A come... Amore

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A come‌ Amore di Giorgia Russo


«Ti prego, Gianna!». Mi guarda con quegli occhioni da cucciola smarrita e non reggo. Continuo a non comprendere perché proprio io dovrei accompagnare mia sorella a una festa organizzata dall’azienda per la quale lavora da alcuni anni, ma cedo. Gliela do vinta. Anche perché, francamente, sono due settimane che rompe con questa storia e mi trovo davanti a un bivio: accettare o commettere un omicidio dettato dall’esasperazione. «Va bene. Andiamo a questa benedetta festa!». La mia risposta è tanto poco entusiasta, quanto esagerata la gioia dimostrata da Clara. Non la capisco. È solo l’ennesima festa. Mia sorella vive di feste. Cosa diavolo avrà di tanto speciale proprio questo party? D’accordo, ha blaterato una mezza spiegazione. Pare ci sia un tipo della contabilità che le piace parecchio. Dice di volere un mio parere. Ma conoscendo la superficialità di Clara in questioni di cuore, non do molto peso a questa cosa. S’innamora cinque volte al mese, di cinque uomini diversi. Quindi, tempo di sentire la mia opinione su questo povero malcapitato di turno, che già sarà passato di moda. Achille, mi pare. O Attilio? Non memorizzo nomi maschili usciti dalla bocca di mia sorella, da quando ha 15 anni… Magari fossi così superficiale pure io. Invece no. Io sono quella che ancora elabora la fine del suo ultimo rapporto amoroso. Che risale a due anni fa. Due anni, tre mesi e tre settimane, per essere precisa. Saprei dirvi anche i giorni e i minuti, eh. Da allora, l’argomento uomini per me è tabù. Preferisco morire sola, piuttosto che passare ancora una volta le pene dell’inferno. Clara dice che mi sono chiusa a riccio. Contraddico energicamente! Mi sono chiusa proprio a cassaforte. Ho eretto un muro in cemento armato intorno a me. Cioè, sfido chiunque a buttarsi in un’altra storia, dopo aver raccolto i resti del proprio cuore col cucchiaino. Questo, mia sorella non lo comprende. Dice che devo reagire. Non capisce che io ho già reagito, ma a modo mio. Avessi reagito a modo suo, probabilmente, il mio ex adesso si troverebbe con qualche pezzo del corpo reciso… Invece io non ho fatto nulla del genere. Niente scenate. Ho solo preferito starmene da sola, per fatti miei. Condividere il mio dolore con qualcuno, lo avrebbe amplificato. Avevo bisogno di deviarlo in qualche modo, questo dolore. Ci sono riuscita con i libri che si sono rivelati dei veri compagni. Molto più di amici, dal momento che intuiscono ogni stato d’animo e lo assorbono come una spugna. Ci sono riuscita con lunghe passeggiate in mezzo alla natura o sulla spiaggia, scoprendo che non c’è nulla di più liberatorio della simbiosi tra il proprio respiro e il cuore che a ogni passo pompa, pompa e continua a pompare. Finché non esiste altro, solo la natura, il respiro e il cuore. Mia sorella sostiene che sono diventata strana. Forse ha ragione. «Non hai nulla di vagamente più adatto?» mi chiede Clara con un’espressione in faccia che io avrei magari rivolto a non tanto bello da vedere. «Cosa c’è di male in quello che ho indossato?». Davvero non la reggo! Ho messo i pantaloni di lino e la camicia gialla. A me sembra un outfit più che adatto. «C’è di male che assomigli alla nonna!». Ci penso su e non sono d’accordo. Nonna indossa solo gonne. Nere. E maglioni. Neri. Clara sembra leggere i miei pensieri. La vedo ridere sotto i baffi. «Ok, forse non a Nonna Giulia. Un’altra nonna, va bene?!». Mia sorella ora scoppia in una risata che ha il suono di mille campanelle. È bella quando lo fa. Le si illumina tutto il viso. La adoro! Scompare nel mio armadio e ne esce fuori con un top dorato, ricoperto di paillettes. La detesto! Qualcosa nel suo sguardo mi dice che mi costringerà a indossarlo. E io non sono in vena di


paillettes! «Senti, ma cos’è tutta questa insistenza? Io ti accompagno. Poco importa cosa indosso. Sei tu che devi fare colpo sul quel tipo… Aristotele, o come diavolo si chiama lui!» esclamo, ora davvero incavolata. La mia rabbia calma Clara all’istante e io mi affloscio come un palloncino. Ero pronta per estenuanti discussioni, tira e molla vari. Come sempre, no? Invece annuisce e mi tira per il braccio, dritta verso la porta d’ingresso. «Andiamo va!» dice Clara in tono di evidente resa. «Sì, andiamo. Prima che cambi idea!» aggiungo io, mentre afferro la mia borsetta. «Aristide… » la sento dire. «Chi?». «Si chiama Aristide. Cerca di memorizzarlo!». Mi meraviglio. Non mi aveva mai chiesto esplicitamente di memorizzare il nome di un uomo… che sia la volta buona? Clara, mia sorella minore, instabile di natura, si è innamorata sul serio? Stento a crederci, ma ora sì che sono curiosa di vederlo, questo Ascanio. Era Ascanio, vero? Clara ferma la sua macchina sportiva nera nel parcheggio antistante al locale con uno stridere di ruote niente male. Ostenta sicurezza da ogni poro. Io invece, lo ammetto, sento l’agitazione assalirmi. Bisogna capirmi. Non esco da una vita. Ho dimenticato tutte le regole. Quelle non scritte, ma ugualmente conosciute da tutti. Quelle del tipo: dove bisogna guardare e dove non bisogna guardare? Il sorriso è permesso? Quanti drink? Mi sento goffa e insicura e cerco istintivamente una via di fuga. Mia sorella intuisce e mi prende per mano, manco fossimo le due bimbe di tanti anni fa. Riesco a fare le poche scale che ci dividono dall’ingresso, senza inciampare, e ne sono sollevata. Clara apre la porta in vetro e mi spinge dentro, per riprendermi ancora la mano. Ok, ora mi sento proprio una deficiente. «Smettila di tenermi per mano!». Lo dico con tono da serpente, pronto a mordere. «Non ci penso neanche!». Lo dice con tono da leonessa, pronta a ridurmi a brandelli. Bene. Mi concentro su ciò che mi circonda allora. O almeno vorrei farlo. Se devo stare qui stasera, tanto vale prendere confidenza con il locale. Magari imparo anche a ignorare chi mi tiene ancora saldamente per mano. Ciò che riesco a vedere del posto, mi piace. Ciò che riesco a vedere, sono i cinque centimetri davanti a me. Il resto è immerso nel buio tenue, con alcuni spot di luce. Non sono in grado di identificare nulla in modo nitido e neanche mi va di mettermi a fissare. Di sicuro, c’è tanta gente. Clara viene salutata ripetutamente, da persone diverse, ma in qualche modo uguali. Colleghi, colleghe. Me ne presenta tipo mille e io continuo a non memorizzare. Mia sorella mi trascina al bar. Si guarda intorno. Sta cercando qualcuno. Ordina un cocktail dal nome strano. Sono quasi certa di averle sentito dire Un Algonquin, per favore! E mi ricordo dell’altra A, quella del tipo che le piace. Ecco perché si guarda intorno in continuazione. Deve essere proprio cotta. Quasi mi commuovo! «Cosa prendi?» si rivolge a me, conscia forse all’improvviso di non avere una sorella che regge cocktail alcolici. «Secondo te?». La sfido. Ecco. Clara ride ancora e si rivolge al barman, ordinando una Coca. Già. A me basta quella per raggiungere livelli di ebbrezza appena accennati. Mi porge il bicchiere e andiamo a sederci in un angolo, sempre abbastanza buio, anche se gli occhi sembrano essersi abituati. Inizio a vedere, inizio ad analizzare. Sembra chiaro che qui tutti hanno un unico scopo: ubriacarsi. Bevono dosi preoccupanti di alcolici, mentre tengono le teste vicine, forse sparlano di chi questa festa l’ha organizzata, o addirittura dei colleghi presenti alla festa.


Non so molto della McKloud. So solo che qui si stanno celebrando i primi dieci anni di attività nel nostro Paese. Il che mi sembra già un bel risultato. Appena mia sorella poggia il sedere sul divanetto, viene presa d’assalto. Donne, uomini, fanno tutti a gara per scambiare due parole con Clara. Lei è così. Attira la gente, manco fosse una star. Li capisco. Lei è come un raggio di sole in una giornata grigia. Io sono come una nuvola nera in una giornata di sole. Non mi disturba. Anche perché, non saprei come cambiare le cose. Non sarò mai un raggio di sole. Non ce l’ho nel DNA. Rifletto su questa cosa, allontanandomi con discrezione e cercando un posticino tranquillo, che stento a trovare. La festa è al momento clou. Gli ospiti iniziano a dimenarsi sulla pista da ballo. C’è chi spinge, c’è chi tira, c’è chi barcolla. Vedo una finestra aperta su un balcone e mi ci fiondo. Ho trovato il mio posto. Un terrazzo deserto con tavolino, sedie e una panchina di legno. Scopro che affaccia su un cortile poco romantico, pieno di cartoni e bottiglie. La musica giunge a livelli sopportabili. Mi siedo, sorseggiando la Coca che ha un retrogusto amaro. Gin. Colpa di mia sorella o del barman? Provo a capire dove versare quel liquido imbevibile, quando vedo una figura maschile attraversare la finestra del terrazzo. Non mi nota subito nella penombra e io non so se salutarlo o meno. Con leggero stupore, lo vedo versare il contenuto del suo bicchiere, giù nel cortile. A quanto pare, non sono l’unica a non gradire i miscugli. Si gira e, appoggiandosi alla ringhiera, si accende una sigaretta. Tira dentro il fumo con gusto quasi invidiabile. Finalmente mi nota. Fa un cenno con la testa nella mia direzione. E io mi scopro paralizzata. Mi sento in qualche modo in imbarazzo e stento a capire perché. È solo un uomo qualsiasi, un incontro casuale a una festa che non mi appartiene neanche un po’. Un uomo qualsiasi, ma bello. I miei occhi lo divorano. Ogni centimetro dei suoi stimati 1,85. Bello. Dannatamente bello. Fuori dalla mia portata. Anche perché, gli uomini sono tabù, giusto? «Fumi?» mi chiede con una voce che mi sembra dolce melodia. Porge il pacchetto verso di me. Ovvio che non fumo. «Sì, grazie!». Giuro che sono stupita anch’io dalla mia risposta. Lui fa alcuni passi lunghi, attraversa il terrazzo e si siede accanto a me con naturalezza, tenendo ancora le sigarette in mano. Ne tiro fuori una e non posso fare a meno di inalare il suo profumo. È un misto di fumo, dopobarba e bagnoschiuma. La sua essenza mi entra dentro e inizia ad espandersi come un veleno potente e immediato. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso e registro ogni minimo particolare del suo aspetto. Mi piace il suo viso. Dolce e nello stesso tempo deciso. Porta gli occhiali che gli stanno da dio. I capelli scuri sono corti e curati, messi in ordine con un goccio di gel. L’abbigliamento è classico – pantaloni scuri e camicia chiara, aderente. Cintura appena un po’ vistosa con scarpe abbinate. Mi piace, questo suo modo di vestire e mi piacerebbe anche vederlo non vestito, ad essere sincera: è magro, asciutto, muscoli appena accennati. «Fuoco?» mi chiede. Sì. Sto decisamente andando a fuoco. Mi sento come stregata e non capisco cosa mi abbia fatto quest’uomo, nel giro di pochi minuti. Poi capisco che il fuoco si riferisce alla sigaretta e gliela lascio accendere. Dannazione, le mie mani tremano in modo evidente. Prendo una sorsata gigantesca della mia Coca e Gin, travestita da Coca semplice, svuotando quasi il bicchiere. Il Gin prende subito a lavorare i miei nervi, distendendoli e rilassandoli. So fumare. Non l’ho mai fatto davvero, tranne qualche volta per gioco, ma so fumare. Mi sembra di tenere la sigaretta in modo elegante, mi sento perfino un po’ sexy buttando fuori il fumo. «Le feste in discoteca non fanno per me». Me lo confessa così. «Non le amo neanche io». Ecco, finalmente la mia prima frase completa. Voce appena un po’ stridula. Ci devo lavorare. Gli faccio sapere che sono qui per accompagnare mia sorella. Mi racconta che si trova nel locale per insistenza di un suo amico. Avrebbe preferito una serata tranquilla al cinema. Adoro il cinema e glielo dico.


«Ma dai!» esclama e inizia a guardarmi con qualcosa che assomiglia a piacevole interesse. Ci ritroviamo a parlare dei nostri film preferiti – abbiamo gusti molto simili – e scivoliamo in una seconda passione che ci accomuna: i libri. Quasi non ci credo! Ho di fronte un uomo che ha letto non uno, ma 100 o 1000 libri! Mi sembra un miracolo. E li ha letti davvero! Cita dei passaggi, conosce gli autori. Il suo genere preferito è il giallo classico e non posso dargli torto! Santo Cielo! Dove si era nascosto quest’uomo? Dimentico tutte le mie paure nei confronti degli uomini! La nostra conversazione non subisce momenti di tregua e iniziamo a gesticolare, girandoci uno verso l’altro. Come per caso, mi poggia la mano sulla gamba e io – porca miseria – lo lascio fare. Oso. Gli tocco il braccio e percepisco quel minimo contatto come una scarica di scintille. «Senti, domani vado alla presentazione del nuovo romanzo di Corrado Bruno. Ci verresti con me?». Non molla il mio sguardo mentre formula l’invito. «Dopo potremmo andare a passeggiare sul lungomare e prendere un boccone alla trattoria di Cesare». Mi sembra il programma più bello al mondo. Ora mi sento un po’ come un raggio di sole e sono più che contenta di accettare. Anche lui sembra felice e mi schiocca un bacio sulla guancia. Non so perché, ma lo trattengo. Giro le mie labbra verso le sue e lo bacio davvero, scoprendo una fame di affetto e tenerezze, mai avvertita prima. Lui affonda le mani nei miei capelli e mi attira a sé con dolce decisione. Sono cotta! Poggio la testa sul suo petto e lo respiro. Sono decisamente cotta! Mi lascio accarezzare la nuca tra un bacio e l’altro e quel terrazzo bruttino si trasforma in un angolo di paradiso. Una voce interrompe il mio volo tra le nuvole soffici dell’amore. La voce ha un volto. A me sconosciuto. Un uomo qualunque, apparso nel mio angolo di paradiso. Noto che quello che ha detto la voce, mi da fastidio. Proprio tanto fastidio, tantissimo. La voce, a meno che io non abbia iniziato a soffrire di allucinazioni, ha esclamato: «Oh, Aristide! Eccoti!». Ora, quante possibilità ci sono che non si tratti dell’Aristide di Clara? Una su cento? Conoscendo la mia strana propensione verso situazioni catastrofiche, so per certo che ho appena sbaciucchiato con gusto l’uomo per il quale mia sorella pare aver perso la testa. Che fare? L’unica cosa sensata: fuggire! Corro veloce, senza guardarmi indietro e vado a chiudermi nel bagno puzzoso e scomodo. Non m’importa. Di certo non uscirò da qui. Mai più! Poco dopo, mentre mi alleno nella respirazione a bocca per non sentire il fetore disgustoso, sento passi avvicinarsi. «Gianna, sei qui?». Mia sorella. Mi conosce troppo bene. Ha subito individuato il mio nascondiglio. Come ho potuto farle questo? Mi faccio schifo! Apro la porta del bagno e guardo Clara. Devo confessarle tutto, subito! «Senti, Cla’, è successa una cosa – ehm – brutta! Ho baciato il tuo Aristide, ma non sapevo chi fosse, cioè, sapevo che mi piaceva, ma non gli ho chiesto il nome. Se lo avessi saputo, non… ». Clara mi interrompe con un gesto della mano e termina la frase al posto mio. «Se lo avessi saputo, lo avresti baciato ugualmente. Perché siete fatti per stare insieme. Cosa credi che ti abbia trascinato a fare qui? Non è a me che piace Aristide. L’ho conosciuto e ho subito capito che è l’uomo giusto per te! Per questo ho organizzato il vostro incontro con l’aiuto di un amico in comune, che, tra le altre cose vi ha beccati sul balcone ed è subito venuto a informarmi della tua fuga. Alla fine, hai fatto tutto da sola. Eri sparita e io avevo perso le speranze. Invece tu stavi a baciarti Aristide! Lo vedi che è destino!». Per bacco! Questa non me l’aspettavo! Quindi, Aristide potrebbe essere il mio destino? Questo non lo so, ma ho voglia di crederci.


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