IMQ Notizie 91

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Anno XXVIII Numero 91 Dicembre 2009 IMQ, via Quintiliano 43 - MI Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. - 70% DCB_Milano

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BRAVI, BRAVISSIMI PER UN AMBIENTE DI QUALITÀ

STORIA DEL TEAM VELICO CHE HA SCELTO LA CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ E AMBIENTALE PRIMO PIANO: L’ACQUA

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Dove la terra fa acqua Privatizzazione: i sì e i no Il lato oscuro delle deroghe Imbottigliata o da rubinetto?

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M A G A Z I N E

STORIE DI QUALITÀ: BARCHE E VELE

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Nautica sostenibile Il rito della Barcolana Vita da lupi di mare Franco Pace: il mago dell’acqua

P E R

U N A

V I T A

PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA

• E tu quanto inquini? • Come ridurre la CO2 • La rintracciabilità di legno e plastiche D I

Q U A L I T À

QUALITÀ DELLA VITA

• Le Isole Vergini Britanniche • Memoria da record • A scuola di golf

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S I C U R E Z Z A


Per un ambiente di qualità Di Giancarlo Zappa

Numero 91

Direttore Responsabile Giancarlo Zappa Capo redattore Roberta Gramatica Art direction Antonio Fortarezza Coordinamento grafico Fortarezza & Harvey posta@fortarezza.it Hanno collaborato: Federico Cerrato, Alessandra Cicalini, Cristina Ferrari, Walter Molino, Monica Pasquarelli, Andrea Pierini Foto di: Franco Pace, Fabio Taccola, Ufficio Stampa Lightbay Sailing Team, Federico Cerrato Direzione, Redazione, Amministrazione IMQ, Istituto Italiano del Marchio di Qualità Via Quintiliano 43 - 20138 Milano tel. 0250731 - fax 0250991500

L’ambiente è una risorsa che finalmente stiamo riscoprendo! La crescente consapevolezza dell’impatto e delle conseguenze che i comportamenti del passato, del nostro presente e del futuro possono avere sull’ambiente, ci chiama a soffermarci su alcuni suoi elementi che per troppi anni abbiamo dato per scontati. Primo fra tutti l’acqua. Una fonte essenziale, ma non ancora a disposizione di tutta la popolazione mondiale. Inesauribile, ma in massima parte inutilizzabile. Fonte di energia, ma anche oggetto di dispute e scontri per una sua corretta gestione e distribuzione. Attenti a rispettare l’ambiente sono anche gli sportivi, perfino quelli che praticano sport insospettabili in termini di inquinamento. Ad esempio, la vela. Sport verde? Non come si potrebbe pensare stando al fatto che un team velico ha deciso di certificare il proprio sistema di gestione per la qualità e ambientale e dunque con l’obiettivo di ridurre il proprio impatto ecologico. Ma è soprattutto il consumatore che sta facendo sempre più caso all’impatto sull’ambiente di ciò che acquista. Forse lo fa ancora in modo inconscio e non sempre in maniera funzionale e razionale. Ma non ha importanza, perché quello che davvero conta è che ogni giorno la nostra coscienza ecologica cresca, anche se impercettibilmente. Fino a 4 o 5 anni fa, ci saremmo mai sognati di domandarci quanta CO2 poteva emettere l’organizzazione di un concerto o l’invio di un pacco? Probabilmente no. Invece oggi ci sono cantanti beniamini del pubblico che, nelle loro tournée, oltre a fare questo calcolo fanno in modo di annullare o di compensare l’inquinamento da loro prodotto. Lo stesso percorso viene seguito anche da note compagnie di spedizione internazionali. E addirittura ci arriva la notizia che la Svezia è il primo luogo al mondo nel quale le etichette alimentari indicano, insieme a ingredienti e composizioni, anche la quantità di anidride carbonica emessa per produrre gli alimenti stessi.

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Di tutte queste tematiche e di altre ancora, abbiamo parlato in questo nuovo numero di IMQ Notizie, nel quale, come sempre, troverete anche i consigli per trascorrere il tempo libero, viaggiare, leggere e migliorare la qualità della nostra vita. The mark of responsible forestry ICILA - COC - 000284

Buona lettura

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STAMPATO CON CARTA CERTIFICATA Tutte le informazioni qui pubblicate possono essere liberamente riprese citando la fonte IMQ Notizie, periodico d'informazione sui problemi della sicurezza e della certificazione. Via Quintiliano 43 20138 Milano tel. 0250731 Direttore responsabile: Giancarlo Zappa Autor. Tribunale Milano n. 17 del 17/1/1981 Stampa: Mediaprint - Milano In conformità a quanto previsto dal D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), e fatti salvi i diritti dell'interessato ex ate. 7 del suddetto decreto, l'invio di IMQ Notizie autorizza I'Istituto Italiano del Marchio di Qualità stesso al trattamento dei dati personali ai fini della spedizione di questo notiziario.

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SOMMARIO PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ 2 DOVE LA TERRA FA ACQUA Non si può dire che sulla terra l’acqua manchi, però non è distribuita equamente e, spesso, quella presente non è utilizzabile 4 CHE ENERGIA! Energia dalle onde del mare, oppure dalla sua salinità e ancora, perché no, dall’acqua calda del sottosuolo

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6 LA BATTAGLIA DELLE ACQUE I pro e i contro della partita per la privatizzazione della distribuzione dell’acqua 8 QUELLA DEI SINDACI È BUONA, MA QUANTO COSTA? Indagine di Altroconsumo sulla qualità e sui costi dell’acqua da rubinetto 11 IL LATO OSCURO DELLA DEROGA 12 STAPPO O APRO? Acqua imbottigliata e acqua da rubinetto a confronto

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STORIE DI QUALITÀ: VELA CERTIFICATA 14 BRAVI, BRAVISSIMI, PER UN AMBIENTE DI QUALITÀ Lightbay Sailing Team, il primo team velico a ottenere da IMQ la certificazione dei sistemi di gestione per la qualità e ambientale 19 SICUREZZA A BORDO Una norma CEI definisce i requisiti di sicurezza degli impianti elettrici di navi e barche 20 O MARE VERDE, O MARE VERDE O MARE VEE... Nautica sostenibile: le nuove regole per le aree marine protette

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22 BARCOLANA: TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE Storia di una regata, nata quasi per gioco, che oggi raduna quasi 2.000 barche 26 CHI HA OSATO SFIDARE LA COPPA AMERICA Arriva il Louis Vuitton Trophy. Intervista all’ing. F. Binetti Pozzi 30 VITA DA LUPI DI MARE Faccia a faccia tra Gabriele Benussi e Piero Moschetta 32 IN BARCA COME IN CASA Quando la barca copia il design di casa 34 TI DISEGNO UNA BARCA Come sono cambiate le barche: intervista a Michele Lucchini, interior project manager

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38 BARCHE DA LEGGERE, GUARDARE E ASCOLTARE Le barche nella cultura 40 QUANDO IL SOLE VIAGGIAVA IN BARCA Riti in barca 42 IL MAGO DELL’ACQUA Intervista a Franco Pace, fotografo di barche e di mare di fama internazionale

PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA

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44 CARBON FOOTPRINT Come calcolare l’impatto umano sull’ambiente 46 TI VENDO UN V.E.R. Piantare alberi, utilizzare fonti pulite a energia rinnovabile o acquistare V.E.R.: le tre strade per la riduzione delle emissioni di CO2 48 CASE HISTORY ECOLOGICHE Greenpeace, FSC, PEFC, Plastica seconda vita

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QUALITÀ DELLA VITA 52 VIAGGI: LE ISOLE VERGINI BRITANNICHE 54 SALUTE: COME POTENZIARE LA MEMORIA 58 SPORT: A SCUOLA DI GOLF 60 LIBRI, MUSICA E VIDEO: CONSIGLI E RECENSIONI

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RUBRICHE 62 Panorama News 64 Brevi IMQ

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PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ

DOVE LA FA ACQU NON SI PUÒ DIRE CHE SULLA TERRA L’ACQUA MANCHI, PERÒ NON È DISTRIBUITA EQUAMENTE E, SPESSO, QUELLA PRESENTE NON È UTILIZZABILE. ECCO DUNQUE UN BREVE SCENARIO DELLA NOSTRA TERRA VISTA LÀ DOVE FA ACQUA. 2

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TERRA A Il pianeta Arrakis, detto Dune, è coperto da un unico immenso deserto, con una scarsa popolazione, i Fremen, costretta a vivere in rifugi risparmiando ogni goccia d'acqua. Qui ogni cosa è finalizzata a sfruttare al massimo la poca acqua disponibile: dalle piante che assorbono ad elevate velocità l'umidità del terreno, agli animali che prelevano dal sangue delle vittime l'acqua per idratarsi. Anche gli esseri umani che si avventurano nel pianeta sono costretti ad indossare speciali tute, in grado di recuperare ogni particella di vapore emanato dal corpo. Dune - frutto dell’immaginazione dello scrittore Frank Herbert (1965) - potrebbe rappresentare il futuro della Terra, se lo sfruttamento umano continuerà nel modo irresponsabile che tutti conosciamo. Di acqua, sul nostro pianeta, certo non ne manca allo stato attuale, ma la sua smisurata quantità non è distribuita in modo tale da garantire una pacifica convivenza ai 9 miliardi di esseri umani che si prevede la popoleranno nel non lontano 2050. Quasi il 98 per cento di essa è salata, e della restante, il 70 per cento circa è contenuta in ghiacciai e nevi perenni, mentre circa il 30 per cento nel sottosuolo. Soltanto lo 0,3 per cento è potenzialmente disponibile, tra fiumi e laghi. Stiamo parlando dello

0,006 per cento dell’acqua totale del pianeta, la quale non è certo distribuita in modo uniforme poiché la maggior parte di essa è concentrata in alcuni bacini della Siberia, nella regione dei grandi laghi in Nord America e in tre laghi dell’Africa, mentre circa il 27 per cento si trova nei cinque maggiori sistemi fluviali: Rio delle Amazzoni, Gange, Congo, Yangtze e Orinoco. L’acqua - nel cui ciclo di vita i nostri corpi sono inseriti organicamente – oggi è fonte di apprensione e paura, non solo per le possibili conseguenze derivanti dallo scioglimento dei ghiacci, ma anche e soprattutto come potenziale origine di instabilità politica ed economica, se non addirittura di conflitti tra Stati. Quasi il 40 per cento della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali comuni a due o più paesi: l’India e il Bangladesh, che si disputano il Gange; il Messico e gli Stati Uniti, entrambi toccati dal Colorado; la Slovacchia e l'Ungheria con il Danubio. Gli esempi sono moltissimi, e non conforta osservare lo scenario del Medio Oriente, dove le dispute sull'acqua stanno assumendo un’importanza crescente. Gli Stati tecnologicamente più progrediti, inclusa la Cina, stanno facendo progressi nei metodi di bombardamento

delle nuvole, per ottenerne pioggia, anche se il primo tentativo di successo, lo scorso ottobre, si è in realtà trasformato in beffa, non avendo prodotto che gelida neve. A livello più microscopico, c’è chi cerca di ottenere energia dall’acqua, estraendone l’idrogeno, quasi alla ricerca di una nuova pietra filosofale, ma già con qualche progresso compiuto, come il prototipo di bicicletta a pedalata assistita alimentata ad idrogeno, realizzato dall’Itae-Cnr di Messina, che con un pieno può fare 150 chilometri. Altri fanno da battistrada in comportamenti responsabili, come la città australiana di Bundanoon, che ha messo al bando l’acqua in bottiglia, mentre la Samsung ha realizzato una casa rinnovabile al 100 per cento, dove l’acqua utilizzata viene riciclata per il giardinaggio. L’acqua ci distruggerà o sarà la nostra salvezza? Nei miti di molte delle civiltà terrestri essa ha avuto una funzione prima distruttiva, poi rigenerante, con la salvezza affidata spesso ad un uomo solo, come nella tradizione babilonese e poi ebraica. Per guarire è necessario immergersi nell’acqua, dal Gange fino a Lourdes. Ma ci sarà acqua a sufficienza per tutti?

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PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ

CHE ENE ENERGIA DALLE ONDE DEL MARE, OPPURE DALLA SUA SALINITÀ E ANCORA, PERCHÉ NO, DALL’ACQUA CALDA DEL SOTTOSUOLO. ECCO LE ALTRE FORME DI SFRUTTAMENTO DELL’ENERGIA IDRICA. Quando i mulini erano bianchi, era del tutto naturale sfruttare l'energia dell'acqua, un elemento costantemente sotto gli occhi di tutti, mai timido nel dimostrare la sua grande forza energetica, in torrenti, fiumi e cascate. Oggi ne parliamo come di una forma "alternativa" di energia, dando per scontato che il liquido che copre il 71 per cento della superficie terrestre non sia di per sé sufficiente a sfamare il nostro cre-

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scente appetito di consumi. D’altra parte, però, ci proviamo in tutti i modi a cavarne energia, perché l'acqua è pulita e generosa e democratica, se pensiamo che già dodici secoli fa aveva contribuito all'evoluzione umana contro la schiavitù. Fu allora che, a conti fatti, si poté accertare che il lavoro di una sola pala di mulino ad acqua equivaleva a quello di 40 schiavi, così che si cominciò ad abbandonare il lavoro umano e animale (è il mulo, ancora oggi, che dà il nome ai generatori eolici) per sfruttare l'energia dei fiumi. Questo almeno fino al XIX secolo, quando cominciò a prevalere un'altra forma di energia basata sull'acqua: il motore a vapore. Oggi l'energia idroelettrica è una realtà consolidata, ma si cerca di sfruttare l'acqua in almeno altre tre direzioni: catturando l'energia presente nel mare, sotto forma di onde e maree; ricavando energia dalla salinità dell'acqua; sfruttando l'acqua calda presente nel sottosuolo. Da quasi un secolo e mezzo, dighe e centrali idroelet-

triche fanno parte del paesaggio delle nostre montagne, contribuendo a consolidare, nel nostro immaginario, l’idea che l’idroelettrico sia una risorsa energetica pulita, disponibile e rinnovabile. E infatti fino ai primi anni '60, proprio grazie all'idroelettrico, la produzione energetica italiana è stata in larga parte rinnovabile. Alcune delle centrali dell'arco alpino, peraltro, rappresentano tutt'oggi ottimi esempi di architettura industriale. Con la crescita del fabbisogno energetico, hanno poi prevalso le forme che oggi consideriamo meno pulite, anche se l’idroelettrico rappresenta pur sempre l'11 per cento della produzione. Oggi questa forma di sfruttamento sta vivendo una nuova crescita, specialmente in Cina e nel resto dell'Asia. Ma è meglio non illudersi: anche queste centrali sono colpevoli di rilasciare grosse quantità di biossido di carbonio durante la fase di costruzione e del successivo allagamento della riserva. Per non parlare degli effetti sociali delle migrazioni di massa delle popolazioni residenti nelle aree allagate.

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RGIA! Molto meno conosciuti sono i tentativi di ricavare energia dal mare, sfruttando il movimento delle onde, quello delle maree o le differenze termiche. Uno dei tentativi più curiosi, ma anche più promettenti, è quello compiuto dalla società anglo-svedese Minesto (gruppo Saab), che sta realizzando degli aquiloni sottomarini formati da un'unica ala da 12 metri e sottostante turbina - vincolati da un cavo al fondale, ma liberi di muoversi in orizzontale per sfruttare l'energia cinetica delle correnti. Ciascun aquilone è in grado di produrre mezzo megawatt di energia. Anche nello stretto di Messina si cerca di sfruttare l'antica energia di Scilla e Cariddi, grazie ad un prototipo di turbina verticale - Kobold - piantata nel fondo del mare. Poi c'è la recente scoperta di Doriano Brogioli, ricercatore all'università di Milano-Bicocca, il quale ha realizzato un pre-prototipo di supercondensatore, che sfrutta l'aumento di energia che si verifica in prossimità di elettrodi immersi in un liquido che contiene ioni, quando l'acqua di immersione

passa da salata a dolce. Anche la salinità del mare, dunque, può essere sfruttata, in luoghi particolari come gli estuari dei fiumi, anche se ancora non è chiaro quali di queste fantasiose trovate riuscirà a trovare un impiego effettivo e proficuo.

ALLA SCOPERTA DELL'ACQUA CALDA Riscaldare due edifici comunali e fornire a enti pubblici e ad aziende private della zona l’opportunità di sfruttare l’acqua calda che si trova nel sottosuolo della laguna di Grado. Questi gli obiettivi che si pone un progetto finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dal Comune di Grado, sostenuto dall’Unione Europea attraverso il fondo strutturale Obiettivo 2. Il progetto, che comporta un impegno totale, per la Regione e il Comune, di 2,4 milioni, si sta concretizzando con lo scavo di un pozzo, nella zona più occidentale dell’isola di Grado, sulla spiaggia. Se si riuscirà a raggiungere il bacino d’acqua calda del sottosuolo, alla temperatura di circa cinquantacinque gradi, saranno poi realizzati impianti per il teleriscaldamento di edifici di proprietà del Comune. È stato calcolato che sarebbe possibile prelevare dal sottosuolo (senza intaccare l’ecosistema sotterraneo in quanto è prevista la successiva re-immissione dell’acqua nelle falde), ventidue litri d’acqua al secondo alla temperatura di 55 gradi. Ciò permetterebbe una produzione stimata annua di circa due megawatt di energia. Ossia, consentirebbe di risparmiare circa 1.700 tonnellate di petrolio l’anno per il riscaldamento: l’equivalente di ottomilaottocento barili di greggio.

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PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ

LA BATTAGLIA DELLE ACQUE ACQUA AI PRIVATI SÌ, ACQUA AI PRIVATI NO. ACQUA BENE PUBBLICO SÌ, ACQUA BENE PUBBLICO NO. I PRO E I CONTRO DELLA PARTITA PER LA GESTIONE DELLE FONTI.

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Da una parte, i mercatisti duri e puri: privatizzazione dei servizi e società finanziarie. Dall'altra, i resistenti del principio inderogabile dell'acqua “bene comune”. Varrebbe la pena di archiviarla subito come una delle tante battaglie ideologiche italiane, ora che le ideologie sono passato remoto, se non fosse che in mezzo ci siamo noi, 56,1 milioni di italiani (già, non proprio tutti) raggiunti dai 6,5 miliardi di metri cubi di acqua pubblica distribuita sul territorio nazionale. E se non fosse che il sistema, letteralmente, rischia di affondare, a guardare lo stato generalmente disastroso degli oltre 212 mila chilometri di acquedotti e degli oltre 173 mila di fognature che attraversano il Belpaese. Numeri che impediscono di pensare a un futuro migliore per gli 8 milioni di italiani che non hanno accesso all'acqua potabile e i 18 milioni che bevono acqua non depurata. A grandi linee è questo il Risiko della grande disputa in corso sulla “privatizzazione” dell'acqua. Allora vale la pena fare un tentativo di guardare nel modo più neutrale possibile ai termini della questione. Innanzitutto c'è da dire che questa è una partita con un finale già scritto. Dopo la riforma dei servizi pubblici locali (legge 133/2008), il Decreto 135/2009, convertito in legge nel novembre scorso, stabilisce una quota minima obbligatoria di partecipazione dei privati nelle società che gestiscono il servizio idrico integrato (acqua, fognature e depurazione). Tra chi si oppone al provvedimento si parla di referendum abrogativo, ma intanto la nuova situazione prevede che nelle società a partecipazione mista, i soci privati non potranno avere una quota inferiore al 40% e in quelle quotate in borsa si profila la necessità di ridurre il peso del socio pubblico a non più del 30%. E i tempi? Per le società municipalizzate, cioè di proprietà completamente pubblica, il termine è fissato al 31 dicembre 2011. Sguardo neutrale, si diceva. Per prima cosa, allora, guardiamo alle tariffe: gli avversari della privatizzazione avvertono che questa porterà un'impennata dei costi per i cittadini. Tra i tanti, il più citato è l'esempio di Arezzo, dove la società che gestisce l'erogazione dell'acqua è in mano a privati e spedisce le bollette più care d'Italia, dietro solo a Firenze. A studiarlo bene, Arezzo è un caso particolare. Qui il processo di privatizzazione del sistema idrico è iniziato dieci anni fa, con la costituzione della società mista

“Nuove acque” che raggruppa 36 comuni dell'Alto Valdarno, Monte dei Paschi, Banca Etruria e il colosso francese Suez. “Acqua in brocca” è lo slogan sui cui è iniziata una massiccia e articolata campagna promozionale per pubblicizzare tra i cittadini il consumo di acqua di rubinetto. Manifesti, iniziative pubbliche, fontanelle nelle scuole, visite guidate all'acquedotto: nulla è stato lasciato al caso. E i risultati si vedono: in dieci anni la percentuale di cittadini che bevono solo acqua minerale si è ridotta dall'ottanta al 46 per cento. Le bollette salate spiegano che non è una questione di costi. L'acqua di Arezzo costa ai cittadini 440 euro all'anno per ogni 200 metri cubi (la quantità media utilizzata dalle famiglie italiane), solo Firenze (448 euro all'anno) è più cara. E l'acqua in brocca di Arezzo costa quattro volte più che quella di Milano (110 euro), che da sempre fa vanto della sua municipalizzata. Dunque, il successo aretino non dipende dal portafogli e solo in parte, c'è da ritenere, dalla pubblicità. La chiave di volta è la qualità: se l'acqua del rubinetto non fosse buona, addio consumatori. “Se oggi quasi il 50% della popolazione beve l'acqua dal rubinetto è anche grazie ai 27 nuovi impianti di depurazione delle acque reflue con fitodepurazione, essiccamento dei fanghi di depurazione e successiva cogenerazione di energia. Si tratta di investimenti già realizzati per 111 milioni e di altri 140 previsti, per infrastrutture che resteranno alla comunità anche alla scadenza del contratto di 25 anni”, spiega Gianni Giani, presidente del Consorzio Intesa Aretina, socio privato di Nuove Acque. Siamo al punto: se è vero che in Italia ci sono moltissimi comuni che hanno gestito l'acqua in maniera virtuosa mantenendo basse le tariffe (in media le più basse in Europa), è anche vero che ce ne sono altrettanti che non ce la fanno più a sostenere costi e manutenzioni, abbassando di conseguenza il livello di servizio e della qualità dell'acqua, mettendo a rischi la salute dei cittadini e assistendo impotenti alle falle del sistema, che disperde ogni anno anno addirittura il 37% dell'acqua in distribuzione. Per rimettere in sesto le reti idriche italiane servirebbero 62 miliardi di euro: impossibile trovarli, ecco perché il Parlamento sta accelerando sulla privatizzazione.

COSA PREVEDE LA LEGGE La questione della privatizzazione dell'acqua è aperta da anni, ma è diventata molto concreta a partire dalla riforma dei servizi pubblici locali (legge 133/2008) e fino alla recente conversione in legge, lo scorso 19 novembre, del decreto Ronchi (135/2009). La nuova legge, fortemente criticata da regioni ed enti locali, prevede che la gestione dei servizi pubblici con rilevanza economica sia affidata solo con gara pubblica e facendo riferimento a criteri di economicità. L'applicazione della nuova disciplina prenderà il via entro la fine del 2010, quando scadranno tutte le concessioni relative ai servizi idrici finora rilasciate senza gara d'appalto. Da quel momento gli acquedotti e i servizi connessi potranno essere gestiti anche da società esclusivamente private.

l'Inghilterra è forse l'esempio più virtuoso: privatizzazione totale ma controlli asfissianti dell'Authority e tariffe aggiornate ogni cinque anni. I supporter dell'acqua pubblica e basta, ricordano però che in Europa, nella maggior parte dei casi, i privati sono sì entrati nella gestione, ma la mano pubblica ha mantenuto sempre la maggioranza, diversamente da quanto si appresta a sancire la normativa italiana, che non prevede la creazione di un'Autorità di controllo indipendente per monitorare le tariffe applicate e la loro congruità rispetto agli investimenti e la qualità del servizio fornito. Il timore non è campato in aria: i costi enormi per l'adeguamento delle reti idriche rischiano di far saltare il banco. In tempi di crisi appare difficile l'accesso al credito per piccole imprese e consorzi, di fronte a investimenti così alti. Il rischio è che alla fine la partita si risolva a tutto vantaggio di qualche multinazionale priva di alcun legame con il territorio. Difficile, in conclusione, dire chi ha ragione. Di certo, la strada della privatizzazione è già avviata, resta da capire se (e per chi) sarà veramente un affare. Fonti dei dati citati nell'articolo: Altroconsumo, Cittadinanzattiva, Acque nuove, AVCP (Autorità Vigilanza Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture)

Efficienza promessa, a prezzo di tariffe più alte. Mettendo il naso fuori dall'Italia, 7


PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ

QUELLA DEI E’ BUONA.

MA QUANTO

L'acqua del rubinetto? Buonissima nelle maggiori città italiane. Lo ha rilevato una recente indagine sul campo di Altroconsumo, che ha giudicato eccellente l'acqua pubblica di Potenza e Campobasso, e di altre città italiane. Molte differenze, invece, tra le tariffe applicate ai cittadini. Gli esperti di Altroconsumo hanno esaminato le caratteristiche che rendono un'acqua di qualità - come durezza, residuo fisso, sodio, cloriti, nitrati - oltre che la sicurezza, controllando in laboratorio se vi fossero inquinanti tra i più insidiosi e incriminati, come metalli pe-

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SINDACI CI COSTA?

H2O

GLOSSARIO PH: su una scala da 0 a 14, misura basicità o acidità dell'acqua. Valori inferiori a 7 indicano che l'acqua è acida, valori superiori al 7 indicano che è basica (o alcalina). Se il valore è 7, l'acqua è neutra. L'acqua potabile presenta un PH che oscilla da un valore di 6.5 a 8.5; variazioni significative sono da attribuirsi ad inquinamento della falda. DUREZZA: è determinata dalla presenza di sali, magnesio e calcio. La legge impone valori compresi tra 15 e 50 gradi francesi, dove per “acque dure” si intendono quelle con grado di durezza uguale o superiore ai 40° f. Nonostante la denominazione possa far temere il contrario, le acque dure non sono dannose per l'uomo. NITRITI: si tratta di ioni negativi che presentano un elevato grado di tossicità per l'uomo, specialmente per i bambini, comportando rischi di patologie come la metemoglobina. La legge stabilisce che non superino i 0,50 mg/l.

santi, pesticidi e solventi. Il risultato è cristallino, come l'acqua dei capoluoghi di Regione e Provincia di tutta Italia. Secondo l'associazione di consumatori non bere l'acqua di casa significa rinunciare a un prodotto buono, equilibrato perché oligominerale e super-economico, dato che costa 250 volte meno che l'acqua griffata e venduta in bottiglia. Diverso è il discorso sulle tariffe, molto diverse da città a città. Confrontando la bolletta annua su tre diversi profili di consumo si scopre che a Firenze si spende il 300% in più che a Milano. Se

una famiglia media utilizza 200 metri cubi di acqua all'anno, in un anno spende per l'acqua a potabile a Firenze e ad Arezzo quanto per l'elettricità, oltre 440 euro. La stessa famiglia, a Milano e Venezia, spenderebbe rispettivamente 110 e 154 euro. Nel mezzo tra i due estremi della classifica, esempi virtuosi come Catania, Roma, Catanzaro, Aosta e Campobasso, dove la stessa famiglia spende sotto i 200 euro. Ferrara, Ravenna, Perugia, Genova, Lecce e Bari, invece, seguono le due città toscane nella parte alta della classifica delle più care, tutte ben oltre i 300 euro.

NITRATI: meno pericolosi dei nitriti, il loro valore non deve comunque essere superiore ai 50 mg/l. Quando ciò avviene si è probabilmente in presenza di inquinamento dovuto, con buona probabilità, a residui di fertilizzazione agricola o ad impianti fognari non a norma. CLORURI: la legge stabilisce che i valori presenti nell'acqua devono rimanere al di sotto dei 250 mg/l. Per quanto non comportino un rischio tossicologico, elevate concentrazioni conferiscono sapore e odore sgradevoli. Nelle zone costiere, l'inquinamento da cloruri è sovente provocato da infiltrazioni marine. SOLFATI: sono presenti nell'acqua in seguito al naturale passaggio attraverso rocce che contengono zolfo. Valori superiori a 250 mg/l sono fuori norma; la contaminazione da solfati può essere causata da scarti industriali.

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PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ

ACQUA IN NUMERI FONTE: Cittadinanzattiva

CONSUMI IN ITALIA (in mld di mc) 6,5 acqua distribuita 5,5 acqua consumata

COME SI TRASPORTA (in km) 212.261 in acquedotto 173.483 in fognatura

ITALIANI SERVITI 56,1 milioni

USO DOMESTICO 39% bagno o doccia 20% usi sanitari 12% bucato 10% lavaggio stoviglie 19% altro

MERCATO Giro d'affari Italia: 2,5 miliardi di euro anno 580 milioni investimenti annuo FONTE: AVCP Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture

RISORSE IDRICHE NAZIONALI per area geografica 65% Nord 15% Centro 20% Sud e Isole

RIPARTIZIONE DEI CONSUMI 46% agricoltura 19% produzione idroelettrica 17% manifatturiera 18% forniture pubbliche

LE PRIME 10 CITTA' CON LE TARIFFE PIU' CARE (spesa annua in euro per 200 mc di consumo) FONTE ALTROCONSUMO

BEVI L'ACQUA DI CASA Diffondere la cultura dell'acqua del rubinetto e dare un colpo di piccone ai pregiudizi che l'hanno trasformata nella sorella povera e meno sicura di quella in bottiglia. “Bevi l'acqua di casa” è il claim della campagna lanciata da Altroconsumo a margine della ricerca sulla qualità dell'acqua pubblica in 35 città italiane. L'acqua del rubinetto non è un ripiego più economico, spiega l'Associazione, ma una scelta intelligente.

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Firenze 448 Arezzo 440 Ferrara 388 Ravenna 385 Perugia 365 Genova 334 Lecce 330 Bari 330 Frosinone299 Padova 289

LE CITTA' CON LE TARIFFE PIU' BASSE (spesa annua in euro per 200 mc di consumo) FONTE ALTROCONSUMO

Milano 110 Venezia 154 Campobas.175 Aosta 176 R.Calabria 180 Catanzaro192 Roma 196 Catania 198 Pescara 205 Bolzano 207

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IL LATO OSCURO DELLA DEROGA Poi dice che uno si attacca alla bottiglia. Anche se test e analisi dimostrano la buona qualità dell'acqua pubblica italiana, pochissimo si sa del regime di deroga in cui Comuni e Regioni possono distribuire l'acqua nonostante alcune alterazioni. In un recente rapporto di Cittadinanzattiva emerge che dal 2001 a oggi sono risultate alterazioni dell'acqua in 13 Regioni. Ma di che alterazioni si tratta? Arsenico, cloriti, selenio, trialometani, vanadio, nichel. Niente paura, non si tratta di alterazioni tossiche, qui il punto è la mancata informazione. Gli enti territoriali, infatti, ogni volta che distribuiscono l'acqua in deroga, sarebbero tenuti a informare i cittadini. E, soprattutto, a risolvere il problema riscontrato entro un lasso di tempo circoscritto. Cosa che non è riuscita a fare, per esempio, la Regione Lombardia, che dall'inizio del 2010 non potrà più avanzare richieste di deroghe (adesso arrivano anche sul tavolo della Commissione Europea) e che, se in alcuni Comuni continueranno ad essere riscontrati valori di arsenico superiori alla norma, sarà costretta a sospendere l'erogazione dell'acqua. L'arsenico, è vero, fa paura. Ma non c'è nessuno che tenta di avvelenare i nostri acquedotti. La presenza di questa e altre sostanze dipende dalla loro esistenza sul territorio. La soluzione è semplice ma, per le esangui casse dei nostri enti locali, molto costosa in termini di manuten-

zione, controlli, investimenti. Il funzionamento della deroga l'ha spiegato in dettaglio il magazine allegato al Corriere della Sera del 15 ottobre scorso. Se il gestore dell'acquedotto rileva un valore superiore alla norma, si rivolge alla Regione per chiedere l'autorizzazione a proseguire l'erogazione dell'acqua. La Regione presenta l'istanza al Ministero della Salute che a sua volta gira la pratica all'Istituto Superiore della Sanità. Da qui parte la richiesta di un parere al Consiglio Superiore della Sanità, prima di tornare ai Ministeri Ambiente e Salute che, congiuntamente, possono firmare o negare l'autorizzazione. Per chi non abbia vissuto in Finlandia o in Norvegia negli ultimi venti o trent'anni, è facile capire che un percorso burocratico-amministrativo del genere darebbe il tempo a un potenziale virus di estendersi in tutta la rete idrica nazionale. Già, perché nell'attesa della deroga che comunque non risolve il problema, ma autorizza semplicemente a ignorarlo - la distribuzione dell'acqua prosegue. Certo, adesso siamo in Europa. E infatti dal 2010, in nome del controllo e della trasparenza, oltre a tutti i passaggi di carte descritti se ne aggiungerà un altro, quello dell'UE, che almeno, oltre a mettere un timbro e una firma sulla deroga, pretenderà di sapere cosa si è fatto per mettersi in regola.

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PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ

STAPPO O PAURE, PIACERI, MODE E FALSI MITI DELL’ACQUA IN BOTTIGLIA E DA RUBINETTO.

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Ma l'acqua del rubinetto è sicura? Ho letto che l'Università di Napoli ha diffuso dati che provano che in molti Comuni l'acqua è contaminata: ma le Università non sono le stesse che fanno l'analisi chimico-fisica delle acque? Basta fare un giretto tra siti e forum di consumatori per scoprire che Internet è per molti versi lo specchio della realtà: informazioni sommarie, luoghi comuni, molti dubbi e soprattutto tanta diffidenza. In un'epoca in cui, almeno nelle intenzioni, i Grandi del mondo sembrano aver preso a cuore la salute e il futuro del pianeta, non si può ignorare, parlando di acqua, l'enorme business mondiale dell'imbottigliamento. Bere acqua minerale, negli anni, è diventato uno status, poi un abitudine e per alcuni perfino un vizio, di pari passo con i massicci e crescenti investimenti pubblicitari delle multinazionali che - così come con molti altri prodotti - hanno trasformato la nostra percezione dell'acqua da bevanda basica per dissetarsi a fonte di salute e se non addirittura di bellezza. È il mercato, naturalmente, con i suoi pregi, la sua creatività e le sue inevitabili distorsioni. In Italia, il consumo dell'acqua in bottiglia cresce al ritmo del 7% annuo, aumentando esponenzialmente l'impatto ambientale (trasporti e smaltimento) in un segmento in cui i vincoli sono sempre meno stringenti. Anche se alcune acque in bottiglia differiscono da quella di rubinetto solo

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APRO? per il fatto di essere distribuite in bottiglia piuttosto che attraverso condutture (in Europa e negli Stati Uniti esistono infatti più standard regolatori che tengono sotto controllo l’acqua di rubinetto di quante ce ne siano per l’industria dell’acqua in bottiglia) è del tutto evidente che il prodotto confezionato può avere il vantaggio di essere generalmente più sicuro in aree in cui le falde sono state contaminate, come ammesso anche in una recente pubblicazione del WWF dal titolo “Acqua in bottiglia: capire un fenomeno sociale”. Nello studio si cerca di capire, al netto dell'efficacia della pubblicità, da cosa dipenda la nostra sfiducia nei confronti dell'acqua di rubinetto. “Il nostro atteggiamento nei confronti dell’acqua di rubinetto è stato forgiato dall’inquinamento che sta soffocando fiumi e torrenti, i quali dovrebbero essere delle vene di vita”, scrive Richard Holland, direttore della campagna Living Waters (Acque Viventi) del WWF. “Dobbiamo proteggere e mantenere accuratamente protette queste acque alla fonte, e non solo durante le operazioni di trattamento, in modo da poter tranquillamente berle dal nostro rubinetto”. La paura, più o meno indotta, spiega molto di questo fenomeno. Il mercato dell’acqua in bottiglia è in parte incentivato dalla preoccupazione riguardo alla qualità delle acque di falda e soprattutto dal marketing di

molte marche che la ritraggono come prelevata direttamente alla sorgente e quindi più sana di quella del rubinetto. Eppure, secondo i dati della FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), in termini di valori nutrizionali l’acqua in bottiglia non è meglio di quella del rubinetto. Può contenere piccole quantità di minerali, ma vale lo stesso per l’acqua di molti fornitori pubblici e municipali. Bere una o l'altra è una scelta soprattutto di gusto, legata al sapore e alla voglia di bollicine. La pubblicità dell'acqua in bottiglia punta molto sulla scarsa presenza di sodio o il residuo fisso molto basso, elementi rispetto ai quali la differenza con l'acqua di rubinetto è minima o assente. La qualità dell’acqua potabile italiana è buona, non ci sono motivi fondati per ritenere l'acqua minerale più salutare. Ciò non significa che l'acqua in bottiglia non sia di buona qualità, ma sopravvalutarla è poco ragionevole. Nessuna virtù particolare dunque e nessun rischio: bere dalla bottiglia o dal rubinetto fa una notevole differenza solo per il portafoglio. Siamo fatti così: ci indigniamo in estate se costretti a pagare tre euro una bottiglietta da mezzo litro sulla salita del Partenone, e poi, in autunno, riprendiamo le nostre abitudini di acquisto delle gustose e salutari acque imbottigliate.

IL COSTO GLOBALE DELL'IMBOTTIGLIAMENTO Secondo la rivista scientifica “Science Africa” ogni anno vengono utilizzate un milione e mezzo di tonnellate di plastica per imbottigliare acqua. Svariate sostanze chimiche tossiche sono poi rilasciate nell’ambiente durante la produzione e lo smaltimento delle bottiglie. Inoltre, un quarto degli 89 milioni di litri di acqua imbottigliata ogni anno sono consumati al di fuori dal loro paese di origine. Le emissioni di gas serra e ossido di carbonio, causate dal trasporto all’interno delle e fra le diverse nazioni, contribuisce al problema globale dei cambiamenti climatici.

L'ACQUA IN SCATOLA Si chiama Boxed Water e ha messo l'acqua in una scatola riciclabile. L'idea è innovativa, l'esperimento tutto da verificare, ma è certo un buon segnale che perfino chi l'acqua la vende inizia a ragionare sulla diminuzione dell'impatto ambientale. In questo caso l'acqua in scatola supera il concetto della bottiglia: Boxed Water usa per il packaging dell’acqua il 90% di materiale riciclato, un involucro che provoca emissioni di CO2 in maniera sensibilmente inferiore rispetto alle classiche bottiglie di plastica. Non solo: l'azienda ha promesso che, se il business decollerà, il 20% dei profitti sarà distribuito a fondazioni che si occupano di acqua e ambiente e a progetti di rimboschimento.

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STORIE DI QUALITÀ: TEAM VELICO CERTIFICATO

BRAVI, BRAV E DI QUALIT

LIGHTBAY SAILING TEAM È IL PRIMO TEAM VELICO A OTTENERE DA IMQ LE CERTIFICAZIONI DEI SISTEMI DI GESTIONE PER LA QUALITÀ E AMBIENTALE. SCOPRIAMO IL PERCHÉ DI QUESTA SCELTA E IL DIETRO LE QUINTE DEI PROTAGONISTI. 14

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AVISSIMI, TA’

Se pensate che la barca vela sia un mezzo di trasporto verde, come potrebbe esserlo la bicicletta, provate a parlare con Carlo Alberini, armatore e team manager del team velico Lightbay Sailing Team (LBST). Perché qualche dubbio ve lo metterà. E non per provocazione o anima integralmente ecologista, ma per esperienza diretta. Perché lui, da ex imprenditore, da qualche tempo ha deciso di portare nel mondo dei team sportivi, e in particolare nel suo team, la certificazione dei sistemi di gestione per la qualità e ambientale. Una decisione che può suscitare qualche curiosità a pensarci bene, perché non a tutti potrebbero essere così immediati i vantaggi che strumenti nati per il mondo dell’industria quali, per l’appunto, la certificazione dei sistemi di gestione aziendali, possano essere di utilità per un team sportivo, laddove quello che conta è la competitività della squadra. Ma la cosa ci stupirebbe meno se ci chiedessimo quali sono i requisiti che rendono una squadra competitiva e che in realtà si traducono in capacità e organizzazione. Facciamo un esempio pratico. Il percorso di certificazione del sistema qualità, condotto con IMQ sulla base della norma ISO 9001, ha portato il team velico di Carlo Alberini ad analizzare la propria organizzazione mettendo in evidenza gli aspetti positivi, quelli migliorabili, le diverse criticità e, ovviamente, i correttivi da apportare. Ha introdotto modifiche nei comportamenti dei membri del team e anche cambiamenti nei materiali utilizzati. Ha portato alla stesura di regole e procedure ben precise, condivise da tutti i membri della squadra, responsabilizzandoli e impegnandoli a definire con precisione il proprio comportamento, a terra e a bordo, affinché potesse essere misurabile e dunque migliorabile. Sono poi state monitorate le modalità di trasporto, le procedure organizzative, i materiali utilizzati e loro modalità di impiego con l’obiettivo di ridurne gli sprechi. Anche i partner, gli sponsor e i fornitori della squadra sono stati selezionati attentamente avendo cura di privilegiare solo quelli che potessero garantire affidabilità, sensibilità ambientale e, ovviamente, efficienza. Il tutto ha comportato un taglio degli sprechi, sia econo-

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STORIE DI QUALITÀ: TEAM VELICO CERTIFICATO

mici sia ambientali di immediato riscontro, ma anche una ottimizzazione dell’organizzazione. Dal punto di vista interno la certificazione ha portato a organizzarsi con ruoli chiari per gli atleti professionisti e non, consentendo di volta in volta la migliore scelta in base alle condizioni previste e quelle storiche del campo di regata. Parallelamente, la certificazione del sistema di gestione ambientale, secondo la norma ISO 14001, ha portato a individuare leggi e regolamenti applicabili all’attività velica - circa 25 - e alla redazione di un documento di analisi ambientale iniziale nel quale sono stati schematizzati i rischi, le ricadute pericolose per l’ambiente nei vari momenti connessi alla attività nautica, ovvero dalla manutenzione ordinaria della barca a quella straordinaria, ai mezzi ed alle attrezzature e ovviamente i correttivi da apportare e, nel caso di rischio di inquinamento ambientale, le azioni di intervento da mettere in pratica. Ad esempio arginando i danni in caso di dispersione di sostanze inquinanti quali oli, carburante o gas durante una regata; riducendo al minimo i motori o utilizzando gli appositi mezzi di tamponamento; limitando l’impiego di sostanze chimiche e la produzione di rifiuti pericolosi; ricorrendo a smaltitori autorizzati o, ancora, gestendo in maniera differenziata la produzione di rifiuti solidi derivante dal consumo di cibi e bevande a bordo. Ecco come, votando le proprie azioni e la propria organizzazione al totale rispetto dell’ecologia, Lightbay Sailing Team incarna l’ideale collettivo della vela come sport “verde”. E chissà che l’esperienza di questo team, con le certificazioni rilasciate da IMQ, non possa essere seguita anche da altri team velici o dalle squadre di sport diversi, desiderosi di misurarsi con l’esigenza di un’organizzazione strutturalmente forte che si ponga continuamente dei nuovi obiettivi e che agisca nel pieno rispetto delle norme ambientali. Senza dimenticare che, se mantenuta nel tempo, la certificazione comporta vantaggi competitivi e organizzativi che sono alla base di ogni vittoria.

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DIETRO LE QUINTE DELLA CERTIFICAZIONE:

LA PAROLA AI PROTAGONISTI

CARLO ALBERINI, L’ARMATORE. Come è nata l’idea di certificarsi? La nostra squadra sta seguendo un percorso di miglioramento dell’organizzazione, dei processi interni ma anche di selezione dei fornitori e di attenzione per l’impatto sull’ambiente che anche uno sport come la vela può avere. Affinché questi nostri sforzi non fossero solo un intento, ma un’azione concreta, abbiamo ritenuto opportuno dotarci di un sistema qualità e di un sistema di gestione ambientale e di farlo certificare da un ente autorevole come IMQ. Per noi certificarsi ha significato innanzitutto sottolineare il momento di cambiamento. La nascita di una

struttura e la definizione di ruoli, compiti e procedure, portano infatti a comunicare non solo una volontà di professionismo e organizzazione, ma anche ad esprimere attraverso la certificazione, il raggiungimento di tale risultato. Risultato che è indice di maggiore sicurezza e di elevata professionalità per tutti coloro che vengono a contatto con il team. Come dicevo, le idee devono essere confortate dai fatti e certificandosi Lightbay Sailing Team ha voluto mettere nero su bianco tutto ciò che sta facendo e farà per migliorare se stesso e l’impatto nei confronti dell’ambiente. Essere certificati significa per noi porsi degli obiettivi, dichiararli e avere la certezza che un organo di controllo super partes vigili sul comportamento e sui risultati. In ottica di rispetto dell’ambiente, oltre alla certificazione secondo la ISO 14001, abbiamo anche allo studio un progetto interessante ed innovativo, che prevede la progettazione e la realizzazione di una barca a vela che risponda a caratteristiche maggiormente eco-compatibili: dai materiali utilizzati, alla gestione della barca stessa. Noi crediamo, e lo vorremmo poter dimostrare anche in acqua, che oggi è possibile applicare i nuovi materiali che derivano da riciclo o progettare pensando già a fine vita della barca senza penalizzare la competizione ed i risultati.

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STORIE DI QUALITÀ: TEAM VELICO CERTIFICATO

CARMINE ROBERTO COSENTINO, RESPONSABILE QUALITÀ LBST.

PIERANGELO DI LAZZARO, CONSULENTE.

CLAUDIO PROVETTI, DIRETTORE FUNZIONE CSQ (CERTIFICAZIONE SISTEMI DI GESTIONE) DI IMQ.

Un esperto di diritto e di qualità in un team sportivo, come mai? Per portare consapevolezza, nuove conoscenze e migliorare la professionalità. Da parte del team è stata una scelta fatta con lungimiranza i cui risultati si misureranno nei prossimi anni; da parte mia ho raccolto una sfida, quella di traslare delle competenze e delle conoscenze formatesi in ambito aziendale in una sfera completamente differente. Dopo averci lavorato ho scoperto che anche un team velico ha delle responsabilità, proprio come qualsiasi altra azienda. Non si chiamano utili, sono definiti risultati, ma alla fine i bilanci si fanno comunque.

Qual è il ruolo del consulente nella fase di certificazione? Anzitutto è quello di sensibilizzare l’azienda, qualora già non lo fosse, sull’utilità della certificazione che non è un mero atto burocratico come alcuni pensano. La certificazione è un bellissimo strumento per poter conoscere meglio la propria azienda e migliorarla là dove è possibile. Le norme che stanno alla base della certificazione pongono dei requisiti, e alle organizzazioni in fase di certificazione viene richiesto di spiegare come questi vengono assolti. Il ruolo del consulente è quello di aiutare l’azienda nell’identificare se stessa e tracciare un proprio ritratto, preciso e dettagliato. Volendo semplificare e riassumere in alcune domande i quesiti che le norme pongono, potremmo così elencarle: dimmi chi sei e cosa fai, dimmi come sei organizzato, ora dimmi come gestisci il tuo processo interno e come gestisci i requisiti contrattuali, i tuoi progetti, i tuoi approvvigionamenti, la produzione o l’erogazione di un servizio, ora che hai individuato tutto questo, come fai per misurare, raggiungere e migliorare i tuoi processi e i tuoi obiettivi? Compito del consulente è anche quello di fare in modo di coinvolgere tutte le risorse umane perché, come in tutte le cose, anche con la certificazione i risultati sono più efficienti quando c’è il coinvolgimento e la consapevolezza da parte di tutta l’azienda.

Qual è in concreto il valore della certificazione? Parto anzitutto dalla considerazione che se, per la prima volta in Italia, un team velico ha deciso di dotarsi di un sistema di gestione per la qualità e per l’ambiente e di certificarlo, credo sia notizia degna di nota e mi auguro che offra lo spunto ad altre realtà. Per quanto riguarda la certificazione questa non vuole e non deve essere un atto formale, e tantomeno un punto d’arrivo, bensì uno strumento di miglioramento continuativo. Se condotta e vissuta con impegno e determinazione, essa può portare a notevoli risultati derivanti dalla capacità di darsi degli obiettivi sempre più ambiziosi e al passo coi tempi, misurarsi e intervenire su gli aspetti di debolezza, rafforzando i punti di forza della propria organizzazione.

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SICUREZZA A BORDO A definire le caratteristiche che un impianto elettrico di una barca deve avere per poter essere sicuro esiste una norma specifica. Si tratta della Norma CEI del Comitato Tecnico 18 “Impianti elettrici di navi ed unità fisse/mobili fuori costa (offshore)” ed in particolare dalle norme corrispondenti alla serie EN 60092. La Norma CEI 18-56 “Impianti elettrici a bordo di navi. Parte 507: Imbarcazioni da diporto” (corrispondente alla norma internazionale EN 60092-507) specifica le prescrizioni per il progetto, la costruzione e l’installazione di sistemi elettrici sulle unità da diporto che navigano nelle acque interne e per mare. La Norma si applica ai sistemi elettrici: • monofase in corrente alternata a tensione nominale non superiore a 250 V; • trifase in corrente alternata a tensione nominale non superiore a 500 V; • in corrente continua a tensione nominale non superiore a 50 V.

LE BARCHE RAPPRESENTANO DEGLI AMBIENTI MOLTO PARTICOLARI: UN MICROCOSMO ASSIMILABILE A UNA CASA, PER QUANTO RIGUARDA GLI IMPIANTI ELETTRICI, MA SEMPRE A STRETTO CONTATTO CON L’ACQUA E CHE DUNQUE RICHIEDE ACCORTEZZE PARTICOLARI.

La norma contempla, in particolare, le conseguenze che un grave incendio, un rischio elettrico, le influenze ambientali e le sollecitazioni meccaniche particolarmente gravose potrebbero avere sull’impianto, nel caso di impianto con energia elettrica fornita sia da un generatore sia da batterie con capacità sufficiente ad alimentare i servizi essenziali e, nello stesso momento, in grado di caricare le batteria all’80% della sua capacità in 10 ore. Gli ambiti sviluppati riguardano il sistema elettrico a bordo, i collegamenti a massa e a terra e i sistemi di protezione contro i fulmini Fonte CEI

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STORIE DI QUALITÀ: VELA VERDE

O MARE VERDE, O MARE VERDE, O MARE VEE... NAUTICA SOSTENIBILE: LE NUOVE REGOLE PER LE AREE MARINE PROTETTE.

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Da una parte le aree marine italiane protette, un patrimonio originale e straordinario nel panorama europeo e mediterraneo, capace di coniugare tutela della biodiversità, fruizione turistica e sviluppo sostenibile; dall’altra il comparto produttivo nazionale della nautica da diporto, che rappresenta uno dei settori di eccellenza del made in Italy, che negli anni ha investito molte risorse in tecnologie di valenza ambientale posizionandosi al vertice del mercato mondiale. Due mondi, apparentemente distanti, avvicinati attraverso il tavolo di confronto istituito presso il Ministero dell'Ambiente, con la partecipazione del Ministero dei Trasporti, delle Capitanerie di Porto, degli Enti gestori delle aree marine protette, delle associazioni di categoria della nautica e delle associazioni ambientaliste. Il risultato è un “Protocollo tecnico per la nautica sostenibile nelle aree marine protette” che individua nuove regole per la fruizione delle zone tutelate da parte della nautica da diporto e l’avvio di una revisione complessiva dei regolamenti di queste aree. Un passaggio reso necessario dal rapido accrescimento del loro numero che ormai interessa circa il 12% del

mare italiano, avvenuto in presenza di un quadro normativo frammentario e spesso incoerente. Al contempo, anche la navigazione da diporto è stata normata in maniera non sempre commisurata ai reali impatti prodotti sul mare e sulle coste. Ragionare di nautica sostenibile significa oggi promuovere le tecnologie più idonee a garantire una fruizione etica del mare e delle aree costiere da parte dell’uomo, sia per finalità turistiche che di trasporto. L’attività di ricerca e di sviluppo si concentra dunque sul miglioramento delle tecnologie esistenti, spaziando dalle caratteristiche degli scafi e dei materiali utilizzati per realizzarli, fino ad arrivare alle motorizzazioni ed ai combustibili impiegati. I lavori del tavolo di confronto hanno anche individuato alcuni punti di debolezza del settore rispetto alla nautica, suggerendo raccomandazioni e soluzioni praticabili da adottarsi nel medio-lungo periodo mediante l'attivazione di un numero verde nazionale e di un sito internet dedicato alle aree marine protette, l'adozione di un programma di incentivi all'utenza per l'installazione delle "casse nere" sulle imbarcazioni usate, l'adozione di un piano di interventi finanziari affin-

ché i porti turistici e i marina contigui o all'interno delle aree marine si dotino di attrezzature idonee alla raccolta dei liquami e la finalizzazione dei regolamenti alla destagionalizzazione. La prima area a recepire il protocollo è stata il Regno di Nettuno, istituita come area marina protetta nel dicembre 2007 intorno alle isole di Ischia e Procida e Vivara. Lì le imbarcazioni da diporto possono navigare in assetto “dislocante”, ovvero con tutta la superficie di galleggiamento a contatto con l'acqua. Altri vincoli sono la velocità non superiore a cinque nodi, una navigazione entro trecento metri dalla costa, la dotazione di casse per la raccolta dei liquami e motori conformi alla disciplina comunitaria in materia di emissioni gassose e acustiche. Resta il divieto assoluto, naturalmente, per ogni tipo di acquascooter. Regole precise anche in caso di avvistamento di cetacei, una delle specie marine a maggior rischio di estinzione. Non sono consentite soste superiori ai trenta minuto né è possibile avvicinarsi a meno di 100 metri dal luogo dell'avvistamento.

DAL GIAPPONE IL TRAGHETTO A ZERO EMISSIONI Sarà il primo traghetto “plug-in” al mondo, capace di trasportare 800 passeggeri. Nascerà in Giappone dal colosso navale IHI Corporation, società impegnata da tempo su progetti di riduzione di gas serra. Il progetto di base prevede un'imbarcazione di trenta metri alimentata dalla propulsione fornita da un motore a batterie ricaricabili. In realtà non si tratta di una novità assoluta nel mercato dei trasporti navali: piccole imbarcazioni alimentate a batteria, esistono da tempo, ma in questo caso si tratterebbe di una prima assoluta per tipologia e grandezza del mezzo. Non emetterebbe biossido di carbonio o ossido di azoto, l'obiettivo di IHI Corporation è anche quello di tagliare i costi del carburante. Il mezzo, una volta in funzione, dovrebbe essere in grado di percorrere circa 120 chilometri con una carica di sei-otto ore. Per la filiale responsabile del settore innovazione, la IHI Marine United, il lancio sul mercato sarà fissato per il 2015, data in cui è prevedibile siano commercialmente disponibili batterie ricaricabili ad alte prestazioni e a costo inferiori a quelli attuali.

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STORIE DI QUALITÀ: REGATE STORICHE

BARCOLA

TUTTI INSIEME APPASSIONATA

C’ERA UNA VOLTA LA BARCOLANA. E C’E’ ANCORA. UN EVENTO NATO 40 ANNI FA, QUASI PER GIOCO, TRA UNA CINQUANTINA DI BARCHE A VELA, DIVENTATO IN BREVE TEMPO UNA TRADIZIONE CHE, LA SECONDA DOMENICA DI OTTOBRE, RICHIAMA NEL GOLFO DI TRIESTE QUASI 2.000 BARCHE. PERMETTENDO A GRANDI PICCOLI, NOTI E MENO NOTI, DI GAREGGIARE. TUTTI INSIEME. 22

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LANA.

AMENTE

Era la seconda domenica di ottobre del 1969, quando l’uomo aveva appena smesso di guardare la Luna raggiunta solamente pochi mesi prima, che a Trieste un gruppo di amici inventava la Coppa d’Autunno. L’evento, che avrebbe acquisito il suo attuale nome solamente parecchi anni dopo, iniziò quasi per gioco, con una regata inventata da poche persone che alla prima edizione contava 51 iscritti. La regola era una sola: nessuno doveva essere considerato diverso pur non avendo la stessa barca, quindi il vincitore era chi tagliava per primo il traguardo, che fosse un 30 metri o 6 poco importava. Alla prima edizione la spuntò Betelgeuse, un Alpa 9 (barca nata nel 1967 dalla lunghezza di 9,10 metri, costruita in vetroresina dai cantieri omonimi) timonato da Piero Napp che incise il suo nome sulla prima coppa. Da allora sempre più velisti, incuriositi dal regolamento e dalla voglia di vincere, iniziarono a segnare la seconda domenica di ottobre sul calendario, un’occasione per chiudere la stagione velica, divertirsi, mangiare in compagnia e magari “tirare qualche bordo” prima del rimessaggio invernale. Il primo record venne fissato nel 1974: 100 iscritti e a spuntarla fu Kaiten, timonata da Sergio Furlan, olimpionico di dragone che, insieme all’armatore Gianni Zalukar, tagliò il traguardo in una giornata di bora forte. Quella che era nata come semplice regata sociale iniziò a diventare evento nel 1983, quando al via si presentò Azzurra, il primo consorzio italiano iscritto all’America’s Cup. In quell’anno si iscrissero 596 barche, troppa la voglia di “tirar bordi” al fianco dei campioni. Ma anche

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STORIE DI QUALITÀ: REGATE STORICHE

merito di chi, imparando dalla Coppa America, aveva iniziato a parlare di merchandising nel mondo nautico, inviando il manifesto della Barcolana in giro per i circoli azzurri alla ricerca di iscritti. Le partecipazioni celebri non si fermarono in quell’anno. Nel 1986 fu la volta del Moro, armato dalle famiglie Ferruzzi e Gardini. Allora il nome “Moro di Venezia” non era ancora abbinato a uno scafo rosso timonato da Paul Cayard, ma era una semplice, se così si può definire, barca bianca con i bordi verdi. Con la vittoria conseguita un anno dopo, il Moro diventò protagonista anche del primo esempio di “diplomazia da bar”. Già allora si partiva lungo la costiera Barcolana per doppiare la boa posta davanti all’Istria e ritorno. Quell’anno soffiava lo Scirocco che, nell’alto Adriatico, porta onde. Alla partenza tutti optarono per le “mure a sinistra” (n.d.r.: in mare si parla di “mura a dritta” quando il vento soffia dal lato destro e le vele si tendono a sinistra rispetto all’asse longitudinale della barca. In regata ha diritto di precedenza la barca “mura a dritta” e cioè quella con le vele sul lato sinistro, senza alcun riferimento alla direzione del vento). Solo Livio Lonzar, marinaio e velista del circolo organizzatore, la società Velica Barcola Grignano, decise di andare contro corrente con le “mure a dritta”. Secondo le regole del mare Lonzar aveva dunque la precedenza e quando si ritrovò davanti il Moro, timonato dal primo professionista della vela, Tiziano Nava, chiese cortesemente il diritto di rotta. Nava, che i regolamenti solitamente li rispettava, optò invece per proseguire con la sua andatura visto che virando avrebbe dovuto fare richiesta simile alle altre 670 barche iscritte. Lonzar se la prese e all’arrivo presentò regolare protesta. Passarono poco meno di 24 ore e Gardini inviava il suo timoniere, Nava, nuovamente in missione a Trieste: qualche bicchiere di vino e qualche pacca sulle spalle e la protesta da parte di Lonzar venne ritirata. Ma già allora vincere la Barcolana era un vezzo e Gardini, il cui cuore era stato rapito dal mare, dopo aver vinto in acqua, non voleva certo perdere per una semplice protesta. Nel

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1990 alla Barcolana arrivarono anche i “mostri” del mare, i maxi (per via della loro lunghezza che raggiungevano i 20 metri), reduci dalla durissima Whitbread, la regata in equipaggio che fa il giro del mondo. Cino Ricci, ormai innamorato dell’evento Triestino, si presentò con Gatorade, ma non fu fortunato perché trionfò la bonaccia e il maxi era troppo pesante per riuscire a imporsi. Nel 1992 arrivò anche il principe Ranieri che, di barche sulla linea di partenza, ne trovò ben 962. La Barcolana era già record e il segreto era facile: semplicità nelle regole e soprattutto la possibilità di gareggiare vicino a mostri sacri del mare, magari battendoli anche. Nel 2002 si arrivò al record assoluto: 1969 iscritti, numero che nessun’altro evento nel mediterraneo ha mai raggiunto. Anno dopo anno la Barcolana è così diventata evento senza che nessuno se ne rendesse conto. L’indotto creato su Trieste è di difficile comprensione, anche se in realtà, la seconda domenica di ottobre, basta guardare l’affollamento delle rive per capirne di più. Gli alberghi, i ristoranti e i gazebi degli sponsor vengono presi letteralmente d’assalto semplicemente per poter far vedere la giacca tecnica acquistata per l’occasione e poi dimenticata in armadio per i restanti giorni dell’anno. La vela da sempre viene vista come uno sport elitario e quindi per pochi privilegiati, forse per colpa di regole molto restrittive e complesse, di una terminologia degna di una lingua straniera e soprattutto della lontananza dalla terra ferma. La Barcolana, invece, cancella questi limiti e il suo successo è proprio nell’abbattere le barriere e i luoghi comuni. Ma quello che in particolare colpisce chi vive per la prima volta la seconda domenica di ottobre triestina, è la possibilità di restare a stretto contatto con i campioni e vedere e spesso salire sugli scafi ammirati nelle foto. In pratica, per un giorno, uno soltanto purtroppo, tutti sono velisti e tutti abbattono quelle barriere che tengono lontane le persone dal magico mondo della vela.

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STORIE DI QUALITÀ: REGATE DI CLASSE

CHI HA OSATO SFIDARE LA COPPA AMERICA

LA LOUIS VUITTON CUP, NATA PER SELEZIONARE LO SFIDANTE DI COPPA AMERICA, DIVENTA LOUIS VUITTON TROPHY E SFIDA COPPA AMERICA CON UN NUOVO CIRCUITO DI REGATE BASATE SULLA SFIDA TRA UOMINI PIÙ CHE TRA BARCHE. CHI VINCERÀ? IMPOSSIBILE DIRLO. MA UN BUON RISULTATO C’È GIÀ: IL RITORNO DI AZZURRA. Mentre la Coppa America continua a essere arenata in tribunale a New York, paralizzata dai litigi tra il defender Alinghi ed il challenger BMW Oracle da oltre 2 anni, le “regate di Coppa” quelle fatte di uomini, di mare, di vento e di avvincenti match race a novembre parlavano francese e si facevano ammirare lungo la Promenade a Nizza. Si chiama Louis Vuitton Trophy ed è il nuovo circuito di regate internazionali organizzate sul modello della Coppa America: una serie di round robin eliminatori e poi una sfida tra due finalisti. A Nizza dal 7 al 22 novembre 2009 si è svolta la prima tappa di questo circuito, organizzato da Bruno Troublé, storico velista francese per Louis Vuitton, e da WSTA (World Sailing Team Association), associazione nata nel settembre 2008, sotto la direzione di Laurent Esquier, che raggruppa molti dei team che in passato hanno partecipato all’America’s Cup. Così la Louis Vuitton Cup, regata eliminatoria nata nel 1983 per decretare il

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challenger ufficiale di Coppa America, e disputata fino al 2007, nel 2009 è diventata un circuito vero e proprio. L’organizzazione del Louis Vuitton Trophy è agile, snella ed economicamente molto più accessibile della Coppa America, perché i team non regatano su barche di proprietà, ma usano quelle messe a disposizione dall’organizzazione. I conti così iniziano a tornare ed i partecipanti, per essere alla prima tappa del primo anno, non sono certo mancati. A Nizza l’intero evento - 3 settimane di villaggio, barche accoglienza, incontri, attività varie - è costato 4,5 milioni di euro e le spese per i team si sono limitate alle trasferte, alle vele ed ovviamente alle persone di equipaggio e short team. Otto i team presenti, alcuni veterani come BMW-Oracle Racing (Usa), Emirates Team New Zealand (Nzl), K-Challenge (Fra), TeamOrigin (Gbr), a cui si sono affiancati i nuovi team Swedish Challenge Artemis (Sve), Sinergy Russian Sailing (Russ), Team French Spirit (Fra) e l’unico italiano: Azzurra (Ita). Azzurra, un nome che riporta immediatamente al 1983 e alla “Azzurra” disegnata da Andrea Vallicelli, la prima indimenticata barca italiana sfidante in Coppa America. Stesso nome, stesso Yacht Club (Costa Smeralda) e come allora unico team italiano a rappresentare il tricolore. Un ritorno che ha un sapore di buono, di Italia che ha voglia di vincere e di dire la sua nella massima espressione della vela. Il nuovo team Azzurra è capitanato da Giovanni Maspero - ottimo velista nelle classi one design come Farr40, Melges32 Melges 24-, come skipper ci sarà Francesco Bruni ed alla tattica il veterano Tommaso Chieffi. Intanto il Louis Vuitton Trophy dopo Nizza, ha in calendario altre due date per il 2010: marzo a Auckland, in Nuova Zelanda e a maggio alla Maddalena. E poi? Poi si faranno i bilanci, i conti e si vedrà chi ha ragione tra i detrattori di questa formula, secondo cui manca la sfida tra progettisti, oppure i sostenitori che vedono nel gareggiare su barche simili assegnate con sorteggio prevalere la sfida tra gli uomini e non tra i mezzi.

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LA COPPA AMERICA VISTA DALLA PARTE DELL’INGEGNERE INTERVISTA ALL’ING. FRANCESCO BINETTI POZZI, RESPONSABILE DEL DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA E DESIGN COMPONENTI PER L'IDRAULICA E PER I WINCHES, DEL TEAM BMW ORACLE RACING (BOR90), PROTAGONISTA DI COPPA AMERICA. Come sei arrivato a far parte di un team di Coppa America? Lavorare per un team di Coppa America è sempre stato il mio sogno fin da ragazzino, fin da quando con l'Optimist ho incominciato ad andare a vela sul lago Maggiore, seguito e spronato da papà. I primi successi e le medaglie, come i titoli italiani di classe Europa, mi hanno convinto a scegliere ingegneria per poter avere una competenza specifica nel mondo della nautica. Dopo la laurea ho lavorato per Cariboni, un'azienda del settore nautico specializzata in parti custom per grosse imbarcazioni a vela. Con Gianni Cariboni abbiamo incominciato a fare i primi progetti per un team di Coppa America, Prada, per la sfida del 2000. Successivamente per la voglia di essere più coinvolto da vicino nel mondo della Coppa ho accettato l'offerta di Harken, una ditta che fornisce i winches a quasi tutti i team di Coppa America. Grazie al lavoro svolto in Nuova Zelanda con Harken, dove per la finale di Coppa America ero stato scelto dal team Alinghi come interfaccia per lo sviluppo delle parti custom dei winches, sono stato chiamato da BMW Oracle racing per far parte del design team. Ho quindi fatto la scorsa campagna di Coppa America con il team americano e anche questa volta mi ritengo molto fortunato nel poter dire di essere membro del team Oracle. Per questa Coppa sono il responsabile del design dei componenti custom per l'idraulica e per i winches. Dopo le ultime modifiche al regolamento apportate da Alinghi sono stato promosso a responsabile del progetto motore a bordo del nostro multiscafo. Il progetto è stato una grossa

sfida personale, abbiamo avuto la possibilità di collaborare con il nostro sponsor BMW che ci ha dato un grosso supporto tecnico. Come è composto un team? Un team di Coppa America è organizzato e funziona come una grande azienda. Esistono infatti i vari dipartimenti ognuno dei quali fa riferimento al proprio manager. Esiste poi una figura molto importante che è quella del coordinator che ha appunto il compito di coordinare i vari team e garantire una perfetta comunicazione tra i vari dipartimenti. Nello specifico, per esempio: sailing team, design team, boat builder, elettronica, idraulica, rigging, relazioni interne, relazioni esterne, ufficio stampa e, in questo momento con un ruolo molto importante, il dipartimento legale. Come interagite con i velisti? Come sempre nel mondo della Coppa America i velisti hanno un continuo feed back con i progettisti. Il design team segue da vicino ogni sessione di prove in mare e test seguendo la barca da un “performance tender” che è sempre in contatto con BOR90. In questo modo possono monitorare migliaia e migliaia di dati trasmessi dalla barca, analizzarli e compararli. Quanto si è evoluta la Coppa? Questa trentatreesima Coppa America è completamente differente dalla scorsa edizione. I team hanno costruito multiscafi rivoluzionari e altamente tecnologici per il match che si terrà a febbraio 2010, nelle acque di Valencia. Il Deed of Gift fornisce ampi parametri per il design della barca. Enormi sono gli sforzi che il team sta facendo per migliorare le prestazioni.

LEGENDA WINCHES: argani, verricelli DEED OF GIFT: documento ufficiale che governa la Coppa America GRINDER: verricello a due manovelle

Come è cambiato il rapporto abilità del velista/tecnologia? Ogni nuova edizione della Coppa America introduce nuove tecnologie e tutto il team punta all'eccellenza, così anche per questa edizione, ma alla fine si tratta sempre di una barca a vela. La tecnologia facilita molte cose a bordo, ma l'ultima parola rimane quella dei velisti che fanno sempre e comunque la differenza tra il vincere e il perdere. Importanza della sicurezza a bordo Questa è un aspetto che il team prende molto sul serio. In tutte le grandi barche i carichi sulle parti e sulle cime sono consistenti e su questi multiscafi ancora maggiori. I designer danno ai velisti una serie di condizioni limite da non superare (red line limits) per tutto l'equipaggiamento a bordo. Inoltre il team ha un supporto medico e un sommozzatore che segue costantemente BOR90 ogni volta che naviga. Ogni membro dell'equipaggio considera la propria incolumità come priorità. Qual è il fascino della Coppa? La Coppa America da sempre è la ricerca dell'eccellenza attraverso l'uso della tecnologia, anche se, per questa edizione della Coppa, sono cambiate le regole e ora è possibile mettere a bordo il motore in alternativa ai grinder. Il motore è più efficiente ma noi siamo convinti che abbia tolto uno degli elementi della competizione che erano fondamentali per la Coppa. Ma, ancora una volta, l'uso della tecnologia fa parte dello spirito della Coppa America. Com’è scandita la tua giornata? Appena arrivo alla base alla mattina presto, dopo la colazione, che si fa tutti insieme, per prima cosa si ricontrollano le cose sistemate durante la notte e si verifica che tutte le parti funzionino e siano efficienti. Quando la barca lascia gli ormeggi per navigare in mare per me inizia il lavoro di progettazione e coordinamento del mio engine department. Spesso però seguo la barca dal “performance tender” per essere pronto ad intervenire su qualsiasi mal funzionamento e per verificare che i dati trasmessi dalla barca siano nei limiti da me prestabiliti. Il pranzo è sempre alla base (come mi manca il mangiare italiano!). Quando si installa qualche nuovo componente, esco a bordo di BOR90 per controllare di persona il funzionamento del pezzo e qualche volta mi è capitato anche di timonare. Quando la barca rientra inizia il lavoro di controllo e service dei pezzi di mia competenza per la manutenzione quotidiana.

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STORIE DI QUALITÀ: I VIAGGIATORI DEL MARE

LUPI DI MARE

SKIPPER, COMANDANTE, CAPO BARCA. COMUNQUE LO CHIAMATE, QUANDO SALITE IN BARCA È A LUI CHE È AFFIDATA LA SICUREZZA DEL VOSTRO VIAGGIO. CON TUTTI I SUOI PRO E QUALCHE PICCOLO

CONTRO. 28

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Lupo di mare si nasce o si diventa? Sono finiti ormai i tempi in cui la conduzione di un’imbarcazione, a motore o a vela che sia, era appannaggio di capitani coraggiosi usciti dai più rinomati istituti nautici. Lo sviluppo della nautica da diporto, grazie anche all’evoluzione tecnologica che ha reso più semplice la conduzione, ha permesso a chiunque di “salire sul ponte di comando” e andar per mare. Ma non ha cancellato il fascino del responsabile della conduzione della barca: il comandante, il capo barca, lo skipper. Andiamo a conoscere meglio questa figura che ancora oggi rappresenta il punto di riferimento in barca e che, in mare, ha il comando assoluto sull’equipaggio oltre alla responsabilità dell’imbarcazione. Si tratta di una professione, di un lavoro, ma anche di una passione che non s’impara sui banchi di scuola, ma sul campo, anzi, sul mare, fatta di sacrifici e di fatica, ma anche di soddisfazioni e di momenti di relax, dove sono necessarie competenza, preparazione ed equilibrio per gestire persone ed emergenze con calma e fermezza. Che ci si trovi in regata o, più semplicemente, in una piacevole crociera tra amici, una volta a bordo l’equipaggio deve infatti funzionare come una cosa sola e le manovre devono essere svolte nel minor tempo possibile, in tutta sicurezza. Non vi è quindi spazio per discussioni e votazioni - quelle lasciamole per la sera quando si deciderà la destinazione del giorno dopo, in crociera, oppure quando si commenterà la regata analizzando errori e successi - in barca deve valere la regola del “uno decide, gli altri agiscono”. Gioie e dolori, onori e oneri sembrano

parole chiave nella vita dello skipper. Perché lui è il solo verso cui tutti si gireranno in attesa di un comando o per chiedere aiuto, e sarà sempre lui a portare la barca in porto durante un temporale. Lui s’immergerà a controllare l’elica o passerà la notte a controllare se l’ancora tiene durante una burrasca, oppure, aspetto decisamente più prosaico, avrà lui l’infelice compito di sbloccare un bagno intasato. In regata sarà lo skipper a condurre la barca alla vittoria, ma anche a prendersi la responsabilità di una sconfitta e a spiegare all’armatore cosa non ha funzionato. Ma sempre e in ogni caso, sarà lui a decidere in base alla sua esperienza, cosa deve fare l’equipaggio. Non si pensi, a questo punto, che la crociera tanto attesa durante l’inverno potrebbe trasformarsi in un incubo stile “galera romana”, il compito dello skipper è anche quello di facilitare la coesione tra i membri dell’equipaggio, istruire e mettere a disposizione la sua esperienza e, se del caso, cucinare prelibatezze marinare. E poi, una volta ormeggiata la barca in una splendida rada, con il sole che lentamente scende all’orizzonte, potrà rilassarsi e sfruttare tutto il suo fascino raccontando di viaggi in mari lontani o di avventure in terre da sogno. Buona fortuna quindi a tutti quelli che intendono intraprendere questa professione o, più semplicemente amano andar per mare, e quando sotto una pioggia incessante, in calma piatta, alle sette del mattino vi chiederete “chi me l’ha fatto fare”… aspettate il primo refolo di vento e lo scoprirete.

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STORIE DI QUALITÀ: I VIAGGIATORI DEL MARE

LUPI DI MARE A CONFRONTO Intervista a Gabriele Benussi Cosa significa andar per mare e cosa rappresenta la vela? Andare per mare ha un significato di libertà, contatto con la natura e soprattutto è avere la possibilità di sfruttare mare, vento senza intaccare l'ambiente che ci circonda.

Cosa significa sicurezza, in barca? La sicurezza è importantissima: controllo della barca, attrezzature, dotazioni di sicurezza non mancano mai. In condizioni impegnative usciamo in mare esclusivamente con equipaggi molto preparati ed è d'obbligo indossare il salvagente. L’importanza del team in barca a vela L'equipaggio è, a tutti gli effetti, una squadra dove i ruoli anche seppur molto diversi tra di loro hanno una fondamentale importanza per raggiungere il risultato che ci si pone. Una delle caratteristiche che deve avere un Team vincente è grande spirito di sacrificio e di collaborazione. Un consiglio per chi volesse imparare ad andare in vela La vela non è solo uno sport, ma una passione che coinvolge corpo e spirito. Per chi avesse l'intenzione di avvicinarsi consiglio di farlo attraverso dei corsi di vela che si tengono ad ogni livello e per

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Foto di Fabio Taccola

Il ruolo dello skipper in barca, compiti e responsabilità È da 20 anni che la vela per me è diventata una professione e credo sia uno dei lavori più belli al mondo. Ci sono momenti di grande gioia quando si vince e al contrario quando le cose vanno male s’impara a perdere rinforzandosi psicologicamente pensando agli errori fatti.

ogni età. Le capacità che deve avere in buon skipper E’ un ruolo che ha molte sfumature, che vanno a incidere direttamente con il risultato della barca. Prima della regata devo consultare delle previsioni meteo locali "molto dettagliate" e verifico l'orografia della costa sulle carte nautiche, così mi posso fare una prima idea della zona dove si regata. Poi sul campo faccio tutte le misurazioni possibili con bussola di rilevamento, correntometro e, infine, quando si parte spesso entra in gioco l'istinto, che in alcuni casi è l'arma in più. Un buon skipper deve avere la capacità di ragionare con molta calma e raziona-

lità anche nei momenti in cui le decisioni devono essere prese in pochi attimi e soprattutto deve prendere quelle giuste. I migliori posti dove hai veleggiato Ci sono campi di regata dove si trovano anche paesaggi fantastici, ad esempio in Sardegna dove spira sempre il vento, ma anche oltre oceano ci sono delle regate molto importanti: Miami e Key West sono campi di regata invidiabili. Il fascino del lupo di mare, c’è ancora? Il fascino del lupo di mare funziona sempre. Normalmente i velisti sono sempre abbronzati, rilassati, hanno girato il mondo e hanno un forte sex appeal.

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SKIPPER DA REGATA O DA CROCIERA? IL MEZZO DI TRASPORTO È SEMPRE QUELLO, LE ONDE DA SOLCARE ANCHE, CAMBIANO INVECE LE FINALITÀ. PER SAPERNE DI PIÙ SIAMO ANDATI A INTERVISTARE DUE DI LORO: GABRIELE BENUSSI, SKIPPER E TATTICO DEL LIGHTBAY SAILING TEAM NONCHÉ CAMPIONE PLURIDECORATO IN DIVERSE CLASSI VELICHE, E PIERO MOSCHETTA, NAVIGATORE E ORGANIZZATORE DI CROCIERE ED EVENTI VELICI, AUTORE DEL LIBRO “SULLE ROTTE DEI CARAIBI”. ECCO IL LORO FACCIA A FACCIA.

Intervista a Piero Moschetta dire che un buon comandante “doveva essere uguale e nello stesso tempo diverso dal suo equipaggio, nel primo caso per farsi accettare e nel secondo caso per farsi ubbidire”. Cosa significa sicurezza, in barca? E’ il punto di partenza per poter iniziare a parlare non solo di vela, ma di mare in generale. Senza questo punto fermo, la barca diventa uno dei tanti mezzi di trasporto per mare, con le conseguenze che poi leggiamo a fine stagione estiva. Essere sicuri in mare significa valutare tutte le possibilità, le variabili e anticipare gli imprevisti e, se questo non è possibile, bisogna saper reagire ad essi nel più breve tempo possibile.

Cosa significa andar per mare e cosa rappresenta la vela? Da quando ho iniziato a fare i primi bordi in Adriatico, per poi avere la possibilità di navigare in molti mari del mondo, molte cose sono cambiate nella mia vita, ma l’unica cosa che è rimasta sempre uguale, è il grande senso di libertà e di “non-tempo” che sento non solo quando navigo, ma anche quando sono fermo in porto. La barca ed il mare, infatti non sono solo “andare” da qualche parte, ma sono un mondo a sé, da amare, capire e da trasmettere. Il ruolo dello skipper in barca, compiti e responsabilità Capo barca, comandante, skipper, chiamiamolo come vogliamo, ma alla fine significa avere la responsabilità del mezzo e delle persone a bordo. L’Ammiraglio Nelson soleva

L’importanza del team in barca a vela Per quanto riguarda il mio lavoro, mi trovo a confrontarmi sia con i gruppi che porto in barca sia con quelli coinvolti in eventi aziendali e formazione outdoor, con i quali si lavora soprattutto per formare o consolidare un gruppo di lavoro. “Quando si è più uniti si è più efficaci”: lo sapevano bene i marinai che nel corso dei secoli hanno affrontato il mare, ed è per questo che il mare unisce gli uomini. Formare un equipaggio vuole dire formare un gruppo unito, e un gruppo unito è un nucleo in cui i suoi membri sono in sintonia, dividono gli sforzi in un progetto comune, diventano “committed”, diventano un team vincente e di successo. Questo concetto, anche se in maniera più blanda e ludica, rispecchia molto anche quanto accade in un gruppo di persone che non si conoscono e che iniziano una vacanza in barca insieme. Non ci si conosce, ma si deve da subito condividere spazi (spesso pochi), orari, cibo, ed è veramente difficile potersi “isolare”, anche se con l’aiuto di un i-pod, perché alla fine il gruppo è lì e diventa un tutt’uno con la barca. Un consiglio per chi volesse imparare ad andare in vela Capire perché si sceglie la vela. Per andare veloci? Scegliete un corso di deriva per poi

perfezionarvi in scafi veloci come gli skiff. Per scoprire luoghi nuovi? Iniziate dal cabinato a vela piccolo, per imparare tutte le manovre e poi iniziare il percorso didattico che porta alla autonomia nella conduzione e, perché no, dopo qualche anno, navigare con gli amici in libertà. Per conoscere gente nuova? In barca troverete i vostri futuri migliori amici, o perderete i vostri attuali. La vela è uno sport che di per sé unisce le persone, nella passione, nelle manovre di bordo e nel dopovela. Comunque la si pensi e quale sia l’indole che spinge ad un corso di vela, bisogna partire dalle basi, da una sana fatica fisica e mentale. Dal capire che ci vuole tempo per condurre un’imbarcazione in sicurezza, da soli e specialmente portando altre persone. E che, soprattutto, un foglio di carta come la patente nautica non serve a nulla, se non per la legge italiana. Le capacità di un buon skipper Competenza, professionalità, capacità di relazione, capacità psicologiche, capacità di gestione, leadership, velocità di reazione ed infine essere sempre aggiornato. I migliori posti dove hai veleggiato La Polinesia Francese, e in particolare l’isola di Maupiti, raggiunta accompagnati dai delfini e dal silenzio dell’Oceano, per poi approdare, da soli, in una baia dai colori mai visti prima. Per restare invece con i piedi per terra, a poche ore da Milano, il luogo che ritengo migliore per un mix di bellezza della natura, charme e caratteristiche di vento è il Golfo di Saint Tropez. Se è così famoso, una ragione c’è. Il fascino del lupo di mare, c’è ancora? Indossare il nuovissimo giubbotto da vela sponsorizzato dai Team della America’s Cup ai molti aperitivi velici milanesi non fa certo “lupo di mare”, e nemmeno dichiarare di aver surfato onde di 10 metri durante qualche tempesta (immaginaria o quasi). Lupo di Mare lo si è di natura o lo si diventa sul campo (il mare).

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STORIE DI QUALITÀ: DIETRO E DENTRO LA BARCA

IN BARCA COME IN CASA …

UNA VOLTA ERANO LE CASE A RIPRENDERE ALCUNI DETTAGLI E STILI DEGLI ARREDAMENTI DESTINATI ALLE BARCHE. OGGI È ESATTAMENTE IL CONTRARIO. NUOVE PROFESSIONALITÀ E TECNOLOGIE CONSENTONO DI ARREDARE LE BARCHE CON LA STESSA FANTASIA, GUSTO E SPESSO LUSSO DI UNA CASA. ANZI. A VOLTE ANCHE DI PIÙ. 32

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In “Mi faccio la barca”, film di Sergio Corbucci del 1980, assistiamo alla contrapposizione tra due modi estremi di andare per mare, una classica barca a vela, la scassata barchetta “Biba” di Jonny Dorelli, e un moderno panfilo a motore, Il Kabir, di proprietà, nel film, di un giovane Christian De Sica. È ancora così forte questa distinzione? Vita spartana in spazi ristretti per i velisti, agio e relax per gli amanti del motore? Basta passeggiare sui moli di alcune marine o leggere le principali riviste di nautica per accorgersi che tutto questo non è più così vero. Da alcuni anni, infatti, si assiste, grazie alle evoluzioni nei materiali e nel loro utilizzo, a profondi cambiamenti nella progettazione delle barche da crociera che, soprattutto negli interni, assomigliano sempre meno a barche e sempre di più a veri e propri appartamenti galleggianti. Ma facciamo un passo indietro, prima della nascita della nautica da diporto. Dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni ’50 del secolo scorso, le imbarcazioni erano costruite con metodi tradizionali, perlopiù in legno o acciaio, e le conoscenze tecnologiche non consentivano lo sviluppo di ampi spazi interni. Stiamo parlando di quei magnifici esemplari di imbarcazioni a vela o motore che ancora oggi ammiriamo ai raduni d’epoca. Barche bellissime, molto performanti per l’epoca, ma sicuramente con la vivibilità interna di gran lunga inferiore a qualsiasi imbarcazione di pari dimensioni costruita attualmente. In quegli anni la costruzione di una barca non prevedeva la distinzione tra interno ed esterno. Era lo stesso progettista o il cantiere (in molti casi si trattava della stessa figura) che si occupava della progettazione e della realizzazione, senza distinzione tra interno ed esterno, dando priorità alle linee d’acqua per le imbarcazioni a vela e alla stabilità per quelle a motore. Questo accadeva molto tempo fa. Al giorno d’oggi, nella costruzione di una barca, che si tratti di una costruzione in serie o di una barca realizzata in modello unico per un armatore (realizzazione custom), raramente il progetto viene realizzato da un unico professionista.

Soprattutto quando si tratta di barche di grandi dimensioni, la tendenza degli armatori è di dividere gli incarichi tra architetto navale, che si occupa della parte strutturale e delle linee dello scafo, e interior designer, dedicato al progetto degli interni e sempre più spesso delle sovrastrutture, coinvolgendo in taluni casi, anche architetti “terrestri” di fama mondiale. Questo perché, mentre la progettazione dello scafo deve seguire rigide regole di idrodinamica, con calcoli ingegneristici per calcolare stabilità e prestazioni e arrivare al miglior compromesso tra velocità e dislocamento, la disposizione e lo stile degli interni lascia molto più spazio al gusto di designer creativi. Una volta finalizzati i disegni finali, con interventi dello stesso armatore che, oltre al brief iniziale interviene passo passo nello sviluppo del progetto, il tutto viene affidato al cantiere per la costruzione, sotto la supervisione del progettista o di Project Manager che hanno il compito di trasformare le idee dei progettisti in disegni tecnici e supervisionare alla loro realizzazione. Tutto molto diverso dal lavoro degli abili maestri d’ascia che, agli inizi del secolo scorso, costruivano le “regine del mare” riproducendo i disegni tracciati a china dal progettista sul pavimento di un capannone per poi iniziare a tagliare tronchi con l’ausilio di pochi strumenti manuali. Oggi tutte le fasi di progettazione sono ormai realizzate con l’ausilio di computer e macchinari tecnologici e le tecniche costruttive sono le stesse utilizzate per la realizzazione di aeroplani o auto da corsa. L’evoluzione tecnologica e progettuale di questi anni ha fatto si che, a parità di lunghezza, le imbarcazioni moderne offrano oggi una vivibilità interna praticamente doppia rispetto alle loro “nonne”. L’utilizzo di materiali innovativi e più resistenti, dall’alluminio alla vetroresina fino al carbonio, ha consentito infatti lo sviluppo di progetti di maggiori dimensioni, soprattutto in larghezza, rendendo gli interni più spaziosi e aprendo la via a un nuovo modo di “arredare” una barca. Dagli anni ’80 circa le disposizioni classiche degli interni, i materiali da sempre utilizzati nelle costruzioni nautiche, gli

stili che da sempre hanno caratterizzato le dinette e le cuccette lasciano spazio a innovazione e stili differenti, anche con l’intervento di stilisti e architetti “terrestri”. Ne è un esempio Philip Stark che negli anni ’90 progetta gli interni di una serie di imbarcazioni di un noto cantiere francese, o di Renzo Piano, che disegna personalmente gli interni delle sue barche a vela. Ed è così che gli ultimi anni del secolo scorso vedono lo sviluppo di barche con un design degli interni “minimal”, in risposta allo stile in voga a terra, mentre di recente assistiamo ad un forte allontanamento dallo stile classico “da barca”, verso un design sempre più in linea con l’arredamento e il design terrestre. Questa tendenza colpisce le produzioni di serie come le realizzazioni custom, dove, nel secondo caso, i desideri degli armatori non lasciano limiti alla fantasia. Addio quindi alle porte arrotondate e sollevate da terra, retaggio dei boccaporti stagni delle navi, ai mobili integrati nella fiancata, alle cucine ridotte e ai bagni di piccole dimensioni. Entrare in una moderna barca a vela o a motore - i limiti sono solamente dati dalla maggiore o minore superficie arredabile - è come entrare in un appartamento al mare. Scale, ascensori, cucine degne di un ristorante, lampade e lampadari, arredi di design e tessuti di alta gamma, marmi e specchi. Stiamo naturalmente parlando di quei mega yacht che solcano il Mediterraneo attirando lo sguardo di curiosi e ammiratori. Ma anche nelle taglie più piccole il salto di qualità rispetto al passato è immediatamente percepibile. Se consideriamo poi il mondo delle barche a motore, dove le linee d’acqua hanno un valore relativo - non per altro si chiede la potenza del motore prima del nome del progettista - quello che definisce veramente il valore dell’imbarcazione è il design di tutto ciò che è emerso: le sovrastrutture, il colore e gli interni. Tutto questo è opera di questa nuova tipologia di professionisti, designer e progettisti tecnici, sconosciuti ai non addetti ai lavori, che hanno saputo fondere lo stile e il design moderno con le esigenze particolari di un oggetto che deve pur sempre vivere in mare.

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TI DISEG UNA BARC

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FA DA TRAMITE TRA IL PROGETTISTA E IL CANTIERE, TRADUCE IN PRATICA LA CREATIVITÀ DEGLI ARCHITETTI E SUPERVISIONA I LAVORI DI REALIZZAZIONE. È L’INTERIOR PROJECT MANAGER, UNA PROFESSIONE DI GRANDE FASCINO E ALTRETTANTA RESPONSABILITÀ, COME CI RACCONTA UNO DI LORO, MICHELE LUCCHINI, CO-TITOLARE DI UNA SOCIETÀ DI ENGINEERING E MANAGEMENT CHE DA ALCUNI ANNI SEGUE LA REALIZZAZIONE DEGLI INTERNI E DELLE SOVRASTRUTTURE DI BAR-

GNO

CA

CHE DI GRANDI DIMENSIONI A VELA E MOTORE.

Da un’unica figura che progettava e supervisionava la costruzione della barca, e in taluni casi la realizzava nel proprio cantiere, negli ultimi anni si è passati ad un team di professionisti, ognuno esperto nel proprio campo, che si inseriscono nelle diverse fasi di realizzazione della barca dei nostri sogni. Una delle figure di rilievo in questo processo è quello dell’Interior Project Manager (IPM). Il suo compito è quello di trasformare le idee creative di architetti e armatori in progetti concreti, controllandone la realizzazione e verificando qualità e sicurezza. l’IPM entra in campo, solitamente coinvolto dal cantiere o dallo stesso armatore, all’inizio del progetto e lavora fianco a fianco con l’Interior Designer per definire spazi e modalità costruttive. Il passo successivo consiste nel tradurre le idee e i disegni in progetti realizzativi (molte apparecchiature sono ormai a controllo numerico) in base alle sue esperienze costruttive e nell’uso dei materiali. Passati i disegni alle aziende che si occuperanno della realizzazione, l’IPM segue poi tutta la produzione e l’allestimento verificando in corso d’opera e al termine dei lavori che qualità e sicurezza rispondano ai requisiti richiesti. Michele, quanto pesa il design degli interni nella progettazione di una barca? Ormai su barche non di serie e di una certa dimensione il design interno, in termini di impegno progettuale e lavoro esecutivo, conta fino a un massimo del 50% dell’intero progetto. Questo a condizione che sia supportato da una validità tecnica del prodotto, inteso come un buon progetto marino (il design dello scafo) e un’ottima capacità realizzativa (la capacità del cantiere ). Soprattutto nelle imbarcazioni a motore ciò che differenzia uno scafo da un altro e ne delinea il valore sono le sovrastrutture e gli interni, che definiscono la linea e lo stile

di una barca e che ne identificano il valore del progetto. Anche a livello di investimento, se restiamo nell’ambito delle imbarcazioni a motore, gli interni pesano per il 30-40% del valore commerciale complessivo. Se invece parliamo di imbarcazioni a vela l’importanza degli arredamenti interni assume valore minore rispetto alle linee d’acqua e al piano velico. In questo caso parliamo del 20% circa dell’investimento. Imbarcazioni a vela e a motore, quali sono le principali differenze tecniche? Una barca a vela ha dimensioni interne ridotte rispetto a una a motore, richiede dunque uno sforzo nella ottimizzazione degli spazi attraverso un efficiente coordinamento tra allestitore e parte tecnica del cantiere, in modo da rendere al meglio il progetto del designer. Nelle barche a motore invece è più facile individuare i limiti di spazio, ma la massa di informazioni da gestire è nettamente superiore. Sul fronte puramente tecnico realizzativo, non vi sono differenze, poiché le specifiche tecniche imposte dalle normative sono fondamentalmente le stesse. Qual è in concreto il ruolo dell’Interior Project Manager nella realizzazione di una barca? Escludendo per il momento il progettista nautico, colui che progetta le linee dello scafo e che pertanto si occupa sostanzialmente dell’esterno dell’imbarcazione, nella realizzazione degli interni intervengono due figure distinte: l’Interior Designer e il Project Manager. Il primo si occupa della progettazione e del design di tutto ciò che è “emerso” visibile. Se fossimo a terra parleremmo di architetto e non è un caso che frequentemente architetti famosi si dedichino alla progettazione di interni di barche. Il project manager, invece, fa in modo che le idee stilistiche vengano realizzate nel pieno ri-

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spetto delle norme di sicurezza, occupandosi della progettazione tecnica e della supervisione del cantiere durante la realizzazione. Che rapporto esiste tra queste due figure. Sono due professioni complementari o sovrapposte? Sicuramente complementari, soprattutto quando il coinvolgimento del IPM avviene fin dalle prime fasi di studio. In questo modo si viene a creare una sinergia tra tutte le figure coinvolte e si arriva ad una visione globale del progetto. Lavorando fianco a fianco con il designer capita infatti di suggerire soluzioni tecniche particolari che permettano la messa in opera delle sue idee in accordo con i requisiti tecnici ed economici. Non sempre i designer sono aggiornati sugli ultimi materiali disponibili o sulle resistenze di particolari legni, così come non è compito loro studiare la scomponibilità degli arredi per poter entrare e uscire dai passaggi, spesso ridotti, che si hanno a bordo di un'imbarcazione. Nella fase di progettazione e realizzazione il proprietario vuole dire la sua? Il cliente ha sempre ragione e per questo andrebbe sempre accontentato. A parte la battuta, capita sovente che l’armatore, soprattutto se si tratta della seconda o terza barca, abbia delle richieste specifiche relativamente agli interni, cosa d’altra parte comprensibile quando si parla di barche di una certa dimensione che si sviluppano su centinai di metri quadrati. La vera difficoltà sta nel gestire le due tipologie di richieste che principalmente riceviamo, quelle dettate da una conoscenza tecnica dell’armatore e quelle invece puramente estetiche. Le prime si risolvono a tavolino studiando con l’armatore la soluzione migliore da adottare, sulle seconde c’è meno margine di discussione in quando legate al gusto estetico personale. In quel caso vale la battuta iniziale. Quali sono le ulime tendenze stilistiche nella realizzazione degli interni di una barca? Dopo la rivoluzione minimalista della fine

degli anni ’90, che ha visto la nascita di progetti all’apparenza essenziali (la tecnologia c’era comunque, ma non era visibile), ora si sta assistendo a una diversificazione di stili e design. Non esiste attualmente una corrente stilistica vera e propria. Dallo stile tradizionale si è passati all’esatto opposto e ora si stanno ricucendo gli estremi. Questo porta i designer a sviluppare progetti molto diversi tra loro. Forse l’unica tendenza in atto è quella che vuole gli interni di una barca sempre più simili a quelli di un’abitazione, sia come design sia per i materiali e gli accessori utilizzati. Vale di più l’esperienza della tradizione o la tecnologia? Gli interni di un’imbarcazione devono essere perfetti nel design e nei dettagli. Nessun armatore accetterebbe un’anta che non chiude o una maniglia che si stacca. Se poi consideriamo che la barca è un mezzo in movimento sottoposto a sollecitazioni e vibrazioni si capisce come la cura dei dettagli e la perfezione nelle realizzazioni sia fondamentale. Per arrivare ai risultati di eccellenza richiesti è necessario conoscere i materiali, applicare le tecnologie costruttive acquisite con l'esperienza e impiegare le capacità artigianali di mani esperte. Ogni componente dell’arredamento interno viene sezionato, squadrato, bordato e lavorato da moderni macchinari a controllo numerico, ma è altrettanto importante la cura dei mastri falegnami che provvedono al premontaggio dei componenti, alla finitura rigorosamente a mano, all'assemblaggio finale, all'imballaggio per il trasporto e all'installazione a bordo. Qualità e sicurezza, due fattori importanti: come vengono garantiti? Qualità e sicurezza derivano direttamente dalle scelte tecniche dei materiali e dai dettagli costruttivi, per questo è importante avere fornitori affidabili e un cantiere con esperienza e capacità tecniche. Il ruolo del project manager sta proprio nel riuscire a trasformare le idee del designer in un prodotto con caratteristiche costruttive tali da garantire la miglior sicurezza e resistenza, fondamentali in una barca.

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STORIE DI QUALITÀ: BARCHE E CULTURA

BARCHE DA LEGGERE, GUARDARE E ASCOLTARE

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DALL’ODISSEA A TRE UOMINI

IN

BARCA

PAS-

SANDO PER TURNER E PUCCINI. BREVE EXCURSUS TRA LE RAPPRESENTAZIONI DELLA BARCA NELLE ARTI UMANISTICHE.

Quando pensiamo alla barca, forse a tutti noi, da una certa generazione in poi, il primo riferimento che viene in mente è il refrain di Fin che la barca va di Orietta Berti. Ma, canzonette a parte, se solo ci soffermassimo a pensare ci stupiremmo della centralità che questo mezzo di navigazione e trasporto ha avuto nella produzione umanistica. I riferimenti iniziano da molto lontano, dalla notte dei tempi e dei miti, da personaggi come Giasone e i suoi Argonauti, dalle peripezie di Ulisse raccontateci nell’Odissea e da quelle del po-

polo troiano raccolte da Virgilio nell’Eneide. In tutti questi scritti la barca rappresenta il mezzo di trasporto verso il proprio futuro e, in un una sorta di metafora della vita umana, conduce i protagonisti in un viaggio iniziatico che li porta al premio finale: il regno per il capo degli Argonauti, Giasone, l’amata patria per Ulisse e una nuova patria per gli esuli troiani. Lasciando miti e antichi eroi, la barca si trova protagonista in testi ancora più familiari e conosciuti. Nella Bibbia, la celeberrima arca di Noè porta alla salvezza il genere umano e permette la ricostruzione del mondo distrutto dal diluvio universale, mentre nel Nuovo Testamento la barca è lo strumento di lavoro degli apostoli pescatori convertiti da Gesù Cristo in “pescatori di uomini”. Nella Divina Commedia dantesca la barca diventa invece trasportatrice di anime, traghettate sull’Acheronte da Caronte. Barca, dunque, che diventa metafora di vita, ma anche di morte e non solo nel bianco e nel nero della pagina scritta, ma anche nella varietà dei colori impressi sulla tavolozza dei pittori. Riferimento obbligatorio è La Zattera della Medusa di Géricaut (1818), quadro ispirato ad un fatto drammatico realmente accaduto: il naufragio della Medusa e l’agonia dei supersiti prima del salvataggio ad opera della nave Argo. E ancora La nave negriera di Turner (1840), anche questo ispirato a un avvenimento reale: gli schiavi neri gettati in mare per poter riscuotere le assicurazioni sulla vita. E perché poi non citare le forti e vibranti note della musica? L’imbarcazione è protagonista anche nell’opera lirica, basti ricordare Il vascello fantasma di Wagner (1842) ripreso ne L’Olandese volante (1841) dello stesso Wagner e la Madama Butterfly di Puccini (1904). Ne Il vascello fantasma, trascrizione di una leggenda marinara, il veliero è la sintesi stessa della vita in quanto il protagonista è condannato da una maledizione a viaggiare per sempre sul mare e può toccare l’agognata terra solo una volta ogni sette anni. La nave invece diventa promessa di una vita felice in Madama Butterfly poiché dovrebbe riportarle il marito da anni lontano, ma l’iniziale gioia diventa tragedia quando la giovane donna scopre che l’uomo amato si è risposato. Abbandoniamo pennelli e canti e torniamo alla letteratura cronologicamente più vicina

al nostro tempo. Parliamo di Moby Dick, la grande balena bianca inseguita per anni dal capitano Achab attraverso i mari di tutto il mondo a bordo della baleniera Pequod nel romanzo di Melville (1851). Indimenticabile anche Il vecchio e il mare di Hemingway (1952), con la vittoria morale del vecchio protagonista nonostante la perdita dell’ambita preda. I Malavoglia di Verga (1881) in cui la barca Provvidenza, nonostante il nome benaugurante, è addirittura lo strumento del destino che col suo naufragio stravolge la vita dei suoi proprietari recando loro sventura e morte. E ancora, sebbene di tono ben diverso, lo spassoso Tre uomini in barca di Jerome (1889) con la descrizione dell’esilarante gita in barca sul Tamigi di tre amici, apprendisti naviganti, e del loro cane. Arriviamo infine ai giorni nostri con due autori contemporanei molto conosciuti: Georges Simenon e Bjorn Larsson. Simenon è l’autore di intricati casi affidati al suo famosissimo commissario Maigret, figura nata durante i due anni nei quali l’Autore visse a bordo dell’Ostrogoth navigando fra Francia, Germania e Olanda. Di questo periodo è il Cavallante della Provvidenza (1931), romanzo ambientato nel canale che collega la Senna alla Saona e quindi la Francia al mare. Da ricordare anche il diario che Simenon ha scritto durante una sua crociera nel Mediterraneo del 1934 intitolato Il Mediterraneo in goletta o Mare nostro, in cui la goletta viene definita “la più poetica delle immagini”. E poi Larsson, scrittore-navigatore di romanzi di mare in cui la barca è simbolo di libertà, quali Bisogno di libertà e La saggezza del mare, ma anche scrittore di pirati e galeoni nel suo libro La vera storia del pirata Long Silver (1995), figura arcinota de L’Isola del Tesoro di Stevenson. E non si può terminare questa ampia carrellata senza parlare della presenza della barca in un altro dei generi artistici più seguiti: la filmografia. Come non ricordare, allora, il film Titanic o La maledizione della prima luna, con la divertente storia del rapimento del Galeone Perla Nera e del suo imprevedibile capitano Jack Sparrow: "Una nave non è solo un albero e un ponte. La Perla è libertà". E proprio su tali parole chiudiamo questo rapida carrellata tra le barche nella cultura, augurando buona navigazione a tutti sulle ali - anzi in questo caso sulle vele - della libertà.

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STORIE DI QUALITÀ: BARCHE E CULTURA

QUANDO IL SOLE VIAGGIAVA IN BARCA

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BARCA PER NASCERE, PER VIVERE, PER SPOSARSI. MA BARCA ANCHE PER LASCIARE LA VITA TERRENA. BREVE VIAGGIO TRA RITI E UTILIZZI DELLA BARCA NELLE DIVERSE EPOCHE E CULTURE.

A cosa serva oggi una barca, è argomento piuttoso noto. Lo è forse meno a cosa servisse molti anni fa, all’epoca dei nostri antenati, quando le barche vantavano passeggeri insoliti o decisamente illustri. Stiamo pensando ad esempio a Noè e alla sua arca che trasportò un campionario di animali tali da fare invidia a tutti gli zoo del futuro. Oppure ai tempi dei grandi miti e al più famoso dei capitani (o, come si direbbe oggi, di skipper) di barca: il sole. Perché forse non è a tutti noto che il bellissimo Helios/Apollo, divinità del sole, prima di farsi convincere da modelli di trasporto tecnologicamente più avanzati, inizialmente usava percorrere la volta celesta con una barca. Poi, allora come oggi, le mode cambiarono e anche lui si decise ad abbandonare la vecchia barca per un più rapido cocchio. Tra gli Egizi era di gran voga la Barca sacra, un battello fluviale elevato a simbolo di imbarcazione rituale che veniva usata come mezzo di trasporto in ambito

funerario e religioso. Un utilizzo, quello funerario, che ha accompagnato la barca in molte epoche e in molti luoghi. In età preromana, ad esempio, quando le barche venivano decorate con piume di uccelli acquatici che, appartenenti alla sfera dell’acqua, dell’aria e della terra, rappresentavano il collegamento col mondo dell’aldilà e conducevano le anime dei defunti nella loro destinazione ultraterrena. Ma anche tra gli antichi veneti che, avendo collocato le necropoli al di là dei fiumi, erano obbligati a trasportare i corpi dei defunti, diretti verso la loro ultima dimora, solcando le acque fluviali. E, ancora, tra i boriosi vichinghi che usavano deporre il corpo dei comandanti nella loro imbarcazione per poi seppellirle o dargli fuoco. Ma accanto alla morte, per fortuna anche nei riti legati alla barca c’è la vita. E così ecco la barca diventare, in territori come l’Oceania frammentata in migliaia di isole, strumento indispensabile di comunica-

zione e di gioia, in perfetta armonia con il diffuso immaginario che identifica quei mari come Paradiso terrestre. Dunque la barca protagonista anche di matrimoni, con il corteo nuziale che raggiunge il luogo della cerimonia navigando su piroghe costruite appositamente per l’occasione. O il battesimo della barca stessa, quando l’imbarcazione appena costruita viene portata a “bere l’acqua del mare dopo essere stata addobbata a festa con collane di fiori freschi e benedetta dall’Arì, una sorta di sacerdote mah’oi vestito con un gonnellino di foglie di pandano e palma da cocco, che battezza la barca con foglie di Ti, pianta sacra che scaccia gli spiriti maligni. Un rito ben diverso dal nostro varo delle barche, fatto con la bottiglia di champagne lanciata contro lo scafo dalla madrina e l’auspicio, per i superstiziosi, che la bottiglia si rompa, ma che non spacchi la chiglia, come accaduto in un episodio diventato famoso, sotto gli occhi allibiti di tutti i presenti.

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STORIE DI QUALITÀ: BARCHE E FOTOGRAFIA

IL MAGO DE

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ELL’ACQUA Un’immagine può raccontare tante cose, da una gita divertente a un ricordo da cancellare. L’unica certezza della fotografia è racchiusa nella verità: non ti potrà mai tradire e non ti dirà mai una bugia, quello che c’è si vede. Questione di punti di vista, ma anche questione di chi c’è dietro alla macchina. Uno scatto è in fondo una frazione di secondo nella quale succede tutto e che probabilmente resterà per sempre, quasi come un diamante. L’uomo ha da sempre ricercato un supporto per la sua memoria e per il proprio piacere ed è questa la magia dell’insieme. Raccontare una regata, un viaggio e la bellezza di una vela sul mare non è cosa che tutti però possono fare. Il primo è stato Frank Baken che iniziò nel 1888 con una semplice scatola di legno. Da allora di strada il mondo dell’immagine ne ha fatta tanta e, come sempre, ad emergere sono stati gli italiani, popolo di santi, poeti, navigatori e soprattutto fotografi. Come Franco Pace che, della sua passione, ha fatto un lavoro, passando dalla tela al teleobiettivo e diventando uno dei fotografi più famosi. Noi l’abbiamo incontrato per capire se ci sono differenze tra uno scatto e l’altro e la risposta che abbiamo ricevuto è semplice come la sua persona: “Il modo migliore per capirlo è di renderle visibili e analizzare le reazioni del pubblico.” La vela sembra un soggetto facile: una vela bianca sul mare, ma in realtà ogni scatto racchiude una visione diversa e un modo di vedere il mondo. Il suo com’è? Per poter ritrarre bene un soggetto bisogna innanzitutto conoscerlo e le barche non fanno eccezione. Nel celebre film Amici Miei di Mario Monicelli la figura del genio veniva riassunta con la frase “è fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione” che ricorda molto da vicino la definizione che si potrebbe usare per un fotografo. Sono esattamente le prerogative indispensabili per avere buoni risultati dalla fotografia, ma non vuol dire che per essere un bravo fotografo bisogna essere un genio... D’Epoca, Moderne e Coppa America: quali le barche che più l’hanno emozionata?

Le barche d'Epoca trasmettono un grande fascino, quelle Moderne, grazie all'alta tecnologia, offrono prestazioni e situazioni di azione molto spettacolari; in entrambi i casi si incontrano opportunità di realizzare immagini che danno emozioni. Alla fine forse preferisco le barche d'Epoca che non sono invase da scritte e marchi di sponsor, presenti in maniera eccessiva nelle barche Moderne, disturbando l'estetica dell'immagine. La Coppa America secondo me ha preso oggi una piega troppo commerciale a discapito del fascino che l'evento aveva fino ad alcune edizioni fa. Si è conclusa da poco la mostra a lei dedicata a Trieste, quant’è stato difficile per lei scegliere gli scatti dal suo archivio che ne conta più di cinque milioni? È stato un lavoro lungo, condotto per selezioni successive, cercando di ottenere un insieme di immagini che offrisse una buona varietà di inquadrature e una visione equilibrata del mondo della vela nei suoi vari aspetti. Una parte importante del lavoro è stata anche pensare un allestimento che fosse adatto a contenere le immagini. Domanda alla quale penso sia impossibile rispondere, ma ci provo comunque: qual è la sua foto preferita? Più che una foto preferita direi che c'è un gruppo di foto preferite, diverse e complementari tra le quali non saprei fare una scelta, ma che insieme possono dare un'impressione di come mi piace fotografare le vele. Da pittore a fotografo. Pittore è una definizione eccessiva mi sono sempre dedicato al disegno e poi alla pittura; penso sia stato soprattutto un buon training per trovarsi con l'occhio allenato a scegliere il taglio della foto al momento dello scatto. È stato rapito prima dal mare o dalla passione per la fotografia? Penso che essere affascinati dal mare e dal mondo delle barche sia un fatto abbastanza naturale, direi quasi inevitabile vivendo in una città come Trieste. Per me è stato certamente così; parallelamente ho sviluppato altri interessi come il disegno e la pittura e in seguito la fotografia.

Dei giornalisti si dice “sempre meglio che lavorare”, dei fotografi? Non so cosa si dica dei fotografi, penso che usando un linguaggio universale siano una categoria privilegiata come per esempio i musicisti. Come per la musica, l'importante è che le immagini trasmettano delle emozioni; il sistema per capirlo e migliorare è quello di farle vedere al pubblico. Aprendo l’album dei ricordi ci saranno tante situazioni in cui si è scoperto a scattare una foto in modo strano e sicuramente una in particolare. Ho vissuto la notte della tempesta del Fastnet nel '79 (n.d.r.: era l’undici agosto e nel corso della celebre regata vi fu una tempesta devastante che portò alla morte di 15 velisti, l’abbandono di 24 barche e 194 ritiri su 303 barche partite. Nel mondo della vela viene considerato come un punto fondamentale per la sicurezza) e nel 2004 a Phuket ho nuotato nell'onda dello Tsunami, ma né in un caso né nell'altro ho scattato delle foto. Termino chiedendole quale sarebbe lo scatto che avrebbe voluto fare nella sua vita magari “rubandolo” a un collega? Niente più di quello che ho fatto, mi va benissimo così, solo quelli futuri… E proprio imbracciando la macchina Franco Pace ci saluta e si avvia in giro per il mondo a cercare ancora una volta di impressionare la magia del momento su una semplice pellicola che speriamo possa durare come un diamante.

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PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA

CARBON-F

(I

E TU QUANTO SPORCHI? AUMENTA SEMPRE DI PIÙ LA PRESENZA DI SITI INTERNET CHE MISURANO L’IMPATTO CHE I NOSTRI COMPORTAMENTI POSSONO AVERE SULL’AMBIENTE. SIAMO ANDATI A VISITARNE UNO E ABBIAMO SCOPERTO CHE... 44

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FOOTPRINT

IMPRONTA ECOLOGICA) “Se tutti vivessero come te, ci vorrebbe un territorio fertile grande tre volte quello disponibile”. La sentenza del test eseguito sul sito di Ecological Footprint network è impietosa: c'è poco da credersi virtuosi consumando carne non più di due volte a settimana, acquistando prodotti freschi regionali, spegnendo ogni sera tv, stereo, computer (anziché lasciarli in stand by) e rinunciando a possedere l'automobile. Ma che cos'è esattamente questa (pesante) impronta ecologica con cui insozziamo il nostro povero pianeta? Si tratta, molto semplicemente, di un indice statistico che misura la richiesta umana nei confronti della natura, ovvero quanto territorio biologicamente produttivo viene utilizzato da un individuo, una famiglia, una città, una regione, un paese o dall'intera umanità per produrre le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti che genera. L'idea originaria di questo calcolo risale al 1996 e si deve all'ecologo William Rees della British Co-

lumbia University, i cui studi sono poi stati proseguiti dal suo più brillante collaboratore, Mathis Wackernagel. È lui che puntualmente, nei primi giorni d'autunno (nel 2009 è successo il 25 settembre), suona la campanella dell'Overshoot day, avverte cioè che la popolazione mondiale ha consumato tutte le risorse naturali a disposizione per l'anno in corso. Gli ultimi tre mesi dell'anno, dunque, sono stati in deficit. Esattamente come per una famiglia, o un'azienda, che abbia esaurito le risorse a disposizione tre mesi prima della fine dell'anno ma continuasse imperterrita a spendere, Wachernagel ammonisce che prima o poi i nodi verranno al pettine. Ma come si misura la nostra impronta ecologica sul pianeta? Il metodo consiste nell'attribuire, sulla base dei dati statistici di ogni paese e delle organizzazioni internazionali, un certo numero di ettari globali pro capite come consumo di territorio biologicamente produttivo. Secondo i calcoli

più recenti l'impronta ecologica dell'umanità è di 2,2 ettari globali pro capite, mentre quella dell'Italia è di 4,8 ettari con una biocapacità di 1,2 ettari pro capite. Nella classifica mondiale che il WWF pubblica ogni due anni nel Living Planet Report (l'ultima edizione è del 2008, ma i dati sull'impronta ecologica sono aggiornati al 2005) siamo al 29° posto, in coda rispetto al resto dei paesi europei. In generale, secondo il rapporto, se tutti gli esseri umani avessero un'impronta ecologica pari a quella degli abitanti dei paesi ad alto indice di sviluppo, non basterebbe l'attuale pianeta per sostenerla. Se proseguirà l’attuale ritmo di consumo di acqua, suolo fertile, risorse forestali, specie animali tra cui le risorse ittiche, nel 2050 di pianeti, ne serrviranno almeno due. Dunque, c'è molto da fare: a cominciare dal misurare la nostra personale o familiare impronta ecologica sul sito www.footprintnetwork.org.

L'IMPRONTA DELLE AZIENDE (da: www.footprintnetwork.org)

Le aziende che guardano avanti e gestiscono proattivamente i propri rischi e opportunità ambientali possono beneficiare di un rilevante vantaggio competitivo. L’Impronta Ecologica viene usata per aiutare le aziende a migliorare la propria capacità di previsione del mercato, a definire il proprio indirizzo strategico, a gestire la propria performance ed a comunicare i propri punti di forza. Fornendo un’unità di misura comune, l’Impronta aiuta le aziende a definire punti di riferimento, a definire obiettivi quantitativi ed a valutare alternative per le future attività. Compatibile con tutti i livelli delle operazioni aziendali, l'Impronta fornisce risultati sia aggregati che di dettaglio. Le analisi sull’Impronta Ecologica rivelano dove regioni, settori industriali e aziende incontreranno crescenti limiti nella disponibilità di risorse quali energia, foreste, terreni coltivabili, pascoli e pesca. Esse aiutano inoltre ad identificare strategie di successo in un mondo dalle risorse limitate, inclusi prodotti e servizi che saranno sempre più necessari in futuro.

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PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA

TI VENDO U PIANTARE ALBERI, UTILIZZARE FONTI PULITE A ENERGIA RINNOVABILE O ACQUISTARE V.E.R.: LE TRE STRADE PER LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI CO2

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UN V.E.R. C’è chi pianta alberi, chi sfrutta fonti pulite a energia rinnovabile o cerca di rendere più efficiente l’utilizzo di quelle tradizionali e chi invece va ad acquistare VER, i crediti Verified Emission Reductions. Stiamo parlando di hobby o shopping curiosi? Niente di tutto questo, ma dei principali metodi per ridurre l’impatto delle nostre attività sull’ambiente e per compensare le emissioni di CO2 prodotte. Il CO2, di per sè, non è sostanza rischiosa, nel senso che si tratta di un gas naturale, non certo tossico e nocivo per l'uomo come i composti chimici e le micro o nano polveri, ma tuttavia pericolosissimo poiché influisce sull’effetto serra modificando temperatura e DNA del nostro pianeta. Per cercare di limitarne le conseguenze la soluzione è quella di ridurne le emissioni o di annientare, con soluzioni alternative, quelle generate. Per affrontare tale battaglia al primo posto si colloca la riforestazione o l’afforestazione delle aree che comportano un pareggiamento dei conti: con la mia attività ho prodotto tot di tonnellate di CO2, ma in compenso ho piantato tot ettari di alberi che andranno ad neutralizzarlo (gli alberi assorbono CO2 e la fissano nella biomassa legnosa) Al secondo posto la possibilità di ridurre i consumi energetici migliorando l’efficienza, intervenendo ad esempio sull’illuminazione pubblica, sugli impianti termici ed elettrici, sulla mobilità, e sulle industrie (consumando meno combustibile fossile si emette meno CO2).

Al terzo posto la possibilità di puntare su fonti rinnovabili pulite, quali il fotovoltaico, l’eolico, la geotermia, il solare termico, l’idroelettrico, che non rilasciano CO2 nell’atmosfera. C’è infine una quarta via per chi volesse cercare di limitare le conseguenze del proprio impatto ambientale: l’acquisto di VER. Si tratta di crediti maturati e messi in vendita da aziende o imprese che, attraverso uno degli interventi sopra elencati, sono state in grado di ridurre le emissioni di CO2. Per ogni tonnellata di CO2 non emessa - e certificata da enti a ciò predisposti l’azienda può maturare un VER che può essere utilizzato a bilancio di proprie attività o venduto ad aziende che non hanno la possibilità di ridurre le loro emissioni, ma che, in qualche modo, vogliono contribuire al miglioramento dello stato di salute del nostro pianeta. Il numero degli acquirenti di VER o di interessati alla riforestazione dei territori, negli ultimi anni sta velocemente aumentando. E non parliamo solo di grandi aziende dai grandi consumi e le tante emissioni. Ma anche di personaggi di spettacolo, cantanti, squadre di calcio, comuni, banche, case editrici, che per compensare le emissioni prodotte nell’organizzazione di spettacoli, concerti, tornei ed eventi vari, ricorrono a una di queste due strade. Forse si tratta solo di moda dell’ecologico, ma anche se così fosse, benvengano le mode se poi, a riscuoterne i benefici, è il nostro pianeta e la qualità della nostra vita.

I SERVIZI IMQ-ECO Servizi * Audit ecologico di prodotto * Supporto LCA (Life Cycle Assessment) * Audit energetico immobili e impianti * Certificazione energetica immobili Direttive CE * Compatibilità elettromagnetica (EMC) * Emission trading system * Eco-Design * RoHS Certificazione sistemi di gestione aziendali * Sistemi di gestione ambietale (ISO 14001) Misure * Acustiche * Campi elettromagnetici * Consumi energetici * Emissioni CO2 * Fonometriche

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PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA

E LA BOTTIGLIA SI TAGLIA IL COLLO BASTANO 4 MILLIMETRI PER RISPARMIARE FINO A 100 MILA EURO, RIDUCENDO LEGGERMENTE IL COLLO DELLE

BOTTIGLIE

IN

PLASTICA.

L’AZIENDA CHE LO HA FATTO HA OTTENUTO INTERESSANTI RISPARMI NELL’UTILIZZO DELLE PLASTICHE. IL TUTTO INSERITO IN UN PIANO PIÙ GENERALE DI RIDUZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE, ORMAI PERSEGUITO DA QUALCHE ANNO. 48

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Le nuove bottiglie della bevanda più famosa del mondo sono diventate più piccole. Poca roba, intendiamoci, si tratta appena di 4 millimetri, che però consentiranno alla country italiana di una delle multinazionali più discusse di sempre, di ridurre l'utilizzo di plastica di ben 80 tonnellate all'anno. I 4 millimetri in meno della nuova confezione da mezzo litro, infatti, sono stati sottratti dal collo della bottiglia. Per chiuderla, quindi, servirà un tappo di plastica più piccolo. Un accorgimento minimo di grande impatto che assicurerà all’azienda produttrice anche un risparmio di 100 mila euro. Ma curiosità a parte, in buona sostanza, perché questa notizia dovrebbe interessarci? Innanzitutto, perché meno plastica sul mercato significa anche meno plastica sul nostro territorio. E poi perché questo risparmio di prodotto (e di denaro) rientra in un più articolato piano di riduzione dell'impatto ambientale di cui, da cinque anni, si è dotata l'azienda, e i cui effetti sono riassunti in un Rapporto socioambientale pubblicato annualmente. Il tentativo è lodevole: integrare cultura d'impresa (leggi: profitti) e sostenibilità ambientale, provando a rendere un po' meno inquinanti le varie fasi del processo produttivo. Oltre alla riduzione degli imballaggi, la medesima azienda ha infatti ottenuto interessanti risultati sul fronte dei consumi idrici e del risparmio energetico. Dal Rapporto emerge come nel 2008 i consumi idrici siano diminuiti di circa il 22% rispetto al 2007, mentre il 10% dell’acqua utilizzata è stato reimpiegato all’interno degli impianti per altri usi secondari prima di essere definitivamente avviata al trattamento finale di depurazione. Sono poi stati velocizzati i processi di produzione ed implementati nuovi sistemi di controllo di estrazione dell’acqua dai pozzi, consentendo una riduzione del 39% degli scarichi idrici rispetto al 2007. Grazie al miglioramento dei processi, oggi, per fare un litro di bevanda, ci vogliono 1,8 litri d'acqua contro i 2,2 dei tre anni precedenti. Sul fronte energetico, l’ottimizzazione dei processi produttivi e l’utilizzo di tecnologie avanzate ha comportato una riduzione dei consumi del 6% negli ultimi due anni, così come i sistemi di refrigerazione più efficienti e a basso consumo energetico hanno determinato una riduzione dei consumi pari al 35%. Infine, nei primi mesi del 2009, sono stati avviati, presso uno degli stabilimenti, i lavori per la realizzazione di un impianto di cogenerazione in grado di produrre energia elettrica e, contestualmente, energia termica e refrigerante, permettendo un’impotante riduzione dei costi energetici legati all’attività produttiva e una riduzione delle emissioni di CO2. Nel 2010 inizierà la costruzione di altri due impianti di cogenerazione presso altrettanto sedi. Ci auguriamo con i medesimi risultati in termini di impatto ambientale, un argomento che ci sta a cuore e al quale siamo fortemente interessati. 49


PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA

L’ECOGUIDA DI GREENPEACE:

PROMOSSI E BOCCIATI DELL’HI-TECH

Nokia davanti a tutti, poi Samsung e Sony-Eriksson. Passi avanti significativi di Philips, ma anche bruschi arretramenti di Dell e Lge. Non è la classifica di Champions league, ma quella della tredicesima edizione dell'Ecoguida trimestrale di Greenpeace sui prodotti tecnologici, una graduatoria che misura l'impegno delle multinazionali per rendere i propri prodotti quanto più eco-friendly possibile. La classifica dell’associazione ambientalista

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prende in considerazione ciò che hanno fatto le prime 18 aziende tecnologiche per l’ambiente, e dunque i prodotti fabbricati con materiali non tossici, l’uso di tecnologie rinnovabili, ma anche impegni e scadenze entro cui raggiungere gli obiettivi più ambiziosi. In testa, da più di un anno, c'è Nokia, la multinazionale finlandese che sovrasta tutti nell’eliminazione di molte sostanze tossiche (come i bromurati e i ritardanti di fiamma) da

tutti i suoi apparecchi di ultima generazione, nell’efficienza energetica e per il buon programma di riciclaggio. Sul podio ci sono Samsung e Sony-Eriksson, che si distinguono per la riduzione delle emissioni. Notevole, rispetto all'ultima classifica, il salto in avanti di Philips: grazie ai tagli alle emissioni e all’adesione agli impegni internazionali nella lotta ai cambiamenti climatici, la multinazionale olandese passa dal settimo al quarto posto in soli tre mesi. Alla Philips però, ammonisce Greenpeace, molto resta da fare per la mancanza di un piano efficiente di riciclaggio dei rifiuti elettronici. L'associazione ambientalista riconosce l'impegno di Hewlett Packard (Hp) che ha messo sul mercato un computer portatile quasi privo di pvc (polivinil cloruro) e bfrs (ritardanti di fiamma bromurati), sostanze che rimangono ancora solo nell'alimentatore e nei cavi, anche se, come vedremo poi, ha mantenuto solo in parte gli impegni presi. Stabili restano Toshiba e Motorola che hanno lasciato invariati i loro piani ambientali, già sufficientemente a posto. C'è anche chi peggiora, però. Come Lge e Dell, che perdono posizioni per non aver rispettato gli impegni presi in passato nell’eliminazione delle sostanze pericolose dai loro prodotti. Insufficienti anche Apple, Panasonic e Lg, che hanno buone politiche di eliminazione di sostanze tossiche (specialmente Apple che le ha eliminate in tutti i suoi prodotti), ma sono giudicate disastrose nella gestione dei rifiuti elettronici e sull’efficienza energetica. Note negative anche per Acer e, come anticipato, di nuovo Hp, per aver mantenuto solo in parte le promesse sull’eliminazione delle sostanze tossiche. Tra i peggiori anche Microsoft e Fujitsu, indietro nel campo dei rifiuti ed un po’ in tutto il resto, e Lenovo, penalizzata per non aver mantenuto le promesse e rimandato l’eliminazione delle sostanze tossiche (ma nella prossima classifica potrebbe risalire di colpo). Ultimo posto e maglia nera infine a Nintendo, con un punteggio vicino allo zero: nonostante le promesse, le emissioni di gas serra continuano ad aumentare e non si vedono miglioramenti in nessun settore. La nuova edizione dell'Ecoguida, pubblicata ad ottobre, valuta le imprese anche in base a criteri di uso di energia ed emissione di gas serra e ha accompagnato idealmente il summit mondiale sul clima di Copenhagen.

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ORME DI LEGNO E DI PLASTICA Da dove vengono i nostri mobili di legno pregiato? E quegli ecologici portapenne di plastica riciclata? Se le tante campagne di sensibilizzazione stanno contribuendo a farci diventare consumatori sempre più consapevoli, alla nostra esigenza di scegliere meglio i prodotti si accompagna una costante e più ampia necessità di informazione sulla loro origine. Così, come oggi ci appare irrinunciabile conoscere la località e il nome dell'azienda produttrice della mozzarella che acquistiamo al supermercato, anche per i prodotti “no food” è giusto sapere qualcosa di più. Le domande iniziali non sono scelte a caso. Cominciamo dal legno: da 25 anni esiste il FSC (Forest Stewarship Council) organizzazione non governativa internazionale, che si propone di fornire un marchio di riconoscimento di legname proveniente da foreste gestite in maniera eco e socio-sostenibile. E da oltre dieci anni c’è l'associazione internazionale PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes) nata per iniziativa volontaria di rappresentanti di proprietari forestali privati di alcuni Paesi europei, che ha messo a punto un sistema di certificazione per la gestione sostenibile forestale a livello nazionale e regionale, riunendo insieme proprietari forestali, consumatori finali, utilizzatori, liberi professionisti, mondo dell'industria del legno e dell'artigianato. A differenza di FSC nato principalmente da motivazioni di natura ambientale e sociale, PEFC si è costituito per tutelare fondamentalmente gli interessi dei proprietari privati di foreste. Obiettivo del PEFC, che dal 2001 ha una sede anche in Italia, è quello di garantire la sostenibilità della gestione dei boschi e la rintracciabilità

dei prodotti legnosi e cartacei, commercializzati e trasformati, che provengono dai boschi certificati PEFC. In tutto il mondo i consumatori chiedono che sia possibile risalire all'origine del legname utilizzato per la creazione del prodotto finale, e mostrano di preferire quei manufatti realizzati con legname proveniente da foreste gestite in modo sostenibile e certificate da un ente indipendente. E anche in Italia, paese che importa la maggior parte della materia prima, la richiesta è stata fatta propria anche dalle industrie di trasformazione italiane. Considerazioni di carattere etico e di trasparenza sono invece alla base dell'attenzione prestata al tema dalle pubbliche amministrazioni, sempre più interessate a spiegare ai cittadini che i boschi vengono gestiti in maniera sostenibile da un punto di vista sociale e ambientale, adeguandosi a criteri di buona pratica forestale internazionalmente riconosciuti. Riguardo alla provenienza della plastica, invece, segnaliamo l'interessante esperienze di IPPR, l’Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo. Per dare evidenza ai prodotti dei quali un'azienda garantisce l'identificazione, la rintracciabilità ed il contenuto percentuale di materie plastiche riciclate provenienti da post-consumo, I’IPPR nel 2004 ha messo a punto la certificazione Plastica Seconda Vita. Un’iniziativa nata a seguito di un Decreto ministeriale del 2003, il D.M 203/03, che stabiliva le norme affinché gli uffici pubblici e le società a prevalente capitale pubblico coprissero il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato nella misura non inferiore al 30% del fabbisogno medesimo.

IMQ NOTIZIE RISPETTA LA CATENA DI CUSTODIA Certificazioni come la FSC e la PEFC hanno introdotto il concetto di catena di custodia (chain of custody). Una sorta di telefono senza fili che consente di certificare il prodotto finale, solo se tutti i protagonisti della filiera - produttori e fornitori - accettano di certificarsi. Ad esempio la nostra rivista, IMQ Notizie, è stampata su carta certificata FSC il

che vuol dire che la prima a essere certificata è stata la materia prima (la cellulosa), poi la cartiera, che ha prodotto la carta, in seguito si è certificato il trasformatore che da questi fogli realizza un formato disponibile per lo stampatore, che a sua volta si è dovuto certificare per poter realizzare libri, pubblicazioni, brochure certificate.

SOLO LEGNO CERTIFICATO ALLE OLIMPIADI DI LONDRA 2012 Infrastrutture e impianti per i Giochi olimpici di Londra 2012 utilizzeranno legno con garanzia di sostenibilità, proveniente da fonti certe e legali con chiara prova della catena di fornitura. Lo ha stabilito l’Olympic Delivery Authority (ODA – Autorità per le Forniture Olimpiche), aggiungendo che almeno il 20% dei materiali utilizzati per la realizzazione delle strutture permanenti e per il Villaggio olimpico dovranno essere materiali già utilizzati in altre strutture o riciclati. In particolare, ai fornitori di legname sarà richiesta la certificazione con schemi approvati dal Central Point of Expertise on Timber procurement ente governativo inglese che riconosce il PEFC come schema di certificazione.

CRITERI DI CERTIFICAZIONE FORESTALE PEFC (fonte: www.pefc.it)

1) Mantenimento e appropriato sviluppo delle risorse forestali e loro contributo al ciclo globale del carbonio; 2) Mantenimento della salute e vitalità dell'ecosistema forestale; 3) Mantenimento e promozione delle funzioni produttive delle foreste (prodotti legnosi e non); 4) Mantenimento, conservazione e adeguato sviluppo della diversità biologica negli ecosistemi forestali; 5) Mantenimento e adeguato sviluppo delle funzioni protettive nella gestione forestale (in particolare suolo e acqua); 6) Mantenimento di altre funzioni e condizioni socio-economiche. L’unico organismo italiano attivo sia per lo schema FSC sia per quello PEFC è ICILA, società del Gruppo IMQ 51


QUALITÀ DELLA VITA: VIAGGI

CHIAMATEL LE VERGINI DI SUA MA ISOLE VERGINI BRITANNICHE, VELA, RELAX, Volete una vacanza all’insegna del relax, della natura e… della vela? La risposta sta in un acronimo: BVI, pronunciato all’inglese, Biviai, come usano i locali. L’arcipelago delle BVI, le Isole Vergini Britanniche è, infatti, uno dei migliori posti dove trascorrere una vacanza in barca a vela. Scoperto dal padre di tutti i navigatori, Cristoforo Colombo, l’arcipelago delle Las Once Mil Virgenes, così chiamate in ricordo del martirio Sant’Orsola, è ancora oggi un eden d’incontaminata bellezza e dai grandiosi scenari. Acque cristalline e fondali stupendi, giardini lussureggianti di corallo e misteriosi relitti trasformati in sculture viventi. Attorno, baie e insenature dove ormeggiare in tranquillità protetti dalle scogliere e accarezzati dagli

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alisei che qui soffiano tra i 15 e i 20 nodi con una temperatura costante tutto l’anno. Se a questo aggiungiamo il fatto che le BVI sono una delle poche destinazioni caraibiche che non risentono delle perturbazioni estive e che i numerosi approdi nelle 60 isole che compongono l’arcipelago sono ottimamente organizzati per l’assistenza alle imbarcazioni in transito, comprendiamo il titolo di Yachtman’s friendly destination che le isole sfoggiano con orgoglio. E chi alla vela preferisce una vacanza “a terra”? In questo caso le BVI offrono infinite possibilità di svago e relax, lontano dal rumore e all’insegna della natura. Ne sa qualcosa Sir Richard Branson, patron della Virgin, che, affascinato dalla bel-

lezza di questi luoghi e dalle loro potenzialità turistiche, ha acquistato un’intera isola, Necker Island, trasformandola in un resort dove non è difficile trovare personaggi del mondo dello spettacolo o famosi uomini d’affari in fuga dal caos delle metropoli. Sono passati dall’isola di Mr. Virgin la Principessa Diana, assidua frequentatrice dell’isola, Annie Lennox che qui si rifugiava in cerca di tranquillità dopo i tour musicali e, non ultimo, David Beckham che la scorsa estate ha affittato tutta l’isola per il suo 10° anniversario di matrimonio. Ma Necker Island non è l’unica isola dell’arcipelago a vantare visitatori famosi. Tutto l’arcipelago è stato per lungo tempo terreno di caccia e rifugio per fa-

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LE BVI,

ESTÀ

SPRING REGATTA Per i veri amanti della vela, ogni anno in primavera alle BVI si tiene un’importante regata velica, la BVI Spring Regatta, kermesse velica più amata dei Tropici che raduna le più belle barche che frequentano i Caraibi e che misurano le performance agonistiche tra isole, isolotti ed estuari turchesi. Ospitata, come da tradizione, al Nanny Cay Marina di Tortola, la BVI Spring Regatta nasce negli anni ‘70 grazie a un gruppo di velisti locali convinti che era giunto il momento di organizzare un grande evento velico alle BVI. In quegli anni nelle isole si erano infatti insediati i bareboat, gli yacht privati e piccole flottiglie e dalle 20 imbarcazioni della prima edizione, la BVI Spring Regatta è cresciuta sia per dimensioni sia per importanza. Tutti gli aggiornamenti sulla Spring Regatta nel sito ufficiale dell’evento: http://www.bvispringregatta.org.

NATURA E RISPETTO DELL’AMBIENTE mosi pirati e corsari. Jost Van Dyke, isolotto di appena 10 chilometri quadrati, deve il suo nome al famigerato pirata olandese che lo scelse come base d’attacco per le sue scorrerie, mentre il canale che scorre tra le isole porta il nome di un altro navigatore famoso, il vice ammiraglio della flotta di Sua Maestà, Sir Francis Drake, il primo inglese a circumnavigare il globo nella metà del ‘500 famoso anche per i suoi atti di pirateria nei confronti delle nazioni nemiche. Il pirata Barbanera, uno dei più feroci e sanguinari del suo tempo e Henry Morgan, il creatore del Codice della Pirateria, scorrazzavano tra le isole in cerca di navi da depredare. Non è un caso che l’isola dove il romanziere Robert Louis Stevenson “seppelli” il suo

tesoro sia identificata proprio come Norma Island, nell’arcipelago delle BVI. Sessanta isole, di cui solo sedici abitate, un mare di un blu da lasciare senza parole, ogni isola delle BVI è custode di una peculiarità che la distingue dalle altre. Bianchissime spiagge e rigogliose montagne a Tortola, coloratissimi coralli nell’atollo di Anegada, spettacolari formazioni rocciose a Virgin Gorda, spiagge bianche a Jost Van Dyke. Come fare per visitarle tutte? Con l’I sland Hopping, la moda di spostarsi di isola in isola che ha preso piede in questi anni e che alle BVI è particolarmente facile grazie alle distanze ridotte e ad un ottimo sistema di trasporti interni in battello o con piccoli aerei. È così possibile rag-

giungere le isole più estreme e disabitate dell’arcipelago, visitare uno dei venti parchi naturali che proteggono un ecosistema unico al mondo o ammirare le balene grigie e le tartarughe marine che in queste acque vengono ogni anno a riprodursi. Le BVI sono tutto questo, un microcosmo difeso con orgoglio dagli abitanti delle isole sensibili alle tradizioni e al rispetto dell’ambiente, che conferma le isole come destinazione ideale per una vacanza all’insegna dell’ecoturismo, altra caratteristica delle Isole Vergini Britanniche. www-bvi.turismo.com

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QUALITÀ DELLA VITA: SALUTE

VOLEVO DIRTI UNA COSA ... Il dietro le quinte di una memoria di ferro

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Sensoriale, a breve e a lungo termine: sono le tre facce della nostra memoria, una facoltà posseduta da ogni essere umano e, come tale, sottoposta agli scherzi del tempo. Capita spesso, infatti, di assistere a un indebolimento della capacità di trattenere i ricordi man mano che diventiamo vecchi: in qualche caso, purtroppo, si è colpiti da malattie come il morbo di Alzheimer che la annullano del tutto, ma in generale la memoria subisce le insidie degli anni esattamente come la pelle e la muscolatura. E tuttavia, come per queste ultime esistono rimedi - naturali e clinici - per rallentarne l'invecchiamento, anche il nostro cervello può essere stimolato per trattenere a sé nozioni e vissuto. E mai come in questo caso la prevenzione, oltre che la migliore delle cure, è anche un ottimo modo per tenersi mentalmente in forma. Ma come funziona questo allenamento della memoria? Il presupposto irrinunciabile è che il ricordo si sia sedimentato stabilmente nella nostra testa. La memoria del primo tipo, quella sensoriale, si attiva infatti quando ricordiamo informazioni uditive, visive e tattili per qualche secondo o addirittura frazione di secondo. È chiaro dunque che per mantenere traccia di esperienze così brevi serve che le medesime subiscano un “allungamento”, che transitino cioè almeno nella memoria a breve termine, dotata della capacità di conservare una piccola quantità di informazioni fino

a pochi minuti. Per ricordarle per sempre (o per lo meno per moltissimi anni), serve il passaggio successivo, nella memoria a lungo termine, quella su cui lavorano i manuali e le tecniche aiuta-memoria. Il principio di fondo è lo stesso usato alle elementari per imparare le poesie: per ricordare qualcosa a lungo, bisogna ripeterselo più volte. Sul portale Medicina.live, per esempio, si suggerisce di scrivere sulla carta una serie di cinque numeri in ordine sparso, poi di guardarla attentamente, quindi, a occhi chiusi, di rammentarne la posizione esatta. L'esercizio andrebbe peraltro ripetuto aumentando progressivamente la serie numerica fino a raggiungere il proprio personale limite di memoria. Un'altra strada, divertente e impegnativa, è quella dei giochi enigmistici: è scientificamente provato infatti che mettersi alla prova con rebus, cruciverba e sciarade abbia effetti sorprendenti soprattutto sugli anziani. Una ricerca del Trinity College di Dublino ha sottoposto a una serie di passatempi di questo genere un campione di volontari tra i 65 e i 94 anni, mettendo in luce un reale miglioramento nelle loro capacità mnemoniche. Perché funzionino davvero, però, non bisogna fissarsi sempre con lo stesso tipo di gioco, bensì variare. E magari non limitarsi alle parole crociate facilitate! Per chi non si accontenta del fai-da-te, esi-

stono anche metodi più strutturati, come quello proposto da Gianni Golfera (www.metodogolfera.com), una specie di Pico della Mirandola dei nostri tempi, che pare sia capace di ricordare a memoria il testo di ben 261 libri, al punto da esser stato ingaggiato anche dalla Nasa per testare gli errori umani sulle navicelle destinate a esplorare lo spazio. I fan dei rimedi naturali, invece, potrebbero provare il guaranà, l'eleuterococco, la lecitina di soia e il polline di api, oltre al magnesio e alla rodiola rosea, tutte sostanze anti-stress secondo il portale specializzato rodiola.it. Perché per mantenere attiva la memoria è fondamentale imparare anche a star calmi. Uno degli scherzi più frequenti dei vari stadi di tensione è la sensazione di vuoto improvviso che ci fa dimenticare il codice pin del bancomat che usiamo da anni o, al contrario, il classico “déjàvu”, che ci fa vivere il presente come una proiezione nel passato. Sensazioni che abbiamo imparato a controllare, consapevoli che si tratta solo di momenti di debolezza del nostro cervello, da vivere con leggerezza e magari come stimolo per concederci un po' di riposo o qualche sessione di allenamento mnemonico. Le micro-amnesie, talvolta, ci inducono a riflettere sui motivi che le hanno scatenate. L'importante è non ingigantirle anche perché, in fondo, chi non ha qualcosa da dimenticare volentieri?

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QUALITÀ DELLA VITA: SALUTE

I CONSIGLI D

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ELL’ESPERTO INTERVISTA AL DR. MASSIMO TANZI

A nessuno piace dimenticarsi i compleanni dei propri cari, eppure capita, soprattutto se siamo sotto stress: l'emotività gioca brutti scherzi alla memoria. Lo spiega il dottor Massimo Tanzi, geriatra, fisiatra e specialista in Medicina dello sport, una caratteristica, quest'ultima, che gli dà l'autorevolezza per affermare che tra i migliori sistemi per tenere in allenamento “il muscolo dei ricordi” fa benissimo proprio l'attività fisica. “Mens sana in corpore sano” vale sempre, quindi? Senza dubbio. Fare esercizio con regolarità rinforza la memoria di adulti e anziani: lo hanno scoperto i ricercatori australiani dell’Università di Melbourne, autori di uno studio pubblicato su “Jama”, una prestigiosa rivista scientifica. E i farmaci aiutano? Più che altro le vitamine del gruppo B influiscono sul buon funzionamento del sistema nervoso. E poi il thè verde. E come mai? Sembra che questa bevanda rallenti l’invecchiamento cerebrale. Lo sostengono i ricercatori dell'università giapponese Tohoku di Sendai, secondo cui due-tre tazze al giorno di thè verde produrrebbero un minor deterioramento delle funzioni cerebrali, riducendo le probabilità di contrarre Alzheimer e Parkinson, due malattie da loro molto meno diffuse

di quanto non accada in Occidente. Com'è possibile invece che l'emotività incida sulle performance della nostra memoria? Alla base di quel che ricordiamo o cancelliamo c'è sempre la motivazione. In altri termini, ricordiamo meglio materie di studio e argomenti che incontrano il nostro gusto, mentre tendiamo a cancellare quel che non ci piace. Dunque è facile che se siamo molto agitati, come capita per esempio durante un esame, l'emotività finisce per disturbare la memoria provocando quei vuoti che molti di noi hanno sperimentato. Come possiamo esercitare la memoria per evitare questi momenti imbarazzanti? Per esempio, se stiamo studiando, può essere utile trasformarsi in attori o attrici: immedesimarsi in un personaggio storico rende più facile e divertente fissarne il ricordo. Poi è molto meglio ripetere una lezione una volta al giorno per più giorni consecutivi, anziché tante volte lo stesso giorno. L'ideale sarebbe trovare un interlocutore; in alternativa, si può ricorrere ad un registratore. Infine è inutile sottolineare su di un libro tutto e subito: meglio aspettare la seconda lettura ed evidenziare solo le parole chiave.

nobiologia, cioè la disciplina che ha come oggetto di studio l'osservazione dei cicli biologici dell'organismo, indica che il momento più o meno idoneo per svolgere determinati compiti, quindi anche per esercitare la memoria, è estremamente variabile da soggetto a soggetto. Ci sono infatti persone che rendono meglio nelle prime ore del mattino e quelle che hanno le migliori performance nel tardo pomeriggio. Per tutte vale comunque la regola del riposo: una buona dormita è la migliore medicina per la mente. E se tutto questo non basta? Qualcuno ricorre ai Fiori di Bach: pare che funzionino...

Esercizi del genere sono validi per tutti? In linea di massima sì, anche se la cro57


QUALITÀ DELLA VITA: SPORT

PASSEGGIAN TRA I GREEN A scuola di golf: come e dove iniziare

Da quando il golf è diventato “libero”, è più facile che a qualcuno venga voglia di praticarlo. Da circa tre anni, infatti, la Federazione Italiana Golf, oltre 96 mila iscritti tra dilettanti e professionisti per 378 club federati nel 2008, ha introdotto il cosiddetto tesseramento libero, un sistema che permette di imparare i primi rudimenti semplicemente pagando 60 euro di iscrizione annuale. Con la tessera della FIG, dunque, si può entrare in qualsiasi club federato e accedere ai campi-pratica, che non sono ancora il “green”, ossia lo spazio erboso in cui si giocano le vere partite, bensì una zona prevista in ogni golf club con una profondità di almeno 150 metri, in cui tirare i primi colpi. Qualcuno dirà: sì, ma dove vado senza l'attrezzatura? E soprattutto: quanto mi

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costa? La Federazione rassicura: per partire basterà avere un paio di scarpe da tennis (e magari un abbigliamento comodo) più un gruzzoletto da tra i 200 e i 600 euro per le dieci lezioni di partenza, dopodiché ai principianti sarà fornito il primo bastone (e le relative palline), ossia l'unico strumento veramente indispensabile per testare il proprio talento golfistico. Insomma, la spesa iniziale è relativa tenendo conto che per arrivare a giocare sul green occorreranno almeno otto mesi. Superata questa fase, si sostiene l'esame teorico, passato il quale si ottiene il lasciapassare per il campo. E a questo punto i costi salgono un po'. L'accesso all'area di gioco (detta “green fee”) costa infatti dai 40 ai 120 euro, ma soprattutto i circoli chiedono

l'iscrizione. Risparmiare su quest'ultima, per fortuna, oggi è possibile: di solito, nei circoli non esclusivi, si dà un contributo a fondo perduto di 200 euro più altri 100 come caparra, una somma che viene restituita se l'anno dopo non si rinnova l'adesione. Esistono poi varie formule di abbonamento. C'è chi riesce ad esempio a cavarsela con 1.000 euro all'anno più una quota per l'affitto dell'armadietto e il deposito della sacca-carrello. Oppure sono molto diffusi gli abbonamenti a ingressi, un po' come succede in piscina: con 700 euro si può giocare durante l'anno per 35 volte. A Milano, poi, c'è un privato che si è inventato un nuovo business che potrebbe rivoluzionare il mercato degli abbonamenti: si tratta del “green pass tour” che dà la possibilità anche ai

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NDO

L'ABC DEL GOLF SECONDO LA FIG BUNKER E' l'ostacolo artificiale di sabbia posto di solito a difesa del green

CAMPO Può essere da 9 o da 18 “buche” composte nel modo seguente: PAR 3 di lunghezza inferiore a 228 metri PAR 4 di lunghezza da 228 a 434 metri di lunghezza superiore ai 434 metri PAR 5

CUP E' la buca vera e propria dove far cadere la pallina

FAIRWAY E' quella parte del percorso, con l'erba rasata, che sta tra il tee di partenza e il green di arrivo

FLAG E' la bandiera che indica dov'è posta la buca

GREEN E' l'area di arrivo di ogni buca

OUT OF BOUNDS Sono tutte le zone di terreno al di fuori del campo segnalate con paletti bianchi

PAR Il par della buca è il numero di colpi stabiliti per completarla

ROUGH E' la parte del percorso con l'erba incolta

TEE E' l'area di partenza della buca

WATER HAZARD E' l'ostacolo d'acqua che può trovarsi in qualsiasi parte del campo e che è segnalato con paletti colorati

giocatori novellini di giocare sui campi più importanti dietro adesione fittizia a piccoli club di quartiere, versando a questi ultimi solo 150 euro. In questo modo, chi vuole avere a disposizione un campo anche quando se ne va in vacanza o si fa un weekend fuori porta, ha molte più chance. Chi è arrivato a questo punto, nel frattempo si sarà procurato anche l'attrezzatura personale e anche in questo caso è possibile contenere la spesa. Da Decathlon, per esempio, si trovano bastoni a 40 euro. E poi c'è Internet: la Callaway, una delle più importanti aziende produttrici di articoli per il golf, ha messo in piedi un buon mercato dell'usato. Su eBay, invece, pare girino parecchi prodotti contraffatti. In ogni caso, l'opuscolo dimostrativo della Federazione spiega che all'inizio ba-

stano quattro o cinque bastoni; di questi, servono almeno due ferri, per tiri lunghi, medi e corti; poi un legno, per quelli lunghi, e un putter, per i tiri detti “in green”, cioè in buca. E qui comincia il divertimento, anche perché si gioca tutti insieme, donne (con qualche metro di vantaggio) e uomini, giovani e anziani. Certo, i più lenti rischiano di rallentare il gioco, ed è per questo che nei circoli più prestigiosi le schiappe non sono ben viste. Il golf prevede infatti che per giocare si debba avere il cosiddetto “handicap”, ossia, per i maschi, 28 colpi di vantaggio sui 72 che servono per completare il percorso di 18 buche (nei campi da 9 bisogna fare due giri), e 34 per le femmine. Chi gioca sul serio, poi, sa tutto anche sul bon ton del golf, che tra le altre cose dice di ri-

mettere a posto le zolle dopo aver tirato e di aspettare che gli altri giocatori si siano allontanati prima di procedere con il colpo. Soprattutto, il giocatore ambizioso sa che ad alti livelli non sarà più possibile girare con una sacca sguarnita e un abbigliamento poco curato, ma si tratta di un problema che non scoraggia i dilettanti, che secondo la FIG sono in crescita costante dal 1998. Il tesseramento libero, in particolare, avrebbe prodotto un ulteriore incremento: la Federazione calcola oltre 5.800 “liberi” nel 2008, con con una crescita rispetto all'anno prima del 31 per cento. Basta non scoraggiarsi dopo aver perso una quantità indefinita di palline...

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LIBRI, FILM, VIDEO, MUSICA

LIBRI

come metamorfosi affonda le sue radici nella religiosità mediterranea. Per questo D'Arrigo ha potuto creare un epos moderno, riprendendo, come Joyce nell'Ulisse, un tema mitico: perché in un'età in cui il mito dominante è quello di dissolvere i miti arcaici, solo la tragedia incommensurabile della loro perdita può essere il tema della tragedia.

DANUBIO Claudio Magris Garzanti, 2006

FONTAMARA Ignazio Silone Oscar Classici Mondadori, 1988 Un fiumiciattolo usato per irrigare i campi è all'origine della catastrofe dei cafoni di Fontamara, impotenti di fronte ai padroni che ne promettono la divisione “tre quarti e tre quarti”, e la cessione dei diritti dopo non cinquant'anni, ma “soli” dieci lustri, ma nessuno sa quanto siano. Dalla prepotente deviazione di un rigagnolo Silone traccia uno sconfortante ritratto del proletariato, che beffardamente trova nella coscienza di classe la fine violenta delle proprie sofferenze.

Seguire il percorso dei fiumi può essere il modo più fluido per raccontare la storia dei paesi e delle città che l'acqua incontra nel suo corso. Lo fa Claudio Magris in “Danubio”: un libro che è insieme reportage, saggio di storia, geografia culturale. Ma è soprattutto testimonianza di quella mitteleuropa dall'identità aperta e continuamente in questione, a sfidare le barriere culturali dei Reich di ogni tempo.

HORCYNUS ORCA Stefano D'Arrigo Rizzoli, 2003 Horcynus Orca è un mitico e epico poema della metamorfosi. La concezione del mondo 60

TRE UOMINI IN BARCA Jerome K. Jerome Feltrinelli, 2003 Seguendo la corrente del fiume, i tre amici Jerome, Harris e George, assieme al fido Montmorency, viaggiano per giorni sulla loro fragile imbarcazione, scorrendo lungo le campagne inglesi, e vivono sempre nuove e inattese avventure che strappano risate di continuo. Una serie di gag comiche sulle gioie e sui dolori della vita in barca, nel miglior stile dello humor inglese, condite di descrizioni realistiche delle regioni attraversate dalla simpatica brigata e brevi notazioni di filosofia per non addetti ai lavori.

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POESIA FIABE

MUSICA FILM

L’Allegria I FIUMI Giuseppe Ungaretti Mondadori, 2005 …… omissis Ho ripassato Le epoche Della mia vita Questi sono I miei fiumi Questo è il Serchio Al quale hanno attinto Duemil’anni forse Di gente mia campagnola E mio padre e mia madre. Questo è il Nilo Che mi ha visto Nascere e crescere E ardere d’inconsapevolezza Nelle distese pianure Questa è la Senna E in quel suo torbido Mi sono rimescolato E mi sono conosciuto Questi sono i miei fiumi Contati nell’Isonzo Questa è la mia nostalgia Che in ognuno Mi traspare Ora ch’è notte Che la mia vita mi pare Una corolla Di tenebre

FIABE ECOLOGICHE. LA GUERRA DELL’ACQUA E ALTRE STORIE Roberto Melchiorre Ianieri, 2009 Tre fiabe in cui i cattivi non sono più lupi e streghe, orchi e draghi, ma chi oltraggia l'ambiente e priva i bambini (ma anche gli adulti) del godimento della natura. Età di lettura: da 8 anni.

RIDE ACROSS THE RIVER Brothers in Arms Dire Straits,1985 “Brothers in arms” è tutt’oggi l’album più rappresentativo della band sudlondinese dei Dire Straits. Siamo nel 1985 e l’album entra nel Guinness dei Primati per essere il primo disco a raggiungere il milione di copie vendute in supporto CD. “Brothers in arms”appartiene a quell’ampia schiera di album rappresentativi della storia del rock, uno di quei lavori che non possono mancare nella collezione di tutti gli appassionati di questo potentissimo mezzo di comunicazione. Un successo meritato, il suo, che ha iscritto i Dire Straits nella lunga lista dei più grandi esponenti del pop internazionale.

LA LEGGENDA DEL PIANISTA SULL’OCEANO Regia di Giuseppe Tornatore Con Tim Roth e Pruitt Taylor Vince Italia, 1988 Trovato in fasce il 1° gennaio 1900 a bordo del transatlantico Virginian, T.D. Lemmons, detto Novecento, cresce sulla nave, impara a suonare il piano, diventa l'attrazione dell'orchestra di bordo e non ne scende mai. Quando la nave in disuso sta per essere demolita con la dinamite, il suo amico Max (P.T. Vince) è convinto che sia ancora a bordo.

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PANORAMA NEWS

ANIE

CEI

L’INTERA FILIERA DEL FOTOVOLTAICO UNITA IN UN COMUNE OBIETTIVO DI SVILUPPO DEL MERCATO

IL CEI AGGIORNA LA PIATTAFORMA E-LEARNING "PROFCEI"

Trasmessa al Ministro Scajola e al Ministro

Tecnici e Professionali di tutta Italia

Prestigiacomo la proposta sul nuovo Conto Energia condivisa da GIFI aderente a Confindustria ANIE, APER E ASSOSOLARE GIFI (Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane), aderente a Confindustria ANIE, APER ed ASSOSOLARE, hanno inviato al Ministero dello Sviluppo Economico e al Ministero dell’Ambiente una posizione condivisa inerente la revisione del Conto Energia al 2011. Come previsto all’art. 6, comma 3 del DM 19 febbraio 2007, infatti, per gli impianti fotovoltaici che entreranno in esercizio negli anni successivi al 2010 dovranno essere ridefinite con apposito decreto le tariffe incentivanti, tenendo conto dell’andamento dei prezzi dei prodotti energetici e dei componenti per gli impianti fotovoltaici. Dopo un lungo e impegnativo lavoro di analisi che ciascuna delle suddette Associazioni ha condotto al proprio interno, le stesse hanno successivamente ritenuto opportuno condividere i risultati ottenuti e convergere verso un proposta unitaria di revisione del conto energia, che possa garantire continuità alla crescita del mercato del fotovoltaico. Le tre Associazioni hanno voluto così avviare e accelerare il processo di consultazione con i Ministeri preposti alla definizione del decreto interministeriale, auspicando che si giunga entro l’anno, come tra l’altro annunciato più volte dallo stesso Governo, alla sua pubblicazione. Ciò scongiurerebbe tutti gli ulteriori effetti negativi sul mercato del crescente clima di incertezza che ha già caratterizzato il semestre in corso. Ufficio stampa Confindustria ANIE Tel. 02 3264.818 - 211 comunicazione@anie.it

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Il progetto didattico online per gli Istituti

Anche quest'anno, già a partire dal mese di ottobre, la piattaforma e-learning “ProfCEI” è ripartita con i corsi gratuiti per l'anno scolastico 2009/2010 ed importanti aggiornamenti. A sette anni dalla sua attivazione - oltre 700 gli Istituti che hanno aderito all'iniziativa, per un totale di circa 1.384 professori e 4.300 studenti - ProfCEI è stato aggiornato con una serie di lezioni arricchite da grafici e figure, corredate da esercitazioni e test. Un’intera lezione del corso di impianti elettrici per le classi IV e V è stata dedicata all’attuale e dibattuto argomento della "Qualità dell’energia elettrica". Al termine della lezione lo studente acquisisce le principali nozioni sui disturbi elettrici che possono causare un basso livello di Power Quality. I principali aspetti evidenziati sono: l’interruzione dell’alimentazione elettrica, le variazioni della tensione, dissimmetrie e squilibri, distorsioni della forma d’onda, Flicker, la legislazione europea, le norme europee EN e le norme CEI di riferimento. Un’altra nuova lezione è interamente dedicata al recente “Decreto ministeriale 37/08”, presentando la struttura del decreto, l’ambito dell’applicazione, le imprese abilitate, l’estensione della redazione del progetto rispetto alla legge 46/90, le competenze tecniche richieste dal decreto, il criterio di realizzazione ed installazione degli impianti tecnologici e la dichiarazione di conformità alla regola dell’arte. Sull’onda del gradimento riferito nelle precedenti edizioni per i contenuti multimediali ed interattivi, fin dal primo giorno dell'anno scolastico 2009/2010 sono a disposizione tutti i nuovi contenuti completati con animazioni flash, fogli di calcolo MS Excel scaricabili per la simulazione di problemi e fenomeni elettrici a diversi livelli di approfondimento ed esercizi numerici svolti. Due interessanti animazioni flash sono presenti nella nuova lezione sulla “Qualità dell’energia elettrica” e nelle pagine “Qualità dell’energia elettrica” e “Distorsione della forma d’onda di tensione e corrente”. Segnaliamo in aggiunta nella lezione “Cavi per Energia in MT” pagina “Portata”, un nuovo foglio di calcolo per il di-

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mensionamento di una linea elettrica a carichi distribuiti, e nella lezione “Correnti di Cortocircuito – Calcoli” nella pagina “Metodo MVA”, un foglio Excel per il calcolo della corrente di cortocircuito. ProfCEI è il progetto didattico on line CEI nato allo scopo di fornire un supporto per la formazione dei futuri professionisti del settore attraverso la preparazione di corsi di sostegno all'apprendimento svolti in conformità agli attuali orientamenti ministeriali. Il coordinamento e supervisione, è stato affidato dal CEI al Professor Angelo Baggini, docente della Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Bergamo. I corsi gratuiti di web learning ProfCEI sono dedicati alle classi III, IV e V degli Istituti Tecnici e Professionali di tutta Italia con indirizzo di Elettrotecnica, Elettronica ed Automazione. L’adesione al ProfCEI è totalmente libera e gratuita per tutti gli Istituti d’Italia che aderiscono all’iniziativa. Per ulteriori informazioni, è possibile visitare il sito http://profcei.ceiweb.it

ANIE SERVIZI INTEGRATI BANDI DI GARA IN UN CLICK Continua la convenzione ANIE Servizi Integrati e IMQ per la promozione del servizio di segnalazione delle gare d’appalto In un’unica e-mail la segnalazione di tutte le gare di appalto pubblicate sugli organi ufficiali nazionali e comunitari, per lavori, forniture e servizi. È questo il “servizio di segnalazione gare” di Anie Servizi Integrati, che viene proposto ai clienti IMQ a condizioni agevolate. Il servizio segnala quotidianamente le gare d’appalto a livello nazionale e comunitario per lavori, forniture e servizi. Grazie ad un’approfondita conoscenza dei settori elettronico, hightech e settori contigui, il servizio è in grado di fornire un’informazione specifica ma soprattutto mirata. Un sistema sofisticato di profilazione dell’utente consente di segnalare solo i bandi di interesse. L’abbonamento comprende, oltre all’invio quotidiano dei bandi, una serie di servizi a valore aggiunto gratuiti In particolare: - Sportello Appalti: risposta via e-mail a quesiti sulla partecipazione alla gara - Newsletter “Appalti Oggi”: bollettino mensile di informazione e aggiornamento - Segnalazione dei vincitori di gara Il Servizio offre, a chiunque sia interessato, un periodo di prova assolutamente gratuito della durata di un mese, al termine del quale può decidere o meno di sottoscrivere l’abbonamento. Per informazioni: Assistenza commerciale tel. 023264290 gare.commerciale@anie.it

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BREVI IMQ

Calendario IMQ 2010

Gli auguri di IMQ

Nel calendario IMQ 2010 Ampère veste i panni dell’investigatore: il detective della qualità. Quella verificata e certificata da sempre dalle società del Gruppo IMQ. Nel corso dei 12 mesi i grandi investigatori polizieschi del cinema, della Tv e della letteratura - tenenti, detective privati, ispettori famosi - vengono via via interpretati dalla nostra mascotte. Personaggi di grande intuito e sempre attenti ad ogni dettaglio: la stessa attitudine che caratterizza gli operatori del Gruppo IMQ, sempre pronti a verificare e certificare la qualità, l’efficienza e la sicurezza all’interno delle aziende e nelle case degli italiani. Una missione portata avanti ogni giorno con passione e creatività.

Una Renna che per Natale chiede dei parazoccoli antiscivolo e antincendio, Babbo Natale che esprime il desiderio di una slitta con air-bag e climatizzatore, un albero di Natale che la notte del 24 dicembre vorrebbe avere sulla sua cima una stella vera e un biscotto natalizio che vorrebbe un forno in grado di moltiplicarlo il più velocemente possibile. Sono i divertenti auguri di IMQ per il Natale 2009. Giocati sull’ironia, su una grafica che rispetta i canoni classici del Natale e su una piccola idea in più: il biglietto, infatti, può essere ritagliato creando dei simpatici segnalibri da utilizzare per le vostre letture.

Nuovo sito IMQ Pronti per una nuova navigazione? E allora appena possibile, con il nuovo anno, collegatevi al sito www.imq.it, Lo ritroverete completamente ristrutturato e rinnovato. Nuova grafica, nuova alberatura, nuova modalità di interrogazione. Il tutto con un unico obiettivo: rendere tutti i servizi e le informazioni offerte da IMQ di rapido accesso e facile consultazione. Per vedere se ci siamo riusciti vi aspettiamo per un giro on line. Buona navigazione.

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Pubblicità IMQ We love you! È questa l’head line della campagna stampa voluta da IMQ per concludere il 2009 e iniziare il nuovo anno con un pensiero di amore. We love you. E sapete perché? Perché portiamo sicurezza e qualità nelle vostre case e nella vostra vita quotidiana. Perché lavoriamo concretamente per il rispetto dell’ambiente. E lo facciamo da quasi 60 anni, sempre con la stessa passione. Ogni giorno. Se questo non è amore... La campagna sarà pubblicata su Corriere della Sera e Il Sole 24 ore.

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CURIOSITÀ

15 COSE DA NON FARE (IN BARCA)

I marinai sono superstiziosi? Molto. E per questo è bene ricordare i principali comportamenti da evitare quando si sale a bordo. 1) indossare abiti di un altro marinaio 2) fare cadere fuori bordo un bugliolo o una scopa 3) imbarcare un ombrello, bagagli di colore nero e fiori 4) guardare alle proprie spalle quando si salpa 5) salire a bordo della nave con il piede sinistro 6) poggiare una bandiera sui pioli di una scala o ricucirla sul cassero di poppa 7) lasciare le scarpe con la suola verso l’alto (presagio di nave capovolta) 8) accendere una sigaretta da una candela 9) evitare il suono prodotto dallo sfregamento del bordo di un bicchiere o di una tazza 10) evitare il rintocco della campana di bordo se non mossa dal rollio 11) pronunciare le parole: verde, maiale, uovo, tredici, coniglio 12) parlare di una nave affondata o di qualcuno annegato 13) cambiare nome a una barca o battezzarla con un nome che finisce con la lettera “a” 14) indossare un orecchino d’oro (usanza antica che serviva a coprire le spese di sepoltura qualora il marinaio fosse deceduto) 15) toccare il solino o la schiena di un marinaio Ma soprattutto, tutti concordi superstiziosi e non: in barca è vietato augurare buona fortuna. Benvenuto invece il classico “in bocca al lupo” o, ancora meglio, “buon vento”!



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