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Gabiano e dintorni

Il mensile della nostra terra

& In copertina: Villadeati foto di Chiara Ferrando fra le vincitrici del concorso fotografico: Gliele faccio vedere io‌ Storia di Varengo dall’alba al tramonto della sua autonomia Ultima puntata sulla storia di Don Balzola da Villamiroglio Sostieni G&d Strategie contro la crisi Ristoranti provati: Nuova Osteria Vialarda a Pontestura/Casale Oro in cucina I vincitori del concorso fotografico

Gennaio 2012

Tamburello: presentazione attivitĂ sportiva 2012


Storia di Varengo dall’alba al tramonto della sua autonomia Don Luigi Calvo ci racconta storie, vicende, personaggi, che in mille anni hanno vissuto ed abitato le nostre contrade...

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Ci siamo letti l’ultima fatica letteraria di Don Luigi Calvo parroco in quel di Zoalengo di Gabiano e “veterano scrittore” di bellissimi libri sulla storia delle nostre contrade di cui in precedenti numeri di G&d abbiamo riportato ampi stralci. Il libro in oggetto narra la - Storia di Varengo dall’alba al tramonto della sua autonomia – . E’ redatto con il consueto rigore storico a cui Don Calvo ci ha abituati sin dal suoi libri sugli - Statuti del Comune di Gabiano – o Momenti di vita quotidiana nella Valcerrina dell’ottocento –. Ora, in 165 pagine riporta vicende e storie di personaggi famosi ed anche di tanti sconosciuti, attraverso… mille anni, facendo rivivere al lettore caratteri, atmosfere, mentalità, usanze, abitudini, modi di pensare e di vivere di un tempo. In cinque capitoli si passa dalle prime citazioni di Avaringo , toponimo che risale agli insediamenti germanici che in queste zone arrivarono nell’alto medioevo e chiamato Avarengo in un documento datato 28 luglio 1095, per arrivare al 30 giugno 1928 in cui il podestà di Gabiano avv. Carlo Seggiaro rende noto che Varengo è aggregato a Gabiano. In verità durante il medioevo Varengo faceva già parte del feudo di Gabiano soggetto all’abbazia di

Novalesa e successivamente al vescovado di Vercelli poi agli Aleramici, ai Paleologi agli Scarampi (del castello di Camino), agli Incisa, ai Montiglio e infine ai Gonzaga. Nel 1616 venne separato da Gabiano e passò alla famiglia Facipecora che nel 1657 lo cedette ai Natta. Causa la mancanza di eredi maschi dal 1660 passò alla famiglia Magnocavalli che attraverso 6 generazioni mantennero la proprietà sino al 1890 quando Giacinto, ultimo conte di Varengo, dissipò tutto il suo patrimonio e morì senza figli. Ma adesso prepariamoci attraverso queste righe a una “immersione” nel passato, invitando i nostri lettori che vogliono viaggiare più a lungo nel tempo che fu, a trovarsi una copia del libro, a sedersi su una comoda poltrona, magari davanti a un camino acceso, per vedersi sfilare attorno i fantasmi di contadini, marchesi, soldati, preti, banditi e milizie che nei secoli passati hanno affollato strade, vecchie case, chiese, castelli che, in qualche caso, quotidianamente oggi vediamo, percorriamo, frequentiamo. E magari chissà che qualcuno di loro non fosse un nostro lontano parente… Il castello di Varengo e lo Jus pri-

mae noctis .

In molti documenti si scrive del castello di Villamiroglio, di cui si hanno ben poche tracce, così riporta Baronino riferendosi a suoi presunti resti: “E’ un recinto di muraglie vecchie e del tutto abbandonate lontano dalle abitazioni di Moncestino e Villamiroglio” . La sua storia si intreccia con una pratica medievale molto contestata dai popoli di gran parte d’Europa, quella del “conaggio” termine sconosciuto ai più (ed anche ai vocabolari) ma assai nota con il nome di “ius primae noctis” . Se e quanto il “diritto alla prima notte” fosse effettivamente diffuso, e in quale misura i signori feudali ne facessero uso, è argomento molto discusso. Secondo la visione che si affermò nell'età moderna, il servo della gleba era legato alla proVarengo


prietà padronale, e per sposarsi aveva bisogno dell'autorizzazione da parte del signore. Per ottenerla era costretto talvolta a una sorta di tributo. La massima espressione di questo stato di subordinazione era di concedere la moglie al proprietario terriero per la prima notte di nozze, pratica, come è facile immaginare, molto invisa alla popolazione. Ecco cosa accadde al castello dei Miroglio: secondo i racconti riportati sul libro.

“Fu rovinato questo luogo per il sollevamento fatto dagli abitanti, i quali non potevano soffrire il conaggio". A che cosa alluda questa espressione lo spiega ampiamente un anonimo libello giacobino, pubblicato a Torino durante il periodo napoleonico. Esso poggiandosi su imprecisate memorie del "cittadino Bonard, raccolte dal cittadino Torelli da vari archivi", attribuisce al fantomatico castello un tragico epilogo, in linea con analoghe leggende medievali di altre località. "Un certo Miroglio — narra l'ignoto scrittore — signore di Moncestino, aveva sposato una figliola naturale della famiglia Visconti di Milano. Conducendo la sposa a casa, doveva passare sul territorio di Varengo. Prevedendo egli che il signore del luogo avrebbe preteso di usar del diritto, che da essi si praticava sulle spose dei loro sudditi, prima di oltre avanzarsi mandò a chiamare la licenza di passare libero. Promise con giuramento il signore di Varengo di non toccare la consorte, ma immantinenti, armati molti dei suoi servi, appena giunti gli sposi nelle vicinanze del villaggio, furono sorpresi e, tolta la sposa, fu menata in castello per subire la sorte di tutte le altre. Il Moncestino dissimulò la rabbia della gelosia: sorridendo alla sorpresa e lasciando la sposa alla discrezione dello spergiuro, lo invitò a condurgliela il giorno dopo e ad intervenire alle feste delle nozze in Moncestino, e quindi con la comitiva partì. Giunto il mattino, recossi il Varengo all'invito, accompagnando la vituperata Visconti al suo sposo. Si pranzò lautamente. Intanto trecento dei suoi contadini si erano portati la notte nelle vicinanze di Varengo e, appena uscito lo stupratore, sorpreso il castello, gli avevano da tutte le parti appiccato il fuoco. Da Traghetto Rocca delle Donne

Moncestino la brigata nuziale scoprì le fiamme e le onde di fumo, che da Varengo si sollevavano. Pareva che tutto il paese ardesse. Le stesse memorie annunziano che bastò questo esempio per aprire gli occhi a tutto il Monferrato. Molti signori furono trucidati ed arsi i loro castelli. La vendetta si portò quindi nelle varie parti del Piemonte". Facciamo ora un salto nel tempo:

Nascita del Comune Poi nel 1456 Varengo si era costituito in Comune autonomo, con propri consoli e consiglieri: Giovanni Bollo, Giacomo Bollo, Bernardo della Sorba, Marcelle de' Cassini, Marcelle de' Cloendi, Giovanni Mezzano, Giacomo de' Zino, Michele de' Carelli. Le sedute del Consiglio avevano luogo nella piccola chiesa di S. Maria sulla collina della Sorba. In quella circostanza ottenne dal feudatario di Gabiano propri Statuti, che ricalcavano pedissequamente i capitoli di quelli del Comune di Gabiano. Il primo di questi prevedeva il mantenimento e il rispetto, da parte del nobiluomo, delle franchigie e delle immunità finora godute. Seguivano alcune concessioni particolari, tra le quali la licenza ai reggenti di Varengo di costruire l'abitato in un luogo sopra l'altura chiamata Sorba, il quale fosse nominato Villanova di Varengo. Venivano pure autorizzati gli abitanti a vendere o donare per testamento a loro piacere, i congiunti a ereditare secondo il diritto comune, l'amministrazione comunale a imporre dazi e taglie, i proprietari se incriminati ad essere imprigionati e giudicati a Varengo. Ne derivava

che anche i cittadini di Varengo, alla pari con quelli di Gabiano, si sentivano in diritto — fugace illusione! - di essere esentati dai pedaggi non solo di terra, quelli destinati al fisco del feudo di Mombello, ma anche di acqua, quelli cioè dovuti al fisco del castello di Gabiano per il passaggio sul fiume Po, come si chiarirà più avanti. E ugualmente confermarono i feudatari Paleologi successori, a cui il feudo di GabianoVarengo era direttamente soggetto, mediante i decreti emanati in occasione dei diversi giuramenti di fedeltà dei sudditi. Nel 1531 i Paleologi cedettero però la signoria di Gabiano a Carlo Montiglio, che poco tempo dopo poté fregiarsi del nuovo titolo di conte di Gabiano-Varengo. Anche lui riconobbe al Comune di Varengo le esenzioni previste dalla carta degli Statuti, ma impose alla nostra comunità un oneroso fodro, consistente in un appannaggio annuo di lire 164 imperiali per sé, in aggiunta alle 14 monete d'oro dovute alla Camera. Inoltre la comunità varenghese doveva concorrere alla manutenzione per il porto (traghetto) sul Po con rubbi (misura di peso di circa 8 kg) 4 annui di canapa in cambio dell'esenzione dal pedaggio. Anche allora le tasse angustivano il popolo.

I pedaggi e le esenzioni In quel periodo l'imposizione fiscale gravava enormemente sui varenghesi. Dovevano una tassa alla Camera Ducale di Casale, un appannaggio al feudatario, un tributo per le caserme, un'imposta diretta sul registro generale delle proprietà, una indiretta al

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momento della "consegna", cioè della denuncia del bestiame e dei prodotti agricoli, oltre alle varie contribuzioni in natura per gli eserciti. Imposte straordinarie erano sia la taglia, una tassa gravante sui "fumanti" o focolari, cioè i nuclei famigliari, che veniva fissata per far fronte ad urgenti necessità, come la ricostruzione dei ponti a primavera, sia la "taglia d'ingualanza", per compensare le spese che alcuni Particolari avevano sostenuto per alloggiare e sfamare le soldatesche di passaggio. Volendo indagare l'origine del fenomeno, è necessario però spingerci indietro fino ai primordi del Comune, cioè al 1456, suo anno di nascita. Prima di quella data, come si è detto, Gabiano e Varengo appartenevano al medesimo feudo e al medesimo Comune ed erano entrambi soggetti degli stessi diritti e doveri. Infatti, un decreto ducale del 1385 imponeva agli abitanti di tutte le comunità ubicate tra il Po e lo Stura, cioè da Pontestura fino a Robella e Brusasco, quando uscissero dai loro confini, un pedaggio a favore del feudatario di Mombello. Da questo tributo erano esenti solo pochi Comuni, tra i quali quello di Gabiano. Come si è già più sopra accennato, quando Varengo raggiunse la sua autonomia dal Comune di Gabiano (ma non dal feudatario di Gabiano, il marchese Giovanni Paleologo), la sua popolazione credette di poter conservare quei privilegi da sempre goduti come sudditi di Gabiano, tra l'altro confermati nella carta dei nuovi Statuti dal fratello, il marchese Bonifacio, e ribaditi dai suoi successori. Concretamente, i cittadini di Varengo si sentivano nel pieno diritto di seguitare a considerarsi esentati dai pedaggi non solo di terra, dovuti al feudatario di Mombello, ma anche da quelli di acqua, richiesti dal feudatario di Gabiano a chi varcava il fiume Po per recarsi nella pianura padana. Attraverso ai discendenti della famiglia Montiglio il feudo di Gabiano-Varengo arrivò al conte Bonifacio, quindi al figlio Antonio. Era il 9 agosto del 1588 e tutti i capifamiglia di Varengo con i consoli e i consiglieri si radunarono nella chiesa di S. Maria della

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Sorba per giurargli fedeltà, dopo che era suonata la campana e il messo era passato di porta in porta ad annunciare l'evento. I consoli si chiamavano Bernardino Bollo e Uglino Mezzano; i consiglieri erano Bernardino Cane, Liberto Mezzano, Bernardino Zino, Bernardo Cassini, Pasquino Obarcano, Domenico Ulla, Antonio Bollo, Giovanni Guglielmo Gilardi, Zanino Dex e Bernardino Borgatello; quindi venivano i capifamiglia Francesco Mezzano, Pasquino, Bernardino e Francesco Mezzano, Marco Antonio Bollo, Giovanni Pietro Obarcano, Cipriano Gilardi, Francesco Zino, Giacomo, Stefano Quilico e Domenico Cane, Sebastiano e Bernardo Ulla, Antonio e Lorenzo Biagi, Domenico e Francesco Cassini, Lorenzo Bollo, Rolando di Montechiaro, Vercello Bollo, Lorenzo Cane, Giovanni Maria Cane, Antonio e Giacomino Ghemo, Filippo Bollo, Lorenzo Cane, Antonio Bollo, Enrico Gilardo, Lorenzo Zino, Facino Angelo, Antonio, Domenico e Sebastiano, tutti di Borgatello. In quel tempo il Comune di Varengo fu indotto ad accettare una ennesima transazione, secondo la quale i suoi abitanti erano esonerati dal pedaggio sul fiume quando esportavano beni da loro prodotti, ma non quando esportavano beni acquistati. Come si è anticipato, nel 1613 i Gonzaga, succeduti ai Paleologi nella signoria del Monferrato, si ripresero il feudo di GabianoVarengo e tre anni dopo il duca Ferdinando smembrò questa contea, concedendo il territorio di Varengo a Scipione Facipecora Pavese, con cui aveva contratto numerosi debiti. Da questo momento Varengo vivrà dissociato … (…)

Banditi In aggiunta alla ricomparsa del grave pericolo dell'afta, per cui il Consiglio comunale deplorava nel 1745 che "nonostante le usate av -vertenze di non introdurre bestiame dalle provincia già sta (state) infette, alcuni osano di prendere la strada di Torino, per luoghi infetti, passando con bovi, barozze e ciò in grave pregiudizio di questo luogo"; una nuova emergenza preoccupava il MonferFoto d’epoca di banditi

rato: la presenza di armati sbandati sulle sue strade. Un'ordinanza provinciale imponeva ai Comuni di nominare dieci uomini "per ogni giorno dei più capaci alle armi, quali giorno e notte battino le strade di questo territorio per andare a squadriglie all'incontro di questi malviventi e procurare il loro arresto con la maggior violenza possibile, con le campane a martello, al fine di sollevare tutto il territorio per procurarne l'arresto, ad effetto d'impedire le grasazioni (rapine) che da ladri, malviventi, stradaioli vengano comunque in pregiudizio dei viandanti et infestazioni alle famiglie". Ma questo provvedimento non bastò, se nel 1750 un regio editto imponeva ai Comuni di "prendere nota di persone nullatenenti, di poco registro, abili al travaglio e non soliti ad impiegarsi e che siino frequenti a giochi ed osterie". Il qual problema non risultava al presente a Varengo. Nello stesso tempo veniva ridotto il numero dei consiglieri, da dieci a otto, "attesa la scarsezza degli uomini sufficienti per servire in questo Consiglio". Oltre a ciò, in quell'anno il Consiglio, ottemperando agli ordini del Governo, imponeva una tassa straordinaria sui commestibili tipici del posto, che in ordine decrescente di qualità erano "primo pane di fiore di pasta dura ben cotto e di buona qualità; vino negro dolce e buono per pinta; vino negro gagliardo; vino ordinario; carne di vitello da latte; carne di vitello da fassone; carne


di manzo grasso; altra carne di manzo più inferiore; carnetta; montone; agnello; carne d'animale porchino senz'ossa; carne con ossa e costine; carne simile con lardo; carne di testa di porchino; frittura". (…) La carestia Anche quella fu una brutta annata. Incominciò con un editto del monarca piemontese, per cui "ogni capo di casa, eccettuati coloro che vivono della giornaliera mercede delle loro fatiche, erano tenuti al pagamento d'un pronto straordinario sussidio, proporzionato alla rispettiva facoltà". Con questa imposizione a Varengo si raccolsero 335 lire, che confluirono nelle casse del fisco statale, esauste dalle continue spese per l'esercito. Poi s'aggiunse l'ennesima carestia, che fece sentire i suoi morsi durante l'anno seguente: "Il raccolto del grano — pronosticava il Consiglio nel giugno 1795 — sebbene possi essere maggiore di quello dello scorso anno, non è assolutamente abbondante, ma soltanto mediocre. Il raccolto delle fave non eccederà la quantità seminata e così degli altri simili generi. Il raccolto della meliga ha migliore apparenza degli altri marsaschi". L'onda lunga della carestia raggiunse il 1798, quando in primavera i Particolari furono forzati a consegnare all'ammasso la metà delle granaglie eccedenti il bisogno della propria consumazione per essere distribuite ai poveri e, ciò nonostante, non bastarono, perché la lista delle famiglie indigenti ne annoverava 43. "Il magazzino resta esausto — lamentava il Consiglio il 3 giugno — e i bisognosi non sanno ove rivolgersi per la provista del loro principale alimento". Saltando il periodo delle guerre Napoleoniche passiamo a:

La società del dopoguerra Vivendo in tranquillità, la popolazione si stava espandendo e le bocche si moltiplicavano. Si dovette applicare una serratura alla porta che dal campanile dava sul tetto della chiesa, onde impedire alle persone di salirvi per fare incetta di uccelli. Fu giocoforza aggiungere panche in chiesa e banchi nell'aula scolastica. Nonostante il ritorno al go-

verno autoritario della Restaurazione, tuttavia anche su questo paese di 570 abitanti gravavano i postumi delle guerre napoleoniche con i loro strascichi di violenza. Negli anni '20 uscirono dalle carceri alcuni varenghesi condannati durante il periodo rivoluzionario: Carlo Bollo detenuto per 20 anni, Giacomo Bollo rimesso in libertà dopo 10 anni di pena. Altri morirono in galera, come Francesco Ulla in Sardegna. Il periodo della Restaurazione non fu da meno in fatto di delitti comuni. Nel 1832 in seguito ad un alterco Francesco Zanotto fu ferito con due sciabolate da un carabiniere. Altri ancora si macchiarono di reati famigliari: nel 1838 Giovanni Cassini finì in carcere per essersi appropriato di denaro di spettanza della famiglia e l'anno seguente Giuseppe Cassini lo seguì in seguito ad atti di libidine nei riguardi di una giovane della famiglia Ulla. Una categoria a parte di malviventi era composta da persone che per sopravvivere si davano al vagabondaggio e in questa maniera incorrevano nelle ire della giustizia: le denunce chiamavano in causa Evasio Mezzano, il merciaio ambulante Pietro Borgatello e Domenico Biglia. Non mancavano le più innocue bravate dei giovinastri: "Da qualche tempo persone ancora sconosciute a notte avanzata si fanno lecito di praticare degli insulti a Giuseppe Biglia, uomo semplice ed incapace a far male ad alcuno, scagliando contro la porta della di lui casa grossi sassi e sparando armi da fuoco per incutergli timore". Ma neppure tra di loro giovani correva buon sangue: "Alcuni si sono a me presentati — denuncia il sindaco al comando di polizia di Casale — per impetrare un permesso di ballo pubblico nel primo giorno del prossimo agosto, festa del patrono di questo Comune. Non sussistendo fra i giovani delle diverse borgate una buona concordia, anzi esistendo tra di essi del malumore, ho giusto motivo di temere che in occasione del ballo nascano sconcerti". Questa rivalità affondava le sue radici nell'antagonismo insito tra le stesse frazioni di Varengo. A riprova di ciò sta il fatto che,

quando nel rinnovo delle cariche pubbliche del 1852 la nomina dei consiglieri cadde casualmente sui candidati abitanti di un unico rione, la Sorba, in sala si scatenò una bagarre che indusse il sindaco a sospendere la votazione. Si giunse a metà del secolo, tempo in cui andava spadroneggiando una banda di ladri che saccheggiava i frutti dei campi e asportava oggetti preziosi dalle abitazioni. Già nel 1844 l'ufficio della polizia di Casale aveva invitato i sindaci a segnalare ai giudici tutti coloro che erano notoriamente conosciuti per predatori di campagna o di legna nei boschi. (…) Mieteva le sue vittime anche il monofagismo, cioè una insufficienza nell’alimentazione, limitata alla polenta, che spesso conduceva al delirio: gesti inconsulti, come affogamento nei pozzi, si verificarono anche nel 1808 e nel 1836. Era insomma ormai da archiviare la ottimistica relazione che lo stesso sindaco Borgatello nel 1839 aveva inviato all’ufficio di polizia di Casale: “Il vino è uno dei principali prodotti di questo territorio, di cui se ne fa smercio nella provincia di Vercelli. Gli abitanti sono di indole pacifica, addetti alla agricoltura e ben pochi al commercio di bestiami. Essi non si vedono, né si riuniscono se non nei giorni festivi. Pressochè tutti possidenti non hanno bisognbi perché usi nei fatti ad una vita parca dalla nascita”.

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Gabiano: presentazione attività sportiva 2012 di Riccardo Bonando Sabato 10 dicembre 2011, presso la palestra delle scuole elementari di Gabiano, la locale società di tamburello ha presentato l’attività sportiva 2012. A fare gli onori di casa, Mario Richetta, in compagnia del Presidente Onorario Renzo Odisio e del Sindaco di Gabiano Mario Tribocco. Oltre alla presentazione delle squadre che parteciperanno ai vari campionati, la società S.T. Pro Loco Gabiano, ha proiettato un curioso documentario sulla storia tamburellistica del paese monferrino. Fotografie d’epoca, ma anche brevi filmati, hanno ripercorso più di settant’anni di passione per questo sport. Dalle prime sfide sulle piazze, alla costruzione di un vero e proprio sferisterio nel 1965 sotto la direzione di Dante Martinelli (Direttore Generale delle Aziende Agricole del Castello di Gabiano) e del Dr Aldo Grillo. Poi, una carrellata sui protagonisti succedutisi negli anni. Giocatori o semplici appassionati; dagli idoli locali ,ai primi “veneti” scesi fra queste colline per difendere i colori della società gabianese. Centinaia di incontri-sfide fino ad oggi. Dalla vittoria al primo Torneo del Monferrato, alla serie A dei primi anni ’70 abbandonata per l’aumentare spropositato degli ingaggi e ancora il torneo delle Colline a cavallo fra gli anni ’80 e 90’ con prestigiose vittorie, mancate qualificazioni e sonore sconfitte. Infine, il punto più alto della storia recente di questa disciplina, con la vittoria del Campionato Italiano di serie D del 2000 e il mancato bis nella finale persa nel mese di ottobre dell’anno appena passato. Al termine dell’ap-

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prezzata proiezione, un ricco rinfresco offerto dalla Pro Loco di Gabiano ha allietato tutti i presenti. Ora di seguito le formazioni senior che parteciperanno all’attività federale 2012: Gabiano 1 – Serie C. Stefano Musso, Giacomo Raschio, Alessandro Gamarino, Campanella Fabrizio, Ongaro Renzo, d.t. Surian Antonio. Squadra ben attrezzata per affrontare il campionato di categoria. A fondocampo il mix esperienza (Musso) – qualità (Raschio) può dare ottimi frutti a livello di gioco. Al centro Alessandro Gamarino dovrà dimostrare maggior solidità mentale negli incontri decisivi, quelli che fanno la differenza; le doti tecniche di certo non gli mancano. Sulla linea di mezzeria, il confermato Campanella ed il ritorno di Ongaro. Nel complesso ottimo organico per future vittorie. Chi vivrà, vedrà. Gabiano 2 – Serie C. Alessandro Bossetto, Guglielmo Ulla, Alberto Gamarino, Rodella Sandro, Anselmo Massimo, Zanotti Luca, Bruno Marco, d.t. Cavallo Pier Carlo. Squadra giovane, capace di dare spettacolo sia dentro che fuori dal campo. Bossetto, con i suoi 23 anni, sarà il veterano del terzetto arretrato, dovrà cercare di dosare l’irruenza del compagno di reparto Ulla, dotato di ottimo talento ma ancora in cerca di continuità. Al centro Alberto Gamarino (fratello minore di Alessandro) ha già dimostrato nelle finali di serie D di aver ottime doti da mezzovolo, a volte però la sola forza fisica per la risoluzione dei problemi non è la strada giusta, servirebbe ogni tanto un po’ più di fantasia nel gioco. Quattro giocatori per due posti da terzino. Rodella, dopo la stagione in crescendo cercherà di ripetersi, così come Massimo Anselmo. Per entrambi maggior concentrazione sulle palle “facili”. Zanotti e Bruno cercheranno di mettere in difficoltà mister Cavallo per guadagnarsi un posto da titolare. Se la squadra troverà il giusto equilibrio in ogni reparto, potrà essere la vera rivelazione del campionato. Circolano già

insistenti voci e sfottò sul sentitissimo ed infuocato derby che vedrà di fronte le due formazioni. Le scommesse sono aperte. Gabiano 1 – Serie D. Riva Fabrizio, Cornaglia Daniele, Mazzola Raffaele, Redi Paolo, Siciliano Luca, d.t. Gamarino Alessandro. Squadra giovane ma da non sottovalutare. Riva a fondocampo dovrà innanzitutto trovare il giusto senso della posizione, potendo contare sull’apporto di Cornaglia, suo compagno di reparto proveniente dal muro, con buone individualità. Al centro Mazzola dispone di un’ ottima tecnica con un invidiabile recupero di mancino, a volte la ricerca della giocata spettacolare lo porta a steccare, meno fronzoli e più concretezza. Davanti Redi e Siciliano cercheranno ancora di migliorarsi dopo le buone prestazioni della stagione scorsa. Buon organico, con qualche pensiero ai posti alti della classifica. Gabiano 2 – Serie D. Bonando Gianantonio, Ferrero Carlo Eugenio, Monferrino Federico, Mezzano Samuele, Bertin Alex, Bertana Alessandro, Ganora Francesco, d.t Alessandro Bossetto, accompagnatore Monferrino Giorgio. Squadra non giovane, giovanissima. Bonando Gianantonio dovrà cercare, con allenamenti mirati e continui, di migliorare il livello di gioco della squadra, affinando in ognuno i colpi migliori. Nessuna aspirazione di vittoria, ma una continua crescita sportiva. Ai tifosi gabianesi si richiede una continua presenza negli incontri casalinghi per incitare i giovani apprendisti. L’entusiasmo non manca.

I due fratelli Gamarino (Alessandro e Alberto) che quest'anno saranno avversari nel campionato di serie C.


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Un contributo che crediamo possa essere di buon auspicio per un 2012 ricco di iniziative a sostegno della nostra terra 7


Comune di Gabiano nuovi assunti

Leggiamo sull’albo pretorio del Comune di Gabiano che Riccardo Bonando di Villamiroglio, nipote del vicesindaco di Gabiano sig. Salmaso Luigino ha vinto il concorso a tempo determinato, part-time, cat. C1 presso il Comune. Ci congratuliamo con il vincitore, che collabora anche con G&d e ci auguriamo che quanto prima l’amministrazione possa trovare analoga sistemazione anche per l’altra partecipante al concorso, la compaesana Daniela Brusasca di Cantavenna che in passato ha già lavorato nel Municipio acquisendo una certa pratica nel lavoro in Comune.

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Strategie contro la crisi: dalle città una opportunità per le campagne di Stanislao Manzini da Castettetto Merli

In tempi in cui la crisi finanziaria e la recessione economica globale dominano la scena, così come l’agenda dei governi, la situazione delle aree rurali richiede nuove strategie idonee ad affrontare le sfide e a cogliere le opportunità. La recessione - che non ha avuto un impatto diretto sulle regioni rurali, perché queste non sono direttamente implicate in attività speculative finanziarie - può rappresentare un'opportunità per la campagna, soprattutto se si pensa ad aspetti quali l’energia rinnovabile, il turismo rurale, i prodotti locali, la sicurezza agroalimentare, l’equilibrio tra economia ed ambiente, l’innovazione, le infrastrutture e l’educazione. In particolare, il turismo deve essere basato sulle risorse naturali, su valori e tradizioni culturali e su attività nuove (es. passeggiate culturali, percorsi del vino) che possono rappresentare un’opportunità, in termini di reddito e di occupazione; i prodotti locali, quindi le filiere corte, consentono di migliorare sensibilmente le capacità economiche degli agricoltori, mettendoli in contatto diretto con consumatori, con i mercati rionali e con ristoratori urbani. Una opportunità per i nostri produttori è data dai G.A.S. : Gruppi di Acquisto Solidali delle città. Il popolo dei G.A.S.: famiglie e single che insieme ordinano grossi quantitativi di prodotti alimentari, per la pulizia della casa e per l’igiene della persona. Il fenomeno è in espansione, molto diffuso in Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte. Alla base c’è una filosofia di consumo critico, con l’obiettivo di mangiare sano, privilegiando prodotti biologici, ecologici e locali, nel ri-

spetto delle condizioni di lavoro di chi li produce, ma anche di risparmiare spuntando prezzi possibili solo con acquisti all’ingrosso. Il meccanismo di funzionamento del Gas è semplice, ma richiede una certa dose di organizzazione e buona volontà. Un incaricato raccoglie le liste della spesa dei compagni di gruppo, ordina la merce al produttore e concorda la consegna. Per l’acquisto è sufficiente che un membro del gruppo abbia partita Iva (o codice fiscale), quindi si divide la spesa fra tutti. La merce viene consegnata dai produttori con camion, furgoncini o corrieri in un luogo concordato, che può essere il magazzino di proprietà o altro spazio messo a disposizione da chiese o associazioni: sarà poi ripartita tra famiglie in sacchetti, in un secondo momento. Anche le denominazioni (es. Doc, Igp) che consentono di identificare l’origine dei prodotti, legandoli al territorio, possono far parte della strategia di migliorare il reddito. Ed allora forza, rivalutiamo la nostra produzione (salame, mela, agnolotto, biscotto, etc.) secondo i dettami delle leggi comunali sul prodotto dop per dare un valore aggiunto al nostro prodotto locale. Questi ultimi, sono sempre più parte di una strategia turistica volta ad identificare dei percorsi da un produttore ad un altro produttore. Il supporto dello sviluppo rurale richiede l'accesso a internet veloce, la mobilitazione delle persone, permettendo l'emergere di innovazioni e di nuove opportunità economiche private locali o collettive. La Rete ci permette di entrare nell'economia partecipativa, questo è il nome della nuova rivoluzione sociale sviluppata dai giovani, nati a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Questi sono stati le prime vittime di un'economia disfunzionale che ha scisso geograficamente e socialmente le funzioni di produzione (generalmente in Asia) e di consumo (in Europa), lasciandoli senza la sicurezza di un lavoro stabile e destinati a convivere con il pre-

cariato e la sottoccupazione. L'economia partecipativa ha come parole chiave: condivisione, partecipazione e niente sprechi. Principi che prendono forma grazie ad Internet dove lo scambio e la collaborazione rimpiazzano il consumismo ed individualismo degli ultimi vent'anni. Possiamo trovare risposte a moltissimi quesiti: ti piace viaggiare ma non hai denaro ? Vai su www.passaggio.it o www.autostradecarpooling.it e risolvi. Non ti piace più il vino che bevi ? Scambia la tua bottiglia con un'altra su www.barattowineday.it. I bambini crescono, tutine e scarpe devono essere cambiate ogni 3 mesi, prepara una scatola, vai su www.thredup.com e scambia con altri genitori. Tuo figlio abbisogna di ripetizioni di matematica, non puoi permettertelo ma sai bene giocare a scacchi, vai su www.zerorelativo.it e puoi barattare le tue consulenze o prestazioni con quelle di altri. I capofamiglia sanno che le spese arrivano sempre tutte insieme ed i soldi non piovono dal cielo e non sempre chiedere un prestito in banca è possibile o conveniente. Anche in questo caso la Rete ci aiuta : su www.prestiamoci.it troveremo persone che credono più nell'umana fiducia che nella burocrazia e potremmo ottenere un prestito ad un tasso più basso del mercato. La condivisione di beni è un concetto rivoluzionario tanto quanto lo è stato due secoli fa la nascita del sindacato; così la collaborazione fra consumatori, come una volta la solidarietà operaia, diventerà l'ombrello che ci proteggerà dalle intemperie economiche.

Errata Corrige La foto pubblicata nel numero di dicembre di G&d nell’articolo: A spasso con il Santo, non è il castello dei Merli come indicato, ma bensì la Casa Tetina dell'Aglio, che si trova a Casalino, ora frazione di Mombello, ma fino agli anni '20, frazione di Castelletto Merli. E’ incorso nello stesso errore il sito web dei castelli del Monferrato.

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Don Giovanni Balzola da Villamiroglio il contadino Missionario si racconta Ultima puntata del contadino missionario salesiano che partì per il Brasile

IL CENSIMENTO DELLE TRIBU’ Il riposo per la campagna è l’inverno. Terminata la vendemmia, spogliata la vigna, la campagna si ferma. E questo senso di inerzia, di pausa forzata, lo si vede sulle colline, giù nella valle. I colori sbiadiscono, appassiscono e gli alberi si scoprono nudi, la terra si indurisce ed aspetta la neve che coprirà ogni cosa. Se la campagna riposa, si rigenera, non è la stessa cosa per un missionario. Tornato dal viaggio, dopo aver sbrigato alcune mansioni a Cuyabà ripartii per le colonie.

Nel settembre del 1910 ebbi l’incarico d’andare attraverso le terre dei Bororo per farne il censimento, cosa non solo difficile, ma anche pericolosa. Accompagnato da un chierico e da due indi, con una provvista di scuri, coltelli, falcetti, coperte, abiti, ami da pesca, il 15 settembre 1910, dato l’addio ai confratelli e amici, con un sole ardentissimo ci mettemmo in rotta.

La comitiva riprese poi il viaggio, ma le difficoltà, gli imprevisti di certo non mancarono.

una mattina fummo cacciati di buon ora dalle nostre tende e costretti a fuggire al più presto possibile da un reggimento formidabile di formiche, che vennero ad assalirci su tutta la linea! Ci dirigemmo verso il Rio San Lorenzo. Questo fiume che ha un volume d’acqua considerevole e scorre abbastanza impetuosamente, aveva già inghiottito molte vittime ed era molto pericoloso. Fortunatamente trovammo una piccola barca che ci rese un grande servizio e ci permise di attraversare il fiume con tutto il bagaglio. I nostri animali lo tragittarono nuotando e per poco due d’essi non trovarono la morte. Trasportati dalla corrente, non si sarebbero salvati, se un albero caduto nel fiume e Don Giovanni Balzola 10

giacente attraverso esso come una sbarra, non avesse loro permesso di aggrapparvisi, mentre noi ci affrettavamo a soccorrerli. Insetti senza numero vennero a perseguitarci tutto il giorno. Penetravano fino negli occhi e nelle orecchie, e ci producevano dolorose punture. Le zecche, s’aggrappavano talmente alla pelle che bisognava strapparle con forza. La prudenza ci suggeriva di sospendere il viaggio, perché avevamo già attraversato due punti ove era passato il fuoco e vedevansi vecchi tronchi d’albero ancora fumanti; altri carbonizzati e altri ridotti in cenere. Senza troppo riflettervi, procedemmo innanzi, ma dopo un quarto d’ora l’atmosfera si fece più pesante, un denso fumo oscurò l’orizzonte, e in meno di cinque minuti un formidabile crepitio simile ad una scarica di artiglieria ci avvisò che il fuoco dilagava presso di noi. Era bambù che sotto l’azione del caldo e la pressione dell’aria scoppiavano in tutti i sensi. Che fare? Battere in ritirata. Ma sventuratamente ci aveva bloccati e chiusa la via. […] senza speranza di poter indietreggiare, non ci rimaneva che una risorsa: tentare di aprirci un varco attraverso la linea di fuoco che veniva contro di noi. Il fuoco avanzava sempre, l’aria era soffocante, il caldo insopportabile faceva uscire dai nostri corpi torrenti di sudore, e il termometro che già segnava 42 gradi continuava a salire. Con uno slancio da disperati, tentammo il passaggio e fummo abbastanza fortunati. Non appena salvi, il primo pensiero fu di sprigionare dal cuore un Agimus tibi gratias! La mattina seguente fui costretto a celebrare con capo bendato da un


blema non indifferente. Si mangiava quello che si trovava, a volte si stava a digiuno. Poi il ritorno verso Manos, nuove trattative per pianificare al meglio la missione, ma senza fermarsi. Solo pochi giorni di sosta. Poi Belen, capitale dello Stato del Parà, San Luigi, Capitale dello Stato di Maragnon, verso Rio de Janerio.

Don Balzola durante la missione nel Rio Negro

fazzoletto per una ferita abbastanza grave all’occhio sinistro provocata da una spina, nella corsa forzata per scampare all’incendio. Ripartiti poi per il cammino, incontrammo una palude di acqua nerastra nient’affatto pulita. Non badando alle regole d’igiene ne bevemmo a sazietà. Dopo ben 70 giorni, il 25 novembre 1910 giungemmo a Cuyabà. Ringraziammo Maria Ausiliatrice per la protezione, in mezzo alle foreste, esposti a tutte le intemperie, dormendo sulla nuda terra, a cielo scoperto e cibandoci alla meglio. Malgrado tante privazioni, noi eravamo, contenti d’aver sofferto qualche cosa per amor di Gesù Cristo. Percorremmo più di 265 leghe brasiliane, pari a 1749 km, visitammo 12 villaggi indigeni di 115 capanne, facemmo i censimenti di 363 uomini, 377 donne e 281 fanciulli per un totale di 1074 abitanti. Infine, avemmo l’occasione di spargere la semenza evangelica ovunque si faceva una tappa e, senza tema d’errare, credo di poter asserire che cadde in buon terreno, e che recherà a tempo opportuno buoni frutti. UNA NUOVA AVVENTURA Dopo il ritorno da quella faticosissima missione, continuai per altri quattro anni continuai a far la spola fra la Colonia Sacro Cuore e la Colonia San Giuseppe. Chilometri e fatica senza sosta, con alcune escursioni soprattutto sul Rio das Mortes. Alla fine del 1914 una grande notizia cambiò i miei progetti. La Santa Sede affidava alla congregazione

Salesiana, la Prefettura Apostolica del Rio Negro, a nord – ovest del Brasile confinante con la Colombia. C’era da prender possesso di quei nuovi territori ancora poco conosciuti, c’era da ricominciare tutto da capo.

Si era stabilito che io partissi il 7 gennaio 1915, ma c’era una grande difficoltà. Mancavano i mezzi pel viaggio. Mons. Malan a stento potè mettere insieme una piccola somma bastante appena per una parte delle spese di andata. Mi trovavo pure scarsissimo di vestiario. Ebbi da Mons. Malan la sua veste da prete, da Mons. D’Acquino due paia di scarpe, dal prefetto il pastrano e dal direttore un po’ di biancheria. Bisognava ricominciare tutto da capo e come sempre non mancavano le tensioni, le vendette a cui cercavo sempre di porre rimedio.

In una famiglia l’ultimo fratello , giovane di trent’anni, fu ammazzato da due indi che con un colpo di rivoltella alla testa lo fecero cadere a terra. Una sua nipote, che era poco distante, sentendo il colpo, corse a vedere, e vide gli indi che con le scuri in mano, facevano a pezzi lo zio. Spaventata a quella vista, urlò contro gli indigeni e cercò di fuggire. I due assassini però le spararono alla schiena, la raggiunsero, le tagliarono le gambe e le braccia e la gettarono nel fiume. Ecco la gente con cui avrei dovuto trattare! Il viaggio continuava senza sosta. Chilometri e chilometri, prima l’acqua poi la terra ferma, la foresta. Incontri, discussioni, e la fame. Come sempre la fame era un pro-

Alle due tornammo al porto ove ci attendeva una barca […] ma un oscuro temporale stava per scatenarsi, soffiava un vento terribile, e la nostra barchetta, allontanatasi non più di cinquanta metri dal porto, incominciava a pendolare. L’acqua comincio ad entrare e la barca si capovolse ed io caddi sott’acqua. Con la bocca piena d’acqua, riuscii a buttar fuori la testa, dibattendomi un tutti i modi e finalmente mi aggrappai alla gamba del mio compagno Gesuita. Un’altra barca ci mise in salvo. […] Ci felicitammo a vicenda della morte scampata, perché l’esser divorati dai pesci cani, che colà abbondano, sarebbe stato un momento.

Il 5 agosto 1915, la comitiva giunse a Rio de Janeiro dopo ben sette mesi di viaggio. LE MANI DI UN MISSIONARIO Dopo un breve periodo di riposo con una lettera datata 21 marzo 1916, venni nominato Superiore della Missione della Prefettura Apostolica del Rio negro. Ciò stava a significare, che il sarei diventato il responsabile di tutta quella vasta area della missione, avrei dovuto dirigerla, designare i responsabili, gestire le risorse. Il problema sono le mani. Se le tue mani sono ruvide, screpolate, sofferenti, non sono adatte a riposare, a tener in mano una penna. Capii che seppur quell’incarico era veramente importante, non era a me adatto. Se nasci missionario, se sai che la fatica è la tua compagna per ogni giorno, puoi solo continuare a camminare, ad agire, perché un missionario è così. Forse se nasci anche contadino, se nasci in cima ad una collina, sai che la terra è fatica, sai che bisogna lavorarla per ricavarne qualcosa. Scrissi una lettera ai miei superiori:

Dopo maturo esame e considerate alcune nuove circostanze

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di ordine personale e locale, che alterano assai le condizioni di quella missione, giudico della maggior gloria di rinunziare alla nomina, facoltà e diritti di quella missione. Militano in favore di questa rinunzia, oltre i motivi sopra accennati, la certezza di poter meglio lavorare nel vasto campo di questa missione, come semplice missionario, libero dalla responsabilità immediata e diretta dall’amministrazione di quella prefettura.

SENZA SOSTA Dopo un breve ritorno in Italia, ritornai sul campo della missione. Nell’aprile del 1917 partii per far visita agli abitanti del basso Rio Negro fino a Carvoeiro. Le popolazioni di questi luoghi, non erano completamente selvagge, anzi, esse erano quasi tutti impiegate nell’estrazione della gomma e avevano anche una superficiale istruzione religiosa ricevuta molti anni addietro da alcuni Francescani arrivati in questi luoghi. Scopo quindi della missione era quello di portare un conforto religioso alle numerose famiglie presenti e di amministrare i sacramenti ove possibile con episodi a volte davvero curiosi.

Il primo aprile lasciai San Ga-

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briel. Fu la prima volta che partii solo per la mia missione per mancanza di personale e quindi mi toccò fare tutto da me. Trinitade, Cayutins, Amarituba e ancora avanti senza sosta, con continui incontri, soste e bivacchi per la notte.

Arrivato a Guajarà, entrai in una casa per un battesimo, in cui oltre al padre, vi era la nonna paterna. Nel licenziarmi la vecchia mi disse: Dammi una bottiglia di acqua benedetta. Volentieri. Io me ne servo per benedire la casa e per farla bere a chi ammala. Va bene. Ho altri due figli, di cui uno voglio che si faccia prete. Bisogna vedere se ne ha voglia lui. E se non ha voglia, mi rispose con voce grossa e piena d’energia, gli si danno le bastonate. Ecco… un nuovo mezzo per suscitare vocazioni. Risi di cuore e ripartii. Non c’era tempo di fermasi. Il ritorno a San Gabriel per seguire direttamente i lavori di ampliamento della Chiesa e poi di nuovo in viaggio sugli affluenti del Rio Negro, tre quattro mesi, poi un breve riposo ed una nuova ripartenza.

Sulla barca ci restava del petrolio per 3 ore. Ci movemmo in tutte le direzioni, ma dopo un’ora ci trovammo perduti in mezzo a quel groviglio di isolette e arbusti. Se avessimo avuto vitto e combustibile, avremmo atteso anche una giornata, ma eravamo privi di un e dell’altro! Chi ci poteva salvare? chi sarebbe venuto a toglierci da quel labirinto? Già malinconico dallo strapazzo di cinque giorni di viaggio in canoa, andava pensando ai molti pericoli già incontrati, quando fui per naufragare, quando fui per essere carbonizzato dal fuoco della fore-

sta, quando fui per essere assalito dalla tigre, quando mi trovai in mezzo ai serpenti velenosi e ai serpenti a sonagli, quando gettato da cavallo fui precipitato con una grossa trave in un burrone ove non perdetti che una parte del pollice, quando gli stessi selvaggi stavano insidiando alla mia vita… e mi pareva nessuno dei pericoli incontrati fosse così tremendo come quello di morir di fame! Alzai la mente a Dio, rinnovando l’offerta di me stesso, dichiarandomi pronto a quel genere di morte. Ma, inoltratici per caso in un canale in breve ci vedemmo davanti alcune palme ed una capanna di paglia. Così si dovè dilatare il cuore di Cristoforo Colombo quando scoprì terra, come si dilatò a noi in un tripudio di speranza e di liberazione. Qualunque altra direzione avessimo presa, saremmo stati perduti! Nel 1924 penetrai nella zona dei Tucanos, dando origine alla missione di Taracua e successivamente alle residenza di Barcellos, l’ultima mia missione

La mia salute non era più quella di prima e che i medici non trovano altra malattia se non grande indebolimento organico richiedendo riposo e nutrimento

LA FINE DEI PASSI Dopo più di 30 anni di missione i superiori mi concessero alcuni mesi di riposo in Italia. Ritornai al Rio Negro, ristabilito ma in breve tempo, la scarsa alimentazione, la vita frenetica e faticosa indebolirono nuovamente il mio fisico.

Tutti mi attendevano per la processione. Avevo già 38 gradi di febbre. Mi fermai e feci qualche passo ma dovetti cedere e caddi quando la popolazione stava per entrar in processione. Mi caricarono e mi adagiarono nella rete dove mi svegliai il giorno seguente. Morì il 17 agosto del 1927 nella residenza di Barcelos.

...tanti saluti e prega per questo povero e vecchio missionario.

(Don Balzola in conclusione alla sua ultima lettera)

Don Balzola con un indigeno in abiti occidentali


Lo Stato del Matto Grosso pronunciò in Senato un voto ufficiale di condoglianze. Piangiamo, la scomparsa di questo martire del dovere, di questo missionario intrepido.

Giornale del Brasile

Don Balzola fu un santo missionario, che visse sempre alla presenza di Dio e unicamente per la sua gloria.

Don Filippo Rinaldi

Lapide sulla tomba di Don Giovanni Balzola a Barcelos

Vogliate accettare le condoglianze per la morte di Padre Balzola, il salesiano benemerito, che portò al Brasile un incontestabile, grande, immenso servizio.

Gen. Rondon Direttore Generale Indi del Brasile

È morto sul campo delle sue fatiche, con le braccia cariche di manipoli, lasciando un grande vuoto in quella difficile missione, di cui egli era validissimo sostegno.

B.S. Ottobre 1927

Con Don Balzola scompare una delle figure più spiccatamente apostoliche delle missioni, il vero campione della foresta.

B.S. ottobre 1927 Questo meraviglioso missionario ha portato agli indi religione e lavoro: croce e vanga.

Giornale di S. Paolo del Brasile Un’opera missionaria che definirei grandiosa.

Dott. Hamilton Rice

“Quando avverrà che un salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congregazione ha riportato un grande trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del cielo”.

Don Bosco

Gentili lettori, avete vissuto, nel breve spazio di poche pagine l’autentica storia dell’intensa vita di un uomo semplice ma straordinario, un contadino villamirogliese che visse come un eroe ma che non venne mai celebrato come tale perché il vero significato della parola eroismo, nel darsi al prossimo senza alcun interesse personale, è destinato a rimanere un segreto tra l’uomo e Dio (Riccardo Bonando) Tomba di Don Balzola all’esterno della chiesa di Barcelos

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Nuova Osteria Vialarda un calcio alla carestia...

Interno dell’Osteria Vialarda

In tempi di crisi bisogna far attenzione anche ad uscir a pranzo o a cena. Vuoi la paura delle bollette e delle tasse che tutti ci aspettiamo più care, vuoi il bisogno di mantener integro il gruzzoletto per le emergenze che, non si sa mai, con i tempi che corrono, possono capitarti fra capo e collo, fatto sta che a spender soldi si fa più attenzione. E in questo clima che invece noi vi proponiamo una cena... antisfiga direbbero i più giovani, portafortuna per i più conservatori. Sia chiaro che quando scriviamo di ristoranti ciò che ci interessa di più è sempre la qualità del cibo e del servizio, ma alle volte anche una nota originale può fare la sua figura e attrarre la curiosità… L’ubicazione dell’osteria di cui trattiamo è nota ai più, si trova proprio su quel bivio per Coniolo con la strada Vialarda, in frazione Torcello che già si trova nel comune di Casale e che fino allo scorso anno era una sorta di birreria, ma che dal luglio scorso è diventato un ristorantino niente male. La stranezza è che il locale si trova in Comune di Casale ma il suo dehor, dall’altra parte della strada, è invece nel comune di Pontestura. Il cuoco Cantamessa Andrea con un aiuto in cucina e la sorella che serve ai tavoli, hanno predisposto un menù assai particolare. In esso infatti sono presenti piatti tipici monferrini e diverse ricette a base di pesce.

E’ il risultato della trentennale storia culinaria di Andrea che pur essendo nativo delle nostre contrade ha girato il mondo cucinando da Santo Stefano in Sardegna, a Cortina d’Ampezzo, da Monaco di Baviera sino a Cuba oltre a diverse località del nostro Monferrato . Da parte nostra, che la sera del 13 gennaio lo abbiamo visitato, si è optato per la cucina locale con una eccezione, capirete il perché. Il locale è piacevole ed accogliente pochi tavoli per una trentina di posti ed altrettanti al piano superiore, oltre al cortile e al citato dehor d’estate. Illuminazione diffusa, musica soft, quadri contemporanei, come la ristrutturazione interna dei vecchi ambienti. Partiamo con due antipastini che promettono bene: Carpaccio tiepido con radicchio tardivo e provola affumicata, ed una terrina di gorgonzola con pere Madernasse. Il carpaccio è costituito da sottili fettine di carne cosparse di radicchio e provola passate appena in forno giusto per intiepidire e sciogliere un po’ la provola. Il gusto che ne sortisce è ottimo, il leggero amarognolo del radicchio, il salato della provola con la carne sono nel giusto equilibrio, nessuno sovrasta gli altri ma fra loro si integrano sia come sapore che come consistenza. Meglio ancora lo sformatino di gorgonzola affiancato da una mezza pera Madernassa cotta e affettata, versione alternativa del noto a tutti “formaggio con le pere”. Prima di descriver le portate succesive facciamo un “passaggio” in cantina. L’elenco dei vini è consi-

Si è concluso il concorso fotografico: Gliele faccio vedere io... Le foto vincitrici ed i premi possono essere visti sul sito di Gabiano e dintorni: www.gabianoedintorni.net o sul profilo facebook Gabiano E dintorni

Pubblichiamo i nomi dei vincitori

1° premio Arianna Boschi : Tramonto sulle Alpi – Gabiano 2i classificati: Chiara Ferrando (per 3 Comuni) : - Villadeati; - Murisengo; - Odalengo Grande. Laura Chiarello : - Villamiroglio: sguardi fra i vigneti; Anselmo Nuvolari : - Chiesa parrocchiale di Verrua Savoia Gianni Boschi : - Gabiano: inverno 2001; Pietro Cressano: - Panorama di Mombello, Lorenzo Ubertalli: - Camino: Rocca delle donne 3i classificati : Alessandra De Paul : - Gabiano: Girasoli cascina Colombaia; Daniela Soccol: Prati a Sessana di Gabiano; Emanuele Gino : - Villadeati d’autunno Con i complimenti della redazione di G&d

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stente un sessantina di etichette, dal profumatissimo Gewürztaminer dell’Alto Adige al Barolo prodotto in qualcuno degli undici comuni cuneesi, passando per i nostrani. Abbiamo optato per un Docg Rouchè di Castagnole Monferrato 2010, 14,5 gradi che abbiamo trovato ottimo e ad un prezzo ragionevole (18€). Passiamo ai primi. L’idea era quella di mantenerci sul tipico, ma una portata ha attratto la curiosità: risotto mantecato al nero di seppia con lamina d’oro. L’oro, sì proprio il prezioso metallo, lo avevamo già apprezzato in altre portate ma sul riso al nero di seppia ancora no. Il metallo non conferisce gusti particolari è solo un “gioco” per conferire una particolare bellezza o originalità alla portata. Per l’occasione visti i tempi che corrono assume anche quel significato di portafortuna di cui abbiamo scritto nell’incipit di queste note. Al di là di tutto ciò dobbiamo dire che la combinazione è particolarmente azzeccata in quanto sul nero seppia del riso le foglie d’oro risaltano particolarmente. Rileviamo che anche il gusto come la perfetta cottura del risotto e qualche trancetto di seppia rendono questa portata piacevole. Prima di passare ai secondi vi citiamo alcuni dei piatti a base di pesce previsti nel menù: trittico di mare gratinato di capesante, cannolicchi e cozze; insalata di polipo, spaghetti alla vongole veraci, tagliata di tonno rosso al dressage di pistacchi, non mancano poi l’astice e la zuppa. Il dressage, termine francese mediato dall’ippica, in cucina rappresenta la disposizone dei cibi secondo forme e colori, arte nota anche al “nostro” chef. Passiamo ai secondi. Dopo la divagazione ittico-

aurifera, ritorniamo al nostro più prosaico territorio: è la volta di un classico filetto al pepe verde (di cui è disponibile la variante al gorgonzola) e del coniglio disossato fritto con fonduta. Abbiamo apprezzato molto il filetto, tenerissimo, tanto da potersi quasi tagliare senza coltello, ottima cottura, come da noi richiesta, scottata esternamente e appena rosa all’interno coperta da una salsina gustosa ci pare a base di panna con pepe e altri gusti. Originale anche il coniglio fritto. Si tratta di pezzi di carne di coniglio disossati, grandi poco più di un boccone impanati e poi fritti, serviti ovviamente caldi insieme a un tazza di fonduta nella quale intingere i bocconi. Ci pare che per la buona riuscita di questa portata risulti importante la scelta dei pezzi di coniglio da friggere, quelli sottili rischiano di rimanere secchi quelli più carnosi di non cuocersi a dovere. L’abbinamento con la fonduta resta comunque piacevole anche questa portata ci è piaciuta pur avendo preferito il più tradizionale filetto al pepe verde. Infine ci sono stati proposti dei gelati prodotti in casa. Sono una specialità del cuoco. Ne abbiamo assaggiati un paio alla menta ed al ciccolato ed effettivamente ci sono parsi ottimi. Suggeriamo quindi ai nostri lettori che nella bella stagione vogliono sorbire qualche buon gelato di passare dalla Osteria Vialarda, troveranno certamente qualche specialità da apprezzare. Niente da eccepire nemmeno sul servizio con cambio posate ad ogni portata, bottoglie stappate davanti a noi, cicchetto di assaggio, temperatura adeguata ed anche salvagocce sulla bocca della bottglia. Per questa serata con due antipasti un primo due secondi due dolci, bevande incluse abbiamo speso 95 euro. Per chi poi amasse un pranzo economico, all’Osteria Vialarda viene servito un menù a prezzo fisso di 12€ ma solo a pranzo però.

A proposito dell’oro in cucina Chiariamo subito che si tratta di moda, anche in cucina. Nei ristoranti e nei locali del Nord Italia si fa strada la tendenza a utilizzare foglie, pagliuzze e petali d'oro fino come decorazione nei piatti o per impreziosire i cocktail. Ma l’uso dell’oro in cucina era noto sin dall’antichità. Nel Rinascimento l'uso di polvere dorata per far brillare e rendere regale la tavola dei commensali era diffusa, non foss’altro che per evidenziare il proprio status sociale. L'utilizzo dell'oro in cucina era a tal punto eccessivo che nel 500 a Padova il consiglio cittadino mise un freno, stabilendo che durante i pranzi nuziali non si sarebbe potuto servire più di due portate arricchite dal prezioso metallo. L'oro alimentare è, ad ogni modo, assolutamente commestibile e non solo non ha controindicazioni ma c'è, addirittura, chi gli attribuisce proprietà salutari per il cuore e i reumatismi. Lo troviamo sotto forma di pagliuzze d'oro per dare lusso a una tazza di cioccolato caldo e a cocktail stilosi. Come petali per dare un tono di lucentezza ai tagliolini al nero di seppia ma anche alle tartine con caviale e alle torte al cioccolato. A foglietti sottilissimi, quasi volatili, per risotti o decorazioni su pesci pregiati. A dare vita a questa "rinascita" dell'oro nella gastronomia d'autore è stato lo chef Gualtiero Marchesi, che ha elaborato trent'anni fa una ricetta che ancora oggi rimane un cult della cucina creativa italiana: il risotto oro e zafferano. Cucinare con l'oro fa naturalmente un po' crescere il prezzo del piatto, perché il materiale costa, due-tre euro di ricarico ma, se vogliamo fare paragoni, lo zafferano con quel che costa o i tartufi non sono molto dissimili dall'oro. Per alcuni l'utilizzo del re dei metalli in cucina, andrebbe affidato a location prestigiose e a professionisti chef o esperti barman che sappiano fare del loro mestiere un'arte, solo così l'ingrediente potrebbe diventare una preziosità in più, altrimenti rischia di trasformarsi in una sontuosa cornice attorno a un quadro di poco valore. A noi che non siamo frequentatori del Burj el Arab di Dubai dove l’uso dell’oro in cucina è quasi una regola, senza farne un mito, ha comunque fatto piacere questa Risotto mantecato al nero di seppia con foglie d’oro anche 15 trovata.


Un ringraziamento agli sponsor del concorso fotografico: Gliele faccio vedere io... B&b Casa Novecento

Via Casalino 41 - Castel San Pietro - Camino (AL) tel. 0142 - 469310 cell. 349.3884879

… a cena fuori

Via Umberto I - Murisengo (AL) tel 0141- 693012 - Tel. 331.2490764 www.acenafuori.net - acenafuori@libero.it

Cantine Castello di Razzano

Fraz. Casarello, 2 15021 Alfiano Natta (AL) Tel. +39 0141 922124 Fax +39 0141.922556; +39 0141.913963 ; info@castellodirazzano.it www.castellodirazzano.it

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Piazza Libertà 1 - Cantavenna di Gabiano (AL) tel 0142-945045 facebook: Salumificio Colombano Cantavenna di Gabiano www.salumificiocolombano.altervista.org

Cantina del Rubino

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Az. Agricola di Francesco Braggio

Cascine Bosco n. 7 Fraz. Zenevreto 15020 Mombello Monferrato (AL) Tel 0142-79843 Cell. 380-5038969 www.braggiovini.it

Ecoenzimi s.r.l.

Cascine lunghe 63 Pontestura (AL) tel 0142-453439 www.ecoenzimi.com - www.biosaneco.com e-mail: info@ecoenzimi.com info@biosaneco.com

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