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SPECIALE ELEZIONI

UN DOPPIOAPPUNTAMENTO

PER ASCOLTARE

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ILPAESE


L’ITALIA AL VOTO

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PROVINCIA DI MILANO. COMUNE DI FIRENZE. PROVINCIA DI NAPOLI. SONO I TRE TEST CHIAVE DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE ALLE PORTE. Ma il 6 e il 7 giugno si decideranno anche le sorti di più della metà delle province e dei comuni italiani. Una due giorni che, in concomitanza con le elezioni europee, porterà alle urne circa 50 milioni di italiani. Un appuntamento atteso e decisivo, tanto per il governo, quanto per l’opposizione DI LORENZO BERARDI ue giorni decisivi per tastare il polso politico del Paese. Il 6 e 7 giugno si vota e gli esiti delle urne avranno un significato ben più ampio di quanto i singoli esiti locali possano fare pensare. L’appuntamento elettorale permetterà, infatti, non solo di rinnovare più della metà dei consigli comunali e provinciali d’Italia coinvolgendo il 70% dei cittadini, ma anche di eleggere i rappresentanti nazionali al Parlamento Europeo. Innegabile, dunque, il valore politico di questa consultazione. Le imminenti consultazioni saranno, inoltre, un importante termometro del gradimento degli italiani per l’attuale governo nonché l’occasione per verificare lo stato di salute delle opposizioni a poco più di un anno dalla sconfitta nelle politiche dell’aprile 2008. Circa 50 milioni di italiani, la totalità dell’elettorato, saranno chiamati a esprimere il proprio parere fra sabato 6 e domenica 7 giugno per scegliere i 72 italiani che entreranno nel Parlamento di Strasburgo. Per quanto riguarda le amministrative, invece, saranno 62 le province e 4281 i comuni che usciranno rinnovati dalle urne, su un totale nazionale rispettivamente di 107 e 8101. Cifre importanti e che comprendono luoghi e città in cui l’esito dell’appuntamento elettorale sarà particolarmente importante. Impossibile, infatti, non dare un significato chiave alle elezioni provinciali di Milano, dove il presidente uscente, Filippo Penati del Pd, sarà chiamato a un duro scontro con Guido Podestà, candidato del Pdl. Un’eventuale vittoria di Podestà, infatti completerebbe l’en plein dell’attuale maggioranza di governo all’ombra della Madonnina raggiungendo lo zenit di un percorso cominciato nel lontano 95 con l’elezione di Roberto Formigoni alla presidenza della Regione Lombardia e proseguito con l’affermazione di Letizia Moratti alle comunali del 2006. Se invece Penati dovesse venire riconfermato, il centrosinistra potrebbe brindare a una vittoria tutt’altro che certa, specie in un contesto in cui il futuro del Partito Democratico pare ancora tutto da definire. Ma non è solo la sfida di Milano ad assumere contorni che escono dal locale per arrivare a riguardare il nazionale. Il 6 e 7 giugno permetteranno anche di capire se il centrodestra possa o meno ambire a conquistare una delle roccaforti del centrosinistra italiano, quella città di Firenze, che da dieci anni è amministrata ininterrottamente da quel Leonardo Domenici che il Pd ha deciso di candidare alle Europee. E proprio nella città gigliata il Partito Democratico si gioca la sua carta migliore, can-

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LE PROVINCE Saranno 62 le province e 4281 i comuni che usciranno rinnovati dalle urne, su un totale nazionale rispettivamente di 107 e 8101

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SPECIALE ELEZIONI

L’introduzione della soglia di sbarramento del 4% rappresenta l’unica novità della riforma della legge elettorale per le elezioni europee. Avranno dunque diritto ad accedere alla ripartizione dei seggi solo le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi. In precedenza, non era prevista in Italia alcuna soglia di sbarramento per le consultazioni europee. Approvato a febbraio fra Camera e Senato con un sì bipartisan e una percentuale molto ridotta di voti contrari e di astensioni, il nuovo provvedimento è formato da un solo articolo. Due le modifiche rispetto alle intenzioni originarie della maggioranza. La soglia di sbarramento proposta dal centrodestra era, infatti, del 5% sul modello di quanto già accade in Francia e Germania, mentre il centrosinistra chiedeva che tale soglia fosse sì istituita, ma al 3%. Raggiunta la mediazione con l’opposizione si è optato, dunque, per uno sbarramento al 4%, la medesima percentuale già prevista in occasione delle ultime elezioni politiche. Si è inoltre deciso di mantenere l’indicazione delle preferenze che il Pdl avrebbe voluto eliminare. La nuova legge per le Europee non introduce, di fatto, altre modifiche alla preesistente legge 18 del 1979. Il sistema elettorale con il quale si voterà il 6-7 giugno e che permetterà di eleggere i 72 europarlamentari della delegazione italiana al Parlamento di Strasburgo sarà proporzionale puro, con soglia di sbarramento al 4% e la possibilità di indicare preferenze per ciascuna delle 5 circoscrizioni elettorali italiane. La principale variazione nelle modalità di voto rispetto alle precedenti consultazioni europee è rappresentata dal fatto che non si andrà alle urne fra domenica e lunedì, bensì fra sabato e domenica, per seguire le indicazioni dell’Ue che riguardano i 27 Paesi chiamati a eleggere i propri rappresentanti. In Italia, le urne saranno aperte dalle 15 alle 22 di sabato 6 giugno e dalle 7 alle 22 di domenica 7 giugno. Il silenzio elettorale scatterà, invece, alla mezzanotte di venerdì 5 giugno e, per la prima volta, durerà solo mezza giornata.

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LA NUOVA LEGGE ELETTORALE

didando Matteo Renzi, il giovane presidente della Provincia già definito addirittura “l’Obama italiano” dal settimanale americano “Time”. Ma quella che alcuni mesi fa poteva apparire quasi un’elezione di routine al primo turno potrebbe ora trasformarsi in una vera e propria prova del fuoco per il rampante trentaquattrenne Renzi. A uno dei pochi volti nuovi proposti dall’attuale centrosinistra, il Pdl opporrà infatti una new entry della politica nazionale, Giovanni Galli.Toscano doc, quarantunenne, ex portiere del Milan e noto al grande pubblico anche per essere divenuto un apprezzato commentatore televisivo, Galli ha poco o nulla da perdere dall’esito del voto e si è calato nei panni dello sfidante outsider con grande umiltà percorrendo, è il caso di dirlo, palmo a palmo la città. E se la bilancia dei sondaggi e del chiacchiericcio sulle rive dell’Arno pende ancora a favore di Renzi, l’esito del voto appare di settimana in settimana sempre meno scontato. Memore dello storico successo di Giorgio Guazzaloca a Bologna nel 99, il centrodestra sogna di compiere qualcosa di simile a dieci anni di distanza in una delle poche piazze amministrate dall’attuale opposizione che paiano inattaccabili. L’operazione ribaltone si annuncia, obiettivamente, difficile, ma nel caso di Firenze, l’ipotesi del ballottaggio si fa sempre più concreta e questo rappresenterebbe un successo non indifferente per un centrodestra che dopo essersi aggiudicato la presidenza della Sardegna, sconfiggendo a sorpresa un altro astro nascente del Pd nazionale come Renato Soru, ambisce a nuovi traguardi locali. Un successo, quello sardo, che, va ricordato, causò de facto, le dimissioni di Walter Veltroni da segretario del Pd. E la speranza del centrodestra è


L’ITALIA AL VOTO

quella che almeno un buon risultato ottenuto fra Firenze e Milano possa accrescere le difficoltà e gli imbarazzi dell’attuale segretario, Dario Franceschini. Scendendo lungo lo Stivale e facendo tappa in Campania, si preannuncia acceso e incerto lo scontro per la Provincia di Napoli. Qui, il Popolo della Libertà presenta Luigi Cesaro e può vantare un biglietto da visita non indifferente nell’indirizzare l’approvazione dell’elettorato come l’efficace gestione dell’annoso problema della crisi dei rifiuti. Al candidato del Pdl il centrosinistra oppone l’ex ministro alla Funzione pubblica e innovazione Luigi Nicolais, aggiudicatosi le primarie provinciali del Pd. Nicolais tenterà di ripetere il buon risultato conseguito nel 2004 dal presidente uscente Riccardo Di Palma che riuscì a raccogliere il 61,5% dei voti ponendosi a capo di una coalizione di centrosinistra: un’impresa che si annuncia tutt’altro che facile. Lo sfidante del centrodestra, dal canto suo, punta a cancellare quel 32,6% dei consensi che raggiunse Luigi Muro, candidato della Casa delle Libertà alla Provincia cinque anni addietro. Un risultato certamente migliorabile e che Cesaro conta di coronare con la ciliegina di una vittoria che permetterebbe al Pdl di raccogliere i frutti tangibili dell’impegno immediato del governo nel restituire Napoli e la Campania al posto che le compete, tornandone a valorizzare la vocazione economica, artistica e turistica. Quello che già appare certo è che fra Milano, Firenze e Napoli si gioca una battaglia che finirà per oscurare parzialmente gli altri scenari del contendere. E gli esiti di queste tre sfide influenzeranno giocoforza la politica non solo locale, ma nazionale dei mesi a venire.

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GLI ELETTORI Sono gli elettori italiani, in milioni, chiamati a esprimere il loro parere fra sabato 6 e domenica 7 giugno

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IN EUROPA Il 6 e 7 giugno gli elettori dovranno eleggere la delegazione italiana, formata da 72 membri, che siederà nel Parlamento di Strasburgo

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SPECIALE ELEZIONI

RINASCITA

LA CORSA PER IL SINDACO DELLA CITTÀ GIGLIATA È FORSE LA PIÙ DELICATA DI QUESTA TORNATA AMMINISTRATIVA. È LA ROCCAFORTE CHE IL PD NON PUÒ PERDERE. Già andare al ballottaggio per la sinistra potrebbe essere un problema. E Galli, come outsider che piace alla gente, che ascolta la gente, rappresenta una vera insidia DI FEDERICO MASSARI 22 • RAGIONLIBERA


FIRENZE

FIORENTINA opo 15 anni di amministrazione di sinistra, Firenze si guarda intorno alla ricerca di un candidato che possa rappresentare la svolta in città. Nello stesso Pd la voglia di discontinuità è alta, anche se le pulsioni del vincitore delle primarie, Matteo Renzi, in questa direzione si sono già assopite sull’altare della non belligeranza con l'eterogenea coalizione che lo appoggia, composta da Sinistra, Comunisti fiorentini, Lista Di Pietro e Socialisti. Il centrodestra, invece, ha deciso di puntare sulla «civicità», neologismo usato dal coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, per esprimere un cambiamento che parta, prima di tutto dall’ascolto della città. E proprio sulla campagna d’ascolto dei cittadini Giovanni Galli, già campione del calcio e conosciuto in città grazie alla fondazione benefica che porta il nome di suo figlio Niccolò, scomparso a 17 anni in un incidente stradale, sta basando la sua campagna elettorale. «Non sono un candidato che sta dietro la scrivania o che parla solo con i politici - dice Galli -, mi piace il contatto con i cittadini, desidero conoscere le loro opinioni, i loro problemi. Per questo ogni giorno, a piedi, senza clamore, cammino in una zona diversa. Senza considerare che internet ci dà una mano: nel primo mese della campagna d’ascolto on line su Facebook ho superato le 5mila richieste di amicizia con quasi mille messaggi privati, per non parlare delle mail ricevute, oltre 10mila, e dei contatti del sito. Mi scrivono in tanti, chiedendo di farmi portavoce delle problematiche legate alla vita quotidiana, sottoponendomi questioni irrisolte da questa amministrazione, dalla viabilità al mantenimento del decoro di Firenze».

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Come è stata amministrata Firenze negli ultimi 10, 15 anni? «Parlando con i cittadini mi sono accorto soprattutto di una cosa: nessuno li ha ascoltati. Ecco, io al contrario vorrei essere il sindaco di Firenze e dei fiorentini, per questo se c’è un’idea positiva per la città non mi pongo il problema da che parti arrivi. Il partito del “no” a priori, del no politico a cui ci ha abituato l’amministrazione uscente a ogni buona idea che veniva dal centrodestra, è sbagliato e non mi appartiene. È necessario confrontarsi con ogni idea anche se arriva dalla parte avversa». Renzi però pare avere le idee già molto chiare, ha presentato 100 punti sui quali chiede la fiducia ai cittadini. «Cento punti? Ce ne vorrebbero mille per rilanciare Firenze dopo 15 anni di cattiva amministrazione. Ma il punto è un altro: quelle 100 idee sono di Renzi, che è stato presidente della Provincia per cinque anni e ora è candidato a sindaco. Sono idee imposte. Ai cittadini e, mi è parso di capire, anche alla coalizione che non mi sembra la pensi proprio allo stesso modo su tutto». C’è da dire che Renzi avrà anche una lista civica: una volta sindaco ma-

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TRA SOUBRETTE E VELINE, RENZI CANDIDA L'EX SCHEDINA Elisa Sergi, ex Schedina di “Quelli che il calcio” si presenta con il candidato Pd Mentre i giornali dedicavano fin troppa attenzione alle possibili candidature di veline nelle liste del Pdl, poi rivelatesi infondate, in Toscana qualcuno ha pensato bene di mettere in lista un bel volto e un bel paio di gambe lunghe lunghe: la bella Elisa Sergi. Nata a Firenze nel 1983, ha studiato musica e frequentato corsi di danza e recitazione. Nel 2001 ha partecipato al concorso di Miss Italia, raggiungendo le semifinali nazionali con la fascia di Miss Deborah. Negli anni 2001, 2002 e 2003 ha partecipato alla trasmissione televisiva “Quelli che il calcio”. Dal 2003 è co-conduttrice del programma sportivo Golden Goal in onda settimanalmente sulla rete televisiva locale Rtv38. Da pochi giorni ha ricevuto richiesta di presentarsi in una delle due liste civiche di Matteo Renzi, candidato sindaco del Pd. «Mi butto in politica – ha detto Elisa Sergi – perché Firenze merita di essere migliore. Il programma di Renzi mi è sembrato sin da subito esaustivo». La notizia è destinata a suscitare polemiche dopo le ultime discussioni sulle candidature delle showgirl (alla fine solo una) nelle fila del Pdl. Ci sono 92 candidati nelle due liste civiche che appoggiano Renzi, il quale spiega: «Ci sono tante facce giovani. Non potete concentrarvi solo su di lei e fare paragoni con Berlusconi e il Pdl. Elisa è un’ottima professionista, seguita, capace e oltretutto laureata, per cui non capisco proprio cosa ci sia da polemizzare».

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«Parlando con i cittadini mi sono accorto soprattutto di una cosa: nessuno li ha ascoltati. Ecco, io al contrario vorrei essere il sindaco di Firenze e dei fiorentini, per questo se c’è un’idea positiva per la città non mi pongo il problema da che parti arrivi» gari inizieranno le contrattazioni nella coalizione. È uno scenario che abbiamo visto per anni nel centrosinistra di Palazzo Vecchio. «Sì e non mi sembra un bello spettacolo. Ma ora mi faccio un’altra domanda: io ho presentato alla città la Lista Galli perché non ho mai fatto politica e ho deciso di correre proprio come candidato civico, alleato del Pdl e di altri movimenti e comitati. Ma Renzi perché fa la lista civica? Non aveva vinto le primarie come candidato del Pd?». Parliamo di programma. Come si rilancia Firenze? «I punti cardine sui quali sto lavorando sono quattro: una migliore viabilità, compresa la ridefinizione di tutto il capitolo della tramvia, grande attenzione alla sicurezza dei cittadini, interventi sociali per chi ne ha bisogno che non servano per fare il favore ai soliti amici degli amici ma che aiutino davvero i cittadini e poi il sogno: il progetto di una grande Firenze, rilanciata nell’economia, nel turismo. Una città che ritrova un rinascimento contemporaneo dopo anni di immobilismo».


FIRENZE

Come pensa di riuscirci? «Lavorando e cercando di avere contatti continui con il governo. Non è un caso che il premier Silvio Berlusconi abbia annunciato l’arrivo a Firenze e che molti ministri passeranno di qui. Inoltre, li ho incontrati a Roma e verranno a Firenze. Fino a un certo livello, infatti, il sindaco può veramente cambiare le cose, ma quando si alzano le competenze serve collaborazione istituzionale, non certo scontro ideologico, come ha sempre fatto la sinistra con i governi Berlusconi». Per esempio? «Prendiamo il caso della Tav: il sottoattraversamento serve al Paese, una nuova stazione sotterranea da milioni di euro no, visto che per raggiungerla i treni veloci dovranno anche fare una curva a gomito sotterranea. Allora, meglio tagliare a dritto da Castello a Campo Marte e ampliare la stazione di Castello: tracciato più veloce, meno dispendioso, ugualmente efficace. Naturalmente, su questo non decide solo il sindaco. Dunque, ne ho parlato con il ministro delle infrastrutture Matteoli che ha detto di essere disponibile a valutare l’alternativa. Dal punto di vista tecnico però è perfetto. Bene, allora perché non farlo? Non vorrei esagerare, ma sono arrivato in un mese dove la sinistra ha solo chiacchierato per 15 anni». Pensa davvero di farcela in una delle città più rosse d’Italia? «I problemi di Firenze non si risolvono con un’ideologia, ma con proposte concrete. I fiorentini lo sanno e dopo aver dimostrato di essere una persona concreta per tutta la vita, dalla mia attività di sportivo alle opere della Fondazione, credo che mi daranno la loro fiducia».

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SPECIALE ELEZIONI

MESSACOSÌ LAPROVINCIA FAPENA(TI) LA CORSA ALLA PROVINCIA DI MILANO È UN TEST DI SOPRAVVIVENZA PER LA SINISTRA. CHE, DOPO CINQUE ANNI DI AMMINISTRAZIONE PENATI, «HA LASCIATO IN EREDITÀ IL NULLA». GUIDO PODESTÀ RECLAMA UN RUOLO DI PRIMO PIANO PER LA PROVINCIA MENEGHINA, SOPRATTUTTO IN VISTA DELL’EXPO 2015. E c’è chi parla già di miracolo a Milano. In attesa che S. Ambrogio faccia la grazia DI GIUSI BREGA l 6 e il 7 di giugno si avvicinano. E anche nella Provincia di Milano sale la temperatura, complici l’afa di stagione e, soprattutto, l’ultima fase del duello a distanza tra il presidente uscente Filippo Penati e il candidato sostenuto dal Pdl e dalla Lega Guido Podestà per la poltrona di Palazzo Isimbardi. La posta in palio è alta. Si tratta di ottenere il controllo di una delle province più ricche di tutto il Nord. L’ultimo baluardo in mano alla sinistra in una delle aree più rilevanti del Paese. Le ripercussioni, a livello nazionale, saranno pertanto rilevanti, soprattutto per il Pd, alle prese con il maldestro tentativo di mettere pezze qua e là, nella speranza di tamponare l’abbondante flusso di voti in uscita. Ma non è completamente vero che Penati non abbia lasciato nulla in eredità. Il Premier Silvio Berlusconi ha persino tracciato un bilancio: «In cinque anni la spesa corrente è cresciuta ed è arrivata a superare i 500 milioni di euro e ha portato al massimo consentito per legge tutte le tasse provinciali, ha battuto tutti i record di pressione fiscale locale: l’addizionale sull’imposta di trascrizione è passata dal 3 al 30% e adesso c’è pure quella sul consumo di energia elettrica che prima non c’era».Via Vivaio, puntualmente, smentisce.

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Podestà, cosa hanno lasciato cinque anni di amministrazione Penati? «Nulla».

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PROVINCIA DI MILANO

Vale a dire? «Per cinque lunghi anni Penati ha illuso i cittadini della Provincia di Milano. Promettendo e occupandosi di cose non di sua competenza, trascurando invece i compiti che il suo ruolo gli assegna».

Guido Podestà, candidato alla Provincia di Milano con Pdl e Lega

Un esempio è d’obbligo. «Durante la scorsa campagna elettorale Penati promise ai cittadini che, una volta eletto, avrebbe abolito il ticket sanitario, cosa che puntualmente non ha fatto perché la Sanità non è una materia di competenza provinciale. Altro esempio. Le infrastrutture. La Giunta di sinistra ha frenato la realizzazione di tutto ciò che è necessario per lo sviluppo del nostro territorio: dalla Tangenziale esterna al progetto di completamento dell’anello a ovest, al prolungamento delle metropolitane, non solo verso Paullo ma anche verso altre destinazioni, per togliere così da Milano il traffico che passa ogni giorno. E migliorando anche l’ambiente». Lei auspica una Provincia che “imbocchi la strada del fare e del fare bene”. Quali sono i punti su cui la nuova Giunta si metterà al lavoro? «Sono cinque i temi cardine che ci impegniamo a realizzare durante la prossima legislatura. A partire dal lavoro. Poi il tema della sicurezza, che deve essere indissolubilmente legato a quello della legalità, la casa, l’ambiente e lo sviluppo infrastrutturale. Un programma articolato che mi impegnerò ad attuare senza sciupare più tempo. I cittadini della Provincia hanno già perso cinque anni». Parliamo di sicurezza, tema centrale di molti programmi elettorali. Lei in che modo intende affrontarlo?

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SPECIALE ELEZIONI

«Con competenza, decisione e autorevolezza. Basta con il falso buonismo: la sicurezza dei cittadini e il rispetto della legge vengono prima di tutto. Per questo bisogna investire più risorse nella sicurezza e potenziare i compiti della polizia provinciale, che deve fare da coordinamento anche con le diverse polizie locali. Bisogna poi garantire un maggior numero di operatori sulla strada, e questo può avvenire anche grazie al sostegno da parte dei diversi gruppi delle forze dell’ordine in congedo che affianchino la polizia locale nei diversi pattugliamenti». Infrastrutture e mobilità: quali i punti più salienti in questo senso? «Ritengo che strade e infrastrutture siano necessarie per far ripartire l’intera economia lombarda. Assieme a Brebemi e Pedemontana, la Tem consentirà di sviluppare un sistema di viabilità più fluido e scorrevole, e avrà ripercussioni anche sui livelli d’inquinamento che si andranno così ad abbassare in Milano città». Non dimentichiamo il sostegno alle imprese, altra tematica scottante. Soprattutto in questo periodo. Da che parte iniziare? «Quello delle microimprese è un mondo al quale io appartengo e che mi è sempre stato vicino in 15 anni di Parlamento europeo. Quello che credo sia importante far comprendere è che abbiamo la necessità che la piccola e micro impresa venga tenuta in maggiore considerazione. Una considerazione che deve arrivare dal sistema bancario e da una deburocratizzazione per chi possiede un’impresa sul nostro territorio». Altrimenti? «Altrimenti si corre il rischio di avere un tasso di disoccupazione molto pesante causato dalla scelta, delle nostre imprese, di delocalizzarsi all’estero». Expo 2015: cosa rappresenta per la Provincia di Milano in termini di

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PROVINCIA DI MILANO

opportunità? «Expo, oltre a essere un impegno internazionale del nostro governo, è un’occasione straordinaria di crescita non solo per Milano, ma anche per tutto il territorio lombardo, per richiamare investimenti, completare infrastrutture e creare posti di lavoro. L’Esposizione Universale è un’opportunità sia per ciò che determina dal punto di vista dell’economia sia dal punto di vista della conoscenza e del richiamo a livello Internazionale per il nostro Paese. Quello che ha fatto vincere l’Expo a Milano è un programma di lunga durata, capace di mobilitare idealmente e concretamente verso il futuro le migliori forze della società. Un programma capace di ridare il giusto respiro internazionale alla nostra città». Lei ha affermato di voler convocare, una volta eletto, un “tavolo dei Sindaci” della Provincia per ascoltare il loro parere sulle ipotesi di istituzione della città metropolitana. «Sì è così. Una volta eletto convocherò il “tavolo dei Sindaci” della Provincia per ascoltare il loro parere sulle ipotesi di istituzione della “città metropolitana”. Ho avuto i primi suggerimenti da Carlo Tognoli, da Gabriele Albertini, da Gianpiero Borghini, da Marco Formentini e da Paolo Pillitteri, i sindaci milanesi che hanno accettato il ruolo di consiglieri sul tema del governo metropolitano. Dall’incontro sono state prospettate due alternative: elezione di un Presidente e di un Consiglio Metropolitano, in sostituzione della attuale Provincia, con competenze nei campi dell’urbanistica, dell’ambiente, dell’economia locale, dei trasporti e delle comunicazioni; oppure la costituzione di un comitato operativo con la partecipazione del Presidente della Provincia, del Sindaco di Milano e del Presidente della Regione Lombardia, con il compito di operare per le grandi infrastrutture con la eventuale presenza dei sindaci dei comuni capoluogo della “grande Milano”. Questa soluzione potrebbe essere adottata senza dar vita a nuove istituzioni e potrebbe agire sulla base di “accordi di programma”. In ogni caso, affronteremo l’argomento con i Sindaci».

«Per cinque lunghi anni Penati ha illuso i cittadini della Provincia di Milano. Promettendo e occupandosi di cose non di sua competenza, trascurando invece i compiti che il suo ruolo gli assegna»

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ELEZIONI EUROPEE

PERCHÉ C’È SEMPRE PIÙ BISOGNO

DI EUROPA

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I CANDIDATI

ancano pochi giorni ad un importante appuntamento, quale le elezioni europee del prossimo 6-7 giugno. Due giornate che coinvolgeranno l’Italia e altri 26 stati membri, quantificabili in circa 500 milioni di aventi diritto al voto, 16 milioni di giovani europei voteranno per la prima volta i loro rappresentanti a Bruxelles. C’è bisogno di Europa per far fronte ad una crisi economica, all’immigrazione, al problema sicurezza, alle nuove sfide del progresso. Il nostro Paese è tra quelli che più hanno creduto nel progetto di Europa Unita, confidando in questo modello. Di certo l’Europa conta: oltre il 70% delle leggi fatte in Italia sono la ratifica di direttive che provengono da Bruxelles.

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I CANDIDATI MARIO MAURO CIRCOSCRIZIONE NORD OCCIDENTALE Vicepresidente dell’Unione Europea e candidato italiano alla nuova Presidenza di Strasburgo. Nato il 24 luglio 1961 a San Giovanni Rotondo

ELISABETTA GARDINI CIRCOSCRIZIONE NORD ORIENTALE Deputata, è nata a Padova il 3 giugno 1956. Diplomata in lingue, nell’ottobre 2004 è stata scelta come portavoce nazionale di Forza Italia

LICIA RONZULLI CIRCOSCRIZIONE NORD OCCIDENTALE Manager nel settore sanitario, è stata Responsabile del Coordinamento delle Professioni Sanitarie dell’IRCCS dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano

CLEMENTE MASTELLA CIRCOSCRIZIONE SUD È fondatore e segretario nazionale dei Popolari-UDEUR. È stato in Parlamento, dal 1976 al 2008, prima come deputato poi come senatore

BARBARA MATERA CIRCOSCRIZIONE SUD Laureata in Scienze dell’Educazione e della Formazione all’Università La Sapienza di Roma. È militante in Forza Italia dal 2001

LARA COMI CIRCOSCRIZIONE NORD OCCIDENTALE È stata assistente di Mariastella Gelmini, Coordinatore Regionale di Forza Italia Giovani e candidata al parlamento nel Collegio Lombardia I nel 2008

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ELEZIONI EUROPEE

CRISTIANAMUSCARDINI CIRCOSCRIZIONE NORD OCCIDENTALE Nata a Cannobio (VB) il 6 novembre 1948, è deputata del Parlamento europeo, rieletta per la quarta volta nel 2004 per la lista di AN

IVA ZANICCHI CIRCOSCRIZIONE NORD OCCIDENTALE Nata il 18 gennaio 1940, Ligonchio (RE), è membro della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere

VITO BONSIGNORE CIRCOSCRIZIONE NORD OCCIDENTALE È iscritto al gruppo del Ppe di cui è vicepresidente. È membro della Commissione per i bilanci e vicepresidente della Delegazione per le relazioni con gli USA

AMALIA SARTORI CIRCOSCRIZIONE NORD ORIENTALE Dal 99 è parlamentare europea. Fino al giugno 08 è stata coordinatrice delle donne del PPE nella Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere

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GABRIELE ALBERTINI CIRCOSCRIZIONE NORD OCCIDENTALE Nato a Milano, il 6 luglio 1950, ha ricoperto numerose cariche in Confindustria,Assolombarda, Federmeccanica. È stato sindaco di Milano per due legislature

ANTONIO CANCIAN CIRCOSCRIZIONE NORD ORIENTALE Imprenditore, ex sindaco di Mareno, che è stato candidato con il Popolo della Libertà, unico trevigiano in lista per la circoscrizione Nord-Est

PAOLO BARTOLOZZI CIRCOSCRIZIONE CENTRO A giugno 2001 è diventato eurodeputato, subentrando a Silvio Berlusconi nel frattempo nominato Presidente del Consiglio. È nato a Firenze, il 12 settembre 1957


I CANDIDATI

GIACOMO MANCINI CIRCOSCRIZIONE SUD Originario di Malito (CS). Il nonno Giacomo fu deputato, più volte ministro, segretario nazionale del PSI, sindaco di Cosenza dal 1993 al 2002

ROBERTA ANGELILLI CIRCOSCRIZIONE CENTRO Romana, 44 anni, laureata in Scienze Politiche. A luglio 2008 è stata nominata dal Sindaco Alemanno Delegata del Comune di Roma per i diritti dei minori

ALFREDO ANTONIOZZI CIRCOSCRIZIONE CENTRO Attualmente è deputato del Parlamento europeo. È iscritto al gruppo del Partito Popolare Europeo

SALVATORE TATARELLA CIRCOSCRIZIONE SUD

ALFREDO PALLONE CIRCOSCRIZIONE CENTRO Nato il 13 settembre del 1947 a Frosinone. Consigliere regionale e vice Coordinatore regionale vicario del Pdl nel Lazio

ALDO PATRICIELLO CIRCOSCRIZIONE SUD

Vice presidente Regionale dell’ANCI-Puglia e direttore politico del bisettimanale Puglia d’Oggi. Nel 2009 è stato nominato nella Direzione nazionale del Pdl

Vice Presidente della Commissione per l’Industria dell’Ue, è nato a Venafro, il 27 settembre 1957. È iscritto al gruppo del Partito Popolare Europeo

RAFFAELE BALDASSARRE

GIOVANNI LA VIA detto LAVIA

CIRCOSCRIZIONE SUD Nato a Lecce il 23 settembre 1956, è candidato alle elezioni Europee per il Pdl. Laureato in giurisprudenza, esercita la professione di avvocato

CIRCOSCRIZIONE ISOLE Già assessore all’Agricoltura della Regione siciliana, è nato a Catania nel 1963. È professore di Economia e Gestione dell’impresa agroindustriale a Catania

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ELEZIONI EUROPEE

CLEMENTE

MASTELLA

PUNTO FONDAMENTALE DEL PROGRAMMA ELETTORALE DEL SEGRETARIO NAZIONALE DELL’UDEUR E CANDIDATO DEL PDL ALLE PROSSIME ELEZIONI EUROPEE È IL RILANCIO DEL SUD e non ci fosse stata la legge elettorale con lo sbarramento al 4% probabilmente Clemente Mastella, esponente di rilievo nazionale della ex Dc, parlamentare dal 76 al 2008 e per ben due volte ministro, avrebbe corso alle europee del 6 e 7 Giugno con il partito dei Popolari-Udeur di cui è fondatore e segretario nazionale. «Anche se – sottolinea – presentarsi da soli avrebbe comportato un certo rischio». In assenza delle condizioni previste dalla legge ha scelto di candidarsi ugualmente, e questa volta lo ha fatto scegliendo la lista del Pdl. «Penso che al momento questo partito rappresenti la forza più naturale e più espressiva dei miei valori e dei miei orientamenti» dichiara il leader dell’Udeur, motivando così la sua scelta. E aggiunge in merito «mi sono candidato nel Pdl nel rispetto delle mie sensibilità e del mio stile, e visto che le liste non sono rigide, ma con l’ipoteca della preferenza, come peraltro è giusto che sia, mi sto mettendo fortemente in gioco. Il che comporta che per ottenere il consenso degli elettori dovrò sapermi battere». Rispetto al contributo che intende dare alla politica italiana se siederà a Strasburgo, Mastella garantisce che, innanzitutto, combatterà per riportare l’Europa in Italia e l’Italia in Europa «perché in tal senso oggi si è inceppato un elemento che era portante e che aveva investito e contagiato il nostro Paese apportando dei grossi vantaggi specie nei momenti di maggiori perturbazioni sia in campo economico che sociale. Una paralisi che bisogna superare capendosi e ascoltandosi reciprocamente». Altra battaglia che intende sostenere davanti al Parlamento europeo e che rientra nel suo programma elettorale è il rilancio del Mezzogiorno attraverso politiche europee che ne promuovano lo sviluppo. «In materia il Parlamento europeo ricopre un ruolo di primaria importanza, potendo fungere da elemento capace di mediare tra l’Europa politica e il governo europeo al fine di ottenere il superamento delle carenze di strutture o di iniziative in quella parte ancora arretrata del nostro Paese».

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I CANDIDATI

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ELEZIONI EUROPEE

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I CANDIDATI

BARBARA

MATERA CAPACITÀ COMUNICATIVA. VOLONTÀ DI MANTENERE GLI IMPEGNI ASSUNTI CON GLI ELETTORI. ATTITUDINE A LAVORARE IN SQUADRA. QUESTE, SECONDO LA CANDIDATA PUGLIESE, LE VIRTÙ DI UN POLITICO DEGNO DI FIDUCIA

andidata del Pdl per le prossime europee ha all’attivo una laurea in Scienze dell’Educazione e della Formazione all’Università «La Sapienza» di Roma: si presenterà nella circoscrizione dell’Italia meridionale. La passione per l’attività politica «c’è sempre stata», conferma la Matera, militante in Forza Italia dal 2001. La candidatura è una «grandissima occasione» di crescita politica e personale, per la giovane del Pdl che si sente «molto motivata» e ora «sicuramente pronta» rispetto all’anno scorso quando declinava la candidatura alle elezioni del 2008 al fine di completare il percorso di studi universitari. Ostenta sicurezza Barbara Matera, che intende assumersi le dovute responsabilità una volta eletta. Grata all’onorevole Verdini per la fiducia, vede in Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Giorgia Meloni dei modelli di riferimento: giovani donne, alla prima nomina da ministro, che «hanno dimostrato con i fatti di saperci fare». Spera di poter fare altrettanto e promette «dimostrerò quanto valgo». Punta ad una formazione di tipo giuridico-economico per comprendere a pieno le problematiche che si presenteranno, una volta eletta a Bruxelles. Quanto alle doti indispensabili per essere degni della fiducia degli elettori, pensa alla capacità di comunicare, alla volontà di mantenere gli impegni assunti, alla capacità di lavorare in squadra. «Le stesse doti per le quali Berlusconi è stato eletto, dominando la scena politica nazionale e internazionale con un indice di gradimento mai raggiunto da altri leader» confessa la Matera. E fa notare a proposito del disinteresse dei giovani per la politica e l’impegno civile, che tra i suoi coetanei «c’è un forte senso di responsabilità e una decisa volontà di cambiamento rispetto ad un mondo che a volte non riesce a rappresentarli». Un modo di fare politica quello dei giovani di oggi «semplicemente diverso», rispetto al passato, visti i nuovi mezzi di comunicazione, sottolinea la Matera. E denunciando inoltre una «chiusura» da una «certa parte» della classe politica alle nuove generazioni, indica poi il Popolo della Libertà, che apre ai giovani, come un «esempio da seguire».

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ELEZIONI EUROPEE

GIACOMO MANCINI CON UNA LUNGA STORIA FAMILIARE SOCIALISTA ALLE SPALLE, PUNTA A BRUXELLES E GUARDA ALLA CALABRIA AFFINCHÈ POSSA CONTARE DI PIÙ IN ITALIA E IN EUROPA ante città del Sud, ad iniziare dalla mia, sono sporche e male amministrate. È un delitto sporcarle ancora di più. Per questo non imbratterò i muri con i miei manifesti». A parlare così Giacomo Mancini candidato alle elezioni europee per il Pdl nella circoscrizione Sud. Che ribadisce: «sarò presente personalmente per stringere la mano e non con le gigantografie». Sconfiggere la vecchia politica delle «chiacchiere inconcludenti» e dello «stanco meridionalismo lamentoso» per far vincere i fatti e per far emergere le energie giovani: questa la sfida che si pone Mancini.Avvocato di professione ha un cognome che pesa per la lunga storia di famiglia: socialista, originaria di Malito, un piccolo comune alle porte di Cosenza, ha un capostipite che nel 1870, appena ventenne, partecipa con i bersaglieri di La Marmora alla breccia di porta Pia e alla presa di Roma. Fondatore del socialismo Meridionale, il bisnonno Pietro, allievo di Antonio Labriola, eletto nel 1921 primo deputato socialista della Calabria e della Basilicata, ministro nel primo governo di liberazione nazionale. Segretario nazionale del PSI, suo nonno Giacomo fu deputato dalla I alla X legislatura, più volte ministro, e sindaco di Cosenza. Il giovane Mancini non è da meno: a soli 26 anni, è eletto consigliere provinciale di Cosenza, nel 2001 deputato al Parlamento, rieletto nel 2006, capogruppo socialista nella Commissione Affari Esteri della Camera. È giunto il momento, secondo Mancini, che l’Italia inizi a «contare di più» in Europa per questo «c’è bisogno» di farsi rappresentare da una delegazione giovane, preparata e dinamica. «In Calabria il Pdl è nelle condizioni di segnare una tripletta: vincere le elezioni provinciali di Cosenza e di Crotone ed eleggere una rappresentanza al Parlamento Europeo», ne è convinto il candidato calabrese che sottolinea per vincere la partita «è necessario un gioco corale». È scesa in campo una squadra con «l’ambizione» di rappresentare e dare voce alla nuova Calabria e ha la sua «stella polare» nella politica del fare di Silvio Berlusconi e del suo Governo. «Far contare di più la Calabria in Italia e in Europa», l’obiettivo che sta a cuore a Mancini.

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I CANDIDATI

ELISABETTA GARDINI PIACE PERCHÉ È RIUSCITA AD IMPORSI IN POLITICA, SENZA RINUNCIARE AL RUOLO DI MADRE E ALLA SUA FEMMINILITÀ. SOGNA UN'EUROPA FONDATA «SUI VALORI DELL'OCCIDENTE» ra le politiche più apprezzate, che siedono fra i banchi del partito di centrodestra, vi è l’europarlamentare Elisabetta Gardini, oggi candidata alle europee nel nord-est. A rivelarlo un sondaggio curato da «Affari italiani», che alla vigilia del Congresso del Popolo della Libertà ha chiesto a 500 donne di età compresa tra i 18 ed i 50 anni una classifica delle più apprezzate tra le parlamentari italiane ed europee del Pdl. La Gardini piace soprattutto perché è riuscita ad imporsi in politica, senza rinunciare al suo ruolo di madre e alla sua femminilità. La candidata del Pdl che nel 2004 lascia il teatro e la televisione per candidarsi con Forza Italia alle Europee. Le 34.000 preferenze che raccoglie in quattro settimane di campagna elettorale persuadono Berlusconi a nominarla Portavoce nazionale del partito. La Gardini, una volta eletta, ha due grandi sogni: per prima cosa vorrebbe «fortemente» che i soldi dell’Italia venissero riportati alla sua gente in nome di «un'equa ridistribuzione» delle risorse. Piacerebbe «molto» alla Gardini vedere per le strade italiane tante targhette con su scritto “realizzato con i contributi europei”, come capita di vedere in altri Stati. Sogna un'Europa fondata «sui valori dell'occidente» certa che gli italiani siano «i depositari» di tale cultura che consente di vivere ancora una dimensione di «comunità». E sottolinea «di questo c'è bisogno in quest'Europa che è ancora troppo burocratizzata e lontana dalle popolazioni». Cogliendo «la distanza» dell’ Europa reale da quella percepita, la Gardini vede «un’ Europa senza anima» che vorrebbe ricondurre ai suoi valori di riferimento quelli della tradizione, reinterpretata in chiave moderna quali: senso di responsabilità, etica del lavoro, coerenza e meritocrazia. La Gardini confida nelle donne impegnate in politica «perché possano trasferire nel pubblico quella solidarietà che esiste nel privato». E a tal proposito rammenta una ricorrenza quella del 25 maggio del 1901: anno in cui la Norvegia fu il primo paese europeo ad introdurre il voto alle donne.

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MAURO PROGETTI POLITICI CHE PARTANO DALLA PERSONA, DALLA SUA CREATIVITÀ E CHE LA VALORIZZINO. E UN SOSTEGNO AL PATRIMONIO COMUNE DI TUTTI I POPOLI EUROPEI ono solo Mario. Ma quando la casa brucia e bisogna tirarsi su le maniche... allora divento Mauro». A parlare è il candidato del Pdl alla presidenza dell’Europarlamento che infila la t-shirt canarino con impresso il suo nome: «Uno di noi, Mauro uno di noi». La stessa maglia dei suoi sostenitori. È uno di loro.Va in Europa per loro. Lo hanno capito i due ragazzini,Veronica e Francesco, che gli hanno scritto dopo averlo incontrato durante una gita a Bruxelles. «Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide: questa è la logica che ha guidato lo stare in Europa, da dieci anni, di Mauro che del suo lavoro dice «da lì posso andare a vedere come stanno realmente le cose». Ad esempio, quelle radici cristiane che difende, e intende continuare a difendere, «non sono invenzioni». E aggiunge «basta guardare alla storia del simbolo europeo, dodici stelle su fondo blu». Un bozzetto disegnato da un pittore che si è ispirato a quella piccola medaglietta chiamata “miracolosa”, coniata da santa Caterina Labouré a Parigi su indicazione della stessa Vergine durante un’apparizione. Mauro poi fa riferimento ai padri fondatori quali Adenauer, De Gasperi e Schuman, tre grandi uomini che hanno «saputo» ricreare un’unità europea dopo le guerre mondiali. E sottolinea «organizzare un mercato unico, dotarsi di una moneta unica, aprire le proprie frontiere: qualcosa di impensabile che, grazie all’impegno e volontà di uomini politici lungimiranti, è divenuto realtà». Un patrimonio questo «da difendere», per «consegnarlo» ai giovani. Mauro lancia pure un invito a recarsi alle urne evidenziando che è qualcosa «di più» di un dovere civico significa dire «cosa conta per noi». E a chi cerca di spingere verso l’astensionismo, il candidato del Pdl replica «sono pronto a scommettere che alla fine le percentuali di affluenza alle urne degli italiani sarà superiore a quella degli altri Paesi» ricordando che alla scorsa elezione votò il 72%. L’Europa conta e scegliere da chi farsi rappresentare per i cittadini è una «grande opportunità» secondo il candidato del Pdl che insiste su valori come la dignità della persona, la libertà, la responsabilità, l’eguaglianza, la giustizia, la solidarietà e la sussidiarietà da sempre a cuore alla grande famiglia politica del Partito Popolare Europeo.

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I CANDIDATI

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LICIA RONZULLI SALUTE E SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE. QUESTI GLI ARGOMENTI ALL’ORDINE DEL GIORNO PER GIOVANE CANDIDATA MILANESE CHE HA ALL’ATTIVO UNA LUNGA ESPERIENZA DA VOLONTARIA IN BANGLADESH. UNA SENSIBILITÀ CHE PUÒ PORTARE UN VALIDO CONTRIBUTO NEL DIBATTITO POLITICO erma e determinata ma sempre con il sorriso sulle labbra: così si presenta la giovane milanese dall’inesauribile energia nel buttarsi nelle imprese, anche le più ardue. Affascinata dalla politica per l’opportunità che offre di incidere nella distribuzione delle risorse, la candidata del Pdl alle europee Licia Ronzulli auspica «una società più equa e rispettosa dei bisogni delle persone». Riconoscendosi «fortemente nei valori del Popolo della Libertà», decide di scendere in campo come parte attiva, forte di un’esperienza di 15 anni di lavoro da mettere a disposizione del partito e dei cittadini. Salute e solidarietà internazionale: questi gli argomenti molto vicini all’esperienza professionale e all’attività di volontariato internazionale, che la candidata del Pdl pone al centro del suo intervento politico. L’esperienza nel campo del volontariato le ha dato, di fatto, la possibilità di venire a contatto con differenti realtà, spesso difficili. Ma «è nelle difficoltà che si forgia il carattere» e tutto ciò ha fatto sì che si sentisse pronta «a mettere a disposizione la sua professionalità ed esperienza anche nel mondo politico nazionale». E tra gli obiettivi da perseguire la Ronzulli anticipa: «di certo intendo agire per giungere ad una Sanità di qualità in termini di struttura, di formazione, di ricerca, di assistenza e di cura». Sul fronte delle associazioni di volontariato, vorrebbe contribuire a portare «un maggiore valore e considerazione» delle stesse in quanto «importanti motori di coesione sociale» e «punti di riferimento sul territorio per le famiglie e i cittadini che vogliono relazionarsi con le istituzioni». Nell’immediato futuro e una volta eletta si immagina «con una valigia sempre al seguito, un telefono e un faldone di documenti sotto braccio da leggere e studiare».

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I CANDIDATI

LARA COMI UN TEMPESTIVO AGGIORNAMENTO DEL SISTEMA SCOLASTICO, UN’OPPORTUNA TUTELA DEL MADE IN ITALY E DELLE PMI E LA DEFINIZIONE DI NUOVE E PIÙ ADEGUATE STRATEGIE DI INSERIMENTO OCCUPAZIONALE. PER LARA COMI, IL RINNOVAMENTO DEL NOSTRO PAESE INIZIA DA QUI artecipare, nel proprio piccolo, a ogni cambiamento. Per sentirsi parte di un impegno comune, quello di migliorare se stessi e la società in cui si vive». È stato questo l’impulso che ha spinto Lara Comi, 26 anni, brand manager e una grande passione per la politica coltivata in anni di impegno giovanile, a presentare la candidatura per le prossime europee nelle liste del Pdl. Ed è anche l’auspicio – e l’invito – che rivolge ai suoi coetanei, quei “giovani” che appaiono, oggi, come una categoria sempre più articolata, motivata ed esigente. E che proprio per questo «ha bisogno di una propria, specifica rappresentanza a Strasburgo». Perché, «anche in Europa si avverte la necessità di ringiovanire le istituzioni». Un rinnovamento che la Comi, nel caso dell’Italia, vede incentrato su tre cardini. L’aggiornamento del sistema scolastico, in primis. Poi, «va approfondito il modello dell’apprendistato come forma di primo impiego da trasformarsi in rapporto a tempo determinato. Ultima sfida, la difesa del made in Italy e la «tutela delle Pmi, la nostra vera ricchezza, insieme alla lotta alla contraffazione». Ma è soprattutto la partecipazione diretta dei giovani alla politica a starle a cuore. E come molti suoi coetanei si affida anche a nuovi strumenti di comunicazione. Come Facebook e i social network in generale: «Mezzi formidabili – assicura – capaci di aprire un contatto immediato e privilegiato con un target, quello dei giovani appunto, a cui comunicare in modo rapido ed efficace le nuove riforme, i progetti in cantiere e le ultime leggi emanate. Ma anche un canale per ricevere consigli, e ovviamente critiche». La parola d’ordine è immediatezza, schiettezza e assenza di barriere. Tanto che, da esperta di marketing e tecniche comunicative, questa volta Lara Comi sceglie la strategia più semplice, e più efficace: «Essere me stessa, niente di meno e niente di più».

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©Claudio Bernardi/Lapresse

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CURIOSITÀ

BENVENUTI NELTEATROD’EUROPA ATTORI DI SOAP, COMICI, DIRETTORI DI GIORNALI, GIEFFINI, SCRITTORI E ANCHE UN PRINCIPE A NOI MOLTO VICINO. QUESTI SONO I CANDIDATI ALLE PROSSIME ELEZIONI EUROPEE NEL NORD OVEST. Chi pensa che siano inseriti nelle liste del Pdl si sbaglia di grosso. Andiamo a conoscerli più da vicino DI FEDERICO MASSARI fine aprile si è chiusa definitivamente la corsa per la presentazione delle liste dei candidati che appariranno alle elezioni europee del 6 e 7 giugno. Tra i tanti (forse troppi) spiccano ovviamente i nomi dei personaggi che provengono dal mondo dello spettacolo. Fin qui niente di male. Ma la cosa bizzarra è che la maggior parte di costoro, udite udite, è inserita nella lista Sinistra e Libertà. Esattamente. Proprio quella sinistra che aveva imbrattato pagine e pagine di giornali, e gridato allo scandalo, quando, il Premier Silvio Berlusconi, aveva candidato Barbara Matera, indicata come showgirl perché lavora alla Rai ma impegnata in politica da molti anni. Alla luce dei fatti, a questo punto, al Popolo della Libertà non spetta più la palma d’oro come lista che annovera il maggior numero di star. Chi sosteneva il contrario sarà rimasto profondamente deluso. Ma andiamo per ordine. Nelle fila di Sinistra e Libertà troviamo il comico Bebo Storti, ossia quel Conte Uguccione che solcava i palcoscenici della fortunata trasmissione Mai dire Gol a metà degli anni Novanta. Ci siamo già capiti. Sempre nella lista delle star, non poteva certo mancare un attore di soap. Sergio Troiano divenuto celebre alle masse grazie alla telenovela Centovetrine che, da ormai dieci anni, va in onda su Canale 5. Le regole della par condicio, che vietano ai candidati alle elezioni europee di essere presenti in video durante la campagna elettorale, avranno straziato il cuore delle sue numerosissime fans. A tal proposito, sempre le fan, dovranno incrociare le dita e sperare che da qui al prossimo mese, a “Sergione”, non siano stati affidati ruoli chiave in nessuna delle trame perché altrimenti sarebbero tutte da cassare e nessuno capirebbe più un fico secco. Infine, nella lista bianco rossa, anzi, rosso e bianca, anzi, rossa e basta, chiuderanno il quartetto dei vip la scrittrice per ragazzi, Bianca Pitzorno, e il direttore della rivista Linus, Michele Dalai. La prima, sul perché della scelta ha risposto: «gli ex Democratici di sinistra, ora Pd, hanno perso la S di sinistra». La scrittrice ha pure aggiunto che il progetto Sinistra e Libertà potrebbe riunire tutte quelle persone che non se la sentono più di partecipare alla vita pubblica.

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Nella foto, il Principe Emanuele Filiberto di Savoia. Dopo aver ballato sotto le stelle, punta alle stelle d’Europa

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Nella foto sopra Bianca Pitzorno, a fianco Bebo Storti, alias il Conte Uguccione, l’ex schedina Elisa Sergi; sotto, l’ex gieffina Teresa Stinziani

«Bisogna intaccare – ha concluso la Pitzorno – questo monolite del berlusconismo». Il secondo, Michele Dalai, ha scelto di candidarsi per «testimoniare il mio entusiasmo per un progetto ora più che mai necessario. L’idea che un vero partito democratico possa e debba nascere a Sinistra e non necessariamente dalla fusione di esperienze troppo lontane nello spazio e nel tempo». Chi ha capito è bravo. Rimanendo sempre in tema, “radio velina” ha da poco diramato la notizia che, l’ex concorrente del Grande Fratello 8, Teresa Stinziani, si candiderà alle comunali di Campobasso nelle liste del Pd (emulando così l’ex schedina Elisa Sergi che si presenterà in una delle due liste civiche di Matteo Renzi, candidato sindaco del Pd a Firenze). In tipico stile GF la ragazza di Salcito (Cb), rispondendo a una domanda, ha dichiarato: «L’idea di fare politica è nata un po’ per caso, ma più che altro il mio obiettivo è fare qualcosa di utile per la mia città». C’è solo un modo per commentare questo messaggio della ex reclusa di Cinecittà: benvenuti nel mondo del luogo comune. Poi, la gieffina, ha voluto sottolineare di sentirsi «molto dispiaciuta» se la gente per strada la riconosce come una “velina”. Forse i non vedenti. E infatti, ammette: «Grazie a Dio sono mi-

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CURIOSITÀ

gliorata. Ma non sono una gran figa». Su questo come darle torto. Chiudendo il capitolo Pd e Sinistra e Libertà, andiamo però ad aprire il capitolo riguardante, forse, la vera chicca di queste elezioni europee. Chicca completamente targata Udc. Stiamo parlando del rampollo di Casa Savoia: Emanuele Filiberto. Fresco vincitore di Ballando sotto le stelle, il trentasettenne il primo passo nel mondo della politica lo fece durante le elezioni politiche del 2008. Ma al suo movimento Valori e Futuro, per la circoscrizione estera “Europa”, non andò granché bene: 0,4 per cento con 4.457 voti. Adesso si troverà a fronteggiare una nuova sfida. A guardarlo bene sembra su di giri. Buca lo schermo e ha parole di elogio per chiunque, a cominciare da Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa. «Mi impegnerò – spiega il nipote dell’ultimo Re d’Italia – come un giovane al servizio del mio Paese: la cosa che amo sopra ogni cosa», ha tenuto a sottolineare. E a proposito della sua scelta, ha ribadito: «Non esiste nessun significato monarchico. Sono un giovane cittadino della Repubblica che rispetta la Costituzione, che ha alle spalle una storia, ma che sa guardare avanti. L’Udc è un partito di centro e moderato e, come me, difende la famiglia e i valori cristiani». Lo slogan che porterà in campagna elettorale sarà “I valori per l’Italia, per il futuro dell’Europa”. Ma non è certo finita qui. Come vuole la tradizione, il giovane di Casa Savoia non può abbandonare i microfoni senza rilasciare almeno una perla di saggezza. «La mia campagna elettorale – assicura – sarà tra la gente nei bar, nelle discoteche, tra i giovani, ma anche su facebook». Di primo acchito, nell’udire queste parole, a chiunque verrebbe da pensare: ma questo vuole condurre una campagna elettorale o vuole solo divertirsi? Effettivamente, manca solo lo stadio, e i luoghi dello spasso se li è girati tutti. Che aggiungere? Solo un bel: staremo a vedere.

Tra i candidati delle elezioni europee spiccano i personaggi che provengono dal mondo dello spettacolo. La maggior parte è inserita nella lista Sinistra e Libertà. Proprio quella che aveva gridato allo scandalo contro il premier Silvio Berlusconi

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È NATO IL PDL

ÈCRONACADIUNEVENTO NATO IL PDL LA NASCITA UFFICIALE DEL PDL SCRIVE UNA PAGINA IMPORTANTE NELLA STORIA REPUBBLICANA. UN SOGNO GUIDATO DALLA «LUCIDA E LUNGIMIRANTE FOLLIA» DI SILVIO BERLUSCONI CHE SI È CONCRETIZZATO NEL PRIMO CONGRESSO DEL PARTITO. Ecco i protagonisti, i valori, le idee e le sfide del nuovo miracolo politico italiano hi crede nella libertà non sarà mai solo». Queste parole vennero naturali a Silvio Berlusconi il 2 dicembre 2006 in Piazza San Giovanni, davanti a due milioni di persone che si erano riunite spontaneamente per protestare contro il governo Prodi. E sono le stesse che il leader di centrodestra ha scelto di pronunciare il 27 marzo scorso, nella giornata di apertura della tre giorni del Congresso fondativo del Pdl, svolto nella nuova Fiera di Roma, per celebrare «l’avverarsi di un grande sogno», l’ufficializzazione di «un movimento che è già vincente – ricorda Berlusconi – nato nella mente e nel cuore dei milioni di italiani che l’hanno costruito nelle piazze, nelle strade, nei gazebo». Una passione e un impegno che si sono tradotti nella vittoria schiacciante delle ultime Politiche e che, come un’onda lunga, hanno conquistato Regioni, Province e Comuni, e che ora si appresta a sbancare Europee e Amministrative. «Siamo il più grande partito italiano – dice il presidente del Consiglio tra gli applausi – e intendiamo puntare al 51% dei consensi. Inutile nasconderlo, sono sicuro che ci arriveremo». È proprio il premier a catalizzare l’attenzione della prima giornata congressuale, cominciata con i saluti di Wilfried Martens, presidente del Partito Popolare Europeo e di Hans-Gert Pöttering, leader del Ppe tedesco, a cui sono seguiti gli interventi di cinque giovani rappresentanti di circoli, fondazioni culturali, associazioni del mondo del lavoro e della scuola. Nel giorno della nascita del nuovo partito non poteva mancare la presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che, attraverso una telegramma, si felicita per l’evento: «Confido – scrive – che il Popolo della Libertà vorrà assecondare ogni sforzo rivolto ad affermare una leale collaborazione tra le istituzioni e a favorire un clima politico di maggiore corresponsabilità nel superiore interesse della nazione e della sua unità». Nel suo lungo discorso inaugurale, Berlusconi sceglie di soffermarsi su due concetti basilari: popolo e libertà. E lo fa ripercorrendo la genesi del nome della sua creatura politica. «Siamo un popolo autentico e genuino – sottolinea – estraneo ai rituali della politica

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IL CONGRESSO

di Palazzo. Dovevamo essere prima un popolo che un partito». E poi viene la libertà, «un concetto – ribadisce Berlusconi – che appare scontato ma che va difeso ogni giorno. Fino al cuore del rapporto tra cittadino e Stato». Un passaggio epocale, quello sancito dal primo Congresso pidiellino, perché conclude e completa, secondo le parole del premier, una fase storica che vedeva la democrazia italiana ancora «incompiuta a causa della mancanza di una rivoluzione liberale». E proprio riflettendo sul nuovo corso della politica di centrodestra, Berlusconi non manca di ringraziare Gianfranco Fini, seduto in prima fila tra Umberto Bossi e Renato Schifani, perché «anteponendo gli interessi del Paese a quelli personali», ha contribuito attivamente al lavoro comune tra An e Fi per la nascita del Pdl. Il Cavaliere ricorda le fasi di un cammino lungo, non senza ostacoli. Scandito da due date fondamentali: il 26 gennaio 1994 e il 27 gennaio 1995. La prima sancisce la nascita di Forza Italia, la seconda “l’uscita dalla casa del padre” del Msi e la creazione, con la svolta di Fiuggi, di Alleanza Nazionale, «una moderna forza di governo pienamente legittimata sulla scena italiana ed europea». E un pensiero del Premier va anche al leader del Carroccio, presenza inattesa perché prevista solo nella giornata conclusiva, presentato Bossi alla platea come «l’alleato più fedele». Berlusconi non risparmia certo stoccate contro la sinistra, rea di essere in ritardo cronico rispetto alle necessità del Paese. «Noi andiamo avanti, loro invece tornano indietro – tuona senza mezzi termini –. Oggi la sinistra sta uscendo di scena e non ha più un volto. Una sinistra riformista sarebbe indispensabile. Non possiamo farci carico dei loro ritardi, ma siamo qui ad aspettarli. Attenderemo con la pazienza e la tolleranza che loro arrivino a cambiarsi in socialdemocratici». Il secondo giorno del congresso ha dato invece voce a quasi tutta la classe dirigente del neopartito: dai presidenti di Camera e Senato ai ministri, passando per i capigruppo parlamentari e i presidenti di Regione. Come in una staffetta, tutti gli interventi hanno tracciato la storia di un progetto divenuto realtà, restituendo l’immagine delle diverse anime che sono naturalmente confluite dentro il neonato partito. A inizio giornata a far

27-29 marzo POPOLO E LIBERTÀ

Sono i due concetti chiave su cui si fonda il partito guidato da Silvio Berlusconi

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È NATO IL PDL

GOVERNO, ECCO LA SQUADRA DI BERLUSCONI Sono 35 i componenti dell’ufficio di presidenza del PdL che condivideranno con Berlusconi le responsabilità sulle decisioni strategiche del partito. Tre i coordinatori nazionali: Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini, ai quali spetta il compito di occuparsi della struttura organizzativa e dell’attività nazionale. Danno inoltre attuazione alle deliberazioni del presidente e dell’Ufficio di presidenza ai quali sottopongono anche le nomine degli organi dirigenti e le candidature. Dell’ufficio fanno parte 15 ministri e 4 sottosegretari: · Angelino Alfano (Giustizia) · Renato Brunetta (Funzione Pubblica) · Mara Carfagna (Pari Opportunità) · Raffaele Fitto (Affari Regionali) · Franco Frattini (Esteri) · Mariastella Gelmini (Istruzione) · Altero Matteoli (Trasporti) · Giorgia Meloni (Giovani) · Stefania Prestigiacomo (Ambiente) · Andrea Ronchi (Politiche Comunitarie) · Gianfranco Rotondi (Attuazione del Programma di Governo) · Maurizio Sacconi (Lavoro, Salute e Politiche Sociali) · Claudio Scajola (Sviluppo Economico) · Giulio Tremonti (Economia) · Elio Vito (Rapporti con il Parlamento) · Carlo Giovanardi, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio · Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno · Adolfo Urso, sottosegretario Sviluppo Economico · Pasquale Viespoli, sottosegretario al Welfare Fanno parte dell’ufficio di Presidenza: · Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera · Italo Bocchino, vice capogruppo alla Camera · Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato · Gaetano Quagliariello vice capogruppo al Senato · Marco Martinelli Membro “europeo” è Antonio Tajani, vicepresidente della commissione Europea responsabile per i trasporti. Fanno parte dell’ufficio di Presidenza anche i presidenti di Regione del Pdl: · Michele Iorio (Molise) · Ugo Cappellacci (Sardegna) · Gianni Chiodi (Abruzzo) · Giancarlo Galan (Veneto) · Renzo Tondo (Friuli Venezia Giulia) · Roberto Formigoni (Lombardia) e il sindaco di Roma Gianni Alemanno

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da padrone è stato il ministro alla Funzione Pubblica Renato Brunetta, accolto da una vera e propria standing ovation. Lunghi minuti di applausi che hanno fatto scendere qualche lacrima di commozione al “rivoluzionario” che ha messo mano alla pubblica amministrazione. «Il successo del governo – dice Brunetta – è il vostro, è il successo di una rivoluzione iniziata con le scelte di Berlusconi e che continua nella nostra attività. Dai militanti dei gazebo, che in quel dicembre freddo parlavano con la gente, ai coordinatori e ai ministri. Siamo noi i rivoluzionari. Siamo imperfetti, pieni di difetti ma siamo i rivoluzionari di cui l’Italia aveva bisogno. Protagonisti di una rivoluzione moderata, borghese di cui tutti gli italiani ne sono e ne saranno i beneficiari». Poi è la volta del presidente della Camera Gianfranco Fini. Nel suo atteso intervento risponde al presidente del Consiglio, ringraziandolo «per la chiarezza e la generosità con cui nel suo intervento in un colpo solo ha spazzato via tanti luoghi comuni e, perché no, tante interpretazioni maliziose e interessate». Sottolineando anche che «il Pdl non sarebbe nato senza la lucida follia di Berlusconi». Fini riflette anche sulla laicità dello Stato e sul rilancio di una grande stagione costituente. Sul piano economico parla poi della necessità di creare un «patto tra Nord e Sud» e di «mandare al macero la logica clientelare» per ridare forza a uno sviluppo equilibrato del Paese. Non a caso pone un accento sul federalismo fiscale che «può essere un’opportunità per il Sud, ma solo ed esclusivamente se lo Stato c’è e riafferma la sua presenza». E, per Fini, la gestione dei rifiuti campani è, da questo punto di vista, un simbolo di questa rinnovata presenza. «Non dobbiamo temere il federalismo – mette in chiaro la terza carica dello Stato –. Dobbiamo temere la latitanza delle istituzioni». Anche l’intervento del presidente del Senato tocca il tema della laicità, che, ammonisce «non si deve trasformare mai in omissione di responsabilità». Poi Renato Schifani ripercorre gli ostacoli superati in 15 anni dal centrodestra. «Bello sentirsi a casa – afferma sorridente –. Oggi è il giorno delle idee e delle emozioni. L’emozione di partecipare a una giornata storica che sta segnando una pagina strategica del nostro Paese». L’inquilino di Palazzo Madama ricorda anche la «traversata del deserto», la sconfitta alle elezioni del 96. «Da allora siamo cresciuti come classe dirigente – continua – e siamo pronti a cedere il testimone alle giovani generazioni, il cui entusiasmo è lo stimolo per andare avanti». «Oggi – conclude – nasce il più grande partito moderato d’Europa. Sappiamo che ce la possiamo fare: abbiamo uomini, mezzi, idee e forza. La storia ci darà ragione e noi faremo di tutto per essere dalla parte della ragione». Il terzo è ultimo giorno, giustamente battezzato come il B-Day, si trasforma in una festa per gli oltre seimila delegati azzurri. Un popolo colorato, entusiasta ed eterogeneo vota compatto Berlusconi presidente del Pdl, il quale, a suo volta, nomina i tre coordinatori


IL CONGRESSO

note MARIO SECHI

Il taccuino su cui il vicedirettore di Panorama ha preso nota dei punti chiave del discorso di apertura pronunciato dal Premier al Congresso

nazionali del partito, Denis Verdini, Sandro Bondi e Ignazio La Russa, e l’Ufficio di presidenza. Tra l’acclamazione il premier ha prima di tutto voluto ringraziare “i suoi” per la fiducia, l’amicizia e l’affetto. «Mi avete affidato una grande ed entusiasmante responsabilità» ammette sorridente e commosso. E il suo intervento conclusivo si apre con un richiamo all’ormai celebre discorso che nel 94 segnò la sua discesa in campo: «Vi dico che dobbiamo costruire insieme un nuovo miracolo italiano» ha ribadito con lo stesso spirito che fin dall’inizio ha guidato la sua avventura politica. Raccogliendo idealmente il testimone da Gianfranco Fini, Berlusconi ricorda poi come «le decisioni più giuste, la vera saggezza» non scaturiscano dalla mente e dal ragionamento, ma dalla follia lungimirante. «Gianfranco Fini – ammette – mi ha riconosciuto una lucida follia senza la quale non sarebbe mai nato il Pdl. Ha colto nel segno». La stessa follia, confessa il presidente, che lo ha guidato dall’inizio dell’avventura politica nel 1994 fino alla costruzione di un soggetto politico in grado di catalizzare intorno a sé la maggioranza dei consensi elettorali, tanto da essere paragonabile, nella storia repubblicana, solo alla Dc. Il premier poi parla della crisi economica, «dalla quale usciremo presto», delle prossime elezioni Europee, in cui il Pdl punta a diventare «il primo gruppo parlamentare a Bruxelles all’interno del Ppe» e delle Amministrative. Nelle parole di Berlusconi ritorna anche la Costituzione e la necessità di conferire al Paese un assetto più moderno e funzionale.Attuare la trasformazione, usando una metafora, da calabrone, il cui volo è incerto e quasi immobile a crisalide e, infine, a farfalla. Per questo «serve – ribadisce – ammodernare l’architettura istituzionale dello Stato». A partire dal conferimento di maggiori poteri al presidente del Consiglio, al momento «quasi inesistenti». Un dovere, quello di alleggerire il sistema Paese, che la politica deve prendersi nei confronti dei giovani che «si sentono più farfalle che calabroni» e dei quali è necessario evitare la disaffezione dalla vita pubblica. «Sogno di fare dell’Italia un Paese davvero libero, moderno ed europeo. Non dobbiamo avere paura di pensare in grande». Un pensiero, una volontà, che nel presidente del Consiglio si è sempre dimostrata vincente, nel 94 come nel 2009.

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IL CONGRESSO DEL POPOLO DELLA LIBERTÀ. TRE GIORNI DI DIBATTITO, CONFRONTO E PROSPETTIVE. TRE GIORNI DI PASSATO, PRESENTE E FUTURO. GIORNI DA RIVIVERE ATTRAVERSO LE IMMAGINI PIÙ RAPPRESENTATIVE, EMOZIONANTI E COINVOLGENTI CHE LI HANNO CARATTERIZZATI E CHE HANNO FATTO IL GIRO DEL MONDO. A TESTIMONIARE UN EVENTO CHE HA CAMBIATO PER SEMPRE LA STORIA POLITICA DEL NOSTRO PAESE

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IMMAGINI DI UN EVENTO


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IL CONGRESSO

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I TRE COORDINATORI

LA RESPONSABILITÀ

NELLALIBERTÀ ÈLAMIABANDIERA LA CARATURA DI SANDRO BONDI NELLA SCENA POLITICA ITALIANA SI MISURA A PAROLE. PERCHÉ L’ATTUALE MINISTRO AI BENI CULTURALI HA FATTO DEL DIALOGO E DELLA MEDIAZIONE LA PROPRIA CIFRA STILISTICA. Una capacità sviluppata nei cinque anni in cui è stato Coordinatore nazionale di Forza Italia e che prosegue oggi nelle vesti di uno dei tre coordinatori del Pdl DI LORENZO BERARDI esperienza politica individuale matura e si evolve giorno dopo giorno. Ed è dal dialogo, dal confronto, talvolta anche acceso, tanto con i colleghi di partito quanto con gli avversari che si acquisiscono saggezza e accortezza non solo come politici, ma anche come uomini e pensatori. Per Sandro Bondi, i cinque anni trascorsi come Coordinatore nazionale di Forza Italia dal 2003 al 2008 hanno rappresentato una straordinaria opportunità di crescita politica e intellettuale. «Ho imparato – ricorda oggi l’attuale Ministro dei Beni e delle attività culturali – che nel partito e nei confronti degli avversari politici il buon senso è l’arma migliore per trovare un accordo». Un periodo di «formazione incredibile» che ha consentito a Bondi di divenire un interlocutore privilegiato e attendibile, maturando inoltre «un diverso modo di vedere le cose e di approcciarmi alla realtà politica». Pacato e riflessivo, ma nient’affatto timido o rinunciatario nel portare avanti le proprie posizioni, Bondi non ama l’alzarsi dei toni e la chiassosità tipica di alcuni salotti televisivi. Sue caratteristiche sono il paziente ascolto dei pareri e delle opinioni altrui e quella capacità di mediazione innata di chi per cinque anni ha dovuto coordinare l’operato del principale partito italiano, di governo come d’opposizione. Un partito contraddistinto da una leadership carismatica come quella di Silvio Berlusconi che ha rappresentato assieme il valore aggiunto e la stella po-

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L’UTOPIA CONCRETA DELLE RISORSE INTERIORI Silvio Berlusconi e Adriano Olivetti. A prima vista l’accostamento fra i due può apparire insolito. Entrambi imprenditori anomali, appassionati di politica e con il pallino dell’urbanistica e della comunicazione, Berlusconi e Olivetti sono vissuti in due periodi diversi della recente storia d’Italia. La tesi espressa da Sandro Bondi nel suo agile saggio “Il sole in tasca”, edito da Mondadori, è che i punti di contatto fra queste due figure fondamentali per la modernizzazione del Paese siano molti. Fautori di quell’utopia concreta che vede nell’incontro fra l’area socialista e quella liberale contro a qualsiasi forma di regime autocratico la propria meta, Berlusconi e Olivetti hanno saputo affiancare a indiscutibili doti imprenditoriali anche la passione politica. Entrambi si sono rivelati due grandi comunicatori, seppur in forme e con finalità diverse, ma al tempo stesso sostenitori di quel “capitale umano” che rappresenta la vera fonte della produzione e per sostenere il quale hanno saputo creare lavoro e condizioni favorevoli all’occupazione. Perché è sempre dalla creatività individuale messa al servizio della società, della communitas e della polis che nascono i mutamenti sociali, culturali ed economici. Non a caso Berlusconi proprio come Olivetti ha amato e saputo circondarsi di grandi uomini, con loro ha discusso, litigato talvolta, ma sempre riuscendo a trarre da queste esperienze insegnamenti utili. E se l’imprenditore di Ivrea vedeva la persona e la comunità come due unità inscindibili, concetto ribadito nel 1948 con la fondazione del suo Movimento Comunità, l’attuale Presidente del Consiglio ha saputo andare oltre, traslando questo concetto alla propria esperienza politica. Sindaco di Ivrea a fine anni 50, Adriano Olivetti non volle o forse non riuscì (scomparve improvvisamente nel 1960) a proseguire la propria esperienza politica, ma ciò che Sandro Bondi dimostra è che il suo esempio non è stato dimenticato. Pur tracciando i necessari distinguo, “Il sole in tasca” racconta di come sia Olivetti che Berlusconi abbiano saputo scommettere sulle risorse interiori e creative dell’uomo per liberarlo dall’asservimento passivo alle ideologie, tanto lavorative quanto partitiche.

lare di Forza Italia. «È stata una grandissima esperienza poter lavorare a stretto contatto con un leader carismatico come Silvio Berlusconi che dà ai propri collaboratori libertà assoluta di manovra – sottolinea Bondi –. Ma quanta più libertà ti è concessa, tanta più è la responsabilità con cui devi svolgere quel determinato ruolo. Questa responsabilità nella libertà è uno stimolo straordinario per crescere e migliorarsi». Una responsabilità che prima di lei è stata assunta dal suo predecessore, Claudio Scajola, e poi da Denis Verdini. Cosa ritiene di avere appreso dall’uno e trasmesso all’altro nello svolgere un simile e indispensabile ruolo di coordinamento all'interno di un partito oggi confluito nel Pdl? «Scajola ha avuto il merito di aver creato un partito radicato sul territorio. Nei miei anni come coordinatore di Forza Italia ho cercato di proseguire e completare il suo lavoro, insistendo nel farne un vero partito vicino alla gente, con indispensabili meccanismi di formazione della classe dirigente, ma senza svilire la creatività che da sempre lo ha contraddistinto. Ho lavorato per unire, per tenere insieme, per aggregare, per infondere il sentimento di solidarietà di partito, della comune appartenenza a un progetto di rinnovamento dell’Italia. Ho inoltre contribuito e voluto insieme al presidente Berlusconi una svolta generazionale della nostra classe dirigente». Lei ha assunto l’incarico di Coordinatore nazionale di Fi a metà del Ber-

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I TRE COORDINATORI

lusconi bis, rivestendo tale ruolo anche nei due anni dell’esecutivo guidato da Romano Prodi. Quali le differenze fra l’essere Coordinatore del maggior partito di governo e poi del maggior partito d’opposizione? «Quando si è al governo il compito di un coordinatore è quello di mantenere buoni rapporti all’interno del proprio partito e coi propri alleati, nonché di supportare l’azione dell’esecutivo. Quando si è all’opposizione, invece, il partito diventa il luogo principale dell’organizzazione di un progetto alternativo».

Sandro Bondi è ministro ai Beni e alle attività culturali del Governo Berlusconi, nonché uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl assieme a Ignazio La Russa e Denis Verdini. Dal 2003 al 2008 è stato coordinatore nazionale di Forza Italia

Nel suo intervento sul palco in occasione del primo congresso del Pdl, lei ha auspicato che il nuovo partito possa divenire "la casa comune di laici e credenti" affermando di credere tanto nella leadership quanto nella partecipazione. Come si conciliano questi aspetti con successo e quali sono stati i primi passi concreti del nuovo soggetto politico che dimostrano come le sue aspettative per il Pdl siano state confermate? «Proprio con la leadership carismatica c’è la massima partecipazione. Non è un caso che il Pdl secondo gli ultimi sondaggi sia oggi attestato al 40%. È ovvio che serve una grande organizzazione democratica per agevolare una grande leadership». Sempre in quella circostanza lei ha letto personalmente una lettera inviata da Gianni Baget Bozzo, impossibilitato a partecipare al congresso per via delle proprie gravi condizioni di salute. A pochi giorni dalla scomparsa di don Gianni, quanto è stato importante il ruolo giocato dal religioso-politologo nel processo che ha portato a quella nascita del Pdl che lui stesso ha definito "un evento storico" e "una nuova possibilità per l'Italia"? «Sono addolorato per la perdita di don Gianni. Sono stato onorato di aver potuto leggere il suo messaggio al congresso del Pdl, perché credo che don Gianni Baget Bozzo abbia rappresentato per tutti noi una guida e un modello a cui fare riferimento. Don Gianni ha individuato con certezza e forza una via che contemperasse il liberalismo con il cristianesimo e il socialismo. A lui dedicheremo quest’anno la Scuola di Gubbio».

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DOBBIAMO MARCIARE

CON DECISIONE VERSO IL BIPOLARISMO MINISTRO DELLA DIFESA E COORDINATORE NAZIONALE DEL PDL. DUE IMPEGNI DELICATI E GRAVOSI. AI QUALI IGNAZIO LA RUSSA SI DEDICA CON IL MEDESIMO ENTUSIASMO. E SENSO DI RESPONSABILITÀ. PER IL BENE DEL NOSTRO PAESE E DEGLI ITALIANI DI MARILENA SPATARO anto grintoso ed energico quando si tratta di tenere alto l’onore e l’orgoglio del Paese, come si addice a un ministro della Difesa, quanto diplomatico e propenso ad ascoltare le opinioni degli altri quando c’è da mediare su questioni di politica interna. È mettendo a frutto queste doti che Ignazio La Russa ha dato un contributo determinante durante la sua reggenza di An alla nascita del Pdl, il grande partito di massa d’ispirazione liberale nato dalla fusione di Forza Italia e di Alleanza nazionale nella tre giorni congressuale della fiera di Roma tenutasi alla fine dello scorso marzo. Oggi come coordinatore nazionale della nuova formazione politica insieme a Sandro Bondi e a Denis Verdini, il ministro La Russa continua nel suo impegno per far sì che il Pdl possa portare l’Italia al livello degli Stati più moderni ed efficienti della scena internazionale.

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Il 29 marzo 2009 è nato ufficialmente il Pdl. Al di là dell'aspetto formale cosa rappresenta quella data? «È stato un passaggio storico per il nostro Paese. Abbiamo dato vita a un partito che sarà protagonista della vita politica per i prossimi decenni. Quel giorno è finita una lunga fase di transizione. C’era l’illusione che la seconda Repubblica potesse iniziare nel 1994, invece possiamo dire sia nata proprio il 29 marzo con il congresso costitutivo del Pdl». Cosa si prefigge il Pdl? «Il Pdl vuole contribuire a rendere più moderne le istituzioni e a offrire condizioni di vita migliori per i cittadini». Cosa ricorda di particolarmente significativo di quella tre giorni? «Sicuramente il momento clou è stato quando Berlusconi e Fini hanno sottolineato la

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© Marco Merlini / LaPresse

necessità di un Pdl coeso e basato sugli stessi ideali. È stato emozionante vedere un “popolo” unito nei medesimi valori, non solo a parole ma anche nei fatti». Non sarà facile gestire la prima “forza politica” del Paese. «La parte più faticosa ormai è alle spalle. Adesso siamo nel nostro partito e lavoriamo non meno, ma meglio. La nostra incidenza sull’agenda politica ne è una conferma. C’è una perfetta sintonia con gli altri due coordinatori, Sandro Bondi e Denis Verdini. Abbiamo davanti una bella sfida che sapremo affrontare con grande sinergia. In questo saremo coadiuvati dagli organi nazionali del partito. Abbiamo un Ufficio di presidenza, con cui dovrà agire d’intesa il presidente nel prendere le sue decisioni. La Direzione nazionale, insieme agli altri organi territoriali, garantirà a tutti la possibilità di partecipare attivamente alla “vita” del partito». Il presidente Berlusconi ha più volte detto che il Pdl può raggiungere il 51% dei consensi. «Con la sua pluralità di voci ispirate tutte agli stessi ideali e valori, il Pdl nasce come “partito degli italiani” e ha nel suo dna la volontà di rappresentare e incarnare i sentimenti della maggioranza del Paese. Ci sono tanti obiettivi che ci siamo prefissati e sono certo che riusciremo ad attuarli. Sono convinto, inoltre, che gli elettori apprezzeranno i nostri sforzi e ci premieranno alle prossime consultazioni elettorali». Come considera questa fase iniziale del nuovo partito? «Al congresso ho utilizzato una metafora, definendo il percorso che ha portato FI e An alla costituzione del Pdl come le acque del Rio Grande e del Rio Negro in Brasile che, quando si uniscono, rimangono di colori diversi per qualche chilometro per poi diven-

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Ignazio La Russa è ministro della Difesa del IV Governo Berlusconi e uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl

tare di un unico colore. Ormai tutte le componenti si sono perfettamente amalgamate e lavorano all’unisono per realizzare concretamente i nostri progetti politici». C’è chi obietta che la nascita del Pdl sia stata una fusione forzata dagli eventi. «È il contrario. Questo progetto è stato avviato 15 anni fa. Da allora Forza Italia e Alleanza Nazionale sono sempre rimaste orgogliosamente alleate a ogni competizione elettorale. Il Popolo della Libertà ha confermato con i fatti di essere una realtà presente tra i cittadini e nel Paese prima ancora della sua costituzione». Nessun rischio di correnti? «Nel Pdl ci sarà una sana competizione sulle idee. Nessuno sarà minoritario». E lei invece come si sente nella nuova veste di coordinatore nazionale? «Prima ricoprivo il doppio ruolo di ministro della Difesa e di reggente di An. Ora si cammina con le gambe di una grande organizzazione ed è per me un ulteriore stimolo, unito a una gran voglia di lavorare per il bene del Paese». La nascita del Pdl può rappresentare un contributo prezioso verso un bi-

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I TRE COORDINATORI

© Paolo Tre A3 / CONTRASTO

«Abbiamo dato vita a un partito che sarà protagonista della vita politica per i prossimi decenni» polarismo compiuto? «Per il Pdl il percorso verso il bipolarismo è irrinunciabile. Noi non ci stiamo a ritornare alle scelte post-elettorali fatte di conventicole, di accordi siglati nei corridoi. Né tanto meno alla politica dei due forni praticata da qualcuno». Un primo banco di prova elettorale per il Pdl è costituito dalle Europee del 6 e 7 giugno. I sondaggi sembrano essere positivi per il partito di Berlusconi. «Penso che gli elettori premieranno l’attività svolta dal governo in questo difficile primo anno di legislatura. Hanno apprezzato la determinazione e il decisionismo con i quali abbiamo affrontato tutte le emergenze che si sono presentate. Il nostro obiettivo è quello di prendere voti anche al di fuori dei nostri soliti recinti, di chi sta abbandonando le altre formazioni politiche, a partire dalla sinistra». E i rapporti con la Lega? «Con il Carroccio ci unisce una leale competizione. Non vogliamo sottrarre voti a loro. Ma lanciamo un appello a quegli elettori di FI e An che alle ultime politiche hanno scelto di votare Lega, pensando di trovare maggiori risposte su temi come la sicurezza. Ecco, un anno dopo, quando è ormai chiara la coesione e la compattezza del Pdl anche su questi temi, quegli elettori possono tornare nella loro naturale casa politica».

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CON IL PDL È UNNUOVOINIZIO È FERMAMENTE CONVINTO DENIS VERDINI, UNO DEI TRE COORDINATORI DEL PDL, CHE LA NASCITA DI QUESTO NUOVO PARTITO RAPPRESENTI UN EVENTO STORICO CHE, C’È DA SCOMMETTERCI, CAMBIERÀ IL VOLTO DEL NOSTRO PAESE. E A PENSARLO NON È IL SOLO. A FARGLI COMPAGNIA C’È IL 40% DEGLI ITALIANI. Che continuano sempre più numerosi a riporre la loro fiducia in Silvio Berlusconi, fautore di questo grande progetto DI MARILENA SPATARO ilvio facci sognare”. Quante volte questo slogan è volato di bocca in bocca tra la gente che lo acclamava agli inizi della sua discesa in campo in politica. E quando il sogno di Silvio Berlusconi, fautore e anima del Popolo della libertà, il grande partito di massa d’ispirazione liberale scaturito qualche mese fa dalla tre giorni congressuale tenutasi alla Fiera di Roma, si è realizzato, è stato un trionfo. E una emozione. Per tutti. Per gli oltre seimila delegati convenuti a decretare la nascita della nuova formazione politica, per i tanti italiani che nel corso degli anni hanno sostenuto il progetto del Cavaliere con il loro consenso e soprattutto per Berlusconi, che a questo progetto ha dedicato tutte le sue energie. A distanza di due mesi dal congresso, Denis Verdini, coordinatore del Pdl, insieme a Ignazio La Russa e al ministro Sandro Bondi, parla degli obiettivi e delle sfide che attendono il nuovo partito, a partire dalle elezioni Europee e amministrative.

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Dopo le elezioni politiche del 2008, Denis Verdini è stato nominato coordinatore nazionale di Forza Italia prendendo il posto di Sandro Bondi. Dal 2009 è uno dei tre coordinatori nazionali del Popolo della libertà

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Cosa vi aspettate da questa tornata elettorale? «A giudicare dai sondaggi, dall’entusiasmo degli italiani, dalla loro reazione ogni volta che incontrano per strada il presidente Berlusconi, non possiamo che aspettarci un grande successo. Per quanto mi riguarda, sono convinto che andremo perfino oltre le previsioni degli istituti demoscopici. Gli elettori, come hanno evidenziato con il voto dello scorso 13 aprile, vogliono chiarezza, chiedono una semplificazione del quadro politico e non ho dubbi che manifesteranno questa visione della nostra democrazia anche il 6 e il 7 giu-


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Il Popolo della Libertà rappresenta per l’Italia e per i suoi cittadini una innovazione politica di carattere strutturale. Tutti siamo attori di un fatto straordinario che segnerà per sempre la storia e la democrazia italiana 70 • RAGIONLIBERA

gno. Hanno di fronte due strade: scegliere chi in un solo anno ha governato con i fatti, risolvendo problemi gravissimi, come l’immondizia a Napoli, la crisi dell’Alitalia, avviandosi a dare soluzioni concrete anche per la crisi economica, per gli stipendi degli italiani e per i futuro delle classi meno fortunate della società; oppure scegliere la sinistra, cioè quella forza che in due anni di governo, finiti come tutti sanno, certi problemi non solo non è riuscita a risolverli ma addirittura li ha aggravati e oggi, invece di proporre soluzioni alla crisi non ha di meglio da fare che attaccarsi al gossip. Noi, insomma, abbiamo dalla nostra il feeling con gli elettori, dei quali ascoltiamo non solo le indicazioni sui programmi ma anche sul percorso politico da fare: il 13 aprile, con il voto, ci hanno chiesto di andare avanti con il progetto del Popolo della Libertà, e noi con il congresso, abbiamo mantenuto l’impegno fondando il più grande partito italiano». Dalla tre giorni congressuale alla fiera di Roma che partito ne è uscito? «Un grande partito democratico ispirato agli ideali del liberalismo, un partito di massa, costruito dal basso e non attraverso una fusione a freddo tra le classi dirigenti di forze politiche differenti, come è avvenuto a sinistra con il Pd, le cui conseguenze si vedono in questi mesi. Si tratta di un soggetto politico nuovo formatosi tra Forza Italia e la destra moderna e post-ideologica incarnata da Alleanza Nazionale, ed è nato dall’incontro della politica con la società civile. Chi parlava di questo partito come di una deriva plebiscitaria e avventuristica, a congresso avvenuto, probabilmente si sarà reso conto che quella era una polemica strumentale e sbagliata. Lo dimostra il congresso stesso, che ha visto la partecipazione di quasi il 98% degli oltre 6mila delegati previsti, una percentuale straordinaria, con una partecipazione attiva, convinta, entusiasta. Basti pensare che la sala è sempre stata piena, dall’inizio alla fine dei lavori, ogni giorno, anche quando non c’era il presidente Berlusconi. Perfino al momento di votare gli emendamenti allo statuto, contrariamente e chi sostiene che non ci sia democrazia, la sala era per metà piena. Ed


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erano le 22 passate. La stessa elezione di Berlusconi, come quella dell’ufficio di presidenza, dei nove probiviri e l’approvazione dello statuto sono avvenute per alzata di mano, in piena e totale democrazia». Quali gli obiettivi su cui puntare adesso? «Gli elettori ci hanno chiesto di semplificare il quadro politico. Il 38%, alle elezioni di aprile, ci ha dato un mandato specifico proprio in questo senso e noi lo abbiamo realizzato. Lo ribadisco ancora una volta: i valori e l'identità che ognuno di noi ha portato nel soggetto unitario rimarranno vivi. Nessuno di noi muore. Semplicemente, confluisce in un soggetto più grande. Ora, il compito del Pdl è dare un valore aggiunto rispetto a tutte le identità e ai patrimoni culturali e politici che ciascuna forza politica ha portato in dote. Abbiamo realizzato tutti insieme un traguardo storico, di cui forse solo dopo il congresso siamo diventati più consapevoli». Nonostante le rassicurazioni del presidente Fini, da più parti si ventila l’ipotesi che nel Pdl possano sorgere correnti interne ispirate dalle diverse anime da cui si compone. «Oggi il rischio delle correnti, come si è visto al congresso non esiste, né penso che queste possano nascere in futuro, ciò perché siamo stati educati a riunirci per portare avanti singoli valori e per realizzare comuni obiettivi. Ritengo che il triumvirato di coordinatori uscito dal congresso, composto da me, da Sandro Bondi e da Ignazio La Russa, stia garanendo collegialità alla gestione del partito, favorendo il confronto e il dialogo costruttivo tra tutti. Abbiamo raggiunto un traguardo storico creando un partito fondato sulla semplicità della politica e sulla modernità. Semplicità perché vogliamo che la politica sia rivolta ai cittadini, garantendo massima trasparenza nei programmi e nella nostra azione. Anzi, noi siamo al servizio dei cittadini a tal punto da aver dato vita al Pdl solo dopo che gli elettori hanno confermato, con il voto dello scorso aprile, di volere la semplificazione del quadro politico, di volere un governo che decida e che tiri fuori dalle secche questo Paese. Modernità, perché serve un cambiamento e occorre soprattutto modernizzare questa nostra Italia per essere al passo con gli altri Paesi. Non a caso, anche lo statuto del Pdl, prevedendo oltre all’adesione anche la registrazione on line fonda di fatto il partito in rete, della rete, per la rete, tratteggiando così un nuovo modo di fare politica, prevedendo continue consultazioni telematiche con il nostro popolo. Questa è un’innovazione straordinaria, ancor più all’avanguardia di quello che ha fatto Obama». Quali gli obiettivi cui adesso punta il nuovo partito? «Il Pdl può a ben diritto diventare un partito maggioritario nel Paese. L’obiettivo del 50%+1 non è più un miraggio. Al suo interno ci sono tante sensibilità e tradizioni, varie culture che non saranno mai compresse ma tutte dovranno raggiungere gli stessi obiettivi e contribuire al dibattito interno. Non ho dubbi sulle potenzialità del partito nato dal congresso alla nuova Fiera di Roma e sulla sua capacità di raggiungere questo obiettivo. D’altronde se stiamo ai fatti, già gli ultimi sondaggi che potevamo diffondere, cioè due settimane prima delle Europee, ci davano fra il 40 e il 44% e sono convinto che le prossime elezioni ci consegneranno un risultato straordinario». Nel panorama politico di oggi, cosa rappresenta per l’Italia e per i suoi cittadini la nascita del Pdl? «Una innovazione politica di carattere strutturale.Tutti siamo attori di un fatto straordinario che segnerà per sempre la storia e la democrazia italiana».

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QUEL GIORNO QUINDICI ANNI DI STORIA POLITICA DEL PAESE. UN PERCORSO COMINCIATO NEL GENNAIO DEL 94 E CONCLUSOSI IL 29 MARZO SCORSO, CON IL PRIMO CONGRESSO DEL PDL. Antonio Tajani, ricorda la nascita “artigianale” di Forza Italia di cui fu protagonista DI LORENZO BERARDI

CHE AD ARCORE... il 18 gennaio del 1994. Ad Arcore si scrive l’introduzione di quello che sarà un libro chiamato Forza Italia. Un libro che in quindici anni di storia si arricchirà di numerosi capitoli, prima di lasciare spazio a un’opera ancora più importante e ambiziosa chiamata Popolo della Libertà. Quel giorno, Antonio Tajani è fra i primi firmatari del “Movimento Politico Forza Italia” assieme a Luigi Calligaris, Mario Valducci, Antonio Martino e allo stesso Silvio Berlusconi, che annuncerà agli italiani la nascita del nuovo soggetto politico otto giorni dopo. Fra i cinque firmatari, i soli Martino e Calligaris vantano una qualche esperienza politica. «Io all’epoca non facevo politica – ricorda oggi Tajani – Eppure avvertivo la necessità di avere un portabandiera nel quale riconoscermi. Ecco perché venni conquistato dall’entusiasmo e dalla passione che dimostrò Silvio Berlusconi». Inviato de Il Giornale, di cui era a capo della redazione romana quando divenne portavoce del Cavaliere, laureato in giurisprudenza e già ufficiale dell’Aereonautica Militare, Tajani scelse un’esperienza che si annunciava completamente nuova. «Decisi di salutare per qualche tempo moglie, figli e lavoro per credere nel progetto di Silvio Berlusconi che era il solo personaggio in Italia che in quel momento poteva difendere e portare avanti quei valori garantisti che gli altri partiti non sembravano in grado di rappresentare».

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A tutt’oggi, Forza Italia rappresenta il caso unico di un partito che riesce a divenire il principale del Paese a pochi mesi dalla sua data di fondazione. Come spiega questa particolarità e come si riuscì ad attirare una fetta tanto ampia dell’elettorato in un 94 in cui, complice il crollo della Prima Repubblica, cresceva la disaffezione degli italiani verso la politica? «Ricordo che arrivai ad Arcore il 2 gennaio del 94 con l’incarico di essere il primo portavoce di Berlusconi e mi misi subito al lavoro. Tanto è vero che sedici giorni dopo nasceva ufficialmente il movimento. La decisione di fondare Forza Italia dipese anche dal rifiuto di Mino Martinazzoli e di Mario Segni nel dare vita a un nuovo soggetto politico del quale Silvio Berlusconi potesse fare parte. Resosi conto della situazione, Berlusconi capì che l’unica soluzione era quella di scendere in campo in prima persona. E io rimasi al suo fianco. Oggi posso dire che Forza Italia nacque in maniera quasi artigianale, per passione e spirito di iniziativa. Il carisma e l’energia di Berlusconi fecero il resto. Le sue straordinarie capacità comunicative permisero a un partito nuovo come il nostro di incontrare i favori di una larga parte dell’elettorato. Berlusconi rappresentava quel grande leader capace al tempo stesso di difendere e riunire in un unico partito i valori cristianocattolici, liberali e socialisti. La sua capacità fu proprio quella di intuire cosa occorreva fare in quel momento cogliendo i valori che stavano a cuore ai cittadini e diventando un punto di riferimento immediato per molti di essi». Cosa crede che sarebbe accaduto in quelle elezioni del 94 qua-

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lora Silvio Berlusconi non fosse sceso in campo fondando Forza Italia: si sarebbe davvero assistito a una presa di potere da parte delle sinistre più radicali? «Se Berlusconi non si fosse presentato, sarebbe cambiata la storia e oggi vivremmo in un’Italia diversa. A quelle elezioni, infatti, avrebbero stravinto le sinistre e in particolare il Pds di Achille Occhetto. Sarebbe nato un governo social-comunista che avrebbe danneggiato l’economia del Paese e perseguito una politica giustizialista».

«Forza Italia nacque in maniera quasi artigianale, per passione e spirito di iniziativa. Il carisma e l’energia di Berlusconi fecero il resto» 74 • RAGIONLIBERA

Come si riuscì a mettere in piedi in pochi mesi l’intera struttura politica, decisionale e organizzativa di un partito di governo, capace di conseguire il 21% dei consensi a livello nazionale e quanto si rivelarono importanti le passioni e le iniziative individuali anche a livello locale nel dare una forma concreta al nuovo partito? «La gente ci diede fiducia. Il primo nucleo di Forza Italia lavorò duramente prima e durante la campagna elettorale, ma va rimarcato un fenomeno completamente nuovo sulla scena politica italiana: lo spontaneismo. I club di Forza Italia, infatti, nacquero spontaneamente e in gran numero in tutto il Paese. Ci furono migliaia di persone trascinate a interessarsi di politica proprio per merito della figura di Berlusconi, un uomo capace di incarnare la sintesi dei valori moderati e democratici. E questo fenomeno di nascita spontanea ha portato a un radicamento sul territorio senza precedenti di un partito come Forza Italia». A dispetto delle critiche ricevute, da subito Forza Italia dimostrò di voler operare un rinnovamento sulla scena politica italiana. «Un dato su tutti: quasi il 90% degli eletti nelle fila del partito erano alla loro prima esperienza parlamentare. E io ero uno di questi anche se per me il primo impatto non avvenne alla Camera o al Senato, ma con il Parlamento Europeo. Non nascondo che si sia trattato anche di un’esperienza faticosa in una prima fase per chi era a digiuno di politica. Ma è stata una fatica entusiasmante e ciascuno di


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noi ha poi saputo svolgere il proprio ruolo nel migliore dei modi. I primi parlamentari di Forza Italia seppero portare un vero rinnovamento. Noi non eravamo mestieranti della politica e avevamo ancora la capacità di credere in determinati valori. Ancora oggi rivendico questa mia formazione extra politica».

Antonio Tajani è stato il primo portavoce di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, prima di lasciare nel settembre 94 perché eletto a Strasburgo. Oggi è vicepresidente della Commissione Europea

Sono passati più di quindici anni da quel 18 gennaio 1994 in cui venne ufficialmente fondata Forza Italia. A suo avviso, perché sino ad allora in Italia era mancato un partito di centrodestra che riunisse le istanze del liberismo cristiano democratico sul modello di quanto già accadeva, ad esempio, in Germania con la Cdu e in Inghilterra con il Conservative party? «È difficile fare dei paragoni con altri Paesi europei perché sino ad allora in Italia era esistita la Dc che era l’eredità storica del sistema elettorale nato con le prime elezioni del 1948. Oggi, anche grazie all’esperienza di Fi, i tempi sono cambiati. Anche a livello internazionale la politica è sempre meno partitica e sempre più legata ai leader carismatici, come dimostra non solo il caso di Barack Obama negli Stati Uniti, ma anche personaggi come Nicolas Sarkozy in Francia o Angela Merkel in Germania. Oggi il voto si dà a persone che dimostrano la propria capacità di leadership. Berlusconi è un uomo del fare capace di mettere d’accordo tutti: riformisti, cattolici, laici e liberali».

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l Popolo della Libertà corona un percorso avviato da anni e del quale si deve dare merito alla lungimiranza di un’intera classe dirigente. Per chi, come me, ha mosso i primi passi in politica nel Movimento Sociale Italiano la nascita di un soggetto unitario ha rappresentato un traguardo addirittura inimmaginabile solo fino a poco tempo fa. Militare a destra negli anni 70 era in alcune realtà italiane persino proibitivo. Eravamo nel ghetto, separati fisicamente, culturalmente e politicamente dai circuiti della politica ufficiale, dalla retorica di Cl, dalle camarille di potere. Fu una stagione molto difficile anche sul piano esistenziale. Lo scontro politico degli “anni di piombo” avvelenò un’intera generazione. E le sue tracce sono ancora evidenti. Ma non tutto è stato negativo: quella fase di isolamento ci ha fortificati perché ci ha spronato a studiare e a capire le ragioni dell’altro, del “nemico”, mentre l’altro, cioè il nemico, si accontentava di puntellare ulteriormente le proprie immarcescibili convinzioni ideologiche. La sinistra era ufficialità, si avviava a diventare retorica, per noi era parte del regime. A differenza dei suoi militanti, noi attingevamo idee e tesi anche da culture esterne, estranee o addirittura bandite dall’opinione pubblica dominante. Insomma, i rivoluzionari eravamo noi e non loro. Almeno così ci sembrava o almeno così prendevamo forza. Il vantaggio di questa condizione è arrivato negli anni suc-

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LA DESTRA ITALIANA HA SAPUTO EVOLVERSI. SENZA DIMENTICARE I PROPRI VALORI FONDANTI, MA ARRICCHENDOSI DI MODELLI CULTURALI ESTERNI ANCHE QUANDO È STATA INVISA ALL’OPINIONE PUBBLICA. A quattordici anni dalla storica svolta di Fiuggi, l’eredità missina e di An sono confluite con successo nel Pdl DI MARIO LANDOLFI

UN TRAGUARDO CHE SI REALIZZA


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IL RICORDO DI CHI C’È SEMPRE STATO

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cessivi con la selezione di un gruppo che nel 1995 ha saputo comprendere le ragioni profonde che ci hanno spronato a fondare Alleanza Nazionale. Quel giorno a Fiuggi, mentre tra le lacrime dei presenti si rimpiccioliva il simbolo del Msi e gli applausi salutavano ancora una volta l’immagine sorridente di Giorgio Almirante, eravamo tutti consapevoli che stavamo lasciando “la casa del padre per non farvi più ritorno”. E indubbiamente An ha rappresentato un’esperienza fondamentale non solo per la destra italiana, ma per l’interno sistema politico nazionale. Infatti, è stato il primo esempio di “partito Polo”, che aggregava personalità e culture politiche di diversa provenienza. Ma An, deve essere chiaro, non fu uno sbocco obbligato, l’esito scontato di un percorso senza alternative, una decisione da assumere in “stato di necessità” per affrancarsi da un “marchio” ingombrante o, come si diceva all’epoca, impresentabile. Le alternative esistevano, eccome. Alla Lega che in nome degli interessi del Nord mandava al tappeto il primo Governo Berlusconi, la destra avrebbe potuto rispondere innalzando la bandiera degli interessi del Mezzogiorno, come era nella tradizione missina, trasformando il nascente bipolarismo politico in un bipolarismo territoriale. Avremmo potuto cavalcare il filone giustizialista o quello referendario. Ma non lo facemmo perché non volemmo farlo. Decidemmo, invece, di intraprendere la strada dell’alleanza strategica con Forza Italia e Berlusconi già allora finalizzata a creare quel rassemblement del cen-

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IL RICORDO DI CHI C’È SEMPRE STATO

trodestra che ha visto finalmente la luce poche settimane fa. Il nostro è stato un percorso coerente, nato sulla base di un disegno preciso: fare dell’Italia una nazione moderna, dove i cittadini votano e scelgono direttamente i propri governanti, dove i partiti rappresentano e le istituzioni governano. Il Pdl è forza di cambiamento. La classe dirigente che lo guida ha ora il dovere di allestire una forma-partito in grado di coniugare il valore incommensurabile della leadership di Berlusconi con il radicamento sul territorio, con il criterio meritocratico per la selezione dei dirigenti e degli eletti, con il metodo democratico quale cardine delle modalità di partecipazione alla vita interna. Un partito del 40 per cento ha non solo il diritto, ma il dovere di dotarsi di un’organizzazione che racchiuda in proiezione interna un modello di organizzazione statuale e politica. Un partito presidenzialista sarà presidenzialista anche nel suo progetto di riforma della forma di governo. Allo stesso modo, sarà un partito in grado di bilanciare attraverso un baricentro forte le pur legittime esigenze “federaliste” nella rappresentanza delle esigenze del territorio. Insomma, è arrivato il momento di trasformare davvero l’Italia e di renderla competitiva. Il nostro compito consisterà proprio nel conferire alla politica dinamiche più decise per permetterle di essere al passo con i tempi e interpretare al meglio i rapidi cambiamenti della società. Questa è la sfida e da qui si “parrà la nobilitate” del nuovo partito.

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UNOSTIMOLO CHE IL PD ANCORA

NONCOGLIE CON IL PDL IL CAMPO DEMOCRATICO SI È ALLARGATO. ESSO CORRISPONDE A UNA DOMANDA DEGLI ELETTORI DEL CENTRODESTRA. IL PD NON HA INVECE SAPUTO INTERPRETARE LE DOMANDE DEL MONDO DI CENTROSINISTRA DI PEPPINO CALDAROLA l grande merito di Berlusconi è quello di aver intuito in tempi lontani la necessità di riorganizzare il campo del centrodestra. La nascita del Pdl è l’ultimo definitivo approdo di questa lunga operazione. Il berlusconismo, visto dal lato di chi gli si è opposto, ha avuto il pregio di costringere l’altra parte a riorganizzarsi in modo analogo ed è un vero guaio che le difficoltà del Pd impediscano di pensare a un equilibrio fra le due forze contrapposte. La nascita del Pdl ha consentito di immettere nel campo della politica tutte le forze che operano nel centrodestra. Il campo democratico si è allargato. La deriva nostalgica della destra estrema è stata fermata dalla ricollocazione degli eredi del Msi in una prospettiva di governo al punto che solo nella Seconda repubblica siamo giunti ad una universale accettazione della Resistenza. Dal lato opposto è stata fermata la deriva secessionista della Lega trasformata nel più battagliero e costituzionale partito del Nord. Al centro dello schieramento politico, con un occhio a destra, si è formata una aggregazione di forze che non a caso ambisce alla maggioranza relativa. Rispetto alla vecchia Dc sono tante le differenze ma tante anche le assonanze. L’assonanza principale riguarda la polarizzazione dello scontro. Come la vecchia Dc si costituì come argine al comunismo nella versione italiana, così il Pdl si presenta come alternativa ad uno schieramento di sinistra. A lungo andare questo bipolarismo irrevocabile costringerà la sinistra a fare i conti con se stessa e a imboccare una strada nuova. Le differenze con la Dc sono altrettanto evidenti. Il vecchio partito cattolico era

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VISTO DA SINISTRA

«Molti leggono nelle prese di posizione del presidente della Camera Gianfranco Fini il rischio di una conflittualità esplosiva per il Pdl. Credo che siano timori, o speranze, infondate. La nascita di un grande partito crea polarizzazioni interne. Accade fra i repubblicani americani, accade nel partito conservatore britannico» un pedagogo della sua base. L’elemento della mediazione culturale, psicologica, di classe era assai più accentuato. Il nuovo partito moderato ha un rapporto più diretto con i suoi rappresentati, in qualche modo persino più autentico. Il partito non guida un pezzo di società in nome di una delega, ma lo guida perché gli assomiglia. Il meccanismo della rappresentanza si è fatto più trasparente. Oggi tutto è filtrato dalla presenza carismatica di Berlusconi. Domani si troveranno altre forme. In qualche modo si ripete a destra l’esperimento francese di de Gaulle che vede tuttora gli eredi lontani del generale alla guida del paese. Molti osservatori leggono nelle prese di posizione del presidente della Camera Gianfranco Fini il rischio di una conflittualità esplosiva per il Pdl. Credo che siano timori, o speranze, infondate. La nascita di un grande partito crea necessariamente polarizzazioni interne. Accade fra i repubblicani americani, accade nel partito conservatore britannico. Se sul versante opposto le polarizzazioni rischiano di far esplodere il Pd ciò è dovuto al fatto che mentre il Pdl corrisponde ad una domanda precisa delle elettore di destra, il Pd non ha saputo interpretare le domande del mondo di centro-sinistra. Lo sforzo comune dei due schieramenti dovrebbe essere quello di creare un comune sentimento nazionale. Nel discorso di Berlusconi sul 25 aprile ho trovato questa vocazione. Speriamo bene.

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CON IL PDL

LA DEMOCRAZIA I TRE PUNTI VINCENTI DEL NUOVO PARTITO SONO UNA FORTE LEADERSHIP POPOLARE, UN’INVIDIABILE COMPATTEZZA PROGRAMMATICA E UNA VASTA PRODUZIONE DI CONTENUTI POLITICI E DI LUOGHI DI CONFRONTO DI DANIELE CAPEZZONE on è mai facile, quando si è immersi in un evento a suo modo storico, coglierne la portata, comprenderne la dimensione non limitata alla cronaca. Il Primo Congresso del Popolo della Libertà ha dato vita non ad una sigla qualsiasi, ma alla stella attorno alla quale ruoteranno, forse per almeno un paio di decenni, i diversi pianeti della politica italiana. E lo stesso traguardo del “50%+1” dei voti, che pochi osavano evocare qualche mese fa, sembra oggi un obiettivo tutt’altro che precluso alla neonata formazione. In questa fase, il Pdl può far tesoro di tre grandi punti di forza rispetto al campo avverso. Il primo è naturalmente rappresentato dalla leadership popolare, fortissima, non consumata dai rituali della politica, di Silvio Berlusconi: dall’altra parte, nel Pd, non si vede davvero chi possa competere efficacemente con lui. In secondo luogo, il centrodestra ha manifestato la capacità, nei momenti elettorali, di puntare su una invidiabile compattezza programmatica, isolando le sette-otto questioni su cui costruire l’agenda politica, e inchiodando gli avversari a discutere di quelle. Una volta, qualche anno fa, è successo grazie allo strumento del “contratto con gli italiani”, altre volte in modo più tradizionale. Ma non c’è dubbio sul fatto che il centrodestra sia stato più abile sia nel costruire una sintesi immediatamente comprensibile (evitando i programmi-zibaldone buoni per accontentare i partiti ma

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QUELLO CHE ANCHE ALLA SINISTRA CONVERREBBE IMPARARE DA BERLUSCONI

Decisioni veloci. Una leadership chiara e definita. E la capacità di lanciare proposte accessibili all’intero Paese. Sono queste le caratteristiche della “democrazia istantanea”, la nuova sfida che l’Italia è chiamata ad affrontare secondo Daniele Capezzone che nel suo libro analizza gli elementi costitutivi della realtà politica italiana. In quest’ottica, la democrazia istantanea si presenta come un’evoluzione della democrazia nostrana, caratterizzata da un sistema legislativo/decisionale poco concreto e alquanto confuso. E il quarto governo Berlusconi si caratterizza proprio per la rottura del vecchio sistema. Perché un governo che non decide viene meno al suo compito. Un governo che decide rapidamente - e per velocità s’intende la capacità di decidere al momento giusto - risponde alle ne-

cessità della società globalizzata. Il nuovo metodo democratico ha anche bisogno del riconoscimento di una leadership forte, ben definita nei contorni. Una figura carismatica che nel Popolo della Liberà è facile individuare nel premier Silvio Berlusconi. A rafforzare la sua leadership è anche l’uso di un linguaggio semplice e diretto che permette di far comprendere il proprio progetto politico a un’ampia parte di cittadinanza, senza nascondendosi dietro tecnicismi sibillini. Tutto ciò al solo scopo di riformare il Paese e renderlo moderno introducendo una rivoluzione politico-istituzionale ma anche culturale: superare i vecchi schematismi che impediscono un efficace confronto su proposte di modifica della Costituzione, risolvere i problemi più urgenti e ricevere il più vasto consenso possibile.

repellenti e respingenti dal punto di vista dei cittadini) sia nel costringere gli avversari a rispondere e a inseguire sul terreno meno comodo per il centrosinistra. Al contrario, è stata e continua ad essere addirittura avvilente la carenza propositiva del Pd: e anche e soprattutto su questo punto è maturata la sua drammatica sconfitta. Infine, il nuovo Pdl può già farsi forte, sull’esperienza americana, di una rete di think tank, centri studi, fondazioni, giornali, riviste, agenzie, come luoghi chiamati non a un generico o astratto “dibattito”, ma alla concreta produzione di software, di contenuti politici, di “attrezzi” e proposte immediatamente trasferibili nell’attività elettorale, e poi soprattutto in quella di Governo. Si dirà che anche il centrosinistra dispone di questi strumenti, ed è vero: ma c’è il piccolo dettaglio che - in quel campo - si tratta piuttosto di realtà in competizione con il partito, e non di strumenti d’area desiderosi di supportarlo. C’è un ulteriore aspetto, a mio avviso, che merita una particolare considerazione, ed è legato al rapporto Itanes recentemente pubblicato da Il Mulino. Solitamente, dal 1994 ad oggi, cioè da quando l’Italia si è incamminata lungo il sentiero bipolare, ci si è detto che gli esiti elettorali sono essenzialmente determinati dall’andamento delle astensioni. Insomma, volta per volta, sarebbero gli elettori delusi e scoraggiati dell’una parte politica a determinare, astenendosi, il successo dell’altra. Il che è quasi sempre vero, naturalmente. Ma stavolta, secondo Itanes, sarebbe successo anche qualcos’altro: oltre al 4% complessivo di elettori del vecchio centrosinistra rifugiatisi nell’astensione, vi sarebbe stato un 10% di elettori del vecchio Ulivo (cioè la lista che teneva insieme Ds e Margherita: e il 10% di loro vuol dire, complessivamente, un 3% abbondante di elettori) che si sarebbe spostato nel centrodestra, in occasione delle elezioni politiche del 13-14 aprile 2008. Insomma, il centrodestra ha manifestato (e a mio avviso questa sua attitudine può essere ulteriormente accentuata) una forte capacità di attrazione su una quota di elettori della sinistra riformista. A ben vedere, è la stessa operazione compiuta, a parti invertite, da Tony Blair nelle sue tre vittorie elettorali: ha sempre tenuto con sé il suo elettorato tradizionale, ma ha saputo anche convincere una fetta di cittadini di appartenenza conservatrice. E così ha fatto e può fare anche il Pdl: unire all’elettorato tradizionale del centrodestra italiano anche una quota di elettori liberi e riformisti, incompatibili con il massimalismo della sinistra, il giustizialismo di Di Pietro, la linea tassa e spendi di Visco, l’estremismo sociale della Cgil, e così via. Insomma, può nascere un grande partito simile a quelli dell’esperienza anglosassone, e soprattutto post-ideologico Nessuno deve aver paura di perdere qualcosa della

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propria identità, delle radici e delle matrici culturali e politiche a cui è legato: il tema, invece, è quello di una offerta politica che non deve mai - ripeto: mai - assumere profili e connotati non inclusivi, di chiusura, o legati a riflessi minoritari. Il che non vuol dire assumere posizioni sfuggenti o furbesche, visto che proprio la leadership forte e la compattezza programmatica impongono il contrario: ma sarà invece compito delle fondazioni e dei think tank animare la discussione e garantire cittadinanza politico-culturale anche alla posizione che, in quella occasione, non sarà risultata prevalente. Il resto sarà virtuosamente affidato alla grande medicina del “mercato” politico-elettorale.Vanno infine segnalate due scelte davvero coraggiose e lungimiranti compiute dal nuovo statuto del partito. La prima (articoli 2 e 4) è quella di prevedere, accanto agli iscritti veri e propri (gli associati), anche gli aderenti, cioè una sorta di “registrati” all’americana, i quali saranno titolari di poteri assai rilevanti, a partire dal diritto di elettorato attivo. La seconda (articolo 10) è quella di immaginare il Pdl come un partito in rete, che consenta iniziative di democrazia diretta, forme di consultazione degli aderenti e degli associati, pienamente coinvolti nelle decisioni più rilevanti e strategiche del partito. Sono novità importanti, che fanno del Pdl un partito “aperto”, desideroso di coinvolgere nella vita concreta del movimento non solo la cerchia ristretta dei professionisti della politica, ma un numero grandissimo di elettori e di cittadini desiderosi di impegnarsi, offrendo loro la possibilità di farlo non nelle forme chiuse e burocratizzate dei vecchi partiti, ma in tempi e modi adeguati alla modernità e ai ritmi di vita in cui siamo immersi. Sono innovazioni che meriterebbero attenzione e riflessione anche da parte degli osservatori più critici.

Il Pdl è un partito desideroso di coinvolgere non solo la cerchia dei professionisti della politica, ma un numero grandissimo di elettori e di cittadini desiderosi di impegnarsi

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ESPERIENZE DIVERSE UNITE DAGLI STESSI VALORI A due mesi di distanza dal primo congresso nazionale, cinque rappresentanti di cinque dei partiti che hanno aderito al Pdl assieme a Forza Italia e Alleanza Nazionale tracciano un’analisi dell’esperienza in corso. Fra valori condivisi, obiettivi raggiunti e aspettative per il futuro DI LORENZO BERARDI n luogo di incontro e di dialogo, una casa dei moderati capace di accogliere le diverse componenti del centrodestra italiano. Un partito nuovo, ma che nasce da alcune delle eredità fondanti della Repubblica Italiana. Il Pdl vanta una struttura agile e molteplici anime, tenute assieme da obiettivi comuni: il riformismo, la modernizzazione del Paese, l’ascolto delle esigenze dei cittadini. Un soggetto politico che comprende sigle ed esperienze politiche molto diverse fra loro, riunite attorno alla leadership forte, autorevole e carismatica di Silvio Berlusconi. Questo Popolo della Libertà guarda al rinnovamento della classe politica e dell’Italia, nel solco dell’esperienza della grande famiglia del Partito Popolare Europeo. L’obiettivo è quello di promuovere e perseguire, come recita la Carta dei Valori del Pdl: “la dignità della persona, la libertà e la responsabilità, l’eguaglianza, la giustizia, la legalità, la solidarietà e la sussidiarietà”. Per una politica che sia al servizio dei cittadini e che ponga come fine e principio di ogni sua espressione i valori, la morale e la spinta a migliorarsi dell’individuo. È con questa consapevolezza ed esigenza di condivisione che si sono riuniti in un unico soggetto i due maggiori partiti del centrodestra italiano, Forza Italia e Alleanza Nazionale. Ma non solo. Al nuovo progetto politico hanno aderito immediatamente i Riformatori Liberali e, nei mesi successivi al celebre “discorso del predellino” di Berlusconi, molti altri soggetti: dal Nuovo Psi ai Popolari Liberali, da Azione Sociale agli Italiani nel Mondo. Realtà che portano in dote valori e tradizioni simbolo della democrazia italiana e dal cui confronto costante sta arricchendosi un partito al tempo stesso multiforme e coeso che rifiuta le rigidità imposte dalla politica tradizionale. Un partito che guarda ai giovani con l’intenzione di riavvicinarli alla politica attiva e partecipata supe-

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PARTITI MINORI

BENEDETTO DELLA VEDOVA La competizione di idee è salutare per il Pdl. Il leader dei Riformatori Liberali coglie segnali positivi di pluralismo interno e guarda ai partiti del Ppe «Ci riconosciamo all’interno di un centrodestra europeo che faccia parte del Partito Popolare Europeo e che abbia una visione liberale e tollerante della società, puntando a consolidare le libertà economiche». Benedetto Della Vedova riassume in una frase la scelta di fare parte del Pdl. Già presidente e fondatore dei Riformatori Liberali, Della Vedova ha aderito alla coalizione di centrodestra già nel 2006 e ha accolto con entusiasmo la nascita del Popolo della Libertà. «Dentro il Pdl – afferma –ci deve essere un confronto di idee. L’obiettivo dei Riformatori Liberali è inserirsi in questa competizione di idee presentando istanze liberali e liberiste. Pensiamo che le riforme economiche debbano essere ancora nell’agenda del Pdl: meno tasse e più diritti civili». Nonostante il nuovo partito esista ufficialmente da solo due mesi, Della Vedova nota come al suo interno si sia già aperto un confronto costruttivo e salutare sui temi etici, mentre in precedenza c’era una deriva confessionale. «Il dibattito che

si è aperto deve portarci ad assumere quelle posizioni più equilibrate e pragmatiche che contraddistinguono i grandi partiti facenti parti del Ppe di Francia, Spagna e Germania capaci di dare ascolto alla società». Su questo, Benedetto Della Vedova ha ricevuto indicazioni positive dal primo congresso nazionale del 29 marzo. «Mi ha colpito positivamente l’avvio di una grande esperienza unitaria contrassegnata da una nuova stagione del berlusconismo con la nascita di un grande soggetto politico che punta al 40% dei voti e nasce come un partito plurale – sottolinea –. Un Pdl contraddistinto da un grande consenso, una forte leadership e un programma da portare avanti. Berlusconi ha fatto un intervento di prospettiva in termini di attività di governo, mentre Fini ha guardato al futuro soffermandosi su elementi centrali come la laicità e la multietnicità del Paese. Questo ha permesso di aprire una discussione interna molto positiva che, lungi dal frammentare il Pdl, lo sta rafforzando».

Leader dei Riformatori Liberali, economista, è deputato del Gruppo Pdl alla Camera

rando la disaffezione e il qualunquismo, ridando slancio, fiducia ed entusiasmo. L’idea di un unico movimento che riunisse il centrodestra italiano può essere fatta risalire già al momento della discesa in campo di Silvio Berlusconi e rappresentava uno dei sogni di Pinuccio Tatarella che nel 96 si espresse in favore di un’unione fra Forza Italia e Alleanza Nazionale. I tempi allora non erano ancora maturi per una convergenza di due percorsi in un unico soggetto politico, ma grazie all’impegno di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini e al lavoro svolto dai coordinatori di ambo i partiti oggi il Popolo della Libertà è divenuto realtà. E non a caso il nome di Tatarella è stato inserito nel pantheon del Pdl. Forse la novità principale di questa nuova “casa comune dei moderati”, per usare le parole del Presidente del Consiglio, è quella di rappresentare un governo che è espressione dell’operato di un partito e non di essere un partito che è espressione dell’operato di governo. Sostegno dunque all’attività e alle riforme portate avanti dall’esecutivo, ma soprattutto dialogo e scambio proficuo di idee fra le diverse sfumature del Pdl così da arricchire ed eventualmente ridefinire le posizioni del governo. Una casa dalle fondamenta solide e ben radicate nei principi del liberismo e del riformismo democratico, ma che promette di non chiudere le proprie porte a futuri ingressi, allargando così la propria identità a qualunque soggetto sia interessato a partecipare alla sua costruzione nel rispetto dei principi cardine del Pdl. Ed ecco che, al di là della componente maggioritaria rappresentata da Forza Italia e Alleanza Nazionale, il contributo dei partiti cosiddetti “minori”, ma anche degli stessi cittadini diviene e diverrà sempre più fondamentale, prestando ascolto a istanze e suggerimenti di una base radicata nel Paese e già capace di convincere 4 elettori su 10.

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È NATO IL PDL

STEFANO CALDORO Il riformismo socialista, innanzitutto. Il segretario del Nuovo Psi crede in una leadership forte e guarda al modello partitico americano

Segretario nazionale del Nuovo Psi, è deputato del Gruppo Pdl alla Camera

«Crediamo in un sistema bipolare e dell’alternanza in un partito che si riconosca in una leadership forte, credibile e convincente come quella di Silvio Berlusconi». Sono le parole di Stefano Caldoro del Nuovo Psi. Socialismo, liberalismo e riformismo. Sono questi i capisaldi di un partito che fa parte della coalizione di centrodestra sin dal 94 e che è erede della tradizione di Bettino Craxi. «Ci riconosciamo nei valori che fanno parte del programma del Pdl – conferma Caldoro –: la modernizzazione del Paese, il cambiamento, le riforme, i maggiori poteri al premier e ricordiamo anche che parte della nostra eredità politica, attraverso la creazione delle Regioni, preannuncia l’odierno federalismo». Secondo Caldoro, inoltre: «Un grande movimento politico deve essere fortemente identificato con l’azione di governo e contraddistinto da una leadership autorevole. Il con-

gresso ha consolidato proprio questo aspetto, indispensabile per un soggetto come il Pdl». Il leader del Nuovo Psi apprezza l’agile struttura interna del Pdl, capace di non ripetere il fallimento del “rigido” Pd, e ricorda come: «dobbiamo arrivare a una struttura interna ancora più orizzontale e meno verticale. Questo è un grande partito della modernizzazione, del cambiamento, che guarda al futuro e affronta in una logica riformista le dinamiche della crisi della società – prosegue Caldoro –. Come socialisti riformisti dedichiamo i nostri sforzi al welfare moderno, allo stato sociale e agli ammortizzatori predisposti per i lavoratori con una particolare attenzione alle classi più deboli. Il congresso del Pdl ha lanciato il messaggio di una grande omogeneità sul programma di governo e questo è proprio quello che ci chiedono i cittadini a chi governa».

CARLO GIOVANARDI I Popolari Liberali sono orgogliosi del proprio ruolo nel Pdl. E il loro leader, chiede al nuovo partito di costruire una maggiore dialettica interna

Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è il leader dei Popolari Liberali

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Verona, novembre 2007. Silvio Berlusconi è invitato al convegno dei Popolari Liberali, allora minoranza interna dell’Udc. In quella occasione, gli viene chiesto di assumere un’iniziativa che consentisse a tutti i moderati italiani di ritrovarsi sotto lo stesso tetto. Venti giorni dopo, a Milano, il futuro premier con il famoso “discorso del predellino” lancia l’idea di un partito popolare, democratico e d’ispirazione cristiana. «E noi dal giorno dopo abbiamo detto: questo è il nostro partito –. Ricorda Carlo Giovanardi, fondatore di Pl, che riconosce come «la nascita del Pdl e la sua vittoria elettorale sono state possibili grazie al carisma di Silvio Berlusconi». Secondo l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: «Il Pdl deve continuare a esistere anche nel caso in cui un giorno Berlusconi possa salire al Quirinale o ritirarsi dalla politica. Il partito deve attrezzarsi anche a ragionare su tempi lunghi quando non potrà più contare su questa provvidenziale capacità di Berlusconi di tenere assieme le diverse proveniente culturali di chi oggi ne fa parte». Un

partito che oggi «riassume in sé tutti i valori che a partire da De Gasperi, Schuman e Adenauer hanno costituito la grande tradizione del popolarismo europeo» e in cui i Popolari Liberali si sentono a casa. Il Pdl ha diverse anime, ma come ribadisce Giovanardi: «deve avere importanza e visibilità chi, come noi, è da sempre è nel Ppe e ha un riferimento diretto anche a quel mondo cattolico che rappresenta gran parte dell’elettorato del Pdl». In questo senso, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio auspica che «la dialettica democratica interna al partito vada costruita e si sviluppi. Chiediamo la possibilità di eleggere dal basso i consiglieri comunali e regionali del Pdl seguendo l’esempio dei partiti popolari tedeschi o francesi in cui pure convivono sensibilità diverse. Al momento, invece, i coordinatori e vice coordinatori provinciali del Pdl sono stati nominati da Roma. È chiaro che si tratta di una misura contingente e straordinaria, ma, passata questa prima fase, il modello deve cambiare perché noi siamo il Popolo della Libertà e non il Pci degli anni 50 con il suo centralismo democratico».


PARTITI MINORI

SERGIO DE GREGORIO Il fondatore di Italiani nel Mondo, chiede al Popolo della Libertà di ridare prestigio al Paese a livello internazionale «Il Pdl è oggi il maggior contenitore popolare di massa in Europa. La sua grandezza risiede nel fatto di avere coniugato più anime e più provenienze politiche sulla scorta della simbologia della libertà che Berlusconi ha enunciato sin dai suoi primi passi in politica». Il senatore Sergio De Gregorio non dimentica come nel 94 Forza Italia rappresentò una straordinaria novità politica che si propose con caratteristiche che oggi si ritrovano più estese nel Pdl. «Il grande valore che si ripropone con il Pdl è quello della libertà di fare politica, di intraprendere, di credere e combattere per un’ideale e una causa moderata». In uno scenario politico italiano caratterizzato «dall’aggressione politica all’avversario come sistema di confronto» la nuova casa dei moderati rappresenta una felice eccezione. « I cattolici – prosegue – si riconoscono in Berlusconi perché nelle battaglie per la difesa della famiglia e della vita è stato in prima fila. Il Pdl nasce per

essere parte forte, integrante e fondatrice di quel Ppe che vede racchiusi questi valori in un unico partito transnazionale». Come presidente e fondatore di Italiani nel Mondo, De Gregorio riconosce la lealtà di Berlusconi nei confronti degli alleati: «al congresso di Roma il premier ha voluto segnalare tutti i piccoli movimenti e partiti politici che hanno contribuito a costituire questa casa dei moderati come fondatori del Pdl al pari di Fi e An. Questo slancio di dignità ci ha ridato un’identità collettiva che prima appariva frazionata». Per il futuro, De Gregorio auspica «un grande impegno da parte del Pdl nella costruzione di un soggetto transnazionale che abbia nelle comunità italiane all’estero un punto di riferimento fondamentale». Per permettere all’Italia di recuperare «i propri valori di solidarietà, identità cattolica, famiglia, patria e creatività che rappresentano il vero made in Italy a livello internazionale».

Presidente della Delegazione parlamentare italiana presso la Nato e fondatore del movimento Italiani nel Mondo

ALESSANDRA MUSSOLINI Un gruppo coeso e aperto al contributo di tutti. Secondo Alessandra Mussolini, la ricchezza del Pdl sta nella capacità di ascoltare le sue componenti «Il Pdl non è una prigione ideologica». Ne è convinta Alessandra Mussolini, secondo la quale è proprio «la capacità di essere trasversali in alcune battaglie, dando ciascuno il proprio contributo» a distinguere il Popolo della libertà dal Partito Democratico. «In questo grande partito noto un’estrema sensibilità di ascolto e la concreta libertà di poter assumere delle posizioni che si possono diversificare – sottolinea la fondatrice di Azione Sociale, confluita nel Pdl in occasione del primo congresso nazionale di Roma –. Qui si trovano le varie sfumature che consentono quel confronto costante che permettono di evolvere la linea del partito. Apprezzo la capacità di ascoltare le diverse istanze provenienti dalla base, ma anche di cambiare una posizione capendo il buon senso delle proposte altrui e riuscendo ad ascoltare i bisogni concreti dalla gente». Una capacità che permette anche alla componente proveniente da Azione Sociale di esprimere il proprio parere su temi importanti riuscendo a fare breccia all’interno del Pdl. «Per esempio – ricorda Mussolini – nel ddl sicurezza abbiamo combattuto una battaglia sulla parte riguardante i cosiddetti “medici spia” per correggere una norma che ri-

schiava di penalizzare tutti e questa posizione è stata recepita da tutto il Pdl». Un Popolo della libertà, dunque, che appare coeso ma aperto ai contributi delle esperienze individuali che lo compongono «Sugli argomenti importanti ci riveliamo un vero gruppo unico – sottolinea Alessandra Mussolini –, questo senza però precludere la libertà di fare battaglie, anche parlamentari, che vadano a modificare le posizioni originarie. Questo è un gruppo maturo e responsabile che rispecchia quell’elasticità di pensiero che dovrebbe caratterizzare la politica. Trovo inoltre positivo il contraltare rappresentato da Gianfranco Fini che, secondo me, costituisce un arricchimento dialettico: una componente estranea all’odierno centrosinistra». La combattiva fondatrice di Azione Sociale ha apprezzato un primo congresso nazionale che ha saputo «mettere i giovani in prima fila» che definisce un obiettivo centrato. «L’immagine che si è voluta dare e che si è data all’esterno – aggiunge – è stata quella di un grande partito di rinnovamento che punta al futuro senza essere ingessato. E difatti questo Pdl è un partito fresco che ogni giorno lavora su proposte di legge ed emendamenti concreti».

Fondatrice e leader di Azione Sociale, presiede la Commissione infanzia della Camera

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GOVERNO

RISOLVERE LE EMERGENZE

RISPETTANDO

GLI IMPEGNI PRESI UN’AZIONE DI GOVERNO ORIENTATA A UN CONCRETO PRAGMATISMO. PER MERITARSI LA FIDUCIA ACCORDATA DAGLI ITALIANI. Il bilancio di un anno di esecutivo Berlusconi, fra interventi legislativi, importanti riforme, gestione delle emergenze e misure a sostegno dell’economia DI LORENZO BERARDI

n anno di governo alle spalle. Dodici mesi che hanno visto l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi occuparsi della crisi dei rifiuti campana e dei postumi della crisi economica globale, fronteggiare il terremoto in Abruzzo e suggerire soluzioni all’emergenza abitativa e alle difficoltà dell’edilizia in Italia. Un anno trascorso intensamente, di lavoro incessante e costante confronto con l’opposizione, le parti sociali, gli interlocutori internazionali. Un percorso, quello del quarto Governo Berlusconi, il sessantesimo nella storia della Repubblica, iniziato il 7 maggio 2008 con la nomina dei 21 ministri da parte del nuovo Presidente del Consiglio e rafforzato dal primo congresso nazionale del Pdl, del 29 marzo scorso. Fra queste due date significative si è inserita un’attività di governo incentrata su molti temi importanti, caratterizzata da frizioni più o meno accese con l’opposizione, ma soprattutto da molte decisioni di rilievo e provvedimenti concreti presentati e approvati fra Camera e Senato. Tutto comincia con il voto del 13 e 14 aprile 2008. Dopo la caduta del Governo Prodi bis, gli italiani premiano una coalizione di centrodestra che appare più compatta della ex maggioranza e in grado di offrire proposte chiare per l’immediato. E che le intenzioni del neo Governo Berlusconi siano da subito votate al pragmatismo lo dimostra il fatto che il 21 maggio, ad appena due settimane dal suo insediamento, già tenga, come promesso in campagna elettorale, il proprio primo Consiglio dei ministri a Napoli, nel pieno dell’emergenza immondizia. Un atto dall’alto valore simbolico, ma anche estremamente pratico. Appena due giorni dopo, infatti, viene approvato il dl 90/08 che, convertito in legge 123/08 il 14 luglio, avvia un vero ciclo integrato dei rifiuti in Campania. Si stabilisce la costruzione di quattro nuovi

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termovalorizzatori, individuando inoltre dieci siti per lo stoccaggio dei rifiuti in regione e dando nuovo impulso alla raccolta differenziata. Il tutto sotto l’egida di una figura competente e super partes come il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso. Per sincerarsi della situazione in prima persona Berlusconi ritorna nella città partenopea 8 volte nei primi 54 giorni di governo. Un dato che dimostra la vicinanza del premier ai problemi dei cittadini. Ma il nuovo esecutivo non dimentica altri temi caldi in agenda. Primo fra tutti il caso Alitalia. Già il 30 maggio il governo si assume la responsabilità di individuare il nuovo proprietario della compagnia aerea di bandiera dopo che, ad aprile, Silvio Berlusconi aveva auspicato che il vettore nazionale restasse in mani italiane. E Cai, una cordata tricolore di 16 imprenditori, si costituisce il 26 agosto presentando una prima offerta per rilevare Alitalia già il primo settembre anche se occorreranno varie contrattazioni prima che si raggiunga l’intesa con i sindacati di categoria. In attesa che il passaggio a Cai venga formalizzato, (lo sarà il 12 gennaio 2009), il Governo Berlusconi non resta a guardare presentando il ddl sulle “Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi". La conversione del ddl nella legge 166/2008, avvenuta il 27 ottobre, si rivela fondamentale anche per l’immediato futuro di Alitalia che supera con successo una delicata fase di transizione. Ma ottobre è anche il mese in cui in Italia cominciano ad avvertirsi le ripercussioni della congiuntura finanziaria globale innescata dalla crisi dei mutui subprime americani. Da subito il governo non sottovaluta la situazione e, pur rassicurando, sugli effettivi contraccolpi della crisi su un sistema bancario italiano più solido di quello di altri Paesi, comincia a studiare contromisure ad hoc. In questo senso, l’azione

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Napoli prima e dopo l’emergenza rifiuti affrontata e risolta dal Governo Berlusconi

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viene improntata da subito su provvedimenti di stampo economico. Proprio la manovra Finanziaria 2009-2011 viene approvata in via definitiva dalla Camera il 5 agosto. È un avvenimento storico: mai una manovra finanziaria, per di più triennale, in Italia è stata approvata con tale anticipo rispetto alla fine dell’anno evitando di trasformarsi nel consueto “assalto alla diligenza” degli ultimi giorni di dicembre. Si tratta di una Finanziaria che, come ricorda il ministro Tremonti: «è mirata a due obiettivi essenziali: la stabilizzazione triennale del bilancio pubblico e la costruzione di una migliore piattaforma istituzionale e legale per lo sviluppo industriale». Ma da sola la nuova Finanziaria non basta a fronteggiare gli effetti della crisi globale e così, il 28 novembre 2008 si presenta il dl 185 contenente “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale”. Un pacchetto di 36 articoli fra i quali spiccano il bonus straordinario per le famiglie con reddito fino a 1000 euro, l’aumento delle risorse dedicate agli ammortizzatori sociali, gli interventi per calmierare i mutui a tasso variabile e la riduzione dell’Irap per ridare fiato alle imprese. Il 27 gennaio di quest’anno il decreto, con alcune modifiche, diviene la legge 2/2009, configurandosi come una manovra anticrisi che sfiora i 5 miliardi di euro. Il Governo Berlusconi dimostra, inoltre, di considerare prioritario il tema della casa. Per questo motivo, viene varato un apposito Piano, inserito nell'articolo 11 del dl 112, all’interno della Finanziaria 2009. Il 31 marzo di quest’anno arriva l’atteso accordo fra Stato e Conferenza delle Regioni con il Piano Casa del governo che va ad arricchirsi di due nuove iniziative: le misure per l'ampliamento delle abitazioni e il progetto di costruire “new town”, nuovi insediamenti urbani destinati a chi ha difficoltà ad affittare o acquistare casa. Con questa firma, di fatto, il Piano Casa si al-


I RISULTATI

larga. Suo cardine resta il Piano straordinario per l’edilizia residenziale pubblica previsto nella Finanziaria e pensato per rimodernare il patrimonio immobiliare pubblico con l’obiettivo di dare un alloggio sociale a famiglie disagiate, anziani e giovani coppie con uno stanziamento complessivo di 550 milioni di euro.Tutto questo mentre le Regioni si impegnano ad approvare entro 90 giorni proprie leggi che tengano conto delle linee guida dettate dal governo. Non passa neanche una settimana dall’accordo che già occorre rimboccarsi le maniche per gestire i danni del terremoto in Abruzzo. In simili circostanze, il premier dimostra di saper affiancare sensibilità e concretezza, cancellando impegni internazionali per recarsi immediatamente sui luoghi del disastro. Dopo avere convocato un Cdm straordinario all’Aquila, Berlusconi si impegna a garantire fondi e certezze per una rapida ricostruzione. A tal fine, il 23 aprile viene presentato un decreto legge che stanzia 8 miliardi di euro alle zone terremotate nell’arco di tre anni, di cui 1,5 per fronteggiare l'emergenza e 6,5 per la ricostruzione. Il dl prevede contributi straordinari per le molte famiglie che hanno perso la casa nel sisma e, attraverso il piano Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili, presentato il 29 aprile, punta a costruire nuove e sicurissime abitazioni nel territorio aquilano nel giro di 5 mesi così da consentire alla popolazione di difendersi dai rigori dell’inverno. E il presidente del Consiglio assicura: «Si risponde al terremoto senza aumento della pressione fiscale e senza mettere le mani in tasca agli italiani». Una promessa mantenuta che fa il paio con altre. Basti ricordare come il governo e il premier abbiano mantenuto la parola data in campagna elettorale anche attraverso l’abolizione dell’Ici o la detassazione degli straordinari dei premi produzione, mentre le tasse non sono state aumentare nonostante gli effetti della crisi globale.

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RENATO BRUNETTA

IL PIÙ AMATO

DEL REAME LA RIVOLUZIONE CONTINUA. E NON SI FERMA ALLA LOTTA AGLI SPRECHI E AI FANNULLONI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. MA PUNTA A RIORGANIZZARE L’INTERO SETTORE DELL’IMPIEGO STATALE. QUESTO L’IMPEGNO DI RENATO BRUNETTA. Che si è mosso in questa direzione come nessun ministro della Funzione pubblica mai aveva osato fare DI MARILENA SPATARO

in dal primo momento in cui Renato Brunetta si è insediato al ministero della Funzione pubblica, di cui è titolare in questa legislatura, ha lanciato la sua sfida all’assenteismo e all’improduttività nel pubblico impiego. E chi immaginava che i primi provvedimenti presi in tal senso, e in tempi velocissimi tra l’altro, avessero guadagnato al nuovo ministro antipatie e impopolarità, specialmente da parte della categoria messa sotto accusa, è rimasto deluso.Tanti, e sempre di più, sono gli italiani, anche tra gli stessi impiegati della pubblica amministrazione, che condividono le sue battaglie e che gli dimostrano simpatia e stima. Basti pensare all’ovazione che lo ha accolto quando è salito sul palco al congresso di nascita del Pdl di fine marzo. Un’ovazione che lo ha incoraggiato ad andare avanti anticipando il risultato dei successivi sondaggi che lo avrebbero indicato come il ministro più amato dagli italiani. Intanto la rivoluzione Brunetta continua. E così sui grandi e piccoli privilegi di quella che era diventata una vera e propria casta di intoccabili, il 15 maggio scorso si è abbattuto come una scure il decreto del Consiglio dei ministri che dà il via libera alla legge delega sul lavoro pubblico prevedendone la riorganizzazione. Adesso il provvedimento sarà sottoposto all’esame e alla discussione delle Camere e andrà alla Conferenza Stato Regioni e al Cnl. Soddisfatto per questo primo successo incassato, Renato Brunetta, come da lui stesso più volte annunciato, si prepara ad altre e non certo facili battaglie di moralizzazione della pubblica amministrazione e di lotta agli sprechi, a partire da quella ai manager pubblici, di cui intanto ha già fatto mettere in rete renden-

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I PUNTI SALIENTI DELLA “RIVOLUZIONE BRUNETTA” • CONTRATTI I 35 contratti esistenti saranno accorpati in due soli comparti: Stato centrale e amministrazioni decentrate • SANZIONI Semplificazione dei procedimenti disciplinari. Ci saranno sanzioni anche a carico del medico che certifica il falso sulla malattia

doli visibili a tutti i compensi di 23mila di loro. Ma chi si cela in privato dietro il volto di questo moderno Catone? A svelarlo è lo stesso ministro. E le sorprese non mancano. All’interno di questo esecutivo, lei si è dimostrato sinora uno dei ministri più attivi, capace di proporre iniziative concrete che hanno alimentato un incessante interesse e dibattito nell’opinione pubblica. Da dove nascono tanta decisione e determinatezza nel battersi contro gli sprechi e le inefficienze presenti nello Stato e nei vari livelli della pubblica amministrazione? «Dal fatto che è necessario e dalla sensazione che è possibile farlo solo adesso, all’inizio dell’attività di questo governo, senza perdere tempo e senza lasciarsi imbrigliare dalle mille resistenze corporative. Lo ha capito l’opinione pubblica. Lo hanno capito i colleghi».

• NEGOZIATI La legge regolerà il lavoro pubblico. Si riduce il potere dei sindacati per questo tipo di contrattazione. Gli accordi raggiunti dalle singole amministrazioni possono essere bocciati dal governo. Per i contratti nazionali è vincolante il parere della Corte dei Conti • RETRIBUZIONI

E CARRIERE

Annualmente le amministrazioni stabiliranno le graduatorie del merito per dirigenti e impiegati. Il 25% in cima alla graduatoria otterrà l’intero premio, il 50% che sta al centro avrà il premio dimezzato, il resto niente • NUOVI

ORGANI

Nominata dal parlamento a maggioranza, l’Autorità per la valutazione incentiverà l’adozione di meccanismi meritocratici. I componenti saranno cinque per una retribuzione annua di 300mila euro • CLASS ACTION La normativa sulla class action sarà adottata dopo gli approfondimenti richiesti al Consiglio di Stato e all’Avvocatura relativamente agli effetti sul processo amministrativo e sulla difesa erariale cui la nuova disciplina una volta approvata potrebbe dar luogo

Nel febbraio di quest’anno un sondaggio pubblicato da Affaritaliani l’ha promossa a “ministro più amato dagli italiani”. Al di là di questa investitura sondaggistica da quali segnali comprende giorno dopo giorno, nel quotidiano, che il suo impegno sia apprezzato e faccia scuola? «I sondaggi sono utili, sarei un bugiardo se dicessi di non leggerli o che non mi fanno piacere, ma non si governa in base ai sondaggi. Si fa quel che si ritiene giusto e lo si spiega in modo da attendere un risultato positivo. Il segnale più importante me lo hanno dato, fin dall’inizio, i tanti dipendenti pubblici che si sono avvicinati per dire che avevo ragione e dovevo andare avanti. Alla faccia dei tanti propagandisti che mi dipingevano quasi come un orco». Perché nessuno fra i ministri della Funzione pubblica che l’hanno preceduta ha saputo o voluto contrastare apertamente il fenomeno dell’assenteismo e della scarsa produttività di alcuni dipendenti pubblici, difendendone di fatto i privilegi acquisiti? «Ci hanno provato, ma con minori risultati. Hanno fallito perché hanno tentato di tenere assieme capra e cavoli: la copertura nei confronti del consociativismo inefficiente e la speranza di portare efficienza a favore del cittadino. Alla fine si sono dovuti rassegnare e attendere la fine dell’esperienza». Una delle caratteristiche che la rendono riconoscibile è quella di saper affiancare all’attività riformistica, spesso inizialmente oscura al grande pubblico, anche gesti e decisioni concrete come l’introduzione delle “faccine” per giudicare l’operato degli uffici pubblici oppure la realizzazione dei tornelli per contrastare l’assenteismo. Da dove trae ispirazione per idee così “visibili” e innovative, capaci di produrre da subito effetti concreti nei comportamenti e nelle abitudini degli italiani? «Come spiegavo prima, serve comunicare, raccontando pubblicamente quel che si va facendo. Le idee vengono parlando con i diretti interessati, sia cittadini che dipendenti, e con gli operatori economici. Ascoltando le idee, valutando le soluzioni tecnologiche e, alla fine, producendo una sintesi politica». In occasione del primo congresso del Pdl tenutosi a Roma, lei è salito sul palco del Palafiera visibilmente commosso e ha parlato di una “rivoluzione moderata” in corso. Cosa ha potuto spingerla a un simile aperto entusia-

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RENATO BRUNETTA

«Il segnale più importante me lo hanno dato i tanti dipendenti pubblici che si sono avvicinati per dire che avevo ragione e dovevo andare avanti»

Renato Brunetta è ministro della Funzione pubblica e docente universitario di economia. La sua battaglia contro l’assenteismo e gli sprechi nella pubblica amministrazione lo hanno reso popolare tra gli italiani

smo e cosa rappresenta per lei essere uno degli artefici di questa “rivoluzione”? «No, non sono salito commosso, non è che piangessi alla partenza da casa! Mi ha commosso l’accoglienza molto calorosa, la sensazione che il lavoro fatto ogni giorno, chiuso in una stanza con i miei collaboratori, aveva fatto breccia nel cuore dei nostri amici. Quella che ho chiamato “rivoluzione” è una grande occasione per il governo e per gli italiani». Lei vive sotto scorta ininterrottamente da venticinque anni in seguito alle minacce ricevute dalle Brigate rosse nel periodo in cui offriva consulenze al ministero del Lavoro. Come ha influito e sta influendo questa condizione di limitata libertà sul suo modo di agire, di pensare, di vivere la quotidianità anche al di fuori degli impegni istituzionali? «Non influisce per niente.Vivo sotto scorta, e non è piacevole, ma non ho mai pensato alle minacce ricevute o al delirio di chi le ha concepite. In quanto alla mia vita privata, si chiama così perché è privata. E desidero che resti tale».

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UNANNOVISSUTO

INTENSAMENTE LA PIÙ GRANDE CONQUISTA, RACCONTA, È STATA LA NORMA ANTI-STALKING. MA LA DETERMINAZIONE DEL MINISTRO MARA CARFAGNA, IN QUESTO PRIMO ANNO DI GOVERNO, SI È MOSTRATA SU MOLTI ALTRI FRONTI. Dalla lotta alla violenza sessuale al sostegno per le donne lavoratrici. Fino all’ultima sfida, sconfiggere la prostituzione DI DANIELA PANOSETTI n anno di governo, tempo di resoconti. E per Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità, il bilancio non può che dirsi positivo. Basta guardare alla densità di iniziative, disegni di legge, provvedimenti approvati e realizzati in questi primi dodici mesi. Dalla lotta senza quartiere alle violenze sessuali, con una legge che ha introdotto nuove aggravanti, sino alla tanto attesa creazione del reato di stalking. Senza dimenticare i diversi interventi a sostegno delle donne lavoratrici, da sempre impegnate sul doppio fronte professionale e familiare. E per il prossimo futuro, un obiettivo che è anche una speranza: intensificare la lotta, già iniziata in passato, contro la prostituzione, «un’odiosa schiavitù moderna che non è possibile ignorare».

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Un anno di governo, molte iniziative realizzate, altre ancora in cantiere. Tra i diversi provvedimenti approvati, a quale teneva di più? «Ogni provvedimento è stato studiato e discusso con lo stesso impegno e senza perdere tempo: già lo scorso 18 giugno il consiglio dei ministri aveva approvato i disegni di legge contro lo stalking e contro la violenza sessuale, eliminando tra le altre cose i benefici per gli stupratori, garantendo la certezza della pena e istituendo il patrocinio gratuito per le vittime. Certamente, però, il provvedimento che mi è stato più a cuore era quello anti-stalking. Nel nostro Paese era da quindici anni che si attendeva una norma di questo tipo, come del resto ha dimostrato l’altissimo numero delle denunce presentate dopo la sua approvazione». Quante, per l’esattezza? «Nei primi due mesi dall’approvazione gli arresti sono stati 102, le persone denunciate

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MARA CARFAGNA

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© Antonio Scattolon A3 / CONTRASTO

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102 GLI ARRESTI

Effettuati nel nostro Paese in seguito a denunce presentate dopo il decreto antistalking che porta la firma del ministro

1522 IN ASCOLTO

Il numero gratuito antiviolenza attivato per fornire una prima risposta ai bisogni delle donne vittime di violenza, offrendo informazioni utili e un orientamento verso i servizi sociosanitari locali

e sotto indagine 132. Da marzo a oggi si sono moltiplicate le chiamate al numero gratuito antiviolenza 1522. Esiste, inoltre, un nucleo di carabinieri, la sezione anti-stalking appunto, che sta studiando il fenomeno». Dopo i carabinieri, sarà la volta della polizia. Quando sarà pronto il piano anti-violenza? «Appena dopo l’estate partirà il piano anti-violenza, frutto della collaborazione tra il mio ministero e quello dell’Interno. Contro la violenza siamo riusciti a stanziare la bellezza di 29 milioni di euro, una cifra record. E nonostante la crisi e le ristrettezze – obbligate – di bilancio». Violenza, ma non solo. Tra le sue deleghe c’è anche quella all’infanzia. Per i più piccoli cosa siete riusciti a fare?

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MARA CARFAGNA

«Su mia proposta il governo ha ratificato la Convenzione di Lanzarote, che pone l’Italia al primo posto per prevenzione e repressione degli abusi sui minori. Abbiamo introdotto aggravanti per il reato di violenza e sfruttamento sessuale di minore e per chi tratta il mercato della pedopornografia. Istituiremo, inoltre, la figura del Garante per l’Infanzia. Occuparsi dei più piccoli, tuttavia, non significa soltanto proteggerli dai “grandi”, ma anche fornire alle loro famiglie servizi più funzionali». Nelle scorse settimane sono stati stanziati fondi per gli asili di condominio e i “voucher” per le famiglie che mandano i figli all’asilo. Come pensa di impiegarli? «La Conferenza unificata Stato Regioni ha dato il via libera al fondo di 40 milioni di euro che andrà a finanziare misure utili alle lavoratrici, come gli asili nido appunto e le tagesmutter, ossia “baby sitter di condominio”. Saranno istituiti elenchi di bambinaie e badanti, per offrire personale selezionato e qualificato. L’obbiettivo è quello di non costringere più genitori o figli ad affidare i loro cari a un “estraneo”. Le iniziative previste mirano a sostenere l’occupazione femminile in una duplice direzione: le lavoratrici potranno effettivamente conciliare lavoro e famiglia e, contestualmente, altrettante giovani donne saranno regolarizzate come baby sitter o badanti, affrancandosi dalla piaga del lavoro sommerso». Scoccato il primo anno di governo, è ripresa la discussione sulla sua proposta di legge per combattere la prostituzione. Crede che questa volta si arriverà all’approvazione? «Che ci sia bisogno di fare qualcosa lo pensano tutti, compresi i critici, per fortuna pochi, della mia legge. Nelle nostre città, la notte e non solo, si assisteva alla compravendita di donne spesso minorenni, vittime di quella odiosa schiavitù moderna che non potevo ignorare. Voglio far chiarezza su ciò che ha ispirato il mio mettere mano alla legge Merlin dopo 50 anni di silenzio: eliminare la tratta delle donne e dei minori vuol dire tutelare i più deboli, stroncare un mercato criminale che, sulla pelle dei più deboli, alimenta spesso altri traffici illeciti». Molte città, tuttavia, hanno anticipato il provvedimento che lei propone. Quali sono stati i risultati? «Molti Comuni hanno deciso di recepire e anticipare i contenuti del disegno di legge che ora è in discussione in Senato. Ma se le premesse sono quelle viste a Roma o in altri centri, dove le strade sono in buone parte sgombre, vuol dire che la strategia funziona e funzionerà ancora meglio quando il disegno diventerà legge dello Stato. Le questure di alcune città, come Roma, dispongono tra l’altro di dati da cui si evince che molte organizzazioni dedite allo sfruttamento della prostituzione radicate sul nostro territorio da anni, si sono trasferite oltre i confini nazionali. L’Italia, insomma, è sempre meno terra di conquista per chi schiavizza donne e minori».

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LA GDF IN ABRUZZO

LA LUNGA NOTTE

DEGLI ANGELI CUSTODI

LA MACCHINA DEI SOCCORSI SI ATTIVA IMMEDIATAMENTE E FORTE È L’IMPEGNO DELLE FORZE ARMATE. Mentre la scuola della Guardia di finanza dell’Aquila viene eletta a “cittadella delle istituzioni”. E tra chi appartiene a quei luoghi c’è chi, come Gianni Letta, si sente «due volte abruzzese» DI MARA COSTANTINO · FOTO RICCARDO VENTURI - CONTRASTO ifficilmente gli abruzzesi potranno dimenticare la notte tra il 5 e il 6 aprile, quando alle ore 3:32 la terra ha tremato con una forza pari a magnitudo 5,8 della scala Richter, colpendo il territorio della provincia dell’Aquila e di altri Comuni della regione Abruzzo. «Oggi, quasi cent’anni dopo , la terra è tornata a tremare in maniera rovinosa. Città, paesi, borghi antichi, monumenti, chiese e conventi distrutti nel silenzio della notte. E ha colpito il simbolo stesso della regione, la bella e amatissima città dell’Aquila». Queste le parole di un abruzzese doc come il sottosegretario Gianni Letta che ha dato la sveglia al governo. E ha ribadito: «Oggi, più che mai, mi sento abruzzese. Abruzzese due volte». Nato ad Avezzano e, sin da bambino, cresciuto con la terribile “favola” del terremoto, più tardi, ragazzo alle prime armi del giornalismo, provava a riordinare e scrivere il racconto degli anziani sul sisma

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del 13 gennaio 1915 che distrusse la sua città. Conosce la gente d’Abruzzo, il sottosegretario, secondo il quale in momenti come questi vale più che mai quella espressione antica e forse abusata, ma profondamente vera che vuole gli abruzzesi “forti e gentili”. Forti di fronte al dolore e alla sofferenza, gentili nella solidarietà e nello slancio verso chi ha bisogno. Al loro fianco, lo Stato, il governo con tutte le strutture di cui dispone. Ma soprattutto «con il cuore e l’impegno di tutti gli uomini delle istituzioni», assicurava Letta. Non c’è conferma che sia stato Letta, la mattina della tragedia, a fermare Berlusconi, in procinto di volare a Mosca. Di certo il premier ha rinunciato al previsto summit con Putin per potersi recare all’Aquila già nelle prime ore del giorno del sisma. Da allora sono state 44 le ore consecutive di lavoro senza andare a letto per Silvio Berlusconi. Dalle prime e immediate verifiche si sono registrati crolli in particolare nel centro storico del


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capoluogo e in numerosi paesi limitrofi, soprattutto Paganica, Fossa e Poggio Licenze, fino alla notizia della quasi totale distruzione del centro storico di Onna. In seduta straordinaria il Consiglio dei ministri, alle 19 della stessa giornata di lunedì procedeva alla dichiarazione dello stato di emergenza. Sin da subito la scuola della Guardia di finanza è stata scelta per istituire la direzione comando e controllo, a cui sono seguiti 5 centri operativi misti, tra L’Aquila, San Demetrio, Pizzoli, Rocca di Mezzo e Paganica, per ospitare 31 aree di ricovero. Da semplice base per volo da diporto, Preturo viene trasformato in brevissimo tempo in una base aerea operativa 24 ore su 24 con l’attivazione di una torre di controllo messa a disposizione dall’Enac sotto il coordinamento della Protezione civile. La Guardia di finanza, composta di 65mila persone, con 700 impiegati in reparto aereo e con una flotta che conta un centinaio di mezzi tra aerei ed elicotteri,

scende in campo e non solo per attività di polizia economico-finanziaria, ma con tre elicotteri e un mezzo ad ala fissa capace di consentire il trasporto sanitario con 14 barelle. «Sin dai primi momenti, confermata alla Protezione civile la disponibilità dei nostri assetti, ci siamo attivati garantendo un contributo continuativo in configurazione medical evacuation» spiega il colonnello della Guardia di finanza Maurizio Muscarà, responsabile per il dispositivo aereo a Preturo, che conferma, come il corpo si sia distinto nel tempo per l’attenzione a investimenti in ambito tecnologico. «Bisogna dare conto dell’immediata attivazione da parte del sistema della Protezione civile e dello straordinario impegno manifestato da parte di tutti gli uomini delle Forze armate e delle Forze dell’ordine, Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza, ma anche Corpo forestale,Vigili del fuoco e gli uomini del volontariato». Così si esprime il ministro per i

A sinistra, il colonnello della Gdf Maurizio Muscarà

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LA GDF IN ABRUZZO

Rapporti con il Parlamento Elio Vito nel corso del suo intervento al Senato dell’ 8 aprile 2009, inteso a sottolineare i numeri della macchina del soccorso. Nove i nuclei di Protezione civile partiti nel corso della mattina del 6 aprile per le località maggiormente colpite, mentre venivano attivate tutte le colonne mobili dei Vigili del fuoco, da tutte le regioni italiane, ad eccezione naturalmente della Sicilia e della Sardegna per evidenti ragioni logistiche. Al 7 aprile il personale del dipartimento della Protezione civile impiegato nell’attività di coordinamento e verifica dei danni risultava essere di circa 110 unità, mentre il numero delle forze impiegate dall’intero sistema della Protezione civile ammonta a circa 8mila, con la presenza di persone provenienti da 12 Regioni. Particolarmente importante l’apporto fornito dalle Forze armate: tale contributo si è materializzato, sin dalle prime ore dell’emergenza, stante la presenza nella regione Abruzzo di reparti delle Forze armate dislocati in forma stanziale, con l’intervento di squadre e mezzi specialistici per la ricognizione e il primo soccorso tratti dal 9° reggimento degli alpini e dal 33° reggimento di artiglieria terrestre “Acqui” con sede all’Aquila e del 123° Reggimento con sede a Chieti. Dal mattino del 6 aprile erano disponibili al decollo 59 mezzi aerei a cui si sono aggiunti altri 9 già operativi, diventati il giorno seguente 25 e 11 sono stati quelli impiegati nell’emergenza. Grazie alla tempestiva mobilitazione è stato possibile un pronto soccorso dando alle popolazioni colpite dal terremoto l’immediata percezione della presenza dello Stato. Le tendopoli allestite sono 20 per un totale di più di 2.416 ricoveri, in grado di ospitare fino a 14.500 persone ed è stata assicurata la distribuzione giornaliera di circa 18mila pasti, grazie a 25 cucine da campo. Le persone assistite sono circa 18mila. Già dal 6 aprile la città di Pescasseroli ha reso disponibili 4mila posti letto

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in alberghi e campeggi per gli abitanti della provincia dell’Aquila. Nel prosieguo dell’emergenza, si sono aggiunti man mano assetti specialistici terrestri e aerei che hanno consentito la costituzione di ben tre task force di Esercito, Marina e Aeronautica, per un totale di 1.530 unità di personale impiegate e dotate di 96 mezzi speciali (escavatori, ruspe, torri di illuminazione), 104 mezzi ruotati, 20 elicotteri e 7 aerei (mezzi tuttora impiegati nelle zone colpite dal sisma). L’Esercito, per eventuali ulteriori concorsi in campo sanitario da schierare in zona, ha approntato e reso disponibili un centro sanitario campale per il ricovero e la cura e un posto di medicazione avanzato. Immediato l’intervento del personale dell’arma dei Carabinieri, inquadrato nel comando regionale “Abruzzo”, rinforzato da altri 300 Carabinieri provenienti da regioni limitrofe, nonché dagli assetti specialistici fatti affluire in zona, comprendenti, tra l’altro, 7 unità cinofile per la ricerca di dispersi, un nucleo per l’identificazione delle vittime di disastri, un’aliquota del comando Carabinieri per la tutela della salute, addetta in particolare al controllo della salubrità delle acque), 16 stazioni mobili in sostituzione delle caserme particolarmente danneggiate, che sono state dislocate nelle località specificatamente colpite dal sisma, e 2 elicotteri impiegati in volo con compiti di ricognizione e trasmissione delle immagini. Inoltre, nuclei di collegamento dotati di apparati satellitari avanzati sono anche essi presenti nelle zone colpite dal sisma. Dei Vigili del fuoco, alle ore 7 del 6 aprile, erano già presenti sul posto circa 300 uomini, con circa 100 mezzi operativi. Per effettuare le ricognizioni delle aree sinistrate e per soccorrere i superstiti, sono decollati 4 elicotteri provenienti dai reparti volo di Pescara, Bologna e Roma, con equipaggio integrato con aerosoccorritori dei Vigili del fuoco, specializzati in tecniche speleo-alpinistiche. Nelle ore successive, sono aumentate le


forze in campo, sino ad arrivare, intorno alle ore 18, a circa 1.200 unità operative, con oltre 600 mezzi impegnati sul territorio. Sempre alle ore 18 il Corpo aveva anche reso operativi circa 50 funzionari tecnici specializzati in verifiche della stabilità delle strutture, 40 mezzi speciali movimento terra, 40 unità cinofile, 13 squadre, per un totale di oltre 90 unità specializzate in tecniche speleo-alpinofluviali, 6 squadre specialistiche per la ricerca delle persone sotto le macerie con attrezzature specifiche di alta tecnologia, quali geofoni, termocamere, attrezzature per il taglio del cemento armato. Sul territorio colpito dal terremoto erano 168

le sezioni operative provenienti da tutte le regioni d’Italia, per un totale di 2.386 unità, con 83 funzionari tecnici direttivi (ingegneri e architetti), 13 squadre (per un totale di 90 unità specializzate), 6 squadre specialistiche per la ricerca delle persone sotto le macerie: oltre 100 estratte vive. Impiegati circa 1.000 mezzi, tra cui 51 mezzi speciali movimento terra e relative strutture di supporto, 24 autoscale, 8 autogrù, 30 torri faro, 3 mezzi mobili attrezzati per la trasmissione satellitare, 3 ponti radio mobili e 4 elicotteri. Nelle zone colpite dall’evento calamitoso, per le Forze dell’ordine erano presenti 1.724 unità, di cui 566 della Po-

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«Al fianco degli abruzzesi ci sono lo Stato e il governo con tutte le strutture di cui dispone. Ma soprattutto con il cuore e l’impegno di tutti gli uomini delle istituzioni»

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lizia di Stato, 460 dell’arma dei Carabinieri, 318 della Guardia di finanza. 380, invece, le unità operative del Corpo forestale dello Stato. Al fine di garantire l’ordine pubblico e per le esigenze di soccorso risultano anche impiegate 220 unità dei reparti mobili di Roma, Napoli, Bologna, Bari e della scuola di Senigallia: oltre 30 pattuglie per gli interventi di soccorso e la gestione della viabilità, e l’invio di ulteriori 26 pattuglie di rinforzo provenienti dai compartimenti del Lazio, delle Marche, della Toscana, della Campania, del Molise e dell’Umbria. Dai dati in possesso del dipartimento della Protezione civile, il numero delle organizzazioni nazionali di volontariato di Protezione civile attivate ammontava a 17, per un totale di 941 unità operative presenti in loco, raggiunte da un primo scaglione di 245 unità e, successivamente, da un altro scaglione composto da 243 unità, affiancate dalla Croce rossa italiana e dal corpo nazionale Soccorso alpino e speleologico. La notizia di oltre 200

morti, 1.500 feriti, 70mila sfollati, di 1015mila edifici danneggiati con danni al patrimonio storico e artistico della regione ha superato i confini nazionali facendo il giro del mondo. Sono 35 le nazioni che hanno offerto al nostro Paese la propria solidarietà nel fronteggiare l’emergenza. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rivolto parole di ringraziamento ai soccorritori, sottolineando «lo sforzo di efficienza e di generosità straordinari nell’ambito di organizzazione dello Stato e della mobilitazione dei cittadini». Gli uomini che si sono adoperati per i soccorsi e per il controllo del territorio si sono trovati a dover fronteggiare ancora un fenomeno odioso come quello dello sciacallaggio, che ha fatto, se pur per brevissimo tempo, la sua comparsa tra le macerie dei Comuni abruzzesi colpiti dal sisma. Contro gli sciacalli è stato immediato l’intervento di Polizia e Carabinieri e anche la Guardia di Finanza è all’opera per recuperare e custodire i beni di valore rimasti sotto le


FOTOREPORTAGE

rovine. A una prima attività della Guardia di finanza di tipo emergenziale, ne segue una seconda di cooperazione con compiti istituzionali come l’antisciacallaggio, individuando di volta in volta i siti e pianificando una turnazione. Per tali operazioni quotidiane, il corpo delle Fiamme gialle sorvola aree ristrette e in avvicinamento grazie a elicotteri medi della serie AB412 dotati di tecnologia avanzata per volo notturno. A tal proposito si sta mettendo a punto il reato di sciacallaggio. Questo perché, secondo il premier Silvio Berlusconi, «chi si abbassa a compiere un reato così ha dentro solo un disvalore». E ancora la Guardia di Finanza in una nota del Cocer, propone che il “Premio antievasione”, art.12 Dl 79/77, per i dipen-

denti del ministero dell’Economia e delle Finanze, pari a circa 340 milioni di euro e in misura assolutamente ridotta, pari a 20 milioni di euro assegnati al fondo assistenza per i finanzieri del Corpo, alla luce dell’eccezionalità della situazione, venga destinato alle popolazioni colpite dal sisma. «L’Italia ha risposto bene nella tragedia e bisogna essere ottimisti», ha commentato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel fare il punto sulla prima fase dell’emergenza, ormai superata. Il sorriso dei ragazzini avviati al gioco, grazie anche ai medici clown, è un elemento di grande aiuto che contribuisce a superare il pessimismo, là dove la situazione costringe le persone a stare nei campi e nelle tendopoli.

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CRONACA GIUDIZIARIA

REGOLATEGLIOROLOGI ARRIVANOLEELEZIONI FIOCCANOLESENTENZE CON UNA PUNTUALITÀ SCONCERTANTE MA CONSUETA, A POCHI GIORNI DALLE EUROPEE, CON IL PD IN PIENA CRISI, ARRIVA L’ATTACCO A BERLUSCONI CON LA PUBBLICAZIONE DELLE MOTIVAZIONI DEL PROCESSO MILLS. FRANCESCHINI LE CAVALCA, MA RISCHIA DI ESSERE DISARCIONATO DI LUCA D’ALESSANDRO ’è una prova, la prova regina, che dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio come il violentissimo attacco portato a Silvio Berlusconi dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza che il 17 febbraio scorso aveva condannato per corruzione l’avvocato inglese David Mills a 4 anni e mezzo di carcere aveva solo ed esclusivamente una motivazione pre-elettorale. La prova è rappresentata proprio dal fatto che la condanna di Mills non era una novità, essendo datata per l’appunto 17 febbraio 2009, né che secondo il tribunale di Milano l’avvocato inglese fosse stato corrotto da Berlusconi, perché solo due erano gli imputati, prima che il lodo Alfano intervenisse per evitare che, ancora una volta, un gruppo di giudici cercasse di condizionare la vita politica del

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Paese con inchieste e processi contro il premier e leader del partito più grande d’Italia. L’equazione Berlusconi-corruttore, fatta dall’ala giustizialista e forcaiola della politica, oggi quanto mai numerosa a pochi giorni dalle elezioni europee e amministrative, poteva quindi essere fatta anche allora. Invece, quando ci fu il semplice verdetto, nudo e crudo, assistemmo sì alle solite, stantie polemiche politiche, ma è anche vero che l’attacco non fu affatto violento, rimase circoscritto nei toni e nei modi, se si fa eccezione del solito Di Pietro (e neanche questa è una novità, dal momento che l’ex pm ha costruito e coltiva le sue fortune politiche solo sull’attacco giudiziario a Berlusconi). La reazione, dunque, soprattutto da parte del Pd, fu tiepida. In parte perché anche i sassi sapevano che da Milano sarebbe ar-


IL CASO MILLS

rivata la bordata. In pochi, infatti, nutrivano dubbi circa la decisione che avrebbe preso il collegio presieduto dal giudice Gandus, la cui inimicizia verso ogni atto compiuto da Berlusconi e dal governo che egli presiedette dal 2001 al 2006 era acclarata dalle numerose firme che ella mise in calce ad ogni iniziativa intrapresa per criticare e attaccare il governo del Cavaliere. In parte perché non c’era addetto ai lavori che non sapesse che la difesa di Berlusconi era riuscita a dimostrare, documenti alla mano, che i 600mila dollari oggetto della presunta corruzione Mills li aveva intascati da altro ben identificabile imprenditore che nulla aveva a che vedere con Fininvest, con il leader del Pdl e presidente del Consiglio. Ma, soprattutto, ci fu una reazione tiepida perché mancava troppo

tempo alle elezioni e dalle parti del Pd volevano tenersi la pistola carica per un’occasione migliore. L’occasione, a Franceschini e compagni, l’ha fornita su un piatto d’argento proprio il giudice Gandus che, contrariamente ad altri suoi colleghi, invece di preservare il clima pre-elettorale rinviando di due settimane un atto che era “ordinatorio”, cioè che non era obbligata a compiere entro una data specifica, ha pensato bene di rinforzare su di sé il sospetto di essere un giudice “ostile”, un “nemico” dichiarato, come l’ha definita Berlusconi. Perché non poteva non sapere che il deposito delle motivazioni di una simile sentenza a sole due settimane dal voto avrebbe scatenato tutto il centrosinistra in blocco, infiammando il Paese, provocando uno scontro istituzionale di una violenza

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CRONACA GIUDIZIARIA

inaudita. Evidentemente, sapeva che presto o tardi il processo a Mills avrebbe dovuto fare i conti con due realtà indiscutibili: le prove documentali che chiaramente dimostravano l’innocenza del premier e la prescrizione, che in realtà sarebbe già operativa ma che proprio una controversa decisione della Gandus ha spostato di due anni, al 2010. Per la prima volta, infatti, un giudice ha stabilito che il reato si deve ritenere consumato non alla ricezione della somma di denaro ma quando l’imputato comincia a spenderlo. Di fronte alle tante, troppe incongruenze di questo processo, ci si poteva attendere, come durante l’epoca di Veltroni (anche se egli si dimise da segretario lo stesso giorno della sentenza), un minimo di pacata serietà, un po’ di prudenza, soprat-

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tutto cercando di capire se anche nei gradi successivi il dibattimento avrebbe passato il vaglio dei collegi giudicanti. Perché quanti chiedono la testa di Berlusconi, le sue dimissioni, la sua rinuncia ad avvalersi del lodo Alfano, e minacciano l’impeachment, sembrano ignorare che al di là delle valutazioni processuali, lui è innocente fino alla sentenza definitiva, se mai sarà di condanna. Invece, non appena sono state pubblicate le motivazioni, apriti cielo. Quasi rispondesse ad un preciso ordine impartito in precedenza, l’intera sinistra, moderata (si fa per dire), estrema, ancor più estrema, è partita all’attacco. Sembrava di essere tornati al 2001. L’avvocato di Massimo D’Alema, Guido Calvi, si è addirittura esibito in una valutazione delle carte pro-


IL CASO MILLS

cessuali sostenendo che la corruzione era provata (è come se l’avvocato di Berlusconi all’epoca avesse chiesto pubblicamente la condanna di D’Alema per finanziamento illecito del Pds). Inutile parlare di Di Pietro, perché la sua frase più delicata, alla faccia della presunzione di innocenza fino alla Cassazione, è stata:“Berlusconi è un corruttore, si dimetta”. Dalla sinistra estrema, assente dal Parlamento ma presente davanti agli uffici giudiziari a invocare l’arresto del Cavaliere, è arrivata in coro la richiesta di dimissioni. Ma il partito che più di ogni altro ha radicalmente cambiato la sua linea degli ultimi tempi, seguendo le tracce di Di Pietro, è stato il Pd, con Soro, Franceschini, D’Alema, Bersani, e compagnia cantante pronti ad attaccare Berlusconi. Non c’è

dubbio che sia stata una strategia legata indissolubilmente alla campagna elettorale. E non c’è dubbio che tanta disperata rabbia valesse più di qualsiasi sondaggio: il Pd perde voti, quasi fosse un’emorragia, il Pdl vola, quindi ogni pretesto è buono per dare un colpo al premier. Il fatto è che tanta disperazione ha portato il Pd a fare anche errori strategici, da dilettanti che sembrano proprio non conoscere il carattere del leader del Pdl. Perché appena uscita la sentenza si è subito levata la richiesta affinché Berlusconi riferisse alla Camera della sentenza. Il premier non ci ha pensato un solo istante: «Certo, è mia intenzione fare un intervento in Parlamento, sulla sentenza Mills. In quella sede dirò finalmente quanto da tempo penso a proposito di certa magistratura».

Il giudice Gandus, invece di preservare il clima pre-elettorale, ha pensato bene di rinforzare su di sé il sospetto di essere un giudice “ostile”, un “nemico” dichiarato, come l’ha definita Berlusconi

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Quanti chiedono la testa di Berlusconi, le sue dimissioni, la sua rinuncia ad avvalersi del lodo Alfano, e minacciano l’impeachment, sembrano ignorare che al di là delle valutazioni processuali, lui è innocente fino alla sentenza definitiva, se mai sarà di condanna

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OLYCOM

CRONACA GIUDIZIARIA

A questo punto, capendo che ancora una volta Berlusconi era riuscito a volgere a suo vantaggio quello che la sinistra pensava fosse un colpo letale, il Pd ha cominciato una rapida retromarcia, preferendo l’attacco frontale e buttandola in rissa, nella speranza di alzare un polverone. Anche perché se di fronte ad una persecuzione giudiziaria che dura incessante da 15 anni gli italiani continuano in massa a votare per il leader del Pdl, vuol dire che si sono fatti un’idea precisa di certa magistratura che usa la clava giudiziaria per scopi politici. Un dibattito parlamentare con il Cavaliere a declamare ciò che pensano molti cittadini (basti vedere a che livello di gradimento nei sondaggi è precipitata la magistratura) si sarebbe trasformato nell’ennesimo boomerang elettorale per la sinistra. Ma a questo punto è stato Berlusconi, ancora una volta, a prendere in mano la situazione e, sostanzialmente, a dire: volete che gli italiani sappiano, ebbene io lo spiegherò. Anche fuori dalle aule parlamentari. E l’ha fatto. Ha spiegato che «è

curioso sostenere che la Gandus, pur essendo un mio dichiarato e palese nemico politico, nel momento in cui arrivasse a scrivere una sentenza nei miei confronti saprebbe non venir meno al vincolo d’imparzialità impostole dalla Costituzione. Ma un giudice non deve essere soltanto imparziale, deve anche apparire tale». Poi, nel corso di una conferenza stampa, ha illustrato i documenti che provano la sua innocenza (e che sono agli atti del processo, ignorati dai giudici), spiegando che «Mills era l’avvocato di un armatore italiano residente in un Paese africano, del quale gestiva anche il patrimonio e seguiva gli affari. Dai conti di tale armatore, oltre a trattenersi il denaro corrispondente a parcelle emesse, si era trattenuto anche 600mila dollari quale ulteriore compenso professionale.Tale somma non fu dichiarata per evitare di pagare le imposte al fisco inglese e di dover dividere questo denaro con i colleghi del suo studio, visto che aveva condotto tutte le relative operazioni all’estero personal-


IL CASO MILLS

Gianni Vattimo illustra con questa simbologia il vero programma politico della sinistra

mente». Berlusconi ha quindi spiegato che Mills “inventò” la storia della tangente da parte della Fininvest solo per evitare guai e citò l’unico manager che non poteva smentirlo, il dirigente Fininvest Carlo Bernasconi, che nel frattempo era morto. A quel punto «i pm italiani, avvertiti, gli piombarono addosso e in un drammatico interrogatorio durato circa dieci ore a Milano – ha aggiunto il premier – Mills, ormai sfinito e temendo di venire arrestato, come ebbe a spiegare lui stesso, diede una versione di comodo per poter ritornare immediatamente in Inghilterra. Subito dopo si rese conto di essersi comportato in modo del tutto incongruo e che la sua tesi era insostenibile e decise di dire finalmente la verità». Ovviamente, la magistratura ha preferito credere alla prima versione, troppo ghiotta l’occasione. E via al processo, via allo slittamento della prescrizione fatto di volta in volta per continuare lo show, via alla condanna che tutti aspettavano, via alla bagarre mediatica. Questo fino al 6 giugno, quando si svol-

geranno le elezioni e si vedrà se il can can messo in campo dalla sinistra e da certe sentenze, la cui puntualità è sconcertante ha funzionato o se, come sempre è accaduto in passato, sarà stato un autogol. Poi, solo poi, si tornerà ad affrontare la questione con maggiore serenità e, forse, qualcuno anche dalle parti del Pd riconoscerà come valide le parole pronunciate da Berlusconi all’assemblea di Confindustria il 21 maggio in relazione alla Gandus e alla sua “dichiarata ostilità”: «è come se Mourinho arbitrasse il derby Inter-Milan, a voi starebbe bene?». Solo che un derby arbitrato da una “giacchetta nera” di parte al massimo provoca una sconfitta. Un magistrato che usa il suo ruolo per arrivare ad una sentenza non giusta può rovinarti la vita. Sia che ti chiami Silvio Berlusconi, e sei miliardario, sia che ti chiami Mario Rossi, e sei un povero disoccupato. L’unica differenza, in questo quadro, è che Berlusconi può almeno difendersi e denunciare pubblicamente le storture. Mario Rossi no. È questo il dramma della giustizia.

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DIRITTO DEL LAVORO

LAVIAITALIANA ALLA FLEXICURITY L’ARCHITETTURA IDEATA DAL GIUSLAVORISTA GABRIELE FAVA PER L’APPLICAZIONE DELLA FLEXICURITY AL SISTEMA ITALIANO PARTE DA UNA SINGOLARE PREMESSA: CONSIDERARE UN’OPPORTUNITÀ ANCHE LA PERDITA DEL POSTO DI LAVORO. Impossibile? No. Flessibile DI MARILENA SPATARO n Italia, dove per tradizione esiste una forte presenza sindacale, la possibilità di coniugare flessibilità e sicurezza nel mondo del lavoro genera una serie di problematiche di non facile soluzione. E tra i giuslavoristi il dibattito sull’argomento è ancora aperto. Anni di studio e di esperienza hanno permesso a Gabriele Fava, esperto e docente universitario di Diritto del lavoro, di mettere a punto una formula che se applicata consentirebbe di dare risposte alle questioni più spinose in materia di flexicurity.

I

In cosa consiste la sua proposta? «In concreto si tratterebbe di assumere il lavoratore a tempo indeterminato contro l’attribuzione al datore di lavoro di alcuni poteri “straordinari” di gestione del rapporto di lavoro, come ad esempio modificare l’orario, cambiare, in peggio o in meglio le mansioni, trasferire il lavoratore ad altre unità produttive senza oneri formali particolari. Ma per salvaguardare il più possibile la volontà del lavoratore è necessario, però, che questa clausola si formalizzi in sede “protetta”». Quali sono gli ostacoli reali e culturali che comporterebbe l’esportazione della flexicurity alla danese nel nostro Paese? «Nel nostro Paese l’attuazione della flexicurity danese sarebbe ostacolata, in primo luogo, da un fattore finanziario. Il nostro bilancio pubblico, infatti, è molto negativo e ciò non ci permette di importare completamente il sistema danese che invece non soffre di un alto debito dello Stato. In secondo luogo, vi sarebbero anche problematiche di carattere culturale, tenuto conto che il modello danese è caratterizzato da un sistema fiscale trasparente e rispettato. Ancora, il sindacato in Danimarca, a differenza che in Italia, è unito e partecipativo. Infine, il sistema burocratico danese è snello ed efficiente e ciò influisce non poco sul funzionamento della flexicurity».

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GABRIELE FAVA

E quali sarebbero, invece, i pro? «Se riuscissimo ad eliminare i difetti che ho evidenziato potremmo costruire un sistema del mercato del lavoro efficiente dove perdere il lavoro, anche a 50 anni, non sarebbe un dramma, ma un’occasione per rimettersi in “gioco”. Pur tuttavia, registro più “contro” che “pro”. Proprio per questo motivo è indispensabile trovare strade alternative, come quella sul modello di flexicurity da me architettato».

Gabriele Fava è avvocato giuslavorista e professore di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Roma. È giornalista ed editorialista de Il Sole 24 Ore

Nel caso fosse adottato, un sistema di flexicurity dovrebbe sempre essere accompagnato da politiche del lavoro attive, di sostegno all’occupazione e al reddito. Quale lezione trarrà il mondo del lavoro dall’attuale crisi economica globale? «La lezione consisterà nell’impostare un sistema che, anche attraverso una complessiva riforma degli ammortizzatori sociali, permetterà di affrontare e, possibilmente, anticipare gli effetti sul mondo del lavoro di future crisi come quella attuale». In questo momento di crisi si parla della necessità di estendere gli ammortizzatori sociali anche ai precari. Lei cosa ne pensa? È fattibile? «Ad oggi esistono alcuni provvedimenti normativi che già estendono ai lavoratori cosiddetti “atipici” forme di ammortizzatori sociali. Penso, per esempio, a quanto viene oggi riconosciuto ai lavoratori somministrati oppure ai lavoratori a progetto, un tempo sforniti di qualsiasi tutela dello Stato in caso di perdita del posto di lavoro. Si tratta, tuttavia, di forme transitorie che, in qualche modo, andranno riconosciute in via definitiva attraverso una più globale e articolata riforma degli ammortizzatori sociali, ormai divenuta improcrastinabile».

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RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

IL RISPETTO

DELLE REGOLE RIGORE E RAZIONALITÀ. QUESTI I PILASTRI SU CUI FONDARE L’APPLICAZIONE DEL DIRITTO. NELL’OTTICA DI UNA GIUSTIZIA PIÙ GIUSTA E, DI CONSEGUENZA, PIÙ EFFICACE. In attesa della riforma, il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà esorta: «Basta romanticismi» DI DANIELA PANOSETTI l rito formale non è un capriccio del diritto, ma è la sua stessa essenza: senza il rispetto delle procedure sarebbe impossibile dare certezza al diritto stesso, se ne inficerebbero le fondamenta. Ma la regola formale vale poco o nulla se non si applica con rigore la norma sostanziale». Equilibrio tra forma e sostanza, tra principi e procedure. È la ricerca di questo bilanciamento, di questa complementarietà che ha guidato negli anni l’esperienza professionale di Antonio Catricalà, presidente dell’Antitrust. Del resto, si sa: applicare le norme, o anche solo orientarsi al loro interno, è compito sempre arduo. Spesso controverso, talora persino scomodo. Difficoltà che però non devono scoraggiare, soprattutto quando si tratta di scuotere alla base un sistema giudiziario pericolosamente inerte. E che, avverte il giurista, se non verrà liberato da intoppi burocratici e inutili lungaggini, rischia di far perdere all’Italia l’ennesima occasione: quella di riprendere il passo della modernità. Nella consapevolezza che, specialmente in tempi di crisi, una giustizia più efficiente e una maggiore tutela dei consumatori rappresentano una spinta fondamentale al rilancio. Non solo della competitività delle imprese, ma soprattutto della fiducia dei cittadini.

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Quanto è grave, dal suo punto di vista, la situazione della giustizia in Italia? «Sufficientemente grave da incidere sul livello di competitività del nostro Paese. Secondo i dati della Banca Mondiale in Italia la durata media di un’azione di recupero credito è di 1.210 giorni a fronte dei 404 del Regno Unito e dei 394 della Germania. Il costo della procedura è pari al 30% circa della somma in causa, a fronte dell’11,8% della Germania. Si tratta di disfunzioni che incidono sul grado di attrattività degli investimenti e indeboliscono il sistema Paese. Il giudizio non migliora se si deve valutare la tutela effettiva dei consumatori: affidare al giudice civile il rispetto dei di-

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ANTONIO CATRICALÀ

ritti dei cittadini nei confronti delle aziende può, in alcuni casi, equivalere a negare i diritti stessi. In questo clima di sfiducia, dettato dai tempi interminabili del giudizio civile, attecchiscono inoltre quelle posizioni che vogliono mantenere lo status quo: penso alle difficoltà che sta incontrando la class action, uno strumento che dovrebbe consentire un salto di qualità nella tutela dei consumatori. Invece c’è chi frena, temendo che diventi un ulteriore fattore di immobilismo del sistema, con aziende portate in giudizio per anni. Il risultato è che si sta perdendo un’ulteriore occasione per rendere più moderno il nostro Paese».

Antonio Catricalà, giurista, è Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato 2005

Quale era la sua idea di giustizia all’inizio della sua carriera? «Ho sempre pensato che chi amministra la giustizia debba individuare in modo imparziale i torti e le ragioni, applicando le norme sostanziali senza tuttavia eludere le regole procedurali. Questa idea della giustizia mi ha accompagnato lungo tutto il mio percorso professionale». Questa idea si è trasformata nel corso degli anni? «Anche oggi resto convinto che una visione romantica della giustizia, che pure qua e là intravedo nel nostro Paese, possa produrre effetti negativi. Del resto ho iniziato giovanissimo, come sostituto procuratore dello Stato in Calabria, in un contesto difficile e pieno di insidie, e ho rappresentato la Repubblica Italiana, come avvocato dello Stato, nel processo alle Brigate Rosse per il caso Moro: in situazioni del genere il romanticismo avrebbe potuto essere inappropriato. Personalmente ho sempre privilegiato un’applicazione del diritto razionale, imperniata sulla rigorosa ricerca e comprensione dei fatti».

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SEPARAZIONE DELLE CARRIERE

UNA GARANZIA

CHE CHIUDE IL CERCHIO I TEMPI ORMAI SONO MATURI. PER UNA RIFORMA CHE INTRODUCA LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE GARANTENDO LA PARITÀ TRA LE PARTI NEL PROCESSO ACCUSATORIO DI MARILENA SPATARO a anni in Italia si lamenta uno squilibrio tra difesa e accusa a livello processuale. E sebbene nel tempo al riguardo si sia tentato di porre mano a una riforma, ancora non si è riusciti a darne concreta attuazione «L’ufficio del pubblico ministero, che appunto rappresenta la pubblica accusa, è, pertanto, rimasto all’interno nell’ordinamento giudiziario, il che comporta che oggi i pm sono ancora magistrati a tutti gli effetti» spiega Grazia Volo, che da quasi trent’anni veste da protagonista la toga del difensore, in processi penali passati alla storia. Secondo l’avvocatessa, infatti, è rimasta incompiuta l’attuazione di uno dei capisaldi dell’ordinamento giudiziario così come rinnovato nel 90, e che prevedeva, nella parte relativa al processo accusatorio, che l’accusa e la difesa non solo siano pari, ma anche che il loro rapporto sia un rapporto tra strutture autonome»

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Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha promesso che nell’ambito della riforma del sistema giudiziario sarà varato anche il provvedimento che introduce la separazione delle carriere dei giudici. Pensa che si riuscirà finalmente a venirne a capo? «La riforma in tal senso si annuncia abbastanza complessa, visto che in una sua parte comporterebbe la revisione di una norma. Laddove si va a trattare la separazione dell’ufficio delle procure dalla magistratura giudicante, si incide, infatti, sul criterio dell’autonomia della magistratura, che è garantito costituzionalmente. Sono fermamente convinta che il processo accusatorio debba essere celebrato all’interno di un meccanismo in cui le parti, accusa e difesa, siano parimenti equidistanti dal giudice. Questa visione comporta una netta separazione delle carriere, tra magistratura giudicante da una parte e magistratura requirente dall’altra, per cui l’ufficio della pubblica accusa deve essere completamente fuori dal meccanismo dell’ordinamento giudiziario. È chiaro che bisognerà individuare poi dove questo vada a collocarsi, se sotto un dipartimento del ministero di Giustizia o altro. L’importante, in ogni caso, è garantirne l’indipendenza». Parte della magistratura e delle forze politiche del nostro Paese paventano che introducendo la separazione delle carriere si creerebbe un legame

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GRAZIA VOLO

Grazia Volo è avvocato penalista. Da molti anni fa parte dell'olimpo italiano dei principi del foro

troppo stretto, e anche pericoloso, tra pubblico ministero e poteri di polizia. Pensa che questo rischio esista davvero? «Tutte queste dietrologie io non le vedo. Non credo che la preoccupazione degli uffici di procura del nostro Paese sia quello di finire sottomessi ai poteri di polizia. Il rischio che in realtà si paventa dietro questo argomento della intimità dei pubblici ministeri con le forze di polizia, è che questi vadano a finire in un dipartimento del ministero di Giustizia o direttamente alle dipendenze dell’Esecutivo. In sostanza la preoccupazione principale è quella della perdita dell’autonomia Secondo me la magistratura è parzialmente disposta ad accettare questo cambiamento. In realtà, a dopo venti anni di vita del processo accusatorio l’esigenza dell’equidistanza delle parti è ormai largamente condivisa e, quindi, si può affermare che la legge sulla separazione delle carriere sarebbe sicuramente combaciante alla sensibilità del mondo giudiziario e ad un’esigenza evidente della classe forense ».

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