Dolcemente Tenebroso. Il risveglio di Lucilla di Serena Pieruccini

Page 1


È una notte di giugno quando Lucilla apre gli occhi, nella sua bara, svegliata dai miagolii di un gatto. Immaginatevi il suo sconforto nel trovarsi in piena notte in un cimitero, nel rendersi conto di essere morta, senza però ricordare come sia accaduto. Ma fra le ombre ecco che arriva Biglia, pronto ad aiutarla, a farle da cicerone e da amico nelle incredibili notti che si susseguiranno. Lucilla scopre subito di avere un legame con i gatti morti che trova sbrindellati fuori dal cimitero e che cuce rimettendoli assieme. Chi è che fa a pezzi quei poveri animali e li va a sotterrare tra i cipressi? E per quale motivo? Perché Lucilla non riesce a ricordare com’è morta? Come mai ha tutte quelle cuciture sul corpo? Una notte dopo l’altra, fra la comparsa dei più svariati e strambi personaggi, Lucilla verrà a capo di un grande mistero. Intanto, di giorno, il commissario Angelo Lugosi indaga sulle atrocità commesse da un serial killer. Si tratta di un caso davvero difficile, ma ci saranno il suo fedele Gongo, un meticcio fin troppo sveglio, i due ispettori e la bella Ligeia a confortarlo e ad aiutarlo senza fargli perdere il senno. I sospettati si svelano a poco a poco, raccontandoci un po’ di loro, facendoci confondere forse, come in ogni giallo che si rispetti. Chi sarà l’assassino? Com’è morta Lucilla? Quale mistero aleggia nel cimitero? Chi uccide i gatti? Perché Lucilla ne è così legata? Chi scrive le filastrocche? E chi è Biglia? Non vi resta che scoprirlo.


Serena Pieruccini

Dolcemente Tenebroso Il risveglio di Lucilla


I edizione 2011 © 2011 - Felici Editore Srl via Carducci 60 - 56010 Ghezzano (PI) tel. 050 878159 - fax 050 8755897 www.felicieditore.it ISBN: 978-88-6019-540-1 Editing Alfonso Zarbo Copertina e illustrazioni Serena Pieruccini www.cagliostrino.com Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAII, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni per uso differente da quello personale sopracitato potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli aventi diritto/dall’editore.


a Gianni e a chi ci crede



Prologo

E

ra un’afosa giornata estiva e il cielo, vestito di un azzurro leggero, incombeva malinconico su quel luogo così grigio e colorato al tempo stesso. I fiori si contendevano le api e le farfalle, mostrandosi senza pudore in tutta la loro bellezza. Il commissario Angelo Lugosi sedeva sulla pietra grigia e fredda di una tomba. Era esausto, provato sia nel corpo che nello spirito. La sua mente vacillava cercando un appiglio razionale; non riusciva a dare un contesto plausibile agli eventi appena conclusi. Abbassò gli occhi verso il quaderno che teneva fra le mani, la chiave di quel mistero. Fra quelle pagine vi era la più incredibile spiegazione che si potesse dare a una storia assurda sotto ogni punto di vista. A tutti gli effetti, quella “chiave” pareva una burla e, anche se gli aveva permesso di chiudere il caso, apriva un corridoio di ipotesi inaccessibili, porte chiuse con il punto interrogativo al posto del consueto numero di stanza d’albergo. Stringendo tra le dita l’enigmatico oggetto, lo portò vicino agli occhi. All’apparenza si trattava di un semplice quaderno scolastico. Lo riaprì per l’ennesima volta. Dietro la copertina di cartoncino rigido spiccava una scritta a lettere cubitali nere: DIARIO DI LUCILLA e sotto, tra parentesi, BIMBA ZOMBIE Una cornice di tombe, fiori e riccioli decorava l’intera facciata. Le pagine successive erano scritte in inchiostro nero, con una calligrafia chiara e tondeggiante. Qua e là, inoltre, erano inseriti dei ritagli di fogli con strane filastrocche, riportate al contempo nel diario stesso. I ritagli sono numerati dalla stessa calligrafia del quaderno, ma devono essere a opera di un’altra mano, pensava il commissario, non potendo credere a quelle pagine. 7


Quale mistero si celava in quei fogli? Il diario non forniva alcuna spiegazione, benché lo avesse menzionato. Una burla nella burla, forse. Chi aveva scritto quel diario? Magari qualcuno a conoscenza dei fatti aveva scelto di contribuire alle indagini in quel modo insolito. Perché era impensabile credere che ogni cosa scritta là dentro fosse vera. Per un attimo gli parve di stare seduto sul coperchio di una pentola di pietra: quella tomba poteva scoperchiarsi da un momento all’altro, ustionandogli irrimediabilmente ogni rimasuglio di razionalità. Sollevò gli occhi. Non era il momento di farsi sopraffare dai pensieri, di “cadere in catalessi”, come lo canzonavano i colleghi tutte le volte che rifletteva. Quando si immergeva nelle meditazioni, davanti ai suoi occhi scorrevano le immagini nitide dei fatti da lui evocati, proprio come stesse assistendo a un film. Spesso precipitava nel quadro che andava dipingendo con il pensiero e doveva sforzarsi molto per riemergere nella realtà. Tornò a osservare il diario. Adesso che il caso era chiuso, si chiedeva che farne. Non lo aveva registrato nell’archivio della Polizia, né tantomeno lo aveva citato nel rapporto al procuratore. Solo lui e pochi colleghi ne erano a conoscenza. I due ispettori al suo servizio avevano pareri discordanti: uno non prendeva minimamente in considerazione l’idea dei morti resuscitati e insisteva con il voler scoprire chi lo avesse scritto davvero; l’altro, invece, sembrava provare un timore reverenziale. E lui che ne pensava? Senza di esso sarebbe mai riuscito a risolvere il caso? Quelle pagine lo sconcertavano. Come nuvole, gruppi di folla cicaleggiante riempivano i pochi spazi del cimitero lasciati liberi dalla Polizia. Quel posto era un mosaico di sezioni territoriali, una sorta di piccola rappresentazione geografica di un territorio dove al posto di case con i numeri civici c’erano tombe e lapidi. E i morti, dentro alle loro tombe, salutavano i vicini che avevano avuto in vita ritrovandoseli magari nella bara accanto. Il commissario corrugò la fronte. I cimiteri, come i funerali, lo destabilizzavano. Tutto ciò che riguardava la morte come rituale lo 8


lasciava confuso, facendogli prudere la sua vecchia e quasi mortale cicatrice dell’anima. La prima volta che vi aveva messo piede aveva avvertito una sensazione di disagio, la stessa che si prova quando veniamo osservati di nascosto. Aveva alzato gli occhi e sorpreso due scheletri neri in ferro battuto, armati di falce, sulla sommità del grande cancello intenti ad osservarlo. Avevano quell’espressione tipica dei teschi, che non si sa mai se definire maliziosa o triste. Adesso, non si sarebbe stupito di vederli scendere dal cancello al crepuscolo e mettersi a falciare l’erba dei viali di quella storia incredibile. Da un gruppetto di persone che sostava dietro le recinzioni a nastro della Polizia si staccò una donna elegante. Bella come sempre e impeccabile nel suo completo scuro, l’avvocato Ligeia Tormenta avanzò verso il commissario con un accenno di sorriso. «Come stai? Lo sai, vero, che sono orgogliosa di te?» Gli si avvicinò fino a sfiorargli le labbra con un bacio fugace. I capelli lunghi e lisci di lei gli solleticarono la guancia in una pioggia bruna. «Dov’è Gongo?» chiese Angelo per mascherare la soddisfazione di quel lieve bacio. Era ancora divorato dai sensi di colpa e ogni volta che lei si avvicinava sentiva una fitta allo stomaco. Il cimitero che aveva nel cuore non si poteva esprimere con i toni vivaci di quello descritto in quel quaderno misterioso, e i suoi fantasmi non erano altrettanto comprensivi. Appartenevano a un tempo passato e non smettevano mai di rosicchiarlo dall’interno. Ligeia aspettò con pazienza di avere la sua attenzione; conosceva le escursioni mentali del commissario e sapeva che sfuggivano spesso al suo controllo. Richiamarlo alla realtà era come destare un sonnambulo. Inoltre non voleva correre il rischio che qualche rivelazione andasse perduta. Rispose alla domanda non appena i suoi occhi tornarono di nuovo 9


a vederla. «L’ho lasciato in auto: non credo sia opportuno lasciare libero un cane in un camposanto.» I due rimasero qualche istante a fissare la folla. «Certo che è davvero una storia incredibile» commentò lei, già a conoscenza del quaderno. «Lo hai lì con te?» «Sì.» Come sempre negli ultimi giorni, pensò il commissario. Da quando l’aveva trovato non riusciva a staccarsene. «Cosa hai deciso di farne?» si sentì domandare dalla donna. «Ci stavo giusto pensando.» «Se vuoi darlo ai genitori, si trovano davanti alla tomba della bambina.» «Sarà la cosa giusta? Mi sembrano talmente scossi. Dare loro anche questo...» si interruppe un istante, poi continuò, «questa cosa.» Sollevò il diario e lo guardò corrucciato. «Potrebbe trattarsi del prodotto di uno squilibrato.» Avevano anche preso in considerazione l’idea che fosse stato uno dei familiari a scriverlo, ma c’erano troppi punti incomprensibili. Ligeia sospirò. «Ancora non ci credi, vero?» «Come posso credere che una bimba morta tenga un diario?» La donna non replicò: aveva già detto la sua in proposito. Adesso restava a lui decidere. Era rimasto sorpreso nel rendersi conto che Ligeia credeva a quelle pagine; lei che pareva sempre così razionale. «Vado a vedere cosa combina Gongo: con questo caldo potrebbe soffrire a stare in auto» si congedò Ligeia a quel punto. «Aspetta, Ligeia.» «Sì?» «Grazie di tutto. Di essere qua, soprattutto.» L’avvocato sorrise e si avviò verso il grande cancello di ferro battuto. Attorno al cimitero regnava il disordine. La Scientifica stava lavorando tra i cipressi, subito fuori dal muro di cinta. Qualcuno tentava di tenere a bada i giornalisti e i curiosi, ma la folla andava crescendo. Lugosi sospirò. Che strana la curiosità della gente, rifletté. Più una storia è sinistra e più incuriosisce. 10


E che tetra storia era stata, quella. Un altro giornalista lo puntò da lontano. Quanti erano stati quel giorno? Di fronte a quante telecamere aveva abbassato lo sguardo? In quanti microfoni aveva sputacchiato risposte frettolose? Poggiò il quaderno sulla pietra dietro di lui, cercando di nasconderlo agli occhi dell’uomo che si stava avvicinando. Si presentarono, scambiarono due parole. Il quaderno pareva un oggetto estraneo in quel quadro: il commissario lo aveva accantonato dietro la schiena nella speranza che restasse inosservato. Non vide la piccola mano scheletrica emersa dalla tomba che, con un filo di ferro piegato a uncino, trascinava il quaderno nella fessura. Quando il commissario, di nuovo solo, si volse a recuperare il suo sconcertante reperto sussultò. Il diario era sparito. Come in risposta, la foto del bimbo parve sorridergli. Angelo Lugosi ne lesse il nome sulla lapide: Sebastiano O. 19** – 19** «Ma porca miseria ladra!» imprecò a voce alta. «È mai possibile?»

11


uno

Diario Di Lucilla (Bimba Zombie)

S

alve, chiunque sia tu che leggi questo mio diario, mi chiamo Lucilla D. Sono nata nella città di L. dove ho sempre vissuto con la mia famiglia e dove sono morta. Ho tredici anni e credo che li avrò per sempre. Mi sono svegliata in questo cimitero qualche giorno dopo la mia morte, nel mese di giugno. Ancora non so come sia successo; forse è per questo che sto tenendo un diario. Sono un po’ confusa a dire il vero. Risvegliarsi dalla morte confonde un poco, sapete? E non sono neppure la sola: non immaginate quanto siano affollati i cimiteri di notte! Ma non lo sapevo neanch’io. Prima non immaginavo che i cimiteri fossero così “vivi”. Ebbene, non credevo che i morti si svegliassero dalle loro tombe per giocare a bocce nei viali del camposanto. In realtà mi facevano paura, e credevo che gli zombie fossero solo dei corpi famelici che mordevano qualsiasi cosa viva gli capitasse a tiro, ingordi di cervella umane. Spero che chi leggerà questo mio diario cambi idea proprio come ho fatto io e capisca che la morte è una cosa che deve accadere, e che i morti non sono figure paurose ma solo i nostri cari. I morti amano i vivi e li cullano nel loro cuore, attendendo il giorno in cui tutte le anime si riuniranno. Ah, io sono morta, è vero, ma non 12


so cosa mi accadrà dopo. Quindi non sperare di trovare grandi rivelazioni leggendo il mio diario. Non troverai nessuno scoop sull’aldilà: da morti ci poniamo le stesse domande che da vivi, anche se noi siamo meno stressati a riguardo. I morti che camminano sono persone che non riescono a prendere sonno. Ho fatto un po’ di domande sull’argomento. In realtà sto tenendo un diario perché ho la sensazione di perdere il filo di qualcosa, e ho bisogno di annotare ciò che accade, così da non lasciarmi sfuggire niente. Cercherò di essere brava nello scriverlo: a scuola Italiano era la mia materia preferita e da viva leggevo davvero tanti libri! Prima di iniziare a trascrivere il ricordo del mio risveglio copierò la prima filastrocca che ho trovato. Devi sapere, mio caro lettore curioso di diari, che sin dalla prima notte ho trovato, appoggiata sulla tomba o direttamente nella bara, un foglietto di carta con una strana filastrocca che mi riguardava. Ogni notte una diversa: una sorta di riassunto in rima di ciò che avevo vissuto. Non ho ancora scoperto chi le scrive e perché, ma conto di risolvere questo mistero al più presto! Povera, piccola dolce Lucilla che della vita non hai più la scintilla, con le labbra rosse e le guance rosa eri, da viva, davvero radiosa. Or le tue labbra, come sgualcite, sembrano rose ormai appassite. Or così pallida è la tua pelle, ma brillan gli occhi come vere stelle. Esci dalla tomba com’ombra dal nero lo sguardo smarrito sul cimitero. Piangi povera bimba sconcertata per il luogo in cui ti sei destata. Per quanto ti sforzi e ti concentri non ricordi gli ultimi eventi. 13


Sulle braccia sta il vero mistero: segui col dito, come fosse un sentiero, segni che solcan la pelle in gran misura, profondi e ricuciti coi punti di sutura. Che cosa mai può esserti accaduto, come puoi il ricordo aver perduto d’un evento tanto importante e forte come quello unico della propria morte?

14


due

Le Indagini Del Commissario Lugosi Giorno 26 Giugno

I

l commissario Lugosi

Erano le 6.30 del mattino quando Lugosi si alzò dal letto, sudato più per gli incubi che per il caldo estivo. Avevano suonato alla porta del suo appartamento. Come un sonnambulo superò il breve tratto che lo separava dalla porta d’ingresso, già sapeva chi avrebbe trovato sulla soglia ma ugualmente rimase interdetto. Era Gongo, il suo cane. Gongo osservò dal basso verso l’alto il suo padrone mentre inciampava negli ultimi stralci di sonno, entrò cercando di tenersi a debita distanza per non finire in quel meccanismo perverso che erano le gambe umane. Scodinzolava nervosamente: si sentiva la coda di paglia e temeva le fiamme dell’ira del suo padrone, che avrebbero potuto avvolgerlo da un momento all’altro e annientare il suo “io canino” con «Gongo!» pronunciato con biasimo e rimprovero. Così fu, o quasi. «Gongo!» fece Lugosi volgendosi verso la finestra aperta della cucina dove il retino era staccato in basso. L’aveva fatto di nuovo. Quel cane era un perfetto scassinatore. Che fosse estate o inverno, che le finestre fossero aperte o chiuse, quel cane riusciva sempre a filarsela. Eppure erano al secondo piano e quel piccolo meticcio pareva più una salsiccia con le gambe che un atletico levriero. Certo che per un commissario della Polizia era davvero il colmo avere un furfante in casa. «Porca miseria ladra, come ti sei conciato?» lo rimproverò Lugosi, os15


servando il pelo sporco di terra. Gongo rimase perplesso. Nel tono del suo padrone c’era qualcosa di diverso. Una stanchezza di fondo, forse? Lugosi, che si muoveva a piedi nudi per casa con addosso solo un paio di calzoncini da calcio, agguantò Gongo e lo portò con sè sotto la doccia. Il getto malefico lavò i segni della notte avventurosa, ma solo quelli che stavano sul pelo: quelli che portava dentro, sotto la pelliccia, Gongo cercò di tenerseli stretti. Voleva masticarli ancora un po’, come faceva con le ossa di prosciutto che ogni tanto Lugosi gli donava. Quella notte aveva vissuto parecchio. Il commissario si avvolse in un accappatoio bianco e mise il cagnolino nel bidè, ordinandogli di stare immobile mentre, con il phon, asciugava sia i suoi riccioli neri e ribelli che il pelo del cagnolino indispettito dal getto d’aria.

Le fughe d’amore di Gongo C’erano periodi dell’anno in cui era davvero impossibile tenere Gongo in casa di notte. Lugosi le aveva provate tutte ma non c’era niente da fare. Non restava che mettere i lucchetti alle finestre; a quel punto il cane avrebbe dovuto darsi alla clausura. Quella notte Gongo si era svegliato alle due del mattino, era saltato giù dai piedi del letto ed era corso in cucina. Era saltato sul lavello proprio sotto la finestra che guardava verso sud e aveva un largo davanzale. Sapeva che facendo leva sulla maniglia sarebbe riuscito ad aprire l’anta. Doveva solo stare attento a non far rumore. Con Lugosi non c’era troppo da scherzare e ringraziava il cielo di essere nelle sue grazie. Aveva intuito subito che il suo padrone era un capobranco: quelli della sua specie ne avevano timore e lo seguivano passo passo. Lo aveva visto mettere una catena simile a un guinzaglio alle zampe di altri uomini e questo lo aveva letteralmente elettrizzato. Il cagnolino era un grande osservatore e, dal suo punto di vista (un po’ basso a dire il vero) non se ne faceva sfuggire una. 16


Staccare il retino dalla finestra fu un altro discorso, ma neppure troppo complicato. Lo aveva già fatto altre volte. Mentre Lugosi dormiva un sonno agitato e popolato dagli incubi, Gongo si lanciò nel vuoto, atterrò sulla soffice erba del prato condominiale e iniziò a correre. Adesso si dirigeva verso sud, sulla traccia di un profumo irresistibile. Passava da un cortile all’altro, evitando cani aggressivi e attaccabrighe, tagliava per i campi, saltava fosse piene d’acqua e attraversava orti e giardini dai tanti profumi. Arrivò alla meta esausto: aveva percorso un tratto molto lungo. Conosceva quella strada: l’aveva fatta più volte, soprattutto di notte. La prima volta era stata con Lugosi. Erano venuti nella casa di un suo subalterno per prendere quella cosa che gli umani aprivano e rapiva la loro mente. Computer. Così l’aveva sentita chiamare. Lui era sceso dall’auto per sgranchirsi le zampe e si era trovato davanti alle case di corte confinanti con le terrazze di olivi a sud della città. Ed ecco che lo aveva sentito: un profumo irresistibile che la chimica animale gridava a squarciagola di aver preparato su misura per lui. Veniva da una delle case. Gongo si allontanò di soppiatto dai piedi del suo padrone e si avventurò in un piccolo giardino. Stesa fra l’erba a godersi i profumi della tarda primavera, stava la cagnolina più bella che avesse mai incontrato. Il pelo era una cascata di riccioli neri e lucenti e gli occhi si perdevano estasiati verso il cielo, mentre si rotolava sull’erba. Si fece avanti e la cagnolina si alzò attenta e interdetta da quell’invasione. Gongo vide brillare interesse e curiosità nei suoi occhietti neri e mosse appena un passo verso di lei, pronto a presentarsi. In quel momento Lugosi lo alzò di peso per portarselo via. Gongo memorizzò la strada. Tornò così più volte a trovare la causa dei suoi sospiri, ma si era sempre dovuto accontentare di osservarla affacciata alla finestra. Il padrone della cagnolina la teneva sotto chiave e lei non aveva il suo stesso coraggio di gettarsi nel vuoto. Aveva fatto però anche un’altra scoperta, tutt’altro che piacevole. 17


Dalla casa del subalterno di Lugosi era uscita una banda di gatti dal folto pelo ritto sulla schiena, il muso schiacciato e intenzioni tutt’altro che amichevoli. Fra i gatti se n’era fatto largo uno, una sorta di gorilla tutto nero, con un occhio di madreperla opaca e un altro di giada, cattivo come la luna durante i terremoti. Fu lui a costringerlo a una fuga che mai avrebbe dimenticato. Come tutti i cani che si rispettino, naturalmente non amava i gatti, sia per quel loro odore sgradevole e per il fare altezzoso e superiore che per le loro dimensioni, considerato che spesso lo superavano in peso e in altezza. Gongo era di taglia piccola, anche se aveva visto cani più piccoli di lui, portati dentro le borsette e agghindati come i loro padroni. Ma quel grosso gatto nero pareva sbucato dall’Inferno! Non aveva mai visto un gatto tanto grande. Avanzava sicuro camminando come un pistolero e poco ci mancava di sentir partire un pezzo di Ennio Morricone al suo arrivo (Lugosi era appassionato di western all’italiana, soprattutto di Sergio Leone, e Gongo li osservava con lui in panciolle divano). «Maaaooorrr…» aveva esordito il gatto e tutti gli altri avevano iniziato a soffiare. Gongo non era il benvenuto e sarebbe stato perseguitato da quelle masse di pelo ogni qualvolta che avesse tentato di raggiungere la sua amata. Quella notte aveva trovato la strada stranamente libera nel giungere sotto la finestra della sua “Giulietta”. Lei l’aveva sentito arrivare da lontano e lo attendeva sopra al davanzale. Quando la massa di pelo sbucò dall’ombra rimase sbigottito: dell’enorme gatto erano rimasti solo alcuni pezzi: le zampe, la testa e la coda. Il resto era una flaccida massa di grasso rivestita da un raso vellutino grigio scuro. Il gatto era stato tosato. Gongo iniziò a mugolare dall’ilarità. Sentì soffiare dai quattro angoli del cortile e capì che l’avevano accerchiato, tendendogli un agguato. Dall’ombra emersero cinque teste 18


pelose seguite da corpi talmente esili che scomparivano letteralmente dietro la testa. Gongo non aveva mai visto niente di più orrendo e buffo allo stesso tempo. Purtroppo non avevano tagliato le unghie a quegli alieni e il primo assalto gli bruciò parecchio. I gatti, resi insicuri dall’assenza del loro pelo, erano più aggressivi del solito. Gongo riuscì a schivare un attacco alla sua destra e, con insospettata agilità, ne scartò un’altro che arrivava da sinistra. Il grosso gatto nero gli piombò addosso di peso: anche tosato, la sua massa non era inesistente come quella degli altri gatti. Rotolarono entrambi nel vialetto di ghiaia, Gongo riuscì a liberarsi prima che il rivale lo artigliasse sulla schiena. Non gli rimaneva che darsela a gambe, ma qualcosa scattò in lui, una sorta di orgoglio canino che sconcertò i gatti. Decise che quella sera avrebbe combattuto con tutte le sue forze, a costo di cadere sul posto. Le belve tosate indietreggiarono. Perché combattere? si chiesero. In fondo quella parte di territorio non era neanche sotto la loro giurisdizione. A quella vista, la cagnolina prese coraggio e si lanciò nel vuoto. Non aveva l’esperienza di Gongo negli atterraggi, così rotolò con poca grazia e rimase immobile al suolo. Sia il cagnolino che i gatti si congelarono di fronte a quel gesto, che poteva avere un finale davvero tragico. Dopo un attimo di silenzio, in cui dovette riprendere fiato per l’impatto col terreno, la cagnolina emise un debole guaito. Gongo le si avvicinò preoccupato, ma gli occhi maliziosi di lei gli risposero che era tutto a posto. Corsero a giocare fra l’erba bagnata di rugiada, verso gli oliveti che salivano su per il colle. Quella notte non giocarono soltanto. I gatti li seguirono con lo sguardo, troppo pigri per muoversi. Quando Gongo tornò a casa, era quasi l’alba. Era esausto e un poco scosso. Aveva rischiato di essere investito dall’auto del subalterno del commissario, che rientrava a casa proprio quando lui stava partendo. Quel tipo non si era neppure accorto di lui ed era sceso dall’auto scuro in volto e con il cappuccio della felpa tirato sulla testa. Aveva uno 19


strano odore: forse era colpa dei sei gatti che teneva con sé. Gongo lo osservò rientrare seguito da quegli esseri tosati e miagolanti e poi partì correndo verso casa. Le strade alle prime luci dell’alba erano quasi deserte. Quando giunse alla palazzina dove abitava, fu costretto ad attendere che l’inquilina che odorava di medicina uscisse per recarsi al lavoro (era un’infermiera che faceva il turno del mattino all’ospedale) e si intrufolò nello stabile non appena lei aprì il portone. Arrivato di fronte alla porta della cuccia che Lugosi divideva con lui, iniziò a saltellare fino a spingere il campanello. Sapeva che quello era il trucco per farsi aprire la porta. Adesso Lugosi lo stava tastando, controllando i graffi nascosti dal suo pelo. Quel cane non gliela raccontava giusta: aveva uno sguardo soddisfatto che non gli aveva mai visto prima. Quando fu asciutto, si dedicò alle proprie cure personali, che consistevano principalmente in una buona rasatura quotidiana. Gongo non capiva quella pratica: perché mai togliersi i peli dal muso? Il commissario giunse in Questura con un po’ di anticipo, la faccia stanca di chi aveva dormito poco e male. Non appena riuscì a chiudersi nel suo ufficio si mise a rileggere il file che gli aveva spedito Dell’Ozio, uno degli ispettori al suo servizio. Era il rapporto sull’interrogatorio dei genitori della vittima. Quel giorno avrebbe riletto ogni rapporto nella vana speranza di vedere se si fosse lasciato sfuggire qualcosa. Il funerale si era appena svolto e avevano restituito la salma alla famiglia dopo aver cercato inutilmente una qualsiasi traccia. Fu proprio in quel momento che giunse la chiamata: era scomparso un altro bambino. Lugosi si mise le mani tra i capelli.

20


21


Schizzi

dei personaggi

M

entre immaginavo questa storia non ho potuto fare a meno di disegnare alcuni dei protagonisti. Perdonate il mio tratto, non sono un’illustratrice e questi sono solo schizzi dei personaggi. Mi auguro che questa piccola galleria vi faccia sorridere.

22


[...] Mi inginocchiai ad aiutare il povero micio a uscire da quella prematura sepoltura. Dovevano averlo sepolto vivo credendolo morto. Non appena il gatto fu fuori dalla terra capii che non era cosĂŹ. Quel gatto era morto proprio come me. Le condizioni di quel corpicino martoriato non ammettevano dubbi.

23


[...] «Esci dall’ombra.» «Prometti che non ti spaventerai?» «Dovrei?» «Forse.» «Perché?» «Sono morto da più tempo di te.» Fu con quelle parole che si fece vedere. Involontariamente gridai.

24


[...] Era una voce di vecchia quella che proveniva dalla figura che era avanzata verso di me. E capii che doveva essere Ada. Provate ad immaginare la donna più vecchia che avete visto e poi immaginatela dopo 150 anni da morta. «Ehm, la signora Ada?» «In ossa e quel che rimane della carne. Ti prego, bambina, torna dentro.»

25


[...] Le vertebre cervicali (che poi sarebbero quelle che formano il collo di uno scheletro) sbucavano da un colletto tutto fronzoli e pizzi. L’abito, per quel poco che potevo vedere, pareva di velluto e broccato (non dimenticate che sono figlia di una sarta), ma era ridotto un po’ male. Sul teschio svettava un parruccone di ricci e fiocchi, piuttosto polveroso.

26


[...] Quando mi passò vicina, forse proprio affinché potessi sentirla, si lamentò: «Fa così freddo, tanto freddo, lontano dal calore dei riflettori! Non si può capire il freddo che fa. Basta starne senza per un poco per capirlo. Ma lo capisce solo chi è come me...»

27


[...] Lo scopo del mostro nella pancia è uccidere le sue vittime. Ti fa sentire onnipotente se non mangi, ma in realtà è lui che ti convince di questo, per sopraffarti. Se lotti e lo sconfiggi quello non trova più posto nella pancia ed è costretto a uscirne.

28


[...] «Chissà se sarà tranquillo o pauroso...» sussurrò Biglia. «Come?» «Aveva tredici anni, quindi potrebbe essere pauroso.» «Perché è più facile che un tredicenne sia più pauroso?» gli domandai. «È per via dell’adolescenza? Della morte prematura?» «Ma no.» «Guarda laggiù» mi affrettai a dirgli indicando un gruppetto di tombe. Avevo visto i bambini paurosi. «Ci sono anche loro.»

29


[...] Dalla tomba provenivano delle risatine, dentro c’era più di un ragazzino. «Perché fanno così?» «Boh, forse si annoiano. Si divertono spesso a importunare la gente.» «Ma chi sono?» «Un gruppo di ragazzini morti negli ultimi anni. Alcuni si conoscevano fra loro e così hanno fatto gruppetto.»

30


[...] Quando spostò la lastra di marmo che copriva la tomba, il silenzio del cimitero la colpĂŹ. Come se nessuno si stesse risvegliando. Forse i morti si erano abituati a rimanere nelle loro bare? Per un attimo si chiese se con la fine di quell’incubo non fossero finiti anche tutti i risvegli.

31


[...] Lucilla ne approfittò subito. «Prima parlavate della decomposizione… che andate sulla gente in decomposizione. Verrete anche da me?» «Mangiare uno zombie?» Le mosche si guardarono e scoppiarono a ridere. «Ma dico, siamo matti? Ti sembriamo forse dei maniaci?» Lucilla era allibita e stupita. Fissava le mosche come in attesa di una spiegazione. Queste non si fecero attendere.

32


[...] La maschera era bianca e sembrava preziosa, aveva il naso lungo e adunco, come un enorme becco. Sotto di esso vi era incisa una doppia fila di denti a formare un ghigno. Gli occhi erano buchi in ombra, protetti da una lente. Inclinò leggermente la testa di lato e parlò con una voce stridula, in falsetto. «Ti sei svegliata, piccola Lucilla. Adesso ti farò vedere cosa sta per capitarti.» 33


[...] ÂŤViene dai cipressi, fuori dal cimitero. Altri gatti che si svegliano!Âť Anche i miei mici erano in ascolto. Presi il cestino del cucito e mi precipitai fuori dal cancello.

34


35


Nota

dell’Autrice e

Ringraziamenti

Q

uesta storia è nata dalla sofferenza provata nel vedere poveri mici investiti, morti sul ciglio della strada. Ho immaginato una bimba che passava raccogliendoli, per ricucirli e tenerli con se, donando loro una seconda vita notturna. Sono cresciuta a suon di film e libri horror. Oltre alle possessioni demoniache, ciò che mi ha sempre terrorizzato di più sono stati gli zombie. Per fortuna ancora più indietro nel tempo, al di là di queste storie, c’erano quelle di mia nonna, leggende e superstizioni dove i morti tornavano dalle loro tombe per motivi precisi e avevano in loro quella scintilla che viene chiamata anima, o pensiero. Dove i cimiteri erano scrigni di ricordi e non un orrore latente. Non so se vado controcorrente in questo fiume vorticoso che è l’editoria, ma in queste pagine gli zombie sono i protagonisti, buoni e coraggiosi. Il cattivo è fuori, oltre il cancello del cimitero, travestito di normalità e ipocrisia. Mi sono documentata molto per rendere un poco razionale questo bizzarro racconto. In aiuto, oltre al web e alla scoperta della letteratura “gialla”, mi sono giunte persone straordinarie, come Carlo Bui fondatore della UACV (che non ho avuto il coraggio di importunare malgrado la disponibilità ma, di grande aiuto mi sono stati i suoi scritti, soprattutto “Morte fra le rovine. I segreti dell’indagine criminale” edito dalla CSE), e Tiziano Geremia dell’Arma dei Carabinieri. Grazie a loro, il commissario Lugosi ha indossato abiti italiani ed è entrato con efficacia nella parte. 36


Devo ringraziare inoltre i tanti amici che mi hanno ispirata e sostenuta in quest’impresa: Lucia, Chiara e Walter, Manuela, l’Ozzo e Pina, il Cicia e Roberta, Fabiano, Massimo e Chiara, Alessandro e Katiuscia. Ma non solo, amiche e amici cari che non ho modo di frequentare nel quotidiano e sento sempre vicini, hanno ispirato alcuni dei personaggi, dandomi modo di sentirli presenti. Ringrazio i tanti amici che hanno avuto la pazienza di leggere questo romanzo, anche quando non era completo. Mia mamma, che mi sprona e mi sostiene e mio papà. Mia nonna che mi ha cresciuta a suon di leggende e moniti improbabili. Il mio editor Alfonso Zarbo che ha tolto il dialetto e i tanti errori di distrazione e non. E mi ha incoraggiata e consigliata. Gianluca Caputo per i suoi consigli e la sua paziente amicizia che, spero, sia eterna e scontata. Alessandro Scarpellini, maestro e amico. Angelo Cristaldi e Livio Sossi per i loro consigli. La mia famiglia pelosa di quattrozampe che impaziente ha saputo sopportare la mia distrazione dalle loro esigenze: Cagliostro, Paracelso, BabaYaga, Dedalo, Salomone e Morfina i miagolanti e Belzebù, cagnolona dalla dolcezza smisurata. Laura Giorgi che mi spalleggia come solo una vera amica può fare. Gianni che, come mia metà, mi aiuta in tutto, riempiendo quel vuoto emisferico che mi pareva d’avere e, tramutandomi alle volte, in una sorta di dea Kali. Ringrazio anche i miei “nemici” perchè pensando a loro mi impegno a migliorarmi, in modo da lasciarmeli il più lontano possibile. Se mi sono dimenticata di qualcuno scusatemi, sono irrimediabilmente distratta. Ah, un ringraziamento speciale anche a tutti gli amici che mi seguono e sostengono online (Facebook in primis), facendomi sentire, alle volte, in una sorta di grande famiglia. Se volete venirmi a trovare: www.cagliostrino.com 37


Questa storia è frutto della fantasia dell’autrice, fatti e nomi sono, più o meno, puramente casuali. I luoghi sono chiaramente quelli della città di Lucca ma rivisitati con la fantasia.

Altri libri che mi sono stati d’aiuto sono: “L’investigatore criminologo” di Biagio Fabrizio Carillo, Centro Scientifico Editore “Squadra Omicidi” di Luis N. Eliopulos, edizioni mediterranee “Scienze Forensi” Edizioni Usborne “Aspetti di psicologia investigativa” di G. Pascale e P. Striano, ExPerla Edizioni E una serie troppo lunga di gialli.

38


Finito di stampare nel mese di ottobre 2011



Serena Pieruccini - Sognatrice fin dalla più tenera età e specialista in fughe dal reale. Vive a Lucca dove ha tramutato la sua soffitta in uno “studio” letteralmente invaso da una miriade di creature. Crea pupazzi e personaggi con incredibile manualità, trovando il modo di contestualizzare la sua essenza in uno schema socialmente accettabile, così dice lei. Questo è il suo primo romanzo. I suoi lavori sono visionabili all’indirizzo internet:

www.cagliostrino.com

Il plastico, usato per la copertina, tutte le illustrazioni e le immagini utilizzate in questo volume, così come la sua impaginazione e l’ideazione grafica sono ad opera dell’autrice



Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.