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Gabiano e dintorni

Il periodico dal Nost MunfrĂ

G&d

Marzo 2014

Tradizionale distribuzione di fagioli con cotiche e salamini a Sessana. Foto Enzo Gino


Elezioni: programma da… copiare Il Monferrato può diventare la fucina di un nuovo modo di amministrare che coniuga tradizione e innovazione

Un bell’esempio di recupero architettonico che può essere assunto come metafora del “ritorno al futuro” che può assumere il nostro Monferrato è la sede del Museo della Pietra da Cantoni a Cella Monte (nelle foto)

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Come promesso ecco alcuni spunti per una ammi nistrazione “monferrina”. Si tratta di una serie di idee che, a discrezione di chi intende presentare programmi elettorali per le prossime comunali può liberamente “saccheggiare”. Il problema non sarà ovviamente scriverle nei programmi ma… attuarle. In tal senso G&d associazione e media promuoveranno dopo le elezioni incontri, per collaborare con gli amministratori eletti, ed anche con associazioni, gruppi o persone di buona volontà dei diversi comuni Monferrini, che intendano agire per realizzarle. Premesse Il cuore di questo programma è un grande progetto che riporti al centro della politica, non solo a livello amministrativo locale, ma anche negli enti sovraordinati e soprattutto nella cultura delle persone: il territorio. Vogliamo avviare un processo di recupero del territorio che non può più essere visto come un mero oggetto di sfruttamento specialmente da parte di soggetti estranei ad esso o di marginalizzazione e abbandono, ma deve tornare ad essere ciò che da sempre è stato: parte della co-evoluzione con i paesani che con il territorio e sul territorio ci vivono, convivono e lavorano. Riteniamo necessario il ritorno ad esso come Valore non per una mera questione ideologica ma perché crediamo che questa sia l’unica strada oggi praticabile per garantire un adeguato livello di benessere a chi lo abita ed un futuro per le generazioni prossime. Nel mondo globalizzato di cui sempre più faremo parte, al di là delle nostre scelte, è necessario immaginare e realizzare una progetto, uno

stile di vita, una economia in grado di sottrarre le realtà locali costituite da comuni piccoli e medi, dalla progressiva marginalizzazione, anticamera della loro scomparsa. Questo progetto prevede di ritessere i fili interrotti dalla delocalizzazione produttiva, agricola, energetica, alimentare, recuperando i rapporti economici e di convivenza ambientale, civile, sociale, culturale tipici del terroir e delle persone che lo popolano. Il territorio nelle sue declinazioni La cultura comune: tradizioni, storia, economia, ambiente, collettività sono sempre state tipiche di ogni territorio. Proprio per meglio relazionarsi con esso ogni civiltà ha sviluppato le proprie conoscenze, il proprio saper fare, il proprio genuis loci peculiare e diverso da luogo a luogo. Ogni territorio con caratteristiche geologiche, climatiche, ambientali, topografiche simili, ha quindi inevitabilmente tratti culturali comuni, che si riflettono nella storia, nella vicende, nella tradizioni, abitudini, consuetudini, lingua, conoscenze, credenze, gusti. Così si sono formati nei secoli nuclei di comunità con tratti comuni: il Monferrato ed i Monferrini sono una di queste, una delle tante comunità d’Italia e del mondo, tutte fra loro distinte e tutte con pari dignità tutte unite da un filo comune: la loro originalità. L’economia: da sempre l’economia Monferrina è stata strettamente legata alla terra, che secondo le epoche ha ospitato grandi boschi o estesi coltivi di varie tipologie vegetali, in particolare vigne, che ne facevano comunque un territorio ricco e fertile ambìto dai potenti. Castelli e case coloniche, borghi e frazioni, paesi, campi, corsi d’acqua, strade e sentieri, mercati e feste si sono per secoli evoluti insieme, per secoli un unico “ingegno” le ha realizzate con una


funzione principale e sostanzialmente unica, valorizzare al meglio ciò che la terra offriva. Case realizzate con le locali pietre da cantoni, con stalle, fienili, pollai ed aie per tanti usi, strade che conducevano nei campi coi carri, piuttosto che sentieri da fare a piedi, pozzi da cui prelevare l’acqua, le tipiche casette dei campi per il ricovero degli attrezzi, fiere per l’acquisto di quegli attrezzi e mercati per vendere al meglio ciò che veniva prodotto, dìdlafesta per onorare e ingraziarsi i santi ma anche incontrare una volta all’anno i parenti che abitavano nei paesi vicini o, sul ballo, coloro che potevano diventare i compagni/e di una vita, sport come il Tamburello. Non è utile una agricoltura meramente dipendente dalla economia internazionale, dal business, dalla competizione sui mercati eurasiatici, ci interessa invece, come da tradizione, una agricoltura destinata a soddisfare i nostri bisogni, quello di cibi buoni, di un ambiente sano, di rapporti sociali amichevoli e solidali di una cultura del fare e del saper fare che ci appartiene perché è nostra e non completamente delegata ad altri. Così come la biodiversità è la base di una ambiente “resiliente” ossia in grado di dare risposte, di sapersi difendere dalle inevitabili mutazioni e trasformazioni cui è naturalmente (o artificialmente) sottoposto un ecosistema, analogamente una società umana costituita da tante “varietà” da tanti “saperi” da tanti territori, è in grado di garantire nel modo migliore le esigenze delle collettività che lo abitano. Le proposte La filiera del Bosco Creare una filiera del legno può essere una interessante prospettiva partendo dalla creazione di Consorzi che dalla “coltivazione” dei boschi con essenze autoctone (anche tartufigene), prosegua con prelievi mirati e calibrati nel tempo, come insegnano le moderne scienze agrosilvopastorali, per arrivare agli abbattimenti programmati ed alla essicazione e lavorazione per le destinazioni finali si può ottenere

legno da costruzione, per mobili o per finalità energetiche: cippati, pellet, legna da ardere. Un processo che può coinvolgere le aziende che operano nel settore già presenti nel nostro territorio e richiamare quelle degli Boschi del Monferrato Recuperare secondo alcuni orientaanelli mancanti per il completamenmenti: to della filiera. Il bosco è una risor1) salvaguardia e valorizzazione sa immensa oggi completamente estetica dell’architettura, dai comtrascurata ponenti costruttivi: infernot, pozzi L’agricoltura per l’acqua (anche piovana) da Promuovere le produzioni agricole tipiche locali per mercati vicini riutilizzare per irrigazione o, oppor(km0) valorizzando i prodotti anche tunamente trattata, per usi civili e introducendo marchi di qualità, alimentari, ex letamai oggi utili per lo smaltimento dei rifiuti biodegrafavorendo il commercio anche atdabili; ai materiali: pietre da cantotraverso convenzioni con i Cral ni, tetti di coppi, legno; all’urbani(Circoli Ricreativi Aziendali per i Lavoratori) e con i G.A.S. (Gruppi stica: terreni di pertinenza per zod’Acquisto Solidale) e quando posne orto, giardino e frutteto, presibile recuperando un allevamento senza di portici per deposito legname, attrezzature agricole, e autonaturale in grado di relazionarsi con manutenzione degli immobili e dele attività agricole. gli strumenti d’uso quotidiano, Realizzazione delle Case del Monferrato in cui coloro che lavorano i orientamento est-ovest delle resiprodotti del territorio (confetture, denze con esposizione prevalenti a conservati, miele, vino, torte tipisud utili anche per il risparmio energetico; che, salumi, formaggi…) possono 2) applicazione delle tecnologie allestire stand in cui commercializcostruttive in grado di offrire almezare e pubblicizzare i loro prodotti. Valorizzare al massimo il territorio e no una parziale autoproduzione l’ambiente straordinario in cui viviamigliorando la qualità della vita mo favorendo attività strettamente limitando il fabbisogno energetico, idraulico, alimentare e l’accesso legate ad esso spesso osteggiate, alla conoscenza ed informazione condizionate ed impedite da condi(wifi libero). zioni di mercato e di burocrazia sfavorevoli che devono essere radi3) recupero dei centri urbani favocalmente riconsiderate. L’ambiente costruito Gabiano e dintorni Tradizionalmente la nostra civiltà Autorizzazione n° 5304 del 3-9 contadina è sempre stata più che -99 del Tribunale di Torino; attenta all’uso delle terra, non a Direttore Responsabile Enzo caso i paesi sorgevano sulle colline GINO - Sede: via S. Carpoforo e le zono pianeggianti più umide e 97 - Fraz. Cantavenna 15020 Gabiano - Stampato presso A4 più facilmente lavorabili erano predi Chivasso (TO) - Associaziovalentemente destinate alla coltivane Piemonte Futuro: P. Iva zione. Oggi questo spirito può esser 02321660066; Distribuzione declinato secondo un diverso profigratuita; Per informazioni e lo: ridurre il consumo di suolo, pubblicità: cell. 335-7782879; fax 0142-271061 ovunque possibile, e favorire il ree-mail: cupero del patrimonio edilizio esiposta@gabianoedintorni.net stente. www.gabianoedintorni.net www.collinedelmonferrato.eu

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Mercato di prodotti tipici locali

rendone l’incontro fra domanda e offerta di quelli in vendita per realizzare nuovi insediamenti di attività commerciali, artigianali, residenziali e di servizi. Mercati e manifestazioni Essenziale il recupero e la valorizzazione delle tradizioni che sono le radici su cui l’evoluzione, che il tempo impone, deve svilupparsi. Non si tratta evidentemente di ritornare al passato, che per sua intrinseca definizione non potrà mai tornare, ma di trarre insegnamenti dal passato per costruire un nuovo futuro. Per questo le manifestazioni devono diventare l’occasione per rinsaldare l’appartenenza alla comunità, non solo gustando le tradizioni enogastronomiche della nostra terra ma anche per qualcosa di più come la conoscenza della storia, della cultura, del territorio, delle persone. Non ci dovrebbe essere didlafesta senza una mostra di fotografie di “com’eravamo” o di attrezzi agricoli, o di rievocazioni storiche o di letture della tradizione letteraria Monferrina, di filmati del territorio, di dibattiti sul temi territoriali, personaggi, edifici storici, racconti di vecchi. I mercati sono poi i luoghi ideali per riappropriarsi di un pezzo di economia “persa” nei supermercati delle grandi città. Mercati da valorizzare in cui si devono poter vendere o

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acquistare i prodotti locali non solo agricoli, accorciando la catena della distribuzione ma prevedendo spazi per l’artigianato locale, per le agenzie per la vendita o affitto di case nel Monferrato, o per organizzare viaggi e soggiorni sul nostro territorio, per pubblicizzare le manifestazioni che si susseguono sulle nostre colline. Nei mercati dovrebbero esser previsti anche luoghi di incontro in cui semplicemente parlare, discutere scambiarsi pensieri e parole, come in una sorta di Agorà. Per realtà territoriali molto frammentate in borghi, frazioni, case sparse può essere un bel momento d’incontro. Anche qui la presenza di mezzi di comunicazione come un video che trasmettono informazioni, notizie, aggiornamenti del e sul territorio è importante per rafforzare il senso di comunità. Comunicazione La comunicazione è lo strumento attraverso cui le civiltà si affermano o scompaiono. La storia si distingue della preistoria proprio per l’introduzione della scrittura, la prima forma di comunicazione che ha lasciato un segno nei secoli di ciò che è accaduto. Assenza di comunicazione è spesso indice di morte, sociale, culturale, personale. La comunità è innanzitutto comunicazione, scambio di conoscenze, sensibilità, saperi. Specialmente nei

momenti difficili della storia, in cui si richiede la collaborazione da parte di tutti, è necessario che le amministrazioni si dotino di strumenti di comunicazione in grado di far conoscere ai cittadini le motivazioni delle scelte che si andranno a compiere, le difficoltà che si dovranno affrontare e le opportunità che si potranno cogliere. L’esperienza di Gabiano e dintorni, i siti web, le tv streaming oltre a periodici incontri pubblici, sono mezzi che hanno costi accessibili in grado di assolvere a queste esigenze. Le sedute del consiglio e della giunta dovranno essere rese pubbliche in diretta streaming e periodicamente sindaco e assessori, oltre ai consueti orari per incontrare i compaesani presso il Comune, potranno promuovere collegamenti video. Ma la comunicazione dovrà essere anche lo strumento principe per far conoscere il nostro territorio: dalla realizzazione di video da mettere in rete su Youtube e su altri canali dedicati, a Tv streaming alle News letter potranno essere predisposte per queste finalità. Va estesa per quanto possibile la rete WiFi free nell’ambito comunale per consentire l’accessibilità alle aziende presenti e richiamarne di nuove, oltre che garantire ai compaesani di poter facilmente dialogare con la Casa Comune. Si organizzino anche corsi gratuiti per consentire a chi lo desidera di imparare a servirsi di questi nuovi strumenti. In particolare verranno promossi corsi ad hoc per i gruppi e le associazioni che operano sul territorio per diffondere le conoscenze necessarie a confezionare i contenuti da comunicare sulle attività svolte e di valorizzazione del territorio. La comunicazione è l’elemento essenziale per il rafforzamento del senso di appartenenza alla comunità che oltre ad essere diffusa e diversificata in funzione delle abitudini dell’utente (dal giornale ad internet) deve garantire la conoscenza e possibilmente la partecipazione attiva dei paesani ai processi sociali.


Le monete complementari genze, difficoltà, risorse e caratteoltre che delle istituzioni. Importante attuare una serie di ristiche territoriali peculiari di cui è I tempi persi a capire le complesse iniziative di sostegno all’economia necessario tener conto per passare procedure o a fare le file agli sporlocale come l’introduzione, con una da una politica economica che martelli sono pezzi di vita sottratti alla delle diverse modalità possibili, di ginalizza queste realtà ad una polifamiglia, allo svago al riposo o al moneta complementare già ampiatica di valorizzazione delle risorse e lavoro quindi costi per i cittadini mente sperimentate in tante realtà delle ricchezze di cui essi dispongoche si aggiungono a quelli econolocali. Si va dal Munfrin sorta di no facendoli tornare protagonisti mici che già devono versare allo buono sconto, senza costi per le nella crescita e nel benessere sostato nelle sue diverse forme. Deaziende, da distribuire ai consumaciale. vono essere attuate tutte quelle tori affinché siano invogliati a fare Non si tratta di chiedere contributi iniziative possibili per introdurre acquisti nel territorio, alle banche e risorse ma di investire in quella processi di semplificazione, traspadel tempo: una sorta di disponibiligrande risorsa che si chiama terrirenza, conoscenza e supporto ai tà di tempo che, chi vuole, può torio per arrivare nel breve medio compaesani nello svolgimento delle offrire per un ben definito servizio periodo a garantire economie locali azioni che la legge ad essi richiede. (ripetizioni scolastiche, rammendo attive e vitali non solo per i paesani Possibilmente anche attraverso la capi, preparazione torte o pranzi, che vivono e lavorano sulle nostre formazione di volontari che anche accompagnamento a scuola, ritiro colline magari da generazioni ma a domicilio, specialmente per gli posta, giardinaganziani possano gio, ecc.) e ripafornire un supporgata con la dito per affrontare i sponibilità di altri quotidiani problea lui. Analogo mi di rapporto con servizio può esla P.A. e non solo. sere introdotto Patrimonio edifra le aziende e lizio per le aziende, Il processo di perche anziché esdita di popolazione ser pagate in e del suo progresdenaro vengono sivo invecchiapagate con servimento ha portato zi e materiali di ad un crescente cui si servono. numero di immoTasse locali bili sostanzialmenMai come in paste abbandonati sato la nostra Le più diffuse associazioni di volontariato sono le Pro-Loco con conseguente nella foto quella di Moncestino comunità sta degrado delle noattrav ers ando stre bellissime anni di incertezza e difficoltà, ananche nell’interesse della Comunità frazioni. (…) che economiche, come quelli attuavasta. Continua sul prossimo numero li. Rifiuti Alle amministrazioni locali viene Analoga iniziativa volte a ridurre i spesso affidato da parte dello Stato costi di smaltimento dei RSU interl’ingrato compito di diventare esatvenendo sulla varietà e quantità tori per conto di altre istituzioni e dei rifiuti solidi urbani anche attraquesto è particolarmente inaccettaG&d cartaceo distribuito nel solo verso l’introduzione di distributori bile specialmente per i Comuni che Comune di Gabiano, è stato ardi prodotti sfusi e con iniziative atte sono gli enti più vicini alle popolaricchito da un inserto: - Vita in a promuovere a livello dei produtzioni, ancor più inaccettabile per i comune - dedicato esclusivatori dei beni di consumo i costi di piccoli comuni dove i sindaci conomente alle questioni amministrasmaltimento degli imballaggi destitive comunali. scono spesso di persona i compaenati al rifiuto. I lettori di G&d nei format telesani. E’ quindi prioritario interveniFavorire per quanto possibile il riumatici che non possono accedere, quando leggi e risorse lo conso, la riparazione, limitando l’usa e sentono per applicare le aliquote di re al cartaceo, ma sono interesgetta. competenza comunale, più basse sati a ricevere la News letter di Semplificazione e supporto possibili. Vita in Comune - possono richieamministrativo derla a : E’ necessario inoltre che le istituE’ unanimemente riconosciuto coposta@gabianoedintorni.net zioni sovraordinate si rendano conme la burocrazia incida sui costi e to che i piccoli comuni hanno esisulla qualità della vita dei cittadini

Vita in Comune

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Com’è difficile gestire un piccolo negozio Che le burocrazie siano sempre più lontane dai problemi della gente specialmente da chi ha l’ardire di intraprendere qualche attività, è cosa nota. Da tempo infatti costi, disfunzioni, pretese inutili, appesantiscono sino a rendere impossibile il prosieguo dell’attività specialmente dei piccoli negozi con il risultato di danneggiare un territorio e chi ci abita. Infatti chiuso l’ultimo esercizio pubblico del paese, l’ultimo momento di vita collettiva resta, se già anch’essa non ha chiuso, la chiesa. Scriviamo ora su alcune di queste difficoltà. Se un gestore vuol vendere le sigarette del monopolio nel suo negozio (già preventivamente autorizzato), nessun problema, basta fare un corso di 72 video lezioni on line della durata complessiva di 24 ore e di 500 € +Iva. Così smesso di lavorare alla 19:30 dopo cena, se il titolare del negozio ci riesce si mette al computer e comincia a leggersi le lezioni per cercare di capire cosa vogliono questi dello Stato da lui. Ma c’è anche una alternativa, può recarsi 3 giorni ad Alessandria, al costo di 7-800 € sempre +iva, a seguire le lezioni. Quindi, esamino ad Alessandria o a Torino: altra giornata da dedicare a questo obbligo: 30 domande a risposta multipla e poi aspetti qualche mese per sapere il risultato, se è negativo tutto da rifare. Ma se è fortunato potra vendere qualche pacchetto di sigarette. Sì perché i piccoli negozi non se ne vendono a quintali, ma giusto qualche stecca ai compaesani viziosi incalliti. Qualcuno dirà: ma con quel corso può vendere i numeri del lotto, i valori bollati, pagare bollette, peccato che spesso nei centri rurali non ci sono migliaia di utenti e quindi al massimo puoi vendere qualche pacchetto di sigarette. Sigarette che i rivenditore deve andare a prendere a spese tue, non solo di viaggio ma anche di anticipo dei costi, a Chivasso o a Tortona, centri di distribuzione (o pagare un

corriere che li consegni) ed i prezzi sono ovviamente bloccati, essendo monopolio di stato. La richiesta deve essere fatta almeno 5 giorni lavorativi prima e deve pagare anche l’inscatolamento delle sigarette che chiede. Gli utili (il cosi detto aggio) per il piccolo commerciante, è irrisorio, attorno al 10% lordo delle tasse e delle spese citate. A questo si aggiungono le periodiche variazioni di prezzo che se, come è accaduto l’ultima volta prevedono una riduzione del prezzo, scaricano su di lui i costi, infatti nessuno gli restituirà la differenza delle scorte di magazzino, rispetto al nuovo prezzo che è tenuto a praticare. E per i giornali? Anche se qui lo stato c’entra relativamente poco (e comunque le legislazioni fumose che consentono vere e proprie truffe hanno anche la loro responsabilità) un sistema di burocrazie e vere e proprie caste, più o meno monopoliste, condizionano il mercato. Così se vuoi vendere giornali il sistema, teoricamente, prevede che il negoziante faccia richiesta delle copie che pensa di vendere, il distributore provvede a fornire dette copie ed a ritirare i resi che vanno a scalare le fatture delle successive vendite. Apparentemente semplice e funzionale, peccato che ci sono una serie di: ma anche… Ma viene anche chiesta una fidejussione ai negozianti, circa un migliaio di € che, per chi vende qualche copia dei principali periodici è un costo: avere dei soldi bloccati che non puoi spendere o non averli è la stessa cosa. Ma non è poi detto che ti mandano le copie che chiedi, pare infatti che ci siano altre esigenze a governare le consegne, spingere un prodotto piuttosto che un altro, fa sì che magari ti mandino un eccesso di copie di uno che nessuno cerca e un altro molto richiesto, al negozietto non viene dato. Ma anche se qualcuno sospende l’acquisto di qualche collezione (per capirci citiamo ad esempio e fascicoli di enciclopedie, piut-

tosto che raccolte di modellini di macchinine e simili…), devi mandare richiesta scritta per posta perché per certi distributori, internet, e-mail, telefoni, sono ancora roba che si mangia. Comunque il negoziante ogni sera dovrebbe dedicare il suo tempo a inventariare l’invenduto da restituire e se si sbaglia o lascia passare troppo tempo… driin, tempo scaduto, perde i soldo anticipati. Ma anche alla mattina, quando arrivano i cosiddetti cesti che dovrebbero contenere le copie dei diversi periodici richiesti, capita che i corrieri sbaglino le consegne, così le richieste di un negozio di Camino ad esempio finiscono a Mombello o chissà dove. Pazienza qualche giornale mancherà e qualche cliente resterà senza, che volte che sia… Come sempre o sei un grande venditore o sei condannato a smenarci soldi perché se un piccolo negoziante con tutta la sua buona volontà, volesse fornire un servizio al cliente, oltre che dare una occasione in più al cliente per entrare nel suo negozio, anche con i giornali o le sigarette finisce per perderci. Il tragicomico delle vicenda è che può capitare che, giusto per fare un favore a qualche compaesano, magari anziano o affezionato cliente, il titolare di qualche piccolo negozio di paese chiede ad un amico o parente che si reca al paese vicino a prendersi un caffè al mattino, di acquistargli qualche copia richieste dai compaesani, senza guadagnarci nulla ma… commette un reato… non si può fare. In assenza di distributori seri e soprattutto di concorrenza, chi opera in regime di sostanziale monopolio fa e disfa come gli pare, risultato per i piccoli negozi un servizio inefficiente, anche perché il servizi reclami nel migliore dei casi, sono dei labirinti telefonici in cui aspetti, senti musichette, o peggio pubblicità di servizi d’oro a parole ma di m. nella realtà. Ma c’è anche chi non risponde o ti manda a quel paese...

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L’olocausto dei contadini

Anche i contadini in alcune epoche sono stati oggetto di genocidio, ricordiamo il più cruento...

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Chi ci ha letto gli scorsi numeri di G&d ricorderà che abbiamo scritto di Territorializzazione, ricorderà molti passaggi in cui si ribadiva la necessità di riconsiderare il territorio e la campagna, non come mero elemento di sfruttamento da parte di soggetti ad essi esterni se non estranei, ma bensì come un sistema che si è evoluto nei secoli insieme agli abitanti che su esso hanno lavorato, vissuto, costruito e tramandato tradizioni, storia cultura ed anche spesso floride economie. In passato le campagne erano essenziali per ogni stato piccolo o grande che fosse, ed i processi di trasferimento, il cosiddetto inurbamento, nelle città è stato scandito sempre dalle trasformazioni che in campagna consentivano a meno addetti di produrre più alimenti. Per capirci nel 1900 su 33.570.000 italiani il 43,8% erano agricoltori, nel 1960 su 50.045.000 erano passati a 29,1% nel 2010 sono scesi a meno del 4% Il rapporto fra città, sedi del potere istituzionale e legislativo e delle campagne dove si produceva il bene primario per la sopravvivenza degli stati ossia il cibo, non è sempre è stato idilliaco, anzi. Il conflitto esplodeva, non solo per questioni di dipendenza economica, ma anche per la diversa cultura che da sempre ha caratterizzato queste due forme di insediamento umano. Il contadino proprio grazie al legame con la terra è sempre stato un soggetto più indipendente, più libero rispetto a chi nelle città, nelle fabbriche e nelle altre attività produttive dipendeva in maniera totale da mercati, finanza, tasse, leggi regolamenti, in una parola: dalle istituzioni. In campagna era relativamente agevole costruirsi una casetta e con un orto, qualche animale, un po’ di legna e un pozzo le famiglie potevano dirsi indipendenti, disponendo dell’essenziali per vivere. Diverso in fabbrica dove ogni centesimo doveva essere discusso e trattato con i “padroni” fossero datori di lavoro o proprieta-

ri di casa e dove un aumento di prezzi al consumo degli alimentari poteva rendere insostenibile il vivere quotidiano. Il contadino era meno controllato e controllabile come lo sono le persone libere, diversamente da coloro che nelle città dipendevano in maniera esclusiva dalla organizzazione sociale e soprattutto da chi le gestiva: lo stato. Va da sé quindi che quelle masse di contadini in certi momenti storici non fossero ben viste dai poteri costituiti che tutto facevano pur di sottometterle al loro controllo. In certi casi ciò avvenne anche in maniera violenta con veri e propri genocidi come nel caso dello sterminio dei kulaki ucraini da parte di Stalin. Questo termine in origine connotava semplicemente i contadini proprietari, in seguito dopo le persecuzioni staliniste, divenne dispregiativo dandogli un significato di nemici del regime. Si parla di decine di milioni di morti causati con la deportazione in campi di prigionia, ma soprattutto mediante carestia pianificata che va sotto il nome di Holomodor che significa proprio "infliggere la morte attraverso la fame". Nella seconda metà degli anni '20 del XX secolo, Stalin decise di avviare un processo di trasformazione radicale della struttura economica e sociale dello stato sovietico, allo scopo di fondare un'economia e una società completamente pianificate. Le terre meridionali erano quelle più produttive dal punto di vista agricolo: agli inizi del XX secolo l'Ucraina forniva oltre il 50% della farina di tutta la Russia imperiale. Secondo il progetto del regime, la ricchezza prodotta dall'agricoltura doveva essere interamente trasferita all'industria, il vero motore dell'economia pianificata. Stalin dispose che le terre venissero unificate in cooperative agricole (Kolchoz) o in aziende di stato (Sovchoz), che avevano l'obbligo di consegnare i prodotti al prezzo fissato dallo stato. Affinché il processo si realizzasse compiutamente, le terre e tutta la produzione doveva-


no passare sotto il controllo dello stato. Nel 1927 fu avviato il processo di accorpamento degli appezzamenti in Kolchoz o in Sovchoz, ma l'Ucraina aveva una lunga tradizione di fattorie possedute individualmente. I piccoli imprenditori agricoli costituivano la componente più indipendente del tessuto sociale ed economico locale. L'azione dello stato ebbe in Ucraina effetti particolarmente drammatici. Dal 1929 al 1932 furono varate due misure, dette “collettivizzazione” e “dekulakizzazione”. La prima comportò la fine della proprietà privata della terra. Tutti gli agricoltori dovettero trovare un impiego nelle fattorie collettive create dal partito. La “dekulakizzazione” significò l'eliminazione fisica o la deportazione nelle regioni artiche, di milioni di contadini. Queste misure furono contenute nel primo piano quinquennale, approvato in una riunione del Partito comunista sovietico nel dicembre 1929; negli anni fra il 1932 e il 1933 vennero attuate misure governative tali da mettere in ginocchio la popolazione sopravvissuta, quali: la requisizione totale di tutti i generi alimentari; l'obbligo di cedere allo stato quantità di grano talmente elevate da non lasciare ai produttori neanche il minimo necessario per il loro stesso sostentamento. Con queste misure il governo di Mosca aggravò coscientemente e consapevolmente la carestia, per altro prevedibile, che nello stesso periodo colpì i territori interessati. I contadini ed i Kulaki si opposero fermamente alla collettivizzazione, imboscando le derrate alimentari, macellando il bestiame ed anche utilizzando le armi. Stalin reagì ordinando eliminazioni fisiche e deportazioni di massa nei campi di lavoro; questi provvedimenti colpirono milioni di contadini in maggioranza kulaki. "Per eliminare i

kulaki come classe non è sufficiente la politica di limitazione e di eliminazione di singoli gruppi di kulaki [...] è necessario spezzare con una lotta aperta la resistenza di questa classe e privarla delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo". Così si esprimeva Josif

Stalin) Nel decennio fra il 1932 e il 1933 malgrado la riduzione di rendimento, le autorità sovietiche richiesero un sostanziale incremento del raccolto nel 1932, portandolo ad un obiettivo irrealizzabile. Il 7 agosto 1932 il governo di Mosca introdusse la pena di morte per il furto allo Stato o alla proprietà collettiva includendo, tra i reati, anche l'appropriazione da parte di un contadino di grano per uso personale. Malgrado ciò, alla fine di ottobre Mosca ricevette soltanto il 39% del grano richiesto. Quando divenne chiaro che la spedizione di grano non avrebbe raggiunto le aspettative del governo, la riduzione del rendimento agricolo fu imputata fra gli altri anche ai kulaki ne seguiro processi e condanne a morte. Una speciale commissione capeggiata da Vjačeslav Molotov fu inviata in Ucraina per sorvegliare la requisizione del grano ai contadini. Il 9 novembre 1932 un decreto segreto ordinò alla polizia e alle forze di repressione di aumentare la loro "efficacia". Molotov ordinò anche di non lasciare grano nei villaggi ucraini e di confiscare anche barbabietole, patate, verdure ed ogni tipo di cibo. Il 6 dicembre furono imposte una serie di sanzioni ai villaggi ucraini: divieto di conservare nei villaggi alcun bene o cibo: il cibo o il grano trovato sarebbe stato requisito; divieto di commercio e confisca di tutte le risorse finanziarie. Frequentemente, delle "brigate d'assalto" effettuavano incursioni nelle fattorie per portar via il grano raccolto, senza tener conto del fatto che ai contadini rimanesse cibo sufficiente per nutrirsi e senza accertarsi che conservassero sementi per la semina successiva. Tutto ciò, combinato col divieto di commercio e la quarantena armata imposta dalle truppe dal Commissariato del popolo per gli affari interni (NKVD)

Nelle foto: antiche famiglie contadine del Monferrato

ai confini dell'Ucraina, trasformò il paese in un gigantesco campo di sterminio. La carestia del 1932-33 trasformo in pochi mesi la campagna ucraina, una regione storicamente molto fertile, in uno scenario da incubo. La penuria alimentare colpì soprattutto la popolazione che viveva nelle campagne. A paragone della precedente carestia russa del 1921-1923, causata dalla concomitanza delle requisizioni e della siccità, e di quella successiva del 1947, la carestia del 1932-1933 in Ucraina non fu causata da un collasso infrastrutturale, né fu un effetto a lunga distanza della prima guerra mondiale, ma fu un deliberato atto politico e una decisione amministrativa. Secondo il racconto di migliaia di testimoni oculari. Le masse di bambini in fuga dalle campagne furono arres tate e de po rtat e nei "collettori" e negli orfanotrofi, dove morirono in poco tempo di malnutrizione. Lo stato sovietico tentò, ad un certo livello, di limitare gli effetti della carestia, autorizzando l'utilizzo di un totale di 320.000 tonnellate di grano per uso alimentare ma le esportazioni di grano continuarono nel 1932-33. Per pre-

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venire il diffondersi di informazioni sulla carestia furono proibiti viaggi dalla regione del Don, dall'Ucraina, dal Caucaso settentrionale e dal Kuban con le direttive del 22 gennaio 1933 (firmate da Molotov e Stalin) e del 23 gennaio (direttiva congiunta del Comitato Centrale del Partito e del Sovnarkom). Le direttive affermavano che i viaggi "per il pane" da queste aree erano organizzati da nemici dell'Unione Sovietica con lo scopo di fomentare agitazioni nelle aree settentrionali dell'URSS contro le fattorie collettive; pertanto i biglietti ferroviari dovevano essere venduti soltanto dietro permesso dei comitati esecutivi (ispolkom) e chiunque fosse diretto a nord doveva essere arrestato. Ciò contribuì ad aggravare il disastro. Nel frattempo Stalin stava anche centralizzando il potere politico in Ucraina. Nel gennaio del 1933, in seguito alle lamentele da parte del Partito riguardanti i disastrosi effetti della collettivizzazione fo rz ata, egl i mandò Pavel Postyshev in Ucraina come vicesegretario, insieme a migliaia di funzionari russi. Postyshev eliminò tutti i funzionari ucraini contrari alla collettivizzazione o che avevano appoggiato l'ucrainizzazione degli anni '20. Nell'annata 1933 le scorte di grano disponibili per la popolazione rurale erano ridotte, ma grazie alle buone condizioni climatiche della stagione, la mietitura del 1932-33 fu sufficiente ad evitare l'aggravarsi della

carestia. Nonostante ciò in primavera le requisizioni di grano furono ulteriormente incrementate, poiché le città si trovarono in difficoltà. Allo stesso tempo continuarono però le esportazioni, sebbene ad un livello ridotto. Le esportazioni erano viste come necessarie dal governo sovietico per ottenere valuta pregiata con cui rafforzare l'industrializzazione. La popolazione rispose a questa situazione con un'intensa opera di resistenza civile, che però non divenne mai organizzata su vasta scala, anche per la bassa densità della popolazione rurale dell'Ucraina. Inoltre le autorità sovietiche replicarono aspramente ad ogni manifestazione di dissenso, deportando spesso intere comunità. Il congresso Canadese-Ucraino del 2005 riconobbe l'Holodomor come genocidio di oltre 7 milioni di persone. Mentre il corso degli eventi, così come le cause sottostanti, può essere tuttora oggetto di dibattito, nessuno nega il fatto che milioni di persone morirono d'inedia fra il 1932 e il 1933. L'Unione Sovietica ha taciuto a lungo sugli effetti della carestia, cominciando a parlarne solo negli anni '80 durante la perestroika. La comunità internazionale sta gradualmente prendendo posizione sul riconoscimento dell'Holodomor come genocidio, o più in generale, come crimine contro l'umanità lo hanno già fatto fra i numerosi altri Stati Uniti, Italia, Città del Vaticano

2014 Anno internazionale dell’agricoltura familiare Durante la 66a sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, il 2014 è stato formalmente dichiarato “Anno internazionale dell’agricoltura familiare” (IYFF). La FAO è stata invitata a facilitarne la realizzazione, in collaborazione con i governi, le agenzie di sviluppo internazionale, le organizzazioni di agricoltori e altre organizzazioni attinenti al sistema delle Nazioni Unite; così come le organizzazioni non governative. L’obiettivo dell’anno internazionale è quello di riposizionare l’agricoltura familiare al centro delle politiche agricole, ambientali e sociali delle agende nazionali per individuare le lacune e le opportunità esistenti e per promuovere uno sviluppo più equo e bilanciato. L’anno internazionale dell’agricoltura familiare intende promuovere il dibattito e la cooperazione a livello nazionale, regionale e globale con lo scopo di identificare al meglio le sfide affrontate dagli agricoltori per poter efficacemente sostenere sia loro che le loro famiglie.

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Da Mario: una lunga storia

Uno dei ristoranti più famosi del Monferrato ci racconta un po’ della sua storia...

Questa volta ci siamo recati in uno dei più rinomati templi della cucina Monferrina, che, per chi scrive, ha anche un significato particolare: il ristorante Da Mario a Cantavenna. Questo ristorante fu aperto nel 1938 da Cesare, nonno di Brususca Claudio, attuale conduttore oltre che amico personale di chi scrive e che fece ancora in tempo a conoscere il “Cesar”. Ero ancora un “matunà”, diciamo 50-55 anni fa… e da allora chissà quanti pasti e cene ho fatto dal Cesar, poi dal Mariolone e ora dal Claudio: diciamo qualche centinaio, e vi posso dire in tutta coscienza, mai una volta mi è capitato di poter dire, (vista la confidenza con i titolari che si sono succeduti avrei potuto permettermelo) che so: “quel riso era un po’ scotto” o “quella carne troppo grassa” o “quegli agnolotti troppo drogati”, mai. Riveleremo ai nostri affezionati lettori (la rubrica dei ristoranti pare essere la più seguita) alcuni dettagli che mi danno una certa emozione. Il Cesar era molto timoroso ad imbarcarsi in quella intrapresa, ricordiamo che allora la principale fonte di guadagno era la campagna o il commercio ed i ristoranti non erano come oggi alla portata di tutti. Chi più di tutti lo spinse ad aprire questa attività in quel lontano 1938, fu l’allora Podestà (e dopo la guerra vicesindaco) Francesco Gino nonno di chi scrive. Un motivo di orgoglio e di riflessione di come la storia riesca a legare le persone al territorio e di come una iniziativa giusta abbia creato tanto valore aggiunto visto che oggi Da Mario è noto in tutto il nord Italia ed anche nelle vicine nazioni da dove arrivano interi pullman per gu-

stare la sua cucina. E sapete quale era il primo nome di quello che oggi è il ristorante Da Mario: Nuovo fiore. Perché Nuovo fiore? Un passo indietro nella storia, nella Grande storia, che ci racconta come tutte le vicende siano legate fra loro persino le guerre coloniali Italiane con il nome di un ristorante Monferrino. Il 5 maggio 1936 il generale Pietro Badoglio, anch’egli Monferrino di Grazzano, conquistava Addis Abeba, e cosa significano in Amarico in nome della capotale etiope?: Nuovo fiore. Nella ormai lontana cultura dell’epoca, anche queste occasioni erano un modo per onorare la Patria e l’impero. Ma passiamo a cose più sostanziose della storia. Cosa ci propone il menù del Ristorante Da Mario? Vi darò l’elenco del menù senza spendermi in valutazioni specifiche perché talvolta gli strumenti delle parole scritte o parlate hanno difficoltà nonostante la ricchezza di aggettivi, vocaboli, paralleli, paragoni, iperboli a trovare termini adeguati: partiamo dagli antipasti: Salumi del salumificio Colombano, Carne cruda, Salamini al Barbera, Friciulin verd con qual tipico leggero amarognolo conferito dall’erba d’San Pet che vengono serviti anche con una calda e vellutata fonduta di formaggi pregiati. Poi vitello tonnato, Lingua con il “suo” Bagnet verd, Tomini di formaggio caprino con un pizzico d’olio e uno spagnulin sopra. Quindi una bella e soprattutto buona Bagna Cauda con peperoni cotti al forno. Passiamo ai primi: Tagliatelle con le erbe. Un condimento particolare di cui non conosciamo la ricetta ma che vi posso garantire conferisce alla pasta un sapore eccezionale; le stesse Tagliatelle gialle, che ereditano il colore dalle consistenti presenze di tuorli d’uovo, che nella stagione giusta vengono condire con burro e tartufi bianchi... locali naturalmente. Quindi gli immancabili agnolotti all’immancabile burro

L’ingresso al ristorante

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e salvia (e tartufo) o all’immancabile sugo d’arrosto. Ovviamente a questo punto se avete saputo darvi un limite nelle quantità potete proseguire con i secondi altrimenti, cari miei, vi dovrete arrendere sul più bello. Anche questo tipico procedere nelle portate dei menù Monferrini, ricchi di antipasti, ci pare offrire un insegnamento filosofico interessante. Chi non lo conosce, di solito chi vien da fuori o lo affronta per le prime volte, finisce sempre col farsi travolgere dagli antipasti; risultato: quando arrivano le “pietanza” più buone la panza è satura e tocca rinunciare. Ma noi che siamo avvezzi ai costumi locali essendo “a ca’ nostra” abbiamo riservato ancora uno spazio per i più buoni e rappresentativi secondi del Monferrato: Fritto misto alla Piemontese, Brasato (o arrosto) e Bollito. Non vi dico il fornitore delle carni che è un comune amico che ben conosciamo, sia lui che le carni che vende, e che sono quanto di meglio si può trovare sul mercato. Doveroso e importante citare chi in cucina da vent’anni propone senza sostanziali variazioni questo menù che, più che una garanzia, è una certezza per i buongustai. Un tempo c’era la moglie del Cesare la Rina, poi la moglie del Mariolone Renata, che ancora oggi, ormai in pensione da anni, potete incontrare in qualche tavolo del bar mentre sfoglia il giornale e che vi racconterà di come, ai suoi tempi, con una stufa tipo “putagè” preparava da sola, fritto misto per cento persone e come, per servire tutto ben caldo ai clienti secondo insegnamenti tramandati dalla madre, disponesse i piatti di portata su mattoni caldi. Oggi in cucina Teresa Sorba moglie di Claudio e il giovane Michele suo il nipote, dispongono di attrezzature moderne, come richiedono le leggi, in grado di servire un menù così va-

Ristorante Da Mario: la veranda con la vista panoramica

rio ma sempre preparato all’istante. Son cambiati i tempi ed anche la ristorazione si è adeguata, ma grazie alla “memoria” nei gusti, nel preparare, nello scegliere le materie prime, che lo stesso Claudio acquista personalmente, i sapori sono rimasti quelli di una volta. Se ci pensate bene è strano questo aspetto, il tempo passa ma certe abitudini “bucano” il tempo e si mantengono inalterate al suo trascorrere come certi sapori per cui, se qualche avo rivivesse oggi, vedrebbe tutto cambiato ma il gusto di un piat d’agnulot sarebbe lo stesso. Ci racconta il Claudio che la grande maestra del Fritto misto alla piemontese, specialista in questa portata che per una vita lo ha preparato nel suo ristorante è stata la Liliana Mirto più conosciuta come la “Liliana del Candido” come vuole la tradizione secondo cui le persone si citano associandole al nome del marito, come in questo caso, o del padre o di un parente. Anche questo è uno dei tanti saperi perfezionati e conservati dai cuochi del Claudio. Passiamo ora alla, come si dice oggi, location: se non andate nei giorni di piena, in cui i 120-130 posti sono tutti prenotati, vi consigliamo di sedere davanti alla grande veranda che si affaccia sulla pianura delle risaie: potrete godere di un piacere in più che allieterà anche gli occhi. E se vi piacciono gli asparagi fra poco è la

stagione giusta, qui arrivano direttamente dai contadini del posto che conosciamo di persona, da una vita, con tutto ciò che questo comporta. Un doveroso cenno ai vini: visto che qui si produce il Rubino di Cantavenna, suggeriamo di non farvelo sfuggire, sembra fatto su misura per queste portate ed è uno dei più antichi DOC d’Italia e se vi è piaciuto come siam sicuri, a poche decine di metri c’è una delle poche cantine che lo producono: la Cantina del Rubino di Cantavenna, oltre a quella del Castello di Gabiano e di Sbarato Pepito sempre di Cantavenna. Infine ancora una notazione importante che ci pare giusto segnalare, specialmente quando si parla di ridurre gli sprechi nelle cucine e nei ristoranti: Da Mario non vi lasciano il vassoio di portata sul tavolo, ma vi servono nel piatto la quantità che chiedete, anche più volte se la ricetta vi è piaciuta. Crediamo che questo sia importante perché così si riducono gli spechi di quel ben di Dio che è il cibo, evitando di buttare ciò che inevitabilmente avanza nei vassoi di portata lasciati sui tavoli dei clienti che spesso, perché sazi o perché preferiscono altre pietanze lasciano nel vassoio gran parte dei cibi che non potrebbero poi essere riutilizzati. Una attenzione che dovrebbero applicare tutti i ristoratori anche se comporta un po’ più di impegno nel servizio. Sul prezzo questa volta non vi diciamo nulla ma state tranquilli, se sorprese avrete, saranno piacevoli. (P.s. fatevi servire un amaro di erbe che produce lui personalmente, ma non dite che ve l’abbiamo suggerito noi)

Fritto misto alla Piemontese


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