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Gabiano e dintorni

Il mensile della nostra terra

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- In copertina: foto dello scalone interno del castello di Cereseto (foto 1925-1926)

- Nost Munfrà - Tamburello al via i campionati di serie C e D - Civiltà del vino - Infernot in Monferrato - Cereseto curiosità, racconti e un po’ di storia

Marzo 2012


Al nost Munfrà Da tempo scriviamo che questa terra è la nostra terra, ed è grazie a lei che da secoli le generazioni che ci hanno preceduto hanno vissuto, spesso anche bene, ed è sempre grazie a lei che ancora oggi molti di noi riescono ancora ad avere una buona qualità della vita anche se le difficoltà non mnacano davvero. E’ buona terra in grado di dare ortofrutta di grande qualità, paesaggi bellissimi, architetture eccellenti, una millenaria storia attraverso cui si è evoluta una cultura enogastronomica unica al mondo. Per contro basta vedere le numerose frane mai riparate, la insufficiente presenza e funzionalità di infrastrutture e servizi dalla accessibilità ai mezzi pubblici, alla comunicazione telematica essenziale nel mondo globalizzato, per non parlare dell’indifferenza ai danni causati da una eccessiva presenza delle zanzare su ampie fasce del territorio a ridosso della pianura che contribuisce a condizionare inevitabilmente turismo e sviluppo e più in generale l’insufficiente o inefficace capacità nella promozione del territorio nei suoi vari aspetti, produttivi, turistici, agricoli, culturali. Eppure basta fare pochi chilometri verso Asti per vedere aziende agricole fiorenti, colline tanto belle da

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di Enzo Gino

essere oggetto di attenzione da parte di istituzioni mondiali come l’Unesco e concorrere per diventare patrimonio dell’umanità o guardare la pianura vercellese al di là del Po per vedere a perdita d’occhio le trasformazioni operate dall’uomo, tutte oggetto di attenzioni ad ogni livello istituzionale sia nazionale che europeo con interventi di sostegno consistenti. Invece gran parte delle nostre colline sono in stato di abbandono, la popolazione in costante decrescita e invecchiamento, le attività produttive in costante diminuzione. Perché? Anche se molti sindaci, molte associazioni, anche singole persone si danno un gran da fare per valorizzare la propria terra, da anni il nostro territorio vive un costante declino che in questi anni di crisi diffusa si sente ancora di più. Se contiamo le persone impegnate in tutte quelle attività no-profit come le pro-loco, le associazioni per la difesa del territorio, le parrocchiali, sino alle associazioni sportive, potremo vedere che raccolgono percentuali di adesione molto più consistenti dei grandi centri urbani, chiaro segno dell’amore, dell’impegno e del forte legame territoriale presente fra i suoi abitanti. A nostro modo di vedere ciò che manca è una capacità di lavorare tutti insieme; tante piccole realtà che si muovono per conto proprio, se non addirittura in competizione fra loro, non potranno mai avere la forza necessaria per far valere le proprie giuste richieste, per influenzare le scelte di chi ogni giorno prende le decisioni che inevitabilmente influenzano la vita di tutti e del nostro terri-

torio. Basta sentire ogni giorno le Tv e le radio, leggere i giornali o internet per sentir parlare della forza delle “lobby” ossia dei gruppi di pressione, siano essi taxisti, sindacati o industriali che arrivano a condizionare le scelte di chi è preposto a decidere ad ogni livello. Purtroppo non ci pare di vedere soggetti più o meno organizzati che svolgano questo ruolo a favore del nostro Monferrato, esistono certamente tanti singoli di buona volontà ma, con tutta evidenza non basta, dobbiamo fare di più e, soprattutto, farlo insieme perché solo insieme si può contare e sperare di cambiare questa realtà. Sino ad oggi su G&d abbiamo scritto della nostra storia, delle persone, dei luoghi, delle tradizioni che ci legano in un unica grande comunità, ma anche questo non basta; oltre a tutto ciò, oggi più che in passato, dobbiamo sapere di avere interessi comuni, e destini comuni, che solo insieme potremo migliorare la nostra vita e la nostra realtà o, insieme, siamo destinati inevitabilmente a vederla peggiorare. Ecco perché crediamo sia indispensabile fare in modo che questa nostra grande Comunità Monferrina inizi a muoversi insieme per comprendere ciò che ci è utile e ciò che ci danneggia ma soprattutto per chiedere a chi di dovere, ad ogni livello, di attivarsi nell’interesse comune. Non facciamoci dividere in tante inutili litigiose sette e fazioni perennemente impegnate a beccarsi come i polli di Renzo. Per questo G&d, con l’aiuto dei suoi lettori, dedicherà qualche pagina ad unire ed anche a raccontare quello che non va, che deve o dovrebbe essere cambiato per dare una mano a questa nostra comunità affinchè torni a crescere ed a migliorare. Se sapremo lavorare insieme per la nostra terra per al Nost Munfrà siamo certi che i risultati arriveranno.

Essere come l’uva: un chicco, da solo, serve a poco, insieme possono formare grandi grappoli da cui ottenere buon vino


Tamburello al via i campionati di serie C e D di Riccardo Bonando

… dal nostro corrispondente, nonché giocatore e allenatore di tamburello, gli ultimi aggiornamenti...

Dopo la lunga attesa invernale, prendono il via i campionati interprovinciali di tamburello per le squadre di serie C e D. Non è stato facile per le varie compagini impegnate, trovare campi praticabili per la preparazione precampionato. Infatti, l’abbondante nevicata di febbraio, ha reso impraticabili per quasi un mese tutti gli sferisteri della zona. Largo alla fantasia allora, con sedute di allenamento su spiazzali in asfalto, campi da calcio in manto sintetico, fino ad una trasferta in terra virgiliana, precisamente in quel di Cereta, frazione di Volta Mantovana (MN), dove il maltempo non ha attecchito. SERIE C: dieci squadre ai nastri di partenza. Cerro Tanaro, Viarigi, Rilate, Camerano, Cinaglio, Gabiano B, Gabiano A, Mombello T.se, Alfiano Natta e Grillano. Il Camerano (AT), potendo contare sul forte battitore Fausto Gavello e una rosa di primo ordine, sembra avere tutte le credenziali per poter ambire al titolo, giocando inoltre su un campo con molte insidie tecniche. Sicuramente non sarà da meno il Gabiano B agli ordini di Antonio Surian, con un quintetto completo e dalle buone doti individuali. Il Gabiano A potrebbe essere una piacevole sorpresa. Per quanto riguarda la prima gior-

“Fede” (Federico Monferrino mezzovolo del Gabiano A di serie D)

nata delle squadre locali, il Gabiano B ospiterà sabato 24 marzo alle ore 16.00 il Mombello T.se, squadra non particolarmente tignosa, che non dovrebbe rappresentare troppi patemi d’animo per la squadra del mezzovolo Alessandro Gamarino. Domenica 25 alle ore 15.00, subito derby valcerrinese fra l’Alfiano Natta che ospiterà il Gabiano A dei fondocampisti varenghesi Ulla e Bossetto. Partita incerta, su un campo non facile come quello di Alfiano. SERIE D – Gruppo A. Nove squadre al via. Callianetto A, Torino, Solonghello, Real Cerrina, Chiusano, Gabiano A, Cocconato, Pro Loco Settime, Cinaglio. Parte con i favori del pronostico il Chiusano, con diversi giocatori con trascorsi lusinghieri nelle serie superiori, anche se il Settime di Gianni Accomasso imbottito di tante giovani promesse, potrebbe fare un pensierino alle zone alte della classifica. Per la prima giornata in Valcerrina, sabato 24 marzo alle ore 15.00, subito derby tra il Solonghello di Bione e dei giovani locali e il Real Cerrina del presidente Chiappino. Il giovane Gabiano A farà invece visita al collaudato Chiusano, per un match nettamente favorevole agli astigiani, ma ottimo allenamento per le promesse gabianesi. SERIE D – Gruppo B. Anche qui nove squadre al Via. Gabiano B, Cerro Tanaro, Callianetto B, Camerano, Allegra Settime, Ovada A, Azzano, Mombellese e Viarigi. Il Gabiano B potrebbe essere una delle pretendenti al titolo, ma occhio alle agguerritissime astigiane. Nella prima giornata, che si svolgerà domenica 24 alle ore 15.00, la Mombellese, dell’instancabile Vito De Luca farà visita all’Azzano, mentre il Gabiano B sul proprio sferisterio, proverà già da subito a conquistare i tre punti con il Cerro Tanaro. Per avere i calendari dei campionati, è anche possibile scaricarli dal sito di Gabiano e Dintorni: www.gabianoedintorni.net

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Civiltà del vino di Sergio Ramoino

Continua il racconto sulla la storia dell’uva e del vino

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Baccanale di Andrea Mantegna

Parliamo di vendemmia e di vinificazione Indicazioni che senza dubbio andavano ascoltate erano quelle di Virgilio, che prima di scrivere è stato molto tempo contadino, coi suoi genitori, e quindi narrava la pratica e l’esperienza “sul campo”. Narrava della vendemmia, che avveniva portando le uve con grossi carri trainati da buoi, pigiate a piedi nudi da giovanotti festanti o meglio da ragazzotte allegre, per poi essere passate al torchio e immesse in grandi orci rivestiti di pece all’interno e lì avveniva la fermentazione. In seguito il vino veniva messo in anfore già con tappi di sughero, sigillati con pece, e udite udite, per risalire all’anno di vendemmia veniva indicato il nome del o dei consoli in carica in quell’anno. In tal modo si riconoscevano e distinguevano le annate che già allora potevano essere diverse, trattandosi di un prodotto naturale, e già allora i tipi di vino erano differenti, pare circa 200, compresi quelli greci e spagnoli, e i nostrani erano già padri degli attuali, ad esempio il Falerno in Campania, il Mamertino in Sicilia, i Colli Vesuviani, i vini della zona di Alba, antenati del Dolcetto, il Pucino del Carso, antenato dell’attuale Refosco, tanto da indurre Cesare, in occasione di un suo insediamento a Console di

offrire un banchetto nel quale sono stati serviti quattro vini differenti, raffinatezza unica che un secolo più tardi perse il significato, diventando una pratica consueta fra i consumatori della ricca borghesia. Tutto andava festeggiato, invocato e osannato con libagioni: dalle stagioni, alla fecondità dei terreni, ai raccolti, alla nomina di cariche pubbliche, e ogni altra occasione. I banchetti si sprecavano, la corsa a chi organizzava libagioni più opulente non aveva fine, i brindisi si susseguivano (quasi come in certe feste nostrane) in onore di qualsiasi cosa o persona, dal padrone di casa, da qualcuno presente, da qualcuno assente, inventando modi di bere originalissimi, dal numero dei sorsi con cui doveva essere tracannato, al sorso unico (molto in voga tutt’ora in Spagna). Immaginiamo i risultati di queste pratiche; per bere di più era usanza farsi titillare l’epiglottide da uno schiavo, fino a raggiungere il rigurgito con il conseguente svuotamento dello stomaco, in modo da poter ricominciare a mangiare ma soprattutto a bere. Alle sfrenate libagioni prendevano ora parte anche le donne, e di conseguenza per i loro palati e i loro stomaci più delicati si aromatizzavano i vini con le più svariate spezie, (pratica già in voga in Grecia) con cannella, violetta, rosa, miele, sambuco, insomma con qualsiasi aroma commestibile, e tali intrugli erano graditi anche dagli uomini. Ogni occasione veniva creata per bere vino, ed il vino era presente in ogni festa. Le feste più significative (qui il plurale è d’obbligo, perchè non di festa si trattava, ma di periodi di festa) erano Le Vinalia in Aprile, dedicate alla Dea Venere, dea dell’amore: immaginiamo come si svolgeva una festa dedicata al vino e all’amore !!!


Gli infernot del Monferrato di Sergio Ramoino

Una espressione tipica del nostro territorio

Infernot Cascina Marole proprietà Ramoino a Mombello M.to Foto Celoria Ilenio

Non mi risulta esserci realta’ simile in altre zone del pianeta, anche perchè è la natura che ha creato le condizioni essenziali affinchè l’uomo potesse realizzare questo esempio di altissima architettura, anzi “opere geniali di altissima cultura” nate soprattutto per difendere e valorizzare il lavoro della vigna e della cantina. In questi spazi, a volte angusti, a volte vivibili, i nostri padri davano in custodia alla terra il loro prodotto migliore, sì perchè non tutto il vino veniva “ambientato” negli infernot, che venivano realizzati nel corso degli anni, sempre perfezionati ed adattati alle esigenze del momento. Sono tutti diversi, personalizzati, perchè sono nati dalla creatività e, come dicevamo prima, dalle necessità di ogni famiglia, amorevolmente scavati in diversi anni, anzi, inverni, quando la campagna lasciava loro del tempo libero. Si scavava, e incontrando una vena di terreno più duro o difficile, ci si spostava, là dove era più facile picconare. Possono essere più bassi della cantina, vano principale, solo di qualche scalino, oppure possono presentare una scala, sempre scavata con lo stesso principio, se erano in posizione più interrata; e anche qui la creatività e l’estro personale ha dato vita a scale di tutti i tipi, con gradini non sempre agibilissimi, e infernot di diverse dimensioni, altezze (sempre da posizione eretta, però), finiture dello scavo le cui pareti si presentano a spacco o lisciate. Sembra che un mestiere della fine ‘800 sia stato quello di scavatore di infernot, per chi poteva permettersi la manodopera specializzata a ciò. Zappetata dopo zappettata, sono stati creati spazi, nicchie, ripiani, e quando lo spazio lo ha permesso, decorati con attrezzi di cantina, grossi bottiglioni

in vetro, brente di legno, botti, e in qualche caso con tavolino e sedie, rigorosamente del materiale sottostante, dove poter passare qualche momento a godere di un buon bicchiere. E piu’ a portata di mano di cosi’ !!! Nella maggior parte si accede ad essi dalla cantina primaria, e non va inteso come “ripostiglio” di quest’ultima, ma come parte integrante di essa, con la specifica funzione di non “bistrattare” il vino, avendo la peculiarità del mantenere una temperatura costante, assoluta assenza di luce, di odori, e di correnti d’aria molto nocive. Ma la funzione, o meglio le funzioni, sopra descritte dell’infernot non erano solo quelle citate: il loro utilizzo avveniva anche in caso di brigantaggio, di difesa da qualsiasi pericolo naturale. Sotto la mia casa esiste uno di questi manufatti, che solo in questo secolo ha preso le caratteristiche dell’infernot; in effetti nei secoli passati, essendo la collina dove sorge abitata già dal 1600, era una via di fuga, che dalla cantina, anzi dalla cucina, permetteva agli abitanti di fuggire tramite un lungo cunicolo, nella vallata sottostante. Picconate, ancora visibilissime, nel tufo verde-azzurro denunciano un lavoro di pazienza e costanza, però…”far di necessità virtu’” Solo in questo secolo, tale cunicolo è stato chiuso, e il materiale per chiuderlo è stato ricavato scavando nicchie e vani diversi, dando luogo a quello che oggi è definito infernot, non ricco di finiture come tanti altri, ma sempre e comunque una grande opera, che tramanda cultura ed abitudini dei nostri avi. Dalla cantina tramite una scala elicoidale con gradini alti e poco profondi si accede all’infernot, che presenta una grossa nicchia in cui potersi sedere, e tante piccole da poter riporre bottiglie, più avanti un’ altra nicchia più piccola e poi della terra smossa e ammucchiata che chiude il citato cunicolo di fuga. Non nego che mi piacerebbe tantissimo riaprire quel cunicolo, e poter ripercorrere il tragitto sotterraneo, utilizzato chissà da chi nei secoli scorsi. Forse un giorno...

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G&d:

Autorizzazione n° 5304 del 3-9-99 del Tribunale di Torino - Direttore Responsabile Enzo GINO - Sede: via S. Carpoforo 97 - Fraz. Cantavenna 15020 Gabiano - Stampato presso A4 di Chivasso (TO) Editore: Associazione Piemonte Futuro - P. Iva 02321660066 - Per informazioni e pubblicità cell. 3357782879 - fax +391782223696; www. gabianoedintorni.net ; e-mail posta@gabianoedintorni.net)

Birreria, ristorante, enoteca? Vorreste aprirne una a Gabiano

Sulla piazza centrale di Gabiano, chiamata Piazza Europa, dove sono ubicati Municipio Ufficio Postale e ll’ambulatorio del medico di base sono stati ultimati i lavori di ristrutturazione dei locali destinati ad un'attività di somministrazione di alimenti e bevande. L'ubicazione del locale è semplicemente straordinaria. Stiamo cercando delle persone cui affittare i locali per avviare questa attività. Per ulteriori dettagli è possibile visitare anche il sito www.immobiliarefelice.eu Sino ad oggi le spese per le iniziative di G&d dalla pub- Se siete interessati mettetevi in contatto con: blicazione del mensile, al sito internet, alle altre attività info@immobiliarefelice.eu per valorizzare il territorio sono state sostenute con l’autofinanziamento e l’impegno di collaboratori volontari, è un impegno non da poco che potrebbe essere alleviato ampliando il numero di coloro che, riconoscendo l’utilità e l’interesse per quanto stiamo facendo, decidono di darci una mano con un contributo; un contributo libero naturalmente. Sappiamo che sono tempi difficili in cui sempre più “soggetti” infilano le mani nelle nostre tasche e, senza chiederci niente, prelevano parti sempre più consistenti del frutto del nostro lavoro, spesso senza darci nulla in cambio. Da parte nostra abbiamo fatto e continueremo a fare esattamente il contrario, dando un servizio sottoforma di valorizzazione del territorio, di chi lo abita ci vive e ci lavora, facendo conoscere la nostra storia e le tante iniziative che su esso si svolgono, senza imporre prezzi di acquisto o di abbonamenti. Crediamo in ciò che facciamo e vorremmo essere sempre più numerosi, vorremmo che anche tu, che ora stai leggendo queste righe ci esprimessi il tuo apprezzamento dandoci così una spinta a continuare, con un sostegno anche piccolo ma che per noi sarà comunque significativo. E’ facile, puoi farlo attraverso la posta o la banca.

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Cereseto: tradizioni, feste, giochi e svaghi di Mirko Carzino Sul sito di G&d www.gabianoedintorni.net potrete leggere e, se volete scaricare e stampare, il libro di Mirko Carzino Cereseto Monferrato Dalle origini al XXI secolo

Continuano i racconti su Cereseto tratti dal libro di Mirko

La banda musicale di Cereseto (foto 1925)

Il Carnevale Si svolgeva nei giorni di Domenica, Lunedì e Martedì da mattino a sera, con cene e balli; l’organizzazione era diretta da Rocco Porta, Eugenio Piovera ed Alessandro Besso (proprietario di una cavallina di nome Lilly che lo aiutava nei trasporti di formaggio per i mercati). Si svolgeva in Piazza Umberto I e s’imbandivano lauti pranzi. Una specie di teatrino, organizzato dai tre promotori, era quello di fingersi ingegneri e geometri, con tutte le sofisticate attrezzature dell’epoca (si ricorda una “canna metrica” usata per più volte), per calcolare il tragitto di un immaginario tram che doveva portare i ceresetesi al paese di Sala e ritorno (anni 1923– 1925 circa). La corsa del cerchio I bambini partivano da Piazza Umberto I (nominata sempre come Piazza San Rocco) e dovevano fare il percorso scendendo da Via Casale (“Aurì”), Frazione Madonnina di Serralunga di Crea, risalendo la strada provinciale che collega Cereseto con la strada statale CasaleAsti (“Stradonetto”) e ritorno al punto di partenza, con una bacchetta uncinata spingendo un cerchio (che poteva essere ricavato da una botte per il vino oppure da un cerchione di una bicicletta). Si ricorda che in quel periodo (1925 circa) le strade non erano di certo asfaltate ma vi erano molti buchi e pietre. Venivano premiati i primi tre classificati. La corsa nel sacco I bambini correvano in un sacco partendo all’incirca dalla chiesetta di San Defendente per arrivare all’ “Osteria di Saracco” (Ristorante del Centro), che ne era tra l’altro l’organizzatore. Anche in questa competizione venivano premiati i primi tre classificati (quattro lire al primo classificato). Questa competi-

zione si è svolta fino al 1960 circa. Le “pignatte” Un tradizionale gioco, che ha avuto origine molti anni fa, era quello di riempire dei vasi di terracotta con coriandoli, dolci e piccoli regali, appenderli su una robusta corda e colpirli tramite un lungo bastone di legno. I bambini venivano bendati e, aiutati da un adulto che ne indirizzava i colpi nella giusta direzione, colpivano il vaso, rompendolo; il contenuto cadeva a terra ed i bambini potevano raccogliere le caramelle ed i cioccolatini. Questa tradizione si è mantenuta viva fino al 1988. La Festa Patronale di San Rocco – 16 Agosto Si svolgeva anche ad inizio secolo, come ora, durante la settimana di Ferragosto. Oltre alle solite serate danzanti e gare di ogni tipo, una delle manifestazioni più amate dai ceresetesi era il “tiro al pollo” con il fucile; infatti, dietro al “salone” (caseggiato privato in stile liberty e per anni sede della Pro-loco), si doveva colpire un pollo mentre “passeggiava tranquillamente” nei prati sotto la collina Balocca; chi riusciva a colpirlo lo riceveva in premio, anche se non lo uccideva (molte volte gli organizzatori truffavano i clienti scentrando il mirino del fucile, per rendere più difficile colpire l’ animale). Gli organizzatori della festa patronale erano i cugini Rodolfo e Rocco Porta. In seguito fu proibito sparare all’aperto quindi il gioco, per tradizione, si trasferì nell’attuale campo da bocce; lo scopo era colpire una specie di pendolo con una boccia; chi ci riusciva vinceva un pollo. In seguito, fra il 1960 circa ed il 1990, la festa patronale si svolgeva nella sede della Pro-loco (salone) con cene, serate danzanti, gare a bocce (“baraonda”, “lui e lei”, “lui, lei e l’altro”…), partite di calcio e tamburello “celibi contro ammogliati”; nell’ultimo decennio i festeggiamenti si svolgono nel cortile dell’ex “Asilo Riccardo Gualino”, ora nuova

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sede della pro-loco e del Municipio. I “Pichinè” Nell’annata del compimento dei 17 anni, il 1° gennaio, i coscritti festeggiavano per la durata dell’intero giorno. Si pranzava e si trascorreva la giornata all’osteria. Questa tradizione è durata fino al 1963 (leva del 1946). I “Soldati di leva” La visita militare, fino ai nati nel 1915, si svolgeva al distretto militare di Moncalvo. Dal 1916 in poi a Casale Monferrato. Per la visita a Moncalvo i giovani partivano da Cereseto, tutti vestiti con la stessa camicia e la bandiera tricolore con lo stemma dei Savoia, accompagnati dalla banda musicale. Alla fine della “giornata di visita” (di solito verso le ore 14:00), sulla strada del ritorno tutti i futuri soldati si fermavano a pranzo in un’osteria ceresetese (nei giorni precedenti si era fatto fare un preventivo per vedere qual’era l’osteria più economica). La sera, nel “salone”, si terminavano i festeggiamenti con una serata danzante; i futuri soldati offrivano ai compaesani un rinfresco. Il cinematografo Il luogo di proiezione era sempre il “salone” di Cereseto; solitamente il film veniva proiettato la stessa sera sia a Cereseto che a Ozzano per motivi di risparmio per l’affitto della pellicola; in un paese le proiezioni del primo tempo iniziavano un’ora prima che nell’altro, per permettere ai due “corrieri” di incontrarsi a metà strada (località “due punte”) per lo scambio delle pellicole. Si ricorda d’una sera d’autunno quando con le biciclette (con illuminazione a carburo) ci fu uno scontro tra i due corrieri con relativa perdita di tempo per il ritrovamento delle pellicole finite per terra al buio (si dice anche che una sera fu visto prima il secondo tempo e successivamente il primo…). Il cineasta ceresetese era Porta Rodolfo. Il servizio taxi Anacleto Scagliotti aveva due cavalli ed una meravigliosa carrozza a quattro ruote chiusa, con la possibilità di caricare fino a sei persone; era paragonabile a un attuale servizio di taxi. Edoardo Antonioli in seguito acquistò una Citroën berlina e proseguì il mestiere di Scagliotti; i giovani del

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tempo, quando potevano permetterselo, si facevano trasportare a Casale per andare ad assistere allo spettacolo definito varietà, perché in quel periodo a Cereseto non vi era alcuna attrazione o passatempo diverso dal solito; una corsa da Cereseto a Casale e ritorno, negli anni 1928–1935 costava trenta soldi a persona; a volte, visto che la macchina per i trasporti era già stata acquistata di seconda (o terza…) mano, bisognava spingerla per farla partire, ma per quei tempi poteva essere quasi un divertimento questo inconsueto fatto. Il “quadrato di Aurì” Le donne si recavano al quadrato (il lavatoio), che era studiato appositamente per il lavaggio degli indumenti e delle lenzuola; vi era una sorgente da cui, anche durante i periodi di siccità, l’acqua sgorgava sempre. Fino al 1910–1915 è rimasto in funzione; i bambini ne approfittavano per fare il bagno ed per imparare a nuotare. Nel 1997, in seguito a quarant’anni d’abbandono, il “quadrato” è stato ristrutturato e rimesso a nuovo in memoria del periodo di effettivo utilizzo. La vendemmia Fino al 1935-1940 circa, la vendemmia era un avvenimento molto importante per il paese (come per tutti gli altri paesi limitrofi e collinari in genere); gli abitanti del paese che coltivavano i vigneti, praticamente tutti, si ritrovavano in Piazza Umberto I (San Rocco), dove ad attenderli vi erano acquirenti d’uva con i buoi ed i carri (erano presenti anche i trasportatori per conto terzi). Solitamente le famiglie tenevano una parte dell’uva per la vinificazione in proprio, mentre l’eccedenza veniva venduta a com-

Il “Quadrato di Aurì” Foto 2001

Lo “Stradonetto” foto anni ‘50 mercianti di vino dell’astigiano, privati consumatori e negozi o osterie della pianura da Casale a Mortara, Trino, Lomellina, fino ad arrivare a Milano. Un po’ come capitava per le mondine in pianura per la raccolta del riso, anche in collina molte vendemmiatrici giungevano da paesi relativamente lontani per vendemmiare. Si sentivano canti intonati dai vendemmiatori provenire dalle colline; a volte quando si trovavano a colline vicine, da una parte si cantava e dall’altra si rispondeva. L’uva veniva solitamente prima pigiata e poi caricata in botti sotto forma di mosto. Già a quei tempi vi era una quotazione del giorno per determinare il valore delle uve; si facevano i prezzi di riferimento sia per i commercianti che per i privati. Intorno all’anno 1935 il valore dell’uva era di circa 800 lire al quintale; le uve venivano pesate sul peso pubblico ubicato in Piazza Umberto I e poi trasportate sul luogo di destinazione. Molte volte capitava che i cavalli da tiro fossero due, di cui uno destinato ad aiutare l’altro per affrontare le salite. Il territorio di Cereseto, fra il 1830 e il 1940, era coltivato per il 70% a vigneto.


Cereseto: la storia… La dominazione dei Gonzaga Con sentenza dell’Imperatore Carlo V, datata 3 Novembre 1536 e sottoscritta a Genova, il Monferrato passò sotto il dominio dei Gonzaga e precisamente a Guglielmo X. Il 3 Febbraio 1537 il paese fu governato, per breve tempo, dal capitano Giovanni Pasquerio. Il feudo monferrino di Cereseto, nell’anno 1587, divenne un Marchesato e di conseguenza il feudatario fu insignito del titolo di Marchese. Dal libro “Le città, le terre, i castelli del Monferrato“, del 1604, scritto da Evandro Baronino, cancelliere del Senato di Casale Monferrato, Conte Palatino, Segretario di S.A. Serenissima Duca Vincenzo I Gonzaga si riporta la parte inerente a Cereseto: “Eretto da S.A: in Mar-

chesato, del quale è investito l‘illustrissimo Signor Mario Savorgnano, come successore nominato nel feudo dal fu illustrissimo Signor Germanico Savorgnano suo fratello, primo investito in virtù delle facoltà che teneva, e donatario di S. A. con ordine di primogenitura né suoi figliuoli, eredi, e discendenti maschi, legittimi e naturali, col territorio e fedeltà degli uomini, col mero e misto impero, possanza della spada, e totale giurisdizione, prime appellazioni, immunità, caccia, pescagioni, ragioni di proibirle, acque e loro decorsi, fonti, rivi, rivagli, mulini, artifii, paratori, e battenderi, tanto fabbricati che da fabbricarsi, con autorità di fabbricarne, edifici, mura, fosse, torri, fortezze, ruine, cascine, terreni, possessioni, roide, claustrali e murali, mediante il dovuto pagamento, taglie, collette, composizioni ordinarie, tasse de’ cavalli, ed altri regali di ogni sorta, ragioni di ivi tenere ed affittare osteria, e di far pane da vendere, e vietare agli altri, proventi, onorevolezze, entrate, ed altre pertinenze, in feudo nobile, e gentile, paterno, avido, antico, limitato e ristretto né suoi dipendenti solamente. S.A. si riserva la milizia e le ragioni della comunità e del Terzo. Fa fuochi 124, bocche 591, soldati 196, Registro Lire 94.” Di curioso interesse sono le citate “roide”, meglio conosciute come

prestazioni in natura tramite lavoro manuale o con animali da soma che gli abitanti dei comuni erano obbligati a fornire a S.A. nella misura da stabilirsi ed in relazione all’entità dell’opera, per il bene del feudo. Questa consuetudine continuò ancora per molti anni, anche in seguito alla Legge del 1882 che trattava gli argomenti di pubblica amministrazione. Solo nel 1961 la Legge fu abrogata. Per “fuochi” si intende nuclei famigliari, “bocche” agli abitanti, “soldati” al contingente di uomini di milizia che il feudatario doveva somministrare ad ogni chiamata in caso di guerra, mentre “Registro Lire” ai beni per le tasse. Germanico Savorgnan, celebre ingegnere militare, fu il costruttore della cittadella di Casale Monferrato, ai tempi costata un milione di scudi (più delle entrate annuali dell' intero ducato dei Gonzaga). Si ricorse prima al credito dei banchieri genovesi, poi (il servizio del prestito era insostenibile), nel 1609, al "tasso della cittadella", consistente in trentamila ducati d'oro annuali, di cui quindicimila da parte della città di Casale nelle persone dei proprietari di case e dei commercianti. In seguito, sotto la dinastia dei Principi di Mantova, i Ceresetesi dovettero affondare un periodo piuttosto travagliato: sacrifici, carestie e guerre. Infatti, in virtù delle facoltà che teneva il Marchese (facoltà specificate nello scritto del Baronino) certamente gli abitanti di Cereseto dovettero affrontare una vita piena di sacrifici “…ben più cha’ ai

tempi dell’ Aleramico Guglielmo VII il Lungaspada citato dall’ Alighieri…“ ; alcu-

I Ricci Più recentemente, dal 1728 al 1916 (periodo di dominazione Sabauda), il paese di Cereseto fu un Marchesato della Famiglia Ricci, Conti della Piovà presso Cocconato. I Ricci a Casale Monferrato possedevano uno splendido palazzo ubicato in Piazza Santo Stefano, in stile neoclassico. Si legge da “Il Monferrato” del 15 Marzo 1996: “La piccola piazza di

S.Stefano della città di Casale Monferrato e’ chiusa sul lato a mezzogiorno da un imponente palazzo nobile con grandi colonne sulla facciata in mattone a vista. Il fabbricato è noto come Palazzo Ricci di Cereseto. Ora è diviso fra diverse proprietà, ma in passato è appartenuto ad una famiglia evidentemente cospicua…”.

I marchesi Ricci di Cereseto non appartennero sicuramente alla più aristocratica nobiltà Monferrina; erano di bassa origine, provenienti da Borgo S. Martino (Al). Un ramo dei Ricci vantava già un avvocato, Giovanni Giacomo, ed un Facino medico, i quali da Borgo S. Martino, nel 500 erano stati infeudati di Torre d’Isola di Valmacca dal Marchese Bonifacio di Monferrato. Bernardino Ricci fu nel Consiglio Generale di Casale e suo figlio Agostino notaio e Cancelliere del Senato nel 1560. Nel 1591 Ottavio Ricci fu addetto a Praga per il duca di Mantova. Con Carlo Ricci, Presidente del Senato e Conservatore dell’Abbazia di Lucedio, si estingueva la famiglia senza parenti vicini. Il ramo dei Ricci, ai quali si deve

ni persero la vita, sia durante le cruenti lotte fra i Gonzaga e Carlo Emanuele I Duca di Savoia, sia al tempo della guerra dei Trent’ anni, quando i Savoia si allearono con gli spagnoli per ottenere la successione del Monferrato che avvenne definitivamente nel 1713 con la pace di Utrecht.

Piazza Umberto I in una foto d’epoca

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far riferimento per il Marchesato che possedeva Cereseto, lo si deve far derivare da un certo Annibale, mercante di tela a Casale nel 1611. Nel 1673 suo nipote Bernardino acquistò il feudo di Chiappo. Fabio Emilio Federico Ricci fu podestà di Casale e senatore nel 1666. Sposò Lucrezia Gambera, la quale, rimasta vedova nel 1687, si diede notoriamente a vita galante. Forse è per i suoi svariati “appoggi” che il figlio Francesco Antonio riuscì ad acquisire, dalla Camera Ducale, il feudo di Cereseto (il feudo che pochi anni prima fu donato da Vincenzo Gonzaga a Germanico Savorgnan quale compenso per il progetto della Cittadella di Casale Monferrato). I Ricci ebbero anche il blasone: troncato, nel primo d’oro con l’aquila nera coronata nel campo; nel secondo di rosso e tre ricci d’argento, posti due e uno. Nel Settecento i Ricci possedevano già diverse proprietà fra cui la tenuta “Vallare” a frazione San Germano di Casale Monferrato, terreni in Val Cerrina, la masseria “Il Gambarello” poco oltre Castagnone di Pontestura in direzione di Torino, sopra la collina di S.Anna di Casale Monferrato fecero edificare una splendida villa (ora nota come il Castello “Cento Finestre”). Evidentemente il Marchese Vincenzo Stanislao Ricci (nato a Casale nel 1769) era uomo ben visto dalle autorità del tempo; in epoca napo-

In alto la villa dei Marchesi Ricci (foto fine 800) una battaglia contro l’esercito Auleonica fu “Decurione” della città striaco nel Dicembre del 1915, sul nel 1800, consigliere Carso. Invano si cercò di salvare la d’”arrondissement” nel 1812 e gengiovane vita; la perdita eccessiva di tiluomo di camera del Re Carlo Felisangue ed un’infezione sopraggiunce nel 1827. ta provocarono la morte del MarIl Marchese morì senza figli nel chese all’ospedale di Palmanova il 6 1831 e, dopo tredici anni, nel 1844, gennaio 1916. In seguito, il 3 Magscomparve al Gambarello, senza gio 1923, la salma del Marchese discendenza diretta, l’unica sorella, Mario Ricci fu trasferita nel cimitero Adelaide. di Casale. La dinastia dei Ricci proseguì con Con lui si estinsero i Ricci. Giuseppe, deceduto senza eredi, e Il “Corriere della sera”, in data del quindi col nipote Francesco, nato a 9 gennaio 1916, ricordava che “il Casale Monferrato nel 1861, figlio di un commerciante (che divenne giorno 6 gennaio 1916 munito di tuttavia 6° Marchese di Cereseto), tutti i conforti religiosi, in Palmanoche si trasferì a Milano. Morì il 26 va decedeva il Marchese Mario RicMaggio 1915. ci di Cereseto, capitano degli alpini, Il figlio Mario, che gestiva la ditta sacrificando a 29 anni la sua vita paterna, allo scoppio della prima per la patria. Le sorelle Maria e guerra mondiale si arruolò come Clotilde col fidanzato avv. Roberto volontario; fu capitano nel 5° Regg. Borghese, i cugini Mocchia di CogAlpini e venne gravemente ferito in giola, Langosco di Langosco e Mar-

tina, i prozii e parenti tutti addoloratissimi ne danno il triste annuncio”.

Le bellissime campane, tuttora presenti sul campanile della chiesa di Piovà Massaia (At), erano destinate a Cereseto, ma il Marchese preferì sistemarle nel paese astigiano, dove maggiormente risiedeva. I Ricci furono gli ultimi Marchesi di Cereseto; all’interno della sacrestia della chiesa parrocchiale di San Pietro e Paolo, si può ancora oggi ammirare una loro lapide e sulla panca di legno, ora destinata ai chierichetti durante le cerimonie religiose, si trova scolpito il loro blasone.

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Il cortile interno della villa di proprietà dei Marchesi Ricci di Cereseto (foto di fine ‘800)


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