Gdnovembre11

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Gabiano e dintorni

Il mensile della nostra terra

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novembre 2011

In copertina Castelletto Merli

Tamburello Gabiano sconfitto in finale

Il sommelier racconta… Il Rubino di Cantavenna

Don Balzola da Villamiroglio

Gli enzimi di Pontestura Prodotti naturali per la terra

Gliele faccio vedere io… Concorso fotografico per facebukkati

Il Conte Magnocavalli Architetto del Monferrato

Testament d’in Munfrin di Alfredo Rota

Ristoranti provati Osteria Vineria Munfrà di Alfiano Natta

Tamburello Cerrina e Alfiano Natta


Tamburello: Gabiano sconfitto in finale di Riccardo Bonando

Gabiano serie D 2011

Alfiano Natta di Serie D 2011

Il verdetto uscito dal bellissimo sferisterio di Capriano del Colle (BS), ha un sapore amaro per la formazione del Gabiano. Eppure le sensazioni percepite durante queste settimane, facevano sperare in una conclusione diversa per la formazione monferrina. Le due gare di semifinale, contro il forte Medole (MN), avevano permesso di apprezzare la tenuta

mentale dei ragazzi di mister Cavallo. Dopo un inizio alquanto disastroso nella gara di andata sul terreno di Gabiano, con un parziale di 8 a 2, grazie all’inserimento di Alessandro Gamarino al posto di Alberto Uva, la formazione gabianese cambiava radicalmente gioco, passando da una fase offensiva superficiale e a solo appannaggio del bravo mezzovolo rivale, a un gioco profondo e con battute altissime (palla luna), che metteva in serie difficoltà il fondocampo avversario, incapace di ricacciare la palla in maniere efficace, permettendo gli inserimenti incisivi del centrale del Gabiano. Lentamente, ma in maniere inesorabile, il Gabiano prendeva coraggio e rosicchiava punti su punti, arrivano dopo oltre 2 ore e mezza di gioco, al risultato parziale di 9 giochi ciascuno. Il tifo dei tanti presenti si infiammava, scandendo con urla e incitamenti i propri beniamini, i quali giungevano per primi a 12 ma si facevano raggiungere dai mai domi rivali mantovani. Spazio al tiebreak, vero stress per le coronarie di giocatori e tifosi. Dopo una sostanziale parità, lo scarto di due punti, permetteva alla formazione alessandrina di imporsi 12 a 10, scatenando un’euforia generale sullo sferisterio gabianese. La semifinale di ritorno, a Medole, rappresentava l’ultimo ostacolo per la conquista della finale. La concentrazione e la determinazione del Gabiano, spegneva le ultime velleità della formazione mantovana, sconfitta con un sonoro 5 a 13, grazie all’ottima prestazione dell’intera squadra con punte di merito per Alessandro Bossetto e Alessandro Rodella. I preparativi per la finale di domenica 23 ottobre, impegnavano i tifosi per tutta la settimana, i quali si dirigevano allo sferisterio di Capriano del Colle con un pullman carico di speranze e di Continua in ultima pagina

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Il sommelier racconta… di Sergio Ramoino

Un d.o.c. prodotto in una delle aree più piccole d’Italia che ha raccolto numerosi premi

ottenere tale denominazione, esclusivamente nei Comuni e nelle frazioni sopracitate, con uve Barbera per un minimo del 75%, e freisa e/o grignolino a completamento ad un massimo del 25 % totale. Questa ampia percentuale è lasciata a discrezione del vignaiolo, che trovandosi di fronte uve diverse secondo le diverse annate, può “mediare” per ottenere un prodotto sempre gradevole e all’altezza della denominazione. La dolcezza dell’uva barbera viene interrotta con l’asprezza del grignolino, e se la vendemmia incontra un anno non particolarmente felice, ecco che la freisa, con la sua delicatezza mette d’accordo le prime due. Le uve aggiunte devono essere coltivate sempre nella stessa zona, per poter esprimere le stesse caratteristiche di territorio altrimenti detto “terroir” alla moda d’oltralpe. La resa massima di uva ammessa non deve essere superiore a 100 quintali per ettaro di vigneto. La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70%. La gradazione alcolica dovrà essere di gradi 11,5 % minimo. Dovrà riportare solo l’indicazione “Rubino di Cantavenna”, e non si prevedono altre diciture tipo superiore, extra o altre, ma può essere indicato il nome Coreografie d’aria dei rapaci - Spettacoli del vigneto, dell’azienitineranti per bambini e non solo. Saranno da produttrice, o altri presenti ospiti della cultura a valenza naziomarchi. Potrete trovanale re, con molta fortuna, Domenica 20 novembre 2011 anche del Rubino Chinato, e provate a sorore 08.00 Apertura Fiera seggiarlo con biscotti ad alto tenore di ciocore 10.45 Sfilata con costumi storici e falcolato… Le moderne conieri a cavallo con rapaci; Presentazione pratiche di “diradadei Tartufi al banco di giuria mento in vigna” effetore 11.00 Intrattenimento ospiti tuate quando le uve ore 11.30 Premiazione dei migliori esemnon sono a completa plari di Tuber Magnatum Pico maturazione (detta ore 12.45 Past del trifolau su padiglioone anche vendemmia vercoperto presso il Centro Sportivo Oscar Bode) permette di ottenasso nere un prodotto più ore 15.00 Spettacoli itineranti per bambini e non solo Continua a pagina 15

Con il congedarsi dal mese scorso, ci eravamo dati un arrivederci, e siccome le promesse vanno mantenute rieccomi ad esaminare un nuovo vino sempre rigorosamente della nostra zona, e sempre D.O.C. che negli anni ha espresso, assieme ad altri le caratteristiche territoriali delle nostre colline: IL RUBINO DI CANTAVENNA. Mai come in questo caso il nome indica l’identità: gli stessi riflessi della pietra preziosa li ritroviamo nel vino, e vi assicuro che sono gradevolissimi, oltre a considerare la rarità sia della pietra che del vino, perché la zona di produzione è limitatissima: si ottiene solo da vigneti coltivati nei Comuni di Gabiano, con la sua frazione di Cantavenna, Comuni di Moncestino, Villamiroglio e parte del Comune di Camino, e la cui Denominazione di Origine Controllata e’ stata istituita con Decreto del gennaio 1970. In considerazione della limitata zona di produzione e del disciplinare piuttosto restrittivo, risulta un vino abbastanza raro. Tale vino si ottiene, secondo il disciplinare, vincolante per

Fiera del tartufo a Murisengo Domenica 13 novembre 2011 ore 08.00 Apertura Fiera ore 10.30 Inaugurazione Casetta dell'acqua (acqua del Sindaco) ore 10.45 Sfilata con costumi storici e falconieri a cavallo con rapaci ore 11.00 Presentazione tartufi al banco di giuria ore 11.15 Intrattenimento ospiti ore 11.30 Premiazione migliori esemplari di Tuber Magnatum Pico con l’assegnazione della Trifola d’Or e della Trifola d’argento ore 12.45 Pasto del “Trifolao” su padiglione coperto presso il Centro Sportivo Oscar Bonasso ore 15.00 Banco ONAV - Palatartufo); gioco-concorso con un tartufo bianco in palio

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Don Giovanni Balzola da Villamiroglio il contadino Missionario si racconta di Riccardo Bonando

Pubblichiamo la seconda parte del racconto della avvincente storia del missionario

dla vila

(* In corsivo grassetto i brani estratti dalle sue lettere)

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RITORNO A CASA CON TRE INDIGENI Su queste colline, il forestiero, non è lo straniero che parla una lingua diversa, si veste in altro modo. Su queste colline, il forestiero, è colui che non sa di chi è quella vigna sulla costa di fronte, non sa dove finisce il paese e dove ne comincia un altro. Se tutto il mondo è paese, questo paese è tutto il mondo per chi ci vive, per chi ritorna a casa la sera. Nell’aprile del 1898 mi imbarcai dal porto di Rio de Janeiro con tre indigeni della Colonia alla volta dell’Italia, per poter partecipare all’esposizione di arte sacra a Torino. Seppur impegnato in numerosi avvenimenti, trovai anche il tempo di una breve visita al mio paese. Che piacevole sensazione calpestare la terra di queste strade, risentire il profumo di casa. Attraversare Vallegioliti, con le case che si buttano sulla strada e la gente che ti ferma, ti riconosce. Sentir in bocca il gusto particolare che lasciano le tue parole, il tuo dialetto. Proseguire, dopo la svolta trovarsi davanti Villamiroglio. Anche se sei Missionario, se la tua casa sarà qualsiasi luogo dove potrai far del bene, il luogo dove sei nato è un po’ il tuo sangue, una parte di quello che sei.

Durante il pranzo a Villamiroglio, richiamai a una norma di galateo uno dei tre indi che mi era vicino. Ma costui non si trovava in un buon momento e, irritato dall’osservazione, mi sferrò un sonoro schiaffo sulla faccia, mentre il parroco e i convitati, interdetti e timorosi, attendevano lo sviluppo dell’avventura. Calmo e sorridente, continuai a mangiare, come se nulla fosse avvenuto. Allora il parroco mi disse: Ebbene? Ebbene, risposi, se si vuol fare un po’ di bene a questi poveri figli delle selve, bisogna praticare il vangelo alla lettera. Comprendo, concluse il parroco, ammirato e commosso: non Don Giovanni Balzola

è da tutti fare il missionario fra i Bororo. La prima funzione pubblica, a cui presesi parte con gli indigeni, fu la grande processione della Consolata, il 21 giugno. In essa erano rappresentati gl’indigeni, venuti da tutte le parti del mondo per l’esposizione. Siccome però avevano bevuto più del solito, erano troppo allegri. Arrivati per tanto in cattedrale, incominciarono a trattare con disprezzo i cinesi, gli arabi e beduini, per farsi vedere più coraggiosi di tutti. Visto il pericolo li condussi a Valsalice e ordinai al portinaio che, mentre io ritornavo alla processione, non li lasciasse uscire. Ritornato a casa, domandai subito notizie, e mi fu risposto che dopo la mia partenza, andati alla porta e gettato da una parte il portinaio, se n’erano usciti a passeggio. Tra le belle ville di Valsalice trovarono molte famiglie e giovanotti che facevano merenda. Anch’essi bevettero qualche bicchierino che fece loro girare la testa. Perduto così l’uso della ragione, e facendosi più vivi gli istinti selvaggi, rissarono e ricevettero qualche bastonata. Vedendo scorrere sangue, si riaccese in loro lo spirito di vendetta e corsero a casa per armarsi. Io ero andato a cena. Il refettorio era pieno di superiori, di sacerdoti, di chierici e di laici, venuti da diversi parti per il ritiro spirituale. Io ignaro di tutto, non vedendoli arrivare, scesi in portineria per averne notizia. In quel momento giunse un chierico che spaventato mi disse: Don Balzola, non vada in refettorio, perché gli indi la vogliono ammazzare Non c’è pericolo risposi; corro a vedere. I tre avevano preso nella mia


camera tre spade e con queste erano entrati in refettorio, erano montati sulle tavole gridando: Padre Balzola, Padre Balzola, andiamo ad uccidere i bianchi. In quel momento in refettorio c’erano tutti i commensali con gli occhi sbarrati verso i tre energumeni, che sulle tavole si dibattevano e gridavano con le spade in alto, come chi vuol menare colpi da disperato. Finsi allora di prestare attenzione alle loro lagnanze e lentamente li disarmai, mentre essi però continuavano a dibattersi. Intanto per manifestare di più la loro collera, il più vecchio si tolse la camicia e la gettò a terra; gli altri due l’imitarono. Poi si tolsero anche i calzoni e rimasero come si vive nei boschi, ripetendo furibondi gesti, dandosi pugni sul petto in segno di rabbia e di vendetta. Dissi a don Barberis che facesse uscire i chierici, mezzo spaventati. Questi uscirono ma si arrampicarono alle finestre, curiosi di vedere come sarebbe finita la scena. Finalmente riuscii a condurli sotto i portici. I tre chiesero da bere. Fu loro offerto vino mescolato a un poco d’oppio. Sulle prime dubitarono e non volevano bere, ma poi quando videro che io pure bevevo, bevettero anch’essi. Poco dopo potei condurli a dormire. Il giorno seguente s’alzarono tranquilli, come se niente fosse stato. Queste deplorevole episodio fece conoscere a tutti i presenti, quanto era difficile convertire e civilizzare quella terribile tribù.

Arrivò la portantina e comparve Leone XIII. Che compiva allora 88 anni di età. Mentre io gli baciavo l’anello, mi domandò con voce grave: Donde venite voi, e quanti ne avete condotti di questi giovanotti? Io vengo dalla Missione Salesiana del Matto Grosso, tra gli indi Bororo e ne condussi tre. Sono già battezzati? No Santo Padre, pensiamo di battezzarli a Torino. Bene ammiro il vostro apostolato! Voglia Santo Padre benedire tutti, la nostra missione. Benedico ben volentieri voi e la vostra missione, perché prosperi e sia feconda. Ci benedisse e poi, chiusa la portantina, la sedia gestatoria partì.

Nell’uscir dal Vaticano e nell’entrare nella grandiosa piazza di San Pietro, diedero un tale grido di gioia che fecero correre le guardie della città e poco dopo ci passò vicino una vettura con due focosi cavalli. L’indio maggiore si mise a correrle dietro. Quando si fermò lo ripresi: Far così in Roma? Volevo vedere chi correva di più: io o i cavalli! Mi rispose tutto tranquillo.

Il 16 ottobre 1898, nel Santuario di Maria Ausiliatrice, alla presenza di diecimila persone, i tre indigeni furono battezzati da Don Rua. Alcuni giorni dopo, organizzati gli ultimi preparativi, ripartimmo alla volta del Brasile. Arrivati a Rio de Janeiro il 13 novembre, il prefetto mi comunicò una triste notizia. I Salesiani s’erano

Nel mese di luglio, li condussi a Roma, per assistere all’udienza di Papa Leone XIII.

Eravamo giunti in Vaticano mezz’ora prima del tempo fissato. Mentre stavamo seduti nella sala degli arazzi, il più vecchio mi disse: Padre, il Papa non giunge e io sono stanco; io mi coricherò qua. Aspetta, il Papa sta per venire risposi io ma inutilmente. Egli si distese sul tappeto come se fosse nel bosco e lo lasciai fare. Don Balzola con i tre indigeni portati in Italia

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ritirati dalla Colonia Teresa Cristina su decisone del Governo. Stupito di quella decisone ottenni un colloquio con il senatore Generoso Ponce, capo politico del Matto Grosso.

Reverendo, mi disse, io avevo spedito un telegramma ordinando che attendessero mie lettere prima di ritirare i salesiani della colonia. Tuttavia scusi la mia franchezza: i salesiani in tre anni non hanno fatto quasi nulla. Allora risposi francamente: Signor senatore, non bastano tre anni per ottenere risultati visibili in una missione di selvaggi come quella. Occorrono intere generazioni per la com-

Le giornate erano piene di eventi, di gente che si recava per le feste a pregare e nemmeno la notte era così tranquilla come si potesse immaginare

Una notte dormivamo al campo, e come si accostuma, quando non vi sono case, accendemmo il fuoco, ma la pioggia non ci voleva lasciare in pace. Si dovette aprire il parapioggia sopra il fuoco! Al mattino seguente, nel partire trovammo a pochi metri di distanza le pedate di due giaguari. Quel fuoco stentato li aveva tenuti lontani. Poi il ritorno a Cuyabà, ed ecco nel dicembre del 1899 la progettazione di una nuova missione. Tutto ebbe

di sfida gli tagliavano la testa e la impalavano come monito per gli altri. Per mettere fine a quelle barbarie, il Governo volle tentare la civilizzazione degli Indi Cajabis. Fui nominato dal Governo alla guida di quella spedizione con il confratello catechista Silvio Milanese. Il 19 maggio del 1900 la spedizione formata da 18 uomini, partì da Cuyabà. Dopo aver percorso 150 km a cavallo ed una breve sosta a Villa Rosario, la comitiva proseguì addentrandosi nella foresta.

Grazie a Dio, tutti i giorni potevo celebrare la messa, benché dovessi cambiare sempre la forma della chiesa […]una volta al mattino, cadde una vipera dall’altare. Dopo oltre 500 km a cavallo, la comitiva giunse sul Rio Paratinga imbarcandoci su tre canoe a cui diedi il nome di Giuseppe, Maria e la terza Speranza. Per la prima volta, un gruppo di uomini civilizzati solcava le acque del Rio Paratinga. Solo una piccola comitiva aveva precedentemente seguito la corrente per qualche km, ma assaliti dagli indi, una parte fu uccisa e alcuni riuscirono a salvarsi.

Don Balzola con gli indigeni della colonia Teresa Cristina

pleta civilizzazione di quel popolo selvaggio. Però noti che quando siamo andati la non c’era nulla: non una pannocchia di meliga, non un piedie di canna da zucchero, non un arbusto di mandioca. Ora tutto ciò abbonda. I primi tre anni dovevano servire per conoscere i costumi dei selvaggi e le nozioni per l’agricoltura di quei luoghi a noi ignota.

La politica, il governo, non avevano capito nulla dello spirito che animava quella Missione. Credevano in poco tempo di trasformare selvaggi in uomini di città. Non si può seminare e pretendere subito il raccolto. C’è una ciclicità in ogni cosa. Il contadino sa aspettare. LA GUERRA DELLA GOMMA La fine anticipata della missione, mi permise di imbarcarmi fino a Coxim per le feste di Pentecoste.

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inizio molti anni prima, quando i primi bianchi coraggiosi cominciarono ad estrarre la gomma elastica o “seringa” dalla foresta. Il problema venne alla luce poco tempo dopo. Le terre su cui si estraeva erano di due tribù i Bacairjs e dei Cajabis. I primi furono presto allontanati dai secondi durante i feroci scontri tra tribù. I Cajabis quindi detenevano l’intero territorio di estrazione e ben presto cominciarono a far sentire la loro presenza. Nel 1896 gli indi cominciarono a dar fuoco alle capanne dei lavoratori, ammazzandone uno di questi a frecciate, mutilandone il cadavere ed asportandone la testa. Lo scontro degenerò. I civilizzati si armarono, diedero fuoco ad alcuni villaggi indigeni. I Cajabis attendevano il momento più propizio nascosti fra le selve, tendevano imboscate, uccidevano i civilizzati e come segno

Ci accompagnava però una continua apprensione, poiché eravamo pressoché giunti sul territorio centrale degli indi e da un momento all’altro, temevamo d’essere assaliti a frecciate. Prudenza volle che io stesso mi armassi di revolver a doppia carica, poiché da soli non si poteva più entrare nella foresta un 50 metri senza pericolo di essere sorpresi o dai selvaggi o dalle bestie feroci, specie la tigre. Il 10 luglio, presso una cascata dove la corrente era fortissima, erano passate felicemente le due canoe che ci precedevano, quando scorsi una pietra a fior d’acqua, contro cui era diretta la Speranza, su cui mi trovavo. Attenti! C’è una pietra gridai. Ma non c’era più tempo, la barca batté fortemente contro lo scoglio, sbalzando in acqua l’uomo che stava a prua e piegò la barca. La barca andava sommergendosi, e così la cassetta delle medicine, cinque sacchi di farina, la mia veste e


parecchi altri oggetti furono portati via dalla corrente. La canoa andava sommergendosi ed io mi appoggiai colle braccia su un baule mentre ero trasportato dalla corrente. Siam perduti, siam perduti. Mi misi a gridare Mi appigliai ad un sacco di mandioca tirato da uno degli uomini. Mi trascinarono a riva. Ringraziammo la vergine Ausiliatrice per lo scampato pericolo, stendemmo le cose al sole per farle asciugare. Navigammo per altri giorni, incontrando qualche indio, ma sicuramente nascosti fra le selve ve n’erano molti di più. Essendo già ora tarda accostammo alla riva e ci accampammo. Dalla parte opposta alcuni indi si fecero largo fra il fogliame. Ci dirigemmo verso loro a portare regali e man mano gli indigeni aumentavano sempre meno impauriti. Intrattenendomi con loro mi fu giocoforza arrendermi a cantare e danzare con loro. I miei compagni di ventura continuavano a far la spola fra una sponda e l’altra per fornirmi di regali. Diedi un coltello ad un povero vecchio. Egli l’usò subito; tagliò un bastoncino, contento dell’effetto; mi fece vedere che non aveva più denti, come per dirmi che il coltello li avrebbe sostituiti. Visto quell’atto lo abbracciai ed egli mi abbracciò. Allora gli indi presero coraggio e tutti mi si avvicinarono: chi mi prendeva per il collare, chi mi metteva le mani in tasca. Uno mi sbottonò la veste e osservava con ripetuta curiosità i calzoni e gli stivali. Le cose parevano procedere bene, ma il guaio venne quando cominciarono ad entrare nelle barche e a portare via ogni cosa. Noi non potevamo impedirlo con la violenza. Allora cercammo gradatamente di ritirarci sulle nostre imbarcazioni e di prendere il largo af-

finché almeno le scarse vettovaglie potessero rimanere in nostre mani. Gli indì però non volevano vederci partire, senza lasciar loro tutti gli oggetti. Dopo breve tempo, dalla sponda destra incominciarono a frecciarci seriamente. Gli uomini dovettero allora gettarsi in acqua e nascondersi sotto la barca. I miei compagni volevano fare su di essi una scarica di fucilate. Io però insistetti affinché non commettessero quell’imprudenza; gli indi si sarebbero salvati facilmente nel bosco e noi invece non potevano fuggire dalle barche, dove certo tutti saremmo stati massacrati. Portate loro qualche cosa e fate così vedere la nostra buona volontà. Come! Mi risposero, portare ancora dei regali a quei barbari? Io insistetti ed essi ubbidirono. Ricevuti i regali gli indi si ritirarono nella foresta e noi proseguimmo il viaggio.. Il 24, le febbri incominciarono a colpire alcuni degli esploratori e resero più penoso il lungo viaggio. Quelle febbri venivano attribuite al cibo. Venendo a mancare i viveri per le perdite dovute al naufragio, si dovette far ricorso alle uova di tartaruga che in quelle spiagge d’arena si trovavano numerose. Ne raccogliemmo 400 e calmavano abbastanza l’appetito, benché fossero indigeste. Grazie a Dio io non ne ebbi a soffrire. Incontrammo altri piccoli gruppi di indigeni, ma ormai le risorse scarseggiavano ed il 7

Messa nella foresta sulle sponde del Rio das Mortes

agosto dopo un percorso fluviale di 70 km giungemmo al porto della Mulateira dove tre mesi prima ci eravamo imbarcati. Arrivai a Cuyabà il 21 settembre dopo aver percorso più di 2000 km.

LA COLONIA SACRO CUORE Che cos’è la fatica? La fatica per gli uomini è l’impossibilità di compiere uno sforzo ulteriore. Il dolore alle gambe, alle braccia e perfino i pensieri, i ragionamenti, sono più lenti, meno vivaci. La fatica per i missionari ha lo stesso sapore di quella degli uomini. Solo che il missionario sa che la fatica è un compagno per ogni viaggio, sa ascoltarlo, ma semplicemente non lo considera. Appena tornato, mi rimisi subito al lavoro per pianificare un nuovo viaggio di esplorazione verso il Rio Araguyana. In quelle terre la tribù Bororo compivano criminose scorrerie massacrando intere famiglie. L’avvenimento più cruento avvenne nel 1900 quando gli indigeni presentatisi nell’azienda di Emmanuele Ignazio lo invitarono con la famiglia a ballare con loro. Mentre tutti danzavano, alcuni indi presero il padrone di casa e lo legarono alla parete, mentre gli altri si precipitarono sopra i figli e le nuore e ne uccisero dieci. Si salvò solo il capofamiglia. Ormai la situazione era degenerata, i bianchi se avessero trovato in un campo una tigre ed un Bororo avrebbero sparato prima all’indigeno. (Qui finisce la seconda parte, sul prossimo numero di G&d la terza puntata)

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Gli enzimi di Pontestura con la natura non conviene mai avviare guerre, molto meglio collaborare

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Pochi sanno che in quel di Pontestura, per la precisione in località Cascine Lunghe 63 sorge una fabbrica di miscele enzimatiche: la Ecoenzimi Molti lettori si chiederanno cosa sono gli enzimi e perché fare un articolo su G&d di questa “roba”. Rispondiamo. Gli enzimi sono proteine che hanno la capacità di accelerare certe reazioni chimiche senza alterarle. Le reazioni possono così aumentare anche di milioni di volte la loro velocità; visto che in natura tutto avviene attraverso reazioni chimiche, è evidente che se utilizzo gli enzimi giusti, trasformazioni che richiedono settimane o mesi possono avvenire in poche ore. Tanto per capirci, avete presente il callio che si aggiunge al latte per fare il formaggio: è un enzima. Ma enzimi sono contenuti nella nostra saliva, nelle lacrime, nell’albume dell’uovo. In pratica queste proteine consentono di trasformare certi composti chimici in altri. Se non ci fossero, quelle reazioni sarebbero sì presenti, ma a velocità così ridotte da non essere nemmeno percepibili. La nostra digestione avviene grazie agli enzimi, come la trasformazione degli zuccheri in alcool alla base di un buon vino. Ma lo stesso si può dire per la birra, per certi detersivi o per i biocarburanti. Oltre agli enzimi “buoni” vi sono anche quelli “cattivi”, basta pensare al veleno di un serpente: è anch’esso un enzima. Per capire la sua utilità per l’ambiente basta pensare che nei decenni scorsi, a partire dall’800, l’uomo si è sempre di più affidato all’industria chimica per preparare sostanze che lo aiutassero nella quotidiana lotta per la vita, nel tentativo di averne una possibilmente sana, agiata e comoda. Anche nei campi si sono utilizzate quantità via via crescenti di composti chimici per aumentare produzioni e ridurre i parassiti migliorando rese e quindi guadagni ed abbattendo i prezzi al consumo.

Ma col tempo questi metodi si sono dimostrati controproducenti. Infatti la chimica alterando le condizioni ambientali ha fatto scomparire anche una buona parte di quei microorganismi “buoni” che generavano enzimi attraverso cui, ad esempio, le piante morte si degradavano in concime, così come talune malattie che venivano combattute dalle piante stesse grazie a certi enzimi. Qualche ricercatore una quarantina di anni fa ha notato invece che si poteva intervenire non introducendo composti chimici artificiali, ma potenziando la presenza di quelle sostanze naturali già presenti in natura in grado di impedire o limitare la crescita di specie che creavano malattie o fenomeni putrefattivi, oppure devitalizzando i semi delle infestanti. Una volta scoperti, si trattava ovviamente di scegliere gli enzimi giusti fra le grandi varietà presenti in natura, di trovare il modo di produrli, conservarli, distribuirli. Ed ecco spiegato cosa fa la Ecoenzimi. E’ una industria di avanguardia nel suo settore, tanto per capirci in agricoltura, zootecnia, sanificazione si possono utilmente impiegare gli

Confronto fra gli apparati radicali di due piante di zucchine, quella di sinistra trattata con miscele enzimatiche


enzimi prodotti a Pontestura. e-mail: info@ecoenzimi.com; info@biosaneco.com Nei Che non sia la solita scoperta dell’acqua calda o pegprossimi numeri parleremo anche di altre “insospettabili gio la solita “bataria” ce lo dicono le Università che sconosciute” note in tutto il mondo. hanno esaminato le miscele confermando l’efficacia dei prodotti dell’azienda ma soprattutto i clienLe Prove svolte dall’istituto agrario Luparia ti ed i paesi di esportazione del prodotto, ne citiamo alcuni Brasile, India e Cina dove evidentemen- Miscela enzimatica per migliorare lo sviluppo e la salute delle piante, le qualità dei loro prodotti e lo stato di salute del suolo. te non sono ancora riusciti a “copiarlo”. L’Istituto tecnico agrario “Luparia” di San Martino di Rosignano il 19.12.2006 L’azienda dà lavoro a una mezza dozzina di operai ha stipulato una convenzione con un’azienda locale produttrice di una “Miscela ed a molti rappresentanti e possiamo dire che Enzimatica”: Ecoenzimi s.r.l, via Mellana 4, a Casale Monferrato. essa è, se non l’unica fra le poche in questo setto- L’obiettivo era quello di verificare attraverso prove sperimentali da sviluppare re, certamente la prima che ha iniziato a produrre presso l’azienda agraria dell’Istituto e presso aziende agricole sotto la guida dei docenti di Scienze Agrarie, gli effetti di accrescimenti produttivi e difesa sanitaquesti composti. ria sulle colture, le capacità miglioratrici e umifere apportate al terreno, lo Naturalmente le miscele sono state testate presso sviluppo dell’apparato radicale, gli effetti sulle produzioni e sulle qualità orgadiversi istituti di ricerca pubblici come l’Istituto nolettiche dei frutti. Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Ao- Questa esperienza è importante perché si tratta di prove che vengono eseguite per la prima volta. sta, al CDV Loren, sino all’istituto Luparia di cui La “miscela enzimatica” Ecoenzimi® è costituita da un gruppo di enzimi riportiamo anche i risultati. (amilasi, cellulasi, proteasi, fosforilasi, lattasi, lipasi, betalattamasi), acidi umici, Il titolare dell’azienda è un originale ed attempato microrganismi di origine vegetale ed alghe liofilizzate provenienti dai mari del signore che ha passato buona parte della sua vita nord Europa. Si tratta di un prodotto biologico contenente biostimolanti naturali che nel a fare il mercante d’arte e che circa 10 anni fa ha terreno può esplicare una funzione ammendante, nutritiva, fertilizzante, catadeciso, con alcuni soci, di mettere in piedi questa lizzatrice e biostimolante e allo stesso tempo migliorare il potere assorbente attività che a quanto pare a dispetto della crisi sta del terreno, favorire la captazione degli ioni degli elementi nutritivi più utili. La captazione degli ioni utili avviene a discapito di quelli indifferenti o dannosi avendo un certo successo. come il sodio. Fa piacere sapere che fra le nostre colline vi sono La “miscela enzimatica” Ecoenzimi® può facilitare lo sviluppo dell’apparato aziende e persone così intraprendenti, e non sono radicale può aumentare la crescita in volume e il numero delle radici, conferenle uniche. Per eventuali contatti tel 0142-453439 do ai vegetali maggiore vigoria e resistenza agli agenti biotici e abiotici. Altri esperimenti sono stati eseguiti dal prof. Marcello Vecchio nella azienda www.ecoenzimi.com - www.biosaneco.com;

Alcune delle aziende che utilizzano la miscele enzimatiche Azienda agricola "Il Girasole" di Marello Guido sito in Camino produzione di mais dichiara incrementi del 30% di produzione; Centro Ippico Moncestinese Sig. Agostino Bonanno impiega le miscele enzimatiche per la sanificazione dell'ambiente di scuderia e box; Donnafugata s.r.l. Via S. Lipari 18 - 91025 Marsala Sicilia; Podere Luen Strada Nuova Peagna 29 Ceriale (SV), il titolare Sig. Filippo Vigo premiato come miglior agricoltore dell'anno nel settore florovivaistico; Azienda Agricola Dario Rosso produttore del fagiolo borlotto di Centallo (CN) dichiara incrementi di produzione del 27% rispetto all'anno precedente; Azienda Viticola CASOLO della Sig.ra Lucia RAPETTI Frazione Casolo 15019 STREVI (Alessandria) – Italia Azienda Agricola Padana di Paolo Giuseppe Bobbio di Castellazzo Bormida (AL) coltivazione patate; Azienda agricola Paderno Mauro per la coltivazione del riso in asciutta, resa della coltivazione 4,2 quintali alla pertica su terreno sabbioso; Azienda Agricola Berger Carla sita in Castelorosso (To), produzione di mais, dichiara incrementi di produzione del 25% rispetto all'anno precedente; Azienda Agricola Sala Paolo sita nel comune di Suno (NO) produzione di mais per insilati dichiara incrementi della produzione del 30% rispetto all'anno precedente; Azienda vitivinicola Terre in moto Piazza Libertà 17 Santa Ninfa (TP) Azienda vitivinicola Marenco Claudio sito in Dogliani (CN) per la vite del Dolcetto da tavola; Patatino Store distribuzione on line dei prodotti vedi sito www.patatino.it

agricola di regione Casolo nel comune di Strevi in provincia di Alessandria. Le prove hanno interessato diverse colture come la vite, pomodoro, pesco. Le prove sulla vite interessano diversi aspetti agronomici: • Migliore il radicamento e lo sviluppo di barbatelle; • Difesa dall’Oidio (Uncinula necator, Oidium tuckeri) sulla vite.

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Gliele faccio vedere io... a fine novembre si conclude il concorso fotografico

… e i premi sono aumentati grazie a:

Braggio vini di Zenevreto di Mombello

Ristorantino

… a cena fuori di Murisengo

Ristorante

maneggio Caval bistrot di Moncestino

Azienda vinicola Castello di Razzano di Alfiano Natta

Ecoenzimi Di Pontestura Oltre ai vini della

Cantina del Rubino di Cantavenna di Gabiano gli aggiornamenti su www.gabianoedintorni.net 10

Continua il concorso per tutti gli amici di G&d su Facebook sono già arrivate le prime fotografie, sul nostro sito potete vederle. Aspettiamo anche le vostre. Intanto possiamo dire che si sono aggiunti altri sponsor all’iniziativa. Il ristorante “… a cena fuori” di Murisengo ha messo a disposizione cinque buoni cena; 12 bottiglie di vino doc dalla Azienda vinicola Castello di Razzano; Braggio Vini di Zenevreto di Mombello 12 bottiglie di vino; Ecoenzimi di Pontestura quattro cene al ristorante ed una serie di forniture di enzimi per l’orto ed il giardino. Ed ancora il Caval bistrot ristorante e maneggio di Moncestino mette a disposizione l’iscrizione per un anno al circolo con 5 ore di lezione al maneggio + 2 mezze giornate di escursione a cavallo. Oltre, naturalmente ai vini della Cantina del Rubino di Cantavenna. Forza ragazze e ragazzi amici di Facebook è l’occasione per dimostrare che alla nostra terra ci teniamo e soprattutto è l’occasione per farla conoscere al mondo! Cominciando in prima persona a conoscerla direttamente. Ricordiamo che i vincitori si recheranno personalmente a ritirare i premi presso gli sponsor. Sul sito di G&d c’è il regolamento! Attenzione la scadenza è il 30 novembre prossimo e da molti comuni non ci sono ancora arrivate fotografie.


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L’architetto, autodidatta e dilettante Conte Francesco Ottavio Antonio Blasio Magnocavalli

Un personaggio Monferrino nel senso più pieno. Note le sue opere in quel di Casale, meno quelle sulle nostre colline. Merita farsi un giro per vederle e ricordare l’originale autore

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Parliamo di un personaggio famoso che si dedicò a tante arti: scrittore, amministratore pubblico e architetto, ma che si definì sempre dilettante e autodidatta. Fra le attività svolte quella per cui oggi è più conosciuto (gli edifici si notano più degli scritti) è probabilmente quella di architetto. All’epoca molti nobili si dilettavano in Varengo di Gabiano questa arte. Numerose chieguì gli studi, secondo la tradizione se sono infatti presenti nei nostri familiare, presso il collegio dei noterritori costruite sulla base dei suoi bili di Parma, diretto dai gesuiti, progetti. Le sue realizzazioni sono dove rimase fino al 1727 facendovi fortemente influenzate dal Palladio le prime esperienze teatrali. Uscito e segnate dall'uso creativo del latedal collegio compì un breve viaggio rizio. Segnaliamo: le chiese dei Ss. a Milano. Negli anni universitari si Vittore e Quirico a Odalengo era dedicato alla vita gaudente tipiGrande, di S. Eusebio a Varengo ca della gioventù di Gabiano, che nobile dell’epoca, era il feudo di famiincappando anche glia, a S. Eusebio a in qualche inconFabiano di Solonveniente. Durante ghello, poi sempre le feste carnevalenelle nostre colline sche del 1731 a la chiesa di S. Maria Casale, lui ed una delle Grazie e l’oracomitiva di amici torio della Confracavalieri e dame si ternita di S. Micheerano mascherati le, a Moncalvo, con abiti ecclesianonché quelle di S. stici, usando anche Germano a San quello del CardinaGermano MonferraFabiano di Solonghello le Malpassuti che cuto e le chiese parrocstodiva la di lui nipote. Pare che chiali di S. Maria Assunta a Balzola, proprio Magnocavalli indossasse S. Grato a Penango. Sorvoliamo, l’abito cardinalizio. ma solo per motivi di spazio su Il fatto destò scalpore e la bravata quanto fece a Casale. gli costò la detenzione per poco più Magnocavalli nato il 1 febbraio di un mese nella fortezza di Ceva. 1707 a Casale Monferrato da Ippo"Rinsavito", dal 1733 fece parte di lito, signore di Monromeo, considiritto del Consiglio cittadino casagnore di Cuccaro e dal 1707 conte lese quale decurione nobile di pridi Varengo, titolo ereditato dal Mama classe, e ricoprì nei tre decenni gnocavalli e da Rosa Veronica Picca successivi numerose cariche pubbliPatrona. La famiglia paterna, nota che e amministrative: nel 1733 e in Casale dal secolo XIII, aveva nel 1737 ragioniere, nel 1734 provespresso giudici, notai e consiglieri veditore del Comune e nel 1736 comunali, ed era riconosciuta come sindaco di prima classe; dal 1740 al "famiglia di baldacchino" (patrizia) 1756 fu anche riformatore delle alla fine del XVI secolo. Rimasto regie scuole per la provincia del orfano di padre nel 1714, fu educaMonferrato. Rieletto consigliere to dalla madre fino al 1718; proseOdalengo Grande


(1756-60), fu di nuovo ragioniere del Comune nel 1757 e nel 1760. Nel 1738 il Francesco Ottavio sposò Felicia Gabaleone dei conti di Salmour, dalla quale ebbe sei figli. Tutti gli studiosi che hanno indagato sul Magnocavallo (nome spesso utilizzato in vece di Magnocavalli) hanno evidenziato come particolarità della sua produzione l’uso del paramano o mattone a vista che conferiva un gradevole effetto plastico e di luce evidenziando i chiaro-scuri specie se andavano a formare le tipiche scanalature sulle colonne. Per lo più le piante delle sue chiese sono rettangolari con una croce inscritta con presbiterio (che è la parte della chiesa riservata al clero officiante e che contiene l'altare o l'altare maggiore se ve ne è più d'uno) e l’abside (parete ad arco sul fondo della chiesa) semicircolare. Attorno la 1767 e il 1770 scrisse alcune tragedie: Corrado di Monferrato, Rossana e Sofonisba che ebbero buon successo nei grandi teatri di Parma e Venezia. Fu attivo sino in tarda età e morì ottantunenne a Moncalvo il 10 ottobre 1788. E’ emblematica del suo temperamento, del suo stile di vita e del metodo di lavoro una frase contenuta in una lettera ad un amico data 1784: “… corro l’anno ‘78 alchè riflettendo da alcuni mesi, e vedendomi assai vicino alla morte, ho abbandonato ogni studio per imparare a morire bene, che deve esser l’unico scopo delle mie azioni”.

Via Umberto 1° n. 15 - Murisengo

Testament d’in Munfrin Quand che la me vitta da sarà n’cò supplìmi ’n s’la culina d’San Roc, sutta qu’l urm maestùs ca l’marca la prima stela d’la sera.

Quando la mia vita sarà alla fine seppellitemi sulla collina di San Rocco, sotto quell’olmo maestoso che segna la prima stella della sera.

Ant’al matin sclenti d’ primavera da là vigarrò ancura l’bric da’n Crea - il pì vsìn al Paradìs d’ticc i curnisùn du sièl e, an scoss a u sulì, ‘na resta d’cà sghiraij con al campanil ‘n s’al spali e la me curt an mès, ambandieraja d’alsija ca la fa la vegia a la tur dal castè; e, ns al fianch d’tramontana, la me vegn-na, ‘na surgènt d’buntà che semp a m’bitava sej.

Nelle chiare mattine di primavera da là vedrò ancora il colle di Crea - il più vicino al Paradiso di tutti i cornicioni del cielo e, in grembo a quello, una serie di case scrostate con il campanile sulle spalle e il mio cortile in mezzo, imbandierato di bucato che si riflette sulla torre del castello e, sul versante di tramontana La mia vigna, una sorgente di bontà che mi metteva sempre sete.

L’era tit al me mund, cust, cun pochi speransi e tanta rasegnasiùn. Salve-lu da la rabbia e da u cimènt!

Era tutto il mio mondo questo con poche spernze e tanta rassegnazione. Salvatelo dalla rabbia e dal cemento!

E quand che j’omni j turnaràn a vrisi ben, standì là ‘n simma in pra mulsìn: santirrô la gent cantà ‘l Munfrà, i fiulòt a curi per giôgh nusènt, l’bisbià di murusìn e in vegg ca m’chinta di amìs mort an uera a vint’ani

E quando gli uomini torneranno a volersi bene, stendete sulla cima un prato soffice: sentirò la gente cantare il Monferrato, i ragazzini correre per giochi innocenti, il sussurrare dei fidanzatini e un vecchio che mi racconta di amici morti in guerra a vent’anni.

Il colle di Crea sul mare di nebbia

Il poeta: Alfredo Rota Le sue opere sono intessute di tenui accenti contrastati a volte da colorazioni vive ed accese, sempre cristalline e pure. Dotato di notevole fantasia fa trasparire dalle sue poesie il senso arcano e segreto delle umane situazioni.

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Osteria vineria Munfrà ad Alfiano Natta Piazza Vittorio Emanuele 1 - Tel e fax 0039 0141.922370 email: info@osteriamunfra.it

Un’osteria che riesce a coniugare cucina tipica monferrina, ed un ambiente raffinato ma familiare allo stesso tempo...

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Alle volte capita per caso; passi da qualche paese verso le 8,30 di sera in un giorno d’autunno, manca ancora una mezzoretta per arrivare a casa, e non hai voglia di metterti poi a far da cena. Vedi un’insegna invitante: Osteria Munfrà Vineria e ti dici: “...ma sì fermiamoci a fare un boccone veloce e poi a casa davanti al fuoco del camino ed alla Tv”, così abbiamo conosciuto, per puro caso questa osteria. Il paese è Alfiano Natta, l’osteria affaccia sulla piazza della strada principale che attraversa il paese, non puoi non vederla. Posteggi in uno dei tanti stalli disponibili, attraversi la piccola pertinenza antistante la vecchia casa con tanto di fontanella a cascate che cambiano colore grazie ad un gioco di luci, e ti trovi davanti alla porta del locale. Cerchi di entrare, è chiusa, leggi sul campanello: suonare; suoniamo, pochi secondi ed una signora ci apre e ci fa accomodare. Due belle salette con pochi tavoli, la seconda con il camino acceso. Ci accomodiamo al centro di quella. Atmosfera calda, accogliente musica di sottofondo (Mi corazon espinado), la ristrutturazione dei locali ha messo in bella vista il soffitto in mattoni a pavaglioni, il pavimento rifatto in cotto, tavoli e sedie in stile Arte povera, bellissime queste ultime classiche con seduta in paglia intrecciata. Alle pareti numerosi quadri tutti a olio, niente stampe o fotocopie, richiamano per lo più soggetti del mondo rurale, la donna che prepara la sfoglia, o contadini, frutti, fiori. Belli. Ci viene servito il menù in custodia similpelle di struzzo: interessanti le portate. Tipici monferrini, niente di stravagante... per fortuna. Anche la cantina è ben fornita 17 etichette disponibili con la possibilità di chiedere anche solo un bicchiere. Optiamo per un Barbera d’Asti superiore del 2006 delle Cantine del Castello di Razzano titolo alcolometrico di 15% ben superiore al 12% minimo richiesto dal disciplinare... Ingresso dell’osteria Munfrà

e i gradi si sentono tutti. Il prezzo è di 16 €, al bicchiere 5 €. La bottoglia viene aperta davanti a noi, ci viene fatto assaggiare il contenuto per giudicarlo. Ottimo. Sul menù spiccano anche altre due interessanti indicazioni: grattata di tartufo bianco 25 €, di tartufo nero 8 €. Apprezziamo le indicazioni chiare che riteniamo siano un valore aggiunto di serietà e professionalità dei conduttori dell’esercizio. Passiamo al cibo: siamo in due e come antipasti chiediamo una lingua di bue al bagnet vert ed una insalata di gallina su un letto di valeriana ricoperta da scaglie di parmigiano. Ottime entrambe; otto fettine di lingua coperte di una salsina, in cui il prezzemolo si riconosce solo dall’aroma, assai gustoso. Le fette di lingua a temperatura ambiente e condita al momento. In altri posti meno attenti le portate vengono conservate in frigo pronte e servite a richiesta fredde e con la salsa che ha perso la sua freschezza, non qui. Il pollo tiepido altrettanto piacevole nei suoi semplici accostamenti è altrettanto apprezzabile ed apprezzato. I primi prevedono fra gli altri tagliolini alla crema di porcini, agnolotti al sugo d’arrosto gnocchetti di patate alla bava. Noi li saltiamo a piè pari ma pur senza assaggiarli siamo sicuri che sono ottimi. Perchè?. Quando ti siedi a tavola entri e assaggi anche una sola portata capisci subito se il servizio, il cuoco sono curati, precisi, attenti; lo si capisce appena messo un piede nel locale. Di solito se l’ambiente e il servizio sono ben curati difficilmente la cucina sarà da meno e, salvo sorprese, la tavola di solito li conferma. A quel punto l’unico elemento che potrebbe contraddire è un prezzo inadeguato. Ma passiamo al secondo per vedere se ci sbagliamo. Optiamo per filettino con funghi e stufato d’asina con polenta. Pochi minuti di attesa le portate ci vengono puntualmente servite do-


in sala è la moglie po il cambio di e per l’occasione piatti e posate. anche la figlia stuSono ben calde le dentessa dà una fettine di polenta mano; ancora una abbrustolite al punvolta quindi una to giusto sulla griconduzione famiglia e le due carni… gliare. Franco, ci favolose. L’asina è spiega, gestiva un tenerissima straristorante noto a cotta si disfa al Moncalieri, la Rosa tocco della forchetStufato d’asina con polenta Rossa passato poi al ta, immersa nella figlio, ma per chi ha fatto il cuoco salsina dal tipico gusto e colore per una vita è difficile smettere ed acquisto col vino con cui deve esecco quindi l’Osteria, Vineria Munser stata irrorata durante la cottufrà, aperta da appena tre mesi e ra. Il filetto è tenero di suo ma ci mezzo ma, dopo averlo provato viene servito non solo cotto corretsiamo certi con un grande futuro tamente ma coperto da una salsa davanti. Non ci resta che il dolce e di funghi e funghi, veramente buocosa si può prendere al Munfrà se ni. Ai doverosi apprezzamenti che non i Martin sec cotti al barbera e rivolgiamo al cuoco che ha fatto una capatina in sala per verificare le pesche ripiene. di persona la soddisfazione dei I nostri lettori sanno meglio di noi clienti presenti (assai raramente come devono essere preparate le abbiamo avuto modo di assistere a piccole pere rugginose: calde coquesta bella abitudine indice di perte dal vino, cotte in forno con professionalità), inaspettatamente zucchero e qualche chiodo di garoci serve un assaggino di cinghiale fano, tutto ben condensato senza che altro non fa che confermarne esser rinsecchito; e le pesche con lo “stile” culinario. Ne approfittiamo l’impasto di amaretti al posto del per informarci sui gestori, infatti nocciolo. Così erano. Disponibile solo qualche mese prima, passando l’amaro a cui abbiamo però rinunper quella piazza il locale non c’era. ciato. Prezzo 30€ a testa vino eIl titolare del locale un cordiale e scluso. Dobbiamo dire che il Muntipico cuoco non più giovanissimo e frà dell’Osteria ha conservato il certamente esperto è Franco Vennome, ma servizio e portate sono turelli, la distinta signora che serve certamente da ristorante stellato.

Il sommelier racconta … (dalla terza pagina) selezionato, e di conseguenza un vino più apprezzabile, esprimendo le sue vere caratteristiche. Una considerazione personale mi fa pensare alla reazione dei nostri nonni vignaioli come sarebbero rabbrividiti nel vedere ai piedi dei filari una grande percentuale di grappoli a terra che vengono gettati… però!!! il gioco vale senza dubbio la candela. Come abbiamo accennato la gradazione minima dovrà essere dell’ 11,50% ed il vino dovrà essere messo in commercio solo dopo il 31 Dicembre dell’anno successivo a quello della vendemmia. Non si prevedono, e non sono consigliati invecchiamenti particolari. Le sue caratteristiche sono un colore rosso rubino (da cui il nome) dovuto all’uso

prevalente dell’uva barbera, ma una tendenza al granato (dovuta all’anno di affinamento) è apprezzabile. L’odore e’ vinoso, (tipico del vino non invecchiato) e al gusto si presenta pieno con una leggera persistenza di tannini. Lo potremo abbinare a tutti i piatti della cucina piemontese, salumi, arrosti leggeri, e formaggi di poca stagionatura. Lo serviremo in calici di medie dimensioni, rigorosamente riempiti ad un terzo dell’ampiezza, stappando la bottiglia circa un’ora prima del servizio, ad una temperatura di circa 18 gradi. Sperando di aver dato qualche notizia utile alfine di valorizzare e far conoscere il nostro territorio e i suoi prodotti, mi congedo da Voi e… arrivederci alla prossima.

Come aiutare il “tuo” territorio ? facendo pubblicità su: G&d cartaceo Un modulo (pari a 1/4 di colonna) h mm 68, largh. mm 63, nelle pagine interne b/n €15,00; in penultima pagina a colori €20,00; in ultima pagina €25,00; Pagina intera = 12 moduli. www.gabianoedintorni.net posta@gabianoedintorni.net oppure su: www.collinedelmonferrato.eu Una pagina web con foto e testi a €190,00. Inserimento dati aziendali (100 battute corpo 10 o equivalenti) canone annuo di 15,00€. Siti personalizzati ed indipendenti su preventivo. info@collinedelmonferrato.eu (prezzi Iva esclusa)

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Tamburello

quella competizione. Negli anni a venire ci fu il vero boom del tambu(dalla seconda pagina) rello e allora via alla costruzione di buoni propositi. Alle ore 14:30 il fidue nuovi impianti, uno a Cerrina schio d’inizio contro la formazione Alta e l’altro a Cerrina Valle. Sfide del Ciserano (BG). I rivali, fra le loro infinite, discussioni da campanile, file potevano contare sull’esperienza corsi e ricorsi, questo era anche il di Lego, fondocampista con lusintamburello, con le due formazioni ghieri trascorsi ad alti livelli e sulla locali pronte ad accaparrarsi il misfrontatezza di gioco del giovane glior giocatore “veneto” in circolazioLombardi, il migliore fra gli orobici. Il ne. Terminato il ciclo del torneo del Gabiano, apparso da subito nervoso, Monferrato, diventato ormai una conquistava il primo gioco, ma cocompetizione nazionale ed eccessivastretto sempre ad inseguire nel promente costosa, si ritorna agli albori, seguo dell’incontro. Mancato l’agcon la nascita intorno agli anni otgancio in almeno due occasioni, la tanta del “Torneo delle Colline”, che squadra si disuniva e non riusciva a vede primeggiare per molti anni la dimostrare il proprio valore, permetformazione del Cerrina. Qualche antendo agli avversari del Ciserano di no in serie B con eccellenti risultati, laurearsi campioni italiani di serie D e poi lentamente negli anni novanta con il punteggio di 13 a 9. Compliuna lenta caduta con l’abbandono menti agli avversari, ma qualche rimdefinitivo del campo di Cerrina Alta. pianto per la formazione Gabianese, Con l’arrivo del nuovo millennio, nasicuramente non inferiore tecnicasce una nuova società, il Real Cerrimente, ma incapace di esprimere un na che partecipa a diverse competigioco efficace e spumeggiante come zioni sul campo di Cerrina Valle ricreaveva dimostrato nelle precedenti ando in poco tempo la passione e la occasioni. voglia di tamburello nella Valcerrina. CERRINA: Presieduta da Goffredo Chiappino, PANE E TAMBURELLO con l’aiuto di diversi soci-volontari, In principio il campo era la piazza del fra cui l’instancabile Pier Angelo Capaese, appena sotto la chiesa. Le ne, ospita da diversi anni il 3 contro poche auto venivano fermate e fatte 3. Negli ultimi anni, oltre al classico transitare dopo l’aggiudicazione del tamburello da sempre praticato, la società investe sulle giovani atlete del pallone leggero, crea una squadra che ben figura nel torneo a muro di serie B e quest’anno si classifica con la formazione maschile under 12 al primo posto del torneo a muro. Grazie agli interventi strutturali sullo sferisterio, finanziati dalla Amministrazione Comunale, il Real Cerrina Serie B Muro 2011 campo di Cerrina 15. Ci giocavano un po’ tutti, i vecchi Valle è uno dei migliori campi per la se ne stavano a guardare, commenpratica sportiva del tamburello, autavano i colpi, giudicavo i migliori. gurandoci che possa nel breve futuro Nel 1965 nasce il primo torneo del ospitare competizioni di primo livello Monferrato, sei squadre a contenderper la gioia dei tanti appassionati. si la vittoria e puntuale il Cerrina si ALFIANO NATTA: presentava al via con il nome di GaTAMBURELLO DI CONFINE biano-Cerrina. Giulio e Giuseppe ZaAlfiano è un piccolo e ridente paese notto, Angelo Capra, Giulio Ferraris, a cavallo fra la Val Cerrina e la Valle Ardingo Garretto erano i componenti Versa. Ultimo baluardo del tambureldi quella formazione che si aggiudicò lo alessandrino, ha già nella parlata

dei suoi abitanti qualche inflessione del dialetto astigiano. Una volta si giocava ovunque. Villadeati, Zanco, Castelletto Merli, Odalengo Piccolo, Guazzolo avevano tutti la propria squadra. Poi un lento declino, forse una passione mai del tutto sopita, ma solo Alfiano ha continuato a portare avanti questa tradizione sportiva. Il campo si trova appena fuori il paese, a lato della strada e appena sotto un paesaggio da cartolina, fra colline e campanili, reso ancora più gradevole dalla fioca luce del sole d’autunno. Nella sua storia tamburellistica Alfiano, è sempre stato presente ai tanti avvenimenti sportivi, succedutisi in questi anni. Dagli albori del Torneo del Monferrato, al Torneo delle Colline ai campionati federali. La passione, il sapere tamburellistico si è tramandato come un vecchio mestiere, di padre in figlio, come una naturale conseguenza del vivere in questo paese. Uno dei migliori apprendisti, oramai giocatore maturo e navigato è sicuramente Paolo Baggio, che ha portato il tamburello Alfianese ad altissimi livelli. Dopo aver mosso i primi passi sul campo di casa, il Castelferro (campione d’Italia di Serie A per sei anni consecutivi) lo inserisce nel proprio organico, con l’obiettivo di farlo maturare tecnicamente. Terminata questa avventura, girovaga fra diverse squadre di serie B, risultando uno dei migliori fondocampisti e vincendo il titolo italiano nel 2008 con il Carpeneto. Dal 2009 ad oggi gioca stabilmente in serie A, concedendosi anche il lusso di sconfiggere nel 2010 i pluricampioni d’Italia del Callianetto. Gli amici di Paolo, continuano a portare avanti la tradizione in paese, partecipando ormai da diversi anni al campionato di Serie D con alterne fortune. Quest’anno dopo aver disputato un’ottima stagione, escono sconfitti nella semifinale per l’aggiudicazione del titolo regionale per mano del Gabiano. I giovani che appresero “l’antica arte” di picchiare una pallina con il tamburello, ormai sono giocatori adulti. I paesi, ormai sempre più vuoti, fanno fatica a trovare nuove leve per tramandare il bacillo di questo sport. Ad Alfiano, per ora, risuona ancora quel caratteristico tam tam, non solo un suono grezzo, ma una dolce musica per i tanti ricordi di questo paese, con la speranza che qualche giovane apprendista possa imparare a suonare.


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