Nordest 12 2012

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Sommario

EDITORIALI .............. 17 Carlo Sangalli Alessandro Calligaris Walter Manzon Walter Cretella Lombardo

STRATEGIE ........................ 70 Massimo Pavin Gian Domenico Cappellaro Paolo Pesce Alessandro Vardanega Luigi Brugnaro

IN COPERTINA ........ 24 Moreno Giuriato IL MODELLO NORDEST ...... 32 Andrea Tomat Alessandro Bianchi Giovanni Da Pozzo Stefan Pan Paolo Mazzalai L'OSSERVATORIO DEL TRIVENETO ................ 36 Fondazione Nord Est AUTONOMIE .................... 50 Luca Zaia Renzo Tondo STRUMENTI PER LE PMI .... 59 Giorgio Guerrini Giuseppe Tripoli Enzo Rullani Valter Taranzano

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INTERNAZIONALIZZAZIONE .. 88 Gustavo Bomben Giovanni Velo Luigi Michelin Marisa Zeni Alessandra Chiavelli INNOVAZIONE ................ 100 Renzo Ricci Renzo Roncadin Donatella Chiarotto TECNOLOGIE .................... 110 Mario Basso Dellas Francesco Sartorel Remo Cappelletti Giorgio Rospocher

MODELLI D’IMPRESA ........ 126 Anna Dukic e Michele Campostrini Emanuele Cenzato Ettore Biasio Marisa Bano Roncato Ernesto Raineri Giovanni Coletti Stefano Salmeri Claudio Morandin Francesco Santolin Andrea e Fabio Bortolamei FOCUS CREDITO .............. 157 Giuseppe Guzzetti Giuseppe Graffi Brunoro Vincenzo Consoli Massimo Tussardi LA LEVA DELL’EXPORT ...... 168 Luigi Cimolai Bruno Vianello Simone dalle Nogare e Adrian Grando

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COMMERCIO .................. 180 Antonio Maria Bardelli RINNOVABILI .................. 186 Bruno Bellò Sergio Bortolotti ENERGIA .......................... 194 Andrea Lanzingher MONITORAGGIO AMBIENTALE .................... 198 Renato Maguolo

L’INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI .................. 201 Paolo Buzzetti Luigi Schiavo EDILIZIA .......................... 206 Giancarlo Flessati Francesco Gregolin PROGETTAZIONE .............. 210 Roberto Davanzo EDILIZIA SOSTENIBILE ...... 212 Luis Durnwalder Flavio Ruffini Furio Honsell Walter Angonese

MATERIALI ...................... 222 Andrea Bordignon Faustino Canzian Claudio Mazzon INTERNI .......................... 228 Fabio Simonella Gianmaria Dorigo INFRASTRUTTURE ............ 232 Nives Furlan Luca Pierobon LOGISTICA ...................... 238 Francesco Chiarelli

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EDITORIALE ALESSANDRO CALLIGARIS PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA FRIULI VENEZIA GIULIA

Uniti per la rinascita della regione

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ralasciando alcune grandi aziende, il tessuto economico-produttivo del Friuli Venezia Giulia si compone principalmente di piccole e medie imprese. Una caratteristica di cui siamo sempre andati fieri, ma che in-

problema alla volta, all’interno di una visione a lungo

dubbiamente ci rende più vulnerabili in un termine compiuta e condivisa, superando antagonismi,

momento difficile come questo. Alle difficoltà di accesso

interessi contrastanti, inerzie e scarsa lungimiranza. Bi-

al credito, alla lentezza burocratica, alla mancanza di in- sogna decidere che cosa vogliamo fare di questa nostra frastrutture adeguate, agli investimenti che stentano a regione. Di questo nostro territorio ricco di potenzialità partire, all’immobilismo del mercato del lavoro, si ag- e di storia, di saperi e di industria. giunga la progressiva marginalizzazione subita dal ter- Ritengo che il Friuli Venezia Giulia abbia bisogno di poritorio, che svilisce le potenzialità della regione: e se tenziare le proprie dotazioni logistiche, di completare pure è vero che la politica nazionale e la crisi globale non

cioè le arterie di collegamento interne e quelle di rac-

ci favoriscono, dobbiamo ammettere che la responsabi- cordo con gli altri paesi, di garantire una portualità effilità non è da ricercare solo al di fuori, ma anche all’in-

ciente, di velocizzare i collegamenti ferroviari, di

terno del nostro sistema regionale.

rendere competitivi i trasporti. Segue a ruota il bisogno

I risultati dell’ultima indagine congiunturale di Confin-

di garantire il fabbisogno energetico delle famiglie e

dustria regionale restano negativi. Ciò determina un ge-

delle aziende energivore, penalizzate anche dall’au-

nerale pessimismo nelle previsioni, soprattutto per mento vertiginoso dei costi. Per fare ciò è necessario che occupazione e domanda estera, vera locomotiva trai- tutti gli interessati abbiano ben chiaro qual è lo scopo: la nante della nostra economia. Del resto, il Nord Est si ri- rinascita dell’economia di una regione, finalmente devela quasi sempre un precursore della situazione

cisa a riappropriarsi della propria centralità strategica.

economica italiana. Il Friuli Venezia Giulia, in partico- Non possiamo pretendere di risolvere problemi nuovi con lare, è stato tra i primi a rialzare la testa dopo il colpo in- un sistema paese logoro e inceppato. È necessario, da flitto dalla crisi nel 2008 e tra i primi a sperare nella parte della politica, unire l’analisi del fabbisogno pubripresa. Una speranza che purtroppo, negli ultimi blico a una definizione precisa delle soluzioni. Innovatempi, si è affievolita, imponendo alle imprese di usare zione e tradizione unite per dare vita a qualcosa di prudenza in quella che ormai è una navigazione a vista nuovo. Economia della cultura, smart cities, green ecodominata dall’incertezza. Come uscire da questa im- nomy, turismo, artigianato, industria. Un dialogo passe? Dal mio punto di vista, è necessario risolvere un aperto con il mercato avviato su questi presupposti stimolerebbe la nascita di servizi innovativi, riducendo le barriere all’introduzione di novità, aprendo nuovi mercati, creando incentivi spontanei alla collaborazione, favorendo in ultima analisi la partecipazione di ogni singolo tassello di questo complicato mosaico regionale al processo di ripresa. \\\\\

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EDITORIALE WALTER MANZON COMANDANTE DELLA GUARDIA DI FINANZA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA

Lotta all’evasione e tutela del made in Italy

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a lotta all’evasione, in linea con le direttive del governo, ha visto un forte impegno operativo della Guardia di Finanza. L’attività delle Fiamme Gialle del Friuli Venezia Giulia ha consentito - nei primi otto mesi dell’anno - nel comparto delle verifiche fiscali, di pro-

porre per il recupero a tassazione oltre 330 milioni di euro

12%

Irregolarità La media regionale registrata ad agosto 2012 relativa alla mancata emissione di scontrini e ricevute fiscali

di base imponibile ai fini dell’imposizione sul reddito e di oltre 60 milioni di euro ai fini Iva. Il tutto a seguito dell’esecuzione di circa 700 verifiche fiscali. Sono stati individuati 168 evasori totali, ovvero soggetti totalmente sconosciuti al fisco, nonché 17 “paratotali”. Nel comparto dei controlli strumentali, sono stati eseguiti 17.953 controlli in materia di scontrini e ricevute fiscali che hanno portato alla constatazione di 1.467 violazioni, prevalentemente riconducibili alla mancata emissione del

710.000

Prodotti Gli oggetti contraffatti o irregolari sequestrati dalla Gdf, che ha denunciato 49 soggetti prevalentemente di origine straniera

documento contabile, con una percentuale media di irregolarità, in ambito regionale, pari al 12 per cento. Nel settore del sommerso sono stati individuati 247 lavoratori irregolari e 212 lavoratori completamente “in nero”. Significativo è stato, altresì, l’impegno rivolto alla tutela dei prodotti made in Italy e dei consumatori, con il sequestro di oltre 710mila oggetti contraffatti o irregolari e con la denuncia di 49 responsabili, prevalentemente di origine

247

Lavoratori Il numero dei soggetti irregolari individuati nei primi otto mesi di quest’anno; 212 quelli che lavoravano completamente in nero

straniera. Particolare attenzione è stata posta nella ricostruzione della cosiddetta “filiera del falso”, sempre di più gestita da organizzazioni transnazionali, spesso anche di matrice criminale. Da evidenziare, a tal proposito, come anche la rete web venga sempre più utilizzata per la commercializzazione on line di prodotti contraffatti o insicuri, nonché per l’abusiva distribuzione su piattaforme telematiche spesso create ad hoc di supporti multimediali protetti dal diritto d’autore, ovvero di beni, come i medicinali, la cui commercializzazione è strettamente disciplinata e monitorata. \\\\\

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EDITORIALE WALTER CRETELLA LOMBARDO COMANDANTE DELLA GUARDIA DI FINANZA DEL VENETO

Il valore della legalità

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ombattere l’evasione fiscale è l’obiettivo prioritario della missione di polizia economica e finanziaria della Guardia di Finanza. Il fenomeno danneggia non solo il bilancio pubblico ma anche quelle imprese che, rispettando con correttezza le regole, subi-

scono la concorrenza sleale di chi sovverte l’etica di mercato. Per questa ragione, l’azione della Guardia di Fi-

1,8 mld

Euro La base imponibile sottratta a tassazione scoperta durante i primi 10 mesi del 2012 in materia di evasione fiscale internazionale

nanza mira, secondo l’indirizzo dato dal governo, a prevenire e reprimere l’elusione e l’evasione fiscale mediante attività ispettive che puntino a concentrare l’attività sui fenomeni più gravi e pericolosi, come l’economia sommersa, i reati tributari, le frodi fiscali e l’evasione internazionale. Fenomeni che, per caratteristiche e insidiosità, richiedono una più spiccata azione d’intelligence, analisi di rischio e tecniche d’intervento più penetranti e incisive, tipiche di

577

Evasori Il numero di soggetti che fino a ottobre 2012 ha evaso totalmente le tasse e ha occultato redditi per oltre 2,6 miliardi di euro

una forza di polizia a competenza generale quale la Guardia di Finanza. In tale contesto uno spazio prioritario viene riservato al contrasto dell’evasione internazionale, mediante il controllo di quei soggetti che trasferiscono occultamente capitali all’estero, delle persone fisiche e delle società che fissano “fittiziamente” la residenza o la propria sede in Paesi a fiscalità privilegiata o che intrattengono rapporti milioni di euro, individuando, tra l’altro, 577 evasori totali commerciali con società controllate o collegate con soggetti

ovvero soggetti completamente sconosciuti al fisco che ave-

localizzati in centri off-shore. Per perseguire questi obiet- vano occultato redditi per oltre 2,6 miliardi di euro. È giutivi, la strategia del Corpo si fonda su due direttrici princi- sto ricordare però che la lotta all’evasione, in un Paese pali, entrambe destinate ad aggredire i patrimoni importante e sviluppato come l’Italia, può e deve essere indebitamente accumulati e a recuperare i tributi evasi: condotta anche a livello preventivo, diffondendo la cultura qualità degli interventi e approccio trasversale, sulla base della legalità insieme a quella economica. In quest’ottica, di un dispositivo di contrasto basato su modelli di inter- è stato di recente varato dal comando generale del Corpo, vento operativo resi più flessibili ed elastici.

in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Uni-

Nel corso dei primi 10 mesi del 2012, in materia di evasione versità e della Ricerca, il progetto “Educazione alla legalità fiscale internazionale, la Guardia di Finanza del Veneto ha economica”, finalizzato a promuovere e coinvolgere, nelscoperto una base imponibile sottratta a tassazione per

l’ambito dell’insegnamento “Cittadinanza e Costituzione”,

oltre 1,8 miliardi di euro. Nel medesimo periodo, ha con- un programma di attività a favore degli studenti della statato violazioni alle imposte dirette per una base impo- scuola primaria e secondaria dove creare e fortificare le ranibile di oltre 3,6 miliardi di euro e all’Iva per oltre 262 dici dell’etica istituzionale. \\\\\ NORD EST SVILUPPO

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COPERTINA I MORENO GIURIATO

DAL VENETO UN NUOVO CORSO PER IL MADE IN ITALY Una strategia tanto prudente quanto incredibilmente precisa. È ciò che ha permesso alla Italservices di crescere. Tessendo una rete commerciale che va dal Medio Oriente agli Stati Uniti. Moreno Giuriato apre le porte di un’impresa forgiata nella cultura del fare tipica del Nord Est - Andrea Moscariello

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↑ Moreno Giuriato, presidente del Gruppo Italservices, all’interno della sede di San Pietro in Gù (PD)

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COPERTINA I MORENO GIURIATO

iccoli passi, cauti ma sicuri, o strategie commerciali aggressive e investimenti esponenziali? Il mondo del made in Italy affronta le criticità dei mercati partendo da questo bivio. Due visioni diametralmente opposte del fare impresa, entrambe fautrici di successi, ma anche di colossali tonfi. Una riflessione di carattere manageriale che coinvolge da vicino i distretti produttivi del Nord Est, in particolare del Veneto. Riflessione da esercitare con la consapevolezza che ora, persino il minimo errore, può decretare la fine di un’attività. Andando ad analizzare i casi di maggior successo presenti sul territorio, emerge sin da subito come, al momento, sia stata la prima metodica, quella più prudente, ad aver premiato le aziende. Lo conferma il caso del Gruppo Italservices, con sede a San Pietro in Gù (PD), produttore e distributore di una decina di brand legati al casual e al jeanswear, su tutti Met e Cycle. Realtà che ha saputo rinvigorire il distretto del denim dislocato tra il padovano e il vicentino. Una crescita, quella di Italservices, che nel 2011, anche a seguito di importanti acquisizioni, ha toccato

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↑ Moreno Giuriato e gli stilisti di Cycle, Elena Boaretto e Andrea Bertin

→ Eugenio Schiena, brand designer di tutti i marchi del Gruppo, in un momento di lavoro

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quota + 35 per cento e che anche per il 2012 prevede di innalzarsi di ulteriori 5 punti percentuali. Risultati che premiano le scelte del presidente, Moreno Giuriato, che abbiamo incontrato alla vigilia dell’inaugurazione dello store che il Gruppo ha appena ristrutturato a Miami. Piccoli passi, ma sostanziali. È questa la strategia per fronteggiare la crisi? «Non si può fare di tutta l’erba un fascio. Sul mercato ogni impresa ha una sua identità, un suo modus operandi. Nel nostro caso, e lo dimostrano i dati raccolti negli ultimi cinque anni, è stata la formula vincente. Ognuno dei nostri singoli brand è cresciuto, trainato in particolare dal successo di Met. Di conseguenza si è consolidato il bilancio del Gruppo. La crescita, nel nostro caso, non avviene attraverso aggressività commerciali o sbalzi di fatturato, né attraverso l’apertura improvvisa di decine di negozi monomarca. Le aziende che controlliamo si rivolgono a DICEMBRE 2012


MET SEMPRE PIÙ INTERNAZIONALE IL BRAND CRESCE PUNTANDO A UNA NUOVA LINEA E STRIZZANDO L’OCCHIO AL MERCATO FRANCESE specifiche nicchie, a determinati target, un insieme di frazioni che, unite, ci consentono di ottenere grandi numeri». Dunque frazionamento e diversificazione? «E grande attenzione al prodotto. Non ci si può permettere di abbassare lo standard. Non rientriamo nel segmento luxury ma ci rivolgiamo comunque a una fascia alta del mercato. Ognuno dei nostri acquirenti deve essere conquistato, fidelizzato e guidato su determinati target. Una politica che si riflette anche nelle nostre strategie di marketing e pubblicitarie». A proposito di pubblicità, il Gruppo ha incrementato notevolmente gli investimenti. «Sì, ma solamente a seguito di un rafforzamento finanziario. Non credo nell’esporsi eccessivamente, nell’azzardare. Il famoso “passo più lungo della gamba” è un errore che oggi il mercato non perdona. Ci siamo consolidati, abbiamo aumentato le nostre possibilità di investimento, ultimamente abbiamo aumentato il capitale di 5,5 milioni, e di conseguenza abbiamo ampliato le campagne pubblicitarie. In particolare, con Met siamo divenuti main sponsor di X Factor. La scelta non è casuale, in quanto Sky rappresenta un network che non raggiunge i grandi numeri delle reti generaliste, ma il suo pubblico è composto prevalentemente dai nostri target di riferimento. Il rapporto tra marketing e produzione rappresenta una delle voci più sensibili per un’azienda di moda. Nulla deve essere lasciato al caso». NORD EST SVILUPPO

et si conferma il brand “internazionale” per la

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crescita del Gruppo Italservices. Con l’ultima collezione Primavera Estate è significativa la

crescita del +25 per cento fuori dal territorio domestico. Dato che riflette e sostiene la strategia di espansione all’estero intrapresa dalla società, che prevede nuovi progetti e accordi distributivi. Met ha recentemente inaugurato il nuovo showroom direzionale a Parigi, in Rue de Rivoli. Lo showroom è diretta espressione del grande interesse riservato al brand da parte del mercato francese – cresciuto del 10 per cento rispetto allo scorso anno – oltre che un’importante vetrina per i clienti asiatici che si recano a Parigi alla ricerca di nuove tendenze. Un prossimo, importante step sarà lo sviluppo del mercato tedesco, anche in questo caso tramite l’apertura di showroom direzionali. Sul fronte distribuzione Bric, sono state avviate nuove collaborazioni con partner strategici in Brasile, Russia, India e Cina. Per quanto riguarda la strategia distributiva, Met ha avviato una proposta di prodotto ispirata all’estate e al mare, che ha come obiettivo di rafforzare l’offerta nel periodo maggio/luglio, in cui tipicamente i clienti hanno una maggiore voglia di novità. www.italservicesspa.it

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COPERTINA I MORENO GIURIATO

OCCORRONO PRODOTTI ACCATTIVANTI PER CONQUISTARE NUOVI MERCATI E PARTNERSHIP Nemmeno ora che avete maggiori potenzialità di investimento cambierà filosofia? «Chiaramente possiamo aprirci a progetti di espansione più ampi, ma resto della mia idea. Sono le piccole cose che danno continuità e solidità a un’azienda. Seguire un progetto per volta, sicuri e con una mission precisa. Questa regola è valsa anche per la nostra espansione internazionale. Abbiamo conquistato un paese per volta. Non ci siamo mai esposti su larga scala. Una scelta intelligente, se consideriamo che oggi la società è presente in tutti i principali mercati europei, nel middle East, in Russia, in Giappone e in America». Colpisce il fatto che state stringendo nuovi rapporti commerciali con la Spagna. Non è forse un rischio investire in un Paese così colpito dalla crisi? «Assolutamente no, la Spagna è uno dei Paesi in cui stiamo lavorando di più ancora oggi. Anche in questo Paese esistono delle nicchie di mercato che vanno nella

↑ Lo store appena rinnovato dal Gruppo a Miami

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nostra direzione come potere d’acquisto. Non si può generalizzare. A crescere, per noi, sono anche Belgio e Olanda. E lo stesso discorso vale per Francia, Germania e Stati Uniti, dove abbiamo appena rinnovato lo store di Miami. Semmai, è in Italia che dobbiamo rivedere la nostra strategia e sensibilizzare le istituzioni a intervenire nelle problematiche strutturali del lavoro». Più problemi che in Spagna? «Sì. Nel nostro paese il lavoro è schiacciato da una pressione fiscale che ci impedisce di essere competitivi e, comunque, anche la migliore delle produzioni non può crescere senza internazionalizzare o, in alcuni casi, delocalizzare». Altre aziende del suo settore, però, hanno fatto marcia indietro dopo aver delocalizzato. «Questo perché all’estero riconoscono ed esigono la qualità di un’autentica produzione made in Italy. Se proponiamo un livello inferiore a quello richiesto dagli acquirenti stranieri siamo fuori dai giochi. È sulla qualità e sulla creatività della moda italiana, non sulla quantità che ci giochiamo la nostra stabilità. E ricordiamoci che non siamo “naturalmente” gli unici in grado di investire in tecnologia e manodopera nel mondo; anche oltre oceano sanno essere bravi quanto DICEMBRE 2012


134 Milioni Il fatturato, in euro, ottenuto da Italservices nel 2011. Il gruppo controlla 10 brand e si compone di tre unità operative.

noi nel coniugare moda e industria. Bisogna stare al passo con i tempi, essere rapidi nell’evolvere i prodotti e nel rendersi accattivanti per conquistare nuovi mercati e cercare strategie di partnership nel presidiarli. Per questo abbiamo rapporti diretti con i venditori di quasi tutti i paesi stranieri, soltanto in rari casi utilizziamo come tramite i distributori». Anche negli Stati Uniti? «Certamente. Negli Usa, con Met, stiamo ottenendo risultati significativi. Ma non seguendo una logica mainstream. Infatti, il nostro prodotto accattivante è particolarmente idoneo per l’acquirente della costa californiana e di quella della Florida. In particolare Miami, oggi, è un luogo in cui transitano consumatori provenienti da tutto il mondo. I target si identificano non solo per potere d’acquisto e stili di vita ma anche per luoghi di ritrovo. Ecco che l’appartenenza geografica conta sempre di meno. La stessa persona che acquista un capo a Miami molto probabilmente qualche mese dopo potrà farlo a Milano, Londra o Parigi. È quello il segmento che intendiamo conquistare». Lei ha sempre sostenuto il suo territorio. «Perché questa regione è una delle più grandi risorse del Sistema Paese. Prendendo ad esempio il nostro settore, NORD EST SVILUPPO

basta guardarsi intorno per vedere come anche nella più piccola delle località si trovino imprese coinvolte nell’indotto dell’abbigliamento, dalla fornitura di accessori alle confezioni, lavanderie, stirerie, ecc. In particolare il segmento denim, in Italia, si è sviluppato prevalentemente nel quadrilatero tra Vicenza, Treviso, Padova e Venezia. Qui le esperienze imprenditoriali, logistiche e il sapere del personale che le compongono vanno tutelate». Siamo alla vigilia delle elezioni. Crede che il nuovo Governo, a prescindere dallo schieramento, potrà dare stabilità al sistema produttivo italiano? «Mi auguro che l’incertezza della politica italiana, che finora ha creato moltissime difficoltà alle imprese, riesca a trovare il giusto equilibrio condividendo politiche industriali serie e a lungo termine, trovando indispensabili e validi strumenti di supporto per le aziende che affrontano la sfida della globalizzazione. Speriamo che il corso cambi, ridando fiducia al nostro Paese». DICEMBRE 2012

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IL MODELLO NORD EST ANDREA TOMAT

LA STRADA OBBLIGATA DELL’EXPORT

Apertura ai mercati internazionali, innovazione, aggregazione, revisione dell’assetto di governance in senso federalista. Il presidente degli industriali veneti Andrea Tomat identifica gli asset per il rilancio del Veneto e del Nord Est - Francesca Druidi

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NORD EST CROCEVIA DI SVILUPPO IL PRESIDENTE DI UNIONCAMERE VENETO, ALESSANDRO BIANCHI, ANALIZZA L’ANDAMENTO DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE E DELINEA UNO SCENARIO ECONOMICO ANCORA INCERTO

edizione 2012 del rapporto “L’Italia delle imprese”, realizzato dalla Fondazione Nord Est, offre uno spaccato del sistema produttivo italiano che appare ancora fortemente provato dalla crisi, ma nel quale si intravedono alcuni elementi di positività. Le prospettive dell’economia veneta sono esaminate dal presidente degli industriali della regione Andrea Tomat. L’export resta l’unica ancora di salvezza? «Il 2012 è stato sicuramente l’anno più difficile dall’inizio della crisi. La ricerca ha evidenziato le grandi difficoltà che stanno attraversando gli imprenditori veneti, ma ha anche messo in luce il notevole sforzo che molte aziende stanno compiendo, dimostrando elasticità, velocità e capacità di reazione di fronte a un’economia in continua evoluzione. Sono diverse le imprese che stanno individuando strategie di successo per far fronte alla situazione, riuscendo da sole o “in gruppo” a uscire dalla crisi attraverso processi di innovazione di prodotto e di processo, l’apertura verso i mercati esteri e con forme di aggregazione come consorzi, joint venture, network informali e contratti di rete. L’export rimane sicuramente la leva principale per lo sviluppo e la crescita delle aziende. È una fase molto difficile in cui convivono preoccupazione e ottimismo. Per il 2013 i segnali non sono incoraggianti ed è molto difficile fare previsioni. La proiezione sui mercati esteri rimane sicuramente la strada obbligata per mantenere competitività e rispondere a una domanda interna debole, che non riesce a ripartire. Dobbiamo prepararci a resistere a oltranza, impegnandoci a non demordere per difendere quanto siamo

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l Nord Est si è pressoché sempre rivelato un precursore della situazione economica italiana, nonché un laboratorio per le strategie aziendali più virtuose e innovative. Oggi il territorio continua a risentire degli effetti della crisi: il mercato interno soffre, mentre più rosea è la situazione per quanto riguarda gli ordinativi dall’estero delle imprese di medie dimensioni. Tornano a prendere forma e ad affacciarsi sul dibattito politico istanze legate a temi quali federalismo, autonomia, opposizione al centralismo. L’esigenza di superare l’assetto istituzionale odierno, visto come una direttrice per il recupero di competitività del Veneto, e in generale del Nord Est, è commentata dal presidente di Unioncamere Veneto, Alessandro Bianchi (nella foto). Come commenta l’andamento del sistema produttivo veneto? «Nel terzo trimestre dell’anno abbiamo assistito a una nuova flessione dei livelli produttivi, -4,9 per cento su base annua, ma la variazione congiunturale (-1,1 per cento il dato destagionalizzato) rappresenta un segnale di decelerazione della contrazione. In una situazione ancora difficile per il settore manifatturiero, è importante saper cogliere alcuni sintomi che potrebbero portare a un’inversione di tendenza nei prossimi mesi, come le previsioni degli stessi imprenditori, che lasciano intravedere una fioca luce in fondo al tunnel. Dopo una lunga serie di saldi decrescenti, infatti, le aspettative degli imprenditori presentano un lieve miglioramento sia per la produzione che per la domanda, soprattutto quella estera, seppur ancora in terreno negativo, mentre mantengono un trend decrescente per l’occupazione». Il Veneto vuole tornare a essere la locomo- ▶

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IL MODELLO NORD EST ANDREA TOMAT

▶ tiva del Nord Est e del Paese. Quali sono le prospettive di crescita e di sviluppo nei prossimi mesi? «Per concretizzare questi pallidi segnali di recupero è necessaria la ripresa della congiuntura internazionale. Purtroppo le previsioni rischiano una nuova revisione verso il basso a causa della crisi dell’euro, delle elezioni americane e delle prospettive di crescita dei paesi emergenti. È il caso dell’economia italiana che, stando alle previsioni diffuse di recente dall’Istat, dovrebbe accusare una flessione del 2,3 per cento nel 2012 e dello 0,5 nel 2013, con ricadute negative anche per il Veneto: il Pil regionale, infatti, subirà una contrazione del 2,1 per cento nel 2012 e resterà piatto nel 2013». Sarebbe favorevole alla creazione di un’eventuale macro regione del Nord Est, con il Friuli Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano? E quali scenari si aprirebbero? «Con un bacino di 7,2 milioni di abitanti la macroregione del Nord Est potrebbe essere la dimensione necessaria per fare massa critica, oltre a rappresentare un’importante opportunità di crescita e motore di sviluppo a servizio dell’intero Paese. Con il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige ci sono molti aspetti di omogeneità. Dobbiamo capire che il futuro dell’Italia dipende strettamente dalle condizioni di sviluppo del Nord Est del Paese: non farlo sarebbe un errore, che non ci possiamo permettere in questo momento di crisi». Secondo il governatore Zaia, autonomia e federalismo rappresentano gli antidoti al centralismo. Lei cosa ne pensa? Sono leve irrinunciabili per il sistema produttivo ed economico regionale? «Il federalismo è essenziale per noi perché premia le regioni che risparmiano denaro pubblico e che sono virtuose; perché permette alle imprese delle aree produttive di avere sviluppo e di non chiudere; perché permette una forte crescita del Pil nelle regioni produttive, che può andare a beneficio di quelle più povere. I dati del debito pubblico e del calo del Pil lo dimostrano. Pertanto chiediamo la veloce attuazione dei costi standard di cui al federalismo fiscale oggi al palo, l’attuazione urgente della riforma titolo V con riferimento agli articoli 116 sul federalismo differenziato e 118, che concerne il federalismo amministrativo». - FD

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stati capaci di costruire in tutti questi anni». Da quali settori e leve il Veneto può ripartire? «Ci troviamo in mezzo a una trasformazione epocale. Le imprese dovranno mettere al centro il capitale umano, per far fronte a un mondo nuovo, che la crisi ha cambiato per sempre. Per il rilancio della nostra economia, occorrerà anche puntare su nuove strategie di mercato, creando opportunità di investimento soprattutto nei paesi dell’Europa allargata e dei nuovi mercati emergenti. Si stanno ridisegnando le mappe della competizione e l’Italia, e l’Ue, dovranno ricollocarsi all’interno dei nuovi equilibri. Di pari passo, le aziende dovranno adattare le proprie strategie per mitigare l’aggressività competitiva dei nuovi territori e massimizzare le specificità nei nuovi mercati che si verranno a creare. La principale vocazione economica della nostra regione continuerà a essere quella manifatturiera, orientata soprattutto ai mercati internazionali. Innovazione, dimensione d’impresa, internazionalizzazione, filiere, ruolo del web e delle nuove tecnologie: sono queste le leve comDICEMBRE 2012


↑ Andrea Tomat, presidente della Fondazione Nord Est

petitive su cui gli imprenditori devono puntare». Quali sarebbero le principali opportunità di un’eventuale macroregione del Nord Est? «Il Nord Est è già oggi una macroregione, fortemente interconnessa, al di là dei confini geografici delle singole aree. Non si tratta, quindi, di disegnare nuove strutture, ma di far dialogare più intensamente quelle esistenti, individuando le piattaforme di interesse prioritario. I sistemi infrastrutturali e logistici, quelli finanziari, la formazione universitaria e i centri di ricerca, il mercato del lavoro, vanno visti secondo un’ottica integrata e vanno gestiti sempre più con l’obiettivo della composizione degli interessi comuni. Quest’area è centrale e strategica per lo sviluppo della nuova Europa; si tratta di una cerniera tra est e ovest, tra nord e sud rilevante per volumi di Pil e per la specificità della propria cultura industriale: la grande concentrazione di piccole medie aziende e lo spirito di impresa, una diffusa vocazione manifatturiera». Autonomia e riordino delle province restano temi caldi. Quale assetto per il futuro? NORD EST SVILUPPO

«Dopo trent’anni che se ne parla, finalmente stiamo avviando una riforma di amministrazione degli enti locali, cogliendo la sollecitazione europea per un’amministrazione moderna, evoluta, poco costosa e molto più efficiente. L’attuale sistema non è sicuramente funzionale alle esigenze di cittadini e imprese: è inutilmente costoso e pletorico e disperde risorse. Se vogliamo elevare ulteriormente la qualità dei servizi, migliorare l’efficienza nella loro erogazione, assicurare una rapida e agile rappresentanza, serve una ristrutturazione intelligente, in chiave federalista, con un rapporto diretto tra cittadini e governance locale, che consenta un maggiore controllo e una gestione delle risorse ancora più efficiente. L’Europa del futuro sarà sempre più l’Europa delle regioni, meglio, delle macroregioni, che superano i confini amministrativi, ottimizzando servizi e opportunità, sottraendo molte risposte e decisioni ai lunghissimi iter di approvazione a livello centrale, ai veti incrociati e alle sovrapposizioni di competenze. La crisi economica porterà profondi mutamenti nei mercati e negli scambi, accentuando la competizione tra sistemi territoriali». In questo scenario come si colloca il Nord Est? «Auspichiamo la creazione di un polo che coinvolga tutto il Nord Est, una grande macroregione che si presenti con il nome di Venezia, una città con un forte appeal a livello internazionale. In questo senso, il processo di riordino delle Province proposto in Veneto è un grande pasticcio che il governo ci poteva risparmiare. Seguendolo, perderemo tempo e sprecheremo inutilmente risorse. Ci vuole più coraggio. Bisogna abolire le Province, commissariarle per due o tre anni per portarle alla chiusura, trasferendo le competenze a Regione e Comuni e accompagnando il processo con la creazione di Comuni di maggiori dimensioni per diminuirne il numero a un terzo di quelli attuali. Diversamente, tanto vale tenere l’attuale assetto». \\\\\ DICEMBRE 2012

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UN’AZIONE ORGANICA PER LA CRESCITA Occorre assumere uno sguardo d’insieme per rafforzare l’attività estera delle imprese, rafforzarne l’aggregazione e valorizzare la progettualità, soprattutto dei giovani. Lo sostiene il presidente di Unioncamere Fvg Giovanni Da Pozzo

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IL MODELLO NORD EST GIOVANNI DA POZZO

l Friuli non è più un’isola felice». Sintetizza così il presidente Giovanni Da Pozzo i risultati dell’indagine congiunturale sull’economia della regione, presentata a fine novembre e basata sulle risposte di un campione di 1.500 imprese dei settori manifatturiero, commercio al dettaglio, turismo, costruzioni e vitivinicolo. Per quanto riguarda il manifatturiero, dai dati del consuntivo sul 3° trimestre emerge che il calo tendenziale della produzione, rispetto allo stesso periodo del 2011, si attesta al -1 per cento; calano anche gli addetti: -1,3 per cento tendenziale. Non va meglio per il commercio al dettaglio: -4,9% le vendite, -1,3 per cento gli addetti, mentre il 52 per cento delle imprese si attende una riduzione del fatturato. Quello delle costruzioni è il settore che paga lo scotto maggiore: -5,6 per cento la produzione, -9,1% il fatturato, -8,3 per cento gli occupati, con un 41 per cento degli imprenditori che prevede una riduzione del fatturato. Meno problematica la situazione delle imprese del settore vitivinicolo -0,4% la produzione, -0,31 il fatturato delle aziende che non esportano, compensato però da un balzo in avanti di quelle esportatrici (+10,7%), mentre risulta stabile la situazione occupazionale. Detto ciò, resta centrale e trasversale, per Da pozzo, il problema del credito: «Di fronte a un aumento di richiesta di credito da parte delle pmi del 9%, soprattutto sul breve termine per necessità di cassa o piccoli investimenti – ha ribadito – l’erogazione è invece diminuita del 3%. È necessario un intervento di tutte le istituzioni, perché il credito è fondamentale per la sopravvivenza delle imprese, soprattutto le più piccole». Su quali settori, dunque, il Friuli Venezia Giulia deve puntare? «Insisto sull’internazionalizzazione, attività per cui le imprese hanno un importante e prioritario punto di riferimento nel sistema camerale. Stiamo cercando, come Unioncamere regionale, di promuovere sempre più il nostro tessuto produttivo nel complesso, ponendoci in questa veste unitaria e non parcellizzata quando accompagniamo le nostre pmi sui nuovi mercati, specie in quelli più difficili da conquistare ma più promettenti se affrontati in forma organica e di sistema. E qui si innesta il discorso delle reti: le nostre microimprese hanno bisogno di fare massa critica e la rete può essere una soluzione in grado di aumentare la competitività, senza ledere le singole autonomie. Certo restano da superare le difficoltà endemiche del sistema Paese: burocrazia eccessiva, costi smisurati di energia e lavoro, infrastrutture anche comunicative e tecnologiche non adeguate a questi tempi e a questi mercati».

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↙ Giovanni Da Pozzo, presidente di Unioncamere e della Camera di Commercio di Udine

Con quali strumenti specifici sosterrete le aziende nei percorsi di internazionalizzazione, aggregazione e innovazione? «Con varie iniziative: bandi per le imprese giovani, per gli incubatori d’impresa, per le reti rivolte all’estero; voucher per l’internazionalizzazione e bandi per abbattere i costi di registrazione di marchi e modelli che preservano il know how aziendale. Promuoviamo poi la formazione, le consulenze, i workshop sull’internazionalizzazione, oltre che gli incontri business-to-business e le missioni». Infrastrutture, energia, politica industriale e lavoro sono i temi cardine sui quali si gioca la partita della ripresa. «Bisogna che le istituzioni regionali sostengano l’impresa, permettendole di investire in loco, soprattutto nella parte di alta progettazione, quella che garantisce il valore aggiunto al prodotto o al servizio nell’attuale fase di profonde riconversioni e trasformazioni del concetto di produzione, tra locale e globale. Le priorità per il nostro sistema sono, purtroppo, le solite, quelle lasciate irrisolte ma che ormai non si possono più derogare. Una burocrazia stantia da scardinare e rinnovare, un sistema di infrastrutture energetiche, viarie, portuali, aeroportuali e ferroviarie che devono diventare funzionali a cittadini, imprese e merci, integrate e agevoli. La nostra regione ha, in particolare, un sistema portuale da potenziare e armonizzare, in grado di portare notevoli benefici all’intera economia del Friuli Venezia Giulia, se accordato a una logistica capace davvero di valorizzare la favorevolissima posizione geografica del nostro territorio». Sul versante specifico del fare impresa?

«Servono più incentivi e formazione alla crescita dimensionale delle imprese, nell’ottica di una maggiore competitività. E ciò non significa solo grandi aziende, significa anche trovare le forme corrette e proficue di rete per sviluppare la capacità di stare sul mercato. Occorre, quindi, puntare sui giovani, dal lavoro all’impresa, con iniziative concrete a loro vantaggio, sostenute dallo stanziamento di risorse adeguate. La nostra Camera di Commercio, per esempio, ha messo in campo oltre 2 milioni di euro, derivanti da un risparmio ottenuto da una buona gestione del 2011, per bandi e attività a sostegno diretto dei giovani aspiranti e neoimprenditori, dai 18 a 30 anni». \\\\\ FD DICEMBRE 2012

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IL MODELLO NORD EST STEFAN PAN

QUALIFICARE LA SPESA PUBBLICA «Dobbiamo essere capaci di spendere meno e meglio», spiega Stefan Pan, che guarda con preoccupazione alla riduzione degli investimenti strategici in Alto Adige causata anche all’aumento esponenziale dei capitoli di spesa dell’apparato pubblico

a struttura del bilancio della provincia dell’Alto Adige è radicalmente cambiata negli ultimi anni, ritornando ai livelli del 2003, con un crollo nella spesa per gli investimenti che è passato dal 45 al 24 per cento e un aumento invece di quella corrente dal 55 al 76 per cento delle risorse disponibili. In questo quadro economico, Stefan Pan, a capo di Assoimprenditori, punta il dito su tre grandi voci di spesa che rappresentano ormai metà dell’intero bilancio provinciale: amministrazione, sanità e formazione. «La Provincia assomiglia sempre di più a un’azienda che paga solo gli stipendi ai propri lavoratori, le spese per l’affitto e la bolletta energetica, ma a cui non restano abbastanza fondi per praticare investimenti strategici destinati a competitività e crescita». Dove intervenire per snellire l’amministrazione e non limitare le straordinarie opportunità di sviluppo del territorio, nel punto di Stefan Pan.

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UN’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA EFFICIENTE È UNO DEI PRESUPPOSTI PER GARANTIRE IL BUON FUNZIONAMENTO DELL’ECONOMIA Quali fattori hanno causato il crollo degli investimenti e qual è la responsabilità delle società pubbliche in tal senso? «Lo squilibrio che è venuto a crearsi nell’ultimo decennio tra spese correnti e investimenti è sostanzialmente da ricondurre all’aumento esponenziale delle spese per il funzionamento dell’apparato pubblico. Per la sola sanità, che è il capitolo di spesa più importante del bilancio provinciale, sono stati stanziati 1,2 miliardi di euro, ovvero gli stessi mezzi disponibili per gli investimenti. Sono cresciute molto anche la spesa per l’amministrazione generale e quella dei finanziamenti ai Comuni che, di fatto, coprono in larghissima parte le spese amministrative dei vari municipi. Il proliferare di società pubbliche ha sicuramente contribuito a questa evoluzione: in Alto Adige oggi esistono circa 230 istituzioni, enti e società con partecipazione pubblica che sono stati istituiti con leggi provinciali o regolamenti comunali. Occupano quasi 4mila dipendenti e la maggior parte di essi non opera nel settore pubblico, bensì in settori economici come l’energia, le comunicazioni o i trasporti». Le associazioni economiche hanno elaborato un do-

← Stefan Pan, presidente di Assoimprenditori

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cumento con alcune proposte per rimodellare il bilancio provinciale. Come dovrà essere qualificata la spesa pubblica nella Provincia? «La strada da percorrere è molto chiara: bisogna puntare sugli investimenti che creano valore aggiunto e occupazione, a partire dall’export e dall’innovazione, e tagliare sprechi e doppioni a tutti i livelli. In futuro avremo sempre meno mezzi a disposizione e dovremo, quindi, essere capaci di spendere meno e meglio. Lo snellimento dell’amministrazione è il primo passo. Meno burocrazia, riorganizzazione dell’amministrazione in modo da ottenere risparmi sui costi del personale, ridefinizione dei servizi sanitari e sociali davvero essenziali da offrire sul territorio puntando sui centri di competenza e mettendo al centro l’eccellenza delle prestazioni invece che quella delle strutture. Il dialogo tra politica e parti sociali sarà decisivo se vogliamo continuare a garantire gli elevati standard di qualità, di occupazione e di benessere che oggi contraddistinguono l’Alto Adige anche in futuro». A tal proposito, ritiene che nel futuro sarà necessario un riequilibrio del rapporto pubblico-privato nella gestione e nell’assegnazione degli investimenti? «Assolutamente sì. Non siamo contro l’amministrazione pubblica, al contrario, crediamo che un’amministrazione pubblica efficiente sia uno dei presupposti per garantire il buon funzionamento di tutta l’economia. Ma allo stesso modo è l’economia - attraverso il mantenimento dell’occupazione, il pagamento delle imposte, la creazione di valore DICEMBRE 2012

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IL MODELLO NORD EST STEFAN PAN

1,2 mld

Sanità Il finanziamento destinato al settore della sanità che corrisponde alle stesse risorse disponibili per gli investimenti

20,95 mld

Prestiti Il credito erogato secondo la Banca d’Italia a fine giugno in Alto Adige. Rispetto al 2011 le pmi hanno registrato un calo del 2,5%, quelle grandi del 2%

aggiunto e gli investimenti - che finanzia l’amministrazione. È importante capire che ognuno ha bisogno dell’altro mentre oggi troppo spesso pubblico e privato sono in competizione tra di loro. Non ha senso che la Provincia gestisca società che di fatto sono aziende che fanno concorrenza alle imprese locali in settori che di pubblico hanno ben poco. È giusto invece che la pubblica amministrazione stabilisca le regole del gioco senza sostituirsi al settore privato. Anche in questo aspetto, abbiamo già dato la nostra piena disponibilità ad una collaborazione sempre maggiore, a partire dagli investimenti strategici da realizzare sotto forma di partenariato pubblico-privato». Lei ha affermato che la provincia possiede opportunità straordinarie. Quali sono le leve di crescita e di competitività di cui dispone il territorio e su cui vogliono puntare le imprese? «L’Alto Adige parte da una base eccellente, come l’elevato 40

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Pil pro-capite o il basso tasso di disoccupazione, che ci pone in cima non solo alle classifiche italiane ma anche a quelle europee. Inoltre, abbiamo la fortuna di essere un territorio al centro dell’Europa, multiculturale e plurilinguistico, un vero ponte tra mondo italiano e tedesco. Poi ci sono le nostre aziende, imprese fortemente radicate sul territorio che nei loro settori sono spesso leader a livello mondiale. È da qui che bisogna partire, con il rafforzamento dell’export che deve diventare una delle priorità. Dobbiamo puntare sull’innovazione, scommettere sul futuro investendo sui giovani e garantendo quei presupposti - in particolare posti di lavoro qualificati e un sistema di formazione eccellente - che permettano anche a loro di portare avanti quel tasso di crescita e di sviluppo che ha fatto dell’Alto Adige un modello di riferimento a livello internazionale. È una sfida difficile, ma abbiamo tutti i mezzi a disposizione per vincerla». \\\\\ EF DICEMBRE 2012


IL MODELLO NORD EST PAOLO MAZZALAI

NUOVE AZIONI PER LA COMPETITIVITÀ Il Trentino ha sottoscritto una serie di strategie che fanno leva su investimenti infrastrutturali, ottimizzazione della pubblica amministrazione, politiche per la formazione, lavoro e innovazione. Ne parla Paolo Mazzalai

e realtà produttive del Nord Est, che sull’industria manifatturiera e sulle costruzioni hanno fondato i loro principali asset di sviluppo, sono oggi chiamate a valutare nuove strategie di crescita partendo proprio da un percorso di riorganizzazione del sistema territoriale. A lanciare l’allarme sono i dati emersi dal rapporto presentato dalla Fondazione Nord Est per il 2012, nel quale emerge chiaramente una flessione dei due comparti, in particolare di quello manifatturiero, che cala del doppio (-10,3%) rispetto all’andamento nazionale. Nella regione trentina, come sottolinea il presidente degli industriali Paolo Mazzalai, la caduta è stata attenuata da un insieme di misure “salvagente” concertate dalla Provincia con le categorie economiche. Tuttavia, «gli effetti della crisi si sentono anche in un territorio come il nostro che finora ha saputo reagire alla crisi meglio di altri». Le previsioni, in chiusura dell’anno, non aprono certo spiragli di miglioramento: i consumi delle famiglie diminuiranno del 3 per cento, gli investimenti delle imprese del 6,8 e quelli degli enti pubblici dell’1,3. In definitiva, la domanda interna calerà del 3,5 per

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↑ Paolo Mazzalai, presidente di Confindustria Trento

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-10,3% cento, la stessa che si era fermata allo 0% nel 2011. Quali fattori hanno provocato queste sofferenze sul territorio? «Nel manifatturiero sono in difficoltà le aziende legate al mercato domestico inteso in senso ampio, perché ormai è da considerare tale l’intero mercato dell’Unione europea. Solo chi negli ultimi anni ha cercato sbocchi nei paesi extraeuropei riesce a tenere testa al calo della domanda interna. Quello delle costruzioni è un caso a parte. È un settore che si è sviluppato soprattutto in anni di abbondanza di appalti pubblici. Oggi non è più così, perché le opere in programma sono state realizzate e i bilanci pubblici hanno subito forti contrazioni nell’ultimo quinquennio, e ci si trova con un comparto sovradimensionato rispetto alla domanda locale». Su quali premesse dovrà fondarsi un percorso di riordino del sistema produttivo del Nord Est? «Chi vorrà cogliere l’opportunità di ristrutturarsi per superare questa crisi dovrà pensare soprattutto alle aggregazioni e alla patrimonializzazione. Non sto dicendo che tutti devono diventare grandi come dimensioni, ma sicuramente il mito del “piccolo è bello” ormai è superato. Bisogna avere le spalle forti abbastanza per andare all’estero. Questo significa avere 42

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Manifatturiero Il crollo dell’industria nel territorio del Nord Est, il doppio del dato nazionale

una taglia e una dotazione finanziaria adeguate. Oggi esistono forme di aggregazione, come le reti d’impresa, che consentono di rafforzarsi senza perdere la propria identità a livello di singola realtà aziendale. C’è poi il capitolo dell’innovazione su cui ogni azienda, grande o piccola, non potrà fare a meno di lavorare». Quali strumenti di rilancio Confindustria metterà a disposizione per le imprese domestiche più colpite dalla crisi? «Da diversi anni noi aiutiamo le nostre imprese attraverso Trentino Export. Ora però vogliamo spingere ancora di più e abbiamo costituito una nuova area per l’internazionalizzazione con l’obiettivo di presidiare direttamente il tema, in partnership con le strutture pubbliche preposte, ma fornendo consulenza diretta alle imprese che vogliono approcciare i mercati esteri e stimolando chi è più restio a mettere il naso fuori dal proprio giardino. Inoltre, abbiamo contribuito a defiDICEMBRE 2012


IL MODELLO NORD EST PAOLO MAZZALAI

BISOGNA PUNTARE SULLE AGGREGAZIONI E LA PATRIMONIALIZZAZIONE, IL MITO DEL “PICCOLO È BELLO” ORMAI È SUPERATO nire la normativa provinciale sui contributi per l’internazionalizzazione il cui regolamento è appena stato approvato. Ci sono opportunità molto interessanti, ad esempio per la partecipazione a fiere internazionali. Nei prossimi mesi organizzeremo anche alcune missioni mirate in base agli interessi delle nostre aziende». Di quali obiettivi si è discusso con il ministro del Lavoro Elsa Fornero in merito all’inserimento dei giovani talenti nel mondo professionale e alla promozione dell’imprenditoria giovanile? «Il ministro è rimasto colpito favorevolmente dalla sperimentazione che abbiamo realizzato negli ultimi dodici mesi sul territorio trentino. Il progetto “Giovani industriosi” che abbiamo lanciato un anno fa prevedeva, tra le altre azioni, la promozione dell’uso del contratto di apprendistato professionalizzante. Con

l’Agenzia del lavoro lo abbiamo anche potenziato, con alcune misure di accompagnamento: una selezione di giovani talenti da mettere a disposizione delle imprese, l’organizzazione del modulo di formazione obbligatoria prevista dal contratto e un accompagnamento del lavoratore verso un nuovo impiego nel caso in cui il rapporto non prosegua dopo il periodo di apprendistato. Soprattutto quest’ultima misura, che si ispira chiaramente al modello di flexsecurity tipico dei paesi del nord Europa, è una novità a livello nazionale». Quali ulteriori sinergie territoriali nell’ambito dell'innovazione, della politica industriale, del project financing per le grandi opere sono in fase di elaborazione? «Nei giorni scorsi abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con la Provincia autonoma di Trento e con le altre parti sociali ed economiche, intitolato “Nuove azioni per promuovere la produttività e la competitività del Trentino”. Si tratta di una serie di strategie che fanno leva sugli investimenti infrastrutturali, sul miglioramento dell’efficienza dell’amministrazione pubblica, sulle politiche per la formazione, il lavoro, la ricerca e l’innovazione, applicata soprattutto a energia, Ict e green economy. Gli strumenti riguardano le agevolazioni Irap per le aziende virtuose, l’accesso al credito e la liquidità per le imprese e un riordino degli ammortizzatori sociali, grazie alla recente delega in materia trasferita dallo Stato alla Provincia. Sono convinto che questa sia la strada giusta per tornare a crescere». \\\\\ EF

-3,5%

Domanda interna Il calo previsto in Trentino entro la fine dell’anno contro lo 0% registrato nel 2011

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L’OSSERVATORIO DEL TRIVENETO FONDAZIONE NORD EST

UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO Welfare, sistema economico e capitale umano, sono le vie obbligate per la crescita. Lo spiega l’indagine “Nord Est 2012. Rapporto sulla società e l’economia” curata dalla Fondazione Nord Est

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Innovazione È l’incremento delle imprese che, nonostante la crisi, hanno avviato progetti innovativi

a conoscenza dei processi che caratterizzano lo sviluppo sociale ed economico, il tema dell’identità territoriale e culturale hanno un valore strategico per il futuro del Nord Est. Il confronto di tali fenomeni con le altre aree d’Italia e d’Europa consentono di collocare queste aree regionali in un contesto più ampio, utile per cercare di prefigurare le linee dello sviluppo prossimo e gli interventi necessari a consolidarlo. Sulla base di questi presupposti nasce l’idea di costituire la Fondazione Nord Est, istituto di ricerca sociale ed economico promosso dalle associazioni confindustriali e dalle Camere di Commercio del Trentino Alto Adige, del Friuli Venezia

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Giulia e del Veneto”. È questa la mission della Fondazione Nord Est, vero e proprio osservatorio economicosociale dei cambiamenti che caratterizzano il Triveneto. Dall’economia alle infrastrutture, dall’internazionalizzazione alla politica, dall’immigrazione ai temi del lavoro, dal turismo all’istruzione, la Fondazione studia e anticipa tutte le trasformazioni che interessano tanto le aziende – pmi o multinazionali – quanto i cittadini dell’area del Triveneto. Al centro di ricerche e rapporti ci sono, ovviamente, le specificità del Nord Est, le ragioni delle imprese, i temi riguardanti le autonomie locali, il respiro internazionale di quest’area del Paese. Con l’obiettivo di creare le condizioni

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IL TRIVENETO ALLA PROVA DELL’INNOVAZIONE

16,4%

Imprese È la percentuale delle aziende che collabora con il sistema delle università o si avvale di consulenze esterne

IL PUNTO DI SILVIA OLIVA, RICERCATRICE DELLA FONDAZIONE NORD EST, SULLA CAPACITÀ DELLE IMPRESE NORDESTINE DI FARE INNOVAZIONE, ANCHE IN TEMPI DI CRISI

all’indagine “Italia delle imprese”, condotta dall’osservatorio della Fondazione Nord Est, è emerso che la crisi non ha interrotto i percorsi di innovazione delle imprese del Triveneto le quali, viceversa, hanno scelto di mantenere i precedenti investimenti e, quando possibile, hanno avviato nuovi progetti. A fare il quadro del tessuto produttivo del Triveneto è Silvia Oliva (nella foto), segretario alla ricerca della Fondazione Nord Est. In che modo l’imprenditoria del Triveneto ha recepito e tradotto il concetto di innovazione? «Da un lato, è proseguito il percorso di rinnovamento del tessuto produttivo locale già iniziato prima della crisi, dall’altro, si è aperta una nuova fase di innovazione volta proprio a reagire proattivamente. L’innovazione scelta dalle imprese locali non è stata solo un’innovazione di prodotto, realizzata dal 53,4% delle imprese, ma anche di processo per il 51,7%. In entrambi i casi è stato confermato il modello di innovazione delle pmi nordestine che spesso, a causa di ridotte spese in R&S e di un basso numero di brevetti depositati, appare come poco innovativo». Quali settori ritenuti poco innovativi stanno dimostrando un cambio di rotta? «Alcune ricerche mostrano un’intensa attività d’innovazione nell’ambito dell’agricoltura sia in termini di rinnovamento dei processi produttivi con una maggiore automazione, sia con l’ingresso di nuove figure professionali necessario all’avviamento di attività connesse come la trasformazione, le energie rinnovabili e altro. L’innovazione riguarda anche il mondo delle cooperative sociali che, oggi più che mai, per rispondere alla diminuzione delle risorse da parte degli enti pubblici, che finora rappresentavano il cliente prin- ▶

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affinché il Nord Est si riconosca e venga riconosciuto come un’area forte; proporre soluzioni ai problemi riguardanti logistica, reti telematiche, finanza, formazione, innovazione dell’area; fornire strumenti di analisi, comprensione e informazione su temi politici, economici e sociali, con particolare attenzione allo scenario internazionale; valorizzare le risorse intellettuali presenti nell’area. È dei primi giorni di dicembre la presentazione della 13esima edizione di “Nord Est 2012. Rapporto sulla società e l’economia”, a cura del direttore scientifico Daniele Marini, che “quest’anno vuole essere una sorta di agenda delle priorità per lo sviluppo futuro del Nord

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L’UE E I PRINCIPALI PAESI EUROPEI HANNO LE LORO RESPONSABILITÀ NEL NON AVERE PROCEDUTO PIÙ RAPIDAMENTE ALLA COSTRUZIONE POLITICA, E NON SOLO MONETARIA, DELL’UNIONE Est. Non quindi un elenco esaustivo, bensì una prima base per una proposta di riflessione alla comunità del territorio”. Nella premessa al rapporto il presidente Andrea Tomat definisce l’anno che si sta concludendo come quello “più complicato e difficile dall’avvio della crisi cinque anni fa. Stiamo attraversando un lungo e impegnativo percorso di trasformazione che investe largamente anche il nostro sistema produttivo e sociale. All’interno di un contesto nazionale e internazionale in tumultuoso cambiamento anche il Nord Est è quindi chiamato a ripensare il proprio percorso”. Il rapporto è un “termometro” delle trasformazioni demografiche, economiche, dei modelli di welfare, della governance territoriale e aziendale, che indica passaggi

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obbligati e direzioni da seguire per la crescita futura, che dovrà passare inderogabilmente da apertura internazionale, innovazione e nuovi modelli di azione. È quella che Tomat definisce “non un’opera di maquillage, ma di ristrutturazione del sistema e dell’agire dei singoli. L’azione, paradossalmente, può e deve partire dalle cose più minute, da processi di semplificazione e razionalizzazione della macchina pubblica che rendano la società e i rapporti economici più lineari, agili, trasparenti e molto, molto meno costosi”. Dal rapporto si evince che l’area si sta avviando verso una, seppur lenta, risalita: sebbene con il segno meno davanti, gli indicatori indicano una maggiore stabilizzazione delle performance. Tuttavia, resta un passaggio difficile

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L’OSSERVATORIO DEL TRIVENETO FONDAZIONE NORD EST

quello che sta attraversando il Nord Est, “complicato anche da un clima sociale che, per quanto si cerchi di motivare e di analizzare con tutti i distinguo del caso, rimane comunque generalmente cupo”. Analizzando la situazione socio-economica dell’area Ue, secondo Marini, sono due sono gli insegnamenti da tener presente. Il primo riguarda l’esigenza di riscrivere un nuovo modello di sviluppo delle aree di più lunga tradizione industriale, adeguarlo al nuovo scenario socio-economico globale, innovarlo rendendolo più sostenibile e compatibile con i nuovi equilibri. “I mutamenti che stanno avvenendo negli assetti geo-economici internazionali e i cambiamenti generati dalle nuove tecnologie richiedono di rivisitare i tradizionali canoni del nostro sviluppo”. Il secondo insegnamento riguarda quella che Marini definisce “velocità”: è necessario agire celermente. L’Ue e i principali Paesi europei hanno le loro responsabilità nel non avere proceduto più rapidamente alla costruzione politica, e non solo monetaria, dell’Unione. Da qui la necessità di un cambiamento tridimensionale, che deve svilupparsi lungo tre direttrici: un nuovo processo di coesione sociale; un sistema produttivo immateriale e un sistema istituzionale inserito all’interno di territori sistemici. \\\\\ CG

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cipale, ha innovato sia in termini di prodotto che in termini di processo e organizzazione». Mettere in rete l’intera filiera dell’innovazione - università, imprese, sistema bancario e territorio - è la misura chiave per rendere possibile una politica economica centrata sull’innovazione come motore della crescita. Come si sta muovendo il Veneto? «In realtà i dati raccolti raccontano di un sistema imprenditoriale che ancora utilizza poco i soggetti del territorio preposti allo sviluppo e al sostegno dell’innovazione. Da un lato la maggioranza delle imprese autofinanzia e autoproduce internamente l’innovazione, anche nel caso di imprese di piccole dimensioni che certamente non hanno al loro interno competenze e funzioni specificatamente dedicate a questo. Dall’altro anche le imprese che agiscono attraverso dei partner dell’innovazione, solo in misura minore (16,4%) si rivolgono al sistema delle università e della consulenza esterna. Diverse sono le ragioni che gli imprenditori portano per spiegare questa difficoltà nella collaborazione». Ad esempio? «Riguardo le collaborazioni tra imprese e università e poli tecnologici viene lamentata una distanza di linguaggio e di tempistica. Per quel che concerne il credito, le banche sono viste come poco inclini ad assumere il ruolo di partner a causa della loro incapacità di valutare concretamente la validità di un progetto di sviluppo e di innovazione, essendo maggiormente attente agli aspetti delle garanzie patrimoniali. Viceversa il territorio, inteso come distretto, e gli attori della filiera sono senza dubbio visti come i primi partner dell’innovazione: quasi l’80% dichiara di avere avuto collaborazioni finalizzate all’innovazione con i clienti italiani o esteri o con i propri fornitori (italiani o esteri). Emerge, infine, anche un 20,2% di imprese che ha perseguito processi di rinnovamento aggregandosi con propri competitor per questo preciso scopo mettendo insieme risorse, competenze, conoscenze e relazioni». - CG

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IL VENETO PUNTA AL FEDERALISMO DIFFERENZIATO Il governatore Luca Zaia la definisce «una rivoluzione pacifica che avviene nell’alveo della Costituzione». È il progetto sul federalismo a costo zero lanciato dalla Regione Veneto e articolato in tre disegni di legge - Francesca Druidi 50

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AUTONOMIE LUCA ZAIA

REGIONALIZZARE LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE SIGNIFICA SNELLIRE LA BUROCRAZIA

n federalismo “a geometria variabile” è l’oggetto della proposta della Regione Veneto. Il governatore Luca Zaia ha presentato, lo scorso 13 novembre, i risultati del gruppo di lavoro sul federalismo costituito dalla giunta regionale nel 2010 e guidato da Luca Antonini. Quali i punti salienti e quale il piano di attuazione del provvedimento? «Con la legge si chiede in sostanza allo Stato che conceda l’autonomia a quelle Regioni che già sono pronte a governare virtuosamente le proprie risorse, superando le strutture centraliste e trasferendo alcune competenze, funzioni legislative e amministrative. Una richiesta di autonomia “differenziata” che parte dalla presa di coscienza, molto realistica e pragmatica, di un fortissimo divario tuttora esistente tra Nord e Sud. Il Veneto è pronto a governare autonomamente il territorio, perché è virtuoso: chiede, dunque, che questa realtà di fatto abbia un riconoscimento legislativo che gli dia la possibilità di farlo. Il tutto

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↖ Luca Zaia, presidente della Regione Veneto

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senza stravolgere alcunché e a costo invariato, semplicemente applicando fino in fondo la Costituzione. Avanziamo questa richiesta attraverso tre disegni di legge che devono essere prima vagliati del consiglio regionale per poi passare all’esame del Parlamento». Cosa e come dovrebbe cambiare l’assetto di governance del territorio veneto? «Il primo disegno di legge si focalizza sull’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione, attraverso il quale possono essere attribuite nuove competenze legislative per il Veneto. Questo riassetto delle competenze, peraltro, è stato elaborato ripensando i nostri obiettivi strategici. Per intenderci: oggi non ci interessa tanto avere i giudici di pace, quanto piuttosto poter decidere come e con quali risorse governare il nostro sistema di istruzione, in particolare quello universitario. Noi sappiamo cosa serve a questo territorio in termini di formazione e ricerca e vogliamo collegarlo maggiormente al suo sviluppo sociale, economico, culturale. Per poterlo fare abbiamo bisogno di autonomia.

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AUTONOMIE LUCA ZAIA

Naturalmente, uno dei punti chiave di questo decentramento ruota attorno al federalismo fiscale, che consente il finanziamento delle nuove competenze legislative: non bisogna dimenticare che l’Italia ha già legiferato in materia, si tratta ora di dare piena attuazione alla riforma. E la nostra proposta vuol essere anche uno stimolo in questa direzione, ma applicando appunto la “geometria variabile”: lo fanno le regioni che sono pronte, le altre lo faranno quando saranno altrettanto preparate». Per quanto riguarda gli altri due disegni di legge? «Uno riguarda le funzioni amministrative e tocca l’articolo 118 della Costituzione. Il principio e la conditio sine qua non federalista sono gli stessi: potremmo governare meglio di quanto non succede adesso con la gestione centralista. Una delle funzioni che potremmo gestire noi, ad esempio, è quella attualmente in capo alla Sovrintendenza per i beni culturali, cioè a un organo dello Stato. Regionalizzare le funzioni amministrative significa snellire notevolmente la burocrazia: è paradossale che una terra come il Veneto debba essere rallentata proprio dal gravame burocratico, uno dei fattori che incidono più pesantemente sullo sviluppo. Infine, c’è la terza proposta, sulle norme per la tutela dei lavoratori veneti e il potenziamento dei servizi sociali sul territorio. Rientra nel percorso che ho appena delineato e riguarda più da vicino quel residuo fiscale, veneto e delle altre regioni virtuose, che si perde nei rivoli delle contribuzioni statali con la cosiddetta “solidarietà occulta”, realizzata attraverso numerosi interventi di protezione sociale. Si tratta, quindi, di applicare il principio della territorialità anche in materia previdenziale e sociale».

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L’autonomia resta un tema portante per il Veneto, sostenuto da istituzioni e associazioni imprenditoriali. Si era parlato, a questo proposito, di referendum popolare. Questa iniziativa legislativa è, dunque, la strada da intraprendere per “prendersela” l’autonomia, come lei stesso ha dichiarato? «La scelta fatta dal Veneto con la proposta di federalismo a geometria variabile è certamente lo strumento più efficace, anche se i tempi non sono brevissimi. È una rivoluzione, ma pacifica perché avviene nell’alveo della Costituzione». Lei è attendista nei confronti dell’esito finale della riforma delle Province, sulla quale però si è espresso con parole decisamente contrarie. Quali i suoi auspici nei confronti del futuro profilo istituzionale? «Credo che un’operazione del genere richieda molto tempo e non ci si debba limitare a un intervento contabile relativo alle sole province. È un discorso ben più grande, che riguarda il modo in cui si vuole gestire e governare i territori. In ogni caso, bisogna agire in modo da non creare suddivisioni da cui emergano cittadini di serie A e cittadini di serie B. Tra l’altro, la Regione ha presentato ricorso alla Corte costituzionale per conto delle Province. Bisognerebbe aspettare cosa dice la Consulta, perché se una legge viene bocciata da quest’ultima deve essere annullata. Ci si ritroverebbe nella situazione assurda di portare a compimento una legge che verrebbe poi sconfessata da una sentenza costituzionale. Senza contare che le Province non sono soltanto una suddivisione amministrativa, ma rispecchiano l’identità di intere comunità e territori». \\\\\

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AUTONOMIE RENZO TONDO

AUTOGOVERNO E COOPERAZIONE È un’autonomia che funziona, quella del Friuli Venezia Giulia, perché restituisce a cittadini e imprese le risorse fiscali generate sul territorio. Alla difesa di questa prerogativa si affiancano progetti come il Gect “Senza confini”. Ne parla il governatore Renzo Tondo

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Foto ARC Montenero

l prossimo 31 gennaio 2013 sarà una data significativa per la storia del Friuli Venezia Giulia. Verrà, infatti, celebrato il cinquantenario dell’istituzione dello Statuto speciale. E se la Regione è già impegnata a condensare e analizzare l’esperienza della specialità attraverso l’elaborazione di dati, cifre e indicatori statistici, il presidente Renzo Tondo offre una ricognizione sulle prospettive presenti, passate e future legate all’autonomia, allargando lo sguardo ai nuovi strumenti di cooperazione territoriale nei nuovi scenari europei. La Regione si appresta a festeggiare i 50 anni dello Statuto di autonomia speciale approvato nel gennaio del 1963. Con quale spirito? «Non c’è dubbio che stiamo attraversando una stagione politica difficile. Registriamo un tentativo abbastanza chiaro, da parte dei poteri centrali, di ridurre le autonomie locali e regionali. Sulle Regioni speciali perdura un diffuso pregiudizio, come ho potuto constatare io stesso negli anni in cui sono stato deputato a Roma. Ai critici non mi sono mai stancato di spiegare che la specialità non è un privilegio, ma una responsabilità. Le entrate del nostro bilancio derivano non da trasferimenti negoziati

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↑ Renzo Tondo, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia ← Palazzo del Lloyd Triestino, sede della Regione FVG

con lo Stato centrale, ma da compartecipazioni percentuali sui tributi riscossi sul nostro territorio (Irpef, Iva, Ires), oltre che da tributi propri. Con queste gestiamo tutto, senza chiedere un euro allo Stato centrale. Tanto per citare le voci più importanti del bilancio: la sanità, il trasporto pubblico locale e persino i trasferimenti agli enti locali, a differenza di altre Regioni a Statuto speciale, che per questo dipendono ancora dallo Stato. Con la crisi economica e la riduzione delle entrate, abbiamo dovuto stringere la cinghia. Non possiamo scaricare la responsabilità su altri. Dobbiamo rispondere direttamente ai cittadini di come spendiamo i soldi. Da noi il federalismo fiscale è una realtà». Che bilancio si sente di trarre da mezzo secolo di autonomia speciale? «Se mi guardo indietro, vedo il percorso che ha compiuto la comunità regionale. Non dimentichiamoci che nel secondo dopoguerra la nostra era una regione povera, una terra di emigrazione. Da allora, il Friuli Venezia Giulia ha saputo imboccare la strada dello sviluppo, raggiungendo livelli di benessere paragonabili a quelli delle più sviluppate

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Foto ARC Montenero

AUTONOMIE RENZO TONDO

→ I presidenti Renzo Tondo, Luca Zaia e Gerhard Doerfler alla costituzione del Gect "Euregio Senza Confini", a Venezia lo scorso novembre

regioni italiane ed europee. In mezzo secolo si è passati dalla civiltà contadina al miracolo delle piccole e medie imprese diffuse e dei distretti industriali, per arrivare oggi all’economia del nuovo millenni sostenuta dalla valorizzazione del capitale umano, dalla ricerca e dall’innovazione. In tutto questo, l’autonomia speciale ha giocato un ruolo decisivo. In occasione del cinquantenario, abbiamo pubblicato quattro volumi con indagini statistiche sui vari aspetti della realtà regionale, dall’economia alla famiglia. I numeri parlano chiaro: le risorse generate dal territorio sono state restituite al territorio in modo virtuoso, sotto forma di infrastrutture e servizi che hanno accompagnato e sostenuto la crescita economica e civile del Friuli Venezia Giulia». Quale futuro vede per l’autonomia del Friuli Venezia Giulia? «L’autonomia oggi va prima di tutto difesa contro i tentativi di metterla in discussione. E va difesa non per ragioni ideologiche, ma semplicemente perché funziona. Crediamo, anzi, che possa costituire un modello anche per le Regioni ordinarie. L’Autonomia, in questi cinquant’anni, non è mai stata ferma, si è evoluta nel tempo. Questa è la scommessa che abbiamo davanti. Tanto per fare un esempio: negli ultimi anni abbiamo acquisito nuove competenze dirette, come le strade e parti importanti del demanio pubblico. Ora puntiamo anche all’istruzione». Il Friuli Venezia Giulia ha recentemente costituito, assieme a Veneto e al Land austriaco della Carinzia, l’Euroregione “Senza confini”. Qualcuno l’ha definita una data storica.

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«Una data senza dubbio storica perché “Senza confini” è destinata a raccogliere l’eredità della Comunità di lavoro Alpe Adria, costituita a Venezia nel 1978, che ha avuto il merito di avviare in modo pioneristico la collaborazione transfrontaliera a cavallo del confine nordorientale d’Italia, in un’Europa allora divisa dalla cortina di ferro. Da tempo era maturata la convinzione della necessità di aggiornare gli strumenti della cooperazione nel nuovo contesto creato dall’Unione europea allargata. “Senza confini” nasce, infatti, facendo riferimento alla recente legislazione comunitaria sui Gect, i gruppi europei di cooperazione territoriale». Lei ha parlato, in occasione della firma a Venezia per “Senza confini”, di un punto di arrivo ma anche di un punto di partenza. «Un punto di arrivo perché, per arrivare alla costituzione del Gect, abbiamo dovuto superare parecchi scogli. Un punto di partenza perché adesso sta a noi riempirlo di contenuti. Il Gect è un vero e proprio soggetto giuridico e potrà prima di tutto essere destinatario delle risorse dei vari Fondi europei, dal Fondo sociale a quello di Sviluppo regionale, assumendone la gestione operativa e partecipando direttamente ai bandi. Il banco di prova sarà la prossima programmazione 2014-2020. E poi c’è l’allargamento alla Slovenia e alle Contee croate dell’Istria. A Venezia, in occasione della firma, c’erano i loro rappresentanti in veste di “osservatori”. Un segnale che va nella direzione giusta. Per affrontare la sfida della globalizzazione, i territori devono mettersi assieme. Solo così ce la possiamo fare». \\\\\ FD

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STRUMENTI PER LE PMI GIORGIO GUERRINI

L’ARTIGIANATO GUIDA L’ITALIA VERSO LA RIPRESA piccoli imprenditori stanno vivendo giorni molto difficili, ma sono anche protagonisti degli sforzi per resistere alla crisi. Una cosa è certa: siamo il Paese con il maggior tasso di imprenditorialità nel mondo con 6,6 imprese ogni 100 abitanti. Al secondo posto vi è la Francia, con 4,1 imprese ogni 100 abitanti, seguita dal Regno Unito, con 2,8 aziende per 100 abitanti. Se l’Italia è la “capitale” mondiale dell’imprenditoria lo deve all’artigianato che, con 1.448.867 aziende, spicca per la capillare presenza sul territorio italiano. Proprio all’artigianato e alle piccole imprese si deve la tenuta occupazionale anche nella fase più acuta della crisi: tra il 2007 e il 2010 le micro imprese con meno di 9 addetti hanno fatto registrare un aumento dell’1,2 per cento degli occupati a fronte di un calo dell’1,5 per cento degli addetti del totale delle imprese. Siamo un popolo di imprenditori, dunque, e lo dimostriamo ogni giorno, a dispetto della crisi e dei tanti ostacoli che troviamo sul nostro cammino. Potremmo fare molto di più se non dovessimo correre frenati da una zavorra pesantissima fatta di pressione fiscale, oneri burocratici, servizi pubblici costosi e inefficienti, alto costo del credito. Uscire dal tunnel della crisi, in queste condizioni, è proprio un’impresa! Troppo spesso i nostri sforzi si infrangono contro un ambiente ostile all’iniziativa economica. In questi anni, e segnatamente negli ultimi mesi, non

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abbiamo visto interventi significativi per rimuovere i vincoli e i costi che comprimono le potenzialità dell’imprenditoria italiana. Molti annunci, molte promesse, ma siamo ancora lontani dall’avere garantite condizioni favorevoli alla continuità e alla solidità del nostro tessuto produttivo. Non basta puntare sulle start up innovative se poi in Italia continua a non esserci l’humus adatto affinché le imprese possano svilupparsi e generare occupazione. Per offrire un futuro alle giovani generazioni occorre sicuramente facilitare la creazione d’impresa, ma è anche indispensabile dare segnali concreti alle imprese già esistenti. La battaglia contro la burocrazia sottrae ogni anno alle imprese ben 26 miliardi di euro. Non riusciamo a toccare con mano gli effetti dei provvedimenti varati in questi anni. Le pur positive norme di principio non si sono ancora tradotte in risultati concreti per gli imprenditori. Le imprese hanno bisogno di concretezza, hanno bisogno di uno Stato che dia loro fiducia e che investa sui talenti del made in Italy. Quel made in Italy che, nonostante tutto, mantiene posizioni di primo piano sui mercati mondiali grazie alla tenacia, alla passione, alla creatività, alla tradizione, all’innovazione di milioni di imprenditori italiani. Confartigianato, insieme con Rete Imprese Italia, continua la battaglia per difendere questo patrimonio produttivo e guidare le aziende verso la ripresa. \\\\\ DICEMBRE 2012

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STRUMENTI PER LE PMI GIUSEPPE TRIPOLI

RIMUOVERE GLI OSTACOLI ALLA CRESCITA

Le piccole e medie imprese vanno agevolate sul piano burocratico e incentivate a fare rete. A sostenerlo è Giuseppe Tripoli, il quale illustra come le pubbliche amministrazioni e le associazioni di categoria debbano continuare a collaborare - Nicolò Mulas Marcello 60

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ul piano della semplificazione burocratica per le piccole e medie imprese qualcosa si sta muovendo: «A breve – spiega Giuseppe Tripoli, garante per le micro, piccole e medie imprese – prenderà il via l’Agenzia per le imprese, che certificherà molte pratiche amministrative evitando in questo modo una parte significativa dei controlli pubblici come avviene per l’amministrazione finanziaria nel caso dei Caaf». Burocrazia e crisi economica rendono ancora più difficile l’esistenza delle pmi. Cosa si sta facendo a riguardo? «Sappiamo bene che la burocrazia è il primo nemico delle pmi. Gli oneri amministrativi ammontano a 23 miliardi di euro l’anno, mediamente 5.200 per impresa. Anche l’Ue ha messo questo aspetto in primo piano, promuovendo un sondaggio pubblico per individuare i 10 atti legislativi europei più onerosi per le pmi e intervenire per modificarli. In questi mesi il governo ha fatto diverse cose: ha introdotto la possibilità di costituire una Srl a capitale ridotto o semplificata con costi decisamente inferiori, ha esteso l’uso della posta elettronica certificata a tutte le società; dal prossimo anno anche le imprese individuali saranno dotate di questo strumento per potersi relazionare velocemente con la pubblica amministrazione azzerando i costi. In questo modo utilizzare la firma digitale sarà più facile sia per sottoscrivere atti e documenti da inviare alla Pa sia nelle transazioni commerciali per la costituzione di una rete di imprese. La decertificazione, cioè l’obbligo di non produrre più alla Pa certificati rilasciati da un’altra amministrazione, come ad esempio il certificato antimafia o quello di iscrizione al registro delle imprese, facilita l’impresa attraverso l’interoperabilità della pubblica amministrazione». Qual è attualmente la situazione italiana per quanto riguarda i contratti di rete? «Sono 464 i contratti formalizzati per oltre 2.500 imprese partecipanti; dunque 30 nuovi contratti di rete registrati nell’ultimo anno. Dai dati del nostro ultimo monitoraggio di fine ottobre emerge chiara l’attenzione con cui le imprese guardano al contratto di rete. Abbiamo pensato che lo strumento del contratto di rete fosse quello giusto per “invogliare” a dare continuità strategica alla miriade di collaborazioni informali che già caratterizzano la vita

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↗ Giuseppe Tripoli, garante per le micro, piccole e medie imprese

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METTERSI INSIEME SIGNIFICA PENETRARE MAGGIORMENTE NEL MERCATO ITALIANO ED ESTERO

quotidiana delle nostre pmi. Mettersi insieme significa restare competitivi, penetrare maggiormente nel mercato italiano ed estero, promuovere assieme un marchio comune, poter acquisire assieme managerialità - si pensi alle figure dell’export manager o del responsabile finanza aziendale - altrimenti troppo costose. Più del 70% delle imprese dichiara che l’avervi aderito ha comportato il mantenimento o la crescita dei propri livelli di fatturato, elemento certamente non trascurabile in una fase di difficile congiuntura come quella che stiamo vivendo». Le reti d’impresa stanno superando i distretti? «Le reti non superano, ma contribuiscono all’evoluzione in corso nei distretti. La rete tra imprese è una delle modalità con cui i distretti possono aprirsi alle necessarie collaborazioni extraterritoriali a fronte di dinamiche di produzione e subfornitura di beni e servizi che abbedi-

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STRUMENTI PER LE PMI GIUSEPPE TRIPOLI

scono a logiche e traiettorie sempre più globali, o “glocali” come spesso si dice. Le reti di impresa stanno avendo una buona diffusione anche all’interno dei distretti, dove è storicamente presente un ricco tessuto di relazioni reticolari informali tra i diversi attori delle filiere produttive locali. Tra le imprese manifatturiere che partecipano a reti di impresa, poco più di un quinto appartiene a uno dei 139 distretti industriali mappati dal servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. Le imprese dei distretti hanno stipulato contratti di rete con imprese locali, ma anche con imprese localizzate in altre province, o addirittura esterne alla regione, superando la dimensione distrettuale e ponendo le basi per la costruzione di solide collaborazioni a livello nazionale: non a caso, oltre 1/3 delle reti a cui partecipano le imprese distrettuali sono pluriregionali». Le reti riescono a superare in maniera più efficace le difficoltà nei rapporti con le banche? «Non ancora. Sono poche le banche che considerano un plus di merito la partecipazione dell’impresa al contratto di rete, o hanno proposto strumenti finanziari ad hoc per le imprese in rete. Infatti, il 60% delle imprese ritiene che la banca dovrebbe valorizzare maggiormente la parteci-

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50 mld

Fatturato L’ammontare del fatturato estero annuo del Veneto supera i 50 miliardi di euro. La regione segue la Lombardia per valore dell’export

pazione dell’impresa alla rete. Il sistema bancario deve svolgere, a mio avviso, un ruolo attivo nel favorire lo sviluppo di nuove reti e, soprattutto, nel sostenere e nell’accompagnare le imprese lungo tutto il percorso di collaborazione in rete, partendo dalla fase pre-costitutiva, sostenendone l’avvio e fornendo supporto nella realizzazione del progetto in rete. Per tante piccole e medie imprese la banca è ancora vista come il principale partner con cui pianificare, non solo finanziarimente, l’accesso ai mercati esteri o l’accelerazione dei processi di internazionalizzazione e di innovazione. Questa richiesta di partenariato è più marcata tra le imprese di piccole dimensioni e meno strutturate. Peraltro, le attese di efficacia della rete aumentano significativamente soprattutto per le imprese che vedono nella banca un possibile promotore e facilitatore dei processi di internazionalizzazione e innovazione». \\\\\

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RIPENSARE I MODELLI DI BUSINESS Lo scenario dei distretti è cambiato e oggi deve fare i conti non solo con il mercato globale ma anche con la crisi economica. Enzo Rullani spiega come le reti possono essere un supporto per le pmi 64

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STRUMENTI PER LE PMI ENZO RULLANI

e reti transterritoriali sono diventate importanti in Italia dal 2000. Negli ultimi anni sono state alcune centinaia le esperienze contrattuali di reti, ma ne esistono molte altre basate su diverse forme contrattuali come joint venture, Srl di scopo, contratti di licenza o di franchising, alleanze tecnologiche e Ati: «Quando si parla di riposizionare il made in Italy – spiega Enzo Rullani, docente di economia della conoscenza e di strategie di impresa presso la Venice International University – le reti diventano la risposta che supplisce alla mancanza di soggetti forti in grado di aggregare o di fondere le molecole del nostro sistema imprenditoriale». Le reti di impresa hanno in qualche modo influito sul modello distrettuale italiano? «Le reti sono molte e rilevanti in Italia, anche perché sono la leva che consente di trasformare i distretti industriali, sottraendoli alla loro origine marcatamente locale e materiale. Le imprese dei distretti sviluppano, infatti, numerose reti a monte e valle della loro attività, nella filiera, collegandosi a fornitori e clienti che sono, in parte, situati all’esterno e anche in luoghi molto lontani, vicino

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alle fonti della tecnologia, alle metropoli creative, ai mercati finali. Ma intendiamoci: in questo modo, salvo eccezioni, i distretti non muoiono affatto come erroneamente si dice, ma usano le reti transterritoriali per trasformarsi, modificando i modelli di business originari». Cosa occorre fare quindi per valorizzare maggiormente le reti? «In primo luogo, bisogna che gli imprenditori siano abbastanza ambiziosi da immaginare cambiamenti importanti degli attuali modelli di business, accettando la sfida che ci viene dai paesi low cost. Nel momento in cui un piccolo imprenditore, specializzato in un prodotto o in una funzione particolare, pensa di innovare in modo importante il suo prodotto o servizio, rendendolo più complesso e più ricco di significati e funzionalità, non tarda a rendersi conto del fatto che da solo non ce la farà mai. Intanto per gli investimenti che sarebbero necessari, e che spesso superano le sue disponibilità. E poi anche perchè la logica del fai da te presuppone tempi e rischi di apprendimento che oggi possono facilmente mettere una realtà fuori mercato. Di qui l’imperativo: un imprenditore deve cercare di mettersi insieme a chi ha le risorse complementari) che a lui mancano». Il modello imprenditoriale del nord est è ancora improntato sul modello individuale? «Bisogna vincere l’individualismo che caratterizza l’attuale cultura imprenditoriale e che è anche frutto di una storia distrettuale del passato basata su molta concorrenza e scarsa collaborazione. Come farlo? In-

↑ Enzo Rullani, docente di economia della conoscenza e di strategie di impresa presso la Venice International University

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STRUMENTI PER LE PMI ENZO RULLANI

nanzitutto documentando gli esempi - che non mancano - di collaborazioni vincenti, che hanno avuto successo. In secondo luogo, spingendo gli imprenditori a superare la diffidenza verso l’idea stessa di collaborazione, avviando qualche esperienza di co-innovazione e di condivisione con pochi altri, ben scelti. Una politica di sostegno alle reti, che mobiliti anche le associazioni imprenditoriali, deve dunque nascere dal basso e da nuclei di relazioni fiduciarie: non si tratta di mettere insieme cento e duecento imprese che fanno la stessa

cosa, come ai tempi dei consorzi. Si tratta di trovare un nucleo limitato e ben scelto di imprese che si percepiscano come affidabili e complementari in vista di un progetto comune: cominciando da poco e aumentando col tempo il livello di condivisione dei progetti e dei rischi. Le reti vanno incoraggiate con qualche sostegno che favorisca il contatto collaborativo, ma deve essere chiaro che esse possono funzionare solo se sono in grado di generare valore aggiunto, non solo di “catturare” qualche incentivo pubblico». \\\\\ NMM

UNA POLITICA DI SOSTEGNO ALLE RETI, CHE MOBILITI ANCHE LE ASSOCIAZIONI IMPRENDITORIALI, DEVE NASCERE DAL BASSO E DA NUCLEI DI RELAZIONI FIDUCIARIE

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STRUMENTI PER LE PMI VALTER TARANZANO

L’ARMA VINCENTE DELL’AGGREGAZIONE La crisi continua a mordere le imprese ma sul piano della competitività internazionale i distretti italiani continuano a fare scuola. Valter Taranzano spiega come le realtà distrettuali cercano di reagire alla recessione distretti restano lo zoccolo duro dell’Italia imprenditoriale. Sul piano della competitività, a livello internazionale questo sistema ha prodotto importanti risultati negli ultimi anni. «I nostri – spiega Valter Taranzano, presidente della Federazione dei distretti Italiani – dimostrano ancora una volta non solo di resistere a una fase recessiva, ma anche di anticipare le tendenze e di rappresentare un modello di riferimento. Un esempio per le modalità di interazione e collaborazione tra imprese, per la propensione a investire, per l’accesso a nuovi mercati, per la capacità di amalgamare ruoli differenti e generare nel contempo processi produttivi e organizzativi con un elevato grado di innovazione e, infine, per la vocazione alla sostenibilità». È possibile trarre un bilancio del sistema dei distretti nell’ultimo anno? «È ancora presto per stilare un bilancio sul 2012. In linea di massima possiamo anticipare che l’andamento è stato lo stesso dell’anno precedente: si è registrata una crescita, che però non ha avuto il conforto della continuità. Inoltre, sebbene l’export abbia ormai un ruolo determinante, è una variabile che da sola non è in grado di innescare un’inversione del ciclo. Così per i distretti permane una situazione in bilico. Vi è poi un secondo aspetto, quello finanziario: mezzi liquidi insufficienti, difficoltà di recupero dei crediti commerciali, difficoltà a ottenere finanziamenti dalle ban-

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↓ Valter Taranzano, presidente Federazione Distretti Italiani

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STRUMENTI PER LE PMI VALTER TARANZANO

I DISTRETTI DOVRANNO SEMPRE DI PIÙ FARE GRUPPO SE VOGLIONO COMPETERE CON I MERCATI GLOBALIZZATI che a causa della crisi finanziaria. Tutti elementi che non rendono sereni i nostri imprenditori». Lo svilupparsi dei contratti di rete ha influito in qualche modo sulla salute dei distretti? «Certo, l’aggregazione è ormai una chiave di volta dello sviluppo dei distretti e i contratti di rete hanno dato forma giuridica a questa strategia. In futuro i distretti dovranno sempre di più fare gruppo se vogliono competere con i mercati globalizzati. Gruppi sinergici tra loro, collaborativi, destinati a creare una filiera del territorio. I contratti di rete sono uno strumento idoneo per finalizzare queste intenzioni». Il Veneto è una delle regioni italiane con la più alta concentrazione di distretti industriali. La crisi economica ha influito in maniera significativa anche qui? «Certo che sì. La crisi sta influendo negativamente dappertutto, quindi Veneto compreso, dove distretti come quello dell’oro, della scarpa, del mobile o della meccanica stanno food che sta andando molto bene, grazie soprattutto alla vivendo momenti turbolenti. In compenso c’è quello del vocazione all’export di questo tipo di realtà». Ogni anno l’Osservatorio nazionale sui distretti italiani produce un rapporto che aggiorna sullo scenario distrettuale. «Sì, stiamo lavorando sulla quarta edizione del nostro rapporto, la cui presentazione è prevista per marzo 2013. I distretti rappresentano una peculiarità organizzativa del sistema industriale italiano che il mondo ci invidia, un sistema che esiste da molto prima delle definizioni normative. L’Osservatorio nazionale sui distretti italiani è nato tre anni fa per diventare la banca dati delle realtà distrettuali presenti nel nostro territorio, reti in continua mutazione che si sviluppano e si modellano con l’evolversi della situazione economica. Dalla prossima edizione, inoltre, potremo contare sulla collaborazione di Unionfiliere, l’associazione delle Camere di Commercio per la valorizzazione delle filiere del made in Italy, che ha avviato con Federdistretti un percorso destinato alla fusione». \\\\\ NMM

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STRATEGIE MASSIMO PAVIN

LE IMPRESE SI AFFIDANO AI FACILITATORI DI RETE Per gli industriali l’uscita dalla crisi è ancora lunga. Secondo Massimo Pavin bisogna agire sul cuneo fiscale, sulla produttività e sull’internazionalizzazione come leva per competere sui mercati globali. E Confindustria Padova punta adesso sui “facilitatori” - Elisa Fiocchi

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offre ancora il comparto industriale padovano che nel terzo trimestre del 2012 ha visto scendere l’indice della produzione industriale del 7 per cento su base annua. Nonostante i segnali di vitalità di qualche settore o di alcuni segmenti di mercato, anche le vendite all’estero arretrano e marcano un fenomeno che non accadeva sul territorio dal 2009. «L’affaticamento dell’export, per mesi unico traino della domanda, è l’inevitabile effetto della recessione europea e di una congiuntura internazionale meno tonica» dichiara Massimo Pavin, al vertice di Confindustria Padova. Ma critico è anche il giudizio da parte degli imprenditori che sulla durezza del clima congiunturale non vede tracce di attenuazione. «L’accelerazione negativa del terzo trimestre e le aspettative per la fine dell’anno confermano che la luce è ancora distante e che l’uscita dalla crisi sarà lunga». E non si scorgono segnali di risveglio neppure dal mercato interno. Uno scenario piatto e poco incoraggiante. Come rovesciarlo? «Lo scenario economico è certamente complesso, gravato da forti incognite sul piano politico per il dopo Monti. Un contesto nel quale gli imprenditori chiedono certezze e un intervento che dia sostegno congiunturale e strutturale alla domanda. Lo ripetiamo da tempo: quello della crescita è il nodo essenziale in questa fase, almeno quanto gli obiettivi di finanza pubblica. La legge di stabilità può segnare un punto di svolta se abbasserà le tasse sul lavoro,

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dando più competitività alle imprese e più soldi in tasca ai lavoratori. Ma diluire l’azione non serve, tutte le risorse disponibili vanno destinate a produttività e cuneo fiscale». Temi su cui lo stesso Giorgio Squinzi è stato molto chiaro, denunciando il rischio che le aziende muoiano di fisco. «Questo è vero, è ciò che sta avvenendo nel nostro Paese, perciò crediamo che i tagli fiscali vadano concentrati lì dove servono davvero al rilancio dell’economia, quindi sulla produttività e sulla riduzione del cuneo fiscale, causa primaria dell’abisso tra salario netto e costo del lavoro, che vale il triste record del 53 per cento, contro una media Ocse del 35,4. Sappiamo che la coperta è corta, ma andrebbe assestato un colpo deciso, con la riduzione dell’Irap sulle imprese e degli oneri sul lavoro dipendente, se si vuole avere effetti sulle aspettative, quindi sull’occupazione e sulle scelte di investimento». Come si distribuiscono equamente le risorse? «Abbiamo già detto che siamo pronti a rinunciare a qualsiasi forma di incentivo in cambio di una riduzione netta DICEMBRE 2012

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STRATEGIE MASSIMO PAVIN

← Massimo Pavin firma l’accordo tra Confindustria Padova e Banca Antonveneta, per sbloccare i crediti verso la Pa

del carico fiscale. A fronte di ogni euro di sussidio eliminato, il governo garantisca una riduzione di pari importo del cuneo fiscale che beneficerebbe tutte le imprese e i lavoratori». Quali strumenti e processi di internazionalizzazione saranno attivati in futuro per sostenere la competitività delle pmi sui mercati? «Le aziende che battono la crisi sono quelle capaci di proiettarsi all’estero, di allargare i confini oltre l’orizzonte del mercato europeo, eroso dalla recessione, per intercettare la domanda potenziale dei nuovi mercati emersi o emergenti. Per l’associazione questo vuol dire impegno a favorire la presenza del maggior numero di imprese in queste aree, a rafforzare le filiere, a favorire le aggregazioni intorno a medie imprese globali che trascinano l’intera catena del valore. In questo modo si dà una risposta e si aprono opportunità anche alle piccole imprese della subfornitura industriale, oggi in difficoltà perché operano prevalentemente sul mercato interno». Quali mercati si dimostrano particolarmente interessanti per favorire la crescita? «In un anno difficile come questo, ci siamo focalizzati su India, paesi Asean e sull’area del Golfo Persico. Abbiamo da poco accompagnato una decina di aziende di beni strumentali e alimentari in incontri d’affari in Indonesia e Thailandia e siamo appena rientrati da Dubai, dove ab72

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biamo accompagnato quindici aziende del comparto edilizio alla più grande fiera di settore dell’area». Secondo l’indagine di Confindustria Padova, il 42,8 per cento delle imprese già in rete non rileva svantaggi. Quali opportunità garantisce oggi un sistema di aggregazione? «La crisi ha alzato l’asticella competitiva e stare sui mercati richiede dimensione adeguata, investimenti, offerte integrate. Il 97 per cento delle nostre imprese ha fino a 50 addetti, una dimensione spesso insufficiente per affrontare i processi di innovazione e internazionalizzazione necessari per competere. Dobbiamo unirci e lavorare insieme. Ma bisogna partire con il piede giusto, avere chiare le finalità e gli strumenti, i limiti e i punti di forza della rete. È nata da qui la decisione di Confindustria Padova di mettere direttamente in campo attività di supporto alle aggregazioni con il progetto “FaRETEam”. Un piano biennale articolato in una prima fase di formazione rivolta alla struttura interna, a imprenditori e manager con l’obiettivo di creare un team di “facilitatori di rete” e un luogo di confronto dove cogliere i fabbisogni di aggregazione e stimolare le collaborazioni tra imprese. Il progetto prevede anche la clusterizzazione della struttura produttiva provinciale per identificare i possibili ambiti di aggregazione. Quindi la fase proattiva della promozione di reti e network di imprese». \\\\\ DICEMBRE 2012


STRATEGIE GIAN DOMENICO CAPPELLARO

LA PREDISPOSIZIONE ALL’EXPORT RESTA ALTA Nonostante la crisi, le imprese bellunesi non hanno perso la loro vocazione al commercio estero. Gian Domenico Cappellaro spiega come sono cambiate le abitudini degli imprenditori

l mercato globale è diventato sempre più articolato e complesso, ma le imprese della provincia di Belluno hanno retto meglio di altre l’impatto della crisi economica sui mercati esteri. Anche la solida tradizione imprenditoriale del territorio, però, deve fare i conti con i problemi dell’accesso al credito: «Le piccole e medie imprese venete – spiega Gian Domenico Cappellaro, a capo degli industriali della provincia di Belluno – continuano poi a registrare difficoltà nei confronti del sistema bancario; la loro richiesta di credito aumenta mentre l’offerta si fa più selettiva. A questo fine Confindustria, sia a livello nazionale che regionale, ha avviato accordi con i maggiori istituti di credito al fine di facilitare l’accesso ai finanziamenti». Parliamo di internazionalizzazione. Qual è l’attitudine al commercio estero da parte delle imprese del territorio? «La provincia di Belluno conta di tante piccole e medie imprese, capaci di competere a livello mondiale anche nei settori più tecnologicamente avanzati. L’indice di propensione all’export nel 2010 è risultato pari al 43,3 per cento, valore nettamente superiore a quello medio veneto, 34,6 per cento, e nazionale, pari al 24,3 per

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↑ Gian Domenico Cappellaro, presidente di Confindustria Belluno

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60%

Export La quota, sul totale provinciale, detenuta dal distretto dell’occhialeria

cento. Siamo anche la patria di uno dei distretti industriali più conosciuti e ammirati a livello internazionale: quello dell’occhialeria, le cui esportazioni rappresentano, in valore, oltre il 60 per cento del totale provinciale. I nostri imprenditori hanno saputo col tempo trasformare la fortissima vocazione all’export in un reale processo di internazionalizzazione. Senza contare il fatto che oggi essere presenti sui mercati esteri, soprattutto quelli emergenti, è una delle poche strade per sopravvivere a questa durissima crisi. Purtroppo le nostre pmi scontano ancora il gap delle infrastrutture immateriali. Solo recentemente sono stati sbloccati i primi finanziamenti a favore della banda larga. Ora più che mai il digitale rappresenta un reale strumento per agganciare la ripresa, un moltiplicatore del potenziale produttivo e creativo». La crisi economica ha modificato le abitudini delle aziende bellunesi a rapportarsi con i mercati esteri?

→ “Big5 show”, la più grande fiera del settore edile dell’area del Golfo Persico

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«La vocazione all’internazionalizzazione è nel nostro dna. Certamente il quadro competitivo si è fatto più articolato e complesso, ma le nostre produzioni hanno retto meglio di altre l’impatto della crisi grazie alla maggior capacità di penetrazione sui mercati internazionali: nel 2009 l’export provinciale è calato del 17,1 per cento, a fronte di più elevate contrazioni accusate sia a livello regionale (21,5%) che nazionale (20,9%). Ma già nel 2010 la ripresa delle esportazioni è stata più intensa a Belluno (+19,7 per cento) che in Veneto, +16,2 per cento, e in Italia, +15,8 per cento. Sicuramente l’economia globalizzata ha reso più evidente a tutti che la consapevolezza che il modello di piccolissima impresa autonoma e autosufficiente, che ha connotato con grande successo la storia imprenditoriale del Nordest, non è più realistica. Nuove opportunità nascono con l’aggregazione di imprese e di competenze, creando network flessibili ed elaborando strategie di filiera condivise». Per quanto riguarda Confindustria, qual è il vostro ruolo nel percorso di internazionalizzazione delle imprese del territorio? «Mettiamo in campo iniziative utili ad agevolare la penetrazione delle nostre aziende nei mercati esteri: dal coordinamento di partecipazioni collettive a fiere in tutto il mondo - spesso affiancate dal sostegno di conDICEMBRE 2012


STRATEGIE GIAN DOMENICO CAPPELLARO

ESSERE PRESENTI SUI MERCATI ESTERI, SOPRATTUTTO QUELLI EMERGENTI, È UNA DELLE POCHE STRADE PER SOPRAVVIVERE A QUESTA DURISSIMA CRISI

tributi pubblici che andiamo a intercettare -, dalla pianificazione e gestione di missioni commerciali, con incontri b2b nei continenti e nei Paesi di maggiore interesse, alla realizzazione di “schede Paese” per la migliore comprensione dei relativi mercati. Organizziamo, inoltre, innumerevoli incontri e contatti con esperti commerciali, legali, doganali, finanziari e con ogni altro operatore specializzato nelle diverse problematiche che le aziende associate incontrano nel loro rapportarsi con i mercati internazionali. Ma non basta, oltre a ciò stiamo organizzando una serie di incontri per raccogliere istanze, idee e proposte dai nostri associati. Dai primi appuntamenti risulta chiara la necesNORD EST SVILUPPO

sità di sviluppare la propensione alla concentrazione. Il rischio che vogliamo evitare è quello che una piccola impresa finisca dentro strutture troppo burocratizzate e poco flessibili. Per questo è necessario mettere ordine e razionalizzare il sistema promozionale italiano all’estero». Quali sono le prospettive per il futuro dell’economia bellunese? «La situazione è ancora estremamente incerta. Contrazione dei mercati, inefficienza e bassissima competitività nel confronto internazionale del sistema pubblico e delle reti infrastrutturali rimangono i principali problemi che in questo momento penalizzano le imprese. La struttura produttiva bellunese è dinamica, ma dobbiamo muoverci verso una crescita dimensionale delle nostre produzioni, perché strutturandosi è più facile fare ricerca e innovazione e divenire globali. Inoltre, le ultime rilevazioni congiunturali disegnano una trasformazione del tessuto produttivo che senza perdere di vista il manifatturiero si sta orientando verso un maggior sviluppo del terziario avanzato. Le aziende hanno bisogno di servizi nuovi e flessibili: professionisti dell’import/export, di diritto internazionale, di reti digitali, nonché di esperti di piattaforme mobili di lavoro che rappresentano oggi un importante strumento competitivo per le piccole imprese». \\\\\ NMM DICEMBRE 2012

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STRATEGIE PAOLO PESCE

Il Veneto dispone di una struttura economica a forte vocazione internazionale da sostenere attraverso leve quali formazione, marketing, aggregazione e promozione. Lo spiega Paolo Pesce

RETI ED EXPORT MANAGER PER L’ECONOMIA VENETA 76

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→ Paolo Pesce, direttore dell’ufficio Ice di Verona

a realtà veneta è rappresentata da una moltitudine di pmi che si relaziona quotidianamente con i mercati esteri. «Secondo il “Rapporto Ice 2011-2012” – spiega Paolo Pesce, responsabile dell’agenzia Ice di Verona – queste aziende ammontano a 29mila unità». Si tratta di una forza imprenditoriale in grado di esprimere un fatturato estero annuo di oltre 50 miliardi di euro, che pone il Veneto al secondo posto, dopo la Lombardia, per valore dell’export. Quale profilo dell’internazionalizzazione emerge in Veneto? «Le esportazioni venete si dirigono, per circa il 60 per cento, verso i mercati dell’Ue. La Germania, il principale mercato di sbocco, ha aumentato gli acquisti dalla nostra regione, nel 2011, del 13,6 per cento; la Svizzera ha registrato un aumento del 26,2 per cento, la Russia del 19,5, la Turchia del 19,8. Nel corso degli anni, l’attenzione degli esportatori veneti si è gradualmente spostata verso i paesi dell’Europa dell’Est e dell’Asia orientale e centrale. Nell’estremo oriente le vendite sono aumentate nel 2011 del 24 per cento, raggiungendo un valore che ormai supera quello destinato al mercato nordamericano. Anche il mercato dell’America centrale e meridionale ha conseguito risultati positivi, con un aumento del 18,5 per cento. L’impegno del sistema economico veneto è quello di mantenere, accanto all’esplorazione delle nuove aree geoeconomiche più dinamiche in questa fase - ad esempio sub Sahara e Nord Africa - la presenza sui mercati tradizionali con processi di integrazione produttiva e distributiva». In quali comparti? «Nei settori dei beni di consumo non durevoli, quali la moda e l’agroalimentare, pilastri dell’export veneto, ma anche nei settori dei beni strumentali, per i paesi di recente industrializzazione e di modernizzazione della filiera agroalimentare, così come dei beni intermedi a elevata intensità tecnologica per le economie mature. Il salto qualitativo della piccola impresa e di una quota della media impresa non ancora internazionalizzate si fonda inizial-

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mente sull’investimento nelle risorse umane per figure di export manager di recente formazione. Sono disponibili sul mercato regionale giovani laureati con alta formazione in conoscenze linguistiche e di marketing internazionale, che debbono trovare accoglienza nell’impresa che vuole internazionalizzarsi, dando risposte alla domanda di lavoro delle nuove leve e rafforzando in concreto il progetto aziendale di sviluppo del commercio estero». Il recupero della flessione delle esportazioni subita nel biennio 2008-2009 è stato determinato dai settori di maggiore specializzazione distrettuale della regione. «Sì. Nello specifico dal settore macchinari e apparecchiature, che ha registrato nel 2011 un incremento delle esportazioni del 18 per cento a un valore di oltre 10 miliardi di euro; performance interessanti sono state raggiunte dal settore della calzatura (7 per cento) e della pelletteria (12,8 per cento). Tra le produzioni distrettuali si sono distinti i settori del mobile (5,6 per cento) e della

50 mld

Fatturato L’ammontare del fatturato estero annuo del Veneto supera i 50 miliardi di euro. La regione segue la Lombardia per valore dell’export

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Export Le esportazioni venete si dirigono, per circa il 60%, verso i mercati dell’Ue. La Germania è il principale mercato di sbocco

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STRATEGIE PAOLO PESCE

IL SISTEMA VENETO PUÒ MIGLIORARE LA SUA COMPETITIVITÀ SUI MERCATI MONDIALI ATTRAVERSO PROGETTI DI CONDIVISIONE IMPRENDITORIALE DI FILIERA gioielleria (4,7 per cento)». Su quali leve le imprese venete devono puntare per continuare a riacquistare competitività sui mercati esteri? «Accanto alla spinta dinamica che si origina dal distretto, il sistema produttivo veneto può migliorare la sua competitività sui mercati mondiali attraverso progetti di condivisione imprenditoriale di filiera, utilizzando lo strumento giuridico e di marketing della rete d’impresa. A ciò deve aggiungersi il necessario proseguimento delle operazioni di delocalizzazione strategica in aree confinanti con il Nord Est del Paese per sfruttare al meglio i diversi fattori produttivi: non solo il costo del lavoro, ma anche e soprattutto le infrastrutture logistiche, la ricerca e innovazione, l’efficienza burocratica territoriale e l’essere soggetti a sistemi fiscali compatibili con un corretto margine operativo a garanzia di futuri investimenti aziendali». In che modo si deve promuovere il sistema produttivo e le eccellenze venete? «Il sistema veneto gode, già oggi, di un apparato pubblicoprivato di sostegno all’internazionalizzazione tra i più avanzati in Italia. Promuovere un territorio così ampio e diversificato significa innanzitutto adottare sofisticate e avanzate strategie di marketing internazionale. Partendo dalla fortunata collocazione geografica, all’interno di un’area mitteleuropea, e facendo riferimento all’ormai radicato brand internazionale “made in Italy”, le istituzioni hanno il compito di valorizzare all’estero il particolarismo del “made in Veneto”, descrivendo le bellezze della terra veneta e il saper fare della sua gente. Questo produce un traino formidabile per l’industria turistica e l’indotto agroalimentare, che si manifesta poi anche con i beni di consumo del sistema moda e del sistema casa. Su questa leva della qualità anche i prodotti della meccanica ad alto contenuto tecnologico beneficiano dell’azione promozionale istituzionale, che si declina poi in azioni specifiche settoriali (incoming dei buyer internazionali, eventi fieristici)».

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STRATEGIE ALESSANDRO VARDANEGA

INNOVARE È VITALE Nonostante le imprese siano prudenti negli investimenti, vi è sul territorio una percentuale significativa di aziende che sviluppa interessanti iniziative d’innovazione. Ne parla il presidente di Confindustria Treviso Alessandro Vardanega

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nindustria Treviso ha attivato da circa due anni la società Unir, dedicata a promuovere e sviluppare la ricerca e l’innovazione nelle aziende associate con un servizio completo su tutte le fasi di sviluppo dei progetti. Unir si propone di essere un interlocutore che nasce dalle imprese e capace di dialogare con le imprese, individuandone innanzitutto le esigenze e i problemi per poi tradurli in iniziative d’innovazione, di prodotto, processo e servizi. «Vengono così sviluppate – spiega il presidente degli industriali trevigiani Alessandro Vardanega – grazie all’appartenenza all’associazione, le opportunità di fare rete e di collaborare tra imprese, delle relazioni con i centri di ricerca in Italia e all’estero e viene facilitato l’accesso ad agevolazioni e strumenti finanziari per lo sviluppo di attività di R&S, che le nostre pmi spesso non conosco o non riescono ad approcciare con successo». Che importanza riveste la ricerca industriale per le imprese e quali sono i settori del tessuto produttivo veneto che più ne necessitano per accrescere la loro competitività? «Consideriamo l’innovazione, in tutte le sue forme, come uno dei driver che possono aiutare il sistema industriale veneto e italiano ad affrontare, e superare, questa fase di prolungata e profonda crisi. Una diffi-

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coltà che non è solo congiunturale - come avveniva in passato - ma che è effetto di una trasformazione storica negli equilibri economici mondiali e nelle stesse modalità del fare imprese. È chiaro quindi che innovare diventa, se possibile, ancor più vitale rispetto al passato. Altri driver fondamentali per le imprese sono l’aumentata capacità di internazionalizzazione e lo sviluppo di forme di aggregazione per affrontare meglio le rinnovate sfide competitive che arrivano da mercati a dimensione globale». Qual è a oggi la percentuale delle imprese trevigiane che investono in ricerca? «Il grave momento di recessione rende naturalmente prudenti le imprese negli investimenti, ma in ogni caso vi è una percentuale significativa di nostre aziende, anche di piccola dimensione, che continua a sviluppare interessanti iniziative di innovazione. Occorre pensare a un approccio che non veda l’innovazione solo come invenzione originale o ricerca pura - che non sempre è alla portata delle pmi - quanto piuttosto come “innovazione d’uso”. Grazie alla rete possiamo disporre agevolmente di conoscenze “originali”, anche se sviluppate in contesti lontani a costi molto inferiori rispetto a prima. La possibilità di accedere a questi saperi è quindi essenziale, per le imprese e la comunità. Anche per questo la banda larga è un’infrastruttura altrettanto strategica di un’autostrada se non di più».

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È FONDAMENTALE LO SVILUPPO DI FORME DI AGGREGAZIONE PER AFFRONTARE IL MERCATO GLOBALE Come giudica il trasferimento tecnologico tra università, istituti di ricerca e imprese locali? «È un processo che si è intensificato, anche se persistono delle difficoltà di dialogo e nella possibilità di condividere iniziative in comune dove l’università tende in genere a privilegiare la ricerca pura - che è certamente essenziale - mentre l’impresa guarda di più alla ricerca applicata e con ricadute nel breve termine. È opportuno affrontare e superare questi problemi e, in ogni caso, vi sono molti esempi positivi in tale direzione. Una via potrebbe essere nella collaborazione con gli spin-off che nascono nelle Università, anche a Nord Est, promossi da giovani laureati e docenti per lo sviluppo applicativo di qualche invenzione. Si potrebbe in questo modo creare una nuova generazione imprenditoriale attraverso le start-up con il sostegno delle imprese industriali già consolidate che avrebbero un apporto d’innovazione qualificata necessaria alla trasformazione competitiva». Sono attivi sul territorio locale progetti di ricerca industriale particolarmente interessanti? «Sono molteplici e spesso, come si dice, fa più rumore un albero che cade rispetto ai mille fili d’erba che crescono. Pur nella crisi che attraversiamo, ho molto spesso

↑ Il presidente di Unindustria Treviso Alessandro Vardanega

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l’occasione di intervenire alle cerimonia di inaugurazione di nuove sedi produttive di imprese associate della provincia di Treviso e in ogni situazione, in tutti i settori merceologici di cui è ricco il nostro territorio, trovo iniziative d’innovazione, nella produzione come nella gestione organizzativa, che rendono queste imprese capaci di competere con successo nei mercati internazionali, anche i più lontani». Quali gli strumenti che andrebbero più sfruttati per sviluppare una cultura di impresa orientata all’innovazione e quale il personale contributo di Unindustria Treviso? «Certamente è essenziale la leva fiscale, come la nostra associazione ha più volte sostenuto pubblicamente e così come hanno fatto e fanno numerosi Paesi con ottimi risultati. La pressione fiscale sulle imprese e sui cittadini è sicuramente eccessiva e per questo penalizzante sugli investimenti e sui consumi. Sappiamo che una sua riduzione a livelli più accettabili non sarà a breve ma se vogliamo rilanciare lo sviluppo nel nostro Paese occorre adottare almeno degli strumenti che possano promuovere la crescita e le nuove iniziative. Riteniamo, ad esempio, che il meccanismo del credito d’imposta potrebbe essere un efficace strumento di politica industriale proprio per incentivare le iniziative d’innovazione del sistema industriale italiano, valorizzandone le eccellenze, guidarne la trasformazione e così ridargli competitività in ambito europeo e mondiale». \\\\\ RG

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STRATEGIE LUIGI BRUGNARO

LA RICERCA MIGLIORA LA QUALITÀ DELLA VITA «Il nostro standard di vita futuro - dichiara il presidente degli industriali veneziani Luigi Brugnaro - dipende dalla capacità di stimolare l’innovazione. Ed è per questo che è stata posta al centro della strategia Europa 2020» l vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, presentando i dati di una recente ricerca che ha messo a confronto diverse regioni europee, ha sottolineato come, su quattro gradi di merito decrescenti, il Veneto e altre cinque regioni del Nord Italia si posizionino al secondo livello e che le pmi, quelle venete assieme a quelle di Lombardia e Piemonte, meritino il gradino più alto della classifica. «A innovare, quindi, siamo bravi – commenta il presidente di Confindustria Venezia Luigi Brugnaro – ma la concorrenza è una scommessa continua che una volta accettata non consente di allentare mai la tensione competitiva». L’ultimo dato disponibile, tratto dall’Annuario statistico della Regione Veneto 2012, che risale al 2009, ci dice che le imprese venete hanno speso 981 milioni di euro in ricerca: circa 1.200 imprese, ciascuna delle quali ha investito un po’ di più di 750.000 euro. Con quali strumenti Confindustria Venezia favorisce le imprese che puntano su ricerca e innovazione? «Gli esempi sarebbero molti, ma mi soffermo solo sulle iniziative più recenti. Abbiamo lavorato assieme alle altre categorie economiche per sostenere, attraverso la Camera di Commercio, progetti delle aziende di innovazione nell’Ict, nel risparmio ed efficienza energetica e indetto un bando

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↑ Il presidente di Confindustria Venezia Luigi Brugnaro

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STRATEGIE LUIGI BRUGNARO

STIAMO SPERIMENTANDO, IN ACCORDO CON L’ATENEO VENEZIANO, DOTTORATI DI RICERCA SU PROGETTI DA SVOLGERE IN AZIENDA

per la trasformazione delle imbarcazioni che solcano la laguna con motorizzazione ibrida». L’innovazione non è esclusiva della produzione manifatturiera ma riguarda anche servizi, beni o processi di natura diversa. «Sì. Pensiamo al design e come questo sia frutto di uno strano e raro mix di abitudine al bello e propensione al nuovo. Il valore aggiunto che apporta funzionalità e significati a un oggetto lo trasforma e ne condiziona l’acquisto prevalentemente per il carattere comunicativo. È il segreto alla base del made in Italy, che è diventato tratto distintivo di un intero stile di vita. L’innovazione è, quindi, una leva fondamentale per tutte i settori. Le nuove tecnologie sono talmente pervasive che permettono di fare molte delle cose che ci circondano, meglio o impiegando meno risorse. Basti pensare a cosa significa per una città come Venezia, in termini di attrattività turistica, la fruibilità del suo patrimonio artistico e culturale e quanto questo possa essere favorito con i nuovi mezzi della comunicazione. Il dialogo con i produttori della conoscenza sta alla radice di queste sfide, ma serve uno sforzo reciproco di condivisione degli obiettivi: da una parte, occorrono convinzione e investimenti e, dall’altra, un’ottica di rimuneratività della ricerca e di tempi adeguati al ritorno dei capitali. Un po’ come quello che succede nelle grandi università americane che ottengono 84

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finanziamenti dalle imprese su obiettivi triennali e con regole assolutamente chiare». Quali progetti di ricerca industriale si sono distinti per la loro eccellenza? «Un vanto della ricerca è sicuramente Veneto Nanotech, una struttura di ricerca sulle nanotecnologie che qui a Venezia, nel Parco scientifico Vega, ha i suoi principali laboratori. So che hanno in corso una ricerca particolarmente interessante nel campo del green building: un sistema modulare per coperture edilizie portanti con caratteristiche antisismiche e ignifughe, con proprietà isolanti e con integrato un sistema fotovoltaico, tutto in uno grazie ai prodigi delle nanoparticelle». Come è possibile diffondere una cultura d’impresa volta all’innovazione? «Come associazione stiamo sperimentando, in accordo con l’Università di Venezia, lo svolgimento di dottorati di ricerca su progetti aziendali da svolgersi prevalentemente in azienda. In pratica, l’azienda assume il dottorando in qualità di apprendista e gli affida un progetto, concorda i contenuti con la facoltà di riferimento, si va da ingegneria a biotecnologie. Il laureato porta avanti la ricerca in azienda, ma in stretto collegamento con l’università. Al momento sono una cinquantina i dottorati, ma sono certo che il sistema darà buoni risultati e andrà esteso». \\\\\ RG DICEMBRE 2012



INTERNAZIONALIZZAZIONE I ALESSANDRA CHIAVELLI

LA MODA BIMBI ALL’ESTERO L’estero si apre sempre più al childrenswear italiano, che, grazie anche alle linee eleganti e pratiche, sa proporsi ai clienti attraverso diversi strumenti e strategie commerciali ad hoc, illustrate da Alessandra Chiavelli

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l childrenswear Made in Italy percorre strade sempre più diversificate, guardando soprattutto all’estero, dove linee che coniugano comfort e eleganza, sono sempre identificative della modalità produttiva de Il Gufo SpA, società che da trent’anni a questa parte si è allargata fortemente, come mostrano i numeri: 700 sono i negozi e 35 i paesi clienti, per una realtà che negli ultimi 5 anni ha raddoppiato il fatturato. Come dichiara Alessandra Chiavelli, amministratrice de Il Gufo Retail Srl, all’apertura del punto vendita monomarca al 962 di Madison Avenue, nel cuore del distretto dell’eleganza di New York, sono seguite le inaugurazioni di corner in altre città. E per il 2013 è previsto il raggiungimento di nuovi traguardi. A che punto siete nel vostro progetto di internazionalizzazione? «Per quanto riguarda l’Europa, i paesi che continuano ad avere un ruolo strategico per il nostro business sono la Russia, la Germania e il Belgio. Al di fuori del Vecchio

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700 Negozi nel mondo, di cui 350 in Italia, sono i clienti de Il Gufo, azienda italiana che sta estendendo il proprio business all’estero

Continente, vogliamo consolidarci in America, in Giappone e nell’area del Far East. Per quanto riguarda il 2013, intendiamo proseguire lo sviluppo del progetto corner iniziato nel 2012. Nel corso di quest’anno abbiamo infatti inaugurato un corner da Harrods, uno presso un nostro importante cliente di Ginevra e un altro in un lussuoso department store in Giappone (Hankyu); altri saranno aperti in Russia e nel Far-East. In Cina, invece, siamo presenti presso sei punti vendita multibrand nelle località a maggiore potenziale commerciale e per il nuovo anno intendiamo allargarci ad altri negozi multibrand nella Cina Occidentale, dove abbiamo anche in progetto l’apertura di un monomarca». Che cosa state realizzando sul fronte dell’e-commerce? «Abbiamo recentemente affiancato allo shop online sul sito ilgufo.it una piattaforma di e-commerce apposita-

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Alessandra Chiavelli, Retail & Marketing Manager de Il Gufo SpA e titolare de Il Gufo Retail Srl. La società ha sede ad Asolo (TV) www.ilgufo.it

mente studiata per il mercato statunitense e stiamo prendendo accordi con altri importanti partner internazionali. Quello che ci prefiggiamo è essere posizionati in punti vendita on line con proposte in season a prezzo pieno, gestite dai migliori operatori nel paese di riferimento». Quali sono i vostri obiettivi per quanto concerne il retail? «Sul territorio italiano, siamo dislocati con le nostre boutique a Treviso, Pordenone, Cortina d’Ampezzo, Milano, Torino, Firenze. Di recente apertura è quella di Roma, che, insieme al punto vendita di New York, rappresenta un modo per dare ulteriore slancio alla riconoscibilità del nostro brand, perché ci permette di consolidare il marchio in un contesto cosmopolita, frequentato da una clientela internazionale». Che cosa consente ai capi de Il Gufo la riconoscibilità e l’apprezzamento nei mercati in cui siete presenti? «Quello che permette di distinguerci nei diversi mercati di riferimento sono i capi realizzati con materiali di qualità, frutto di attente ricerche e in cui le linee rappresentano una interpretazione dei trend adulti adattati all’universo e alle esigenze dei più piccoli. Eleganza e comfort si coniugano, garantendo la massima vestibilità ai più piccoli, ma al contempo, veicolando l’identità della nostra Maison». \\\\\ AM

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INNOVAZIONE I RENZO RONCADIN

L’ALIMENTARE SFORNA INNOVAZIONE Il settore alimentare, uno dei mercati più significativi del sistema produttivo italiano ed europeo, necessita di costanti innovazioni. Renzo Roncadin illustra come innovare la cottura a legna rispettando le tradizioni

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ll’interno delle attività manifatturiere italiane, l’industria alimentare rappresenta il quarto comparto per numero di imprese. Con circa 55 mila realtà, pari al 13 per cento del totale manifatturiero, questo settore impiega 392 mila addetti. Secondo gli ultimi dati Istat, l’innovazione interessa oltre la metà delle imprese del settore alimentare. La propensione a innovare e l’impegno finanziario sostenuto da queste imprese per le attività innovative sono valori lievemente inferiori a quelli medi registrati dal complesso dell’industria manifatturiera: nel triennio 2006-2008 ha effettuato innovazioni il 51,2 per cento delle imprese del settore alimentare, contro il 54,4 per cento della media del manifatturiero. L'innovazione tecnologica è quindi da considerare come leva di competitività per l'industria alimentare. È su questa idea che si basa la Clm Bakery System Srl, giovane realtà produttrice di forni e impianti per la panificazione. Dopo un periodo di sperimentazione e grandi investimenti in ricerca e sviluppo, oggi l’azienda di Meduno (PN), che ha registrato 4 milioni di fatturato nell’ultimo anno, affronta la

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51,2% Imprese alimentari che hanno effettuato innovazioni nel triennio 2006-2008, contro il 54,4 per cento della media del manifatturiero

crisi investendo su innovazioni di prodotto e processo produttivo. «Abbiamo presentato all’Iba di Monaco di Baviera - afferma il titolare Renzo Roncadin -, una delle fiere più importanti del settore del bakery, prodotti innovativi e altamente tecnologici, che hanno riscosso molto successo tra i clienti europei e americani. In particolare, abbiamo creato e sviluppato un concetto nuovo, che è quello legato all’industrializzazione della cottura a legna». Con la collaborazione di uno staff esperto e specializzato, Clm Bakery System offre oggi una vasta gamma di strumenti che abbinano tecnologie all’avanguardia a una ricerca costante dei sapori della tradizione artigianale di un tempo. «I nostri sono particolari forni a tunnel - aggiunge Roncadin -, alimentati a gas o a legna, che dispongono dell’innovativo e brevettato sistema di cottura a calore avvolgente e sono affiancati da attrezzature complementari per la panificazione, come la cella di lievitazione libera, che consente grande flessibilità nella scelta dei tempi di lievitazione, a prescindere dal tempo di cottura». I sistemi innovativi di Clm Bakery System non solo rispettano la tradizione, ma anche l’ambiente, consentendo di ri-

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Renzo Roncadin, titolare di Clm Bakery System Srl, Meduno (PN) www.bakerysystem.it

durre l’emissione di gas nell’atmosfera. A questo si abbina una serie di tecnologie e prodotti, della lievitazione, alla pressatura per la formazione della pizza, a speciali dosatori di prodotto, che ricoprono quella parte del processo produttivo che ha inizio dalla formazione del prodotto alimentare e si conclude con la sua uscita dal forno. «Chiaramente - continua il titolare - ogni impianto è personalizzato per soddisfare le esigenze specifiche di ogni cliente. Negli anni abbiamo creato macchinari e forni su misura, cercando di risolvere i problemi dei nostri clienti». Oggi il mercato di riferimento di questa giovane ma già affermata azienda è l’Europa, in particolare Inghilterra, Germania, e Svizzera. «Stiamo riscontrando grande interesse da parte degli imprenditori americani - conclude Renzo Roncadin -, che apprezzano le nostre tecnologie e desiderano investire negli impianti per la panificazione italiani. In futuro ci proponiamo di sviluppare ulteriormente questo mercato, aumentando la nostra produttività e proponendo costantemente macchinari innovativi. Tutto questo rispettando la tradizione, allo scopo di mantenere la qualità dei prodotti artigianali». \\\\\ VG

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INNOVAZIONE I DONATELLA CHIAROTTO

ANTISISMICO, TECNOLOGIA ITALIANA Il terremoto che ha sconvolto l’Emilia ha riproposto drammaticamente il problema. Donatella Chiarotto mostra le possibilità di prevenzione che l’innovazione italiana oggi permette

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n problema che continua a essere sottovalutato nonostante le innumerevoli conferme del suo rischio colossale. Gli eventi sismici in Italia continuano a fare vittime, e sul conto dei decessi si aggiunge, come se non bastasse, l’incalcolabile entità di danni economici che si trasformano subito in emergenza sociale. L’ultimo esempio, che ha gettato l’ennesima ombra inquietante sulla gestione italiana del pericolo, risale allo scorso maggio, quando l’intera Emilia tremò per un terremoto con epicentro nel modenese: in alcuni paesi della provincia, così come successe anche per L’Aquila, stanno ancora aspettando una ricostruzione. Eppure proprio in Italia risiedono delle vere e proprie eccellenze, riconosciute in tutto il mondo, per la progettazione e realizzazione di dispositivi antisismici. Donatella Chiarotto guida una delle aziende leader del settore a livello internazionale, la Fip Industriale di Selvazzano Dentro (PD), con la certezza che l’innova-

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quota del fatturato che Fip Industriale destina ogni anno all’attività di ricerca e sviluppo di nuovi sistemi e di nuovi materiali

150 Il numero di brevetti che costituiscono il patrimonio intellettuale e industriale della Fip Industriale nel settore meccanico ed edile

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Donatella Chiarotto, titolare della Fip Industriale con sede a Selvazzano Dentro (PD) www.fip-group.it

zione nel suo campo abbia la massima priorità. «Purtroppo, molte volte a questi dispositivi ci si pensa dopo – dice la Chiarotto – perché in Italia non c’è ancora la cultura della prevenzione, nonostante gli ultimi eventi abbiano contribuito a rendere più sensibile l’opinione pubblica sull’argomento. Il territorio italiano ha un rischio sismico molto forte, eppure a livello legislativo siamo stati per molti anni in forte ritardo. Proprio per contrastare questa tendenza, la Fip Industriale ultimamente si è mossa nel tentativo di allargare il contributo del 55 per cento sul risparmio energetico anche per l’inserimento dell’isolamento sismico negli edifici. I costi del post-sisma sono sicuramente più ingenti del prezzo di un dispositivo anti-sisma». Cosa s’intende per dispositivo antisismico e come funziona? «Ce ne sono di diversi tipi, ma in generale possiamo dire che i dispositivi antisismici assorbono l’energia prodotta dal terremoto, quindi modificano gli effetti delle azioni dinamiche sulla struttura. Per ottenere questo risultato ci sono più sistemi, come per esempio quello degli isolatori, che aumentando il periodo di oscillazione riducono le forze inerziali e quindi limitano le accelerazioni trasmesse. Oppure i dispositivi a memoria di forma, che sfruttano le proprietà delle leghe a memoria di forma e riducono gli effetti del sisma nelle strutture monumentali: sono stati usati anche nella ristrutturazione dopo sisma della basilica DICEMBRE 2012

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INNOVAZIONE I DONATELLA CHIAROTTO

20% Crescita del fatturato della FIP Industriale nonostante il periodo attuale di recessione

di San Francesco ad Assisi. In questo campo siamo stati dei precursori, perché è dal 1974 che studiamo questo tipo di tecnologia. I primi dispostivi sono stati provati anche direttamente sul campo: mi riferisco ai Viadotti Savio e Somplago, in Friuli. Durante il terremoto del 1976, il viadotto con i nostri dispositivi ha resistito mentre quello che ne era privo crollò. Questo ci ha dato più forza per ricercare nuove tecnologie, che negli anni 80 furono applicate soprattutto in ponti e viadotti tanto da portare l’Italia a essere leader mondiale per il numero di applicazioni in questo settore. Come azienda i dispositivi antisismici rappresentano il nostro core business e ne abbiamo una gamma molto vasta». Tra questi quale potrebbe essere un vostro prodotto di punta? «Forse gli isolatori a scorrimento a superficie curva, che sono dispostivi di appoggio in acciaio con una legge di funzionamento riconducibile a quella del pen106

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dolo semplice. La caratteristica è che il periodo di oscillazione non dipende dalla massa supportata dall’isolatore ma dalla lunghezza del pendolo stesso: ci sono tre elementi di acciaio sovrapposti, una a base concava nella parte superiore, opportunamente sagomata per ottenere il periodo di oscillazione desiderato, una rotula convessa al centro e poi l’ultimo che viene accoppiato e che quindi permette le rotazioni. La particolarità quindi è l’indipendenza del periodo di oscillazione dalla massa gravante: l’indipendenza dalla massa rende il dispositivo molto flessibile e utilizzabile sia per edifici leggeri, ad esempio in legno, che per grandi ponti». Se per voi l’innovazione è così importante la voce ricerca e sviluppo dovrebbe avere un certo peso sul vostro bilancio. «Abbiamo sempre investito molto sull’innovazione perché costituisce un punto di forza irrinunciabile: sul nostro fatturato la ricerca pesa per circa il 10 per cento. Prendiamo parte a progetti di ricerca europei e italiani. Inoltre, a ulteriore prova dell’importanza che conferiamo a questo aspetto, partecipiamo alle attività dei gruppi di lavoro che elaborano le normative di settore sia a livello nazionale (Uni, Glis) che inDICEMBRE 2012


I NOSTRI DISPOSITIVI SI TROVANO ANCHE SU PONTI COME IL RION ANTIRION IN GRECIA ternazionale (Cen, Eota, Iso) oltre che nell’appartenenza ad associazioni legate all’ingegneria strutturale (Aicap, Iabse, Aci, Aipcr) e di categoria (Acedis, Acai, Ance). Tutto questo ha fruttato circa 150 brevetti di nostro patrimonio intellettuale». Che risultati ha portato questa vostra politica aziendale? «A grandi soddisfazioni come quella di essere considerati partner ideali di alta ingegneria civile. Noi vendiamo a chi ha bisogno di prodotti altamente tecnologici e i nostri dispositivi sono presenti in tutto il mondo, come per esempio su alcuni dei ponti più importanti: i tre ponti che collegano la città di Hong Kong al suo aeroporto, o l’Oresund che collega la Danimarca con la Svezia o sul Caracas Tuy medio in Venezuela. Anche il Taipei 101, uno dei tre edifici più alti del mondo, è protetto da nostri dispositivi, che abbiamo studiato non solo per i terremoti, ma per resistere alle fortissime raffiche di vento che in quella zona sono all’ordine del giorno». E in termini invece più squisitamente economici? «Nell’ultimo anno abbiamo avuto un aumento del fatturato del 20 per cento, aumento dell’export che arriva a essere il 40 per cento del totale e per fine anno NORD EST SVILUPPO

prevediamo una conferma di questo incremento. Insomma, un anno positivo, anche se con una limitazione dei margini di contribuzione. Questo però è sicuramente dovuto al periodo di crisi che ormai tutti ben conoscono: insolvenza, difficoltà di accesso al credito e calo della domanda hanno colpito anche noi. In ogni caso il settore della meccanica, cioè quello dei dispositivi anti-sismici ha visto un incremento e ora stiamo portando avanti la produzione delle cerniere per il Mose, oltre ad avere chiuso un’importante trattativa in America del Sud. Per il prossimo futuro non possiamo che essere ottimisti, cercheremo di confermare la nostra presenza in Sud America e in Cina, dove abbiamo progetti interessanti e che sicuramente rappresentano due mercati molto importanti per noi: sono paesi con grandi prospettive di sviluppo. Anche il Nord Africa era compreso fino a non molto tempo fa in questo quadro, ma ora per ovvi motivi è molto meno sereno». \\\\\ RF DICEMBRE 2012

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TECNOLOGIE I MARIO BASSO

IL SETTORE METALMECCANICO INVESTE

Ricorrere a macchinari e software sempre pi첫 evoluti, per soddisfare rapidamente le richieste. Mario Basso spiega come sta contrastando la stagione critica del metalmeccanico pordenonese

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er il comparto metalmeccanico pordenonese, il saluto al 2012 sarà un addio senza rimpianti. Stando infatti ai dati definitivi aggiornati a giugno di quest’anno, sommati alle prime stime del secondo trimestre, l’andamento dell’industria locale dedita alla lavorazione dei metalli ha seguito una parabola discendente, con variazioni complessivamente negative per i principali gli indicatori economici del settore. Fino a metà dell’anno, per dare l’idea, l’indagine di Pordenone Congiuntura attesta una contrazione del fatturato del metalmeccanico pordenonese del -3,7 per cento, mentre se si considera il solo fatturato estero il calo è stato del 2 per cento. Un dato che si rispecchia nella flessione del 1,1 per cento dei volumi produttivi e nella fuoriuscita di addetti dal comparto superiore al 3,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011. In un contesto di generale sofferenza, caratterizzato anche da aziende costrette a segnare il passo, ci sono però realtà che stanno affrontando a testa alta la crisi, in virtù di un grande patrimonio tecnologico di uomini e mezzi acquisito e sempre perfezionato nel corso degli anni. È il caso della BBT di Tiezzo di Azzano Decimo, che da ben 22 anni si occupa di costruzione e progettazione stampi, realizzando prodotti secondo sofisticati sistemi computerizzati e mantenendo gli standard di qualità e precisione richiesti dal mercato. Aspetti che uniti a un completo controllo delle varie fasi di lavoro e il rispetto dei termini di consegna concordati, ha permesso alla BBT di reggere l’urto con la difficile stagione, tenendo anche a bada la concorrenza. «Lavorando con serietà e onestà – spiega il titolare Mario Basso –, riusciamo a garantire la massima qualità del prodotto al nostro cliente, che la può constatare risparmiando sulle manutenzioni

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Mario Basso, titolare della BBT di Tiezzo di Azzano Decimo (PN), insieme ai figli che collaborano con lui in azienda www.bbtstampi.it

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10% L’incremento di fatturato fatto registrare quest’anno dalla BBT Srl

non programmate. La flessibilità produttiva da sempre è un nostro punto di forza». Fondata nel 1990, l’azienda vanta un’alta specializzazione in tutte le fasi che attendono alla realizzazione di stampi e trancianti di pressofusione delle leghe leggere (alluminio e zama), realizzati in dimensioni medio grandi e integrati su isole di lavoro robotizzate. Una cifra di qualità riconosciuta dalla clientela, costituita in larga misura da fonderie di pressofusione di leghe leggere, e che trova conferma nel trend di business dell’anno in corso. «Quest'anno – rivela Basso - l'azienda ha avuto un incremento di fatturato di circa 300 mila euro, pari a un +10 per cento rispetto all'anno 2011». Numeri che, letti in proiezione, spianano la strada a una chiusura di 2012 con un utile «che ci permetterà di realizzare nuovi investimenti per aumentare ulteriormente le nostre capacità produttive e di servizio nei confronti del mercato». DICEMBRE 2012

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TECNOLOGIE I MARIO BASSO

Una gestione attenta e lungimirante quella adottata dalla BBT che ha dimostrato da un lato di saper solcare le onde della recessione, mettendo in campo un controllo serrato dei costi interni a fronte di un aumento delle richieste di interventi da evadere in tempi brevissimi mantenendo però il livello qualitativo elevato sempre garantito dall’azienda. Ma dall’altro ha sempre tenuto un occhio aperto sul fronte investimenti, nell’intento di ottimizzare modalità di lavoro e apparato logistico. «Nell'ultimo semestre – sottolinea Basso - è stato fatto un investimento indirizzato al risparmio energetico attraverso l'installazione di un sistema fotovoltaico che ci ha permesso di lavorare senza interruzione per tutto il periodo estivo». Del resto, la sensibilità ai temi ecologici non è una novità in casa BBT. «Abbiamo un sistema di gestione dei rifiuti e delle sostanze utilizzate nel ciclo produttivo – aggiunge Basso - controllato sia da noi, che con il supporto di una società esterna che esegue periodicamente delle verifi112

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che interne». La volontà di consolidamento dell’azienda, tuttavia, non si traduce solo negli interventi improntati all’efficienza energetica, ma in una filosofia di crescita applicata a tutte le aree funzionali. «Ogni volta che l'azienda ha delle risorse da investire – spiega Basso - valutando attentamente il paniere degli ordini confermati, indirizziamo tutto verso nuove tecnologie di lavoro, a partire dai macchinari e dai software di progettazione». Due ambiti che già oggi dispongono di mezzi di prima qualità, come i sistemi Cad-Cam (per quanto concerne la progettazione e l’elaborazione dei percorsi utensili per le macchine a Cnc) e le fresatrici ed elettroerosioni a Cnc - controllate su 5 assi in grado di lavorare 24 ore su 24 relativamente all’officina produttiva. «Attualmente vorremo ampliare i nostri spazi produttivi – afferma Basso per poter installare nel nostro flusso produttivo una mac-

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UNA MACCHINA DI PRESSOFUSIONE CI PERMETTERÀ DI ESEGUIRE LE CAMPIONATURE DIRETTAMENTE

china di pressofusione che ci permetta di eseguire le campionature direttamente in casa, con relativo rilascio dei certificati di collaudo dei campioni. In questo modo potremo consegnare gli stampi già pronti per l'uso, accorciando anche i tempi di avviamento delle produzioni e di evasione dei pagamenti». Quello della ricerca di nuove apparecchiature tecnologicamente più avanzate è un punto fermo nella politica aziendale della BBT Srl, che agisce quotidianamente per mettersi nelle condizioni di acquisire commesse per lavori sempre più precisi ed complessi. «La tecnologia su cui noi stiamo già svolgendo delle valutazioni – spiega Basso - è quella di nuovi software di simulazione preventiva dei processi di colata, che ci permettano di anticipare e risolvere eventuali problematiche dovute alla complessità dei particolari da produrre. Al momento

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stiamo aggiornando periodicamente i nostri software interni di Cad/Cam, in modo da ridurre al minimo i margini di errore nella fase produttiva». Una visione rivolta costantemente al potenziamento di una competitività già solida entro i confini nazionali e che in prospettiva, punta ad allargare gli orizzonti. «Attualmente non lavoriamo per l'estero, ma abbiamo partecipato ad alcune manifestazioni all’estero per valutare la situazione della domanda. Si sa che la concorrenza all’estero è avvantaggiata da costi di produzione molto più ridotti rispetto a quelli in Italia, ma il nostro obiettivo – sostiene Basso - è comunque quello di cercare nuovi sbocchi in Paesi esteri sia europei che extraeuropei». Traguardi di mercato ambiziosi, che presuppongono un continuo monitoraggio del valore degli ordini per mettere in atto i piani appena esposti. «Stiamo valutando in queste settimane i nuovi budget per il 2013. Grazie alla stretta collaborazione dei miei giovani soci Daniele Milani, Michaela e Silvia Basso, rinnoveremo il nostro impegno a veicolare il messaggio di solidità e intraprendenza che guiderà il futuro della BBT». \\\\\ AF DICEMBRE 2012

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TECNOLOGIE I DATA SERVICES

TRA CLOUD E SOFTWARE GESTIONALI

Nonostante la recessione, il settore IT e alcune sue applicazioni rappresentano ancora una delle voci pi첫 importanti nel terziario italiano. Il commento di Francesco Sartorel della Data Services

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l rapporto Assintel 2012 ha fatto il punto della situazione del mercato dei software e dei servizi IT. E ciò che ne emerge non sono di sicuro dati entusiasmanti per il settore italiano dell’Information Technology, che nell’ultimo anno ha subito una grave flessione negativa e si avvia a chiudere questo difficile 2012 con una tasso di decrescita del 3,2 per cento. Gli unici comparti IT in controtendenza sono quelli dei tablet e soprattutto del cloud computing, la cosiddetta nuvola informatica, che addirittura fa segnare un più 57,8 per cento. Ecco allora che il cloud cattura l’attenzione delle società informatiche, tra cui anche la Data Services, software house di Roncade, in provincia di Treviso, specializzata nella produzione e rivendita di software per gestione paghe e contabilità, rilevazione presenze, gestione aziendale, documentale e archiviazione. Una realtà che, da sempre, affianca importanti realtà aziendali e professionali, in particolare commercialisti e consulenti del lavoro, proponendo tecnologie di ultima generazione rivelatesi strategiche nel supportare la gestione d’impresa. «Un’importante novità che introdurremo nel 2013 – commenta Francesco Sartorel, responsabile della rete di vendita indiretta della Data Services – riguarderà proprio il cloud computing, in quanto stiamo lavorando per evolvere i nostri prodotti e i nostri pacchetti software in modo da trasportarli e farli interagire con l’ambiente cloud».

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Oltre a entrare nel mondo della nuvola informatica, quali altri obiettivi si pone Data Services per il 2013? «Contiamo di riuscire ad acquisire una nuova fetta importante di mercato, soprattutto in quelle zone dove siamo ancora poco conosciuti, per esempio il Sud Italia. Già quest’anno siamo riusciti nell’intento, abbiamo infatti aumentato del 15 per cento il nostro parco clienti e, di conseguenza, anche il fatturato complessivo dell’azienda è cresciuto». In questo momento di forte crisi e flessione, quali sono secondo lei le criticità maggiori del settore IT in generale? «I problemi principali riguardano l’infrastruttura ita-

15% Aumento del parco clienti della Data Services Srl registrato nel corso del 2012. Con conseguente incremento del fatturato

Da sinistra, il management della Data Services di Roncade (TV): Antoniano Mian, servizi assistenza e consulenza paghe, Oliviero Minetto, responsabile software paghe, e Maurizio Pavan, responsabile commerciale www.dataservice.it

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TECNOLOGIE I DATA SERVICES

Da sinistra, Francesco Sartorel, responsabile rete di vendita indiretta, e Antonio Zanatta, responsabile software contabilità, della Data Services Srl di Roncade (TV)

STIAMO SVILUPPANDO UN SOFTWARE GESTIONALE CHE INTEGRA BUSINESS INTELLIGENCE E DATAWARE HOUSE

liana inadeguata e carente, in special modo proprio in merito al cloud computing, la scarsa preparazione che le scuole forniscono in ambito informatico – l’insegnamento dell’informatica dovrebbe essere obbligatorio sin dalla scuola dell’obbligo – e la mancanza di master volti a trasferire conoscenze e know how, passaggio di cui si dovrebbero occupare le associazioni di categoria e gli industriali stessi». Chi sono i vostri principali interlocutori e su cosa state lavorando al momento? «I nostri software sono rivolti a chi opera nel campo della gestione delle imprese, ovvero commercialisti, consulenti del lavoro, associazioni di categoria e professionisti in genere. A loro stiamo per offrire un software gestionale erp in grado di facilitare il lavoro di gestione del personale e della contabilità, ma soprattutto in grado di integrarsi con dataware house e business intelligence».

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Qual è il vostro maggior punto di forza? «Sicuramente la capacità di vestire il prodotto, cioè di partire da un prodotto standard e personalizzarlo in base alle specifiche esigenze dei committenti e dei loro clienti. Infatti, i clienti dei nostri clienti si aspettano precisione, puntualità, efficienza, sicurezza e software gestionali che sappiano far fronte alle loro reali necessità. Proprio per mettere a loro disposizione prodotti sartoriali e per differenziarci dalla massa, abbiamo sviluppato un sistema completo di applicativi, servizi integrati e outsourcing – che consentono anche soluzioni web modulari – capaci di soddisfare qualsiasi esigenza». I professionisti di oggi sanno riconoscere la qualità del prodotto software? «Purtroppo, i professionisti brancolano un po’ nel buio e sono vittima di una mancanza conoscitiva abbastanza profonda. Solo da poco tempo hanno cominciato a capire l’importanza di un buon software, della possibilità di personalizzarlo in base alle proprie esigenze e di un servizio di assistenza costante». \\\\\ EC DICEMBRE 2012



MODELLI D’IMPRESA I ANNA DUKIC E MICHELE CAMPOSTRINI

L’ANTISMOG NEGATO: IL CASO DUKIC DAY DREAM

I filtri antiparticolato sono risultati inefficaci. Eppure una soluzione ci sarebbe, ma aspetta ancora l’omologazione del Ministero dei Trasporti. Perché? Anna Dukic racconta il suo muro di gomma Anna Dukic e Michele Campostrini, rispettivamente Amministratore e Presidente della Dukic DayDream di Dueville (VI) www.econotruck.com

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uando è arrivata la direttiva europea per abbassare i livelli di inquinamento, c’è chi si è sfregato le mani. La procedura di infrazione sull’Italia per gli alti livelli di Pm10, risalente al 2008, è un affare miliardario, almeno per chi ha la tecnologia sulla base della quale produrre dispositivi efficaci. Anna Dukic e Michele Campostrini, rispettivamente Amministratore e Presidente della vicentina Dukic DayDream srl,all’indomani della notizia hanno festeggiato: loro i dispositivi adatti li producevano già da anni. «Si tratta – spiega Anna Dukic – della gamma “Tre D”, dispositivi che permettono di ottenere una combustione migliore del gasolio e dei suoi derivati. Non produciamo altro che prodotti basati su questo principio: bruciando meglio il carburante si diminuiscono in modo esponenziale le emissioni inquinanti». In che modo funziona esattamente? «Il nostro è un dispositivo che viene installato prima della pompa di iniezione e non interferisce in nessun modo sul motore: nel passaggio verso la camera di scoppio il carburante subisce campi elettromagnetici , per cui le molecole del carburante si caricano di energia e vengono “sminuzzate”. In questo modo nella camera di combustione il carburante così modificato si miscela meglio con

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MI SONO INCATENATA A MONTECITORIO CON LA MIA SEDIA A ROTELLE PUR DI ESSERE ASCOLTATA

l’ossigeno e con questo otteniamo una migliore combustione: se senza il dispositivo si brucia l’85 per cento, con il nostro dispositivo adesso brucia fino il 95 per cento di carburante, quindi si ha il vantaggio di produrre molto meno materiale incombusto. Un vero vantaggio, perché tutto il materiale che non brucia va a depositarsi nelle parti del motore e l’olio gira in un motore sporco, le valvole EGR si incrostano, e lo scarico quindi è carico di sostanze nocive. Per dare un’idea più precisa possiamo dire che se tutte le auto dell’hinterland di Milano, circa un milione, montassero i nostri dispositivi si potrebbe registrare una diminuzione del 60-70 per cento dell’inquinamento nell’arco di qualche giorno». Si direbbe la soluzione migliore. «Considerando la maggior potenza del motore, l’estrema diminuzione dei residui carboniosi che si vanno a depositare, la maggiore durabilità dell’olio, l’assenza di incrostazioni delle valvole EGR, il risparmio sui costi di manutenzione del motore, il risparmio del carburante e un’emissione di inquinante estremamente inferiore, possiamo solo concludere di non avere concorrenti. Su quest’idea, messa a punto da Michele Campostrini, abbiamo fondato la nostra azienda dieci anni fa. Poi è arrivata la direttiva europea che prevedeva dispositivi sia "a monte" che "a valle" della combustione (dalla carburazione allo scarico), criteri in cui il nostro prodotto rientrava perfettamente». E invece? DICEMBRE 2012

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MODELLI D’IMPRESA I ANNA DUKIC E MICHELE CAMPOSTRINI

-70% Emissioni nocive dai gas di scarico delle autovetture che montano il dispositivo “Tre D” prodotto dalla Dukic DayDream srl

«Siamo andati al Centro Prova Autoveicoli (C.P.A.) di Bari, organo preposto per eseguire i test del caso e rilasciare l’omologazione Ministeriale. Alla fine ci hanno stretto la mano facendoci i complimenti: il nostro dispositivo era omologato. Quindi ci siamo messi in attesa solo del numero di omologazione che doveva arrivare da Roma. Lo stiamo ancora aspettando dopo quattro anni». Come se si fossero dimenticati di voi? «Ci hanno letteralmente ignorati. Non hanno respinto la documentazione che attestava l’omologazione del nostro dispositivo, né hanno impugnato il verbale di conformità, né l’hanno annullato. Allora ci siamo rivolti al C.P.A. Questo si è interessato del caso e il Ministero ha risposto che le prove non erano complete, perché mancava quella di durabilità del dispositivo per l’accumulo di particolato. Il C.P.A. ha risposto che non poteva essere fatta questa prova perché il nostro dispositivo agiva “a monte” e quindi non produceva nessun accumulo, anzi in questo c’è un ulteriore vantaggio. Premesso questo il C.P.A. chiedeva istruzioni su come fare eventualmente questa prova, pen-

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sata ovviamente per dei filtri che agiscono “a valle”. Da Roma hanno replicato che andava comunque eseguita, senza dare spiegazioni sul come eseguirla». Sembra un accanimento tanto inutile quanto sospetto. «Nessun sospetto. Il motivo è evidente: il nostro prodotto dava e dà tuttora fastidio ai produttori di filtri antiparticolato Fap. E c’è un solo produttore in Italia: la Pirelli Echo Technology con a capo Bruno Tronchetti Provera. Tant’è vero che pochissimo tempo dopo il decreto legge sono stati omologati i suoi primi prodotti. Quindi, a noi, nonostante tutti i test di conferma, non hanno rilasciato l’omologazione che invece è stata subito conferita a chi produce filtri Antiparticolato con tutte le problematiche che essi comportano. Il gioco di potere che ci sta dietro è chiaro, ma in questo modo la nostra azienda che vorrebbero morta, continuerà a combattere fino ad ottenere ciò che le spetta di diritto». In che modo? «Con la forza della determinazione e della convinzione di DICEMBRE 2012


essere nel giusto. Deve considerare che in questo progetto abbiamo investito tutto ciò che avevamo: per intenderci, ora viviamo in affitto, e ringraziamo i nostri soci e concessionari che hanno creduto nella nostra azienda e che hanno investito in questo progetto. La lista delle nostre visite ai Palazzi di Giustizia è infinita, tra cui due ricorsi al Tar che in entrambi i casi sembravano darci ragione in prima istanza, salvo poi congelare tutto in attesa di entrare " chissà quando è se " nel merito. In ogni caso, posso riassumere dicendo che l’ingiustificata indifferenza raccolta nei tribunali mi ha spinto a gesti estremi». Ovvero? «Sono andata a Roma con Michele Campostrini e alcuni dei miei concessionari, per avere un po’ di sostegno. Dopo aver eluso alcuni agenti della Digos, mi sono incatenata davanti a Montecitorio con la mia sedia a rotelle, minacciando di rimanere lì giorno e notte fino a quando non mi avessero dato la possibilità di essere ascoltata. Ma dall’incontro che ho ottenuto, nonostante fosse all’inizio promettente, non è poi scaturito nulla. Quindi ho tentato lo

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IL NOSTRO È UN DISPOSITIVO CHE VIENE INSTALLATO PRIMA DELLA POMPA DI INIEZIONE

stesso gesto in piazza Mazzini davanti alla sede della Rai. Il nostro caso è così finito in televisione, in particolare su Report». Con quali risultati? «Da quel momento le cose sono un po’ cambiate, ed infatti milioni di telespettatori hanno potuto farsi un’idea di quello che ci stava capitando, ma soprattutto di come si stava e si sta gestendo l’emergenza inquinamento in Italia. Dal servizio l’efficacia del nostro “Dispositivo Antiparticolato ” è chiara e da allora abbiamo ricominciato a vendere, diventando fornitori di importanti realtà istituzionali italiane: dove hanno fallito i filtri Antiparticolato hanno invece avuto successo i nostri dispositivi. Ma bisogna calcolare un danno di circa 80 milioni di euro, accumulato in questi cinque anni di ingiustizia. E se si considera la recessione che stiamo vivendo, si capisce quanto tutto ciò possa influire su un’azienda piccola come la nostra. Una cosa è certa, però: non ci arrenderemo mai».\\\\\ RF DICEMBRE 2012

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MODELLI D’IMPRESA I EMANUELE CENZATO

QUANDO LA ROMANIA DIVENTA UN’OPPORTUNITÀ

L'Italia è il sesto paese europeo con il prezzo dell'elettricità ai consumatori più elevato. Per questo molte realtà nostrane hanno scelto di allargarsi in altri Paesi, sostenendo così anche il comparto nazionale. L’esperienza di Emanuele Cenzato Emanuele Cenzato è titolare della Metalpres Cenzato, Castelgomberto (VI) www.metalpres.com

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Italia è tra i paesi europei che registra i prezzi dell'energia più elevati del continente. Una situazione che si presenta drammatica, nonostante il processo di liberalizzazione degli ultimi anni. Anche per questo motivo, il commissario europeo all'energia Günther Oettinger ha recentemente raccomandato agli stati membri di completare rapidamente il mercato unico in questo delicatissimo settore. Inoltre Oettinger ha preannunciato nuove raccomandazioni in vista di una maggiore convergenza delle misure di sostegno alle fonti rinnovabili. «Quando si parla di gas ed elettricità - ha sottolineato il politico - cittadini e imprese sono interessati da due cose: sicurezza dell'approvvigionamento e prezzi ragionevoli. Due obiettivi più facili da raggiungere con un mercato unico funzionante». La Commissione chiede quindi ai paesi l'applicazione delle regole europee, un miglioramento della rete elettrica, un maggiore coordinamento nell'approvvigionamento, e una liberalizzazione dei prezzi (solo nove paesi su 27 hanno prezzi non regolamentati). In un lungo rapporto sulla situazione dell'Unione nel settore dell'energia, la Commissione ha elencato pregi e difetti dei vari paesi. All'Italia l'esecutivo comunitario raccomanda di migliorare la rete elettrica, per risolvere i rischi di congestione e rafforzare le connessioni con i paesi vicini. Per quanto riguarda il gas, la Commissione mette l'accento su una concorrenza limitata tra le aziende del settore, e sulla necessità per il paese di importare gran parte del suo fabbisogno (il 90 per cento del totale). Secondo le

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20% Aumento della produttività dei macchinari registrato dalla Metalpres Cenzato grazie alla Lean Production

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autorità comunitarie, l'Italia è il sesto paese con il prezzo dell'elettricità ai consumatori più elevato, dietro la Danimarca, la Germania, Cipro, il Belgio e la Svezia. La media europea è di circa 17 centesimi di euro al kWh, comprese le imposte, mentre il prezzo in Italia è di oltre 20 centesimi al kWh. Nel settore dell'industria, il prezzo dell'elettricità italiana supera i 22 centesimi al kWh di gran lunga superiore alla media europea, che è poco sopra i 15 centesimi. Una situazione che inequivocabilmente va a cadere sulle industrie nostrane, in modo particolare su quelle che fanno un gran uso proprio di energia. Attualmente Metalpres Cenzato opera in cinque unità produttive, tre delle quali site nel comune di Castelgomberto (VI), una a Buzau in Romania e una Sousse in Tunisia con impianti per la pressofusione da 250 a 1.350 ton e su una superficie coperta complessiva di oltre 30.000 mq. L’intero gruppo ha alle sue dipendenze quasi 400 persone. La scommessa vincente è stata sicuramente Metalpres Rom che in soli 4-5 anni ha raggiunto standard altissimi pari a quelli del comparto produttivo italiano. «Per una realtà come la nostra – spiega Emanuele Cenzato, titolare della Metalpres Cenzato, azienda che produce getti pressofusi in alluminio - che ha nell’energia una spesa maggiore che nella manodopera, i costi dell’energia vanno ad incidere notevolmente sul bilancio». Quale situazione riscontrate a livello di mercato generale? «Noi siamo molto coinvolti nel campo automotive e come è noto si tratta di un settore che sta attraversando più di qualche difficoltà. Oggi i mercati dell’Est ci fanno molta concorrenza e in Italia soffriamo notevolmente, soprattutto a causa dei già citati costi dell’energia troppo alti. Il bilancio di quest’anno è in calo rispetto a quello degli altri anni ed abbiamo qualche sofferenza. Fortunatamente però DICEMBRE 2012

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MODELLI D’IMPRESA I EMANUELE CENZATO

L’Ufficio Tecnico L’Ufficio Tecnico della Metalpres Cenzato incarna l’anima e rappresenta la maggiore fonte di eccellenza della nostra realtà. «Metalpres Cenzato – racconta Emanuele Cenzato – è nata nel 1987 e nel corso degli anni è riuscita ad affermarsi come azienda produttiva di riferimento del territorio e leader assoluto nel settore; la principale attività è stata infatti integrata con consulenza tecnica, progettazione, lavorazioni meccaniche e finitura superficiale dei getti, con l’obiettivo di essere per il cliente un valido supporto oltre che un preciso fornitore. È il nostro ufficio tecnico infatti che accompagna il cliente sin dalle prime fasi di progettazione dello stampo. Inoltre METALPRES Cenzato offre a qualsiasi cliente dei servizi che esulano anche dalla specifica attività di pressofusione. Personale super qualificato si fa interlocutore unico per la gestione di problematiche a 360°, garantendo dalla progettazione 3D, analisi FEM, analisi di flusso, assemblaggi e lavorazioni meccaniche o realizzazione di minuterie meccaniche fino allo stampaggio di plastica, ottone, rame, zama».

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5 anni fa siamo stati lungimiranti creando la realtà parallela in Romania, Metalpres Rom. Grazie a questa sede siamo infatti rimasti competitivi e di fatto, oggi, la sede rumena sostiene anche quella in Italia. Non si tratta semplicemente di delocalizzazione ma della scelta di aumentare la nostra produzione all’estero parallelamente all’Italia. Per noi la Romania è importante perché i nuovi clienti sono maggiormente attratti dai costi e dai servizi che possiamo offrirgli attraverso lo stabilimento in quel paese. Solo così riusciamo a far fronte alla concorrenza orientale». Quali sono i Paesi con cui collaborate maggiormente? «Abbiamo clienti in tutto il mondo, consegniamo in Cina, Giappone, Argentina e in moltissime altre parti del mondo. In Europa il traino è rappresentato in modo particolare dalla Germania; abbiamo infatti riscontrato in questi ultimi mesi un calo significativo della Francia, una forza molto importante per l’Europa intera». Potrebbe parlarci della Lean Production? «La Lean Production passa per la convinzione che l’opera di riduzione dei costi deve passare per un’ottimizzazione delle procedure di lavoro e una significativa diminuzione degli sprechi. Per ora siamo giunti ad un primo step che ci ha permesso di meglio organizzare l’azienda e di eliminare alcune inefficienze. Abbiamo aumentato del 15-20 per cento la produttività dei macchinari, con risparmio in termini di personale, di costi e di guadagno generale. I vantaggi ovviamente saranno significativi a partire dall’anno prossimo ma ad oggi siamo in linea con quest’obiettivo importante». Quanto è importante la diversificazione per una realtà come la vostra? «Eravamo troppo concentrati sull’automotive; per questo ci stiamo spostando anche su clienti di settori differenti. Mi riferisco ai comparti delle pompe, del sollevamento acqua, dei riduttori, dei bruciatori e altri ancora. Mai come in questo periodo la diversificazione e la flessibilità dei prodotti possono contribuire a sostenere una buona economia; il primo passo sarà quello di ampliare l’attuale rete commerciale per acquisire nuove commesse, nuovi progetti, nuove sfide. C’è da dire che ovviamente sono realtà più piccole rispetto all’automotive ma grazie anche alla Romania siamo comunque in grado di approcciarci a queDICEMBRE 2012


VOGLIAMO ACCETTARE NUOVE COMMESSE, NUOVI PROGETTI E NUOVE SFIDE IN TUTTI I SETTORI PRODUTTIVI

sti settori, sebbene più poveri. In questo modo riusciamo infatti a bilanciare i costi legati all’energia, che in Romania sono molto inferiori rispetto all’Italia; sembra quasi che le politiche nel nostro Stato ci costringano ad andare all’estero, a discapito dell’intera economia del Paese». Che investimenti state realizzando in questo periodo? «Fino al 2009 abbiamo investito moltissimo in macchinari. Con la crisi però abbiamo dovuto rallentare un po’ perché oggi affrontiamo qualche difficoltà finanziaria proprio per i grandi investimenti fatti precedentemente. Non è un passo indietro perché in ogni caso i macchinari che possediamo rappresentano comunque l’avanguardia di quanto NORD EST SVILUPPO

esiste sul mercato. Siamo preoccupati, come molti, a causa della difficoltà dell’accesso al credito ma teniamo comunque duro perché siamo comunque fiduciosi che la situazione migliori nel prossimo periodo». Quale futuro prospettate per la Metalpres Cenzato? «Abbiamo un piano industriale fino al 2016 e vediamo positivamente i prossimi anni perché siamo già in grado di sapere chi sono i clienti su cui potremo contare. Siamo fiduciosi soprattutto grazie al livello qualitativo e tecnologico che vogliamo tenere. Veniamo da due anni di tagli estremi ed ora, anche con la conferma del supporto del sistema bancario, ripartiremo contando innanzitutto sulla nostra forza, rappresentata dall’ufficio tecnico composto da 8 ingegneri che fanno co-design insieme ai nostri clienti, ad esempio, dell’automotive. Un ufficio tecnico che riesce a supportare qualsiasi problematica del cliente ovunque esso si trovi». \\\\\ NB DICEMBRE 2012

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MODELLI D’IMPRESA I ANDREA E FABIO BORTOLAMEI

UN NUOVO CONCEPT DI DISTRIBUZIONE

Con BENZA nasce un nuovo modo di intendere il servizio di distribuzione carburante: impianti innovativi, self service e integrazione con il servizio del gestore. L’esperienza di Andrea e Fabio Bortolamei

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a rete italiana dei distributori di carburante è la più capillare d’Europa, l’Italia infatti si colloca al primo posto davanti a Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. L’elevato grado di capillarità della rete italiana dei carburanti è dovuto soprattutto alla struttura del sistema distributivo determinata dalla particolare conformazione geografica del territorio nazionale. Un fattore che ha effetti sia positivi, per la maggiore prossimità e disponibilità di servizi a tutto vantaggio del consumatore, che negativi, dovuti al minore grado di efficienza del sistema che è molto frammentato rispetto agli altri paesi europei. Inoltre la rete italiana dei carburanti soffre ulteriormente per un grado di sviluppo tecnologico e di servizio ancora insufficiente. Entrando nel dettaglio, Andrea e Fabio Bortolamei della Bortolamei Srl hanno focalizzato le loro strategie sulla ricerca di nuove efficienze tecnologiche e gestionali con lo sviluppo di servizi professionali innovativi, di qualità e convenienza economica. La società che si occupa di progettazione, realizzazione e gestione nel settore della distribuzione dei carburanti, nasce dall’esperienza di famiglia e oggi gestisce tre impianti di proprietà, a Camisano Vicentino, Veggiano e Caldogno, e due impianti in franchi-

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IL DISTRIBUTORE DIVENTA “SU MISURA” E LA CONVENIENZA ECONOMICA È IMMEDIATAMENTE PERCEPITA NORD EST SVILUPPO

Andrea e Fabio Bortolamei titolari della Bortolamei Srl di Camisano Vicentino (VI) www.b-benza.it

sing, a Grisignano di Zocco e Schio, tutti a marchio BENZA. Grazie allo spirito imprenditoriale dei fratelli Andrea e Fabio Bortolamei, la crescente attenzione alle problematiche relative al settore e la conoscenza del complesso mondo economico dei carburanti, dominato dai grandi gruppi petroliferi, l’impresa ha potuto posizionarsi sul mercato della commercializzazione del carburante e creare un marchio proprio con il quale offrire il servizio ai consumatori in modo diretto. Il progetto di business, infatti, si basa sulla fornitura diretta dalla raffineria al cliente, e sull’eliminazione dell’apparato burocratico imposto dalle grandi compagnie petrolifere. Il marchio BENZA ha inaugurato un nuovo modo di concepire il servizio di distribuzione carburanti, tradotto in un miglior rapporto tra il gestore e il cliente, grazie allo stile semplice e amichevole. Grazie a strategie di marketing innovative, il gruppo ha saputo definire in maniera integrata gli obiettivi e i valori determinanti allo sviluppo dell’identità di un servizio low cost che punta sulla qualità e gioca sul carattere ironico dell’immagine e di tutta la comunicazione del brand, dall’ambientazione del punto vendita ai concept pubblicitari. In uno scenario come quello attuale, con il costo dei carburanti alle stelle, quale valore aggiunto offre BENZA agli utenti? Andrea Bortolamei «Il nostro brand consente di definire i prezzi al consumo in modo autonomo rispetto ai listini imposti dalle società petrolifere, acquistando diDICEMBRE 2012

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MODELLI D’IMPRESA I ANDREA E FABIO BORTOLAMEI

63% Incremento del volume d’affari registrato grazie al passaggio al brand BENZA

rettamente in raffineria i carburanti stradali, al pari delle principali compagnie concorrenti. Il prezzo di per sé è competitivo e il valore aggiunto sta tutto nel servizio: un sistema self service integrato dalla presenza del personale, che si dedica esclusivamente al cliente in aree indipendenti e funzionali, basate su impianti innovativi e tecnologicamente avanzati ma semplici da usare. Ne deriva un aumento sensibile dei volumi di vendita, mentre si mantiene inalterato il margine operativo». Quali i principali elementi di innovazione introdotti da BENZA nel modo di intendere la distribuzione di carburante? Fabio Bortolamei «BENZA è un progetto imprenditoriale giovane, avviato da me e da mio fratello Andrea prima dei nostri 35 anni, e si basa su un concept completamente innovativo che intende rivoluzionare il si-

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stema di fornitura sotto diversi punti di vista: dal nome del marchio allo stile di comunicazione, dall’immagine alla modalità di vendita dei carburanti. L’utente si rende protagonista nell’erogarsi il carburante, mentre il nostro personale è interamente dedicato a fornire assistenza alle persone, basando questo servizio su cordialità e disponibilità. Il distributore quindi diventa “su misura” e la convenienza economica è immediatamente percepita dal cliente, assieme alla massima qualità del prodotto e del servizio». I prossimi investimenti dell’azienda prevedono l’apertura di nuovi spazi. In che cosa consisteranno nello specifico? In quali punti strategici ed entro quanto tempo prevedete di poterli inaugurare? A.B. «Stiamo terminando l’iter autorizzativo per l’apertura di due nuove aree di servizio tra Vicenza e Padova, che potremo inaugurare entro il 2013. L’innovazione progettuale punta su una nuova offerta di servizi aggiunti per migliorare il nostro servizio, DICEMBRE 2012


quali “area vending”, con distributori automatici self service ventiquattro ore per la fornitura di prodotti per autovetture e automobilisti, e autolavaggi “hitech”, con portali a tre spazzole in tunnel riscaldati, che permettono di erogare il servizio anche a temperature sotto lo zero». Quali le prospettive per il vostro settore in generale e per l’azienda in particolare? Quali obiettivi e sfide vi ponete nel medio e lungo periodo? F.B. «Il processo di liberalizzazione del nostro settore è iniziato quattordici anni fa con il decreto Bersani. Auspichiamo che il futuro governo avvii un processo di razionalizzazione, con la chiusura degli impianti incompatibili e inefficienti, quelli cioè caratterizzati da basso erogato e dall’assenza di servizi e attività integrate. Nonostante le difficoltà legate alla crisi economico-finanziaria che sta interessando attualmente

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LA NOSTRA SFIDA È CONTINUARE A ESSERE INNOVATIVI CERCANDO SEMPRE NUOVI STIMOLI

l’Italia come il resto d’Europa, nel medio e lungo periodo puntiamo a mantenere l’attuale quota di mercato, con l’obiettivo di incrementarla grazie all’apertura di nuovi punti vendita, all’ottimizzazione dei servizi accessori e delle attività integrate. La nostra sfida è continuare a essere innovativi cercando sempre nuovi stimoli e idee». Gli impianti di distribuzione di proprietà sono stati convertiti con il vostro brand. Quali i vantaggi in termini di fatturato registrati dall’apertura della prima area di servizio BENZA? A.B. «Dall’apertura del primo impianto carburanti BENZA, nel 2009, il volume d’affari è quasi duplicato, di anno in anno, con fatturati che dai 2.2 milioni di euro del 2008 sono passati ai 12.6 milioni di euro del 2011, grazie al passaggio dalla gestione in licenza di altre società petrolifere a quella con il brand BENZA. Anche per il 2012 le proiezioni confermano un trend di crescita del 63 per cento». \\\\\ VD DICEMBRE 2012

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FOCUS CREDITO

CREDITO, RESTANO LE DIFFICOLTÀ Diminuiscono i prestiti alle imprese nelle regioni centro-settentrionali. A giugno la flessione, misurata sui dodici mesi, è stata del 4%. Per quanto riguarda le famiglie, invece, i prestiti rimangono pressoché invariati. Per le banche l’andamento negativo dei prestiti è stato condizionato dalla contrazione della domanda di credito

6%

Il tasso di interesse sui prestiti a breve termine praticati al settore produttivo nel Nord Est a giugno 2012

-0,5%

Il ritmo di crescita del credito alle famiglie consumatrici, relativo ad agosto 2012, nel Nord Est rispetto allo stesso periodo dello scorso anno

• FONTE: RAPPORTO “L’ECONOMIA DELLE REGIONI ITALIANE” DELLA BANCA D’ITALIA

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DICEMBRE 2012

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← Il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti

LE DIFFICOLTÀ DEI RISPARMIATORI ITALIANI La buona propensione al risparmio degli italiani registra oggi, come dichiara il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti, una flessione - Renata Gualtieri

Q

uest’anno ricorre il centenario della nascita dell’Acri. L’anniversario è stato celebrato lo scorso giugno a Palermo e in quell’occasione è stato sottolineato il ruolo che le Casse, e insieme a loro le Fondazioni, hanno avuto in questi cent’anni di storia del Paese, al cui sviluppo hanno entrambe contribuito sia sul fronte economico sia su quello culturale, civile e sociale. Il 31 ottobre è stata la volta dell’ottantottesima Giornata mondiale del risparmio: un risparmio che sia in Italia che in Europa è in difficoltà. «Parlare di risparmio – sottolinea il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti – sottende una serie di fattori che si chiamano reddito, investimenti, finanza pubblica, fisco, sistema bancario e finanziario e, nelle relative responsabilità, il ruolo dell’Unione, del nostro Paese e delle forze istituzionali e sociali. Parlare di risparmio significa soprattutto evocare la fiducia».

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Secondo i dati Bankitalia relativi al 2011 la capacità di risparmio degli italiani è scesa al 12 per cento. Anche l’indagine presentata dall’Acri sul percepito degli italiani segnala che, ormai dal 2005, il risparmio continua a decrescere. Oggi gli italiani che dicono di essere riusciti a risparmiare sono solo il 28 per cento, mentre fino allo scorso anno erano più di un terzo. Prevale il numero di coloro che consumano tutto quello che guadagnano: sono il 40 per cento; e di quelli che sono in saldo negativo di risparmio, ovvero decumulano risparmio o ricorrono al debito, sono il 31 per cento, il che vuol dire più di coloro che riescono a risparmiare. La voglia di risparmiare, invece, cresce. Dall’indagine fatta dall’Acri con Ipsos risulta che il 47 per cento degli italiani non riesce proprio a vivere tranquillo senza mettere da parte qualcosa; e questa percentuale è in crescita rispetto agli anni precedenti, era il 44 per cento nel 2011 e il 41 per cento nel 2010, mentre decresce il numero di chi preferisce spendere tutto DICEMBRE 2012


FOCUS CREDITO GIUSEPPE GUZZETTI

28%

Risparmiatori Percentuale di coloro che dicono di essere riusciti a risparmiare, mentre fino allo scorso anno erano più di un terzo degli italiani

senza preoccuparsi del futuro: sono il 9 per cento contro il 10 per cento del 2011 e l’11 per cento del 2010. «Ma perché gli italiani soddisfino questo loro desiderio di risparmio – ricorda il presidente Acri Giuseppe Guzzetti – bisogna che si creino le condizioni perché essi dispongano delle necessarie risorse». Dall’indagine Acri-Ipsos risulta anche che il numero di quanti dicono di essere riusciti a migliorare la propria situazione economica negli ultimi dodici mesi non supera il 3 per cento; al contempo aumenta il numero di famiglie direttamente colpite dalla crisi: oggi sono il 26 per cento, più di una su quattro. La difficoltà attuale di risparmiare non è un fenomeno solo italiano. E tuttavia non può non suscitare una grave preoccupazione. «Di fronte a essa – continua Guzzetti – non possiamo dichiararci disarmati, né limitarci ad attendere gli effetti, che non potranno rilevarsi a breve, delle misure anticrisi, specie per il consolidamento fiscale e per tornare a crescere. Né NORD EST SVILUPPO

possiamo avvertire una sorta di pudore nel parlare di risparmio mentre calano i consumi e crescono i problemi del mercato del lavoro. Il risparmio è fondamentale per l’avvenire delle famiglie e del Paese. Certamente, l’impegno principale si richiede ai governi e ai Parlamenti». Non dobbiamo pensare però che il riavvio in Italia di un processo di crescita possa venire solo da alcune grandi opzioni politiche decise a livello centrale: innovazione, liberalizzazioni, semplificazioni, infrastrutture, formazione, capitale umano d’eccellenza, ricerca sono necessarie ma «solamente se queste scelte decise a livello centrale riusciranno a raccordarsi con le scelte fatte dalle comunità e dalle istituzioni sui territori potranno avere efficacia per la crescita del Paese. Le nostre fondazioni e le casse di risparmio – conclude il presidente dell’Acri – ciascuna nel proprio ambito, si stanno impegnando con tutte le loro energie e le loro risorse in questa direzione». \\\\\ DICEMBRE 2012

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FOCUS CREDITO GIUSEPPE GRAFFI BRUNORO

PRESTITI PARTECIPATIVI E PRIVATE EQUITY

Una corretta capitalizzazione consente di incrementare la propria competitivitĂ anche in periodo di crisi. Le imprese del Friuli Venezia Giulia sono sempre attente a questo tipo di gestione. Il punto di Giuseppe Graffi Brunoro

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DICEMBRE 2012


IMPIEGHI VAR. PERCENTUALI SUI 12 MESI Giu 011 17,5

Dic 2011

Giu 012

14,8

8,2

→ Giuseppe Graffi Brunoro, presidente Abi FVG NORD EST SVILUPPO

3,3

FVG Nord Est Italia

A

5,7

FVG NE Italia

giugno 2012 il credito bancario concesso in Friuli Venezia Giulia si e` ridotto del 3,5 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti. Ma, se i finanziamenti alle famiglie sono rimasti stabili, i prestiti alle imprese sono diminuiti, registrando complessivamente un calo del 4,9 per cento. I prestiti alle piccole imprese si sono contratti in un anno del 4,3 per cento, quelli alle imprese medio-grandi del 5,1. È quanto emerge dal rapporto “Il mercato del credito per le imprese e le famiglie del Friuli Venezia Giulia” reso noto dalla Regione a novembre. Sempre secondo il rapporto è peggiorata anche la qualità del credito per le imprese: gli ingressi in sofferenza dei crediti concessi dalle banche si sono attestati a giugno al 2,5% (valore superiore al livello pre crisi); nel secondo trimestre è proseguito l’aumento dei tassi di interesse: il tasso medio sui prestiti a breve termine ha raggiunto il 5,99%, quasi un punto percentuale in più rispetto a giugno 2011, il tasso a medio e a lungo termine si è attestato al 4,49%, sempre in aumento rispetto all’anno precedente. Cresce, quindi, la sofferenza delle pmi, che continuano a rivestire la fetta più importante di tutto il tessuto imprenditoriale della regione e, quindi, da salvaguardare come modello: «L’imprenditore tipo friulano e giuliano – spiega Giuseppe Graffi Brunoro – sente la propria impresa come parte di sé, ricorda e attualizza il percorso, spesso laborioso e faticoso, attraverso il quale la “sua” realtà si è sviluppata e tende naturalmente a perpetuare tale modello».

FVG Nord Est Italia

7,4

-0,7 -0,5

-2,8 NOTA Dati di fine periodo. Segnalazionidella Cassa depositi e prestiti oltre alle segnalazioni delle banche • FONTE BANCA D’ITALIA

In che modo devono intervenire le banche a sostegno di un’impresa? «Il sistema bancario del Friuli Venezia Giulia ha in essere alcune importanti convenzioni, assistite dai consorzi di garanzia fidi, attraverso le quali è possibile provvedere alla capitalizzazione o alla ricapitalizzazione delle imprese; gli strumenti operativi prendono il nome di “prestiti partecipativi”. Per le imprese più strutturate, in sostanza per quelle di maggiori dimensioni, è consigliabile utilizzare strumenti di private equity, oppure ricorrere agli interventi della finanziaria regionale Friulia, partecipata dalle banche». In Italia secondo lei esistono più vincoli e burocrazia nei processi di ricapitalizzazione? «Non escludo che in qualche Paese i processi decisionali e i passaggi amministrativi richiesti per capitalizzare un’impresa possano essere più semplici, non credo però che le procedure italiane siano particolarmente gravose». Un’attenta capitalizzazione rappresenta un modo per essere competitivi sul mercato? «Senza dubbio un corretto rapporto tra l’ammontare del capitale sociale di un’impresa, il totale dei suoi attivi e l’insieme del suo fatturato, frutto di analisi dei mercati, di capacità progettuale e produttiva, nonché di costante innovazione, consente di realizzare i prodotti a costi minori e di essere in grado di superare momenti non particolarmente brillanti o decisamente difficili con maggiore serenità». \\\\\ NMM DICEMBRE 2012

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FOCUS CREDITO VINCENZO CONSOLI

BANCHE E IMPRESE, LA FIDUCIA DA RICOSTRUIRE «Unire le forze per superare la crisi, oggi più che mai». L’amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, spiega come il sistema bancario e quello industriale possano mettere insieme le proprie competenze per superare un momento difficile

ul reale ruolo di supporto del sistema bancario all’economia reale è in corso un dibattito serrato nel Paese tra chi sostiene che le banche non abbiano fatto quanto potevano e chi, invece, afferma il contrario. Nel mezzo ci sono i dati dell’ultimo bollettino di Bankitalia relativi ai primi sei mesi dell’anno, in cui l’istituto di Palazzo Koch ha registrato una flessione degli impieghi a livello nazionale, calo dovuto soprattutto alla debolezza della domanda, provocata dalla contrazione degli investimenti delle aziende. «Come Gruppo Veneto Banca – precisa l’amministratore delegato Vincenzo Consoli – lo scorso anno abbiamo aumentato i nostri impieghi del 5 per cento, contro un dato di sistema del 3,6 per cento. Nell’anno in corso stiamo continuando ad aumentare i crediti alle piccole e medie imprese, che rappresentano più del 90 per cento del nostro sistema produttivo». Ma per poter es-

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sere definito virtuoso il rapporto tra banche e imprese non si può basare solo sulla normale gestione dei crediti. «Oggi più che mai è necessario fare un salto di qualità e puntare a una maggiore conoscenza reciproca: alle banche è richiesta maggiore chiarezza nell’offerta, alle imprese più trasparenza e completezza sui dati di bilancio». In che modo Veneto Banca contribuisce a favorire i percorsi di crescita delle imprese? «Così come avviene per le banche anche le imprese hanno la necessità di rafforzarsi sotto il profilo patrimoniale per poter affrontare con spalle più robuste le nuove sfide dei mercati. Già prima della crisi, le aziende italiane presentavano spesso un eccessivo squilibrio tra capitale e debito e ricorrono al finanziamento bancario più di quanto non avvenga nel resto d’Europa. Una banca non ha il compito di fornire il capitale di rischio, per questo ci sono altre strade come il private equity e il venture capital. Da tempo il DICEMBRE 2012


↑ L’amministratore delegato di Veneto Banca Vincenzo Consoli

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Gruppo si è strutturato con specifiche competenze che si dedicano a tali strumenti. Siamo da sempre in prima linea nel sostegno d’iniziative mirate all’aggiornamento e al rinnovamento del management nelle pmi, nonché al ricambio generazionale, in collaborazione con le più importanti associazioni di categoria». Con quali altri strumenti il Gruppo ascolta le esigenze del territorio e cerca di dare risposte al sistema produttivo? «Possiamo contare su una “fabbrica prodotti” gestita da product manager altamente specializzati e su un sistema di gestione della relazione molto accurato, a questi due aspetti si aggiungono due importanti vantaggi competitivi. Il primo è la profonda conoscenza delle aree in cui operiamo, che ci consente di fornire servizi e prodotti mirati a soddisfare le particolari esigenze dei nostri clienti. Il secondo è il nostro modello organizzativo, basato sulla flessibilità, sulla capacità di reazione ai cambiamenti e sulla catena decisionale corta che ci permette di fornire risposte esaustive in tempi molto rapidi». Quale il contributo a sostegno dell’imprenditoria giovanile? «Pur contando su una storia che risale al 1877, siamo un Gruppo giovane: l’età media dei nostri dipendenti si aggira sui 39 anni. È naturale, quindi, che la nostra realtà sia più aperta alle esigenze dell’imprenditoria giovanile. Anche su questo fronte lavoriamo a fianco delle associazioni di categoria, dedicando particolare attenzione a chi punta su riDICEMBRE 2012

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FOCUS CREDITO VINCENZO CONSOLI

28%

Famiglie La percentuale dei nuclei famigliari che sono riusciti a risparmiare nel 2012. Nel 2011 erano il 35%

cerca e innovazione, settori per i quali abbiamo approntato un finanziamento ad hoc. Molti giovani fuggono all’estero perché non trovano in Italia realtà che valorizzino le loro capacità: sostenere imprese innovative capaci di creare posti di lavoro per i giovani è un modo concreto per farli tornare. In ogni caso, al di là del dato meramente anagrafico, crediamo che le imprese veramente giovani siano quelle che hanno idee valide per il futuro». Dall’indagine annuale dell’Acri, realizzata con Ipsos, emerge che la quota delle famiglie che dichiara di riuscire a risparmiare crolla al 28 per cento quest’anno, dal 35 per cento del 2011. Quanto sono preoccupanti questi dati? «In Italia la formazione del risparmio è in calo da più di vent’anni. La situazione è imputabile a una caduta del reddito delle famiglie, pari al 9 per cento nell’ultimo quinquennio, e a una maggiore propensione per l’indebitamento. Non sono certo dati incoraggianti, ma va anche ricordato che fino allo scorso anno il nostro Paese si segnalava per avere 164

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una quota di reddito risparmiato tra le più alte del mondo. Oggi le famiglie stanno affrontando la crisi con quanto accumulato nei decenni precedenti, ma è necessario tornare a crescere quanto prima per consentire la ripresa del risparmio, che ha un ruolo fondamentale nel circuito di finanziamento della nostra economia. Il livello d’indebitamento degli italiani è ancora lontano rispetto a quello di molti altri Paesi: il rapporto tra debiti finanziari e reddito disponibile è al 65 per cento, contro l’oltre 80 per cento di Francia e Germania e il 100 per cento dell’area euro. Ci sono quindi ancora dei margini di sicurezza». Quali sono le sue aspettative per il futuro? «Sono ottimista: la crisi, quando passerà, ci restituirà un’Italia migliore, più preparata ad affrontare i mercati e più esigente verso chi ricopre incarichi di responsabilità. Il nostro Paese continua a sfornare “genialità”, abbiamo tante imprese che seguitano a esportare in tutto il mondo, famiglie non ancora eccessivamente indebitate e un sistema bancario tra i solidi». \\\\\ RG DICEMBRE 2012


FOCUS CREDITO MASSIMO TUSSARDI

SERBIA, DELOCALIZZAZIONE STRATEGICA

Le aziende italiane sono tra i principali investitori in questo paese, con oltre cinquecento realtà, per un giro d’affari di 2,4 miliardi di euro. Ne parla Massimo Tussardi e imprese italiane, e in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, sono chiamate sempre più spesso a ripensare il proprio modello di business in ottica internazionale. La capacità di conoscere e cogliere le opportunità di un mercato globale e di adattarsi alle nuove esigenze realizzando progetti strategici di sviluppo all’estero rappresenta oggi un indiscusso vantaggio competitivo e sempre in più settori risulta l’unico modo per poter continuare a operare e mantenere la propria competitività anche a livello nazionale. Il direttore generale della Cassa di risparmio del Veneto, Massimo Tussardi, parla più precisamente degli investimenti in internazionalizzazione e in multi-localizzazione, «ovvero una precisa strategia aziendale focalizzata a presidiare direttamente i principali mercati invece di ricercare una pura riduzione dei costi industriali che ha già ampiamente dimostrato di non essere né vincente né sostenibile». Per quali ragioni la Serbia rappresenta una nuova frontiera di sviluppo per l’Italia? «Nell’ultimo decennio l’economia serba è cresciuta a un tasso medio del 3 per cento, due punti sopra la media dell’area Euro. L’interscambio commerciale tra Italia e Serbia

L

3%

Sviluppo Il tasso medio di crescita dell’economia serba nell’ultimo decennio

NORD EST SVILUPPO

↑ Massimo Tussardi, direttore generale della Cassa di risparmio del Veneto

è stato di oltre due miliardi nel 2011, di cui 40 milioni in saldo del Triveneto. Le attività in questo territorio possono sicuramente trarre vantaggio da un sistema di tassazione favorevole, dalla presenza di zone franche con speciali agevolazioni e da specifici accordi doganali. Ma il vero vantaggio competitivo per le nostre imprese non proviene da una delocalizzazione spinta solo da differenze di costo

40 mln

Commercio L’interscambio commerciale tra il Triveneto e la Serbia su un saldo nazionale di due miliardi nel 2011

DICEMBRE 2012

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FOCUS CREDITO MASSIMO TUSSARDI

bensì da una strategia che concepisce la presenza in quest’area come una base da cui partire per conquistare gli altri mercati dell’Est Europa. In Serbia è presente Banca Intesa Beograd del Gruppo Intesa Sanpaolo, con sede a Belgrado, che con oltre duecento filiali in tutto il paese è la prima banca in Serbia». Quale piano di rilancio economico è fondamentale per invertire la rotta dopo i dati economici registrati nel 2012? «Occorre investire molto di più sui giovani imprenditori che si stanno inserendo nella filiera produttiva portando una ventata di innovazione. È altresì opportuno che i requisiti quantitativi e patrimoniali, necessari per le valutazioni di merito creditizio, vengano supportati anche da piani economico-finanziari basati su parametri oggettivi credibili. È auspicabile, inoltre, una riduzione della leva finanziaria e un reinvestimento delle risorse nel ciclo produttivo delle aziende che le hanno generate». Il monitor curato dal servizio studi di Intesa Sanpaolo per conto di Cassa di risparmio del Veneto quali prospettive economiche traccia per i distretti veneti? «Su dodici distretti che aumentano le vendite estere, dieci subiscono una riduzione dei valori esportati. Appare molto differenziato anche il loro andamento nei principali sbocchi commerciali: al calo accusato nei paesi europei più colpiti dalle manovre di austerity, si è aggiunta la frenata accusata in due importanti motori dell’export triveneto, la Francia e la Germania. In questo quadro a luci e ombre non si è interrotta la fase di rafforzamento dell’avanzo commerciale, anche se resta ancora lontano il punto di massimo storico toccato nei primi sei mesi del 2008. Secondo le no-

↗ Il nuovo stabilimento produttivo di Fiat Automobili Srbija (FAS) a Kragujevac, Serbia

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L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE TRA ITALIA E SERBIA È STATO DI OLTRE DUE MILIARDI NEL 2011 stre valutazioni, in un contesto di domanda interna ancora debole, i mercati esteri continueranno a offrire un sostegno alla crescita delle nostre imprese distrettuali. Saranno, pertanto, meno in difficoltà le imprese con una propensione a esportare più elevata, soprattutto nei nuovi mercati ad alto potenziale». Come la banca sostiene i nuovi progetti di sviluppo all’estero? «Le aziende possono accedere ai servizi delle strutture internazionali del Gruppo Intesa Sanpaolo rivolgendosi alle filiali, dove opera una rete di 34 specialisti estero. A loro volta, questi professionisti operano in stretto coordinamento con il Servizio internazionalizzazione imprese, che ha sede a Padova, ed è composto da circa trenta specialisti suddivisi in cinque desk geografici - Americhe, Est Europa, Emea, Asia e Cina - in grado di seguire tutti i progetti di internazionalizzazione. Inoltre, è previsto l’appoggio di tutta la rete internazionale del Gruppo, presente in oltre quaranta paesi nel mondo». \\\\\ EF DICEMBRE 2012



LA LEVA DELL’EXPORT LUIGI CIMOLAI

L’INGEGNERIA MADE IN FRIULI CONQUISTA IL MONDO

L’acquisizione dello stabilimento ex Terex è una delle più recenti acquisizioni del Gruppo Cimolai. Un consolidamento sul territorio necessario per affrontare sfide sempre più globali. Ne parla Luigi Cimolai - Francesca Druidi


↑ Stabilimento Cimolai a Monfalcone

e il settore edile e quello delle costruzioni in Italia arrancano sotto i colpi di uno scenario infrastrutturale povero di investimenti, il Gruppo Cimolai, tra i leader mondiali nelle costruzioni metalliche e artefice di avveniristici ponti, viadotti, stadi ed edifici, registra commesse per 800 milioni di euro, rilancia in investimenti e nuove acquisizioni, con un valore della produzione che, per il 2012, dovrebbe attestarsi attorno ai 420 milioni di euro. Il forte contenuto ingegneristico, la qualità e lo sviluppo di nuove tecnologie di produzione, oltre al rispetto dei tempi di consegna, determinano il crescente successo che l’azienda guidata da Luigi Cimolai riscuote da oltre 60 anni, arrivando a impiegare circa 1.400 dipendenti diretti nei diversi stabilimenti, senza dimenticare un indotto di circa 800 persone. La copertura del National Stadium di Varsavia, l’impianto che ha ospitato la cerimonia di apertura degli Europei di calcio 2012, e dello stadio di Johannesburg; la realizzazione delle paratoie del nuovo Canale di Panama e l’hub ferroviario Oculus a Ground Zero, nella Grande Mela, sono tutti progetti che portano la firma del Gruppo Cimolai, promuovendo nel mondo l’eccellenza del Friuli Venezia Giulia. Recente è l’acquisto del complesso industriale ex Terex, situato nell’area industriale Lisert-Porto di

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Monfalcone. Quale significato riveste per l’azienda quest’operazione dal punto di vista strategico? «Lo stabilimento industriale di Monfalcone gode di una posizione strategica grazie alla concessione marittima demaniale per l’accesso diretto al porto e a una banchina con pescaggio di 10 metri per l’accesso di navi più grandi. Vi sarà realizzata della carpenteria più avanzata con l’ausilio di lavorazioni meccaniche. Il complesso ospiterà macchine utensili di notevoli dimensioni per la produzione di grandi manufatti destinati al settore offshore oil & gas. Tra qualche mese saranno ultimati i lavori e lo stabilimento diventerà operativo a tutti gli effetti, per un ammontare di 20-25 milioni di euro di investimento totale. L’iniziativa avrà anche un’importante ricaduta occupazionale sul territorio: saranno recuperati dipendenti della ex Terex, ma ci saranno anche nuovi assunti». Il 60 per cento del fatturato è prodotto all’estero, ma quale rapporto mantiene il Gruppo con il Friuli Venezia Giulia?

← Luigi Cimolai, presidente del Gruppo Cimolai

→ L'azienza Cimolai ha realizzato la copertura dello stadio Soccer City di Johannesburg

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LA LEVA DELL’EXPORT LUIGI CIMOLAI

800mln Ordini Valore dell’attuale portafoglio ordini del Gruppo Cimolai

«Siamo presenti a Pordenone e Udine con stabilimenti a Polcenigo, Rovereto, San Quirino, San Giorgio di Nogaro, Carmignano di Brenta e Buttrio. Sin da quando i miei genitori hanno fondato l’azienda, ci siamo avvalsi delle risorse umane provenienti dal territorio, lavoratori che hanno rivestito un ruolo sempre più necessario - in termini di esperienza e di conoscenze - per lo sviluppo e il progresso dell’azienda». Quali gli obiettivi del prossimo futuro? «Il nostro obiettivo è raggiungere una presenza sempre più marcata all’estero, anche in termini di apertura di nuovi stabilimenti. In determinati mercati, infatti, si può accedere soltanto con un sito produttivo radicato sul territorio. In termini di prodotto, invece, miriamo a ottenere una presenza ancora maggiore nel settore delle grandi strutture, un comparto tradizionalmente vicino al nostro dna sul fronte dell’esperienza e delle maestranze, in virtù del significativo contenuto ingegneristico». Avete in programma ulteriori acquisizioni in regione? «Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia vogliamo consolidare quanto fatto finora». Dal suo punto di vista, come si può uscire dalla crisi? «Il problema non è purtroppo né nazionale né regionale,

↑ Aviva Stadium di Dublino, di cui Cimolai ha realizzato la copertura

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60%

Estero Percentuale di fatturato prodotto dal Gruppo Cimolai all’estero. L’azienda impiega circa 1.400 dipendenti diretti più un indotto di circa 800 persone

bensì globale. Ci sono paesi in cui il mercato c’è e si tratta allora di essere sufficientemente organizzati per penetrare in quei mercati con i prodotti che sono richiesti. È un processo complicato, serve predisposizione - innanzitutto culturale - per dialogare e commercializzare con paesi distanti per mentalità e regole». Cosa ha fatto la differenza nel vostro caso? «Siamo all’estero da più di trent’anni, abbiamo perciò acquisito una forte e radicata esperienza sui mercati extraeuropei che ci permette di innestare e avviare altre iniziative in altri paesi. Bisogna seminare - e per tempo - per cogliere i frutti. Ma non è mai troppo tardi per prendere la valigia e andare in cerca del lavoro, dovunque si trovi. È fondamentale non rimanere ancorati alle vecchie concezioni del mercato, del prodotto e della produzione. Bisogna essere aperti all’innovazione e alle novità. Non c’è una ricetta unica che vale per tutti. Esiste solo la possibilità di capire e sapersi adattare a ogni situazione e a ogni contesto». \\\\\ DICEMBRE 2012



LA LEVA DELL’EXPORT BRUNO VIANELLO

FARE IMPRESA IN ITALIA È ANCORA POSSIBILE La competitività internazionale di Texa è frutto di una filosofia basata sul senso di appartenenza delle risorse umane e sulla capacità innovativa dimostrata in questi anni. L’esperienza dell’azienda veneta raccontata dal presidente Bruno Vianello

artita con dieci dipendenti, oggi ne impiega circa 450 in tutto il mondo. Guidata da Bruno Vianello, presidente e ad, Texa - leader nella progettazione, industrializzazione e costruzione di strumenti diagnostici per auto, moto, camion e veicoli professionali - festeggia il ventennale della nascita con una nuova sede, inaugurata il 29 settembre scorso. L’azienda di Monastier scommette ancora sul radicamento nel territorio e continua a puntare sulle leve che ne hanno garantito la crescita: ricerca e sviluppo (Premio nazionale dell’innovazione ricevuto dal presidente Napolitano nel giugno 2011) e capitale umano (laureato per il 45 per cento, con un’età media di 32 anni) sul quale investire anche attraverso il progetto formativo TexaEdu. Qual è il segreto del successo di Texa? «Il passaggio fondamentale per lo sviluppo di Texa risiede nell’evoluzione della sua tecnica. Nel momento in cui

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↗ Bruno Vianello, presidente e amministratore delegato di Texa

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un’azienda sconosciuta sul mercato, com’era all’inizio la nostra, è chiamata a farsi strada e a differenziarsi da produzioni simili, è l’innovazione a fare la differenza. Per far fronte alla concorrenza, dovevamo, infatti, costruire una strumentazione talmente innovativa da poter consentire ai nostri clienti finali - i meccanici - di riparare le macchine con grande semplicità, cosa che non era possibile fare con la precedente strumentazione. Questa è la strada che abbiamo scelto e nella quale crediamo tutt’oggi». La crisi sta imponendo alle imprese di essere ancora più organizzate e rivolte all’innovazione. Con quali strategie Texa sta portando avanti questi obiettivi? «Le aziende già affermate devono portare avanti la ricerca e sviluppo anche quando conquistano la leadership, con lo DICEMBRE 2012


stesso criterio e con la stessa passione con cui sono entrate nel mercato. L’innovazione innanzitutto, poi diventa fondamentale una solida e affermata rete di vendita, per la cui creazione occorrono anni di duro lavoro». Texa commercializza direttamente tramite filiali in Spagna, Francia, Gran Bretagna, Germania, Polonia, Russia, Giappone. Su quali mercati puntare nel prossimo futuro? «Il fatturato di Texa all’estero si concentra in particolar modo in Europa, mentre per il futuro si guarda ai mercati che stanno espandendo il loro Pil, come il Brasile, i paesi asiatici e gli Stati Uniti, dove però bisogna superare le difficoltà produttive derivate dai veicoli che circolano in questo mercato, veicoli diversi da quelli che siamo abituati a diagnosticare nel vecchio continente. Per i mercati in altri continenti serve, quindi, una filiale dove affiancare all’assistenza tecnica e alla vendita, anche un’area dedicata alla ri-

↑ Nuovo stabilimento Texa a Monastier di Treviso

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cerca e sviluppo». Il nuovo stabilimento Texa identifica un segnale forte per il territorio ma anche di fiducia nei confronti del Paese. Quali sono le sue speranze per il futuro? «Si è trattato di un debito personale che avevo nei confronti del territorio in cui questa azienda è nata e delle persone che hanno collaborato con me in questi anni. Se l’azienda è andata bene, se sta andando bene, non è perché ci siano titolari straordinari, ma perché operano persone che hanno lavorato bene e si sono date da fare. In Texa, come in qualsiasi azienda, la forza umana è determinante per il buon successo dell’impresa. Questo debito nei confronti del territorio e delle persone rappresenta un buon presupposto per non delocalizzare oltre confine. Per Texa probabilmente è più semplice che per altre imprese, operando in una nicchia specializzata di mercato. Per aziende di altri comparti, il tessile o l’abbigliamento, è più complesso affrontare la concorrenza di paesi dove il costo della manodopera è sicuramente più basso. L’Italia deve però continuare a puntare sulla propria industria, ma per farla restare nei nostri confini, non bastano la volontà e l’impegno dei capitani di industria e degli imprenditori. Anche lo Stato e il governo devono saper offrire alle imprese le opportunità per rimanere in Italia e lavorare al meglio». \\\\\ FD DICEMBRE 2012

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EXPORT I SIMONE DALLE NOGARE E ADRIAN GRANDO

IMPIANTI A PROVA DI INNOVAZIONE Velo Engineering da oltre quarant’anni prosegue sulla strada dell’innovazione senza dimenticare l’avanzamento progettuale e tecnico. Simone dalle Nogare e Adrian Grando, spiegano le recenti operazioni aziendali

Da sinistra, Adrian Grando, direttore generale, e Simone Dalle Nogare, presidente e amministratore delegato www.velo-group.com

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n un momento di contrazione delle vendite e di crisi economica, ci sono comunque delle aziende che continuano a crescere e a misurarsi in maniera vincente sui mercati, non solo nazionali, ma anche mondiali. Una di queste è Velo Engineering, che chiude l’anno in corso con un importante crescendo e mette le basi per un 2013 ricco di soddisfazioni. Il quarto trimestre 2012 infatti si concluderà con un +161 percento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In questi mesi l’azienda si è concentrata per dare avvio a un nuovo assetto societario, più moderno e focalizzato sulle proprie competenze. A questo scopo hanno visto la luce tre nuove società: Velo Engineering, Officina Antonio Velo e Velo Service & Automation. Velo Engineering è dedicata al supporto al cliente, dalla vendita alla progettazione di macchinari e impianti chiavi in mano. La parte operativa e produttiva è invece in capo a Officina Antonio Velo, concentrata sulla massima produttività e allo sviluppo di standard tecnologici e qualitativi di riferimento globale. Il sistema di business si chiude con Velo Automation & Service, che affianca il cliente nelle fondamentali fasi dell’automazione del processo, dell’installazione e avviamento impianto nonché nella costante assistenza e nel servizio ricambi. Il nuovo assetto societario, come ricordano Simone dalle Nogare, presidente e amministratore delegato e Adrian Grando, direttore generale, «è supportato anche da un Cda completamente rinnovato con nuovi obiettivi e rinnovate competenze. La nuova organizzazione, attiva da settembre 2012, ha già mostrato i suoi effetti di razionalizzazione e miglioramento su tutti gli indici economici». Per quanto riguarda l’export, qual è stato il Paese di recente penetrazione e qual è stata la strategia vincente? Simone dalle Nogare «In queste settimane Velo Engineering ha chiuso due tra le vendite più importanti della sua intera storia. Entrambe riguardano la divisione birra, in crescita esponenziale per volumi, valori e marginalità. In questo caso i clienti sono stati accompagnati per oltre un anno nell’ascolto delle loro esigenze di business e di gestione d’impresa, al fine di progettare

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Export: passato presente e futuro Velo Engineering è un’azienda da sempre votata all’export. Già dagli anni ‘70 il saldo del portafoglio ordini era di provenienza soprattutto estera e al momento l’anagrafica conta ben 91 paesi clienti. Velo è infatti presente con unità partecipate sia dedicate alla produzione che alla vendita in Spagna, Argentina, Sud Africa e Australia. Dato che il core business aziendale è la progettazione e la realizzazione di macchinari e impianti per il processo enologico in cantina, il primo bacino di domanda è stato da subito l’Europa, soprattutto l’area mediterranea, proprio per il grande ruolo della viticultura. In una seconda fase hanno avuto un ruolo importante tutti i paesi della fascia temperata, dalla California, all’intero Sud America, fino all’Oceania e il Middle East. La nascita e il grande sviluppo di nuovi business come la birra (impianti chiavi in mano per la produzione di birra artigianale), l’industria agroalimentare (frutta, olio,cereali) e l’industria chimico-farmaceutica hanno consolidato l’internazionalità del business, oltre che stabilizzato il portafoglio ordini durante l’intero anno solare. Oggi l’azienda punta a rafforzare sempre più la sua presenza nei mercati emergenti come la Russia, la Cina, l’India, il Brasile; nonché a consolidare il proprio ruolo e la propria presenza negli Usa. È infatti stata fondata da pochi mesi Velo Usa, con l’obiettivo di presidiare al meglio un mercato che resta sempre strategico nel panorama globale e non solo dal lato delle vendite.

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EXPORT I SIMONE DALLE NOGARE E ADRIAN GRANDO

ASCOLTO, FORMAZIONE, PROGETTAZIONE DI BUSINESS E TECNICA SONO IL CORE BUSINESS DI VELO ENGINEERING

per loro e con loro l’impianto che fosse poi capace di essere perno del progetto. Ascolto, formazione, progettazione di business e progettazione tecnica sono il vero core business di Velo Engineering, il valore aggiunto che il mercato ci riconosce e per i quali ci premia». In questa prospettiva internazionale che ruolo ha il territorio d’origine? S.d.N. «Non si cresce in modo solido se non si hanno forti radici. E i fattori chiave della crescita sono la qualità e l’esperienza. Entrambi riguardano le persone che lavorano in azienda, nella quasi totalità abitanti nella zona, e l’indotto. L’impegno e l’importanza di Velo nel territorio è grande. Speriamo che anche il territorio sia capace di creare valore per le aziende». Quale impatto sta avendo la crisi sulla vostra attività aziendale? Adrian Grando «Il nostro settore è molto ampio ed eterogeneo. Lavoriamo infatti con il settore vitivinicolo che

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a livello mondiale conosce oggi una fase di consolidamento, con il settore della birra artigianale che invece è in fase di espansione in tutto il mondo, con l’industria agroalimentare e chimico-farmaceutica che presenta molti elementi di variabilità. In azienda preferiamo parlare sempre di sfide e di opportunità e mai di criticità perché sappiamo che, con il tempo, andremo a confrontarci sempre di più con la necessità di sviluppare innovazione per rilanciare i business più consolidati». Quali le strategie operative, gestionali e commerciali messe in atto per farvi fronte? A.G. «Siamo convinti di poter sfruttare al meglio questa situazione di crisi sia nel breve che ancor più nel lungo periodo. Ci supportano infatti un’esperienza e un know how solidissimi grazie alla nostra storia quarantennale, ma anche i numerosi progetti già avviati e da attivare. Il nuovo assetto aziendale, il rinnovo del Cda, una maggiore e migliore razionalizzazione dell’offerta, nuove par-

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+161% Crescita. Il quarto trimestre del 2012 verrà chiuso con un forte incremento di fatturato se lo si paragona allo stesso periodo dell’anno precedente

tnership tecnologiche e produttive sono ormai elementi già avviati e performanti». Quanto è importante la ricerca e sviluppo per l’azienda? Su quali progetti state lavorando in questo momento? S.d.N. «La vocazione all’innovazione è diffusa in tutti i business aziendali. Negli anni passati i sistemi Velo hanno rivoluzionato il mondo della filtrazione delle bevande, in primis il vino. L’anno scorso siamo stati i primi a proporre nel mercato un impianto di stabilizzazione del vino a resine, con grandi impatti in termini di velocità e cost saving. Oggi stiamo lavorando in campi molto diversi tra loro: dall’applicazione degli ultrasuoni alla maltazione dei cereali, dalla filtrazione tangenziale di prodotti complessi ai sistemi di raffreddamento di nuova generazione. La connaturata propensione al r&d

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si inserisce oggi in un approccio manageriale sempre più organizzato e monitorato: lavoriamo con risorse dedicate, processi organizzati, scheduling e obiettivi formalizzati e rigorosi. Inoltre, l’azienda ha attivato rapporti con le Università di Padova, Udine, Bordeaux e Monaco di Baviera». Dalle vostre riflessioni emergono come valori importanti l’attenzione alle persone e al gruppo. A.G «Vero. Molti pensano alle aziende a entità astratte invece che come gruppi organizzati di persone che lavorano insieme per produrre valore per sé e per gli altri. Quando si sono insediati il nuovo CdA e la nuova Direzione Generale, abbiamo trovato una realtà fatta da persone, oltre che molto preparate, anche profondamente attaccate all’azienda, con le quali è stato facile e un piacere fare squadra. A loro va molto merito per i bei risultati di questo trimestre e, ne siamo certi, per quelli dei prossimi mesi». Quali sono le prospettive e gli obiettivi per il medio e lungo periodo? A.G «Le prospettive per il futuro sono più che buone. Oggi l’azienda è più solida, più moderna, con maggiori rapporti internazionali, è gestita da un management preparato con un’età media di 45 anni, ha un monte ordini già a portafoglio capace di assorbire l’intera forza lavoro per i prossimi 18 mesi, è in stato di trattativa avanzata per ulteriori importanti realizzazioni. Il lavoro non manca, la voglia di affrontarlo ancora meno. Come dice il nostro pay-off, “per esperienza guardiamo avanti”, oggi più che mai». \\\\\ LA

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COMMERCIO I ANTONIO MARIA BARDELLI

PARTE IL RADDOPPIO DEL CENTRO CITTÀ FIERA

Un’opera monumentale, frutto di una strategia d’investimento coraggiosa e soprattutto flessibile: l’ampliamento del Centro Commerciale Città Fiera di Udine. Antonio Maria Bardelli spiega il piano d’azione

Antonio Maria Bardelli, amministratore di dec Spa - Bardelli Trade & Finance. Il centro Città Fiera si trova a Udine www.cittafiera.it

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l coraggio di investire non può che fondare le proprie radici nel cuore di una strategia calcolata. È il caso di Città Fiera di Udine, in cui è chiara la strategia coraggiosa e flessibile che spiega le ambiziose novità progettuali. Flessibile, perché si parla di raddoppiare l’area di per sé notevole che già occupa ma Estensione totale in progetto per la Città Fiera sfruttando il vantaggio di un progetto che si può realizzare di Udine. Il piano quindi prevede di raddoppiare in in fasi. Antonio Maria Bardelli, titolare della Dec Spa – Barmodo flessibile gli 86.000 m2 occupati attualmente delli Trade & Finance, annuncia l’ampliamento dello shopping center rendendo evidente l’obiettivo dell’opera. «Da ricerche effettuate – dice Bardelli – è emerso che il valore aggiunto del futuro centro commerciale sarà la capacità di soddisfare tutte le esigenze della domanda, dal semplice tutto al cinema, al gioco e alla ristorazione. Inoltre il posiconsumo di beni per la persona all’acquisto finalizzato al- zionamento strategico del progetto, localizzato al centro l’arredamento casa, fino all’aspetto ricreativo grazie soprat- dell’euro-regione nei pressi dell’autostrada che collega Italia, Austria, Slovenia e Croazia, permetterà un ulteriore ampliamento del bacino d’utenza arrivando a coinvolgere anche una clientela europea». Il bacino, quindi, risulta un valore imprescindibile quando si punta a realizzare grandi o grandissime volumetrie. Secondo l’azienda, il 62 per cento dei clienti risiede nel raggio di venti minuti (in auto) e oggi la frequentazione del centro conta otto milioni di visitatori l’anno. «Con questo maxi ampliamento – continua Bardelli – il Città Fiera di Udine, che si estende su un’ex area industriale, si candida a diventare uno dei più grandi se non il più grande shopping center in Italia e tra i primi in Europa. L’intervento dovrebbe

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Foto Semeraro

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essere ultimato entro il 2016, passando quindi dagli attuali 86mila metri quadrati a 160mila metri quadrati e il numero dei negozi a oltre 300/350 contro i 200 attuali. Dec spa – Bardelli Trade & Finance, developer del progetto, lo implementerà a partire da un piano strategico che cambia la visione classica del polo commerciale: gli ambiti tematici su cui ruota l’offerta diventano lo shopping, il fashion home outlet e il leisure. Il programma di sviluppo è molto ambizioso ma, a differenza di altri centri, Città Fiera parte da una massa critica rappresentata da ben otto milioni di visitatori». FOCUS SU CASA E INTRATTENIMENTO Il progetto è ambizioso anche sul fronte della commercializzazione. «Le opportunità per inserirsi sono elevate – annuncia il titolare della Dec –, sia per i negozi di piccola metratura sia per quelli di grande dimensione e il taglio delle unità sarà cucito su misura o quasi dei futuri tenants. Il numero degli anchor store dovrebbe tuttavia crescere tra cinque e dieci, portando il dato a quindici e venti». L’obiettivo, in breve, è quello di far diventare Città Fiera il più grande punto di attrazione per gli operatori del mondo casa. «L’iniziativa è tesa a favorire la ripresa e lo sviluppo di settori come il legno-arredo, accessori per la casa e tessuti, 182

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di natura industriale e artigianale, individuando nuove forme di raccordo diretto tra la produzione regionale e nazionale e l’acquirente finale. In riferimento al “mondo casa”, è da sottolineare la prossima apertura di un negozio “Semeraro” nel primo semestre 2014, che andrà ad affiancare ancore come Expert, Brico Fiera e Città Flora». Bardelli poi non dimentica l'importanza dell’offerta di intrattenimento, che vuole confermare come uno dei plus di Città Fiera anche in futuro. «Oggi esistono 7.900 mq dedicati all’intrattenimento – ricorda –, con servizi atti a soddisfare le esigenze di un target trasversale di clientela. Ma il vero piatto forte è il multisala da 11 schermi, denominato Cine Città Fiera. All’inDICEMBRE 2012


UN PASSATO INDUSTRIALE E UN FUTURO A BASSE EMISSIONI I lavori già iniziati comprendono l’intervento sulla nuova galleria, recuperata dall’ex ferramenta vicina. L’idea, secondo Bardelli, è quella di creare un anello che racchiuda lo spazio commerciale assicurando un flusso costante di pubIn concomitanza con il considerevole ampliablico. «Agli attuali 86 mila metri quadri, se ne aggiungemento della struttura di Città Fiera di Udine, Anranno altri 26 mila per le nuove aperture. La nuova galleria tonio Maria Bardelli, titolare della Dec Spa si svilupperà su due piani nella parte storica, che un tempo Bardelli Trade & Finance annuncia la prossima aveva la funzione di ferramenta: l’intervento in questo apertura dello spazio “Semeraro” con 6000mq, a senso verrà effettuato con una moderna riqualificazione partire dal primo semestre del 2014. «L’accordo delle strutture industriali esistenti rispettando le sue caratcon Semeraro – spiega Bardelli – è nato da una teristiche originali. Mattone, vetro e acciaio i materiali per comunione d’intenti, cioè quella di proporre un contraddistinguerla: il richiamo al passato industriale punto di riferimento legato al commercio di arreispira tutto il linguaggio architettonico della galleria. La damenti senza precedenti in regione. Semeraro è nuova galleria sarà collegata a quelle già esistenti grazie a un’azienda moderna che cura le tradizioni italiane proponendo arredamenti per la casa disponibili in un passaggio con volte di nuova costruzione, che amplifinegozi invitanti. Come quello che inaugurerà a cheranno la sua altezza originale permettendo ai fruitori Città Fiera, dove l’assortimento verrà esposto per del centro di osservare contemporaneamente i negozi su chi ama il buon gusto e dà valore alle proprie orientrambi i piani». gini. Il marchio è fedele alla stessa tradizione che Nel tentativo di mantenere i costi di gestione su livelli bassi traduce la praticità di ieri nei mobili polifunzionali la Dec è passata allo studio di nuove soluzioni “green”. «Già di oggi. Tradizione che rappresenta tutto ciò in oggi stiamo operando con la telegestione delle luci e cui Semeraro crede». stiamo sperimentando l’utilizzo della tecnologia a Led in galleria e nei parcheggi. Gli investimenti in soluzioni per abbattere l’impatto ambientale ammontano rispettivamente a 50mila euro per la ricerca sulla trigenerazione, sul risparmio elettrico, sulla telegestione e sull’utilizzo delle vernici fotocatalitiche, a 6.650 euro per le analisi dell’aria e a 10.500 euro per le analisi dei rumori. I costi delle spese comuni sono fra i più bassi esistenti nelle strutture comterno del maestoso edificio a forma di piramide collegato merciali di grandi dimensioni. La parte strutturale si comal centro, si sviluppano il “Multiseum” e la “Città della Sa- pleta con la realizzazione di nuovi parcheggi al secondo e lute”, articolata in laboratori di analisi cliniche e ambulatori al terzo livello, che porteranno la capacità totale da 4mila per le varie specialità mediche». a 10mila posti auto». \\\\\ RM

A Città Fiera arriva Semeraro

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RINNOVABILI I BRUNO BELLÒ

INNOVAZIONE INCESSANTE

Dalla tecnologia della pompa di calore, molto usata nel Nord Europa, deriva l’avanguardia per lo sfruttamento dell’energia solare. Bruno Bellò assicura: «In Italia sarebbe ancora più conveniente che in Nord Europa»

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ome succede spesso per le eccellenze imprenditoriali italiane, è la ricerca dell’innovazione a fare la differenza con la concorrenza straniera. In Veneto non si contano più ormai i casi in cui la caparbietà tipica della zona è diventata strumento per il raggiungimento della soluzione migliore: ne nascono aziende dal grande potenziale competitivo, fino alle imprese con fatturati a nove cifre. Bruno Bellò è uno di quegli imprenditori che la competizione l’ha vinta. A Villapaiera (BL), nel 1989, Bellò ha fondato Clivet, l’azienda che si è affermata con forza nel settore dei sistemi a pompa di calore. Questi sono dispositivi per il riscaldamento, il raffreddamento, il rinnovo e la purificazione dell’aria e la produzione di acqua calda sanitaria, che sfruttano l’energia solare indiretta, gratuita ed illimitata contenuta nell’aria, nell’acqua e nel terreno. Nella progettazione, produzione e distribuzione di sistemi comfort (climatizzazione a ciclo naturale e trattamento aria) l’azienda bellunese si è imposta tra i primi produttori a livello europeo. «Il nostro volume d’affari – dice Bellò – si aggira intorno ai 110 milioni di euro, di cui circa il 55 per cento realizzato sui mercati del mondo, presidiati da 7 filiali - Inghilterra, Spagna, Germania, Olanda, Emirati Arabi, Rus-

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Bruno Bellò, titolare della Clivet con sede a Villapaiera (BL) www.clivet.com

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sia ed India – e da una cinquantina di rivenditori». Come spiega queste cifre? «Abbiamo intuito che la sfida tecnologica nella climatizzazione sarebbe stata quella di fornire ai clienti prodotti e sistemi non solo efficienti, ma in grado di garantire il minor consumo di energia primaria per tutto il ciclo di vita dell’impianto. Questo tema è oggi al centro della questione ambientale, ed oggetto di forti interventi da parte dell’Unione Europea. Primo tra tutti l’emanazione nel 2009 della Direttiva Res, con la quale l’energia contenuta in aria, acqua e terra sfruttata dalle pompe di calore viene dichiarata energia rinnovabile al pari dell’eolico, del solare termico e fotovoltaico e delle biomasse». L’Europa quindi ha avuto un certo peso sulla vostra attività. «Nella definizione della strategia, prima ancora che nella progettazione della linea di prodotti, il nostro faro è stata l’Europa, che ha sempre avuto un livello di domanda più avanzato in termini di efficienza energetica. Questa rivoluzione, che coinvolge l'edilizia e dunque anche il nostro campo, garantirà all’industria nuovi importanti sbocchi occupazionali». Eppure non siete l’unica azienda che si occupa di tecnologie per lo sfruttamento delle energie rinnovabili. «Una delle chiavi del successo di Clivet è anche il fatto di aver puntato su sistemi con una spiccata diversificazione e flessibilità. Una strada, questa, difficilmente imitabile dalle decine di multinazionali presenti sul mercato mondiale, che invece si giocano la partita tendendo a garantire la più elevata standardizzazione delle produzioni». Questo come si traduce operativamente per voi? «Ogni edificio presenta peculiarità legate alla propria destinazione d’uso e noi, basandoci sulla tecnologia della pompa di calore, siamo andati oltre il concetto di singoli prodotti, e abbiamo realizzato sistemi industrializzati dedicati alle diverse applicazioni impiantistiche, ottimizzando i tempi di progettazione ed installazione. Il risultato finale prevede risparmi di energia primaria dal 30 al 60 per cento e una riduzione delle emissioni di CO2 anche del 50 per cento».

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RINNOVABILI I BRUNO BELLÒ

Green Energy italiana alle olimpiadi La bellunese Clivet ha fornito unità di climatizzazione per il condizionamento degli alloggi dell’Olimpic Village, situato in una delle aree più rappresentative della capitale, l’East End di Londra, che hanno ospitato gli atleti impegnati nell’edizione delle Olimpiadi. «Si tratta – spiega il titolare della Clivet, Bruno Bellò – di due condizionatori autonomi in pompa di calore condensati ad aria di tipo rooftop dedicati alla climatizzazione di ambienti di piccole e medie superfici con medio affollamento, che si caratterizzano per grande versatilità di utilizzo, compattezza e ridotti costi di gestione. Un altro fiore all’occhiello di Clivet, che si affianca agli oltre 12milioni di metri quadri di superfici commerciali serviti negli ultimi 15 anni, le più di mille sale cinematografiche e teatrali dotate di sistemi Clivet e le collaborazioni con importanti gruppi come Mc Donald’s, Mc Arthur Glen, Ikea, NH Hotels, Warner Village, Uci Cinemas, Ferrari, Microsoft.

Per riuscirci il vostro sforzo in ricerca dev’essere stato considerevole. «Il nostro è un investimento costante per l’innovazione, puntando all’eccellenza: l’area di ricerca e sviluppo di Clivet può contare su una squadra di oltre 50 progettisti che operano tutti i giorni nella realizzazione di soluzioni innovative, utilizzando sistemi di progettazione e simulazione di alto livello. Ne sono un esempio lampante le quattro sale prova dove vengono effettuati test avanzati sui diversi prodotti, verificandone tutte le funzionalità. È in una di queste sale prova che sono in corso da mesi dei test su un nuovo sistema dedicato al social housing: Elfopack. Un siChe margine c’è di incremento per l’utilizzo di tecnostema in pompa di calore a ciclo annuale, che garantisce logie come quelle realizzate da Clivet? una riduzione del consumo medio annuo di energia pri- «Nei paesi del Nord, caratterizzati da climi rigidi, le pompe maria e delle emissioni di CO2 di oltre il 50 per cento». di calore sono già ampiamente diffuse. Si pensi ad esempio che in un Paese come la Svezia oltre l’80 per cento del mercato del riscaldamento è servito da sistemi in pompa di calore. Nei Paesi dell’Europa meridionale e in particolare in Italia, dove beneficiamo di temperature medie stagionali ben superiori, la tecnologia della pompa di calore garantisce efficienze anche maggiori, dunque ancora più convenienti. In teoria quindi il margine è enorme. Per questo dopo aver acquisito il 50 per cento di quote di mercato in Italia, e una posizione di rispetto sui principali mercati europei nei sistemi in pompa di calore per i grandi amEmissioni di CO2 è la riduzione cui si può arrivare bienti del terziario, ora puntiamo a replicare questa perforcon i sistemi per la climatizzazione degli edifici basati mance nel residenziale, con l’intento di ottenere nel giro di sulle pompe di calore 5 anni un raddoppio del fatturato dell’azienda». \\\\\ RF

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RINNOVABILI I SERGIO BORTOLOTTI

LO SVILUPPO “VERDE” DELL’ENERGIA Sono i valori che mettono al centro l’uomo e il suo ambiente a fare il successo di un’azienda. Così Sergio Bortolotti spiega i rilevanti investimenti nel settore rinnovabili 190

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Sergio Bortolotti, presidente del Gruppo Pvb con sede a Trento www.pvbgroup.com

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impensabile che un’azienda possa prosperare senza produrre reddito per il territorio e per i dipendenti. È solo in seguito che vengono gli azionisti». L’ordine di priorità con cui si è soliti spiegare un successo imprenditoriale è così invertito: Sergio Bortolotti, presidente del Gruppo Pvb, ha fatto di questo, che per molti potrebbe sembrare un paradosso, la filosofia con cui guida da più di trent’anni la sua società nel settore energia. E per la sua Pvb, in effetti, si può parlare di successo, con oltre 400 milioni di fatturato registrati nel 2011 e 400 dipendenti. Per Bortolotti il sistema valoriale cui si rifà un’azienda ne determina le sorti, e per lui la ricerca dell’immediato profitto non ha niente a che vedere con i principi autentici del fare impresa. «Per questo motivo – dice il presidente della Pvb – oltre all’innovazione, alla qualità dei prodotti e all’efficienza dei servizi, abbiamo da subito guardato con interesse al mercato delle rinnovabili. Un settore nel quale ci siamo spesi e per cui abbiamo intrapreso importanti progetti sia in Italia, sia nell’Europa dell’Est».

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È IMPENSABILE CHE UN’AZIENDA PROSPERI SENZA PRODURRE REDDITO PER L’AREA IN CUI OPERA Il suo approccio sembra molto lontano per lo meno dall’immaginario comune, per non dire da quello di molti suoi colleghi. «Non credo che si possa percorrere molta strada se l’unico obiettivo è dato dal profitto. Premesso che tutte le aziende devono produrre reddito, bisogna rispondere alla domanda: per chi? Per noi al centro è l’azienda e non l’azionista. E il primo dovere è di lavorare per farla crescere e darle un futuro. È impensabile che un’azienda possa prosperare senza produrre reddito per il territorio e per i dipendenti, solo in seguito vengono gli azionisti. È inevitabile: se si cede alla tentazione del profitto immediato, si rischia di commettere gravi errori. Ne è un esempio lampante la crisi finanziaria che stiamo vivendo. Personalmente ritengo che la ricerca di reddito a breve sottragga energie e risorse ai risultati di lungo periodo». Dunque lei sostiene che siano questi valori a dettare le strategie vincenti? «Ne sono convinto. Si prenda come esempio l’inizio della nostra attività, che risale al 1980 quando insieme ad alcuni amici prendemmo in gestione un deposito di carburanti dell’Agip Petroli a Villalagarina, in provincia di Trento. I primi passi sono sempre i più difficili, mi ricordo però che l’avvio fu facilitato grazie a un’idea del tutto innovativa per i tempi di allora: offrire, assieme ai prodotti petroliferi, servizi di gestione calore per condomini, ospedali e la pubblica amministrazione. Grazie all’attenzione al cliente, a servizi e prodotti di qualità, Petrolvilla è diventata presto per fatturato e dipendenti una delle prime aziende a livello regionale e DICEMBRE 2012

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RINNOVABILI I SERGIO BORTOLOTTI

LA SOCIETÀ HA CONTRIBUITO ALLO SVILUPPO DEL SETTORE REALIZZANDO DODICI PARCHI FOTOVOLTAICI

ha iniziato a espandersi verso le regioni limitrofe, Veneto e Lombardia». Qual è la struttura che vi siete dati con la crescita della società? «Il Gruppo attualmente è organizzato in cinque aree. La prima è l’area Fuels, che si occupa della fornitura e distribuzione di prodotti petroliferi ed energetici per riscaldamento e autotrazione. A Fuels fa capo anche Fuels Retail, la società che si occupa della commercializzazione di carburanti attraverso una rete di stazioni di servizio con marchio Pvb. Power è invece l’area dedicata alla progettazione, realizzazione e gestione d’impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. La terza area è Facility e si rivolge all’ambito del Facility & Energy management: comprende i servizi di gestione calore e di global service tecnologico. L’area Systems è dedicata alla realizzazione d’impianti tecnologi meccanici ed elettrici. Infine l’area Cleaning, l’ultima nata in ordine di

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tempo, è specializzata nei servizi di pulizia e di sanificazione per ospedali, industrie, scuole e pubblica amministrazione». Quando avete sentito la necessità di un cambio d’assetto? «Al 2000 risale la prima importante svolta nella vita dell’azienda. Dopo vent’anni di crescita e di espansione anche vorticosa, nasce infatti il Petrolvilla Group Energia e Ambiente: in anticipo sui tempi, l’azienda cambia strategia, adottando una politica incentrata sui temi della sostenibilità, dell’efficienza e del risparmio energetico. In particolare, il tema dell’ambiente sale in primo piano ed entra a far parte del marchio, per sottolineare come l’attenzione alle problematiche ambientali non sia semplicemente un’operazione di facciata ma entri a pieno titolo nelle scelte strategiche aziendali. Ed è proprio grazie a tali scelte se il Petrolvilla Group del nuovo millennio è un’impresa leader nel Nordest, ormai pronta per il grande salto verso i mercati internazionali». Su quale comparto delle rinnovabili si è impegnata la Pvb? «Quello delle rinnovabili è un comparto che nel Gruppo ha acquisito via via sempre più importanza, mi riferisco DICEMBRE 2012


500 Mln L’investimento globale per la realizzazione di impianti idroelettrici nell’Est Europa. Il progetto prevede 14 centrali in Bulgaria e 7 in Romania

in particolare all’idroelettrico. Qui Pvb, grazie a forti investimenti in ricerca e sviluppo, ha accumulato competenze tecnologiche molto avanzate. Un bagaglio di esperienza e di professionalità che, quando è venuto il momento, ha aperto al Gruppo Pvb la strada dell’internazionalizzazione, un salto coraggioso per un’azienda di medie dimensioni che fino allora aveva operato soprattutto nel Nord Italia». Su quali paesi avete puntato maggiormente? «Per quanto riguarda il mercato estero, siamo impegnati, attraverso Pvb Power, in tre grandi progetti per la realizzazione di impianti idroelettrici, con un investimento globale di 500 milioni di euro: due in Bulgaria nove centrali sul fiume Iskar e cinque sul fiume Maritza -, e uno in Romania - sette centrali sul fiume Somes. Il progetto in fase più avanzata è quello dell’Iskar: entro il 2012 sarà già completato il 60 per cento dell’intero investimento, con cinque centrali funzionanti. A regime i tre progetti saranno in grado di produrre quasi 500 milioni di kWh. Ma lo sforzo del Gruppo è rivolto in più direzioni, come l’energia solare. Pvb ha contribuito allo sviluppo del fotovoltaico sul territorio nazionale realizzando dodici parchi fotovoltaici. Un progetto che è in fase di ampliamento e in prospettiva si prevede che il NORD EST SVILUPPO

numero delle realizzazioni crescerà ancora. Un altro settore cui Pvb guarda con grande attenzione è quello dell’energia eolica, dove ha in programma significativi investimenti sia in Italia sia all’estero, soprattutto nell’area balcanica». Una tale mole di lavoro deve richiedere un’organizzazione molto complessa. «È il motivo per cui, nel 2010, celebrando i trent’anni di attività, abbiamo intrapreso un profondo processo di riorganizzazione interna. Il risultato è una nuova ragione sociale e un diverso assetto organizzativo. Come ho spiegato prima, il Gruppo ora è ripartito non più in aziende, ma in cinque grandi aree di business: Fuels, Power, Facility, Systems e Cleaning. Il marchio unico sposta l’accento sul Gruppo, ma senza indebolire le singole aziende che, con un brand forte alle spalle, vedono aumentata la propria forza e capacità di misurarsi con la concorrenza».\\\\\ RF DICEMBRE 2012

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ENERGIA, VOLANO DELL’ECONOMIA

Sarà il settore energetico a tirar fuori l’Italia dalla crisi? Ne discutiamo con l’ingegner Andrea Lanzingher, responsabile del più grande fornitore di energia elettrica nel Triveneto

l settore dell’energia è, e sarà sempre di più, il volano dell’economia italiana». È questa l’opinione dell’ingegner Andrea Lanzingher, responsabile di Azienda Energetica Trading, società controllata interamente da Azienda Energetica Spa, il maggiore fornitore di energia elettrica in Alto Adige. La storica presenza nel territorio bolzanino e meranese di AE quale fornitore di energia elettrica ha consolidato nel territorio un’immagine ben precisa per l’azienda, che la collega alla sicurezza, all’ecologia e alla qualità del servizio. Mantenendo rapporti costruttivi con le organizzazioni territoriali e gli organi istituzionali. «L’energia elettrica prodotta da AE è di provenienza

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idroelettrica; quindi l’impatto ambientale dell’attività svolta è già molto limitato, anche se c’è ancora spazio per miglioramenti. In ogni caso anche il gas, che AE commercializza a Bolzano e Merano può essere annoverato come facente parte dell'energia pulita». Siete il più grande fornitore di energia elettrica del mercato libero in Alto Adige. Potrebbe farci un quadro della situazione dell’ultimo anno di operato? «La società ha vissuto nell’anno 2011-2012 una forte cre-

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ENERGIA I ANDREA LANZINGHER

700mln Il fatturato in euro registrato da Azienda Energetica Trading nell’ultimo anno grazie all’acquisizione di 25.000 nuovi clienti

4,7 mld Sono i kWh relativi al volume di energia fornito nel 2011, di cui il 65 per cento in Alto Adige e il restante 35 sull’intero territorio nazionale

scita che equivale a un fatturato di 700 mln di euro per un totale di 25.000 nuovi clienti oltre ai 200.000 clienti della casa madre. Abbiamo creato anche molti nuovi posti di lavoro, soprattutto per giovani, nel settore del commercio di nuove fonti energetiche. Un indotto positivo che ci ha confermato leader del settore nel Triveneto. Possiamo inoltre contare su oltre 100 anni di esperienza di AE e garantire affidabilità, sicurezza e qualità nella vendita e gestione della fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale».

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L’ingegner Andrea Lanzingher è responsabile di Azienda Energetica Trading, società controllata interamente da Azienda Energetica SpA www.eltrading.it

Con quali obiettivi siete giunti alla diversificazione e come siete arrivati alla commercializzazione del gas? «Ormai sono dieci anni che siamo attivi nel settore del commercio di energia elettrica; una decisione nata dopo il decreto Bersani che liberalizzava il settore. L’esperienza e la professionalità sviluppate in questi anni ci hanno spinto a fornire anche il gas naturale. Entrando in questo settore abbiamo creato ovviamente nuovi posti di lavoro. Per fornire un dato significativo possiamo affermare che negli ultimi mesi abbiamo acquisito 400 nuovi clienti nel settore gas.

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ENERGIA I ANDREA LANZINGHER

È IMPORTANTE CHE IN FUTURO RIMANGA QUESTA STRATEGIA DI SVILUPPO PER IL SETTORE ENERGETICO

Anche per quanto riguarda il gas ci muoviamo ovviamente su tutto il territorio nazionale; la nostra tipologia di cliente è molto vasta, dalla famiglia, alla piccola-media impresa fino alla grande realtà aziendale. La diversificazione di offerta è stata un valore aggiunto significativo per la nostra realtà». E per quanto riguarda le centrali idroelettriche? «Il gruppo AE è proprietario di diversi impianti, che gestiamo in maniera autonoma. Nei prossimi anni inoltre faremo grandi investimenti su altri impianti perché il campo dell’energia da fonte rinnovabile è in forte espansione. Bisogna inoltre andare incontro agli interessi dei consumatori, sia privati che imprese; per questo cerchiamo di favorirli con offerte vantaggiose, grazie soprattutto alla produzione da fonti idroelettriche. In questo modo rispondiamo alla richiesta del minor costo possibile, fondamentale in un momento

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difficile come questo di crisi che stiamo attraversando. Negli ultimi anni ci siamo inoltre specializzati nell’approvvigionamento di energia elettrica da altri Paesi, in particolare Germania, Svizzera e Austria, in modo da garantire sempre di più un’energia certificata da fonti rinnovabili». Com’è la situazione della distribuzione energetica in Italia? «Si tratta di una situazione in cui le associazioni di categoria rivestono un ruolo fondamentale, quello cioè di raggruppare i clienti per approvvigionare l’energia in modo comune. Il Governo attuale e quello precedente, a mio avviso, si sono comportati in modo coerente per quanto riguarda il settore delle energie rinnovabili ed è importante che nel futuro rimanga questa strategia di sviluppo per un settore fondamentale come quello energetico». \\\\\ MT

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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI LUIGI SCHIAVO

NUOVE ENERGIE PER L’IMMOBILIARE

Imu e crisi economica frenano la compravendita delle case. Intanto in Veneto, al secondo posto in Italia per cementificazione, i costruttori studiano nuove proposte urbanistiche per le città del futuro, partendo dai centri storici. Il punto di Luigi Schiavo - Giacomo Govoni

uali sono i fattori che concorrono a rendere il 2012 uno dei peggiori momenti per il mercato immobiliare? La crisi economica è sicuramente uno dei punti più pesanti, ma è la sua coniugazione nell’economia reale a paralizzare maggiormente venditori e potenziali acquirenti. I primi, per bisogno di liquidità, per evitare di pagare l’Imu ma anche per acquistarne una nuova più moderna ed efficiente, cercano di vendere; i secondi, invece, vorrebbero acquistare il loro primo immobile ma a causa del credit crunch e della maggiore diffidenza delle banche sono impossibilitati a farlo. Per questo Ance Veneto punta a studiare soluzioni integrative al mutuo bancario. Un’idea potrebbe essere rispolverare, evolvendolo, il modello delle cartelle fondiarie affidando alla Cassa depositi e prestiti un ruolo centrale perché la Cdp può approvvigionarsi sul mercato a lungo termine con costi minori anche del 30 per cento rispetto a una grande banca. Con il supporto di altri investitori istituzionali ci sarebbero quindi le risorse da utilizzare per acquistare tranche senior di cartolarizzazioni o obbligazioni garantite da mutui residenziali. In alternativa, o accanto a questo strumento, si potrebbe pen-

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↑ Luigi Schiavo, presidente di Ance Veneto

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IL RECUPERO DELL’ESISTENTE DOVRÀ CONTRADDISTINGUERE I PIANI URBANISTICI DEL FUTURO sare alla creazione di un fondo di garanzia statale che protegga i mutui erogati dalle banche a vantaggio delle categorie disagiate. Lo spiega meglio il presidente della sezione veneta dell’Associazione nazionale costruttori edili, Luigi Schiavo. Gli immobili invenduti si stanno trasformando in “emergenza edilizia”. Quanto questa situazione è reale e come poterla risolvere? «Il problema è reale ed è legato non tanto a una mancanza di richieste di abitazione, quanto alla difficoltà delle famiglie di accedere al mutuo. Mettendo insieme i dati delle costruzioni in cantiere, ormai ridotte all’osso, e le esigenze delle famiglie si può vedere che c’è un saldo, e quindi un fabbisogno potenziale, di 595mila case. Sebbene, per difficoltà di rilevazione, nessuno sia riuscito ancora a stimare

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a quanto ammonti l’invenduto italiano, si può certamente affermare che la nostra situazione è ben diversa da quella spagnola o da quella che caratterizzava gli Stati Uniti nel contesto della crisi dei sub-prime. Il settore immobiliare, tra il 1995 e il 2005, ha vissuto senza dubbio un’epoca di grande espansione, ma non parlerei di bolla immobiliare. Il saldo negativo tra nuove abitazioni e nuove famiglie in parte lo conferma. La soluzione è agevolare l’accesso al credito per quelle famiglie che più hanno bisogno di acquistare casa: le nuove coppie e le fasce medio-basse». Quanto e come l’Imu ha inciso sull’andamento del settore e sulle compravendite? «Certamente l’Imu non rappresenta un incentivo alla ripresa del settore. Nessuno contesta la legittimità di una tassa sulle proprietà immobiliari, che esiste in quasi tutti i paesi occidentali, ma l’entità degli aumenti è stata davvero impressionante. Oltretutto la nuova imposta si inserisce in un contesto di forte difficoltà per le compravendite immobiliari. Chi non riesce a vendere si ritrova con un fardello pesante sulle spalle. Per gli imprenditori la situazione è paradossale: è come aver imposto il bollo alle automobili ferme in concessionaria».

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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI LUIGI SCHIAVO

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Domande Presentate in Veneto, ad agosto 2012, per gli ampliamenti e le opere di manutenzione resi possibili dalla legge sul Piano casa

Il Veneto è la seconda regione d’Italia più cementificata, l’11 per cento del suo suolo è impermeabile. Come far conciliare la ripresa del settore edile con la consapevolezza che oltre un certo limite non si può andare? «C’è un punto fermo, ampiamente condiviso, che dovrà contraddistinguere i piani urbanistici del futuro: il recupero dell’esistente. I centri si svuotano perché le case sono vecchie e non più confortevoli ed è costoso rimetterle in sesto. Ma non si può pensare di continuare a costruire in periferia: i costi legati alla mobilità urbana, all’impatto sull’ambiente, agli standard di socialità sarebbero gravosi e non convenienti tanto per chi costruisce quanto per l’utenza. Per questo l’Ance ha promosso il Piano per le città, programmi di recupero organico di interi quartieri o di zone produttive dismesse. Il governo l’ha fatto subito suo con il recente decreto sviluppo. I fondi stanziati sono ancora pochi rispetto alle esigenze e alle richieste dei Comuni, ma l’approccio e la vision sono quelli giu-

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sti. Serve però anche molta meno burocrazia e il coraggio di intervenire anche in aree urbane più delicate. Con il recupero a fini residenziali dei loro dock portuali dismessi, Amstedam, Parigi e Berlino sono esempi da seguire». Ad agosto in Veneto sono state presentate 45.355 pratiche per il piano casa. Questo provvedimento ha comportato un miglioramento della situazione del comparto? Quali sono state le tipologie di richiesta più frequenti? «Si è trattato per lo più di piccoli interventi di manutenzione. La mole di lavoro ha consentito soprattutto ai piccoli artigiani di affrontare con più tranquillità il periodo di magra. È stato un bene sia perché è stato un primo tentativo di ampliare la possibilità di intervento sul parco immobiliare esistente sia per salvaguardare il know how delle maestranze locali. La vera sfida è il recupero strutturale di interi edifici attraverso la demolizione e ricostruzione, non ancora sufficientemente incentivata dalla legislazione e dalla mancanza di una burocrazia snella ed efficiente». \\\\\

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EDILIZIA SOSTENIBILE LUIS DURNWALDER

ALTO ADIGE, UNA SENSIBILITÀ GREEN

All’avanguardia nei settori delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, l’Alto Adige si avvia a grandi passi verso Klimaland. Ne parla il presidente Luis Durnwalder - Francesca Druidi ↑ Presentazione del dossier “Alto Adige Green Region” il 24 luglio. Da sinistra: l’assessore Thomas Widmann, il ministro Clini, Luis Durnwalder e il direttore di Bls Ulrich Stofner 212

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→ Flavio Ruffini, presidente dell’Agenzia CasaClima

un modello di sviluppo eco-compatibile ed ecologico quello portato avanti, ormai da anni, dall’Alto Adige, portato avanti dall’amministrazione e condiviso pienamente dai suoi abitanti. Non si tratta solo di uno stile di vita, ma anche di un asset economico strategico: sono quasi 500 le aziende del territorio già attive nel settore e il 30 per cento circa di tutte le imprese altoatesine investe in tecnologie verdi, contro il 23,4 per cento della media nazionale. In virtù della sua posizione, dell’autonomia di cui gode, delle specificità della sua economia e degli sforzi compiuti in questa direzione, l’Alto Adige mira a diventare un Klimaland riconosciuto a livello internazionale. Cosa si intende per Klimaland? «Una gestione intelligente e razionale dell’energia, il miglioramento dell’efficienza negli edifici, l’utilizzo di fonti rinnovabili. Sono questi i tre punti principali nei quali si articola la strategia elaborata dalla giunta provinciale per il pacchetto clima: una serie di misure da attuare entro il 2050 e raggruppate nel concetto Klimaland». Quali gli obiettivi centrati finora, ma soprattutto i principi cardine della politica energetica che condurrà alla realizzazione di Klimaland nel 2050? «Da un lato, l’obiettivo del pacchetto clima è quello di abbattere la produzione di anidride carbonica - che entro il 2050 dovrebbe passare dalle attuali 5 tonnellate a 1,5 tonnellate all’anno - e, dall’altro, trasformare l’Alto Adige in una regione indipendente dal punto di vista energetico in grado di produrre e utilizzare energia pulita e sicura. Oggi il territorio copre il fabbisogno energetico (escluso il traffico) per il 56 per cento con fonti di energia rinnovabili. Entro il 2020 vogliamo coprire il 75 per cento, entro il 2050 raggiungere e superare il 90 per cento. Ricordo, inoltre, che secondo il Rapporto 2012 di Legambiente, in Italia ci sono 23 Comuni rinnovabili al 100 per cento e, di questi, ben 16 sono in Alto Adige». Per quanto riguarda l’asse d’intervento “Riqualificazione di edifici ed edilizia sostenibile”, quali saranno i provvedimenti che riguarderanno il patrimonio edili-

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L’AGENZIA CHE CERTIFICA GLI EDIFICI FLAVIO RUFFINI PRESENTA UN SETTORE, QUELLO DELL’EFFICIENZA ENERGETICA, IN CONTINUA EVOLUZIONE. A PARTIRE DALLA FORMAZIONE asaClima festeggerà entro l’anno la certificazione numero 5.000. Traguardo grazie al quale si posiziona tra le attestazioni di qualità nell’efficienza energetica più ambiti non solo a livello nazionale, specie in Veneto, Lombardia e nelle province autonome di Trento e Bolzano, ma ben oltre i confini. «Attualmente – precisa Ruffini – abbiamo più di 1.000 edifici in fase di certificazione».

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Sono cinque gli edifici che di recente sono stati insigniti dei “CasaClima awards 2012”. In che modo gli interventi premiati hanno saputo coniugare i criteri di efficienza energetica e sostenibilità? «Gli edifici premiati hanno trovato la miglior simbiosi tra efficienza energetica, sostenibilità ambientale, qualità abitativa e innovazione architettonica e hanno interpretato nel miglior modo i principi costruttivi che CasaClima promuove. Anche se il premio è nato in provincia di Bolzano, la sua rilevanza, grazie anche ai contributi dei network e degli esperti, ormai si è estesa su tutto il territorio nazionale. Quest’anno la Casa delle Bottere a Treviso e la scuola elementare di Villa Vicentina, insigniti con il cubo d’oro e costruiti al di fuori della provincia, sono di particolare pregio». Con quali altre iniziative CasaClima continuerà a perseguire questo obiettivo? «L’agenzia si impegnerà sempre più come centro di competenza di riferimento in primis per gli utenti e poi anche per tutti gli attori dell’edilizia in Italia. Ne è testimonianza la grande cura con cui stiamo affrontando la sfida del raffrescamento, che nel nostro Paese serba un enorme potenziale di miglioramento. ▶ DICEMBRE 2012

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EDILIZIA SOSTENIBILE LUIS DURNWALDER

↓ Museion di Bolzano, esempio di architettura ecosostenibile (Certificato CasaClima B)

▶ Inoltre, in futuro interverremo maggiormente sul patrimonio edilizio esistente». A fine agosto è stata consegnata la prima targa “CasaClima wine” alla tenuta Pfitscher. Cosa rappresenta questa certificazione e come si muovono le moderne aziende vinicole in direzione di una maggiore sostenibilità? «Si tratta di un nuovo sigillo dell’agenzia, che tiene conto della compatibilità ambientale dell’edificio, del consumo di energia e acqua nella produzione dei vini, della scelta degli imballaggi e della produzione di rifiuti. Oggi le cantine, oltre a essere strutture destinate alla produzione, si stanno affermando sempre più come luoghi di socializzazione e incontro, dove presentare, attraverso l’architettura e il prodotto vino, le peculiarità, la cultura, la storia e le ricchezze di un intero territorio».

Uno dei principali campi di competenza dell’agenzia CasaClima è la formazione. Quali le novità? «I corsi offerti forniscono un know-how di livello superiore sui temi rilevanti del costruire sostenibile. Negli ultimi 5 anni sono stati organizzati più di 1.000 corsi, per un totale di 25.000 partecipanti. Questo successo è stato reso possibile sia dalla competenza dei relatori sia dall’impegno dell’agenzia nel mantenere sempre aggiornata l’offerta formativa. Molti corsi fra quelli offerti comprendono, oltre che lezioni teoriche in aula, anche fasi di progettazione diretta, esperienze in campo con visite di cantieri ed edifici finiti e attività di laboratorio. Tra le ultime novità segnalo il corso “Consulente/auditore per la sostenibilità”, riservato a chi è già consulente o auditore CasaClima, e il ciclo di seminari “Costruire con…”, aperti a tutti gli interessati». - RG

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zio esistente, ma anche la nuova edilizia? «Dieci anni fa è nata l’agenzia CasaClima, che finora ha rilasciato la certificazione energetica e ambientale a 6mila edifici. Il potenziale maggiore arriva però dai risanamenti, soprattutto nelle città: entro il 2020 vogliamo innalzare la quota di edifici risanati ogni anno dall’1 al 2,5-3 per cento, incentivando gli interventi anche con la concessione di un bonus cubatura». In questa visione complessiva di politica energetica, quale evoluzione conosceranno gli standard CasaClima? «Nel 2015 in Alto Adige per gli edifici di nuova costruzione sarà obbligatorio lo standard A, che prevede un consumo per riscaldamento di 30 kwh all’anno per metro quadrato, finora il consumo per lo standard B è 50 kwh». Quali prospettive apre la promozione dell’Alto Adige come green region? «Grazie alle competenze garantite dall’autonomia, possiamo investire anche nella qualità dell’ambiente e nell’innovazione con una politica di gestione del territorio sempre attenta nella mobilità, nel turismo, nell’economia, nell’energia e nelle costruzioni. Si tratta di progetti ispirati alla sostenibilità che stanno collocando la Provincia in una dimensione di regione verde, produttiva ed ecocompatibile. Per quanto riguarda la mobilità, tra le misure già attuate, ricordo l’introduzione dell’Alto Adige Pass, che incentiva l’uso del mezzo pubblico permettendo di viaggiare con un unico biglietto su tutti i mezzi di trasporto in tutto il territorio provinciale. Inoltre, è in corso a Bolzano la realizzazione di un impianto di produzione e distribuzione di idrogeno per auto: l’obiettivo è la creazione di un “corridoio verde” tra Monaco e Modena con un distributore di idrogeno ogni 100 km». \\\\\ DICEMBRE 2012



UN RISPARMIO ANCHE ECONOMICO L’adozione del regolamento che prevede l’obbligo della certificazione CasaClima cambierà il volto di Udine nel segno dell’efficienza energetica. Il punto del sindaco Furio Honsell 216

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EDILIZIA SOSTENIBILE FURIO HONSELL

l Comune di Udine ha abbracciato il protocollo CasaClima, rendendo obbligatorio raggiungere la classe B per gli edifici di nuova costruzione. Una decisione che, come spiega il primo cittadino, mira a creare una città sostenibile incrementando la qualità edilizia. Qual è stata la risposta della cittadinanza al provvedimento? «Il nuovo regolamento energetico è stato adottato dal consiglio comunale il 25 maggio 2009. La nostra scelta, inizialmente criticata, ha riscontrato alla prova dei fatti grandi apprezzamenti sia da parte degli operatori del settore e dei costruttori che dei cittadini. Quello che conta poi è che l’adozione di questa misura si sta traducendo in un miglioramento del patrimonio edilizio e della vivibilità della città, in un aumento del comfort abitativo, in un sensibile risparmio energetico e, di conseguenza, economico». Quali risultati sono stati raggiunti fino a oggi? «Un edificio di classe B CasaClima ha un fabbisogno annuo tra i 50 e i 30 kWh/mq, che si traduce in consumi tra i 5 e i 3 litri di gasolio o metri cubi di gas per metro quadro di superficie riscaldata. Attraverso questa scelta, nei prossimi anni, sono attese altre 500 unità abitative certificate che consumeranno pochissima energia, con una decisa riduzione delle emissioni di anidride carbonica e un risparmio di circa 350 euro di bollette per ogni famiglia. Fino a oggi, su 111 edifici complessivi, di cui il 99 per cento residenziali, 14 sono già stati certificati e gli altri 97 sono in fase di certificazione. In particolare, una plurifamiliare in classe oro, tre in classe A+, di cui una plurifamiliare, una unifamiliare e una scuola materna, 17 in classe A, di cui 9 unifamiliari, una unifamiliare ristrutturata, due edifici per uffici, 4 plurifamiliari e un’altra nuova costruzione, e 90 edifici in classe B». Quali elementi ha registrato nel processo di adesione della città allo standard CasaClima? «Gli operatori del settore hanno subito colto l’opportunità che il mercato offriva al punto che, benché per norma venga imposto il livello B come minimo di classificazione,

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← L’interno della fiera Klimahouse a Bolzano ↓ Furio Honsell, sindaco di Udine

sono sempre più numerose le iniziative che hanno come obiettivo il raggiungimento di classi superiori. Dai dati emersi e confrontando i fabbisogni medi di energia degli edifici esistenti a Udine, il risparmio per i cittadini sarà di oltre 2 GWh all’anno, equivalenti a un taglio di 400 tonnellate di anidride carbonica». In una prima fase l’adesione a CasaClima è stata incentivata attraverso un fondo. Sono tuttora previste forme di incentivazione? «In realtà non è mai stata prevista alcuna incentivazione per la realizzazione di questo tipo di edifici. Perché la logica di questo percorso non è quella dell’incentivazione. Il Comune ha realizzato il nuovo regolamento edilizio e l’adesione al protocollo è nell’interesse dei cittadini: è un investimento che si finanzia nel giro di 6 o 7 anni. La riprova è data dal fatto che questi appartamenti vanno a ruba in città, sono gli altri a non avere più mercato. Nella fase di transizione, per non creare troppo squilibrio rispetto al regolamento precedente, abbiamo soltanto tenuto conto delle spese di certificazione». Come l’amministrazione sta portando avanti il discorso di un’edilizia di qualità e di un abitare consapevole? «La città sostenibile è stata una delle priorità dal mio insediamento. Anzi, era già presente nel programma elettorale. Abbiamo realizzato CasaClima, piste ciclabili, un piano della mobilità sostenibile. Udine è stato il primo comune del Friuli Venezia Giulia a sottoscrivere il Patto dei sindaci. Il consiglio comunale ha deliberato all’unanimità l’adesione all’iniziativa dell’Unione europea che pone alle città aderenti l’obiettivo di ridurre di oltre il 20% le emissioni di gas serra, attraverso l’aumento del ricorso alle fonti di energia rinnovabile e il miglioramento dell’efficienza energetica. È mia ferma convinzione proseguire in questo percorso». \\\\\ FD DICEMBRE 2012

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TRADIZIONE E SPIRITO DI UN LUOGO

II dibattito sulla bioarchitettura del ventunesimo secolo assume significati più intimisti a contatto con il pensiero e le opere dell’architetto Walter Angonese. Che rifiuta ogni “ecoformalismo” 218

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EDILIZIA SOSTENIBILE I WALTER ANGONESE

← Il Centro Visitatori di Carezza Sopra, Walter Angonese ↑ Walter Angonese

a bioarchitettura ha iniziato a diffondersi a partire dalla metà degli anni Settanta fino a diventare quasi uno slogan della società attuale e della moderna progettazione. Ma quali sono gli approcci progettuali che vanno oltre i canoni dell’edilizia tradizionale? Secondo l’architetto Walter Angonese, la risposta va cercata in una visione intimista e sostanziale di un luogo e delle sue caratteristiche. Un fare che s’allontana da facili formalismi e che va alla fonte dell’ecosostenibilità. «Gli interventi realizzati secondo i canoni della bioarchitettura – afferma – non dipendono tanto dal particolare interesse per questa disciplina, bensì dalla spinta nel progettare cose adatte a un luogo e agli uomini che lo vivono». Come vanno intese dunque le progettazioni biocompatibili? «Non sono molto legato a questi slogan moderni che vengono spesso usati in maniera inflazionale, benché nella sostanza il principio di ecosostenibilità m’interessa e mi deve interessare. Come uomo, ma anche come professionista. Tengo particolarmente alla dimensione logica di un progetto, al benessere delle persone che vivono un edificio e pertanto, in maniera automatica, considero entrambi questi aspetti. Ma non amo l’ecoformalismo che, purtroppo, è divenuto di moda». Lei come coniuga e interpreta la tradizione di un luogo e del suo paesaggio con la progettazione? «Mi dedico al luogo in modo più o meno intenso. Cerco di scoprirne le particolarità, partendo dalla percezione di elementi che possono essere considerati anche banali e ordi-

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EDILIZIA SOSTENIBILE I WALTER ANGONESE

→ La Cantina San Michele ad Appiano

nari. M’interessa soprattutto la quotidianità di un luogo, perchè solo capendo quella si può arrivare a scoprire tutte le altre dimensioni, gli elementi che manifestano la sua tradizione e quelli che esprimono una costanza, una cultura, e gli danno senso, spirito e caratteristica. Quando abbiamo costruito il centro per i visitatori del lago di Carezza, a oltre 1.600 metri, ci siamo confrontati anche con il legno delle stupende foreste circostanti. Ho scelto di lavorare proprio con questo tipo di materiale per tutto l’edificio, costruendo con questi assi le parti superiori, portanti e di rivestimento e le parti ipogee. È stato un modo di operare programmatico e logico, contestuale, legato al tema della progettazione e a impatto zero». In Italia esiste una cultura della sostenibilità architettonica o il processo è ancora agli inizi? «Alcune riviste milanesi si sono dedicate molto a questo tema e pertanto il fenomeno è ormai entrato a far parte del dibattito. A Milano si costruiscono perfino grattacieli dai quali crescono alberi, come da una rovina del romanticismo. Se tutto ciò va inteso come cultura della sostenibilità, al di là delle distinzioni tra le diverse realtà climatiche del paese, allora non penso che si possa parlare di una non esistenza di questa cultura. Personalmente, però, provo un certo scetticismo se alcuni amici siciliani mi contattano perché vogliono costruire le loro case con il legno in una terra del Mediterraneo, dove l’inerzia di un edificio gioca un ruolo fondamentale per cultura e per fisicità. Bisogna dunque stare attenti a non cadere nei soliti formalismi». Bolzano può raggiungere a breve l’obiettivo di riscaldamento ed energia a costo zero e senza inquinare? «Purtroppo nel mondo globale in cui viviamo non possiamo più essere sicuri della provenienza della nostra ener-

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gia. Il Sudtirolo, grazie alla capacità di produzione delle sue grandi centrali idroelettriche, potrebbe essere autarca in campo energetico. Negli ultimi anni, come un po’ in tutta l’Italia, sono state promosse le energie alternative e molti oggi trovano parte della loro fonte energetica negli impianti solari e fotovoltaici. Tuttavia, queste nuove tecnologie non concepiscono ancora l’architettura come strumento per costruire edifici adatti al luogo circostante. E accade che ci si focalizza solo sulla parte del tetto, volendo poi mantenere forme e tipologie tradizionali nelle restanti zone. La sperimentazione con case passive non è poi ancora conclusa ed esistono ancora troppi problemi legati a fenomeni fisici, soprattutto in posti molti umidi. In questi casi trovo ci sia ancora troppa incongruenza e, nuovamente, tanto formalismo». Materiali naturali, risparmio energetico, case intelligenti: quali sono oggi le frontiere della bioarchitettura? «È molto semplice: per vivere secondo i canoni della bioarchitettura bisogna anche ridurre i propri bisogni. Non posso avere una casa ipertecnologica e al tempo stesso applicare argilla sulle pareti. Serve un cambiamento paradigmatico nella propria testa ed è proprio a questo livello che molti di noi non sono ancora arrivati». In che modo, attraverso la bioarchitettura, si giunge a una nuova qualità della vita? «Gran parte delle persone si trova molto meglio in una casa storica, costruita involontariamente con materiali ecologici o biologici, anziché in una casa contemporanea. Questo ci deve indurre a riflettere sul nostro lavoro. Talvolta i colleghi giovani pensano che un architetto contemporaneo debba usare materiali contemporanei. Ma cos’è contemporaneo? Il cemento lo hanno inventato i romani». \\\\\ EF

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INFRASTRUTTURE I LUCA PIEROBON

UN CONSORZIO STABILE PER LE COSTRUZIONI La formula del “consorzio stabile” è un’opportunità per condividere competenze, risorse tecniche e umane, rendendosi più competitivi sul mercato delle costruzioni, in forte stasi. Il punto di Luca Pierobon

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llargare il proprio orizzonte di mercato diventa un passo strategico da effettuare, in un momento di contrazione delle opportunità rivolte alle imprese di costruzioni. Nasce da questa considerazione l’esperienza di Petra, primo e finora unico esempio di “consorzio stabile” in provincia di Belluno. Presieduto da Luca Pierobon, il consorzio ha circa 150 dipendenti, fra personale proprio e delle consorziate, ed è nato dall'unione di tre imprese di costruzioni locali: Bortoluzzi Celeste Srl (in attività dal 1901), Silvio Pierobon e C. Sas (in attività dal 1910) e Geocem Srl (dal 1986). Nel contesto di un’edilizia fortemente gravata dalla crisi, quale valore aggiunto può portare l’aggregazione in un consorzio? «Oggi il valore delle aggregazioni viene ampiamente riconosciuto, in tutti i settori economici, anche attraverso una specifica normativa “premiante”, sulle reti d’impresa. In ve-

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Luca Pierobon, presidente del Consorzio Petra, che ha sede a Belluno l.pierobon@geocem.it

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rità, nell’ambito della disciplina sui lavori pubblici italiana, già dal 1994 venne attribuito un vantaggio alle imprese di costruzioni che intendessero unire durevolmente le proprie capacità per far fronte in modo coordinato all’affidamento ed alla realizzazione di opere pubbliche, proprio attraverso le regole sui “consorzi stabili”. Un tentativo del legislatore di porre rimedio alla fortissima frammentazione del mercato nazionale delle imprese del settore, caratterizzate da una dimensione media estremamente ridotta». Cosa vi ha permesso di mettere in campo, questa forma di aggregazione? «Unire competenze, mezzi tecnici, personale, in modo elastico e funzionale alla natura di ogni singolo contratto è una chance competitiva che aiuta a superare l’attuale fase congiunturale di profonda crisi del mercato delle costruzioni. Le imprese aderenti al Consorzio Petra hanno voluto cogliere questa opportunità nel 2004, anno della sua costituzione, quando la prospettiva della crisi del settore delle costruzioni era chiara e tangibile. Petra è nato per i lavori pubblici ma può operare naturalmente anche nel mercato dei lavori privati, muovendosi in diversi contesti territoriali, estero compreso. Operiamo prevalentemente in Veneto, ma il nostro raggio d’azione si espande a tutta Italia e coincide con il bacino d’utenza delle società consorziate». DICEMBRE 2012

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INFRASTRUTTURE I LUCA PIEROBON

Quali sono i principali progetti realizzati e quali quelli in fase di realizzazione? «Ci siamo occupati dei lavori marittimi nell’area di VeneziaMarghera per conto di primarie aziende venete e di indagini geologiche marittime da piattaforma nell’area di Trieste; abbiamo lavorato per il Magistrato alle Acque, l’Anas e Veneto Strade. Per quest’ultimo, attualmente stiamo realizzando la variante di Agordo sulla Sr 203». Operate anche nell'ambito delle pavimentazioni stradali. In quest'ambito come vi rapportate alle relative gare di appalto? «Operiamo in questo ambito da due anni e mezzo circa, dopo la decisione di rilevare il ramo d’azienda da un importante operatore locale che l’aveva posto in liquidazione. Nelle gare d’appalto per ogni realtà aziendale che opera in questo specifico settore la tendenza al ribasso è particolarmente marcata soprattutto in questo periodo di forte crisi. Per fortuna i committenti, in particolare in questo ambito di attività, sono molto attenti alla qualità degli interventi eseguiti e sanno porre la opportuna attenzione sul giusto rapporto “qualità/prezzo” e non potrebbe che essere così, in quanto ne uscirebbe sconfitto sia il committente stesso, che il sistema delle imprese serie e responsabili». Sul fronte della sicurezza, ritenete adeguata la relativa normativa? «Tale normativa è sicuramente complessa, farraginosa e di

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non facile gestione. Sovente nella sua applicazione prevale il valore degli adempimenti burocratici rispetto alla concreta applicazione delle cautele antinfortunistiche. Un ulteriore problema, molto significativo, sta nel sistema dei controlli che non è affatto omogeneo sul territorio nazionale. Le aziende più coscienziose sopportano oneri e si fanno carico di adempimenti costosi che sono, invece, spesso trascurati da operatori “disinvolti” che posso operare nel mercato con troppa libertà di azione. Ciò a danno della competitività delle prime». Volgendo lo sguardo al futuro: quali ambiti del vostro settore presentano sviluppi interessanti? «Le infrastrutture rappresentano un ambito in cui le opportunità di intervento sarebbero numerose, soprattutto se venissero implementate le politiche tese al coinvolgimento dei capitali privati per la loro realizzazione, per favorire il ricorso a project financing. La difesa del suolo è un altro comparto di attività che meriterebbe una più adeguata considerazione, visto che a ogni fenomeno meteorologico appena più insistente della media, le conseguenze dannose sono evidenti e tutti gridano allo scandalo, salvo poi “rimuovere” il problema. Le maggiori chance di mercato potrebbero venire però dall’edilizia sostenibile. In un’Italia che non cresce demograficamente e dove lo stock abitativo esistente è sostanzialmente adeguato alla domanda, il miglioramento della qualità degli alloggi potrebbe rappresentare l’unica via praticabile per sostenere l’offerta di nuove costruzioni. In questo senso potrebbero essere messi in campo strumenti più efficaci per agevolare la ricostruzione degli edifici “obsoleti” senza consumo di nuovo territorio». \\\\\ AM

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