribellione, e così i loro idoli del rock, ma il consumo di musica era comunque governato dalle case discografiche, che per decenni hanno avuto il potere di decidere quali artisti sostenere, cosa si dovesse trovare nei negozi di dischi, quanto doveva essere lungo un brano e di quanti brani dovesse essere composto un album. Con limitate eccezioni. Poi Internet ha cominciato a

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dare nuovo potere ai consumatori, soprattutto per mezzo del file sharing (o peer-to-peer), un sistema dove le indicazioni di cosa ascoltare, le persone hanno cominciato a darsele da sole, e senza chiedere il permesso - né i consigli - a nessuno. Una repubblica libera dal copyright, che non ha smesso mai di crescere. La stessa vendita legale di brani musicali in Rete è figlia dello scambio illegale, al quale le major si sono per anni strenuamente (ma invano) opposte, in nome del Cd come unico veicolo di vendita. La capitolazione è recente, con l’accordo che sta permettendo ad Apple di “sanare” tutti i file Mp3 posseduti dai propri utenti - comunque se li sia-

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no procurati - se sono disposti a usare i servizi cloud della Mela per conservare un backup dei brani. La disponibilità di brani musicali in Rete ormai sempre meno scaricati e sempre più ascoltati in streaming - sta portando a una vera e propria rivoluzione nel modo di ascoltare: più che gli album, si ascoltano i singoli brani; si fruisce della “vecchia” musica quanto della nuova; si ascoltano anche gli artisti più sconosciuti. Inoltre il consumo di musica non è più massificato, ma individualizzato, guidato sempre meno dall’industria e sempre più dagli altri consumatori. Tale radicale mutamento influenza direttamente la stessa produzione


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SOCIAL-MUSIC My Space Il primo social network che ha consentito ai propri utenti di crearsi liberamente una propria pagina, inserendo immagini, video e file musicali. Poi le modalità di ascolto degli utenti hanno cominciato a spostarsi verso lo streaming - cioè l’ascolto di musica direttamente sul browser - e verso la dimensione social, consentendo di condividere con gli altri le proprie preferenze e integrandosi sempre di più con Facebook. Last.fm Si basa su un sistema di filtraggio e raccomandazioni, che consente di creare una radio completamente personalizzata in base alle preferenze personali, ma anche basata sulle scelte di amici e utenti con gusti simili. 8tracks Offre la possibilità di creare playlist di almeno 8 brani, che gli altri possono ascoltare e votare come preferite. SoundCloud Qui gli artisti possono pubblicare in Rete direttamente i propri brani. A differenza di MySpace permette agli utenti di integrare il proprio profilo con altri network. Facebook Ha da poco aggiunto il pulsante “Ascolta” alle pagine dei musicisti, che consente di ascoltarne i brani tramite applicazioni esterne. Quando si ascolta una canzone, ciò viene notificato sul proprio profilo, in modo che gli altri lo sappiano e possano ascoltarla insieme a noi. musicale, la quale è sempre più libera dai condizionamenti dell’industria. Gli artisti meno noti sono facilitati, a discapito delle big star, e i musicisti possono stabilire canali di dialogo costante con i propri ascoltatori. Caso emblematico di questa fase di transizione è stato quello degli Arctic Monkeys, giunti alla notorietà grazie alla Rete, prima di diventare ricchi con la vendita di dischi. Ormai i livelli di mediazione tra l’artista e il suo pubblico sono ridotti all’osso, e il mercato somiglia di più a una lotteria, con molte più opportunità, ma anche un numero enorme di giocatori di tutto il mondo. Nel frattempo è nato un nuovo me-

dium: la radio su Internet, una forma di ascolto estremamente personalizzata, nella quale ciascuno ha a disposizione anche più di un canale ad hoc per i propri gusti. La prima è stata Pandora, un servizio creato nell’ambito del Music Genome Project che, utilizzando più di 400 diversi parametri per descrivere i singoli brani è in grado di stabilire analogie tra i pezzi in modo automatico e perciò “suggerire” sempre delle novità all’utente, a partire da una singola scelta iniziale. L’utente stesso può affinare il sistema sempre di più, indicando, per ogni brano, il proprio eventuale gradimento. Il risultato è una radio conforme al cento per cento ai gusti del-

l’ascoltatore, oltre che basata sulla dimensione dell’esplorazione, così connaturata al web. Poi sono arrivate le altre piattaforme (vedi box a destra), offrendo una classificazione dei brani e degli artisti per “tag” (etichette) assegnate liberamente dagli utenti. Dunque non solo è finita l’era delle etichette discografiche, ma è avviata quella delle etichette scelte in piena libertà. Per lo meno in quanto a consumi musicali, aveva ragione Janis Joplin quando, pochi giorni Woodstock, nell’agosto 1969, disse: “Quattrocentomila persone insieme e nessun capo. Noi non abbiamo bisogno di leader, noi ci teniamo l’un l’altro». z

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MUSICA

CHE MUSICA ASCOLTEREMO NEI PROSSIMI ANNI E COME L’ASCOLTEREMO? CHE EVOLUZIONE AVRANNO LE CASE DISCOGRAFICHE E CHE RUOLO DAREMO ALLA MUSICA? INTERVISTA A STEFANO BOLLANI, COMPOSITORE E PIANISTA DI MUSICA JAZZ.

UNA MERAVIGLIOSA COMMISTIONE TUTTA DA ASCOLTARE 72


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Stefano Bollani

uando suona, le sue mani sembrano moltiplicarsi. Le dita volano sulla tastiera e il pianoforte diventa improvvisamente una scatola magica dalla quale escono armonie che mai avresti pensato di ascoltare. Lui è Stefano Bollani, il grande pianista jazz, ma non solo. A lui va infatti il grande merito di aver portato la buona musica e tanta cultura musicale dentro le nostre case, grazie al suo programma televisivo in onda su Rai3 lo scorso autunno. E sempre a lui si deve anche l’iniziativa di affiancare la musica classica a quella jazz, per dimostrare che, in fondo, la musica non è una questione di generi, ma di qualità. E quando questa c’è, ogni commistione è la benvenuta. Un intrigante sperimentatore, un professionista colto, un innovatore: come non sceglierlo per le nostre previsioni sul futuro della musica? Un’intervista dalla quale è emersa soprattutto la grande speranza, oltre all’immensa fiducia, che la musica possa, in futuro, sempre più contribuire a costruire un ponte tra civiltà totalmente differenti anche quando la politica, le istituzioni e le società non riescono a farlo. Con l’auspicio di poter contribuire a “mettere d’accordo” fra loro culture molto lontane, arricchendosi e, di conseguenza, arricchendoci. Da quali culture proviene la musica che ascoltiamo oggi? Ha una storia lunghissima e proviene da numerose culture diverse. In generale, direi che oggi amiamo e ascoltiamo soprattutto la musica proveniente dalle culture occidentali (conosciamo ben poco dell’Oriente, infatti, e non solo a livello musicale). Ascoltiamo la musica cosiddetta “tonale” (che è una nostra invenzione) e questo vale tanto per la musica colta quanto per quella più leggera. Che musica ascolteremo in futuro? Gli stili musicali tenderanno a fondersi tra loro e a creare un mix di generi o assisteremo a un ritorno alle origini? Direi che la tendenza sarà quella della commistione dei generi. Anche tra quelli occidentali e orientali. Già in passato alcuni artisti occidentali, anche musicisti classici, avevano cercato di capire il sistema musicale orientale. Chi parve riuscirci meglio, grazie anche a una maggiore potenza degli uffici stampa, fu il gruppo dei mu73


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MUSICA

sicisti rock e jazz degli anni ’60. Molti di questi (dai Beatles fino a Charlie Mariano) si recarono in India, in Giappone creando dei piccoli ponti tra i due mondi. Oggi avviene anche il contrario: ci sono diversi talenti della musica classica che dall’Oriente si spostano da noi. Lei ha contribuito a portare in televisione la musica jazz. Ma non solo. Ha divulgato la bella musica, a prescindere dal genere (in questo rientra anche il connubio con Chailly) e la sua cultura. Il suo resterà un esperimento isolato o dal futuro possiamo aspettarci di “vedere” sempre più buona musica in televisione (e soprattutto non solo in terza serata)? Per il momento, mi sembra proprio che non si veda musica in Tv, purtroppo. La speranza c’è, visto che costa poco fare un programma musicale, quindi può anche darsi che in futuro si decida di creare più spazi televisivi dedicati alla musica. È un po’ il principio dei festival dedicati al jazz: in Italia ci sono tanti paesini e città che organizzano dei festival di jazz e sono tra gli avvenimenti meno costosi (si pensi che al costo di un solo concerto di musica rock si possono organizzare una settimana di concerti jazz), chissà che questo non aiuti. Parlando di futuro non si può non rivolgere un pensiero al domani (forse un po’ incerto) delle case discografiche. Le case discografiche devono assolutamente trovare il modo di reinventarsi su Internet perché sono le prime a rischiare di non avere più alcun introito. Internet è ancora molto poco regolato, con il risultato che la gente, prima di spendere soldi per acquistare un Cd, scarica l’Mp3 legalmente o illegalmente (il gesto è lo stesso, basta un clic). Purtroppo, poi, l’illegalità inficia anche il lato creativo: ci si stanca di lavorare alla grafica o al packaging o alla promozione di un Cd sapendo che poi la gente va on line e si accontenta di ascoltarne e scaricarne poche tracce. Come vede la fruizione della musica da parte dei giovani che forse non hanno mai comprato un Cd, ma solo scaricato? E il ruolo dei concerti dal vivo? I giovani inventeranno sicuramente un si74

stema per continuare ad ascoltare la musica perché ormai la musica riprodotta esiste da più di un secolo. Rimpiangeremo i Cd come altri hanno rimpianto i vinili o la radio ma sono abbastanza fiducioso: si continuerà ad ascoltare musica riprodotta in buona qualità. Per quanto riguarda la musica dal vivo sono ancora più ottimista, perché c’è sempre stata. Inoltre, si tratta di musica alla portata di tutti visto che i concerti vengono organizzati ovunque, negli stadi, nelle piazze, nei palazzetti, nei teatri aperti al pubblico. È pensabile avvicinare l’universalità della musica di Bach al Jazz? Sì, assolutamente! Di solito i jazzisti quando amano un musicista classico nominano sempre Bach. Credo sia per il suo tipico fraseggio, che è molto simile a quello dei jazzisti. Il 30 aprile è stata dichiarata dall’Unesco giornata mondiale del jazz. Come interpreta questa attenzione per il jazz, non così scontata fino a pochi anni fa? Le do un senso ancora migliore di quello che si potrebbe pensare. E cioè: non è attenzione solo per un genere musicale bello e creativo, ma anzitutto verso un modo di intendere la musica, e quindi la vita, perché si è capito che il jazz sviluppa l’interazione tra le persone ed è democratico. Nel jazz, infatti, non c’è un leader vero e proprio, è da sempre il centro della commistione delle culture di tutto il mondo, non si è mai fermato neanche quando è nato il rock, si è aperto anche alla musica classica, ha provato tutti gli strumenti.

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Quali parole chiave e concetti domineranno la scena musicale del futuro? Sicuramente non parlerei di contaminazione ma di commistione; contaminazione sa di ospedale, sembra che la musica che stiamo ascoltando ci possa trasmettere qualche malattia. Le altre parole chiave per eccellenza saranno sicuramente apertura e disponibilità all’ascolto: disponibilità non solo da parte della gente che ascolta la musica, ma anche da parte dei musicisti stessi che saranno sempre più disponibili a confrontarsi tra loro e con culture diverse, contribuendo così a creare un ponte che spesso nella politica e, in generale nella vita, non c’è. z

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In Bach c'è più jazz di quello che si possa immaginare, o nel jazz c'è più Bach di quanto si immagini? A rigor di logica, la domanda non avrebbe senso, visto che nel ‘700 il jazz era ben lungi dall’esistere. Eppure nella perfezione geometrica di Bach, nella sua multidimensionalità matematica, negli sviluppi contrappuntistici, nel processo ritmico, è impossibile non scorgere delle affinità con il jazz. Non per niente Bach ha da sempre affascinato i musicisti jazz, sia che venisse interpretato in maniera rigorosa come da Keith Jarrett, sia con una maggiore libertà di interpretazione, come fatto da Jacques Loussier. Quest’ultimo noto - e anche assai discusso - in particolare per le commistioni sperimentate con il Trio Play Bach, riuscì a conservare lo spirito di Bach, implementandolo e calandolo nelle atmosfere rarefatte e propulsive del jazz. Ritornando indietro con il tempo, un’evidente citazione di Bach la si trova nella fuga a 3 voci (alto sax, tromba e basso) nel tema del brano "Chasin' the Bird" di Charlie Parker. John Lewis, con il suo Modern Jazz Quartet, primo gruppo crossover nel jazz, tentò invece di innestare l’arte della fuga nelle torride atmosfere Bop, il jazz che si sviluppò sopratutto a New York negli anni '40. Bud Powell, includeva sempre un pezzo di Bach nei suoi set per nightclub. Una delle interpretazioni più interessanti di Bach da parte del jazz arriva anche dalla pianista Hazel Scott. Degna di nota la sua versione dell’”Invenzione” in due voci in La Minore, del novembre 1940, contraddistinta da un impeccabile stile classico affiancato dal ritmo dei tamburi di JC Heard. Citazioni di Bach si trovano spesso anche tra gli improvvisatori. Ne è un esempio George Shearing che nella tradizionale "Kerry Dance" irlandese (Jazz BBC Legends) inserisce il "Kyrie" dalla Messa in Si Minore dimostrando la sua meravigliosa capacità di commistione. Degno di lode, infine, Uri Caine, eccezionale pianista americano, da ricordare per la libertà e l’umorismo con cui ha affrontato il lavoro bachiano, in particolare le “Variazioni” Goldberg, moltiplicandole attraverso il riferimento a ritmi del ‘900, in un vero e proprio caleidoscopio di differenti atmosfere e stili musicali. Ma Bach non è solo nel cuore dei pianisti. Il contrabbassista Ron Carter nel "Concerto brandeburghese" del 1995, aggiunse il suo basso pizzicato ad una orchestra d'archi in un’improvvisazione esplorativa. Il batterista Max Roach ha reso omaggio a Bach in una suite di pezzi dal suo ensemble di percussioni del 1960. I Swingle Singers hanno interpretato a cappella molte arie bachiane, in particolare l’Aria sulla quarta corda (che in Italia venne scelta per la sigla del programma televisivo Superquark). La moda del Bach jazzato ebbe molti proseliti anche in Italia. In questo stile, Armando Trovajoli realizzò un famoso tema che fece da colonna sonora al film “Sette Uomini d'Oro”. Grande interprete fu anche il popolarissimo flautista degli anni 60, Severino Gazzelloni, del quale vogliamo ricordare l’interpretazione della Fuga in Do Minore, accompagnato dalla potente voce di Mina. (http://www.youtube.com/watch?v=rjn1JHlSoe0&feature=player_embedded) 75


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MUSICA

VIVONO A ROMA, MA PROVENGONO DA UNA DOZZINA DI PAESI DIFFERENTI. PARLANO ALTRETTANTE LINGUE E SI SONO FORMATI SU GENERI MUSICALI DIVERSISSIMI. EPPURE, INCONTRANDOSI, SONO RIUSCITI A TROVARE UNA SONORITÀ UNICA. UN COCKTAIL BEN SHAKERATO DI RITMI E VOCI CHE È DIVENTATO IL LORO INEQUIVOCABILE MARCHIO DI FABBRICA. ISPIRANDO MOLTE “IMITAZIONI” IN GIRO PER L'ITALIA.

L'ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO:

SULLE NOTE DELLA

CONTAMINAZIONE 76


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S

sano felicemente rappresentare un messaggio tiamo parlando dell'Orchestra di Piazdi fratellanza e di pace ben più efficace di proza Vittorio, l'ensemble fondato da Orchestre clami, comizi e dibattiti televisivi. Ma al di là del Mario Tronco, ex tastierista degli Avion come quella di Piazza Travel, ormai dieci anni fa. Vittorio, oppure - forse valore politico e sociale, l’Orchestra promuove la ricerca e l’integrazione di repertori musicali Corre l'anno 2002, infatti, quando Tronco e la più nota - quella diversi e spesso sconosciuti al grande pubblico. l'amico documentarista Agostino Ferrente di Via Padova a Milano, Allo stesso tempo si lancia coraggiosamente in intraprendono una vera e propria “lotta di promuovono la ricerca rivisitazioni originali di capolavori assoluti delquartiere” contro la trasformazione dello la musica, come è accaduto nel 2009 con la storico cinema Apollo di Piazza Vittorio in e l’integrazione di una sala bingo: da lì parte un progetto so- repertori musicali diversi, messa in scena del Flauto Magico di Mozart, in una continua e divertita variazione sul tema stenuto da artisti e intellettuali per valorizzaspesso sconosciuti che ha introdotto nell'opera i ritmi tribali afrire il Rione Esquilino, il più multietnico tra i al grande pubblico. cani, le calde percussioni cubane e la vivacità quartieri capitolini. E all'interno della neonadelle ballate irlandesi. ta “Associazione Apollo 11” si scoprono le È difficile spiegare un Tamino caraibico, un Paincredibili potenzialità degli abitanti della zona, quasi tutti immigrati e quotidianamente alla prese con la pageno senegalese che cantano nelle proprie lingue madri ricerca di lavoro e di un permesso di soggiorno sempre più e creano una specie di favola esotica, divertita e divertente per il pubblico, che è tornato a vederla in scena e ad acdifficile da ottenere. Tra i soci della “Apollo 11” sorge l'idea di sostenere econo- clamarla per altre due stagioni. Forse i cultori dell'opera limicamente gli eccellenti musicisti scoperti fra i nuovi concit- rica avranno arricciato il naso, deprecando il sacrilegio. Eptadini, e così Mario Tronco è in grado di metter su l'orchestra però, scegliendo di non dar credito all'esperimento scomposto ed energetico del variopinto ensemble, si saranno multietnica che tutt'ora dirige. Basta vederli tutti insieme, sul palco, per capire quanto pos- persi qualcosa. z 77


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA FOTOGRAFIA

E POI ARRIVÒ LA FOTOGRAFIA

SOCIALE ANTONIO AMENDOLA, FONDATORE DI SHOOT4CHANGE, NETWORK DI VOLONTARIATO FOTOGRAFICO SOCIALE.

NELLA FOTOGRAFIA È GIÀ STATO INVENTATO TUTTO? PROBABILMENTE NO. MA NON È STATO INVENTATO TUTTO NELL’AMBITO DELL’UTILIZZO DELLE FOTOGRAFIE. SOPRATTUTTO SE A SCATTARLE NON È PIÙ SOLO UN AUTORE, MA TANTI FOTOGRAFI CON SENSIBILITÀ DIVERSE, IN GRADO DI OFFRIRE UN’IMMAGINE CON PIÙ PUNTI DI VISTA E CAPACI DI DARE VISIBILITÀ A PICCOLE STORIE, VEICOLANDO IMPORTANTI MESSAGGI SOCIALI.

Come nasce Shoot4Change? Dopo il terremoto dell’Aquila. Mi recai lì per un reportage e dopo alcuni mesi ho tenuto a Bari un workshop di fotografia amatoriale, devolvendo l’intero ricavato all’ospedale Coppito (che è stato evacuato in occasione del terremoto) per cofinanziare dei campi estivi per bambini colpiti da malattie del sangue e sfollati. Nel frattempo aprii il blog di Shoot4Change, il cui nome gioca sul doppio significato dei termini shoot, che significa sia “sparare”, sia “scattare una foto”, e change, che vuol dire sia “cambiamento” sia “contante”. In realtà usiamo la fotografia come “arma pacifica” per raccontare storie. Ho cominciato a bloggare su alcuni fotografi del passato che hanno contribuito a introdurre dei cambiamenti sociali proprio mediante l’uso della fotografia. In questo modo, e senza che me ne accorgessi, il mio blog ha cominciato ad attirare su di sé un certo interesse e, dopo qualche mese, gli organizzatori della Marcia Mondiale della Pace e della non Violenza mi hanno contattato chiedendomi di poter dare una copertura fotografica al passaggio della marcia a Roma. Quel giorno ero già impegnato e allora ho scritto un post sul blog, intitolandolo “Chiamata alle armi fotografiche”, per chiedere ai lettori se ci fosse qualcuno disposto a farlo al posto mio. In poche ore mi hanno intasato la casella di posta e siamo riusciti a coprire diverse tappe della marcia, 78

persino a New York, San Francisco e in Argentina! Da lì è iniziato tutto. Da blog, Shoot4Change è diventato un network, un’associazione no profit e, infine, un vero e proprio movimento: c’è gente, in giro per il mondo, che si riconosce nell’idea del racconto fotografico, soprattutto delle storie di prossimità, quelle più vicine a noi ma che non vengono considerate remunerative dalle fonti d’informazione e quindi vengono trascurate. Abbiamo così cominciato a raccontare le storie di tutte quelle piccole (ma anche medio-grandi) associazioni che rimangono totalmente invisibili. Quello che noi vogliamo fare è innescare un circuito virtuoso di micro storie che, anche se solo a livello locale, servono a ispirare altra gente, in altre parti del mondo, a fare altrettanto. Componiamo i nostri team sia di professionisti (volontari, naturalmente), sia di amatori, per dimostrare come anche quest’ultimi possano dare performance di alta qualità. La cosa interessante sperimentata sul campo, nel tempo, è che l’esperienza, la tecnica e la creatività del professionista sono contagiose per l’amatore; viceversa, l’entusiasmo dell’amatore contagia positivamente il professionista! Così facendo, abbiamo creato questo grande network e coniato il termine crowdphotography. Cos’è la crowdphotography? Deriva dalla parola crowdsourcing: nella

nostra concezione, un racconto fotografico è il risultato dell’apporto creativo di diverse persone che, in diverse parti del mondo, contribuiscono a una stessa storia pur non conoscendosi. Questo è fondamentale: non si tratta mai di fotografie votate solo al compiacimento estetico, al dramma fine a se stesso, ma scattiamo foto che raccontino storie. Una fotografia, seppure di immensa qualità ma povera di storia, verrà sempre scartata. Sul blog lanciamo dei temi ai quali ognuno può contribuire e creiamo così delle gallerie di immagini. Ad esempio, ogni anno andiamo in Emilia Romagna a raccontare i Mondiali Antirazzisti, un grande evento UISP (Unione italiana sport per tutti) in cui lo sport è solo un pretesto per veicolare un messaggio sociale. Intorno a quell’evento si raccoglie un team di gente proveniente da ogni dove che, senza conoscersi, contribuisce a raccontare con le proprie fotografie lo stesso avvenimento e si ritrova, alla fine, all’interno dello stesso reportage. Ognuno aggiunge alla storia il proprio tassello: e in effetti la verità non è mai univoca, ma è sempre questione di punti di vista; mi piace dire che più ce n’è, meglio è. Come è accolta la fotografia sociale? Sempre meglio. La gente scatta tantissimo e ha sempre più voglia di sentirsi raccontare le storie anche tramite le immagini; ed è ancora meglio quando queste storie parla-


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no di qualcosa che accade vicino a noi (cosa che i media tradizionali non fanno). Ma Shoot4Change non si limita a raccontare le storie che accadono in prossimità a noi: la fotografia sociale, per noi, è anche cercare di fare qualcosa a vantaggio di queste situazioni che raccontiamo. Per questo motivo organizziamo workshop e ne devolviamo i ricavati a progetti sociali locali, oppure cerchiamo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su storie ignorate o dimenticate e cerchiamo di intraprendere un percorso con queste piccole realtà in modo che siano presto in grado di sviluppare una loro expertise in materia di comunicazione e possano poi raccontarsi da sole. Il bello dell’esperienza di Shoot4Change è anche la difficoltà a uscire dalle storie che raccontiamo: come si fa, ad esempio, a uscire dalla storia di una giovane senza dimora, alla quale hai scattato una foto e poi gliel’hai regalata, e da quel momento lei non ha fatto altro che abbellirsi e decorarsi per “essere sempre bella come in quella fotografia”? La fotografia sociale prenderà sempre più piede? Sì, ma a condizione che si tratti di una fotografia partecipata. Quasi sempre i nostri reportage terminano con la frase: “fatelo anche voi!” perché crediamo che non basti solo raccontare o leggere delle storie. È molto più interessante scendere per stra-

Come fai a uscire da una storia di una giovane senza dimora, alla quale hai scattato una foto e regalata, e da quel momento lei non ha fatto altro che abbellirsi e decorarsi per essere sempre bella come in quella foto?

da e raccontare in prima persona, che poi è il principio del citizen journalism moderno. La nostra non è che una piattaforma di storie che vengono raccontate in prima persona da gente che vive quelle realtà, non inviamo i nostri fotografi in giro per il mondo ma ci affidiamo a chi è già lì sul posto.

Quali saranno le tendenze future? Grazie a smartphone e telefoni cellulari, la fotografia sarà sempre più “democratizzata” e alla portata di tutti. Dobbiamo però distinguere quello che accadrà per i professionisti da quello che accadrà per tutti gli altri. Di sicuro, questo secondo gruppo avrà a che fare con una fotografia più alla mano: i prezzi si stanno abbassando, le macchine fotografiche diventano sempre più performanti, lo story-telling diventa sempre più multimediale perché la fotografia non vive più da sola ma viaggia assieme ai video, all’audio e alle animazioni. Per i professionisti, invece, probabilmente si affermerà una fotografia più autoriale: i grandi fotografi, infatti, sempre più spesso non si limitano a raccontare le cose come sono ma aggiungono anche un’interpretazione personale, e questa è l’unica maniera per distinguersi dalla massa di immagini che

popolano Internet. Infine, Il citizen journalism è sicuramente la tendenza più interessante del momento destinata ad affermarsi anche in futuro. Noi stiamo sperimentando assieme a una startup romana, la Maiora Labs, Seejay, un tool che facilita il lavoro di citizen journalism sia aiutando le redazioni a gestire meglio l’enorme mole di contenuti che arrivano da giornalisti e fotografi, sia consentendo a questi ultimi di avere a disposizione una piattaforma di espressione e condivisione. E le parole chiave? Condivisione, partecipazione, indipendenza. L’indipendenza editoriale per noi è fondamentale: Shoot4Change non ha editori, non ha sponsor, ha un budget pari a zero. Stiamo per sperimentare il crowdfunding, in modo che sia il popolo della Rete (quindi i nostri supporters e membri sparsi per il mondo) a finanziare i nostri progetti. In questo modo non dovremo mai rendere conto a nessuno se non a chi ci ha aiutato a realizzare le nostre iniziative. Questo è un fattore molto importante per il citizen journalism e, in generale, per il settore dell’informazione indipendente. Altre parole chiave del futuro: connessione in Rete e utilizzo delle nuove tecnologie. z 79


PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA CUCINA

QUANDO IL POP ENTRA IN CUCINA

Intervista a Davide Oldani.

SI PARLA DI FUTURO E, ALL’IMPROVVISO, SORGE IL TREMENDO DUBBIO CHE, MAGARI, TRA POCHI ANNI, SARÀ SUFFICIENTE SGRANOCCHIARE UNA PILLOLA PER NUTRIRSI. SARÀ DAVVERO COSI? LO ABBIAMO CHIESTO A UN GRANDE CHEF, UNO DI QUELLI “AVANTI”, CHE DA TEMPO PARLA DI CUCINA POP E INGREDIENTI DEL TERRITORIO. UN ARTISTA PER IL QUALE LA QUALITÀ VIENE PRIMA DI TUTTO. CI HA CONSOLATI IN MERITO ALLE NOSTRE APOCALITTICHE PREVISIONI? MOLTO DI PIÙ.

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oi italiani proprio non ce la facciamo a mettere da parte la cucina. Da perfetti buongustai quali siamo, non rinunceremmo per niente al mondo ai piaceri della nostra tavola tradizionale, anche se ogni tanto ci piace “esplorare” sapori nuovi, provenienti da terre lontane. Tuttavia Davide Oldani, che nell’intervista che segue ci ha aiutato a delineare i tratti distintivi della cucina del futuro, qualche cambiamento nelle abitudini culinarie degli italiani lo ha già notato: restiamo sempre delle buone forchette, ma con un occhio di riguardo in più nei confronti della qualità dei cibi e delle materie prime. Magari novità come quelle rappresentate dalla cucina molecolare non ci sfioreranno neanche da lontano, ma l’interesse nei confronti della cultura del cibo e il valore dato ai prodotti locali e biologici saranno sempre più frequenti.

L’Italia è uno dei Paesi più legati alla tradizione: secondo lei, tuttavia, quali culture culinarie influen80

zeranno maggiormente la nostra? È vero. Gli italiani, in genere, sono particolarmente legati alle proprie tradizioni, incluse quelle culinarie; ma è da tempo ormai che la cucina orientale, quella giapponese in primis, esercita una notevole influenza, seguita a ruota da quella cinese. Credo comunque che il Giappone, forte per l’appunto di una “cucina di qualità”, continuerà ad avere un peso specifico notevole sull’Italia, senza dimenticare tuttavia che nel nostro Paese sta riprendendo sempre più piede la cultura del cibo, non solo buono ma anche sano. Come potrebbe cambiare un semplice piatto di pasta nel 2050? Probabilmente si andrà incontro a porzioni microscopiche, frutto di un lavoro che dietro le quinte di una cucina è sempre meno manuale e sempre più strategico. L’orientamento del resto è verso la qualità, non verso la quantità, verso ingredienti selezionatissimi che andranno poi rielaborati in maniera creativa.

Cosa ne pensa della cucina a chilometro zero? È sempre più in voga nel nostro Paese e se ben utilizzata si può realizzare al 100%. In generale, però, preferisco parlare di “cucina del territorio”. E ciò che mi sta a cuore in particolar modo, è una cucina che sappia fondersi con la tradizione locale, legandosi alle materie prime del territorio che, anche se “povere”, andranno poi lavorate con tecnica eccelsa. E di quella molecolare, che in Italia dopo un inizio importante ha subito un forte stop, cosa ci dice? In realtà più che parlare di una battuta d’arresto significativa, bisognerebbe piuttosto considerare il fatto che la cucina molecolare ha portato alla ribalta un’infinità di proposte. Fra queste, probabilmente, da qui a 10 anni, solo alcune si concretizzeranno o, meglio, verranno inglobate dalla tradizione culinaria del nostro Paese. Quella molecolare è più che altro una “cucina di ricerca” e credo che come popolo noi


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italiani non siamo ancora pronti ad accettare novità di questo tipo. Secondo lei la cucina tradizionale potrebbe venir cancellata dalla ricerca e dalla scienza? Non penso assolutamente che ricerca e scienza possano anche solo minimamente mettere in crisi la cucina tradizionale: come già accennato, in Italia c’è un forte attaccamento alle tradizioni stesse e inoltre si guarda sempre con maggiore attenzione a cibi che siano genuini e di qualità, senza interferenze con manipolazioni scientifiche o simili. Cosa ne pensa della tesi del ricercatore olandese Marcel Dicke, secondo il quale tra non molti anni mangeremo tutti insetti, che sono abbastanza ricchi in proteine, hanno il giusto quantitativo di grassi e contengono minerali come ferro e calcio. Non c’è qualcosa di meglio degli insetti se si vogliono mangiare cibi “ecologici” e sani?

La tesi sostenuta da Dicke non mi convince affatto e anzi ritengo che oggi più che mai ci si orienti verso ciò che è “tradizione”. Gli ingredienti attualmente a nostra disposizione sono del resto già sufficienti per una cucina altamente creativa ma insieme semplice e spontanea, vicina alle persone. Mentre in Italia i bambini vanno al supermercato o in macelleria, negli USA e in Inghilterra alcuni chef hanno invece dimostrato come i più piccoli non conoscano nemmeno la differenza fra una patata e una carota. Quanto è importante la cultura del cibo? E perché? Sono assolutamente convinto dell’importanza della cultura del cibo. Un ruolo fondamentale nella trasmissione dei corretti valori e informazioni lo riveste senza dubbio famiglia da un lato e scuola dall’altro. Ma da sola la corretta alimentazione non basta, ci vuole anche lo sport per

un binomio che sia vincente e che insegni a prendersi cura, insieme, del corpo e dello spirito. Lei già otto anni fa ha guardato al futuro rompendo gli schemi nel campo della ristorazione. Oggi come e cosa vede nel suo futuro? Sono sicuro che in futuro proseguirò sulla stessa strada di oggi, lavorando con onestà e umiltà, ma cercando nuove sfide e motivazioni, sempre nel segno della qualità del prodotto e del rispetto delle persone, continuando così a crescere a livello sia umano sia professionale. Quali concetti chiave domineranno la cucina del domani? Il primo termine che mi viene in mente pensando alla cucina del futuro è “sano”, con un occhio di riguardo rivolto ancora una volta all’eccellenza dei prodotti utilizzati e al tempo stesso a prodotti sempre più stagionali e genuini, e quindi legati alla terra oltre che al territorio. z 81


PRIMO PIANO: IL GLOSSARIO DEL FUTURO

IL GLOSSARIO DEL FUTURO

DOPO LE INTERVISTE CON GLI ESPERTI NEI VARI CAMPI, È TEMPO DI TIRARE UN PO’ LE FILA. COME SARÀ IL NOSTRO FUTURO? UNA DOMANDA ASSAI AMBIZIOSA, ALLA QUALE RISPONDIAMO CON L’ELENCO DEI TERMINI CHE CON MAGGIORE FREQUENZA SONO RICORSI NELLE VARIE CHIACCHIERATE. ALCUNI GENERALI, ALTRI PECULIARI, MA TUTTI RICONDUCIBILI A DUE CONCETTI CHIAVE: QUALITÀ E DESIDERIO DI PARTECIPAZIONE E CONDIVISIONE. SARANNO DAVVERO LE PAROLE DEL FUTURO? CI AUGURIAMO DI SÌ.

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Acqua - L’acqua è uno dei principali elementi degli ecosistemi, l’elemento senza il quale non potrebbe esistere la vita di nessun organismo, ed è anche il maggior costituente del corpo umano. Attorno all’acqua l’uomo ha costruito le sue civiltà, le industrie e i suoi sistemi agricoli e attorno al tema dell’acqua ruotano concetti come “bene comune”, “controllo”, “spreco”, “geopolitica delle risorse” e problematiche sempre attuali come la disparità nella distribuzione delle provvigioni idriche tra i cinque continenti. Commistione - Mescolanza di generi (ad esempio letterari, musicali, gastronomici), senza snaturare l’originalità di ogni ispirazione, ma ciascuna implementandola con nuove suggestioni e calandola in nuove atmosfere. Condivisione/Democratizzazione - Nell’era di Internet e dei social network il termine “condivisione” non può che confermarsi anche in futuro. Le idee, le storie, le opinioni, le immagini, i contenuti viaggeranno sempre di più, saranno sempre più accessibili e alla portata di tutti. iPad - Non tanto i tablet in sé (dei quali probabilmente in futuro si troverà in commercio un modello nuovo ogni mese) quanto quello che questi dispositivi offriranno e comporteranno, anzitutto in termini di abitudini, mentalità, opportunità. Leggerezza - Quella ad esempio offerta dai supporti digitali che consentono l’assenza della materia (libri, dischi, giornali), quella offerta dal cloud computing, per le archiviazioni dei dati, e così via. Matematica classica - La matematica dei numeri primi, del teorema di Pitagora e dei poligoni, quella che tutti abbiamo studiato e che anche solo in minima parte ricordiamo, sarà anche quella che molto probabilmente non abbandoneremo mai e alla quale i libri di testo continueranno a dedicarsi. Multimedialità - Anche questa parola è figlia dell’era di Internet. Siamo già immersi nella multimedialità ma possiamo immaginare di esserlo sempre di più in futuro. La comunicazione, che si tratti di notizie di attualità, di gossip, di news dalle aziende o anche solo di pensieri personali, avverrà a più livelli: tra tradizione e innovazione, un contenuto ci verrà presentato non solo sotto forma di testo e di immagine ma anche in formato audio e visivo e parlerà non solo la lingua dei giornali o della televisione, ma anche quella dei social network, degli smartphone, dei tablets. Multipolarismo - A differenza di quanto avvenuto dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando a governare il mondo erano i due blocchi degli Stati Uniti e dell’URSS (bipolarismo), la tendenza dei sistemi internazionali del futuro sarà invece quella di distribuire la potenza tra diversi attori politici, geografici ed economici. Paesi Brics - Il Brasile, la Russia, l’India, la Cina e il Sudafrica sono i Paesi attorno ai quali si costruiranno i futuri assetti geopolitici

mondiali. A parte la vastità del territorio geografico, queste nazioni hanno in comune, soprattutto da dieci anni a questa parte, il forte accesso alle risorse naturali strategiche e, soprattutto, la notevole crescita del prodotto interno lordo. Partecipazione - La condivisione internettiana dei contenuti potrebbe avere come diretta conseguenza la partecipazione degli utenti a storie di fatti e persone che fino a questo momento non avevano richiamato l’attenzione. Potrebbe spingere gli utenti e le community a partecipare di un evento anche solo raccontandolo o condividendolo, fino a giungere a formule di diffusione e sostegno (spesso non organizzato) come il crowdsourcing, il citizen journalism, la fotografia sociale. Qualità - Che si tratti di quello che decideremo di leggere per nutrire le nostre menti, dei prodotti dei quali ci circonderemo, di quello che metteremo in tavola, la parola d’ordine delle nostre scelte non potrà che essere “qualità”. L’unica cosa che con il tempo paga e può fare la differenza. Alla faccia di chi crede che la logica più seguita sia sempre quella del prezzo! Rigenerazione - Concetto che potrebbe portare a grandi e importanti novità nel mondo della medicina e che indica il processo per cui, utilizzando le cellule staminali del paziente stesso, si prova a ripararne o sostituirne i tessuti e gli organi danneggiati. Sicurezza - La sicurezza del domani riguarderà sempre più il benessere delle nostre società e le risorse che consentono di mantenerlo: si tratterà pertanto di sicurezza energetica, alimentare, ambientale così come quella legata all’accesso alle infrastrutture di trasporto e comunicazione. Sarà anche sicurezza dell’individuo, intesa come libertà dal bisogno, dalla paura e dalla costrizione. Smart life - Per una società nella quale la tecnologia sia a supporto dell’uomo e dell’ambiente (e non viceversa). Riducendo gli sprechi, ottimizzando le risorse. Tecnologia - Mentre una parte del mondo fatica per stare al passo e per appropriarsi di quelli che ora sono gli strumenti e i dispositivi conosciuti e utilizzati dall’Occidente, il progresso tecnologico non si fermerà mai. Ma chissà che in futuro a questo non si accompagni una diminuzione del divario che esiste tra i Paesi che hanno libero e facile accesso alla tecnologia e quelli che faticano a starle dietro. Ubiquitous computing - Il concetto richiama la disponibilità di accedere a diversi apparecchi e sistemi (ad esempio: il cellulare, la televisione, il computer, gli elettrodomestici) contemporaneamente, nel corso di normali attività, per poter essere sempre ovunque e poter costruire una folta trama sociale. Umanizzazione - A fronte di tanta tecnologia, di rapporti sociali digitalizzati, nel futuro è però auspicabile un ritorno al contatto con la vita vera, riportando al centro dei nostri interessi l’uomo e la sua storia. z 83


STORIE DI QUALITÀ: CARBON DISCLOSURE PROJECT

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IL FUTURO DELL’AMBIENTE?

IN BORSA

CARBON DISCLOSURE PROJECT, LA MISURA DEL SOSTENIBILE CHE PIACE ANCHE AI LISTINI QUALCUNO LO HA DEFINITO UN MEZZO CHE, PER L’AMBIENTE, RAPPRESENTA QUELLO CHE I RAGGI X HANNO SIGNIFICATO PER LA MEDICINA. ALTRI NE HANNO PARLATO COME DI UNO “STRUMENTO VITALE”. OLTRE ALLE DEFINIZIONI E AI PARAGONI, UNA COSA È CERTA: PER LE AZIENDE, IL CARBON DISCLOSURE PROJECT (CDP) OFFRE UN ATOUT IN GRADO DI DARE VALORE ECONOMICO AGLI INVESTIMENTI EFFETTUATI IN TERMINI DI CAMBIAMENTO CLIMATICO. MA ANCHE UN MEZZO IN GRADO DI DIMOSTRARE CHE IL PROFITTO NON È PIÙ IL SOLO STRUMENTO PER MISURARE LA CAPACITÀ COMPETITIVA DI UN’AZIENDA.

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DP sta per Carbon Disclosure Project. Vi dice qualcosa? Probabilmente no, se non ciò che potete desumere dalla sua traduzione letterale. Vi forniamo allora qualche altro indizio. CDP è uno strumento che premia la qualità e la trasparenza delle aziende. La qualità delle azioni attuate in ottica di lotta al cambiamento climatico (performance), e la trasparenza con la quale tali attività vengono divulgate (disclosure). Ma è anche un mezzo contro il greenwashing poiché, essendo gestito da un soggetto indipendente (di parte terza), diventa garanzia di obiettività e comprovata corrispondenza rispetto a quanto dichiarato. Uno strumento che, per l’incidenza di questi ultimi aspetti, è riuscito

a trasformare l’attenzione per il cambiamento climatico in reddito, diventando un importante indice di borsa. Andate su Google Finance, su Thomson Reuters, oppure su Bloomberg, inserite un titolo e poi in Key stats and ratios cercate il codice CDP. Accanto troverete una percentuale: ebbene quello è il voto che il Carbon Disclosure Project, basandosi sulla valutazione di disclosure e performance, ha assegnato a un’azienda. Un indice che viene analizzato dagli investitori nelle transazioni in borsa. Tanto più il voto è vicino al 100%, tanto più l’azienda è affidabile, e tanto più è affidabile tanto più sarà in grado di dare valore economico agli sforzi fatti in termini di cambiamento climatico.

Un po’ di storia Ma facciamo ora un passo indietro per raccontare un po’ di storia. Il Carbon Disclosure Project è stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 2008 (CDP Italy), ma è presente da più di dieci anni negli altri paesi, nei quali è diventato uno strumento fondamentale per i decision maker in ottica di scelte di investimento, prestiti e analisi assicurative. In pratica si tratta di un documento, frutto di attente valutazioni e analisi, nel quale viene dato un voto, e dunque una graduatoria, alle aziende che hanno avviato azioni in termini di lotta ai cambiamenti climatici. La valutazione viene assegnata, come dicevamo, in base alla qualità delle informa-

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STORIE DI QUALITÀ: CARBON DISCLOSURE PROJECT

zioni utilizzate per divulgare in modo trasparente le politiche ambientali e alla bontà delle iniziative avviate. È uno strumento che, all’unanimità, è considerato indispensabile per la tutela del nostro Pianeta e per la crescita delle aziende. Christiana Figueres, Executive Secretary della UN Framework Convention sul Climate Change (UNFCCC), ha riconosciuto al CDP, in ambito climatico, la stessa portata che i raggi X hanno rappresentato per il futuro della medicina. Rupert Murdoch ne ha elogiato l’indiscutibile capacità nel supportare le aziende nell’individuare i rischi, ma soprattutto le opportunità offerte dal cambiamento climatico. E ancora, Bill Clinton lo ha definito come un progetto vitale. L’Executive Director della Goldman Sachs Global ha invece messo in evidenza l’obiettività di questo sistema, in grado di offrire un metodo unico, standardizzato e confrontabile nella valutazione delle performance climatiche. Come funziona Anzitutto è bene chiarire che si tratta di un programma volontario. Viene proposto da CDP alle aziende con maggiore capitalizzazione di mercato (in Italia sono oggi 100). Tuttavia, ci sono società, magari anche non capitalizzate, che chiedono di aderirvi in maniera volontaria, senza aver ricevuto una proposta da parte del CDP. Chi partecipa al programma deve affrontare, come primo passo, un questionario. È la fase forse più lunga e complessa, perché la compilazione prevede una profonda conoscenza dei flussi e delle strategie aziendali in termini ambientali, e soprattutto la capacità di reperire i documenti a supporto delle dichiarazioni effettuate. Ma è un passaggio indispensabile, come potrebbe essere, per usare una similitudine medica, l’anamnesi. E come nell’anamnesi avviene la raccolta, dalla voce diretta del paziente e/o dei suoi familiari, di tutte le informazioni indispensabili al medico ad elaborare la diagnosi e a prevenire eventuali rischi dati da familiarità, così nella raccolta delle notizie per la compilazione del questionario CDP viene data alle aziende l’opportunità di individuare “lo stato di salute” della propria politica ambientale, di evidenziare i potenziali rischi ma anche gli ambiti di intervento e miglioramento. Una volta completato, il questionario con la relativa documentazione viene sottoposto al vaglio di un ente al di sopra delle parti. Anzitutto per valutare la corrispondenza/trasparenza dei dati dichiarati, poi per giudicare, secondo parametri condivisi e obiettivi, la bontà delle iniziative avviate. Il tutto per poi essere tradotto nel famoso voto in percentuale che va a qualificare sul mercato, disclo86

sure e performance dell’azienda. Uno strumento di miglioramento per le aziende, un indice per il mercato Come evidenziato all’inizio dell’articolo, il valore finanziario del programma CDP coinvolge stakeholder, investor, public procurement. Ma non è questo l’unico aspetto. Infatti, dalla dichiarazione di personaggi autorevoli, emergono altri vantaggi in termini aziendali, di miglioramento delle strategie organizzative e di ottimizzazione delle risorse. Prova ne è il fatto che oggi, più di 3.700 organizzazioni presenti nei paesi a maggiore sviluppo economico, rilevano le proprie emissioni di gas effetto serra e analizzano i rischi e le opportunità legate al climate change, attraverso il CDP, con l’obiettivo di stabilire gli obiettivi di riduzione e migliorare i risultati. A questi due ambiti occorre infine aggiungere un terzo punto, legato alla credibilità aziendale sui consumatori diretti. L’adesione al CDP è infatti di per se stessa una dichiarazione di trasparenza e di volontà di miglioramento. Due requisiti sempre più richiesti anche dai consumatori, ormai sensibili al rischio del greenwashing e attenti a scelte e soluzioni sostenibili. z

Vantaggi •

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Valorizzazione economica degli investimenti fatti in ambito di sostenibilità. Visibilità nel settore della finanza. Garanzia di trasparenza nei confronti di stakeholder, mercato e consumatori. Ottimizzazione delle risorse aziendali. Prevenzione dai rischi dovuti al cambiamento climatico.

Svantaggi •

Alla prima adesione, investimento in termini di tempo per la compilazione del questionario e la raccolta della documentazione necessaria (tempo indirettamente proporzionale al livello di maturità della politica ambientale avviata dall’azienda e al livello di coinvolgimento dei ruoli direttivi).


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IMQ INVESTOR CDP SCORING PARTNER 2012 Per il 2012 è stato affidato a IMQ l’incarico di assegnare un punteggio alla completezza, trasparenza e qualità della comunicazione delle emissioni e delle iniziative finalizzate alla lotta al cambiamento climatico, avviate dalle aziende italiane con maggiore capitalizzazione (CDP Italy 100).

CDP NEL MONDO Il Carbon Disclosure Project (CDP) è un’organizzazione no-profit indipendente che offre ad aziende e Paesi, un sistema per rilevare, misurare, gestire e condividere a livello globale informazioni riguardanti il cambiamento climatico e idrico. Oggi più di 3.700 organizzazioni presenti nei Paesi a maggiore sviluppo economico, rilevano le proprie emissioni di gas effetto serra e analizzano i rischi e le opportunità legate al climate change, attraverso il CDP, con l’obiettivo di stabilire gli obiettivi di riduzione e migliorare i risultati. Il CDP è supportato da 655 investitori istituzionali, che gestiscono oltre 78 miliardi di dollari, e detiene il più grande database internazionale contenente le informazioni sulle politiche di gestione del climate change attuate dalle più importanti organizzazioni mondiali. Per maggiori informazioni: www.cdproject.net

GAS SERRA, ACQUA, CITTÀ E CATENA FORNITORI La conferma della validità del sistema CDP è data dai numeri, ma anche dagli ambiti di operatività, sempre più numerosi, nei quali viene utilizzato come metodo standard di riferimento. Ad oggi, accanto alla valutazione delle strategie in termini di cambiamento climatico attuate dalle aziende (Investor CDP) vi è anche quella delle città (CDP Cities) della Pubblica Amministrazione (CDP Public Procurement) dei fornitori (CDP supply chain). CDP, infine, è utilizzato anche nella valutazione delle politiche di efficienza idrica (CDP water disclosure).

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STORIE DI QUALITÀ: CARBON DISCLOSURE PROJECT

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO COME STRATEGIA Sebbene l’attenzione per il cambiamento climatico sia in continua crescita anche in Italia e sebbene sempre più ci si stia rendendo conto dell’equazione sostenibilità=redditività, è altrettanto vero, però, che la media delle aziende italiane non è ancora del tutto attrezzata per affrontare le sfide del clima. Per capire perché e per comprendere cosa ci differenzia dagli altri Paesi, più avanzati in tali ambiti, abbiamo intervistato Diana Guzman, direttore Sud Europa del CDP.

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ome mai gli italiani non sono ancora attrezzati per misurare le loro emissioni e in azienda la cultura della sostenibilità non ha la stessa importanza che può avere, ad esempio, il marketing? Tante imprese stanno cominciando solo ora a misurare le loro emissioni e i rischi legati al cambiamento climatico. La maggior parte delle aziende con cui siamo in contatto, infatti, inizia per la prima volta a riflettere su questo tema nel momento stesso in cui riceve il questionario del CDP, le cui domande stimolano ad iniziare un percorso verso un futuro sostenibile. Noi cerchiamo di sostenerle nel processo di apprendimento anche attraverso l’uso degli indici di leadership, in termini di disclosure e performance. Il benchmark è richiesto dalle aziende stesse che desiderano posizionarsi opportunamente rispetto ai loro competitor. La testimonianza di come il questionario CDP sia stato da stimolo per numerose aziende nell’avvio di un percorso di sostenibilità ambientale, sono tante. Ad esempio Boeing ha iniziato la sua riflessione sulle risorse energetiche nel 2007,

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quando venne a conoscenza del questionario del CDP. Più le imprese imparano e sono informate, più sono in grado di prendere delle decisioni strategiche in termini di risparmio energetico, proteggendo il loro business dal rischio del cambiamento climatico. A onor del vero, qualche impresa sta già integrando la sostenibilità nella sua strategia di business, e la decisione spesso proviene dal Consiglio di Amministrazione. Purtroppo, però, la maggior parte delle aziende deve ancora concepire la sostenibilità come una parte importante della strategia globale di business. La sostenibilità non dovrebbe essere radicata in un solo reparto specifico, ma in tutta l’impresa. Sono tuttavia certa che, contemporaneamente all’aumento della consapevolezza dei costi legati alla mancanza di una strategia sostenibile, aumenteranno anche le imprese che si renderanno conto della necessità di agire. La sostenibilità diventerà dunque sempre più importante in tutte le organizzazioni, soprattutto in quelle che vogliono raggiungere una posizione di leadership.

La prima volta del CDP in Italia è stata nel 2008. Su 40 aziende quotate in borsa, alle quali venne offerto di partecipare al questionario CDP, ne aderirono 18. Nella seconda edizione del 2010, 60 aziende sono state coinvolte e 21 hanno aderito. Nel 2011, 100 aziende sono state invitate e 35 hanno partecipato. La percentuale è salita al 35% (a fronte di un 90% in scala europea e 81% in ambito internazionale). Ora siamo alla quarta edizione e su 100 aziende il numero delle adesioni sembra essere ulteriormente in crescita. Ma alcune esitazioni permangono. Come mai? Alcune delle aziende italiane a cui abbiamo inviato la nostra richiesta di “disclosure” non dispongono ancora delle risorse umane interne necessarie per trattare questo tipo di richieste da parte degli investitori. Altre imprese sono convinte di non generare emissioni, e pertanto di non influire sull’ambiente, semplicemente perché non appartengono ai settori così chiamati “carbon intensive”. Indipendentemente dal settore industriale


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al quale un’impresa appartiene, tutte consumano elettricità, calore e raffreddamento; la maggior parte di esse, poi, è attiva in diversi paesi e dispone quindi di una “supply chain” (catena di fornitura), con i dipendenti che devono intraprendere dei viaggi di lavoro. Tutte queste attività del “business as usual” creano delle emissioni e devono essere prese in considerazione. Ma non solo. CDP e gli investitori che rappresentiamo sono interessati anche a comprendere come le aziende saranno coinvolte direttamente dal cambiamento climatico. Esse potrebbero dover affrontare rischi legati al climate change con un impatto diretto sul valore dei loro shareholder (“shareholder value”). Ad esempio costo della CO2, nuove misure di politica ambientale, aumento dei costi di approvvigionamento energetico e prezzo delle commodities, impatti di disastri ambientali sulla supply chain, carenza idrica e molti altri che dipendono dal settore specifico di appartenenza. Oltre ai rischi, rispondendo al questionario CDP le imprese possono anche identificare delle opportunità: riduzioni dei costi attraverso l’implementazione di misure di efficienza energetica (molto importante in questo periodo di crisi), opportunità per l’innovazione di prodotto, impatti positivi sulla reputazione risultanti da un posizionamento dell’impresa come leader in sostenibilità, etc. È possibile identificare le risorse (tempo e forza lavoro) e quantificare i costi necessari a un’azienda per completare il questionario CDP? Tutto dipende da quanto impegno e risorse un’impresa vuole investire nella compilazione del questionario CDP e dalla facilità di accesso ai dati e alle procedure interne aziendali necessarie per la compilazione. Le aziende che partecipano al CDP trovano che il primo anno sia quello più difficile perché non sempre sanno da dove o da chi ottenere le informazioni al loro interno. Le edizioni successive diventano più semplici: non solo perché a quel punto conoscono già dove trovare le informazioni rilevanti, ma anche perché la loro risposta migliora in termini di qualità e completezza della disclosure. Tante aziende che fanno disclo-

sure per la prima volta utilizzano il questionario del CDP per meglio strutturare la loro strategia ambientale. E il loro “scoring” gli permette di comprendere meglio dove si trovano nei confronti dei competitor e dove dovrebbero posizionarsi nel futuro. È possibile quantificare in termini di redditività i vantaggi derivanti dal sistema CDP? Benefici ce ne sono tanti. Come accennato prima, sono rappresentati anzitutto dall’aumento della consapevolezza che si può ottenere tramite la risposta al questionario. Partecipare al CDP aiuta a portare il tema della lotta contro il cambiamento climatico sull’agenda del board, ed è questo l’elemento principale per trasformare la sostenibilità in un tema strategico e spingere l’impresa ad agire. Prendiamo l’esempio di Walmart che ha apertamente espresso l’utilità del questionario CDP. Grazie ad esso, infatti, è arrivato a realizzare come le sostanze refrigeranti utilizzate nei suoi supermercati emettessero più della sua intera flotta di tir. E sempre grazie al CDP si è reso conto di poter intervenire e ridurre le emissioni. L’apprendimento e il valore acquisito erano tali che decise di applicare CDP anche ai propri supplier e monitorare in questo modo gli impatti della catena di fornitura. Non tutte le imprese dichiarano la riduzione dei costi. Tra quelle invece che lo hanno fatto cito Logica, che utilizza il CDP come lo strumento principale per avanzare il proprio “corporate reporting”, e che ha dichiarato di aver risparmiato un valore stimato di 10 milioni di sterline attraverso diverse azioni legali al cambiamento climatico. Un altro esempio è la News Corporation che ha reso noto come la procedura necessaria per rispondere al questionario CDP abbia dato loro evidenza di alcune opportunità da affrontare strategicamente al punto da integrare l’efficienza energetica nella loro strategia di business. Vijay Sudan, manager alla News Corporation’s Global Energy Initiative, ha infatti dichiarato: “Il processo CDP ci ha permesso di vedere il nostro business in termini di emissioni e di costi di energia. Con CDP abbiamo

capito che l’80% delle nostre emissioni derivano dall’elettricità, la maggior parte degli uffici e dell’illuminazione. Intervenendo su quelli si possono ottenere notevoli risparmi. Alcuni dei progetti avviati ci hanno infatti consentito di risparmiare costi legati alla CO2 di circa 180 dollari per tonnellata”. Al CDP possono aderire anche aziende non quotate in borsa e se sì, con quali vantaggi? L’anno scorso abbiamo avviato un progetto pilota in Germania, chiamato la “Mittelstand Initiative”, che si occupa della disclosure da parte di imprese non quotate. I benefici che queste aziende acquistano sono molto simili a quelli che le aziende quotate possono realizzare con la loro risposta: aumentare la trasparenza verso gli stakeholder, evitare rischi, identificare delle opportunità, ridurre costi, ecc. Inoltre permette alle stesse imprese di paragonarsi con le aziende quotate nel loro settore e, allo stesso tempo, di acquisire un vantaggio competitivo rispetto agli altri competitor non ancora in borsa. In ottica di cambiamento climatico e sostenibilità, quali sono, secondo lei, le parole del futuro? In un'economia mondiale dalle risorse limitate, quelle aziende che misurano, comunicano e riducono le loro emissioni, avendo una chiara comprensione dei rischi e delle opportunità, otterranno un vantaggio competitivo. Queste aziende avranno una chiara comprensione su come creare opportunità per l'innovazione, garantendosi una posizione tra i leader del futuro. Ma, ancor più importante, faranno un passo avanti verso una crescita sostenibile riducendo la loro dipendenza da materiali sempre più limitati e generando valore nel lungo termine per gli stakeholder. E mentre siamo in attesa di un accordo globale sulle emissioni, è importante che le imprese continuino ad andare avanti, innovando e cercando le opportunità di fare di più con le risorse a disposizione. Questo è indispensabile per uscire dalla crisi economica e aver un posto in una futura economia a basse emissioni. z 89


QUALITÀ DELLA VITA: HOBBY

Volevamo dedicare questo articolo alla riscoperta della scrittura a mano. Poi ci siamo imbattuti in una mostra che associava la calligrafia sino-giapponese al “mottainai”, un’antica parola giapponese che oggi indica anche una nuova e interessante tendenza ecologica. Incuriositi siamo andati da chi ha organizzato l’evento, per scoprire che dietro c’è un’associazione, shodo.it*, e due autorevoli nomi: Carmen Covito, scrittrice ma anche studiosa di cultura giapponese e il maestro calligrafo Bruno Riva. Intervista a Carmen Covito e Bruno Riva * SHODO.IT È UN'ASSOCIAZIONE CULTURALE SENZA SCOPO DI LUCRO, COSTITUITA NEL 2007 A MILANO PER PROMUOVERE LA CONOSCENZA DELL'ARTE DEL GIAPPONE E DELL'ESTREMO ORIENTE E IN PARTICOLARE LO STUDIO, LA DIFFUSIONE E LA PRATICA DELLA CALLIGRAFIA.

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MOTTAINAI!

QUANDO LA “BELLA SCRITTURA” PREVIENE LO SPRECO

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ensavamo che l'attenzione per i consumi e soprattutto per gli sprechi, fosse figlia dei nostri tempi, e invece poi scopriamo che nella lingua giapponese e nella religione buddista non è certo una novità. Ma partiamo dall'inizio: cosa significa la parola Mottainai e a quando si fa risalire. La parola “mottai” 勿体 indicava in origine la dignità intrinseca in ogni oggetto materiale: la sacralità delle cose. La costruzione negativa “mottainai” 勿体無い, che significa letteralmente “non avere mottai” veniva usata nella tradizione buddhista per lamentare lo spreco o l’abuso di qualcosa di sacro o degno di grande rispetto. Dicendo “Mottainai!” in giapponese si esprime rammarico per lo spreco di oggetti materiali, di tempo e di ogni altra risorsa preziosa. Quando si riceve un regalo o un’attenzione, è cortese usare questa espressione riferita a se stessi (“è uno spreco dare a me questa cosa!”) per sottolineare la generosità del donatore. Oggi “Mottainai!” è diventata la parola d'ordine di un movimento di sensibilizzazione ambientalista. È una nuova tendenza, che reagisce al consumismo in nome di uno stile di vita più semplice e più libero, all’insegna del riciclo, del riutilizzo, del rispetto per gli oggetti. La vostra Associazione ha organiz-

zato una mostra che ha affiancato il concetto del non spreco alla calligrafia sino-giapponese: perché questo accostamento? Dopo una prima fase di attività organizzative in ambito espositivo, alcuni anni fa abbiamo deciso di progettare soprattutto mostre tematiche per proporre al pubblico occidentale una visione più comprensibile della calligrafia e di quanto possano essere ampie e ricche le sue forme espressive, nonostante i limiti che sarebbero stati posti dall’imposizione di un tema comune; abbiamo pensato che ciò potesse inoltre stimolare il confronto e il dibattito tra i calligrafi, soprattutto quelli occidentali. La scelta di “Mottainai” è semplicemente scaturita dalla sensibilità dei membri di comitato dell’associazione, dalle preoccupazioni che condividiamo nei confronti del presente e del futuro e dalla comune volontà di trasmettere dei messaggi grazie alla calligrafia. Possiamo provare a offrire una sintesi della differenza tra la calligrafia occidentale e quella orientale, in particolare per quanto riguarda il loro significato? Innanzitutto la calligrafia cinese si esegue da millenni, a pennello e inchiostro. Negli ultimi anni molti calligrafi l’hanno introdotta nella pratica della calligrafia occidentale, quelle che si vuole considerare maggiormente creativa, ottenendo degli interessanti risultati, ma questo non ha mutato lo scarto che separa queste due pratiche calligrafiche. La vera differenza consiste nelle specificità dei caratteri han,

o caratteri cinesi. Questi caratteri di scrittura sono oltre sessantamila e costituiscono la ricchezza, il vero patrimonio su cui si basa la calligrafia dell’Asia orientale. Tra la nostra scrittura alfabetica e quella logografica vi è uno scarto abissale. Anche un carattere semplice, di pochi tratti, ha un significato preciso, quando lo si traccia si sta attribuendo una precisa forma a un oggetto, a un’azione, a un concetto. Praticamente tutti i caratteri hanno un legame con una ridotta serie di elementi radicali, che sono a loro volta dei caratteri di scrittura e hanno origini pittografiche. Soprattutto quando s’impiegano le forme di scrittura antiche le sintesi pittografiche sono riconoscibili e mentre si dà vita al testo è come se si stesse dipingendo o disegnando schematicamente. Sapere scrivere bene, o avere una buona “via di scrittura”, che significato ha oggi? Scrivere bene è principalmente un piacere per se stessi. Avere una buona “via di scrittura” significa sentirsi con soddisfazione in cammino verso una meta sconosciuta che ci sta attirando perché il percorso è avvincente. Il loro significato oggi? Direi inoltre che se si scrivono dei contenuti che comunicano qualcosa di utile agli altri e lo si fa tramite una forma che trasmette ripetutamente piacere e sorpresa, si sta veramente percorrendo una “buona via di scrittura”. La calligrafia cos'è: un'arte, una disciplina, una forma spirituale? Come dicevo, dipende esclusivamente 91


QUALITÀ DELLA VITA: HOBBY

dagli intenti di chi la pratica. Può essere ciascuna di queste cose ma anche più d’una di esse contemporaneamente. È però anche una disciplina che ha una dimensione collettiva. Senza dubbio la si pratica seguendo un percorso e un ritmo individuali anche se si lavora in gruppo, ma il confronto con gli altri e l’osservazione delle loro opere sono molto importanti. Assistendo alle difficoltà e ai successi degli altri si acquisiscono fiducia e sicurezza. Si può inoltre osservare quanto ciascuno di noi sia unico e dotato di un’espressività che può essere affinata seguendo un percorso specifico che non sarebbe adatto ad altri. Si capisce che ognuno si confronta con limiti, difficoltà e doti diverse; che un po’ di concorrenza fa bene ma che la collaborazione amichevole e il sostegno reciproco sono ancora più utili. Che rapporto c'è tra calligrafia e spiritualità e questo rapporto vale solo per le calligrafie orientali o coinvolge anche quelle occidentali? Calligrafia e spiritualità s’incontrano solo se ciò rientra negli intenti di chi le pratica. Per un monaco Zen, ad esempio, la calligrafia potrebbe semplicemente costituire un’utile disciplina da porre al servizio della sua ricerca spirituale. Questo non ha nulla di riduttivo e non significa che le sue opere non possano essere dense di valore espressivo, esteticamente interessanti, tecnicamente valide e in sintonia con le creazioni di altri calligrafi che hanno un altro approccio a questa disciplina. Va detto però che la calligrafia dell’Asia orientale si presta particolarmente a stabilire un legame con la spiritualità. Anche senza considerare il significato dei testi. Se non la s’interpreta come un semplice atto scrittorio, come se fosse una distratta registrazione d’un testo qualsiasi, diviene una pratica che richiede la massima concentrazione, la totale presenza nel gesto, l’unità tra corpo e cuore-mente. Ci si perde in un’unità di se stessi con il mondo che ci circonda. Questo atteggiamento lo si può facilmente ritrovare nella pratica di altre discipline, anche nella calligrafia occidentale. Se fossi un monaco trappista molto probabilmente vorrei sentir rompere il silenzio solo dal fruscio della penna sulla pergamena mentre sarei intento alla copiatura di un

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testo sacro. Questo rumore sarebbe come una melodia che diffonde nel mondo parole edificanti e sacre come se fossero rintocchi di campana. Certo, sarebbe piuttosto anacronistico e poco produttivo, ma penso che questo sia uno dei limiti e dei pregi della calligrafia, di non avere notevoli sbocchi pratici, se si eccettuano quelli offerti dal mercato dell’arte che però in Occidente è quasi inesistente. Si scrive ancora a mano? In Occidente forse sempre meno. In Oriente? Anche in Cina e in Giappone la diffusione dei mezzi elettronici sta portando a una minore pratica dello scrivere a mano, e lì può diventare un problema molto più grave che da noi, perché scrivere a mano è indispensabile per memorizzare gli ideogrammi e non dimenticare l'ordine dei loro tratti. Il successo che sta avendo tra i giovani giapponesi la calligrafia intesa come arte moderna si può spiegare anche con questa necessità di recuperare una manualità che si sta perdendo: per comunicare vanno benissimo le tastiere dei computer e dei telefonini, per esprimersi si riprende in mano il pennello. Signora Covito, Tirrena, la protagonista principale del suo ultimo romanzo (Le ragazze di Pompei, Barbera Editore), stava le ore a guardare i copisti e sapeva apprezzare le qualità della carta “fogli splendidamente flessibili, levigati, bianchissimi, che mi cedette con una scrollata di spalle fatalista e un buffetto. Secondo lui, il futuro del libro è nella pergamena”: quanto conta la carta per una buona calligrafia? In tutta l'antichità la carta è sempre stata

un bene raro e prezioso: per risparmiare papiro, i greci scrivevano note e appunti su cocci di terracotta, i famosi 'ostraka' che venivano usati anche come schede elettorali. I romani, più pratici, inventarono le tavolette cerate su cui si poteva scrivere, cancellare e riscrivere. Anche le pergamene non furono mai “usa e getta”, e infatti abbiamo molti palinsesti, cioè testi scritti su pergamene riutilizzate anche più di una volta. In Cina, i maestri facevano esercitare gli allievi a scrivere sulla sabbia, prima di dare loro in mano pennello, carta, inchiostro e pietra per stemperare l'inchiostro, non a caso chiamati “i quattro tesori del calligrafo”. Nel Giappone dell'epoca Heian, dove lo scambio di lettere e poesie tra dame e gentiluomini della corte imperiale era un dovere sociale e insieme un'arte raffinatissima, alla scelta della carta veniva dedicata un'attenzione particolare. Sbagliare il tipo di carta o il colore poteva essere un errore di gusto imperdonabile, ma se l'errore era voluto costituiva un messaggio da interpretare. Nel romanzo più famoso della letteratura giapponese, il “Genji Monogatari”, c'è proprio un episodio in cui una dama risponde a un corteggiatore scrivendogli su un pezzo di carta già usata: e basta questo per fargli capire di non essere gradito. D'altra parte, anche in epoche successive tutti, nobili e samurai, portavano sempre con sé qualche foglio di carta, infilato nello scollo del kimono, e quando venivano utilizzati per scrivere poesie questi fogli si coprivano di annotazioni varie, dal tema della gara poetica ai commenti degli ascoltatori, fino ad assomigliare a fogli di bloc notes coperti di scrittura fittissima. Insomma, non si sprecava mai nulla. Ma anche oggi, come allora, il modo migliore per non

CALLIGRAFIA ED ETIMOLOGIA

Insieme ai prodotti industriali, diversi elementi della cultura giapponese hanno avuto una forte diffusione in Occidente nel secondo dopoguerra. Sono arrivati lo Zen 禪, le arti marziali, i manga 漫画 e seppur in misura minore anche la calligrafia, che si è fatta conoscere in Occidente con il termine maggiormente usato in Giappone, shodô 書道, che abbina al termine “scrittura” quello di origine taoista di “via, percorso” come avviene in altre pratiche influenzate dallo Zen. Se la pratica della calligrafia si riducesse a questa tendenza la si potrebbe considerare in prevalenza una pratica strumentale a fini religiosi o di ricerca spirituale. In realtà anche nell’arcipelago giapponese gli approcci sono diversi e più ricchi di sfumature di quanto generalmente s’immagini.


IMQ NOTIZIE n.96

sprecare è conoscere i diversi materiali e scegliere di volta in volta quelli più adatti allo scopo che ci si propone. I diversi tipi di inchiostro interagiscono in modo diverso con i diversi tipi di carta, e così anche i diversi tipi di pennelli.

Oggi Tirrena passerebbe le ore a osservare i calligrafi o chi scrive al computer? Se la pompeiana Tirrena avesse potuto osservare i calligrafi cinesi e giapponesi si sarebbe divertita moltissimo, e penso che avrebbe capito perfettamente i loro metodi.

Maestro Riva, l'amore per la calligrafia, è preceduta da una passione per una determinata cultura o può scaturire semplicemente da un desiderio di espressione artistica? I motivi che spingono ad avvicinarsi alla pratica e allo studio della calligrafia sono numerosi. Principalmente, consistono nell’interesse per le culture dell’Asia orientale, l’attrazione esercitata dai caratteri cinesi che costituiscono un mondo affascinante, o la volontà di trovare una pratica artistica che permetta a chiunque di esprimersi in modo libero. Non manca la curiosità degli artisti che vogliono semplicemente arricchire le loro competenze tecniche nell’uso dell’inchiostro e dei pennelli. Chi non possiede doti artistiche, la cosiddetta “bella mano”, può imparare l'arte calligrafica? In effetti, non trattandosi di “bella scrittura”, è praticabile da chiunque. Le difficoltà non consistono nel dover avere una “bella mano”, ma nel trovare la necessaria disponibilità per acquisire la tecnica, per tracciare ripetutamente un singolo tratto cercando di migliorarne l’esecuzione. L’arte calligrafica può essere utilizzata anche

come terapia? Senza dubbio la calligrafia può costituire anche una terapia, anzi, direi che lo è quasi sempre, almeno come forma di prevenzione; basta che non la si interpreti come un fastidioso dovere o come un angosciante sforzo teso a ottenere risultati troppo ambiziosi, altrimenti si trasformerebbe in una ulteriore fonte di stress. Se però si supera anche questa fase… Per quanto mi riguarda, a volte sento che la calligrafia si condensa nel semplice piacere di reggere un pennello nella mano, imbevuto d’inchiostro, verticale sul foglio bianco. Nel momento di stasi ritrovo la sensazione di pensare un’ultima volta che non devo più riflettere sulla forma che voglio tracciare perché la conosco già come conosco l’inchiostro, la carta e il pennello che è un prolungamento della mano e del braccio. Nell’attimo in cui tutti questi elementi si fondono scatta l’impulso e il pennello inizia a lasciare tracce sulla carta, il movimento procede regolarmente e ad ogni segno che la carta registra ne consegue spontaneamente un adattamento dei movimenti successivi del pennello, una nuova inchiostratura quando necessario, un cambiamento di ritmo, un aumento o una riduzione di pressione della mano sul pennello fino alla conclusione dell’opera. Durante questo processo, se la concentrazione è totale, la visione del dettaglio che si sta scrivendo si abbina a quella dell’insieme dell’opera; ma non mancano neppure il risuonare del significato dei singoli caratteri e del testo, accompagnato dal proprio respiro, che scandisce l’azione calligrafica come un metronomo. z

Dicendo “Mottainai!” in giapponese si esprime rammarico per lo spreco di oggetti materiali, di tempo e di ogni altra risorsa preziosa.

LA CALLIGRAFIA SINO-GIAPPONESE E I CALLIGRAFI Si tratta di una pratica in cui s’impiegano strumenti semplici: inchiostro 墨, carta 紙, pennello 筆 e calamaio (“pietra da inchiostro”) 硯. Sono attrezzi e materiali elementari, che possono essere di fattura modesta o raffinata, ma per padroneggiarli sono richieste conoscenze e competenze che si affinano solo con la pratica costante, grazie a lunghi esercizi di copiatura e di osservazione dei modelli antichi e contemporanei. La storia della calligrafia cinese e giapponese non ha nulla da invidiare a quella della pittura occidentale; è sufficiente entrare in una libreria specializzata in Cina o in Giappone per rendersi conto della quantità di titoli dedicati a monografie, antologie, dizionari degli autori, ecc. Non solo in termini di quantità delle opere ma anche della loro varietà e della differenziazione delle potenzialità creative. Un calligrafo può far uso di una forma di scrittura e di uno stile adeguato a ogni situazione e a ogni stato d’animo. Può scegliere di esprimersi tramite tratti sottili e fluidi o larghi e potenti, o ancora scegliere di usare spessori di tratti modulati e andamenti ritmati, ecc. Le scritte che si otterranno potranno essere totalmente diverse negli esiti formali, frutto della creatività e della volontà comunicativa del loro autore. Esse saranno la registrazione dell’azione del calligrafo e conterranno il suo gesto, il tempo esecutivo: l’energia impressa al pennello è testimoniata dalle tracce dell’inchiostro sulla carta. Ogni accelerazione, ogni esitazione sarà visibile. Tutte le calligrafie sono un evento: alcune è meglio scartarle, altre le si trova interessanti, magari ben riuscite tecnicamente o nelle proporzioni ma nulla più, altre ancora riescono a stupire persino il loro autore. 93


QUALITÀ DELLA VITA: SPORT

IL RUGBY? È ANCHE UNO SPORT

IL RUGBY PIÙ CONOSCIUTO È QUELLO A 15. MA C’È POI UN RUGBY PIÙ PICCOLO O, MEGLIO, MENO NUMEROSO: QUELLO A 7. CHE SI È FATTO STRADA FINO AD AFFERMARSI, PER LE OLIMPIADI DI RIO DEL 2016, COME NUOVA DISCIPLINA SPORTIVA. GLI APPASSIONATI DELLA PALLA OVALE, A 15 O 7 CHE SIA, NON CREDONO CHE SI TRATTI SOLO DI UNO SPORT. MA “ANCHE” DI UNO SPORT. IL CHE LA DICE LUNGA SU COME QUESTA DISCIPLINA POSSA ESSERE COINVOLGENTE, FORMATIVA E ADATTA, COME ATTIVITÀ SPORTIVA, PER TUTTI I RAGAZZI GIÀ A COMINCIARE DAI 5 ANNI DI ETÀ. 94

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econdo una storiella giocosa, il rugby a 7 fu inventato dagli scozzesi, giusto per “risparmiare” 8 giocatori su 15. Ovviamente nulla più lontano dal vero, ma ciò non toglie che l’origine della versione a sette ebbe origine proprio in una cittadina degli Scottish Borders, nel 1883. A inventarla fu un macellaio, almeno stando alle due leggende correnti. La prima che racconta di un professionista del taglio della carne il quale, non potendo dedicarsi al suo sport preferito nella giornata di sabato, iniziò a sfogare la sua passione in incontri infrasettimanali, ma senza mai riuscire a raggiungere i 15 elementi necessari per formare la squadra. Da cui la riduzione a 7. Protagonista della seconda leggenda è ancora un intraprendente macellaio, pronto agli imprevisti: durante un torneo di rugby, a fronte di una defezione improvvisa di una squadra, senza perdersi d’animo, e pur di non annullare gli incontri e deludere il pubblico presente, rivoluzionò in fretta e furia le regole del gioco, formando partite


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IL RUGBY ALLE OLIMPIADI Il 2016 sarà

la a 7 alle Olimprima volta per il rugb y p presente in iadi. Il rugby a 15 fu Giochi olim quattro edizioni dei 1924. Un ritopici, 1900, 1908, 1920 e rn ulteriore bo o che significherà un o m e n u ovi contribu economici (s ti i dollari), sta calcola circa 20 milion i volta da pa rte anche d di Cio, che an el soprattutto dranno a beneficio povere o de delle federazioni più padrone di i Paesi, come il Brasile casa, d non è anco ove questo sport ra sviluppa to. La sua acce tt plebiscitari azione è stata pressoch a contrari), a (81 voti a favore e solo é dif 9 che, nonost ferenza invece del go lf a n te ce l’abbia fatt passare com aa e Gio aveva ricevu co olimpico 2016, to ben 27 n o.

con scontri a 7 uomini.

Le regole del gioco

La grande differenza tra il rugby a 15 e quello a 7 è naturalmente il numero di giocatori. Nella versione a 7, accanto ai giocatori in campo ce ne sono altri 5 pronti a sostituirli; alle mischie ordinate e alle rimesse laterali partecipano 3 giocatori. La partita si divide in 2 tempi di 10 minuti l'uno con intervallo di 2 minuti quando si tratta della partita finale di un torneo importante, altrimenti ogni tempo dura 7 minuti con intervallo di 1 minuto. Nel caso di parità alla fine dei tempi regolamentari la partita continua fino a quando una squadra segni per prima dei punti. La trasformazione di una meta avviene calciando in drop e non è prevista la possibilità del calcio piazzato, mentre la squadra che riprende il gioco dopo la realizzazione di una meta è quella che l’ha realizzata (a differenza del rugby a 15 in cui inizia il gioco la squadra che subisce la meta). Ogni cartellino giallo implica la sospensione tem-

poranea di un giocatore per 2 minuti. Le squadre sono composte da 3 avanti, il mediano di mischia e 3 trequarti.

Il ruolo formativo

Del rugby i più conoscono soltanto il lato rude e aggressivo: 14 o 30 (a seconda delle versioni) uomini enormi che se le danno di santa ragione passandosi (rigorosamente a l l ’ i n d i e t ro )

una palla ovale e trascorrendo metà del tempo per terra, in mezzo al fango. Gli appassionati invece, sempre più numerosi, ammirano l’eleganza, la tattica, la tecnica e la nobiltà innata di questo sport. Non per niente il rugby è definito come uno sport di combattimento e di situazione. È uno sport di contatto e combattimento perché il confronto fisico tra i giocatori è una costante del gioco. È definito sport di situazione perché nella sua evoluzione sta diventando sempre più importante la capacità di comprendere il contesto tattico in cui ogni fase della partita si sviluppa concretamente. Il gioco del rugby ha dunque una forte valenza educativa poiché insegna il rispetto dell'avversario e dell'arbitro. Oltre agli aspetti legati alla socializzazione, al rispetto dei principi e delle regole, offre l'opportunità per i bambini di confrontarsi con la propria e altrui aggressività in un contesto di gioco. In particolare, la Federazione Italiana Rugby ha un settore dedicato alla promozione del mini rugby nelle scuole, dove vengono attivati progetti finalizzati all'educazione e alla formazione degli alunni. Si parla di mini rugby nei ragazzi con l'età compresa dai 5 ai 12 anni cioè i ragazzi che giocano nelle under 6, 8, 10, 12. Il mini rugby inoltre è un gioco che favorisce socializzazione e integrazione: possono giocare in squadre miste sia bambini che bambine, oltre ai ragazzi diversamente abili. z http://www.federugby.it/index.php

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QUALITÀ DELLA VITA: TURISMO

EMPORDÀ! VIAGGIO IN COSTA BRAVA, TRA COLLINE DI ULIVI E VIGNETI, ANTICHI BORGHI, VILLAGGI DI PESCATORI E UNA COSTA IN BUONA PARTE ANCORA SELVAGGIA.

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er molti secoli, la costa dell’Empordà è stata oggetto di attacchi da parte dei pirati, costringendo la popolazione locale a rifugiarsi all’interno, dove vennero costruiti villaggi fortificati e torri di avvistamento sulle colline. Grazie a questo retaggio storico, l’Empordà è una delle zone più incantevoli della Costa Brava, tra colline di ulivi e vigneti, antichi borghi, villaggi di pescatori e una costa in buona parte ancora selvaggia. Il nostro viaggio inizia a Girona, città gioiello della Costa Brava e il più vicino punto di accesso all’Empordà. Il Barri Vell - il centro storico - con le stradine che si inerpicano su per la collina, è incantevole e racchiude i più importanti monumenti storici, circondati dalla muraglia di origine romana. L’interno della Cattedrale, con la navata gotica più larga al mondo, è un magnifico esempio di architettura medievale, così come il chiostro, la cui costruzione risale al XII secolo. La Cattedrale custodisce inoltre l’arazzo della Creazione, splendido pezzo di epoca romanica. Lasciata la Cattedrale, esplorate le stradine di El Call, il quartiere ebreo di Girona e uno dei meglio conservati nell’Europa Occidentale e visitate il Museo di Storia degli Ebrei dove si possono ammirare le bellissime stele funerarie e conoscere la vita degli Ebrei di Gerona, dall‘890 - data in cui si venne a formare il quartiere ebraico - fino al 1492, quando vennero espulsi per volontà di Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona. Lungo il fiume Onyar, che divide la cit-

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GIRONA

GIRONA


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tà, le caratteristiche case colorate, in passato abitate da pescatori, sono diventate un’immagine inconfondibile della città. Da Girona ci si dirige verso nord e poi sulla costa, alla scoperta dei tesori dell’Empordà. Grazie alla sua posizione centrale, la Bisbàl d’Empordà è un ottimo punto di partenza per visitare la regione. Qui si può soggiornare al Castell d’Empordà, bellissimo castello medievale convertito in un boutique hotel di grande charme. Dalla terrazza si gode la vista sulla pianura e nell’elegante risto-

rante Drac si può gustare un’ottima cucina catalana con influenze mediterranee, sapientemente preparata dallo chef Maurice de Jaeger, discepolo del Ristorante Oud Suis, premiato con 3 stelle Michelin. Peratallada è un delizioso borgo di origine medievale, dove passeggiare lungo le strette stradine in acciottolato. Il borgo è dominato dal castello, che risale al XIII secolo (purtroppo non visitabile all’interno) e a ogni angolo appaiono bellissimi scorci con archi, piazzette, antichi edifici. Peratallada è conosciuta anche per i piccoli ristoranti caratteristici, dove gustare ottime specialità locali con un buon vino dell’Empordà. Per chi ama il buon cibo, la Costa Brava è un paradiso della gastronomia. Dal 2006 al 2009 El Bùlli, il ristorante del geniale Ferran Andrià che ha chiuso nel 2011, si è classificato ai vertici della Guida Michelin, mentre quest’anno El Celler de Can Roca, con le sue tre stelle Michelin, è stato dichiarato dalla prestigiosa guida il secondo miglior ristorante del mondo. L’eccellenza gastronomica è un fiore all’occhiello della Costa Brava, anche in locande più semplici come il Mas Pi, a Verges, accogliente ristorante frequentato dai locali che propone piatti semplici, ma squisiti, della tradizione catalana ad ottimi prezzi. Il Ristorante Mas de Torrent, nell’omo-

BISBÀL D’EMPORDÀ

PERATALLADA

CADAQUÈS

nimo albergo, propone invece una cucina catalana ricercata e una grande attenzione agli ingredienti, tutti di primissima qualità e spesso provenienti dalle aree circostanti. Elegante e raffinato, l’Hotel Mas de Torrent & Spa fa parte della collezione Relais & Chateaux dal 1990 ed è circondato da bellissimi giardini da cui si può godere di una splendida vista. Sulla costa, merita una visita Port Lligat, il villaggio di pescatori dove Salvador Dalì ha vissuto, a periodi alterni, tra il 1930 e il 1984, attratto dal paesaggio, dalla luce e dall’isolamento. Oggi trasformata in Museo, la casa costruita dall’artista catalano nell’arco di 40 anni, con la sua struttura labirintica, è un vero e proprio percorso alla scoperta del Surrealismo e dell’artista che più di ogni altro ha rappresentato questo movimento. Stanze di dimensioni diverse e dalle forme irregolari, stretti corridoi e, ovunque, oggetti sovrapposti a formare un’atmosfera eccentrica, talvolta kitsch ma intrigante. Nonostante l’afflusso turistico, Port Lligat ha conservato parte del suo fascino e non stupisce che la piccola baia, con le sue calette, le rocce scolpite dal vento, l’atmosfera talvolta malinconica, abbiano fatto da sfondo a molti dei dipinti più famosi di Dalì. Difficile non innamorarsi di Cadaquès, con le sue case bianche, il sapore marinaro e l’atmosfera mediterranea. Situata nel cuore del Cap de Creus, parco naturale dalla bellezza selvaggia, Cadaquès è un luogo da assaporare lentamente. Il litorale roccioso è disseminato di calette dall’acqua trasparente, raggiungibili solo via mare, e nel Parco Naturale si possono fare belle camminate (attenzione però alla calura estiva), godendo di un panorama mozzafiato. Per chi invece cerca solo un po’ di relax, non c’è nulla di meglio che perdersi nelle stradine lastricate, tra le case bianche dai portoni colorati, curiosare nelle boutique e, al tramonto, salire al faro di Cap de Creus, per un panorama indimenticabile in uno dei punti più belli della Costa Brava. z http://www.costabrava.org/en 97


QUALITÀ DELLA VITA: LIBRI, FILM, MUSICA

LIBRI IL TEMPO È UN BASTARDO Jennifer Egan Edizioni Minimum Fax, 2011

Non è il futuro il tema di questo libro, ma è la forma narrativa che riguarda il futuro. Il romanzo, che ha ricevuto il premio Pulitzer per la narrativa 2011, nasce anzitutto da una contaminazione e appartiene a un genere ibrido, poiché non è né un romanzo né una classica raccolta di racconti: è una serie di "capitoli" che segue la vita di alcuni personaggi cogliendola in determinati momenti. Dal punto di vista formale, per registrare il modo in cui la tecnologia sta trasformando il nostro linguaggio e a testimonianza della commistione di generi anche in letteratura, il penultimo capitolo è interamente composto da una presentazione in power point.

STORIA FILOSOFICA DEI SECOLI FUTURI (E ALTRI SCRITTI UMORISTICI DEL 1860) Ippolito Nievo A cura di Emilio Russo Salerno Editrice, 2003

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Il volume raccoglie gli scritti di Nievo apparsi sul periodico “L’Uomo di Pietra” nelle prime settimane del 1860. Due le sezioni individuabili nell'antologia: da un lato cinque articoli, "scherzi" umoristici variegati nell'impostazione. Dall’altra la "Storia filosofica dei secoli futuri", racconto-profezia sull'avvenire del mondo dal 1860 al 2222, periodo entro cui Nievo proietta i suoi timori e le sue speranze, in una sequenza di invenzioni dalla straordinaria freschezza narrativa.

TRILOGIA DELLA FONDAZIONE Isaac Asimov Oscar Mondadori, 2004

Sono qui riuniti i tre romanzi della “Fondazione”, la grandiosa saga premiata nel 1966 come miglior ciclo fantascientifico di ogni tempo. La vicenda, ambientata in un lontano futuro, ha inizio quando l'Impero Galattico, che da secoli esercita il suo potere su tutti i pianeti conosciuti, scompare, e si annunciano trentamila anni di ignoranza e violenza. Hari Seldon, creatore della rivoluzionaria scienza della "psicostoria", sa quale triste futuro aspetta l'umanità. Per preservare la civiltà, decide di riunire i migliori scienziati e studiosi su Terminus, un piccolo pianeta ai margini della Galassia. È la Fondazione, rimasta l'unico faro del sapere, ma sotto la perenne minaccia dei mutanti che intendono distruggerla.

EATING PLANET

Nutrirsi oggi: una sfida per l'uomo e per il pianeta di Barilla Center for Food & Nutrition Edizioni Ambiente, 2012

Nel 1992 l’Earth Summit di Rio de Janeiro pose il mondo di fronte a una nuova idea di futuro, tracciando le linee guida per un diverso modello di sviluppo. Il 2012, anno di Rio+20, è il momento del bilancio. Uno dei temi cardine è, inevitabilmente, quello del cibo. Le speculazioni sui prezzi delle commodity, le “rivolte per il pane” e l’impatto di un clima sempre più imprevedibile sulla disponibilità di risorse alimentari, hanno già messo in chiaro a quali scenari la comunità globale dovrà fare fronte. Il nostro modo di produrre e di consumare alimenti è un fattore critico per gli equilibri ambientali, economici e sociali. Con questo primo rapporto internazionale il Barilla Center for Food & Nutrition, con l’autorevole collaborazione del Worldwatch Institute di Washington, propone all’attenzione del pubblico un’analisi assolutamente originale sui trend attuali e sulle prospettive future.


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COSA RESTA DA SCOPRIRE

FILM

DOCUMENTARIO

IL FUTURO SECONDO I FILM

BODY SHOPPING

Giovanni Bignami Mondadori, 2011

Con stile brillante, Giovanni Bignami ci guida alla frontiera delle possibili, stupefacenti scoperte dei prossimi tempi. Consapevole che quello che pensiamo di scoprire oggi avrà poco in comune con quello che scopriremo, traccia un percorso sul confine sottile e affascinante tra scienza e immaginazione, un filo rosso dal centro della Terra allo spazio che ci svela perché l'uomo è solo all'inizio della esplorazione del mondo, del cosmo e di se stesso.

MUSICA

Aldo Cazzullo Mondadori, 2011

SOUNDS OF THE 30’S Per la categoria film, segnaliamo un incredibile esercizio compiuti da Michael Hobson di Tremulant Design che, catalogando in ordine cronologico le previsioni sul futuro proposte dai vari film, ha creato un insolito calendario su quello che sarà. http://visual.ly/future-according-films

Piergiorgio Odifreddi Mondadori, 2011

Una via di fuga. Da cosa? Non certo dalla geometria, tema sul quale Odifreddi ritorna dopo che in “C’è spazio per tutti” aveva raccontato in maniera brillante la storia del periodo classico, esibendone i legami non solo con la scienza e la natura, ma anche con l’arte e l’architettura. In “Una via di fuga” al centro dell’attenzione è la storia del periodo moderno.

Documentario sul mondo della Chirurgia Plastica in mostra al Giffoni Film Festival di luglio 2012.

VIVA L’ITALIA! RISORGIMENTO E RESISTENZA, PERCHÉ DOBBIAMO ESSERE ORGOGLIOSI DELLA NOSTRA NAZIONE

UNA VIA DI FUGA Talora parliamo dell'Italia come se non fosse una cosa seria. E ci pare impossibile che siano esistiti uomini e donne per cui l'Italia era un ideale che valeva la vita, e per cui "Viva l'Italia!" furono le ultime parole. Aldo Cazzullo ce li racconta in un libro fatto di storia e di politica.

Di Cristina Sivieri Tagliabue Regia di Daniela Robecchi Produzione “Non chiederci la Parola”, 2012

LA MORTE TI FA BELLA

Regia di Robert Zemeckis Con Meryl Streep, Bruce Willis, Goldie Hawn, Isabella Rossellini - Usa, 1992 Una divertente e riuscitissima commedia cinica sull'esasperazione dell'estetica e della bellezza.

Riccardo Chailly, Stefano Bollani Decca, 2012

Grandi capolavori classici e magiche atmosfere jazz si fondono nella nuova collaborazione fra Riccardo Chailly e Stefano Bollani, voluta per celebrare la musica anni ’30. Nella track list ci sono: il Concerto in sol di Ravel, il Tango di Stravinsky (al pianoforte e anche orchestra elaborata da Guenther), il Valzer da “L’Opera da tre soldi“, “Surabaya Johnny” di Weill e “Mille e una notte” di De Sabata. Con loro l’orchestra del Gewandhaus di Lipsia.

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PANORAMA NEWS

MATTEO MARINI ALLA PRESIDENZA DELL’ASSOCIAZIONE ENERGIA

20 miliardi di Euro il volume d’affari aggregato dell’industria elettromeccanica italiana nel 2011. Il comparto è secondo in Europa per dimensione del fatturato.

Matteo Marini è il nuovo Presidente dell’Associazione Energia di Confindustria Anie, l’organismo che unisce oltre 360 aziende elettromeccaniche attive in Italia, che offrono tecnologie per la produzione, trasmissione, distribuzione dell’energia elettrica e per le applicazioni industriali. 47 anni, veneziano, Matteo Marini occupa dal giugno del 2009 la posizione di Direttore Generale, Regional Division Manager Mediterranean e Local Division Manager Power Products Italia in seno ad ABB Spa. In ABB opera dal 1991 e può vantare una significativa esperienza in Italia e all’estero, in particolare nel campo dei trasformatori, della media e della bassa tensione.

L’industria elettromeccanica italiana è uno dei comparti storici di eccellenza tecnologica all’interno del manifatturiero nazionale. A fine 2011 era espressione di un volume d’affari aggregato di oltre 7 miliardi di euro. Inglobando il segmento del fotovoltaico, rappresentato nell’ambito dell’Associazione Energia da GIFI, il fatturato aggregato complessivo di comparto raggiungeva circa i 20 miliardi di euro. A testimonianza del riconoscimento ormai consolidato dell’offerta tecnologica delle imprese elettromeccaniche italiane anche sui mercati esteri, in chiusura 2011 l’incidenza delle esportazioni sul fatturato totale superava il 60%. L’industria elettromeccanica italiana è seconda in Europa per dimensione del fatturato aggregato settoriale. INFLUIRE, RAPPRESENTARE E DARE SERVIZI. Queste le parole-chiave poste alla base del nuovo mandato di Matteo Marini, il cui programma di presidenza verterà sulle seguenti linee di indirizzo strategico: la necessità non più prorogabile di un Piano energetico nazionale, nell’ambito di una strategia di sistema che sia bilanciata, sostenibile e fortemente orientata all’efficienza; l’importanza di avvicinare i temi dell’Associazione e le dinamiche della rappresentanza ai grandi mutamenti che negli ultimi anni stanno interessando la domanda di mercato - dalle Smart Grid all’Efficienza energetica, al ruolo fondamentale delle fonti rinnovabili nel mix di generazione; la focalizzazione delle attività associative su servizi che possano essere di concreto supporto al business delle aziende e allo sviluppo del mercato di riferimento: dal presidio dell’attività normativa, alla formazione e internazionalizzazione, attività che unitamente ad azioni di lobby puntuali, incisive ed efficaci possano portare alla giusta sensibilizzazione dei principali decisori rispetto alle questioni d’interesse del comparto.

DATI ECONOMICI DELL’INDUSTRIA ELETTROMECCANICA ITALIANA - (Fonte: Confindustria ANIE)

2009 PRODUZIONE ENERGIA* (valori a prezzi correnti) MERCATO INTERNO 3.696 FATTURATO TOTALE 2.337 ESPORTAZIONI 1.182 IMPORTAZIONI 2.541 BILANCIA COMMERCIALE -1.359 * i dati non includono il segmento merceologico delle tecnologie per il fotovoltaico

MILIONI DI EURO

VARIAZIONI % 2010/2009 2011/2010

2010

2011

3.321 2.072 1.170 2.419 -1.249

3.027 1.815 1.251 2.463 -1.212

-10,1 -11,3 -1,0 -4,8

-8,9 -12,4 6,9 1,8

13.500

522,0

-29,7

FOTOVOLTAICO (valori a prezzi correnti - comprensivi degli impianti installati con Decreto “Salva Alcoa”) FATTURATO TOTALE 3.087 19.200 TRASMISSIONE ENERGIA (valori a prezzi correnti) MERCATO INTERNO FATTURATO TOTALE ESPORTAZIONI IMPORTAZIONI BILANCIA COMMERCIALE

944 2.199 1.537 282 1.255

1.142 2.391 1.566 317 1.250

1.269 2.557 1.577 289 1.288

21,0 8,8 1,9 12,2

11,1 6,9 0,7 -8,8

DISTRIBUZIONE ENERGIA (valori a prezzi correnti) MERCATO INTERNO FATTURATO TOTALE ESPORTAZIONI IMPORTAZIONI BILANCIA COMMERCIALE

1.710 2.140 1.009 579 430

2.099 2.554 1.208 753 455

2.295 2.796 1.292 792 500

22,7 19,3 19,7 30,0

9,4 9,5 7,0 5,2

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ARISTIDE STUCCHI ALLA PRESIDENZA DI ASSIL

+4% la crescita del volume d’affari dell’industria illuminotecnica italiana nel 2011. Bene l’export: +6,1% rispetto al 2010. Tiene il mercato interno: +3,2%

Aristide Stucchi è il nuovo Presidente di ASSIL, l’Associazione Nazionale Produttori Illuminazione aderente a Confindustria ANIE. Succede a Patrizia Di Sano, che lascia la Presidenza dell’Associazione dopo 2 mandati. 42 anni, originario di Lecco, l’Ingegnere Aristide Stucchi si è laureato al Politecnico di Milano. Consigliere Delegato e Direttore Generale della A.A.G. Stucchi S.r.l. a socio unico, Consigliere Delegato della A.A.G. Stucchi Group S.p.a., Stucchi è anche Presidente del Consiglio di Amministrazione della PFA S.r.l. a socio unico e Consigliere della Fondazione per la salvaguardia della cultura industriale A. BADONI. Dal 2008 occupava la carica di Vice Presidente di ASSIL. L’industria Illuminotecnica italiana rappresentata da ASSIL ha chiuso il 2011 con una crescita del volume d’affari complessivo del 4,0% a valori correnti (+1,1% la corrispondente variazione nel 2010 a fronte di una flessione del 19,1% nel 2009). Il comparto ha beneficiato del consolidamento della ripresa internazionale nella prima parte dell’anno sui principali mercati. Queste dinamiche sono testimoniate da un incremento delle esportazioni che supera in chiusura 2011 il 6,0% (+7,1% la corrispondente variazione nel 2010). Si mantiene più debole il contributo del mercato interno (+3,2% la variazione nel 2011). La domanda domestica rivolta alle tecnologie illuminotecniche stenta a riprendere vigore, condizionata da una bassa dinamicità in termini di consumi e investimenti nel territorio nazionale. La nuova Presidenza di Aristide Stucchi seguirà le seguenti linee-guida strategiche: rafforzare il ruolo di ASSIL all’interno degli organismi europei (Commissione e CELMA in primis) e, parallelamente, consolidare ulteriormente l’area tecnica dell’Associazione; implementare l’attività di lobby nei confronti delle controparti governative per potenziare lo sviluppo del mercato e partecipare attivamente all’evoluzione della legislazione energetica nazionale; difendere la qualità dei prodotti italiani e sensibilizzare gli utenti finali sulla necessità di una sempre maggiore qualità e sicurezza, al fine di garantire una minore apertura del mercato italiano alle aziende che non rispettano tali caratteristiche; incrementare l’attività di internazionalizzazione delle aziende di ASSIL per favorire lo sviluppo di nuovi mercati; rafforzare e sviluppare sinergie con le altre Associazioni del settore per aumentare il peso e la rappresentatività dell’industria italiana in Europa.

PUBBLICATA LA TERZA EDIZIONE DELLA NORMA CEI 79-3 SUGLI IMPIANTI ANTINTRUSIONE

PUBBLICATA A MAGGIO, LA TERZA EDIZIONE DELLA NORMA CEI 79-3 È ALLI-

NEATA CON LA TERMINOLOGIA E CON LA LOGICA DI CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI DI ALLARME INTRUSIONE E RAPINA DEFINITI DALLA NORMA CEI EN 50131-1

ED INTEGRA ALCUNE SEZIONI TRATTE DALLA GUIDA DI APPLICAZIONE CEI CLC/TS 50131-7:2010. NELL’AGGIORNAMENTO DELLA NORMA È STATO INOLTRE INTRODOTTO UN METODO TABELLARE PER LA DETERMINAZIONE DEL LIVELLO DI PRESTAZIONE DI UN IMPIANTO, COME ALTERNATIVA AL METODO ANALITICO. LO SCOPO DELLA NORMA CEI 79-3 È QUELLO DI DESCRIVERE UN PROCESSO EFFICACE ED EFFICIENTE DI PROGETTAZIONE, REALIZZAZIONE, COLLAUDO E MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI DI ALLARME INTRUSIONE E RAPINA IN MODO CHE FORNISCANO LE PRESTAZIONI PRESCRITTE RIDUCENDO AL MINIMO GLI ALLARMI INDESIDERATI.

NOVITÀ IN AMBITO NORMATIVO PER I QUADRI ELETTRICI A BASSA TENSIONE

LA QUARTA EDIZIONE DELLA NORMA CEI EN 60439-1 (CEI 17-13/1), RELATIVA AI QUADRI ELETTRICI BT E IN VIGORE DAL 2000, RIMARRÀ VALIDA FINO AL 1° NOVEMBRE 2014, FUNGENDO DA NORMA GENERALE PER TUTTE LE ALTRE NORME DELLA SERIE 60439. TALE PERIODO DI VALIDITÀ È STATO RESO POSSIBILE GRAZIE AD UNA SERIE DI AGGIUSTAMENTI DISCUSSI IN SEDE INTERNAZIONALE. CON LE NUOVE NORME IEC 61439-1 E IEC 61439-2 SONO STATE INTRODOTTE NUMEROSE NOVITÀ NELL’AMBITO NORMATIVO DEI QUADRI ELETTRICI A BASSA TENSIONE. QUESTE DUE NUOVE NORME SI INSERISCONO IN UN CONTESTO PIÙ COMPLETO CHE SI ARTICOLA NEL SEGUENTE MODO: - IEC/TR 61439-0: “GUIDA ALLA SPECIFICAZIONE DEI QUADRI” - IEC 61439-1:“REGOLE GENERALI” -IEC 61439-2:“QUADRI DI POTENZA” CHE SOSTITUISCE LA NORMA IEC 60439-1 - IEC 61439-3: “QUADRI DI DISTRIBUZIONE PER PERSONALE NON ADDESTRATO” CHE SOSTITUIRÀ LA NORMA IEC 60439-3 - IEC 61439-4:“QUADRI PER CANTIERE” CHE SOSTITUIRÀ LA NORMA IEC 60439-4 - IEC 61439-5: “QUADRI DI DISTRIBUZIONE PER RETI PUBBLICHE” CHE SOSTITUIRÀ LA NORMA IEC 60439-5 - IEC 61439-6: “CONDOTTI SBARRE” CHE SOSTITUIRÀ LA NORMA IEC 60439-2 - IEC 61439-7: “QUADRI PER INSTALLAZIONI PUBBLICHE PARTICOLARI QUALI MOLI, CAMPEGGI, MERCATI E APPLICAZIONI SIMILARI E PER LE STAZIONI DI RICARICA DEI VEICOLI ELETTRICI. SI SEGNALA CHE È IN PREPARAZIONE ANCHE IL NUOVO DOCUMENTO SUI QUADRI PER GLI APPRODI, I CAMPEGGI, I MERCATI E LA RICARICA DEI VEICOLI ELETTRICI. LA NORMA SARÀ APPLICABILE A QUADRI IN INVOLUCRO FISSI E MOVIBILI, MANOVRABILI DA PERSONE COMUNI, PROGETTATI, COSTRUITI E VERIFICATI IN SINGOLO ESEMPLARE O COMPLETAMENTE STANDARDIZZATI E COSTRUITI IN GRANDI SERIE. TRA I DIVERSI COMPONENTI DI UN QUADRO, ALCUNI COME INVOLUCRO, CARPENTERIA, SBARRE, CAVI, MORSETTI E SUPPORTI NON RIENTRANO NEL CAMPO

DI APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 2004/108/CE, ANCHE SE IL COSTRUTTORE

DEL QUADRO, NELLA SCELTA E NELL’INSTALLAZIONE DEI COMPONENTI DA INCOR-

PORARE (COMPRESI EVENTUALI DISPOSITIVI ELETTRONICI), NON PUÒ NON TENERE

PRESENTE TANTO LA MUTUA COMPATIBILITÀ, QUANTO LA COMPATIBILITÀ CON L'AMBIENTE DI INSTALLAZIONE DEL QUADRO. LA CONDIZIONE AMBIENTALE A O B

(SECONDO LA NORMATIVA VIGENTE NEL SETTORE EMC), PER LA QUALE IL QUA-

DRO È ADATTO, DEVE ESSERE QUINDI INDICATA DAL COSTRUTTORE DEL QUADRO

TRA I DATI NOMINALI, PENA IL RISCHIO DI UN NON CORRETTO FUNZIONAMENTO

QUALORA IL QUADRO PRODOTTO VENGA INSTALLATO IN UN IMPIANTO CON LIVELLI DI EMC DIVERSI.

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BREVI IMQ

IMQ GREEN BRAND 2012 C’è anche IMQ tra i Green Brand 2012. La pubblicazione, presentata quest’anno nell’ambito del Salone del Libro di Torino, raccoglie le case history e le buone prassi di brand che operano sul mercato italiano e che hanno influito su prodotti, servizi, innovazione e stili di vita, affrontando la questione “green” nel modo opportuno. Accanto a IMQ, gli altri Green Brand 2012 sono stati: Ariston, Coca Cola, Philips, Unilever, Peugeot, AkzoNobel, Aran, Natura Sì, Sanypet.

IMQ: LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO E SOSTENIBILITÀ DELLE AZIENDE IMQ, scoring partner 2012 dell’Investor CDP Italy 100 Sarà IMQ a valutare in esclusiva “disclosure” e “performance” delle più grandi aziende italiane per capitalizzazione di mercato, quotate alla Borsa Italiana. (vedi articolo a pag. 84)

IMQ ACCREDITATO PER LA CERTIFICAZIONE DEL PERSONALE

IMQ E LEROY MERLIN, INSIEME PER UNO STILE DI VITA PIÙ VERDE Sognare una vita rispettosa dell’uomo e dell’ambiente? Per IMQ e Leroy Merlin non è un sogno ma una realtà che si può realizzare. Ed è in questo progetto che rientra anche la “Green Week” e i “Quaverdi” distribuiti durante la settimana verde organizzata da Leroy Merlin allo scopo di sensibilizzare e diffondere una cultura e un modo di agire più sostenibile. Il “Quaverde” di quest’anno, distribuito in tutti i punti vendita sul territorio nazionale, è stato realizzato con la collaborazione di IMQ e contiene gli eco-suggerimenti per combattere l’inquinamento domestico e vivere sani.

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con le norme IEC inerenti all’efficienza energetica degli apparecchi elettrici. In tale ambito, IMQ ha già ottenuto, tra i primi, l’estensione dei propri riconoscimenti e può operare sia come NCB (Ente di certificazione) sia come CBTL (laboratorio di prova CB) per le seguenti norme: - IEC 60456 (ed.5): washing machine; - IEC 62301 (ed.2): stand-by (household appliances); - IEC 62552 (ed.1): refrigerating appliances. I certificati rilasciati da IMQ hanno pertanto validità internazionale, e sono riconosciuti da tutti gli enti aderenti all’accordo CB.

IMQ CERTIFICA ANCHE L’EFFICIENZA ENERGETICA NELL’AMBITO DEL “CB SCHEME” Non si parla solo di sicurezza nello schema di certificazione internazionale dell’IEC, il CB scheme. A fronte della centralità assunta dalle tematiche legate all’impatto sostenibile (risparmio energetico e riduzione emissione GHG), di recente l’IECEE ha introdotto E3 (ENERGY EFFICIENCY IEC = E3 = electrical energy efficiency), un nuovo programma di mutuo riconoscimento delle certificazioni e dei risultati di prova rilasciati in conformità

IMQ è stato accreditato da Accredia per la certificazione del personale (norma ISO 17024:2004). In particolare l’accreditamento riguarda la certificazione del personale docente dei soggetti formatori per i lavori sotto tensione effettuati su impianti elettrici alimentati a tensione superiore a 1000V, secondo quanto previsto dal Decreto 04 febbraio 2011- Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

ILLUMINAZIONE: IMQ ENTRA NEL CONSORZIO INTERNAZIONALE ZHAGA È IMQ il primo ente di certificazione italiano a divenire membro di Zhaga, il consorzio internazionale del settore illuminazione che si pone come obiettivo la normalizzazione delle interfacce dei moduli LED Risale al febbraio 2010 la nascita di Zhaga, un consorzio internazionale voluto dalle


IMQ NOTIZIE n.96

principali aziende del settore, con un obiettivo ben preciso: garantire, nell’ambito dei prodotti a LED, l’interscambiabilità dei componenti. Una finalità tanto ambiziosa quanto utile, visto il rapido sviluppo della tecnologia LED che, grazie all’introduzione di specifiche tecniche relative a parametri dimensionali e fisici, in particolare riguardanti il comportamento fotometrico, elettrico e termico, favorirà un’armonica evoluzione del settore, con vantaggi diretti anche per i consumatori. La standardizzazione Zhaga, infatti, consentirà alle aziende produttrici di crescere in un settore innovativo e offrirà ai consumatori la certezza di acquistare prodotti di illuminazione a LED, di nuova generazione, facilmente sostituibili e interscambiabili. Per i produttori italiani di apparecchi di illuminazione e componenti LED, l’ingresso di IMQ nel consorzio Zhaga, rappresenta l’opportunità di potersi avvalere di un ente italiano che intende proporsi come laboratorio di prova per la valutazione della conformità alle specifiche tecniche Zhaga, e il cui operato è riconosciuto da progettisti, installatori e consumatori.

do elemento indispensabile anche per partecipare a gare di appalto, per ottenere finanziamenti e, non ultimo, incentivi statali. Come riportato infatti nel D.Lgs 28/2011, attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, “l’accesso agli incentivi statali di ogni natura è consentito, a condizione che, a decorrere da due anni dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo, i pannelli siano dotati di certificazione Solar Keymark”.

ENEC FESTEGGIA 20 ANNI E 90.000 PRODOTTI CERTIFICATI Nato come schema di certificazione per il settore illuminazione, ENEC è oggi sinonimo di qualità europea. Una garanzia rilasciata a circa novantamila prodotti richiesta anche da altri settori merceologici

Al compimento del suo ventesimo anniversario, il marchio ENEC registra circa 90 mila prodotti certificati. Un traguardo raggiunto grazie alla collaborazione di tutti gli enti aderenti all’accordo ENEC (ad oggi ben 24, presenti in 20 paesi europei) che hanno saputo costituire un sistema di certificazione affidabile ed efficace. Sorto come marchio per certificare la conformità alle norme europee EN di sicurezza del settore illuminazione, il marchio ENEC è stato via via esteso negli anni ad altri prodotti, fino a coprire oggi 25 categorie merceologiche, tra le quali ricordiamo gli elettrodomestici, gli elettroutensili, le batterie oltre agli apparecchi d’illuminazione con sorgente LED. “ENEC può essere considerato un modello emblematico di schema di certificazione europeo di prodotto” ha dichiarato l’Ing. Baggio di IMQ, Presidente EEPCA, l’Associazione europea degli organismi di certificazione nel settore elettrico, che gestisce a livello centrale le procedure armonizzate per il rilascio del marchio ENEC. “Il suo continuo sviluppo e l’estensione a nuovi settori merceologici, oltre a quello dell’illuminazione per il quale era nato, è indice e testimonianza della sua autorevolezza”. “IMQ ha sempre creduto in ENEC ed è stato membro dell’accordo fin dalla sua nascita” ha ricordato l’ing. Zappa, Direttore Generale di IMQ. “Testimonianza ne è che oggi, su un totale di 18.000 certificati rilasciati, quasi 7.000 sono stati emessi da IMQ”.

SOLARE TERMICO A PROVA DI CERTIFICAZIONE IMQ rilascia la certificazione europea Solar Keymark Solar Keymark è un marchio riconosciuto a livello europeo e sviluppato dal CEN (European Committee for Standardization) che attesta la conformità dei collettori solari termici alle norme EN armonizzate, e può essere rilasciato solo da pochi organismi riconosciuti, tra i quali IMQ. Sebbene volontario, il Solar Keymark rappresenta un requisito sempre più richiesto a livello internazionale, diventan-

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CURIOSITÀ

BIOMIMESI O

ctopus è un progetto al quale si lavora alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, uno dei centri di eccellenza della ricerca italiana. Octopus è un robot. Molle. L’idea geniale, infatti, che l’evoluzionismo ha applicato nella soluzione “polpo”, è riassumibile nella definizione “soffice e potente”. Il polpo riesce a farsi piatto piatto infilandosi in stretti passaggi fra le rocce, ma poi i suoi tentacoli sono in grado di trasformarsi in muscoli potenti, e qui, su You Tube http://www.youtube.com/watch?v=_sbTFnAJHRg, potete vedere un filmato di un polpo gigante che attacca e sopprime uno squalo. La duttilità è spesso una delle manifestazioni più importanti di intelligenza (e infatti un muscoloso culturista può avere dei problemi nell’entrare in certi ascensori…). Alla base del progetto Octopus c’è l’obiettivo di costruire robot in grado di muoversi con molta efficienza nell’ambiente, e la scelta nasce da un preciso paradigma: imitare la natura. Si lavora in questo senso anche ad altre macchine, che si muovano velocemente su terreni con diverse morfologie, per esempio. I movimenti di Big Dog, costruito dalla Boston Dynamics,

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PER RAPPRESENTARE LA BIOMIMESI, ABBIAMO SCELTO UN’OPERA DI LIU BOLIN, ARTISTA CINESE NOTO PER I SUOI AUTORITRATTI FOTOGRAFICI, CARATTERIZZATI DALLA FUSIONE DEL CORPO CON L'AREA CIRCOSTANTE.

(http://www.youtube.com/watch?v=W1czBcnX1Ww) sono tremendamente simili a quelli di un animale (guardatevi le sequenze nelle quali si cerca di farlo cadere). Ma ancora più in profondità, il paradigma fondante di queste ricerche è che non vi può essere un reale sviluppo di intelligenza nei comportamenti delle macchine se non le si dota di una capacità di relazionarsi all’ambiente con strumenti che appartengono al “linguaggio” naturale. Così, una delle frontiere più avanzate della ricerca scientifica scopre che la biomimesi è l’attrezzo mentale vincente. Questo approccio teorico sta emergendo in diversi ambiti di ricerca. Quello più importante, in grado di segnare la vita di tutti noi e delle generazioni che verranno, è il campo delle strategie economiche e tecnologiche per produrre una reale sostenibilità di quanto realizziamo, come specie, su questo nostro pianeta. (tratto da “Parole per il futuro”, Edizioni Ambiente, ideato con il contributo di IMQ. In commercio da autunno 2012). z



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Tutte le informazioni qui pubblicate possono essere liberamente riprese citando la fonte IMQ Notizie, periodico d'informazione sui problemi della sicurezza e della certificazione. Via Quintiliano 43 - 20138 Milano - tel. 0250731 Direttore responsabile: Giancarlo Zappa - Autor. Tribunale Milano n. 17 del 17/1/1981 Stampa: Mediaprint - Milano

In conformitĂ a quanto previsto dal D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e fatti salvi i diritti dell'interessato ex ate. 7 del suddetto decreto, l'invio di IMQ Notizie autorizza I'Istituto Italiano del Marchio di QualitĂ stesso al trattamento dei dati personali ai fini della spedizione di questo notiziario.


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