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IL NUOVO PARLA AL FEMMINILE

Registrazione: Tribunale di Bologna n. 7785 del 04-09-2007

In abbinamento al quotidiano

POLITICA

LA FORZA DELLE IDEE IL CORAGGIO PER AFFERMARLE

NEA INVITATA SPECIALE PDL

DANIELA SANTANCHÈ

IL MIO IMPEGNO PER L’ITALIA DONNE DI PROFESSIONE IO, AVVOCATO, MEDICO, NOTAIO

GENEALOGIA

DEL POTERE DONNA


12 > LA COPERTINA DI NEA > Maria Latella > Cronaca di un successo


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MARIA, IL TALENTO DI RACCONTARE L’ITALIA LA CURIOSITÀ. E UNA PROFONDA CAPACITÀ DI ANALISI DELLA POLITICA E DEL COSTUME ITALIANI. QUESTE SONO LE QUALITÀ CHE HANNO PERMESSO A MARIA LATELLA DI TROVARE LA FORMULA VINCENTE PER A, IL SETTIMANALE DA LEI DIRETTO. E DI SCRIVERE DUE FAMOSI LIBRI: UNO SU VERONICA LARIO, MOGLIE DI SILVIO BERLUSCONI, E L’ALTRO SULLA PRIMA “DISCESA IN CAMPO” DEL PREMIER di Marilena Spataro

Maria Latella, giornalista, direttore di A e scrittrice di alcuni libri di successo


14 > LA COPERTINA DI NEA > Maria Latella > Cronaca di un successo


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ome un vento di primavera le donne hanno portato la freschezza della sensibilità femminile in tutti gli ambiti in cui si sono affermate: nella società, nella politica. E nell’informazione. Nel “quarto potere” è stato meno facile imporsi, specialmente a livello dirigenziale, sebbene non manchino figure di giornaliste diventate vere e proprie icone. Ma qualcosa sta cambiando e negli ultimi tempi si assiste a una nuova generazione di professioniste alla guida di parecchie testate giornalistiche, a dire il vero, più nella carta stampata che nella Tv. Dotate di grandi capacità professionali, determinate, ma soprattutto creative, queste signore dell’informazione sono state coloro che più dei colleghi uomini hanno contribuito a svecchiare lo stile giornalistico, improntandolo a una visione innovativa che interpreta efficacemente le tendenze della comunicazione di massa, dando

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aver dedicato una rubrica al mondo gay che ci segue con molta passione e attenzione. Non a caso nel film del momento Diverso da chi il protagonista legge il nostro giornale. Quanto ai giovani, abbiamo loro dedicato la rubrica “Viaggio dei ventenni” dove anche dall’estero i ragazzi scrivono per raccontare la loro vita» risponde con determinazione Maria Latella. Che nella sua professione continua a muoversi ad ampio raggio, dirigendo A, ma anche scrivendo libri di successo e conducendo su SkyTg24 un programma di attualità e politica. Nata come cronista a Il Secolo XIX di Genova, Latella è successivamente diventata inviata politica del Corriere della Sera. Ed è come inviata di questa testata che nel 94 ha raccontato la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Evento al quale, a distanza di 15 anni, dedica il suo ultimo libro Come si conquista un Paese. I sei mesi in cui Berlusconi ha cambiato l’Italia. «Ho ritenuto –

«Penso che la crisi della stampa non esista là dove ai lettori si parla con il loro linguaggio e di argomenti che a loro interessano. Certo se si fa un giornale per se stesso o per il proprio circuito di amici è possibile che in tal caso si vada in crisi» spazio al lettore per interagire con il giornale. È la storia di Maria Latella e di A, il settimanale femminile da lei diretto e al quale ha saputo conferire un linguaggio tale da riuscire a conquistare vaste fasce di pubblico, e non solo femminile. Ma qual è esattamente la tipologia del lettore cui si rivolge questa rivista? «Le donne giovani dentro, tra i 25 e i 60 anni, ma anche i gay e i ragazzi. A è il primo settimanale italiano ad

tiene a sottolineare il direttore – che analizzare quel momento, rivelatosi poi d’importanza storica, non solo aiuta a far capire come sia l’Italia attuale ai cittadini, ma aiuta anche l’opposizione, che evidentemente allora non aveva colto fino in fondo cosa stava accadendo al nostro Paese». Dal punto di vista dei contenuti il settimanale da lei diretto sembra essersi spostato da temi prettamente femminili ad argomenti più


16 > LA COPERTINA DI NEA > Maria Latella > Cronaca di un successo

impegnati. Questa linea ha pagato in termini di lettori? «In molti casi direi di sì. Questo è un settimanale che nasce senza steccati di lettori, nasce per essere letto da uomini e donne. Io peraltro vengo da un’esperienza come cronista, prima a Il Secolo XIX, poi come cronista politica per sedici anni al Corriere della Sera i cui lettori erano prevalentemente uomini. Non ho mai pensato che A fosse un femminile, ma è un mix che si rivolge a tutti parlando dei temi che maggiormente possono interessare in questo momento: la politica, la crisi economica, il modo di vivere serenamente viaggiando, vestendosi in modo appagante, sognando un po’ con servizi di moda bellissimi. Inoltre oggi gli uomini si interessano moltissimo alle pagine della bellezza, mentre le nostre lettrici, come confermato dalle ricerche di mercato, sono appassionatissime di politica. Sul mio blog i dibattiti sono prevalentemente legati a quest’ultimo tema». Secondo la sua esperienza, ci sono notizie fatte per una determinata rivista o, al contrario, la notizia può essere spiegata e fatta capire a tutti? «In A andiamo sull’onda dell’attualità. Non c’è niente che conti veramente in un dato momento che non ci interessi. L’apertura di qualche settimana fa, per esempio, era dedicata alla nascita

Maria Latella Nata a Reggio Calabria, ha iniziato la sua carriera giornalistica come cronista de Il Secolo XIX di Genova, per sedici anni è stata inviata politica del Corriere della Sera. Grazie a queste esperienze, è diventata esperta dei meccanismi della politica italiana. Di recente ha scritto un libro in cui analizza i sei mesi della prima discesa in campo di Silvio Berlusconi

del Pdl, ma vista con gli occhi di uno scrittore appartato come può essere Sebastiano Vassalli». Nella storia della stampa italiana ci sono stati vari momenti di rottura che hanno rispecchiato le fasi della storia del nostro Paese. Oggi secondo lei che fase stiamo vivendo? «Di totale rinnovamento. Nemmeno noi stessi ci rendiamo conto di quello che cambierà nel giro di pochissimi anni». La stampa italiana sta vivendo un momento di crisi di contenuti e di lettura, e forse di credibilità. Quali sono secondo lei le maggiori cause che hanno determinato questa situazione? «Penso che la crisi della stampa non esista là dove ai lettori si parla con il loro linguaggio e di argomenti che a loro interessano. Certo, se si fa un giornale per se stessi o per il proprio circuito di amici è possibile che in tal caso si vada in crisi. Un giornale è economicamente sano se sa rivolgersi efficacemente a coloro che si vorrebbero avere come lettori. Quello che oggi occorre in tutti i


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professionalità e passione

settori, non solo nel giornalismo, è lavorare di più, magari faticando anche». Nel 2004 ha scritto Tendenza Veronica, un libro che per la prima e unica volta ha raccontato Veronica Lario, che lei definisce la più discreta anti-first lady italiana. In questi giorni è nelle librerie Come si conquista un Paese, sull’avvento in politica di Silvio Berlusconi. Cosa l’affascina della famiglia Berlusconi? «Affascinare non è il termine più appropriato. In realtà la giornalista e la cronista sono interessate a un fenomeno che, come spiego nel libro, è abbastanza particolare. Mi incuriosiva analizzare il fatto che 15 anni fa una novità fosse arrivata nel mondo della politica spodestando il preesistente. È come se un prodotto nuovo arrivasse nel mercato e spodestasse la Pepsi Cola e la Coca Cola. Noi, 15 anni fa, abbiamo assistito a un caso del genere. E oggi cerco di fare un’analisi con la memoria di allora, tentando soprattutto di capire perché al tempo non ce ne fossimo accorti». Cosa hanno significato quei primi sei mesi della

discesa in campo del Cavaliere? «Nei primi sei mesi è successo tutto. Purtroppo noi giornalisti non abbiamo certo la sfera di cristallo, io poi ero una giornalista veramente giovane e inesperta. Penso, tuttavia, che se avessimo analizzato quello che stava accadendo, forse avremmo capito meglio cosa sarebbe stata l’Italia 15 anni dopo. Oggi è importante analizzarlo perché ci aiuta a capire». Parlando invece della sua vicenda personale, lei è di origini calabresi. Se pensa alla Calabria e al giornalismo cosa le viene in mente? «Mi vengono in mente quei giornalisti coraggiosi che lottano contro la ‘ndrangheta e ai quali va tutto il mio rispetto e il mio sentimento di solidarietà. La salvezza di quella regione sta nella possibilità di non finire come la Colombia, ma non ne sono certa che ci riesca». Come si alimenta la passione del giornalismo affinché duri nel tempo? «Con la curiosità». Ha ancora un sogno nel cassetto? «Sì, ma non lo dico perché i sogni non si raccontano ma, appunto, si sognano».


18 > CONQUISTE > Mara Carfagna > Decreto anti-stalking

ABBIAMO VINTO UNA GRANDE BATTAGLIA «Un reato odioso». Così il ministro Mara Carfagna definisce lo stalking. Una minaccia a lungo sottovalutata, ma che oggi può finalmente essere perseguita. E punita DI

DANIELA PANOSETTI

l 23 febbraio scorso, dopo anni di discussioni e annunci, nell’ordinamento italiano è stato finalmente introdotto il reato dello stalking. Poche righe all’interno del Codice Civile, ma senza dubbio una grande conquista che mette finalmente l’Italia al passo con il resto d’Europa. Da allora, la nuova figura di reato ha portato in media a due arresti al giorno, e a più di 60 denunce. E basterebbero questi numeri a dimostrare quanto fosse necessario intervenire contro questa forma di persecuzione. Necessario su almeno due piani: per frenare il fenomeno, certamente, agendo come deterrente, ma Una legge a lungo attesa anche come segnale deciso di sostegno alle vittime. Che, come auspica il ministro “Atti persecutori”. Ovvero condotte reiterate delle Pari Opportunità Mara Carfagna, che di minaccia o molestia, tali da causare “un per colmare questo vuoto legislativo si è perdurante e grave stato di ansia o di paura” battuta sin dall’inizio del suo mandato, o “un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto”. non saranno più lasciate sole, come in passato, di fronte a una minaccia così È in questi termini che viene definito il reato di insidiosa. «È importante far comprendere stalking, introdotto nel Codice Civile dal Ddl 11 del alle vittime, uomini e donne, che oggi 23 febbraio, su proposta dei ministri Mara Carfagna e Angelino Alfano. Una normativa a lungo attesa, che esistono strumenti di difesa contro questi stabilisce pene di reclusione da sei mesi a quattro comportamenti odiosi» afferma. Solo così anni, oltre alla possibilità, per la vittima, di richiedere al si potrà trovare il coraggio di sporgere giudice un ammonimento orale dello stalker, in denuncia di fronte a simili minacce e un’ottica volta a coniugare misure repressive e, al contempo, preventive. vedere gradualmente scomparire, o

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20 > CONQUISTE > Mara Carfagna > Decreto anti-stalking

perlomeno diminuire, una pratica finora troppo diffusa, proprio perché sostanzialmente impunita. Finora, appunto. Perché come spera il ministro Carfagna, e come lasciano intendere i primi dati, le cose sono destinate a cambiare. La legge sullo stalking rappresenta una grande vittoria. Quali saranno le principali ricadute a livello culturale? «Le vittime devono prendere coscienza del fatto che oggi esiste un modo per difendersi dallo stalking. L’introduzione della nuova figura di reato, inoltre, rappresenta un ottimo deterrente in quanto abbiamo previsto pene particolarmente severe, da sei mesi a quattro anni, nei confronti di coloro i quali si macchiano di questo odioso reato. Gli stalker dovranno riflettere bene prima di perseguitare una ex fidanzata o una ex moglie».

la paura e a denunciare i molestatori. Non dimentichiamo, poi, che la molestia è l’anticamera di un reato ancora più feroce come la violenza sessuale». Qual è la linea di demarcazione tra azione di disturbo e reato? Quando una persona può denunciare? «Noi diciamo alle vittime di denunciare l’accaduto anche solo dopo due episodi di molestia o minaccia che abbiano causato un grave stato di ansia o paura. Il nostro obiettivo è molto chiaro: non permetteremo più che si ripetano delitti annunciati come quello di Maria Antonietta Multari». Trentaquattro arresti dall’entrata in vigore del provvedimento. Perché si è aspettato tanto? «Gli italiani aspettavano l’introduzione di questo reato da 15 anni e lo dimostra il fatto che solo in questo primo mese ci sono state 61 denunce e ben 34 arresti. Inoltre, il 40 per cento dei delitti commessi da partner o ex partner

«È difficile anche solo immaginare l’oppressione che si può provare nel ricevere attenzioni insistenti e non richieste. Non dimentichiamo, poi, che la molestia è l’anticamera di un reato ancora più feroce come la violenza sessuale»

Chi non ha mai subito persecuzioni telefoniche e pedinamenti può non comprendere la gravità di questi reati. Può spiegare cosa vive una vittima? «È difficile anche solo immaginare il senso di oppressione e il fastidio che può provare una donna nel ricevere attenzioni insistenti e spesso non richieste. Quando poi si passa alle molestie, agli appostamenti e alle minacce reiterate subentrano paura e ansia che rendono la vittima inerte. Solo garantendo alle vittime maggiore sicurezza è possibile aiutarle a vincere

erano crimini annunciati. Come ministro per le Pari Opportunità ho presentato in Consiglio dei ministri, già nel giugno scorso, un disegno di legge per l’introduzione del reato di stalking, recepito poi dal decreto legge anti-stupri. Sin da subito abbiamo rivolto grande attenzione al problema perché sapevamo che in Italia esisteva un vuoto legislativo che andava colmato». Crede che dopo questo passo, le donne non sentendosi più abbandonate troveranno il coraggio di denunciare tutti gli abusi di cui sono vittime, violenza compresa?


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«È importante far comprendere alle vittime che oggi esistono strumenti di difesa contro questi comportamenti odiosi»

«Certo. Come dicevo, le vittime, donne e uomini, hanno strumenti per difendersi che in passato non esistevano. Infatti, prima di presentare querela la vittima può chiedere l’ammonimento da parte del questore. È stato, poi, istituito un numero verde nazionale che offre assistenza psicologica e giuridica aiutando le vittime a raggiungere gli sportelli presenti nelle questure. Inoltre, grazie al protocollo di intesa stipulato con il ministero della Difesa, da marzo è attiva la sezione anti-stalking dei Carabinieri che opera all’interno del mio dicastero con compiti di monitoraggio e studio del fenomeno».

Quali altre battaglie restano da compiere ora? «È già pronto, grazie anche alla collaborazione con i ministri della Difesa e dell’Interno, un piano nazionale antiviolenza in cui saranno impiegati i poliziotti. Abbiamo, infatti, previsto corsi di formazione per le forze di polizia, l’addestramento per il primo contatto degli agenti con le vittime di violenza sessuale e corsi di sensibilizzazione per i giovani nelle scuole. Il mio dicastero, poi, è in prima linea nel contrasto di questi fenomeni attraverso campagne e politiche volte a fronteggiare la violenza in ogni sua rappresentazione».


22 > BATTAGLIE > Doppia Difesa > Un sostegno concreto

NOI, UN RIFUGIO DALLA PAURA La legge anti-stalking è una battaglia vinta. Ma la guerra contro le violenze nascoste è ancora tutta da combattere. E in prima linea c’è Doppia Difesa. E le sue fondatrici, Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno di Caterina Vinci

Il provvedimento anti-stalking appena approvato accelera i tempi e soprattutto permette di intervenire prima che gli atti persecutori, come spesso avviene, degenerino in violenza


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ggi tutti, o quasi, parlano di stalking. Finalmente la norma per anni richiesta, rimandata, discussa è diventata realtà. Ma loro di molestia e persecuzione, della necessità di rompere il silenzio e denunciare, anche quando il persecutore è un marito, un compagno, un collega, hanno parlato fin dall’inizio. Anche perché è proprio da un caso

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di stalking che è nato il loro sodalizio. Che le ha portate nel 2007 a fondare, promuovere e a poco a poco portare alla ribalta la fondazione Doppia Difesa. Loro, appunto, sono Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker. Due donne e due personalità molto lontane, eppure vicinissime. Per le quali la conquista segnata dalla penalizzazione dello stalking è anche una piccola vittoria personale. «Ci siamo conosciute, anni fa, proprio perché Michelle si era trovata vittima di una serie di lettere anonime ed era alla ricerca di un consiglio e un supporto legale» racconta l’avvocato Bongiorno, che a sua volta, fin dagli esordi a Palermo, ha curato diversi casi di violenza sulle donne. L’interesse di entrambe, però, andava già allora oltre il singolo caso: fin dall’inizio trovava fondamento nella volontà «di affrontare il problema tout court, e aiutare altre donne

Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno. Insieme, due anni fa, hanno costituito la fondazione Onlus Doppia Difesa


24 > BATTAGLIE > Doppia Difesa > Un sostegno concreto

che si trovavano in una situazione simile, senza poter chiedere aiuto». «Avevamo lo stesso sogno – conferma Michelle Hunziker –: aiutare tutti coloro che hanno subito, sul lavoro o fra le pareti domestiche, discriminazioni, violenze e abusi ma non hanno il coraggio, o le capacità, di intraprendere un percorso di denuncia». Aiuto che oggi, finalmente, ogni potenziale vittima può richiedere alla legge attraverso uno strumento in più. Ma lo strumento legislativo rimane inerte se alla base non si realizza un mutamento culturale che porti le vittime stesse, soprattutto donne, a superare il pudore e la vergogna e a riconoscere la propria situazione come fonte di dolore o di pericolo. «Moltissime donne non riconoscono come violenza quella che subiscono tra le mura domestiche. Spesso la vivono considerandola quasi un fatto normale, anche quando sono soprusi fisici veri e propri» afferma Bongiorno. Proprio per questo l’azione di Doppia Difesa si concentra anche e soprattutto su campagne di comunicazione e sensibilizzazione. «La nostra idea – spiega Hunziker – era fin dall’inizio di combattere questo silenzio attraverso un percorso convenzionale, senza esitare cioè a utilizzare la nostra notorietà per sensibilizzare l’opinione pubblica e accendere i riflettori sulle migliaia di casi che, nel silenzio e nell’indifferenza generali, crescono sino a diventare una vera e propria emergenza sociale». «Crediamo molto nella comunicazione – conferma Bongiorno – nella quale l’esperienza di Michelle è molto d’aiuto. Bisogna attirare l’attenzione della società sul problema, mettendo in contatto persone che hanno subito esperienze simili per far loro capire che non si tratta di casi isolati». In questo modo, prosegue l’avvocato, «si crea una sorta di catena positiva che consente a molte vittime di trovare la forza di rivelarsi alla propria condizione». «Il nostro slogan è “apri gli occhi ed esci allo scoperto” – interviene ancora la showgirl –. Perché è

importante capire, e aiutare gli altri a capire, che la violenza non è un fatto privato». Troppe volte, infatti, una donna, soprattutto se giovane, esita a sporgere denuncia, tende magari a perdonare. Non solo nei casi di stalking, ma soprattutto quando i problemi rimangono chiusi tra le mura di casa. «La violenza domestica è per molti aspetti un fenomeno sommerso, che spesso non viene alla luce, ma è dilagante – ricorda Giulia Bongiorno –. Davanti a un abuso domestico, infatti, moltissime donne non riconoscono un atto di violenza. Da quanto ho potuto vedere nei casi di cui mi sono occupata, molto spesso solo dopo il colloquio

Lo strumento legislativo rimane inerte se non si realizza un mutamento culturale, che porti le vittime a superare il pudore e a riconoscere la propria situazione come sopruso con me o con il nostro staff di legali e psicologi le vittime riescono ad ammettere di essere tali. E anche qui non è detto che si arrivi al passo della denuncia». Questo, soprattutto per paura delle conseguenze. Ma è proprio questa paura che la fondazione vuole aiutare a superare, «facendo capire alle vittime, donne o uomini, che non sono sole». È da qui che nasce l’idea del sito. Non un semplice spazio di informazione, ma un luogo


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di scambio, denuncia e condivisione. «Moltissime donne che ci hanno scritto e contattato, soprattutto tramite il sito, che si è rivelato uno spazio di comunicazione prezioso – racconta Hunziker –. E Giulia sta seguendo in prima persona molti casi». Non solo. In questi anni la fondazione ha creato una sorta di piccolo archivio video, che raccoglie le testimonianze di alcune donne disposte a condividere la propria storia. «Donne coraggiose, che hanno anche voluto mettere a disposizione la propria esperienza, per quanto dolorosa, perché credono davvero che possa aiutare altre vittime a uscire dal silenzio e non

Bongiorno – ma il vero problema è la lentezza della giustizia italiana». Prima dell’introduzione di questo provvedimento, infatti, dopo una denuncia di solito passava almeno un anno prima che si arrivasse al processo. Era quindi comprensibile che una donna temesse di dover convivere per tempi così lunghi con una situazione potenzialmente esplosiva. Il provvedimento anti-stalking, invece, accelera i

Sostenere le vittime, rompere il silenzio

subire più la violenza». L’importanza della norma anti-stalking, del resto, va letta esattamente in questo quadro. Perché molti casi di persecuzione sono perpetrati proprio da persone note e vicine alle vittime, e solo in alcuni casi da sconosciuti. «Questa legge ha una portata innovativa straordinaria – ribadisce Bongiorno, che all’inizio dell’iter era stata anche relatore del provvedimento –. Non è una legge contro il corteggiamento insistente, ma contro i persecutori insistenti. La donna molestata può per legge, rivolgersi al questore e ricevere aiuto immediato». Ed è proprio nell’immediatezza la chiave della norma, la ragione della sua importanza. Perché a frenare e a spaventare le vittime, facendole desistere dall’intenzione di sporgere denuncia, erano fino a ora soprattutto i tempi lunghissimi del processo. «Ogni caso è una storia a sé – spiega

La fondazione Onlus Doppia Difesa nasce nel 2007 per volontà della showgirl Michelle Hunziker e dell’avvocato e parlamentare del Pdl Giulia Bongiorno, soci fondatori e membri del consiglio di amministrazione, insieme a Emanuela Ferrari. L’obiettivo principale dell’associazione si presenta, fin dall’inizio, col desiderio e la volontà delle due fondatrici di rompere il silenzio sui casi “nascosti” e meno evidenti di discriminazioni, violenze e abusi. Soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli: donne e minori. Questo, attraverso un percorso convenzionale, che sfrutti i mezzi di comunicazione per incidere prima di tutto sul fattore culturale che sta alla base di tali comportamenti. A questo scopo, Doppia Difesa fornisce gratuitamente a chi ne faccia richiesta assistenza legale e sostegno psicologico, oltre a elaborare, grazie al contributo volontario di esperti, proposte di legge volte ad affrontare le diverse manifestazioni del problema. Sul sito, inoltre, è presente un archivio di testimonianze dirette, oltre a notizie aggiornate, approfondimenti e aggiornamenti sulla normativa relativa.

tempi e soprattutto permette di intervenire prima che gli atti persecutori, come spesso avviene, degenerino in violenza. «Forse alcuni pensano che questa sia una legge di cui si poteva tranquillamente fare a meno. Non è così» afferma risoluta Giulia Bongiorno. Una risolutezza che nasce non dalle statistiche, ma da casi a cui ha assistito per esperienza diretta. «Quattordici anni fa – racconta – ho assistito una donna vittima di questo tipo di persecuzione, ma la denuncia si è arenata nei tribunali, come spesso accade. E la donna è morta proprio per mano del suo persecutore».


26 > LA FORZA DELLE DONNE > Stefania Prestigiacomo > Una vita da ministro

UNA FORZA DELLA NATURA In passato si è battuta per le pari opportunità fra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive. Oggi il suo obiettivo è un ambientalismo nuovo, fatto di operatività, ricerca e investimenti. Ma anche di coesione e coinvolgimento dei cittadini. La parola al ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo di Leonardo Testi tile e compostezza non le mancano di certo. Qualità che non vanno comunque a intaccare la determinazione che Stefania Prestigiacomo dimostra da sempre di possedere, fin da quando inizia a lavorare, giovanissima, nell’azienda di famiglia. A soli ventitrè anni, la prima significativa tappa: la nomina a presidente del Gruppo

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«La consapevolezza delle amministrazioni e dei cittadini in campo ambientale è cresciuta e questo deve spingere ancora di più a promuovere la tutela e la valorizzazione della natura come patrimonio culturale e formativo degli italiani, soprattutto dei giovani, per favorire politiche di sviluppo sostenibile, di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, di concreto e immediato risparmio per il Paese» Giovani Imprenditori di Siracusa, la sua città natale. L’inizio della sua carriera istituzionale coincide con l’esordio di Forza Italia sulla ribalta politica nazionale. Risale, infatti, al 1994 la sua prima elezione alla Camera dei Deputati, nella circoscrizione della Sicilia orientale. È poi rieletta nel 1996 e nel 2001, altra data fondamentale del suo percorso. Silvio Berlusconi la sceglie, infatti, per guidare il discastero delle Pari Opportunità, e lei diventa uno dei più giovani ministri nella storia


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Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare


28 > LA FORZA DELLE DONNE > Stefania Prestigiacomo > Una vita da ministro

1990 >eletta presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Siracusa

della Repubblica Italiana. Stefania Prestigiacomo mantiene l’incarico fino al termine del Governo Berlusconi III, nel 2006. Nel corso della successiva legislatura è membro della commissione Lavoro Pubblico e Privato della Camera. Oggi la sfida prosegue nelle vesti di ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel governo eletto nel 2008. Un momento in cui l’ambiente sta diventando in tutti i Paesi la chiave per guardare al futuro. La green economy può, infatti, rappresentare lo strumento ideale per fronteggiare la crisi economica, lanciando un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Ministro, la green economy è una via possibile anche per l’Italia? «Il governo sta delineando una strategia chiara e coerente per affrontare la crisi coniugando ambiente e sviluppo, anzi trasformando l’ambiente in un motore di sviluppo. Basti pensare alle misure per le auto, mirate al ricambio del parco veicoli con la sostituzione delle vetture inquinanti con auto nuove a basse emissioni, al provvedimento per la rottamazione dei vecchi elettrodomestici ad alto consumo energetico e al mantenimento e alla semplificazione delle esenzioni per la riqualificazione ambientale degli edifici. Inoltre, il piano casa innescherà un profondo rinnovamento del patrimonio edilizio sotto il profilo dell’ecosostenibilità degli edifici. Sono tutti interventi che si muovono nella stessa direzione. L’obiettivo è quello di sostenere l’economia, i posti di lavoro e quindi i redditi delle famiglie, attraverso misure capaci di migliorare incisivamente anche il nostro bilancio energetico e ambientale, in grado di arricchire il Paese di tecnologie, professionalità e valori essenziali per un domani ecosostenibile». Come riuscirà l’Italia a rispettare i vincoli imposti dal pacchetto “clima-energia 20-20-20” approvato

dal Parlamento europeo il dicembre scorso? «L’approvazione del pacchetto clima-energia ha rappresentato una grande prova di coesione dell’Europa. Dopo un confronto serrato, intenso e approfondito, l’Unione europea ha saputo assumere posizioni forti e unitarie. L’Italia ha visto riconosciute le proprie ragioni: abbiamo ottenuto modifiche nella direzione dell’equità, della sostenibilità economica e ambientale e della tutela degli interessi nazionali nell’ambito dei condivisi obiettivi europei. Il governo italiano è determinato nell’imprimere un forte cambiamento di rotta nella lotta agli sconvolgimenti climatici. La risposta ai ritardi accumulati in questi anni, durante i quali le emissioni invece di diminuire sono aumentate, sta nell’adozione di politiche che portino al “mix energetico”, dando più spazio alle fonti rinnovabili, favorendo il risparmio dell’energia e contenendo le

emissioni di gas serra grazie alle nuove tecnologie. Vanno in questa direzione, ad esempio, lo sgravio del 55% per le ristrutturazioni e gli accordi con grandi partner per favorire le ricerche su cattura e stoccaggio della CO2».


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2001> è ministro per le Pari Opportunità 2008 > guida il ministero dell’Ambiente

«La scelta per l’energia pulita è per il nostro Paese non più un’opzione ma una necessità»

Quali interventi ha in programma il suo ministero per promuovere il settore delle energie rinnovabili? «La ricerca e gli investimenti nelle tecnologie legate alle rinnovabili è uno dei settori in crescita in Europa e in Italia. Fa parte del programma di governo la promozione di questo tipo di energia, con la consapevolezza che per l’Italia è indispensabile seguire la strada dello sviluppo sostenibile. Ci sono concrete agevolazioni per chi investe in questo campo. La scelta per l’energia pulita è per il nostro Paese non più un’opzione ma una necessità». A livello di opinione pubblica, crede si stia diffondendo una cultura della sostenibilità? «La consapevolezza delle amministrazioni e dei cittadini in campo ambientale è cresciuta e questo deve spingere ancora di più a promuovere la tutela e

Stefania Prestigiacomo, siracusana, classe 1966, è sposata e madre di un figlio di 6 anni. È laureata in scienze della pubblica amministrazione

Il suo progetto «Sono fermamente convinta che la tutela dell’ecosistema, purtroppo intesa per anni come limite allo sviluppo, possa diventare il cardine del sistema stesso, l’elemento ordinatore di tutti i grandi temi, dall’economia alla politica».

«L’obiettivo è quello di sostenere l’economia, i posti di lavoro e quindi i redditi delle famiglie, attraverso misure capaci di migliorare incisivamente anche il nostro bilancio energetico e ambientale, in grado di arricchire il Paese di tecnologie, professionalità e valori essenziali per un domani ecosostenibile»

la valorizzazione della natura come patrimonio culturale e formativo degli italiani, soprattutto dei giovani, per favorire politiche di sviluppo sostenibile, di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, di concreto e immediato risparmio per il Paese. L’educazione ambientale è uno dei pilastri della nostra politica di governo». Per mesi si è parlato della necessità di un ritorno al nucleare. Qual è la sua posizione? «Il progetto del governo per il ritorno al nucleare si svolgerà con le massime garanzie e i massimi controlli, nei tempi richiesti dalla complessità di un simile programma. Tuttavia il nucleare è una soluzione di prospettiva. Nel frattempo dobbiamo risparmiare energia, promuovere le rinnovabili e utilizzare combustibili meno inquinanti. Tutte queste misure fanno parte degli impegni del governo. Nella consapevolezza che dobbiamo impegnarci per ciò che nessuno in passato è riuscito a fare nel nostro Paese: ridurre le emissioni di CO2».


30 > LA FORZA DELLE DONNE > Laura Ravetto > Una vita tra le aule

PRESENTE E FUTURO A TUTTA FORZA Dalle pari opportunità alla pari dignità. Dal clientelismo al merito. Le donne in primo piano. Il Popolo della Libertà cambia il corso politico del terzo millennio. Il nuovo Pdl, secondo l’onorevole Laura Ravetto DI

LARA MARIANI

l Popolo della Libertà si è finalmente concretizzato. Anche Dario Franceschini, dai banchi dell’opposta fazione, ha dichiarato che «la nascita del Pdl è un fatto positivo per la democrazia italiana». Oggi, appena spenti i riflettori sulla tre giorni del congresso di fondazione, svoltasi dal 27 al 29 marzo alla Fiera di Roma, è venuto il momento di guardare da vicino la nuova creatura berlusconiana. Una cosa salta subito agli occhi: sembra un partito femminile. Insomma, dopo decenni di massiccia presenza maschile, quando non maschilista, in tutte le aule della politica nazionale, bisogna ora dare atto al premier di avere fatto molto più di quanto le varie coalizioni di sinistra hanno sempre promesso. Senza mantenere. È quindi giustificabile che l’onorevole Laura Ravetto, che da brillante avvocato si è trasformata in parlamentare impegnata per amore della politica e del bene comune, abbia dichiarato a Il Giornale: «La corsa delle donne inizia adesso: presto guideranno il partito. E dico di più: se si mette in primo piano il merito, le donne arriveranno in modo inevitabile». Allargando il discorso al ruolo in ambito europeo del nuovo partito, ai vantaggi e agli ostacoli da affrontare per crescere, ecco il futuro del Paese sotto la lente del giovane deputato del nascente Popolo della Libertà.

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Quali sono i principali aspetti positivi a cui gli italiani devono credere e affidarsi, nel nuovo partito

nato da una confluenza non traumatica di Forza Italia con Alleanza Nazionale, definita appunto “fusione dolce” dagli stessi protagonisti? «Il Pdl ha reso protagonista il volere dei cittadini quali fautori della stessa nascita del partito: lo hanno sancito con le ultime elezioni. Ora abbiamo unico punto di riferimento, un’unica casa per i moderati e per i liberali. E la compattezza delle posizioni affini radunate in un’unica realtà, che racchiude ovviamente in sé una base valoriale comune, è foriera di un perseguimento più agevole e forte del valore condiviso. Inoltre il Pdl porterà un sistema tale di riforme per cui non si dovrà straparlare di pari opportunità, ma affermare la pari dignità». Sembra una rivoluzione etica e di ideali. Senza ostacoli? «Io non vedo ostacoli, ma grandi responsabilità. Perché questo è un partito che nasce da una forte volontà dal basso, dai cittadini, e quindi ha la


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Laura Ravetto, Pdl. Prima di essere eletta deputata, ha lavorato come Direttore Affari Legali presso la consociata italiana della multinazionale farmaceutica Schering Plough. Eletta nel 2006 nella Circoscrizione lombarda per la lista di Forza Italia, ha fatto parte della V Commissione Permanente della Camera “Bilancio, Tesoro e Programmazione” e dopo la rielezione nel 2008 nelle liste del Popolo della Libertà, ha avuto l’incarico di Presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Ince, Iniziativa Centro Europea

responsabilità di mantenere le aspettative degli elettori che l’hanno voluto. Stiamo facendo la grande svolta. Il presidente Silvio Berlusconi ha detto “Nessuno sarà lasciato indietro”, perché questo partito metterà al centro il capitale umano e sfaterà il falso mito che solo la sinistra può occuparsi dei problemi dei ceti meno abbienti, facendosi carico dei loro bisogni». A livello territoriale, si può dire che la fusione del Pdl sia ormai cosa fatta, oppure restano ancora dei nodi da fluidificare? «Questo processo è stato già ampiamente discusso e concordato. Attualmente, è in corso di completamento e verrà compiuto con la giusta gradualità. Non nutro preoccupazioni: ho visto che a livello di gruppi parlamentari, il passaggio è stato efficace e naturale, e lo stesso è stato a livello di direttivo nazionale. Ci aiuta la piattaforma valoriale comune. Dal punto di vista pratico, anche sotto il profilo europeo,

rapportarsi a un unico referente, dove sono confluiti valori liberali e moderati, può dare più forza al nostro Paese». Per quanto riguarda i rapporti con la Lega, secondo lei come si articoleranno in futuro? «La Lega si è dimostrata un alleato leale, e con il quale in Aula ci troviamo assolutamente coesi e compatti nel perseguimento degli obiettivi». Lei aveva parlato del ruolo delle donne nella società. E per quanto riguarda il loro ruolo nel partito, come lo vede? «Secondo me, la domanda corretta da porsi è “quale sarà il livello di attenzione verso il merito, le competenze, le militanze”. Una volta posta l’attenzione a questi elementi le donne saranno presenti in modo naturale e necessario in tutti i posti rilevanti. Naturalmente, tutto ciò è un punto di partenza, non di arrivo».


32 > LA FORZA DELLE DONNE > Elisabetta Belloni > Una vita per il mondo

TESSIAMO CON FORZA I FILI DELLA COOPERAZIONE Cooperare è un dovere, per gli Stati a economia avanzata. Ma anche un’azione nel proprio interesse. Perché la sorte dei Paesi in via di sviluppo, oggi, è anche la nostra. E persino le strategie devono essere comuni. Parola di Elisabetta Belloni, direttore del dipartimento per la Cooperazione e sviluppo alla Farnesina di Daniela Panosetti Per quattro anni, dal 2004 al 2008, è stata a capo dell’Unità di crisi della Farnesina. Un incarico tanto prestigioso quanto delicato, che l’ha portata a confrontarsi, fin dall’inizio, con eventi di grande impatto, come il rapimento di Giuliana Sgrena e la morte di Nicola Calipari, solo per fare un esempio. Dal giugno scorso, però, Elisabetta Belloni è passata a dirigere il dipartimento per la Cooperazione allo sviluppo, altro settore chiave dell’attività ministeriale. Una nuova tappa in una parabola professionale che appare emblematica e, al contempo, eccezionale nello scenario diplomatico italiano, dove la componente femminile è ancora decisamente sottorappresentata. «Ma le cose stanno cambiando – assicura Belloni –. E il mio incarico attuale, come il precedente, fa parte di un’evoluzione positiva, che mi auguro possa portare un numero sempre maggiore di colleghe a occupare posti apicali anche in questo campo». Attualmente dirige le attività ministeriali di Cooperazione allo sviluppo. Quali sono i principali scenari e le emergenze internazionali che ci vedono oggi impegnati? «È fin troppo banale affermare che oggi siamo chiamati a confrontarci con una crisi finanziaria e sociale internazionale, i cui connotati non sono sufficientemente noti e che, soprattutto, richiede una gestione dal carattere necessariamente globale. Perché il mondo è cambiato e l’interdipendenza dell’economia e dei fenomeni sociali è ormai evidente, in particolare per chi svolge un lavoro come il nostro. In questo contesto, è chiaro che qualsiasi intervento e strategia non può prescindere dall’impatto che la congiuntura avrà, in termini di progresso, sui Paesi in via di sviluppo. E a questi che

Le mille strade della diplomazia Dalle ambasciate italiane di Vienna e Bratislava alla Cooperazione allo sviluppo, passando per l’Unità di crisi della Farnesina. La storia professionale di Elisabetta Belloni ha attraversato campi e interessi molto diversi. Del resto, spiega, «la flessibilità è senza dubbio una caratteristica della carriera diplomatica. Personalmente sono passata da questioni molto tecniche o più tipicamente consolari a problematiche di natura sociale, economica e umanitaria, ma non escludo che in futuro possa assumere cariche del tutto diverse». Belloni, però, è stata anche la prima donna in assoluto a dirigere l’Unità di crisi. Un primato, certamente. «Ma soprattutto – aggiunge – un’esperienza stimolante e ricca di soddisfazioni, grazie a una squadra efficiente e competente, senza la quale non avremmo raggiunto risultati così significativi per l’intera comunità».


33 Elisabetta Belloni, romana, classe 1958, è attualmente direttore generale della Cooperazione allo sviluppo al ministero degli Affari esteri


34 > LA FORZA DELLE DONNE > Elisabetta Belloni > Una vita per il mondo

occorre prestare particolare attenzione, affinché possano essere mantenuti gli impegni presi nei loro confronti, mettendoli in condizione di progredire e partecipare a quell’interdipendenza economica che, lo ripeto, è oggi l’elemento fondamentale per affrontare la crisi». In cosa si caratterizza nello specifico l’attività del suo dipartimento? «Proprio quest’anno, per la prima volta, la Cooperazione italiana ha pubblicato le linee strategiche per le attività del prossimo triennio, mettendo al primo posto proprio gli interventi geografici e settoriali. Per quanto riguarda i primi, la priorità numero uno rimane l’Africa, mentre per le seconde l’obiettivo è realizzare le nostre attività, a fronte delle disponibilità finanziarie che ci sono state accordate, cercando di essere il più possibile coerenti con le indicazioni della presidenza italiana del G8. Il che significa lotta per combattere la crisi alimentare, interventi nel settore sanitario e ambientale oltre che in tema formazione. In linea con i principi internazionali, infatti, cerchiamo di sottolineare il principio di ownership e quindi anche la

coerenza con gli impegni che il nostro Paese assume nel contesto della comunità internazionale. Ed è proprio questo il senso dell’elaborazione delle linee guida di cui parlavo e che abbiamo voluto delineare con particolare attenzione, nella speranza che ci aiutino a indirizzare l’insieme degli impegni italiani in termini di sviluppo verso le direzioni che riteniamo più coerenti, efficaci e giuste». In quali settori il contributo dello Stato è più forte e significativo? «Posto il quadro strategico generale in cui ogni azione di cooperazione va collocata, credo che lo Stato abbia il compito di intervenire soprattutto laddove non è possibile trovare e individuare le risorse necessarie attraverso canali diversi. Il tutto, ovviamente, dopo aver valutato e stabilito con certezza la necessità di impegnarsi in un dato settore, in una determinata area, o nella messa a punto di un particolare strumento. Tornando all’Africa, ad esempio: in questo continente vi sono ovviamente zone il cui livello di sviluppo è davvero molto basso. E in queste situazioni non si può realmente contribuire se non con i mezzi e la capacità di intervento dello Stato». Un ruolo importante è svolto anche dal sistema delle Onlus e delle Ong, per le quali

«Occorre far capire alla collettività che in un mondo globale fare cooperazione, ovvero aiutare i Paesi in via di sviluppo, è un intervento necessario anche nel nostro interesse» responsabilità dei Paesi riceventi in termini di capacità di sviluppo». La macchina della cooperazione è molto complessa. Qual è il ruolo specifico dello Stato, in questo quadro? «Sono convinta che lo Stato abbia un’enorme responsabilità in termini di sviluppo e che tutte le componenti del sistema Italia, la società civile, le imprese, le Regioni, abbiano un ruolo da svolgere in questo senso. E tuttavia, credo anche che sia importante che lo Stato mantenga le linee di indirizzo, cioè la responsabilità di elaborare indicazioni strategiche generali, in

recentemente ha sollecitato una maggiore raccolta di fondi privati. Come funzionano oggi le sinergie fra settore pubblico e privato in quest’ambito? «In effetti sono stata tra coloro che hanno fortemente sollecitato un impegno in questo senso da parte di rappresentanti del settore privato. Un impegno che però non va inteso solo come contributo diretto verso determinate attività nei Paesi in via di sviluppo, ma anche come capacità dei privati di fornire finanziamenti per la società civile, che a sua volta rappresenta per noi un interlocutore di primaria importanza. A questo scopo, sono


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attualmente allo studio formule più concrete di partenariato pubblico e privato, sviluppate sul presupposto di una sinergia già avviata tra il ministero degli Esteri e il mondo dell’imprenditoria. Questo, lo ripeto, anche per lanciare un segnale al privato e incoraggiarne l’intervento nelle attività di sostegno allo sviluppo». L’Italia, con meno di quattro dollari pro capite, è oggi uno degli ultimi Paesi industrializzati per spesa annuale a favore della cooperazione. Cosa ha determinato questa situazione e come è possibile invertirla? «Certamente il nostro Paese non dà abbastanza in termini di aiuto pubblico allo sviluppo. Il perché si sia giunti a questa situazione, forse non spetta a me dirlo, o comunque non saprei dirlo in termini “scientifici”. Credo tuttavia che il nostro Paese soffra di un problema di “cultura della cooperazione”. L’opinione pubblica, cioè, non è sufficientemente informata su cosa voglia dire

cooperazione, sui suoi scopi e le sue finalità. Ed è un punto, questo, che personalmente mi sta molto a cuore e su cui desidero investire molto, intensificando le possibilità di dialogo col pubblico». Trasmettendo quale messaggio, soprattutto? «L’obiettivo è far comprendere alla collettività che in un mondo globale fare cooperazione, ovvero aiutare i Paesi in via di sviluppo ad avanzare sulla strada del progresso e ad avvicinarsi progressivamente ai sistemi economici più industrializzati, rappresenta in realtà un investimento per la nostra stessa sopravvivenza, un intervento necessario anche nel nostro interesse. Per invertire questa tendenza, quindi, occorre che anche il Parlamento e il governo, che devono stanziare i fondi, percepiscano da parte dell’opinione pubblica la ferma convinzione che si tratti di denaro non solo ben speso, ma soprattutto speso anche nell’interesse nazionale».


36 > FONDAZIONI > Irene Pivetti > Learn to be free

LA LIBERTÀ È UN DIRITTO DELL’ANIMA I mille volti di Irene Pivetti. Passata dal ruolo di presidente della Camera, seconda donna nella storia della Repubblica, a quello di giornalista e conduttrice televisiva di successo. Oggi è alla guida di Learn to be free, la fondazione che «insegna a gestire il proprio futuro» DI GIUSI BREGA La libertà non è altro che una possibilità di essere migliori” scriveva Albert Camus. Migliori di quel che siamo o che siamo stati. Migliori per un futuro diverso. Meno ingiusto e più dignitoso. E un’opportunità concreta per migliorare se stessi è offerta da Irene Pivetti attraverso la sua fondazione, Learn to be free. Impara a essere libero. Appunto. Un progetto di ampio respiro umanitario che sostiene le imprese nella creazione di nuove opportunità di lavoro, a vantaggio soprattutto dei soggetti meno favoriti: le persone non qualificate professionalmente, fuori dal range d’età massima per mettersi alla ricerca di un nuovo lavoro o con qualche inabilità. «Un sostegno alla cultura e alla formazione professionale per i giovani e i meno giovani, ma prima di tutto un aiuto concreto» sottolinea colei che è stata la più giovane presidente della Camera della storia italiana e che oggi si fa promotrice di questo progetto ambizioso, in cui crede fortemente e a cui sta dedicando tanto impegno e passione. Una iniziativa, questa, che nasce per cogliere un obiettivo strategico: favorire l’accesso al lavoro e all’istruzione «intesi come primo strumento di emancipazione per persone in difficoltà economiche, sociali e culturali». Liberi perché padroni della propria vita. Lei ha fatto tante cose nella sua vita. È stata presidente della Camera, se l’è cavata egregiamente anche come giornalista e presentatrice. Ora è presidente di una fondazione. Ha ancora un sogno da realizzare? «Tantissimi. Non so ancora dove mi porterà la vita, una vita vissuta intensamente con le persone che hanno voluto condividere con me le esperienze che l’hanno caratterizzata. Ci sono tante cose che vorrei fare. Tanti posti che vorrei visitare. È buffo, ma per quanti desideri si possa avere nella vita, alla fine le cose più interessanti che capitano non sono mai previste. Mi è successo con la presidenza alla Camera, con il matrimonio e con i figli. E così, nel suo piccolo, è successo anche con l’esperienza di Learn to be free, estremamente coinvolgente ma, anche questa, realizzata per caso».

«Ho sempre desiderato impegnarmi in un’attività che avesse una ricaduta sociale, perché secondo me è un dovere morale nei confronti degli altri. Il lavoro nobilita l’uomo, si dice. Infatti, lavorare serve a mantenersi ma serve anche a esprimere la propria personalità»

Irene Pivetti è stata la seconda donna a ricoprire la carica di presidente della Camera dei Deputati. Oggi è alla guida della fondazione a scopo benefico Learn to be free


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«Un carattere forte e determinato, supportato da una mente attenta a quello che accade intorno, è uno strumento indispensabile se si vuole riuscire nella vita. E ti aiuta a limitare i danni. Perché come dice Dante “saetta previsa vien più lenta”»


38 > FONDAZIONI > Irene Pivetti > Learn to be free

Quando ha deciso di dare vita a questa fondazione? «La fondazione è nata lo scorso anno. Ho sempre desiderato impegnarmi in un’attività che avesse una ricaduta sociale, perché secondo me è un dovere morale nei confronti degli altri. Il lavoro nobilita l’uomo, si dice. Infatti, lavorare serve a mantenersi, ma serve anche a esprimere la propria personalità, quindi ne va anche del proprio equilibrio psicofisico». Com’è strutturata attualmente? «Operiamo in Italia e in alcune regioni svantaggiate d’Europa, specialmente nel bacino del Mediterraneo, e in alcuni Paesi del continente africano. Il nostro è un approccio totalmente innovativo, siamo una struttura interamente business to business. Siamo presenti in tantissimi settori merceologici, dalla logistica al turismo e conserviamo un particolare legame con il mondo orafo perché è lì che siamo nati». Qual è il vantaggio per le aziende? «Per le aziende, Ltbf rappresenta un sostegno per superare una fase di difficoltà o affrontare un progetto di sviluppo. Una risorsa per aiutarle a individuare e in seguito rafforzare le partnership a vari livelli, sia dal punto di vista industriale che da quello finanziario e istituzionale. L’obiettivo è tutelare e preferibilmente aumentare, i posti di lavoro che esse offrono. Non offriamo direttamente formazione ai disoccupati, ma aiutiamo le imprese a generare posti di lavoro, e poi a formare il personale di cui necessitano attraverso partnership qualificate. I fondi che vengono raccolti sono destinati a strutture che genereranno posti di lavoro. Ltbf mette a disposizione delle imprese una rete di relazioni istituzionali, economiche, sociali, che consente alle aziende di rafforzare al tempo stesso il proprio business grazie a un dinamico marketing sociale, e all’incontro con nuove opportunità». In un anno di lavoro Learn to be free ha raggiunto svariati obiettivi. Quali sono quelli futuri? «Siamo soddisfatti del lavoro svolto e, soprattutto, di quello che siamo in procinto di realizzare. Siamo consapevoli di aver compiuto solo i primi passi di un percorso molto lungo. Ora dobbiamo dotarci di una struttura più articolata, poiché la nostra organizzazione interna è ancora embrionale e su base volontaria. Non

vedo l’ora di poter contare su persone che si dedichino alla fondazione con un approccio professionale e duraturo. Un altro progetto che mi piacerebbe realizzare è pubblicare una rivista e definirne i contenuti e la linea editoriale. E poi vorrei che le imprese ci percepissero per quello che siamo, cioè una risorsa. Siamo, nel nostro piccolo, uno strumento anticrisi perché aiutiamo le aziende a tenere duro, a crescere, generando sviluppo. Mi piace l’idea di essere considerata una risorsa». Learn to be free. Imparare a essere liberi. Qual è, oggi la vera libertà oggi? «La libertà è il primo e più sacro dei diritti dell’uomo. Ma nulla è più lontano dalla concezione della libertà dell’idea che essa consista nel poter fare ciò che si vuole in senso assoluto e svincolato da tutto. Condizione d’essere per la libertà è la responsabilità, senza la quale non può esistere libertà vera. Responsabilità verso se stessi, verso la propria famiglia e verso la società in cui si vive. Libertà è scegliere. Assumendosi le conseguenze delle proprie decisioni. Quando la libertà è esercitata in sintonia con la responsabilità si dà luogo alla vera solidarietà». Libertà e solidarietà. Recentemente si è discusso sulla lotta alla clandestinità e sul pacchetto sicurezza. Spesso a essere irregolari sono proprio ragazzi che vengono nel nostro Paese per cercare la libertà e migliorare la propria vita. Qual è la sua opinione a riguardo?


39 semblea di Montecitorio. Adesso osservo chi sa far lavorare bene le imprese e cerco di fare altrettanto». Qual è il consiglio che darebbe a una donna? «Il primo, il più importante, è avere carattere e non essere mai rinunciatarie. Perché è vero che noi donne siamo versatili, attente, sensibili. Ma spesso tutto questo spesso si traduce in mollezza. Un carattere forte e determinato, supportato da una mente attenta a quello che accade intorno, è uno strumento indispensabile se si vuole riuscire nella vita. E ti aiuta a limitare i danni. Perché come dice Dante “saetta previsa vien più lenta”».

«Più che la libertà, molti di questi ragazzi cercano una sponda economica. Purtroppo la clandestinità è un fenomeno ambiguo: ci sono molte persone che sono costrette a questa scelta e non hanno alternativa. Donne forzate a prostituirsi, bambini obbligati a chiedere l’elemosina. Ma ci sono anche clandestini disonesti che sono scappati dal loro Paese per venire a delinquere nel nostro. Per cui si tratta di una realtà dal doppio volto. Per questo motivo, pur comprendendo d’impulso il senso di considerare la clandestinità un reato, evito di condividerlo poiché non posso trascurare il fatto che la metà dei clandestini è costituita da vittime. Quello che sicuramente va fatto è attuare uno schema molto severo e aiutare le Forze dell’Ordine che presidiano la frontiera». Una vita piena di successi la sua. C’è qualcuno a cui si sente di dire grazie? «A tanti. A tutti. Alla mia famiglia, a mio marito. Ma, più in generale, a tutti coloro che ho incontrato e da cui ho imparato molto. Nella mia vita ho fatto tante cose, ma sono sicura che non ne avrei fatta nessuna se non avessi avuto a fianco qualcuno che la sapeva più lunga di me. Quando ero presidente alla Camera tutti mi chiedevano se avessi dei consulenti che mi ragguagliassero sugli aspetti giuridici, ma in realtà non mi sono avvalsa di nessuna consulenza. La mia è stata una scuola sul campo: osservavo come si comportavano i funzionari, come servivano lo Stato e quello mi è servito più di mille indicazioni. Guardavo i poliziotti che montavano la guardia e questo mi ha aiutato a presiedere l’as-

Recentemente Learn to be free è diventata membro associato della Confederazione mondiale dei gioiellieri, la Cibjo. Qual è il legame della fondazione con il mondo del lusso? «Learn to be free è nata grazie alla disponibilità di alcune aziende orafe che si sono dimostrate particolarmente sensibili all’esigenza di coniugare allo sviluppo economico delle proprie attività la responsabilità sociale d’impresa. In quest’ottica, Ltbf sostiene il progetto “Gioiello Etico”, che consiste nell’impegno di rendere trasparente la filiera di produzione del gioiello, dall'estrazione dei preziosi alla loro raffinazione, lavorazione, commercializzazione, con lo scopo di aiutare a garantire che tutto avvenga nel pieno rispetto dei diritti umani e dell’ambiente». A tal proposito lei ha parlato di “lusso responsabile”. Qual è il senso di questa espressione? «La maggior parte delle nostre aziende che realizza beni di lusso lo fa in maniera eticamente responsabile, cosa che comporta costi un po’ più elevati ma che garantisce il pieno rispetto delle persone e dell’ambiente. La maggioranza dei produttori italiani, giustamente noti a livello internazionale per la qualità del loro brand, rappresenta l’eccellenza anche per la qualità del processo produttivo e per la gestione delle risorse umane. Ed è ora di farlo sapere al mondo, perché il nostro Paese è costretto a competere con mercati emergenti come la Cina, che non solo non ha la stessa qualità nel prodotto, ma non ha la stessa qualità sociale. Quindi è giusto che le aziende italiane trasformino l’etica di impresa in un vantaggio competitivo, un elemento di comunicazione e di sensibilizzazione nei consumatori».


42 > IMPRESA > Laura Frati Gucci > Valorizzare le differenze di genere

I VERTICI ALLE DONNE Più flessibili, più pragmatiche e più capaci di adattarsi ai cambiamenti. È il profilo vincente delle donne imprenditrici secondo Laura Frati Gucci, presidente di Aidda DI PAOLA SASTRI

Il concetto di genere ha una storia recente, ma in pochi decenni ha già subito slittamenti, trasformazioni, precisazioni. «E tuttavia – come ricorda Laura Frati Gucci, presidente di Aidda e di Pirene – rimane una categoria ancora assolutamente attuale, così come lo è il ruolo di un’associazione di genere come la nostra, che nel 2011 si accinge a compiere 50 anni». Laura Gucci, infatti, è presidente di Aidda, l’Associazione Imprenditrici e Donne dirigenti di azienda. Una realtà che lavora per una sempre maggiore integrazione delle donne in ogni settore. Ma soprattutto, un osservatorio privilegiato da cui esaminare i progressi fatti, gli ostacoli e le possibili vie per superarli. Perché oggi, come spiega Frati Gucci, le donne hanno colonizzato tutti i campi. Ma le posizioni apicali, nella maggior parte dei casi, restano loro ancora sostanzialmente precluse. Ed è questo il prossimo passo da fare. Con una raccomandazione: «Parlare meno, ma fare di più». C’è ancora molta strada da percorrere, ma è indubbio che le imprese rosa siano in crescita. Esiste ancora uno stile imprenditoriale maschile e uno stile femminile del gestire

Un patrimonio da recuperare «Fin dalla nascita, nel 1961, Aidda è sempre stata all’avanguardia nello scenario socioeconomico del Paese, come emerge anche dal materiale che stiamo riesaminando in vista del cinquantennale». Laura Frati Gucci parla con orgoglio della realtà che presiede: 1.500 socie, afferenti ai settori più vari, come i temi di cui si interessano. A partire dal necessario recupero, seppure in senso moderno, delle radici manifatturiere del Paese. «Di quel saper fare che ci è stato tramandato dai nostri avi e che rappresenta la nostra vera ricchezza». Obiettivo di cui si discuterà nel prossimo convegno di Aidda, a maggio, dedicato appunto a “creatività e innovazione”, tema dell’anno per l’Ue


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«Oggi, fortunatamente, non esistono più occupazioni ritenute femminili perché compatibili con la famiglia. Ora le donne sono impegnate in ogni campo. Il problema è che non lo sono in posizioni apicali» un’impresa? «Certamente, ma sono cambiati. Sicuramente non esiste più quello stile che tendeva a emulare il modo maschile di fare impresa. Al contrario, si valorizzano le differenze. Le donne, in questo senso, sono più pragmatiche, più flessibili. Soprattutto hanno maggiore sensibilità e attenzione verso le problematiche del personale. Tutte caratteristiche che finiscono per rivelarsi vincenti, in particolare di fronte a cambiamenti repentini del mercato. Negli ultimi mesi, ad esempio, si sono proposte forme particolari di cassa integrazione proprio in considerazione della maggiore disponibilità della donna verso soluzioni alternative e innovative. Si tratta, insomma, di valorizzare la capacità di adattamento della donna». In quale campo imprenditoriale la presenza femminile è più ampia? «Oggi, fortunatamente, non esistono più occupazioni ritenute femminili perché compatibili con gli impegni familiari, come il lavoro in banca o l’insegnamento. Ora le donne sono davvero impegnate in ogni campo: scienza, ricerca, servizi, sociale. Il problema è che non lo sono in posizioni apicali, per cui sono ancora poche le donne primario o sindaco, o presidenti di grandi aziende. Eppure, come ha mostrato una ricerca americana un paio di anni fa, dove questo avviene le performance


44 > IMPRESA > Laura Frati Gucci > Valorizzare le differenze di genere

Nella foto Laura Frati Gucci (prima da sinistra) insieme a una parte delle associate Aidda durante un evento organizzato da Lancôme a Milano lo scorso ottobre

«Le donne nel fare impresa sono più pragmatiche, più flessibili e hanno maggiore sensibilità verso le problematiche del personale. Tutte caratteristiche che si rivelano vincenti, soprattutto di fronte a cambiamenti del mercato» aziendali risultano assolutamente migliorative, grazie a un processo decisionale fortemente integrato. In Italia, invece, sembra che non ci siano donne da nominare per queste posizioni. Invece ce ne sono eccome, e dissolvere questa impressione è uno dei nostri obiettivi principali». Qual è invece la situazione reale? «Tutti i dati ufficiali ci raccontano di una realtà in cui non solo le donne d’impresa sono molte, ma

è a loro che si deve la costituzione del 25% delle nuove società. Nel mondo imprenditoriale, insomma, dove non ci sono schemi e nomine, la donna va avanti. Cosa che non avviene in tutte quelle istituzioni e società in cui le nomine seguono criteri politici, come nel campo assicurativo o bancario, ma anche in molte aziende municipalizzate. È questo il grande gap che non riusciamo a colmare. Ed è quello che vuole anche Aidda, un’associazione


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I dati ufficiali raccontano di una realtà in cui non solo le donne d’impresa sono molte, ma è a loro che si deve la costituzione del 25% delle nuove società

assolutamente apartitica, ma non per questo apolitica. Al momento, ad esempio, stiamo collaborando col ministero del Lavoro e altri quattro partner per mettere a punto una carta della diversità, sul modello di quella già presentata in Germania e in Francia. Del resto, siamo convinte che per portare più donne a

profondamente mortificante, sotto il profilo sia umano che professionale».

C’è qualcosa che le istituzioni possono fare, in concreto, per migliorare la situazione? «Assolutamente sì. Nella maggior parte dei Paesi evoluti, ad esempio, la scuola non abbandona gli studenti a ora di Marketing e consulenza pranzo ma li trattiene per svolgere attività sportive o educative in Laura Frati Gucci, fiorentina, moglie senso lato. Finché questo da noi dell’imprenditore della moda Guccio non avviene, è inevitabile che si Gucci, è presidente di Pirene Srl, società che si occupa di organizzazione cerchi qualcuno che assista i figli eventi, marketing, consulenza organizzativa nel doposcuola. Il sistema scuola, e comunicazione integrata a livello nazionale insomma, va reinterpretato e internazionale. Diplomata alla London School Economics di Londra, in passato ha ripensato per una società in cui la ricoperto cariche importanti nei Cda del madre lavora e le nonne sono Gruppo Frati e nell’Associazione industriali. impegnate anche in altre attività. Dal 2005 è presidente di Aidda – Associazione imprenditrici e donne dirigenti Senza contare il problema della di azienda, nonché vicepresidente di Fcem mobilità: fino a dieci anni fa era – Femmes chefs d’entreprise mondiales, raro allontanarsi dalla famiglia associazione internazionale di imprenditoria femminile fondata nel 1945, di cui la stessa d’origine, oggi è molto più Aidda fa parte frequente, con tutto quello che comporta in termini di aiuto domestico». ricoprire ruoli decisionali occorre lavorare in accordo con le colleghe, anche loro ancora poche, Quali soluzioni auspica, più nello specifico? impegnate in politica». «Tutto il sistema va ridisegnato, ma senza stravolgere la nostra cultura. Ad esempio, alcuni Il ministro Carfagna, a questo proposito, ha anni fa il governo ha cercato con la legge 53 di lanciato lo slogan del “doppio sì”, al lavoro e introdurre il congedo parentale, per permettere alla famiglia. Un obiettivo possibile o anche ai padri di assentarsi dal lavoro per un’utopia? alcuni periodi dal lavoro allo scopo di assistere i «È difficile, ma senza dubbio possibile. A ben figli. Ma in una società e una cultura come la guardare, anzi, è qualcosa che cerchiamo di nostra è un tipo di soluzione che non può realizzare da sempre. Anche perché, come attecchire, perché il congedo per un uomo è confermano anche i monitoraggi effettuati da visto quasi come una vergogna, così come è Aidda, non è affatto vero che le donne naturale che ogni donna dopo il lavoro prepari rinunciano alla maternità per la carriera. Il la cena. Ma questo non significa che i padri di problema, semmai, è un altro ed è che una oggi non aiutino nella gestione dei figli, anzi. donna che lavora oggi in Italia non riesce a Lo ripeto, è una questione culturale ed è anche guadagnare abbastanza rispetto a quanto spende per la gestione della famiglia. E questo è lì che bisogna agire».


46 > IMPRESA > Lella Golfo > È l’ora dell’azione

LA VERA PARITÀ STA NEL MERITO Un premio alle donne che si distinguono nel loro settore. Progetti di sostegno alle più deboli. Promozione di una cultura attenta alla parità e, soprattutto, un’instancabile volontà di farsi sentire. Ora anche in politica. Lella Golfo, anima della Fondazione Marisa Bellisario, parla del gender gap in Italia di Sarah Sagripanti Non è mai anacronistico parlare di diritti delle donne, se tra i Paesi europei l’Italia è ancora oggi uno dei meno sviluppati in tema di politiche per le pari opportunità. Tutte le statistiche confermano che il nostro Paese è il fanalino di coda quanto a presenza femminile nei ruoli strategici della società: dalla politica al mondo economico, a quello del lavoro. Guardando ad esempio quanti seggi in rosa ci sono oggi nel nostro Parlamento, le percentuali sono scoraggianti, solo il 21% alla Camera e il 18% al Senato: valori lontanissimi dai Paesi maggiormente virtuosi come Svezia, 48%, Finlandia, 42%, Paesi Bassi, 39%. E nel mondo del lavoro le cose non vanno meglio. Forse perché ancora oggi sulle donne italiane pesa l’eredità di un modello culturale e sociale rigidamente fondato sulla divisione dei ruoli di genere, che per decenni è stato l’unico accettato, condiviso e possibile. Secondo questo modello, è alla donna che viene affidata la maggior parte del lavoro di cura della famiglia e, quindi, della società. E anche se oggi le cose sono molto cambiate e, almeno in teoria se non sempre nella pratica, è patrimonio comune la convinzione della parità tra uomini e donne nei ruoli della società e della famiglia, permane però un certo retaggio culturale, che sommato alla storica carenza di servizi alla famiglia e a un mondo del lavoro ancora in gran IMPEGNO parte lontano dal supportare la conciliazione, genera per le donne la necessità di sostenere, di fatto, un vero e proprio doppio lavoro: il Lella Golfo è nata a Reggio Calabria e primo remunerato, all’interno di un percorso di carriera vive a Roma. Presidente della fondazione professionale, il secondo, non remunerato, di cura, assistenza e Marisa Bellisario, giornalista pubblicista, il suo impegno per le donne inizia in Calabria servizio alla famiglia, che va ad aggiungersi al primo e a renderlo, alla fine degli anni Cinquanta, quando si per ovvi motivi, maggiormente difficoltoso. batte per l’affermazione dei diritti delle Queste dinamiche sono ben note a Lella Golfo, che da oltre raccoglitrici di gelsomino. Nel 2003 è stata vent’anni lotta per vedere riconosciuti i diritti delle donne e le pari insignita del titolo di Commendatore della opportunità. Fondatrice e presidente della Fondazione Marisa Repubblica Italiana. Alle elezioni politiche del Bellisario, dedicata a una delle figure professionali più prestigiose 2008 è stata eletta deputato per le liste del Popolo della Libertà in Calabria. nella storia dell’imprenditoria italiana, Lella Golfo promuove una


47 Lella Golfo in Rwanda nel 2007, dove la Fondazione Marisa Bellisario ha realizzato un progetto per la microimprenditoria femminile

«Le giovani donne, oggi, hanno una preparazione eccellente, capacità di adattarsi e spirito d’iniziativa. Sono brillanti, tenaci, determinate, più consapevoli e mature» riflessione culturale di genere attenta ai temi della parità. Oggi, in quanto deputata Pdl alla Camera e insieme alla senatrice Anna Cinzia Bonfrisco, sta

portando avanti un’iniziativa legislativa per l’istituzione dell’Autorità garante della parità: una proposta ispirata alla necessità di individuare dei meccanismi moderni capaci di far applicare concretamente le pari opportunità, non solo di declamarle. Nel 2009 la Fondazione Marisa Bellisario compie vent’anni. Com’è cambiato il suo ruolo dal 1989 a oggi? «La Fondazione è nata venti anni fa nel ricordo di Marisa Bellisario con un unico obiettivo: valorizzare le professionalità femminili e affermare le pari opportunità in tutti gli ambiti, diffondendo una cultura che vede nella parità un’occasione di


48 > IMPRESA > Lella Golfo > É l’ora dell’azione

sviluppo e progresso. In questi anni la Fondazione, che oggi rappresenta più di mille donne manager e imprenditrici, è cresciuta e ha sviluppato un percorso sempre più attento alle nuove sfide che la società impone. È un osservatorio permanente sulle problematiche femminili dove si studia l’evoluzione della donna nel mondo del lavoro». Quali caratteristiche deve avere una donna per vincere il premio Bellisario? «Ogni anno la Fondazione premia le donne che si sono distinte nella professione, nel management, nella scienza, nell’economia e nel sociale a livello nazionale e internazionale. Donne che hanno dimostrato di avere grande personalità e di essersi impegnate nel loro settore raggiungendo alti obiettivi, proprio come Marisa Bellisario». Ci sono altre donne, oltre a Marisa Bellisario, che hanno rappresentato per lei un punto di riferimento? «Marisa per me è stata un punto di riferimento e lo è tuttora. È il simbolo della donna che è riuscita a imporsi in un mondo esclusivamente maschile con la sua voglia di lavorare, il suo altruismo, la sua sensibilità. In questi anni, attraverso il lavoro svolto dalla Fondazione, ho incontrato tante donne. Tante storie ed esperienze di vita differenti che hanno arricchito il mio bagaglio culturale e mi hanno stimolato nel cammino intrapreso. Ognuna di essa rappresenta, per me, un punto di riferimento per raggiungere traguardi sempre più importanti».

FONDAZIONE MARISA BELLISARIO Nata nel 1989 da un’idea di Lella Golfo, la Fondazione ha iniziato la sua attività promuovendo e organizzando il Premio Marisa Bellisario. Ha poi ampliato il suo campo d’azione verso lo studio e la progettazione di azioni rivolte al mondo del lavoro, dell’imprenditoria femminile e del management. L’appuntamento annuale dalla Fondazione è il seminario internazionale “Donna, economia e potere” che si svolge in autunno. A questo si affiancano nel corso dell’anno altre iniziative importanti, convegni, seminari di studio e formazione, azioni di solidarietà, incontri istituzionali.

«Ogni anno la Fondazione premia le donne che hanno dimostrato di avere grande personalità e di essersi impegnate nel loro settore raggiungendo alti obiettivi, proprio come Marisa Bellisario»

“Affermare le pari opportunità in tutti gli ambiti” è l’obiettivo della Fondazione. A che punto siamo sulla strada per raggiungere questo risultato? «Il cammino è ancora lungo, non privo di difficoltà. Il nostro Paese ha bisogno di una scossa. Le donne nelle nostre aziende continuano a essere discriminate. Lo rivela anche l’ultimo rapporto della European Professional Women Network, che fotografa, ogni due anni, i consigli di amministrazione delle prime trecento imprese europee. L’Italia è il fanalino di coda. Per eliminare tale discriminazione, come primo atto, ho presentato una proposta di legge, sottoscritta in maniera trasversale da più di 60 parlamentati, per l’istituzione di un’Autorità garante della parità tra

donne e uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio delle funzioni pubbliche o agli enti pubblici. Nella nostra Fondazione si è aperto, inoltre, un dibattito e stiamo elaborando una proposta di legge, che ricalchi il modello norvegese, che ha imposto il 40% delle donne nei Cda delle imprese, pena il loro scioglimento. La presenterò al Parlamento come risposta concreta per l’uguaglianza degli uomini e delle donne nell’accesso ai massimi livelli anche nelle aziende private». La predeterminazione quantitativa per garantire la presenza delle donne ai massimi vertici della politica e dell’imprenditoria è una strada necessaria? «Sono convinta che le donne hanno tutte le capacità per potersi fare strada da sole e per questo l’idea di meccanismi come le quote rosa non mi appassionano. Al tempo stesso, però, sono consapevole che è necessario abbattere un muro che le relega ai margini in politica e nelle istituzioni. Per cui se può servire, ben vengano, anche perché le donne devono riuscire a dimostrare il proprio talento».


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In un momento difficile e di trasformazione come quello che sta attraversando l’Italia, quale contributo potrebbero dare le donne? «Le donne sono una preziosa risorsa dal punto di vista delle scelte strategiche, delle politiche del lungo termine, dell’attenzione al cliente e al lavoratore. In questo momento, fermo restando che credo nelle persone, al di là del genere, le donne potrebbero essere davvero quella “marcia in più” necessaria al Paese per affrontare un momento di cambiamento e di difficoltà. È una tesi che viene confermata anche da uno studio recente pubblicato dal Financial Times: le aziende con una maggiore presenza femminile, hanno ottenuto risultati meno negativi in questo periodo di crisi».

ATTENZIONE AL SOCIALE Lella Golfo in Afghanistan nel 2003. Sopra, con Habiba Sarabi, l’allora ministra per le Pari opportunità, al momento della consegna di un contributo raccolto tra le associate della Fondazione Bellisario per la costruzione di un rifugio per donne vittime di violenza. La Fondazione promuove progetti di sostegno per le categorie più deboli. Nel 2003 ha realizzato un corso di formazione in Italia per donne afghane; nel 2004 è stata l’unica associazione di imprenditrici nel progetto Global Compact delle Nazioni Unite; nel 2007 ha realizzato un progetto per la microimprenditoria femminile in Rwanda.

Come giudica l’attuale generazione di giovani donne? «Le giovani donne, oggi, hanno una preparazione eccellente. Sono brillanti, tenaci, determinate, più consapevoli e mature, nonostante le difficoltà ad affermarsi nel mondo del lavoro. Lo scarso livello di servizi sociali presente nel nostro Paese si traduce in un ostacolo all’ingresso nel mondo del lavoro, ma soprattutto in una mancanza di pari opportunità di avanzamento professionale e condizioni lavorative. Per fare carriera sono spesso costrette ad accettare retribuzioni più basse. La loro capacità di adattarsi e il loro spirito d’iniziativa, però, fanno ben sperare per il futuro anche se, ripeto, occorre un maggiore sforzo per eliminare una discriminazione che persiste».


50 > WELFARE AZIENDALE > Gruppo Bracco > Potenziare il capitale umano

LA LAVORATRICE FULCRO DELLA POLITICA AZIENDALE Il personale è innanzitutto una risorsa. E come tale va trattato. Garantendo servizi e agevolazioni che tengano conto delle esigenze dei dipendenti. Il Gruppo farmaceutico Bracco l’ha capito per tempo, lavorando inoltre sul tema delle pari opportunità lavorative, come ricorda Raffaella Lorenzut, responsabile delle iniziative sociali di Lorenzo Berardi e chiamano politiche del family friendly oppure welfare aziendale. Per uscire dagli anglicismi ed entrare nel concreto, entrambe le espressioni si traducono nell’attenzione che un’azienda rivolge al benessere e alle esigenze dei propri dipendenti. Una scelta illuminata che mira a valorizzare le risorse umane instaurando un rapporto positivo fra imprenditore e lavoratore, nell’ottica del raggiungimento di obiettivi comuni. E se il dipendente mette a disposizione dell’azienda tempo, passione e competenze, da parte sua il datore di lavoro mostra l’interesse a investire in questi valori, ascoltando le richieste provenienti da chi nell’impresa e per l’impresa ogni giorno lavora. In Italia, uno degli esempi migliori di questa tendenza è rappresentato dal Gruppo farmaceutico Bracco. Qui non solo viene offerta ai dipendenti una vasta gamma di servizi e facilitazioni, ma si guarda anche al rispetto delle pari opportunità lavorative. Prassi aziendali inquadrate all’interno di una visione imprenditoriale che considera le persone un fattore chiave sia nel raggiungimento dei risultati che dell’eccellenza. «Una visione che è fondata sui valori ha dato luogo a una gestione che guarda alle risorse umane come a una risorsa per raggiungere gli scopi

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dell’organizzazione – sottolinea Raffaella Lorenzut, assistente alla presidenza e responsabile delle iniziative sociali del Gruppo –. Perché identità e mission aziendale passano attraverso le persone e le loro capacità». Un obiettivo concreto per un Gruppo che occupa oggi circa 2.800 dipendenti, opera in 80 mercati nel mondo e ha un fatturato consolidato di circa 900 milioni di euro. Il tema delle pari opportunità è un punto di forza del vostro Gruppo. Come si traduce nelle prassi aziendali? «Esiste un’attenzione alle pari opportunità, ma più in generale all’espressione della diversità considerata come una possibilità da coltivare. Questa attenzione si concretizza nei confronti delle donne già nella fase di ingresso in azienda con l’assenza di barriere in fase di reclutamento e selezione. La conferma è che oggi le donne rappresentano il 40% del nostro personale e il 25% dei nostri dirigenti. Si tratta di dati significativi che esprimono quanto il Gruppo investa sul personale femminile e lo sostenga concretamente dando delle opportunità nell’accedere a posizioni meno accessibili in altri contesti. È significativo il fatto che troviamo donne dirigenti in posizioni che sono


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Raffaella Lorenzut, assistente alla presidenza e responsabile delle iniziative sociali della multinazionale farmaceutica Bracco, all’avanguardia per welfare aziendale e tutela delle pari opportunità in Italia

«Diana Bracco ha insistito perché le donne avessero la possibilità di esprimersi, ha dato loro fiducia e lei stessa rappresenta con il suo stesso esempio professionale un punto di riferimento per tutte le dipendenti» meno comuni per tradizione o abitudine culturale all’interno delle aziende italiane. La nostra è una re-

altà farmaceutico-industriale che conta molte donne dirigenti soprattutto nei settori a più alto sviluppo tecnologico come nella ricerca nella qualità, in ecologia e sicurezza. Già oggi le donne sono la metà dei dipendenti del Centro Ricerche di Bracco Imaging ad Ivrea, la nostra divisione che si occupa di diagnostica per immagini. Abbiamo, inoltre, modalità di gestione guidate da una medesima logica: se si riescono a integrare le capacità femminili alle esigenze dell’azienda, tutti ne traggono vantaggio. Diverse di queste iniziative sono state concepite per andare incontro a tutta una serie di esigenze che sono correlate a una efficace


52 > WELFARE AZIENDALE > Gruppo Bracco > Potenziare il capitale umano

ed efficiente gestione del tempo. Compatibilmente con le esigenze organizzative concediamo per un periodo determinato il part-time, inoltre abbiamo un assistente sociale che accompagna la donna durante le diverse fasi della maternità. Offriamo inoltre assistenza domiciliare gratuita per due settimane a fronte di situazioni di emergenza, per esempio quando subentra una patologia o quando c’è una dimissione dall’ospedale del dipendente noi attiviamo una società specializzata che per quattordici giorni assiste la persona a casa propria in attesa di trovare soluzioni per il medio lungo termine». Avete istituito o prevedete di istituire in futuro anche un servizio di nursery o un asilo nido interno? «Qualche anno fa un censimento condotto fra i nostri dipendenti non ha evidenziato la necessità di creare nursery o asili aziendali. Noi avevamo già concepito un asilo per l’azienda e il territorio, ma quindi ci siamo accorti che non sarebbe stato molto utilizzato dal nostro personale. Ci è stata invece richiesta maggiormente l’assistenza domiciliare agli anziani, più delicata da gestire per le famiglie. Se-

SERVIZI AL FEMMINILE Il Gruppo farmaceutico Bracco offre un programma mirato alle patologie femminili che è completamente a carico dell’azienda e che viene svolto a livello di primi screening direttamente in impresa e poi presso il Centro Diagnostico Italiano. Sempre con il Cdi è stata attivata una “carta famiglia” che prevede un percorso di accesso agevolato anche dal punto di vista economico per effettuare visite diagnostiche. Inoltre, esiste una convenzione con un’agenzia di babysitting e offriamo vacanze a prezzi agevolati ai figli dei dipendenti.

guiamo molto anche il tema della medicina preventiva e di genere. Abbiamo un programma mirato alle patologie femminili che è completamente a carico dell’azienda e che viene svolto a livello di primi screening direttamente in impresa e poi presso il Centro Diagnostico Italiano. Sempre con il Cdi abbiamo attivato una “carta famiglia” che prevede un percorso di accesso agevolato anche dal punto di vista economico per effettuare visite diagnostiche. Inoltre, esiste una convenzione con un’agenzia di babysitting e offriamo vacanze ai figli del nostro personale con un contributo minimo del dipendente, inferiore del 20% del costo riservato all’azienda». Quali servizi logistici e facilitazioni nei trasporti offrite, invece, ai vostri dipendenti milanesi? «La nostra sede direzionale è ubicata nella zona industriale di San Donato Milanese e quindi abbiamo deciso di attivare un servizio di navette per i dipendenti lungo il percorso dalla sede dell’azienda alle stazioni della metropolitana e alla stazione ferroviaria di Milano Rogoredo». A quanto ammonta l’investimento economico e organizzativo di tutti questi servizi? «Abbiamo persone dedicate a seguire questi temi e l’investimento complessivo è piuttosto elevato. Ma la soddisfazione del nostro personale ci ripaga ampiamente. Quasi tutti questi servizi, infatti, riscontrano un particolare apprezzamento, soprattutto in questo periodo non facilissimo. Il supporto che le persone trovano in azienda e da parte dell’azienda incide sia sulla loro motivazione che sul senso di appartenenza. Sul luogo di lavoro occorrono serenità ed equilibrio da parte dei dipendenti, valori importanti per creare un clima interno positivo e favorevole al raggiungimento degli obiettivi dell’azienda». E a suo avviso, perché queste prassi di valorizzazione delle risorse umane non sono ancora molto diffuse in Italia? «Forse non si tratta forse di prassi molto diffuse, ma bisogna anche tenere conto che il panorama industriale italiano è costituito prevalentemente da


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«La nostra è una realtà farmaceuticoindustriale che conta molte donne dirigenti soprattutto nei settori a più alto sviluppo tecnologico come nella ricerca e nella parte di ecologia e sicurezza» Pmi. E sappiamo che storicamente il piccolo imprenditore sta vicino al dipendente. Ciò che manca è una sistematizzazione che richiederebbe una cultura e una visione imprenditoriale nuova. Bisogna entrare nella logica che occorre destinare al benessere dei dipendenti delle risorse specifiche. Noi riteniamo che queste risorse siano un investimento e non un costo».

MODELLO IMPRENDITORIALE Diana Bracco, presidente del Gruppo farmaceutico Bracco e ad del Centro Diagnostico Italiano. Presiede anche Assolombarda, la Fondazione Mai di Confindustria e Confarma. È inoltre componente del Consiglio Direttivo di Confindustria e del Comitato di Presidenza di Federchimica oltre a fare parte del cda di Assonome, Techosp, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del Consorzio per il Centro di Biomedicina Molecolare di Trieste e della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici. È stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce e della medaglia d’oro del Comune di Milano

Quanto influisce nel rispetto che voi attribuite alle pari opportunità e alla valorizzazione delle risorse umane, il fatto di essere presieduti da una donna come la presidente Bracco? «Prima ancora dell’ingresso in azienda della dottoressa Diana Bracco il nostro contesto era già favorevole e attento alle risorse umane. Di certo con il suo ingresso questa nostra caratteristica si è ulteriormente rafforzata. Diana Bracco ha insistito perché le donne avessero la possibilità di esprimersi, ha dato loro fiducia e credo che lei stessa rappresenti con il suo esempio professionale e come persona un punto di riferimento per tutte le dipendenti».


56 > STRATEGIE > Donatella Treu > Nella stanza dei bottoni

MANAGER ROSA SUCCESSO GARANTITO Le aziende sono più competitive, quando nei Cda c’è una maggiore presenza femminile. Ecco perché occorre investire sulle pari opportunità e sulla conciliazione. Perché «da questa crisi uscirà rafforzato chi saprà, con coraggio, cogliere l’occasione per rendere più competitiva la propria azienda». Parola di Donatella Treu, ad di Wolters Kluwer Italia di Mariella Corazza na visione olistica dei problemi, grande flessibilità e capacità di interconnessione». Sono queste le qualità proprie delle donne che possono rappresentare la leva più importante per sostenere le aziende in questo momento di difficoltà economica. La pensa così Donatella Treu, amministratore delegato della Wolters Kluwer Italia, Gruppo editoriale leader nel mercato professionale, con oltre mille dipendenti solo nel nostro Paese. Donatella Treu è riuscita a fare dell’azienda un esempio virtuoso per l’applicazione delle politiche di pari opportunità e per la conciliazione, un impegno che le è valso prestigiosi riconoscimenti nazionali, come l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e il premio “Mela d’Oro 2007” per la Comunicazione d’impresa della Fondazione Marisa Bellisario.

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Sono passati diversi anni da quando Marisa Bellisario veniva definita ironicamente “la signora con i baffi” per sottolineare l’insolito caso di una donna manager. Ma cos’è cambiato realmente da allora per le donne in azienda? «Dipende dal punto in cui si osserva il fenomeno. Se lo analizziamo in base ai dati degli ultimi rapporti internazionali, che vedono l’Italia al penultimo posto, prima del Portogallo, nella classifica europea delle presenze femminili nei Cda delle imprese, direi ben poco. Se però prendiamo in considerazione ruoli di responsabilità non necessariamente legati alla stanza dei bottoni, ci sono diversi segnali che configurano un cambiamento positivo in atto e una crescita dei ruoli manageriali affidati alle donne. La strada verso le pari opportunità è ancora lunga e insidiosa e passa attraverso un impegno sociale e civile che le istituzioni devono


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Donatella Treu, amministratore delegato di Wolters Kluwer Italia


58 > STRATEGIE > Donatella Treu > Nella stanza dei bottoni

Siamo sensibili alle politiche di genere In Wolters Kluwer, oltre il 60% della forza lavoro è femminile, ecco perché in aggiunta a quanto stabilito dal Ccnl abbiamo predisposto un pacchetto di azioni che rendono più agevole il rientro dopo il periodo di maternità e consentono di poter meglio conciliare il doppio ruolo di madre e lavoratrice

La tecnologia supporta la responsabilità sociale Oltre alla concessione automatica del part time, sia per le donne che gli uomini fino al 36° mese del bambino anche in caso di adozione, finestre di entrata e uscita dall’azienda flessibili e il nido aziendale, utilizziamo il telelavoro, la formazione a distanza e le videoconferenze per limitare gli spostamenti

assumersi per cambiare una cultura come la nostra, nella fattispecie, ancora profondamente radicata sulla figura maschile. Nelle imprese estere invece esiste un diverso modo di concepire la diversity, che permette oltre che di arrivare più facilmente in posizioni di rilievo, di ottenere ruoli meno tradizionalmente femminili e, vero tasto dolente del tema, avere anche una famiglia e dei figli».

realtà consolidata frutto di un forte impegno nella gestione consapevole delle molteplici differenze che appartengono all’universo del lavoro. Questo dipende da diversi fattori, come la presenza di circa 20mila dipendenti dislocati in oltre trentacinque Paesi e tre continenti, la ricerca continua di persone qualificate e di talenti e, elemento non trascurabile, che molte funzioni apicali, ovvero il 42% a livello

«Ci sono diversi segnali che configurano un cambiamento positivo in atto e una crescita dei ruoli manageriali affidati alle donne»

In questo quadro, ci sono anche casi positivi? «Certamente sì. Diverse aziende, grazie alla presenza di un numero più elevato di donne, specialmente nelle aree delle risorse umane e comunicazione, hanno garantito il processo di una maggiore sensibilizzazione alle problematiche sociali avviando una serie di politiche di work life balance che vanno incontro alle esigenze di conciliare la vita professionale e famigliare delle proprie dipendenti. Anche Wolters Kluwer Italia negli ultimi anni si è impegnata a fondo su questo fronte». In che modo? «Il diversity management in Wolters Kluwer è una

mondiale e il 53% in Italia, siano ricoperte da donne. Inoltre, la diversità di genere assume un valore capace di esprimere un forte rilievo anche economico e di business. All’interno di ogni progetto che promuoviamo, ad esempio, la composizione dei team di lavoro è sempre molto eterogenea perché siamo convinti, e i risultati ci danno ragione, che esista una forte relazione tra la quantità e la qualità di idee sviluppate per risolvere un problema e la varietà di genere dei gruppi


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«In un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando, aprire le stanze dei bottoni alle donne porterebbe dei vantaggi sia ai risultati aziendali, come ha rilevato un’inchiesta della rivista Fortune che ha posto in evidenza come le migliori performance finanziarie tra le prime 500 aziende al mondo siano collegate alla presenza femminile nel board, sia all’incremento del nostro Pil» costituiti per analizzarlo. Anche durante le fasi di recruiting del personale, per policy aziendale, il numero dei candidati presentati deve sempre rispettare un equo rapporto tra uomini e donne». A livello generale, quali strategie sarebbero da adottare, a suo parere, per accelerare o facilitare l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro? «Per prima cosa vorrei evidenziare come in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando aprire le stanze dei bottoni alle donne porterebbe sicuramente dei vantaggi sia ai risultati aziendali, come ha rilevato un’inchiesta della rivista Fortune che ha posto in evidenza come le migliori performance finanziarie tra le prime 500 aziende al mondo siano collegate alla presenza femminile nel board, sia all’incremento del nostro Pil. Riguardo alle strategie penso che molte siano complementari passando da un sistema di sgravi fiscali che premi le imprese che favoriscono l’occupazione femminile, all’avviamento di politiche specifiche sull’interruzione temporanea della carriera, sul congedo parentale e sul lavoro a tempo parziale, al pari della necessità di realizzare strutture adeguate di custodia dei bambini e di assistenza dei familiari a carico. Non ultimo promuovere l’impiego di tecnologie

che semplifichino la comunicazione, l’apprendimento e il lavoro a distanza quali web 2.0, telelavoro ed e-learning». In questo particolare momento storico, innovazione e creatività possono essere due chiavi utili per il rilancio delle aziende? «Assolutamente sì. Non per niente la Commissione europea ha proclamato il 2009 come l’anno dedicato a queste due componenti. A queste, ne aggiungerei una terza non meno importante che molto spesso determina la spinta decisiva per passare dal dire al fare: il coraggio. Coraggio di cambiare, accettando le sfide e mettendo con spirito critico in continua discussione le scelte adottate. L’innovazione tra l’altro rappresenta uno dei valori fondamentali che ispirano l’azione di Wolters Kluwer, perché rappresenta la chiave di volta per rispondere alle sfide che si prospettano in un mondo globalizzato. Sono altresì convinta che questi elementi bene si coniughino con la capacità delle donne di avere una visione olistica dei problemi che, con grande flessibilità e capacità di interconnessione, consentirà loro di portare un significativo apporto nel campo della ricerca scientifica, e non solo».


68 > IO, GIORNALISTA > Cristina Parodi > L’informazione che cambia

«Ritengo che oggi ci sia un’offerta ampia e variegata di quotidiani e di programmi di informazione ben strutturati. Specialmente quelli che in televisione utilizzano il contributo di video amatoriali per raccontare la realtà, vista anche attraverso gli occhi della gente»

LA VOCE DELL’ELEGANZA Sobria, rispettosa e raffinata. Come il suo giornalismo. Lo sguardo di Cristina Parodi attraverso un mestiere che è mutato nel tempo e che è ancora destinato a evolversi attraverso nuove forme e nuovi mezzi di Lara Mariani

l giornalismo. Come è cambiato negli ultimi decenni. E come ancora cambierà. Oggi condito con ingredienti come l’infotainment. Svolto attraverso mezzi di comunicazione immediati, forse fin troppo. Un giornalismo che non si nutre più soltanto di fatti e di approfondimenti, ma che segue una società in evoluzione, una società veloce come i suoi mezzi di comunicazione. Cristina Parodi, dagli esordi come giornalista sportiva, alla creazione del suo Verissimo fino alla conduzione del Tg5, racconta le difficoltà affrontate sul campo e il suo modo di fare giornalismo. Vissuto con passione, attento all’incessante verifica dei fatti e interessato a tutto ciò che muta nel tempo, soprattutto alle persone.

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Lei ha cominciato come giornalista sportiva, prima su Odeon poi in Mediaset. Cosa ricorda dei suoi esordi? «Un grande entusiasmo nell’avvicinarmi a un mestiere che ancora non conoscevo bene e una grande voglia di imparare. Ricordo quanto tempo passavo a “studiare” la Gazzetta dello Sport perché il calcio non era una mia grande passione. Ma soprattutto ricordo una certa confusione perché nel periodo in cui iniziai a lavorare per Odeon stavo preparando la tesi di laurea in storia dell’arte alla Cattolica. Di giorno andavo a intervistare i calciatori e la sera studiavo i testi cinquecenteschi di Martino Bassi, l’architetto che ristrutturò la cupola della chiesa di San Lorenzo a Milano. Una fatica improba. Alla fine, dopo la laurea, scelsi il calcio».


69 Cristina Parodi inizia l'attività giornalistica lavorando per Odeon Tv, per poi passare nel 1990 alle reti Mediaset. Nel 1995 entra nella redazione del TG5 e l'anno seguente crea il noto rotocalco quotidiano Verissimo. Nel 2005 è tornata al telegiornale della rete ammiraglia di Mediaset


70 > IO, GIORNALISTA > Cristina Parodi > L’informazione che cambia

Verissimo è stata una sua creatura. Oggi non crede che l’infotainment stia prendendo sempre più spazio a scapito dell’informazione vera e propria, anche in programmi prettamente informativi come il Tg? «No. Sono orgogliosa di avere aperto la strada nel 1996 col mio Verissimo a un genere che continua a funzionare, anche se con molte diverse sfaccettature. Allora io raccontavo tutti i colori della cronaca, oggi molto spesso in questi contenitori ci sono i volti dei reality, il che trasforma inevitabilmente il programma in qualcosa di più leggero, spettacolare e polemico. Ma resta il fatto che un programma in diretta ha sempre la possibilità di informare, soprattutto se arriva qualche notizia importante dell’ultima ora. Si tratta comunque di spazi aperti di informazione e intrattenimento. Poi dipende dal conduttore declinare gli argomenti secondo la propria sensibilità». In una Tv sempre più urlata, lei si distingue per uno stile sobrio ed elegante. Come giudica le risse televisive sempre più frequenti? «A mio parere sono la parte meno interessante della televisione di oggi. Non perché non ami i

Una vita dedicata all’informazione

Dal 2005 Cristina Parodi è tornata al il Tg5, di cui è sempre stata uno dei volti più popolari, per condurre l'edizione delle 20

«Oggi le notizie corrono più velocemente e inevitabilmente il fatto si consuma in maniera più vorace, ma anche più superficiale» programmi leggeri, ma soltanto perché, laddove al dialogo si sostituisce l’aggressione e l’insulto, perdo l’interesse e mi imbarazzo. Detesto litigare perfino a casa mia, figurarsi davanti alle telecamere. Ma a quanto pare la gente non la pensa come me visto che in televisione le risse alzano vertiginosamente gli ascolti». Com’è cambiato il giornalismo televisivo in questi ultimi 20 anni? E come dovrebbe, a suo avviso, modificarsi? «Il giornalismo è cambiato perché sono cambiati i mezzi di informazione. Vent’anni fa Internet non era così presente e la gente leggeva ancora i giornali. Invece oggi i giornali sono letti soprattutto dagli anziani e dagli addetti ai lavori. Le notizie corrono più velocemente basti pensare al Web e ai telefonini. E inevitabilmente tutto si consuma in maniera magari più vorace, ma anche più superficiale. Vent’anni fa si leggevano i reportage degli inviati di guerra, che impiegavano giorni per scrivere e mandare la loro corrispondenza al giornale, oggi siamo bombardati in continuazione dai messaggi, tanto che si finisce per leggere solo il titolo della notizia sul Blackberry». Un’informazione istantanea, ma incompleta. Cosa propone per rimuovere l’inevitabile superficialità che si produce attraverso l’informazione veloce? «Va benissimo l’informazione totale di oggi, ma non bisognerebbe mai dimenticare l’approfondimento. E cercare di insegnare ai giovani quanto sia bello leggere il giornale la mattina». Come giudica l’attuale stato del giornalismo italiano, da più parti accusato di essere troppo piegato alla politica e poco obiettivo?


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«Se sono i politici ad accusare il giornalismo di non essere obiettivo é un buon segno, significa che i giornalisti fanno bene il loro lavoro. Scherzi a parte, mi sembra che ci sia un’offerta ampia e variegata di quotidiani e di programmi di informazione fatti bene. Specialmente quelli che in televisione utilizzano sempre più il contributo di video amatoriali per raccontare la realtà, vista anche attraverso gli occhi della gente. Oggi, nel bene e nel male, tutto ciò che accade viene ripreso dai telefonini».

Qual è stata la più grande lezione che ha imparato e da chi l’ha ricevuta? «Iniziare con il giornalismo sportivo è stata una palestra importantissima. Sia perché ho avuto grandi maestri come Marino Bartoletti e Giorgio Tosatti, Franco Ordine e Alberto D’Aguanno, ma anche perché il pubblico che segue lo sport é attento ed esigente, anzi è forse il più attento e il più esigente e se fornisci una notizia imprecisa ti bacchetta subito. In quei primi anni ho imparato non soltanto l’attenzione nella scrittura, ma anche e soprattutto a verificare metodicamente ogni notizia». C’è un evento, una notizia, un servizio, un’inchiesta che avrebbe voluto seguire da vicino? «Oggi ho la fortuna di poter scegliere i fatti e gli argomenti da seguire, quando sono libera dalla conduzione. E più che dalla cronaca, attualmente sono incuriosita dal costume e dai comportamenti delle persone. Mi piacerebbe riuscire a fare un programma che analizzi, racconti i cambiamenti e i mutamenti della società».


72 > IO, GIORNALISTA > Cesara Buonamici > Piccolo grande schermo

L’EMOZIONE È SEMPRE LA STESSA Un mestiere meraviglioso, il giornalismo. Dai mille volti. E Cesara Buonamici, in trent’anni di carriera, li ha conosciuti tutti. Ma ci sono sentimenti che neppure l’esperienza riesce ad attenuare. Come il fremito della novità e il desiderio di mettersi in gioco. Sempre e comunque di Agata Bandini li italiani sono abituati a vederla e ascoltarla, col suo tono pacato ma risoluto e col suo sorriso rassicurante, sullo sfondo blu cobalto dello studio del Tg5. Testata che del resto ha visto nascere nel 1992, imponendosi fin dall’inizio come uno dei suoi volti più noti. Ma la carriera di Cesara Buonamici è iniziata molto prima, alla fine degli anni 70, negli studi allora «quasi autogestiti» di Tele Libera Firenze. Una delle tante, frementi emittenti pubbliche locali che in quel periodo nascevano in tutta Italia. Da allora, racconta, dall’epoca pioneristica delle “libere antenne”, tutto è cambiato. «Da telecamere enormi a piccoli oggetti, dai nastri ai dvd. E le donne sono passate da annunciatrici a giornaliste e conduttrici di telegiornali». Ma l’esperienza fatta in quegli anni, quando i modelli tradizionali di giornalismo si ritrovarono di colpo invecchiati e il nuovo doveva ancora prendere forma, ma veniva costruito passo passo, le ha lasciato molto. A partire da quell’emozione particolare che nasce dal desiderio di rimettersi in gioco e che la coglie, ancora oggi, alla vigilia di ogni nuova avventura professionale. Ma è anche

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questo, in fondo, che rende il giornalismo il “lavoro più bello del mondo”. Un lavoro che in fondo, ammette Buonamici, chiede in cambio «poche cose, ma non semplici da ottenere: curiosità, desiderio di approfondire, mestiere, e soprattutto onestà intellettuale». Cosa significa a suo avviso essere giornalisti oggi in Italia? «È complicato. C’è un eccesso di politicizzazione nella attività giornalistica e questo va a danno della serenità di informazione, oltre a creare forti pregiudizi in chi legge o in chi ascolta. Una categoria più distaccata e meno direttamente coinvolta sarebbe forse migliore». Lei ha iniziato la professione negli anni 70. Come è cambiata la situazione professionale delle donne, in questi decenni? «Nel mio caso è cambiato tutto. Da televisioni quasi “autogestite” a televisioni professionali di alto livello. Ogni cosa è cambiata, non c’è niente in comune con allora. Per accorgersene basta accendere la Tv e avere un po’ di memoria».


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Cesara Buonamici ritratta a Fiesole, la sua città natale, sul terrazzo dell’azienda agricola biologica di cui è titolare

«Nel giornalismo televisivo non esiste una conduzione da manuale. Tanto, tantissimo, è legato all’individuo, alla personalità e al carattere di ciascuno»

Ha avuto da sempre un rapporto speciale con il giornalismo televisivo. Un caso o un’affinità

elettiva? «Prima un caso, poi una necessità. In realtà il caso l’ho provocato, perché quando nacque la prima televisione libera a Firenze io mi presentai. Il caso, insomma, è stato la nascita della Tv, mentre la necessità l’ho creata io stessa, nonostante fossi allora molto timida». Qual è il peggior difetto del giornalismo italiano? E il miglior pregio?


74 > IO, GIORNALISTA > Cesara Buonamici > Piccolo grande schermo

Gli inizi Durante i primi anni di carriera, negli studi di Tele Libera Firenze, Cesara Buonamici conduce il Tg locale e una trasmissione dal titolo “Quattro chiacchiere con Cesara”, che anticipa molti aspetti dei futuri talk show

Verso Milano Nel 1982 l’emittente fiorentina viene assorbita da Retequattro, presto annessa alla Finivest. La giornalista inizia la sua lunga collaborazione con quella che sarà la futura Mediaset

Oggi Cesara Buonamici è attualmente vicedirettore del Tg5, testata di cui è conduttrice fin dalla prima edizione, nel 1992

«Il difetto, come accennavo, è non volersi accontentare di guardare, capire e raccontare. C’è sempre una voglia di partecipare, c’è sempre voglia di essere tra quelli che “fanno la formazione”, tanto per usare una metafora sportiva. Basta vedere quanto spazio si offre in Italia alla politica, più che altrove. Ma forse non è un difetto, bensì una caratteristica. Il pregio è che ci sono tante buone firme, tanta gente brava professionalmente dalla quale si può imparare molto, se solo si ha voglia di farlo». Imparzialità, trasparenza, coraggio, curiosità, understatement: qual è la giusta combinazione di doti per il “giornalista ideale”? «Il giornalista ha bisogno di poche cose, ma non semplici da ottenere: curiosità, desiderio di

approfondire, mestiere e soprattutto onestà intellettuale. Quest’ultima fa quasi sempre la differenza». Il suo stile di conduzione è pacato, ma inconfondibile. Quali sono a suo parere i requisiti fondamentali per una buona conduzione? «Difficile a dirsi, perché non c’è una conduzione da manuale. Tanto, tantissimo, è legato all’individuo, alla personalità e al carattere. Per esempio Enrico Mentana era soprannominato Mitraglia, eppure a lui non sembrava di andare


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«C’è un eccesso di politicizzazione, oggi, nel giornalismo italiano, e questo va a danno della serenità di informazione, oltre a creare forti pregiudizi in chi legge o in chi ascolta. Personalmente credo che una categoria più distaccata e meno direttamente coinvolta sarebbe forse migliore»

veloce, e comunque piaceva. Lilli Gruber ha fatto scuola con quella sua postura un po’ di traverso. Due elementi che forse messi in atto da altri non sarebbero andati bene. Io in genere ho un’aria tranquilla, quasi familiare, ma non è il modo di condurre, è solo il mio. Siamo tutti diversi, se si va a guardare. Io cerco di fare molta attenzione al linguaggio, che sia semplice, ma non povero e possibilmente senza frasi fatte e metafore abusate». Quali sono stati i suoi maestri? «Non ci sono maestri specifici, ma sono tutti maestri quelli bravi. Ricordo che guardavo alla dizione, alla varietà di toni, soprattutto alla chiarezza nel parlare di tutte quelle, o quelli, che mi avevano preceduto. Ma è anche vero che l’avvento dell’emittenza privata ha cambiato anche gli stereotipi di allora. In qualche modo, quindi, in tanti siamo stati un po’ autodidatti, perché i nuovi modelli non avevano precedenti in Italia». Nella sua storia professionale, quale momento ricorda con maggiore emozione? «Tutte le volte che ho iniziato una nuova avventura professionale, dalla prima volta che sono apparsa in Tv alla prima volta che sono stata in una grande televisione, fino al primo telegiornale del Tg5, alla prima edizione speciale per un evento importante. Ogni volta che mi sono dovuta chiedere, e non smetto di farlo, se fossi in grado di fare quello che stavo per fare. Indimenticabile per me la sera in cui in diretta dal Viminale dissi per prima, molto in anticipo sul risultato ufficiale, che il quorum del referendum non era stato raggiunto, cosa che invece tutti davano per scontata da ore».


78 > L’UOMO DI NEA > Pietrangelo Buttafuoco > Donna. L’idea e il mistero

Il mistero femminile? Lo ripeto: solo laddove esiste la vita persiste ancora l’essenza profonda della donna

Pietrangelo Buttafuoco Giornalista e scrittore. Il suo ultimo libro è Cabaret Voltaire. L’Islam, il sacro e l’Occidente. Dal 2007 è presidente del Teatro Stabile di Catania


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Esistono tanti archetipi femminili quanti l’esperibilità del mondo ne consente, tanti quanti se ne possono immaginare e concepire

QUAL PIUMA AL VENTO Molteplice e variabile, immaginifica eppure concretissima. La figura femminile è, da sempre, sfuggente alle definizioni. Perché si diffrange in mille archetipi. Alcuni immutabili, tanto da sopportare ogni trasfigurazione. Altri da rifuggire, perché illusori e utopici. Parola di Pietrangelo Buttafuoco di Daniela Panosetti i quel che non si può dire bisogna tacere». Taglia corto, Pietrangelo Buttafuoco quando gli si chiede di deviare il suo eloquio forbito dalla femminilità immaginata alla femminilità reale, dall’archetipo alla sua incarnazione. Di parlare, insomma, non della donna, ma delle “sue” donne, di cosa le rende speciali e importanti. Cita Wittgenstein – «o forse Vito Corleone» – ma taglia corto. E lo fa a ragione. Perché è vero: quando si parla di donna, andando a scavare, alla fine è sempre e solo un’idea di donna che si cerca di fissare. È inevitabile, in una certa misura, ma non necessariamente un male. Perché, chissà come mai, la stessa cosa non avviene con l’idea maschile. Chissà perché la virilità, più che uno scorcio d’iperuranio, sembra un solidissimo frammento di reale. Una forma precisa, molto umana, dell’essere. E invece la femminilità, da secoli, si presta ad astrazioni e trasfigurazioni, e va a nozze con l’intangibile. Ispira l’arte, inquieta la politica, percorre la società. Altrettanto a suo agio nei regni della logica e in quelli dell’emozione, per i terreni della ragione e della sensibilità. E per di più, sotto le mani di artisti e poeti, si rifrange in un rivolo di immagini molteplici. Un caleidoscopio di forme, di linee di fuga imprevedibili.

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Cosicché ogni uomo, verrebbe da dire, può custodire nelle segrete dell’immaginario un proprio, personale archetipo di femminilità. A partire dal più forte, il più resistente, perché primigenio. Quello della maternità, sottolinea lo scrittore siciliano, con la sua forza creatrice e il suo invincibile istinto di custodia. Ma l’aspetto più sorprendente di questa variabilità proteiforme, che della donna è forza e debolezza insieme, è forse la capacità di incarnarsi in altrettante donne reali. In una femminilità esperibile, ancorata ai tempi, alle culture, alle individualità. Una, potenzialmente, per ogni forma dell’immaginario. Ma qui, come ricorda Buttafuoco, siamo già oltre le colonne d’Ercole e il linguaggio, più inadeguato che rispettoso, cautamente si ritrae. Se pensa a un’immagine di donna, cosa le viene in mente prima di tutto? «Sicuramente quelle della mitologia e dell’immaginario religioso. Dunque da un lato l’idea del grano, tipica delle divinità mediterranee, che si accompagnano a questi contesti di spighe e paesaggi assolati, e dall’altro lato le immagini del velo. Penso, ad esempio, alle madonne ritratte da Antonello da Messina».


80 > L’UOMO DI NEA > Pietrangelo Buttafuoco > Donna. L’idea e il mistero

Se dovesse indicare una figura femminile in particolare, mitica o emblematica, dalla letteratura, dalle arti, dalla storia, quale sceglierebbe? «La Nike alata. Per quanto sia una statua falciata e

corrisponde a delle regole che sono dettate dall’istinto di sopravvivenza e dalla naturalità delle cose, l’elemento femminile esiste eccome». E cosa lo caratterizza, soprattutto? «La custodia della vita e, allo stesso tempo, del suo contesto spirituale. Perché è nel determinare innanzitutto la linea matriarcale che prende forma l’idea stessa della catena della vita. E con questa anche la trasmissione dei costumi, dei valori, della cultura». Madre e moglie, vergine e dominatrice, angelo ingenuo o diabolica femme fatale. Quanti archetipi di donna esistono?

falcidiata dalle intemperie, dal tempo, dai secoli, la Nike alata è l’immagine che mi viene in mente. Perché sicuramente si identifica in questa idea anche

«A mio modo di vedere, tanti quanti l’esperibilità del mondo ne consente, tanti quanti se ne possono immaginare e concepire. Quello che li azzera tutti,

La Nike alata. Per quanto sia una statua falciata e falcidiata dalle intemperie, dal tempo, dai secoli, se penso a una figura mitica di donna è questa l’immagine che mi viene in mente. Perché sicuramente si identifica anche nell’idea metafisica e spirituale del femminile

metafisica e spirituale del femminile». Esiste qualcosa come “l’eterno femminino” o è tutta una questione di epoche, di culture, di relativismo antropologico? «Sì, certo che esiste. Laddove la fisiologia può dettare legge, e quindi laddove la vita risponde e

però, e cancella i secoli di patrimonio culturale, oltre al bagaglio e la memoria antropologica, è sicuramente l’ideale, illusorio, dell’uguaglianza dei due sessi. È un punto, quello dell’uguaglianza, oltre il quale ogni archetipo si dissolve». Ma qual è allora la figura femminile più utopica,


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quella che esiste solo nell’immaginario? «Quella, per l’appunto, della donna che vorrebbe annullare la propria specificità di genere. Quella che porta, ad esempio, la giurisdizione spagnola a distinguere tra “genitore a” e “genitore b”. Quello sforzo di omologare ciò che non è omologabile. L’annullamento delle differenze, insomma. È quella la pericolosa utopia». In un mondo di femminilità esposta e

onnipresente, esiste ancora il mistero della donna, una forma di femminilità in grado di conquistare ritraendosi, centellinando la propria essenza? «Lo ripeto: solo laddove esiste la vita persiste ancora il mistero del femminile. Laddove la vita ha la possibilità di svilupparsi secondo le regole fisiologiche, lì resiste anche l’essenza profonda della donna. Ma nella società cosiddetta emancipata e moderna il mistero viene sempre più depotenziato. La stessa pornografia, la stessa idea della libertà dei costumi, non fa altro che depotenziare l’eros. Tanti più millimetri di cosce saranno in

PIETRANGELO BUTTAFUOCO 45 anni, siciliano, tra i più noti giornalisti italiani. Dopo la laurea in filosofia inizia l’attività giornalistica, prima al Secolo d’Italia, poi per Il Giornale, il Foglio e infine, dal 2004, per Panorama, con cui collabora tuttora. Nel 2007, come giornalista televisivo, conduce insieme ad Alessandra Sardoni l’edizione estiva di Otto e mezzo, su La7. Nel corso dello stesso anno succede a Pippo Baudo come presidente del Teatro Stabile di Catania. Nel 2005 e nel 2008 ha pubblicato, per Mondadori, i due romanzi Le uova del drago e L’ultima del diavolo. Nel suo ultimo libro, Cabaret Voltaire. L’Islam, il sacro, l’Occidente, Buttafuoco riflette sulle ragioni spirituali e materiali della crisi culturale dell’Occidente

vista, tanto meno possibilità ci sarà per l’eros di esplodere con tutta la sua benefica violenza». Le donne del ventunesimo secolo, secondo lei, si stanno muovendo nella direzione giusta? «Non so rispondere, a dire il vero. Perché per fortuna il mondo è così vario che l’idea con cui siamo stati abituati a pensare questo secolo, ovvero come forma in continua evoluzione, è felicemente fallita. E questo ci mette in condizione di immaginare che dietro le misteriose e silenziose persiane di operose metropoli d’oriente ci sia molta più forza, a disposizione dell’intero pianeta». E le donne della sua vita? Quali sono e cosa le rende speciali? «Di quel che non si può dire bisogna tacere».


82 > NEL NOME DEL PADRE > Bice Biagi > L’eredità del maestro

IN OGNI LUOGO la sua VOCE Ha seguito le orme del padre scegliendo di fare la giornalista. Una professione alla quale si è dedicata con la medesima passione. E senza ottenere troppi sconti sebbene figlia di Enzo Biagi, una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano. A distanza di quasi due anni dalla scomparsa, Bice Biagi racconta suo padre DI

MARILENA SPATARO

Una profonda passione per il giornalismo e per la libertà. Due aspetti che hanno caratterizzato, intrecciandosi, la vita e la professione di Enzo Biagi, uno dei giornalisti e scrittori più importanti del Dopoguerra italiano, scomparso nel novembre del 2007. A lui, la figlia Bice, che del patrimonio culturale e morale paterno ha fatto la sua più grande eredità, ha dedicato il suo ultimo libro “In viaggio con mio padre”, un ritratto inedito dell’uomo e del genitore. «La cosa di cui gli sono più grata è avermi trasmesso questo grande senso di libertà» sottolinea Bice Biagi. Che dopo la morte del giornalista ha avuto la possibilità di scoprire, invitata insieme alla sorella a partecipare nei più disparati luoghi d’Italia a una lunga serie di cerimonie di commemorazione e celebrazione in ricordo del padre, quanto egli fosse amato e stimato dai suoi connazionali e quanto l’esempio della sua vita abbia lasciato nei loro cuori una traccia tanto indelebile, quanto quella lasciata nei cuori dei suoi familiari. Il viaggio insieme a suo padre può essere diviso in due tappe, la seconda delle quali parte il 6 Novembre 2007.

Bice Biagi è figlia del noto giornalista Enzo Biagi, di cui ha abbracciato la medesima professione. Nella sua carriera è stata direttore di Insieme, Intimità, Novella 2000 e Oggi. Nel 2007 ha lavorato insieme al padre nella redazione della trasmissione televisiva RT


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Come descriverebbe questo “viaggio dell’assenza”? «Più che con l’assenza questo viaggio lo definirei con la presenza. Ormai è passato quasi un anno e mezzo e attraverso questo viaggio, organizzato dalla gente che continua a voler ricordare mio padre, ho scoperto tanti luoghi e persone di quell’Italia scoperta e descritta da mio padre nella sua carriera giornalistica. Un’Italia dal nord al sud bella e onesta, e che mi parla continuamente di lui. La mia è stata una elaborazione del lutto un po’ particolare perché mi scopro a pensare che lui sia ancora con me, che rida magari divertito di fronte alle manifestazioni d’affetto della gente nei suoi confronti. Ho passato la Pasqua a Pianaccio, dove era nato, e ho visto che il pellegrinaggio

delle persone continua: quando vedevano le finestre di casa aperte si avvicinavano dicendo “siamo venuti a trovarlo”». C’è un particolare, un’atmosfera che la riconducono a lui e che le mancano particolarmente? «Mi mancano le nostre chiacchierate, come d’altronde succede quando scompare una persona cara. Ancora mi capita all’improvviso di pensare che, tornando a casa, lo avrei chiamato al telefono, gli avrei parlato degli episodi familiari o anche di avvenimenti di attualità. In questi giorni ho pensato come avremmo potuto commentare insieme il terremoto. Sono queste piccole cose della quotidianità che mi mancano moltissimo». Qual è stato il dono più grande che le ha lasciato suo padre? «L’eredità da un lato è bellissima: è la stima che la gente ha avuto e ha per lui, per il suo lavoro e per la sua persona. Ma è anche un’eredità molto pesante. Sia io che mai sorella sentiamo molto, infatti, il senso della responsabilità, del dovere, come qualcosa che ci è stato trasmesso e che, ora che lui non c’è, pesa sulle nostre spalle. Ogni viaggio che facciamo è una nuova esperienza che ci arricchisce e che viviamo grazie a mio padre, sono opportunità che ci regala ancora lui». E il rimprovero che più l’ha ferita? «Sul fronte dei rimproveri, mi ricordo un solo episodio, peraltro rimasto in famiglia, ed è l’unica e sola sberla che io abbia preso da lui nella mia vita. Si era arrabbiato tantissimo con me perché avevo detto, ma avevo solo tredici anni, di aver fatto i disegni per la scuola, quando in realtà non li avevo fatti, visto che non ero brava a disegnare». Cosa ha significato e cosa significa per una giornalista portare il cognome Biagi? «Sarei ipocrita se dicessi che essere sua figlia


84 > NEL NOME DEL PADRE > Bice Biagi > L’eredità del maestro

non mi ha facilitato, come magari non è stato per altri miei coetanei. Quando entrai nel mio primo giornale mio padre mi disse di ricordare che non mi avrebbero pagato se prima non avessi dimostrato di essere capace di fare qualcosa e mi spiegò che avrei dovuto stringere i denti per un bel po’. In realtà fui ben presto pagata, ma i denti li ho dovuti stringere in modo particolare. A fronte dell’opportunità di entrare nel mondo del lavoro tanto facilmente ho dovuto dare prova di saper fare qualcosa, non certo dimostrando che ero come mio padre o ponendomi lui come modello, ma dimostrando comunque che qualcosa sapevo fare. Personalmente non ho voluto sacrificare niente alla mia carriera, perciò ho scelto di avere una mia vita privata e anche dei figli da accudire». Dove o in chi rivede il modo di fare giornalismo alla Enzo Biagi? «Credo ci siano tanti giovani giornalisti che hanno la stessa curiosità di mio padre e che cercano di tenere la schiena dritta. Nomi ce ne sono tanti, sia direttori che inviati. Ognuno ha comunque una sua cifra, l’importante è essere dei professionisti che non hanno la paura di raccontare le cose così come stanno: Che è quanto faceva mio padre».

Se potesse parlare ancora per un attimo a suo padre, cosa gli chiederebbe in questo momento? «Non gli chiederei niente, gli direi solo grazie e che gli vogliamo bene». Cerimonie, commemorazioni, affetto. Quale eredità ha lasciato Enzo Biagi agli italiani? «Mio padre era un uomo molto normale, di quelli che credevano e che credono nella responsabilità individuale, nel senso del dovere, della lealtà e dell’onestà. Per molti è diventato un simbolo, ma in realtà non era né un simbolo né un martire, ma solo un italiano come ce ne sono tanti». C’è stato un momento della sua carriera in cui si è trovata a mettere in pratica un suo insegnamento, un suo consiglio? «Sì, molte volte. Ad esempio, quando dirigevo i giornali e capivo che certe persone erano inadeguate o quando dovevo trovare la forza di promuovere qualcuno al posto di qualcun altro che non se lo aspettava, o quando certe note spese non erano corrette. L’insegnamento che ho ricevuto dai miei genitori è essere sempre una persona corretta e penso che questo ciascuno di noi lo mette in pratica nella vita di tutti i giorni».



86 > INDAGINE E RICERCHE > Alessandra Paola Ghisleri > L’evoluzione del futuro

I SONDAGGI MI DANNO VINCENTE Una professione impegnativa, che non ha niente a che vedere con il televoto. Alessandra Paola Ghisleri spiega le basi scientifiche del suo lavoro. Perché «un numero è un numero» DI PAOLO

TOSONI

Studi di mercato, sondaggi di opinione, ricerche. Dietro tutto ciò, una sfida affascinante: «Capire, su dati scientifici, quali possono essere le evoluzioni del futuro». È questo l’aspetto più bello della professione per Alessandra Paola Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, uno degli istituti di settore più autorevoli. «Credo di essere l’unica donna a dirigere un istituto di ricerca – racconta –, ma in questo lavoro sono tantissime le ricercatrici. Forse perché la donna ha una sensibilità maggiore nel capire, nell’interpretare un numero; una precisione e un’accuratezza che l’uomo, più pragmatico, non ha. Forse ci aiuta il tradizionale sesto senso femminile». Qual è la cosa più entusiasmante del suo lavoro? «Il fatto che ogni giorno è un giorno diverso. Quotidianamente ci occupiamo di argomenti nuovi, applicando metodologie differenti, ed è come se ogni volta si testasse la nostra capacità di mettere a punto nuove soluzioni per problemi inediti. La capacità di interpretare l’attualità e le leggi del mercato è uno stimolo costante. Una sfida che appassiona tutti quelli che lavorano nella ricerca». Alessandra Paola Ghisleri, direttrice di Euromedia Research


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«L’utilizzo dei sondaggi nella politica italiana è stato introdotto grazie a Berlusconi. È un antidoto affinché la democrazia del nostro Paese sia letta e conosciuta»


88 > INDAGINE E RICERCHE > Alessandra Paola Ghisleri > L’evoluzione del futuro

«Quotidianamente ci occupiamo di argomenti nuovi, applicando metodologie differenti, ed è come se ogni volta si testasse la nostra capacità di mettere a punto nuove soluzioni per problemi inediti» E la cosa più difficile? «Spesso è riuscire a far comprendere i risultati della ricerca, perché a volte il pregiudizio complica le risultanze e ciò che emerge spesso differisce da ciò che ognuno di noi crede. Quando i risultati mostrano una realtà differente da quella che si crede, spesso e volentieri si tende a contestare il dato e la realtà».

di ogni ricerca? «Aiutare il committente a prendere le decisioni necessarie per trovare un punto di convergenza tra la sua proposta e ciò che chiede il suo mercato di riferimento, la sua clientela, il suo elettorato. Trovare il punto di convergenza, o le motivazioni per le quali la convergenza non c’è o non ci può essere».

Quale dovrebbe essere, in linea generale, lo scopo

Data la proliferazione dei sondaggi su ogni


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«Le ricercatrici in questo campo sono tantissime. Forse ci aiuta il tradizionale sesto senso femminile»

aspetto della vita del nostro Paese, quanto crede che l’opinione pubblica abbia fiducia nei risultati delle ricerche? «La nostra è una società invasa dai sondaggi. Purtroppo, però, vengono definiti impropriamente ricerche di mercato strumenti che effettivamente non lo sono. Il televoto, ad esempio, è un sistema per cui spontaneamente le persone interessate chiamano per esporre la propria opinione. Cosa ben diversa da una ricerca di mercato, che ha delle basi scientifiche e per la quale ogni istituto di ricerca impiega validi professionisti, investimenti di denaro e di energie».

In che modo, quindi, è possibile valutare se un sondaggio è stato svolto in maniera scientifica? «Sicuramente è necessario verificare le credenziali di chi ha realizzato la ricerca, valutandone le esperienze pregresse, le metodologie e i professionisti impiegati. Ci sono delle credenziali che ogni nostro committente sempre chiede: competenza, rispetto dei tempi, analisi delle metodologie, in questo ordine». Ma quali informazioni è sempre necessario fornire insieme ai risultati di un sondaggio? «Un sondaggio deve essere sempre corredato da una nota metodologica, che ne descriva per filo e per segno la realizzazione, e da una prima lettura dei dati. Si tratta di semplici incroci dei dati per contestualizzare il fenomeno indagato e fornirne una fotografia, piuttosto che una loro spiegazione. L’interpretazione viene lasciata a un momento successivo, perché comunque è sempre filtrata dalla posizione del ricercatore. Il nostro compito, in una prima fase, è dare gli strumenti per una

lettura del dato che sia più chiara possibile». Da qualche anno a questa parte l’uso dei sondaggi si è affermato anche nella politica italiana. Che cosa significa, secondo lei? «L’utilizzo dei sondaggi in politica è stato introdotto nel nostro Paese grazie all’attuale presidente Berlusconi. Ma negli Stati Uniti, un Paese molto più avanti di noi, lo utilizzavano già da molto tempo. Molto tempo fa si riteneva che il popolo fosse una massa indistinta, che seguiva

«La cosa più difficile è far comprendere i risultati della ricerca. Quando i dati mostrano una realtà differente da quella che si crede, spesso e volentieri si tende a contestare il dato» indiscriminatamente le disposizioni della classe politica, invece gli italiani hanno saputo dimostrare che sanno scegliere e decidere in una maniera autonoma. L’opinione pubblica non è distratta, come molti hanno pensato, ma al contrario è molto attenta e attende delle risposte. L’uso dei sondaggi è un antidoto affinché la democrazia del nostro Paese sia letta e conosciuta». Esiste il rischio che i sondaggi vengano utilizzati come strumenti di persuasione? «Un numero è un numero. Nel momento in cui lo si guarda, non può ingannare. Certo è che un titolo o una didascalia a commento del numero, può cambiarne la lettura, dando un accento diverso. Colui che legge il sondaggio può colorire il dato, ma il numero di per sé non può essere strumentalizzato».


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ARTE > Tiziana Ferrari > Il mercato

INVESTIMENTI SICURI DAL RESPIRO CONTEMPORANEO L’arte contemporanea. L’andamento del mercato. Come muoversi nell’acquisto di un’opera. Tiziana Ferrari spiega la professione di art advisor. E getta uno sguardo sul panorama artistico italiano DI

MARTA GALATI

sempre difficile associare l’arte al commercio, la sublimazione visiva di sensazioni profonde con la materialità triviale della moneta. Ma l’una non può esistere senza l’altra, in un circolo virtuoso che si protrae da secoli e forse millenni. Pur spinti da una passione per le creazioni artistiche, galleristi e collezionisti possono necessitare di un suggerimento esperto per scegliere cosa esporre e cosa comprare. Questo è il compito dell’art advisor, figura che anche in Italia sta prendendo piede e che non può che fiorire a Milano, dove le gallerie I CONSIGLI dedicate al contemporaneo sono più presenti che altrove e il legame con Chi investe in arte le attuali avanguardie a livello globale è più stretto che altrove. Tiziana contemporanea in questo Ferrari è art advisor e descrive come sta cambiando il mercato dell’arte e momento con un consulente quale apporto le sue competenze possano offrire per avere uno sguardo internazionale ha la possibilità di critico e obiettivo in una sfera spesso di difficile lettura. fare un ottimo investimento.

È

A chi si rivolge la consulenza professionale dell’art advisor? «Si rivolgono a un art advisor aziende, studi professionali, istituti di credito, fondazioni e associazioni, o collezionisti privati. Sono soggetti che vogliono iniziare una collezione o rafforzare il proprio brand e la propria immagine. Avvicinarsi all’arte, nel mio caso contemporanea, non è solo un bisogno estetico e spirituale, ma anche rappresentativo per l’individuo stesso, in quanto lo identifica in un segmento ben preciso del mercato. Comunicare con l’arte oggi è una scelta di marketing. Oltre a essere un buon investimento economico, è qualcosa che nutre l’anima, rafforza la corporate image di un gruppo. Un importante studio notarile a Milano mi stupì per la collezione di sculture contemporanee e per il design innovativo della sede: il messaggio di contemporaneità che

Meglio destinare una parte del capitale in contemporaneo internazionale, con un’attenzione ad artisti nuovi che sono entrati in collezioni e musei importanti. Per fare un esempio pratico, con centomila euro si potrebbe investire in opere di quattro o cinque artisti, come Arcangelo Sassolino o Maria Frieberg, Thomas Duff, Masbedo, Pivi. Fiscalmente l’acquisto di opere d’arte è agevolato e comprare in questo settore ripaga sempre. Ovviamente se l’investimento è cospicuo si può spaziare anche all’estero, su artisti come Jason Martin o Anselm Kiefer


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Tiziana Ferrari, art advisor piacentina. Vive e lavora tra l’Italia e la Svizzera


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ARTE > Tiziana Ferrari > Il mercato

traspariva era fortissimo ed esprimeva una profonda ricerca unita all’efficienza nel metterla in pratica». Quale differenza ha notato tra il mercato italiano e quello internazionale? «Mi sono sempre rapportata al mercato internazionale. All’estero questa figura esiste da anni e ha un ruolo preciso. In Italia l’art advisor è noto da pochissimi anni da quando le banche italiane hanno sentito l’esigenza di adeguarsi a quelle estere e hanno inserito, per i clienti di alto profilo, l’art banking che è costituita da art advisor specializzati nei vari settori». Quanto è importante per il suo lavoro il rapporto con il mondo istituzionale della cultura e dell’arte e con le gallerie private? «In Italia le istituzioni sono poco disponibili perché tutto resta incastrato in uno stretto sistema lobbistico. Devo dire, però, che l’assessore alla Cultura di Milano Massimiliano Finazzer Flory

mostra apertura e dinamismo. In Svizzera sono molto attenti alle giovani gallerie e alle nuove proposte artistiche e danno più possibilità agli artisti giovani di essere presenti alle Biennali importanti. In Italia è diverso: Vanessa Beecroft è stata ben nove volte alla Biennale di Venezia, Maurizio Cattelan già quattro. Quest’anno tra i prescelti per il padiglione italiano ci sono Marco Lodola, Sandro Chia, Marco Cingolani, Luca Pignatelli. Il concept dei due curatori, Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, è stato quello dell’omaggio a Marinetti e al Futurismo. Mi astengo da ogni giudizio e aspetto di vedere il padiglione Italia, ma sono perplessa. Con le gallerie private ho, invece, un ottimo rapporto: esse rappresentano il vero supporto dell’arte». Arte e mercato. Come si integrano queste due realtà? «Bisogna distinguere tra chi fa speculazioni selvagge e chi invece svolge il suo lavoro seriamente, con passione, sostenendo realmente gli artisti per il loro


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arte contemporanea con un consulente internazionale ha la possibilità di fare un ottimo investimento. Consiglio di destinare una parte del capitale in contemporaneo internazionale, con un’attenzione ad artisti nuovi che sono entrati in collezioni e musei importanti. Per fare un esempio pratico, con centomila euro si potrebbe investire in opere di quattro o cinque artisti, come Arcangelo Sassolino o Maria Frieberg, Thomas Duff, Masbedo, Pivi. Fiscalmente l’acquisto di opere d’arte è agevolato e comprare in questo settore ripaga sempre. Ovviamente se l’investimento è cospicuo si può spaziare anche all’estero, su artisti come Jason Martin o Anselm Kiefer. L’importante è che si investa anche su qualcosa che non solo si vuole possedere come bene, ma a cui ci si vuole avvicinare per un suo valore diverso dalla quotazione». Oggi si assiste a un ampio ridimensionamento delle quotazioni di molti artisti contemporanei. Come si può spiegare? «In realtà quelli crollati erano al centro di movimenti speculativi. Un artista consolidato non crolla, magari si ferma, ma la quotazione resiste». lavoro. In ogni caso mercato e arte sono inscindibili e grazie al mercato possiamo apprezzare l’arte. Che sempre ricambia in qualche modo». Quanto i suoi gusti personali in fatto di arte influiscono sulle scelte delle opere e degli artisti da promuovere o da proporre ai clienti? «La mia esperienza internazionale è piuttosto vasta e mi porta a distinguere bene i miei gusti personali e quelli del mio assistito, che ovviamente deve farmi comprendere le sue necessità. Ogni acquisto non è mai studiato senza un progetto. Non parlo di gusti personali nel fatto di scegliere, ma come guide per procedere nel mio lavoro uso il mio intuito e la conoscenza del mercato» Nel momento di crisi attuale, è ancora proficuo investire in campo artistico? Come si possono evitare abbagli o frodi? «Credo che la crisi coinvolga in questo momento tutti i mercati e settori di investimenti. Chi investe in

Rispetto al passato quali sono gli elementi di maggiore novità nel panorama dell’arte? «L’arte si è globalizzata e ha sicuramente cambiato le abitudini di massa, basti pensare alle file interminabili alle grandi mostre e all’interesse per le fiere d’arte. Nel contemporaneo addirittura c’è stata una vera e propria presa di coscienza dei mass media, due giorni fa mentre ero su un taxi, il tassista tutto contento mi raccontava di quanto fosse rimasto colpito dalla performance al Pac di Milano della nostra artista italiana più internazionale, Vanessa Beecroft. Se un tempo l’arte era riservata a una nicchia di persone di ceto alto o comunque intellettuali, oggi si avvicina a tutti e trasmette messaggi, cura, fa riflettere. Ogni espressione dell’arte dà speranza e questo è importantissimo. Inoltre crea lavoro, è un ottimo investimento se fatto con cautela, preparazione e intuizione. Se non si ha tempo per seguire gli scenari internazionali occorre affidarsi a persone competenti senza conflitto di interessi con gallerie».


102 > CULTURA > Nicoletta Maraschio > Il patrimonio linguistico

CUSTODI DEL TESORO ITALIANO Come presidente dell’Accademia della Crusca, la più antica istituzione europea che si occupa di lingua, Nicoletta Maraschio lancia un monito alle nuove generazioni: riscoprire la consapevolezza e la bellezza dell’italiano. Perché la «lingua è sempre una scelta, non un automatismo» DI SARAH SAGRIPANTI Tra i tanti beni culturali dell’Italia, ce n’è uno che appartiene più di altri a ognuno di noi, ma che pochi riconoscono come tale. È l’italiano, inteso proprio come la lingua che impariamo dai genitori, apprendiamo a utilizzare correttamente sui banchi di scuola e che si evolve con noi. «In Italia è poco diffusa la consapevolezza che la lingua è un bene culturale prezioso, storicamente stratificato, geograficamente e socialmente differenziato, più di altri rappresentativo della nostra identità politica, culturale e sociale». Così la pensa Nicoletta Maraschio, la presidente dell’Accademia della Crusca, prestigiosa istituzione fondata a Firenze alla fine del XVI secolo, che oggi svolge un’importantissima attività di ricerca, tutela e promozione della lingua, nonostante l’anomalia tutta italiana di poter contare «solo su cinque unità di personale, contributi pubblici esigui, una ventina di collaboratori a progetto e accademici che lavorano gratuitamente». In Italia le competenze linguistiche sembrano sottovalutate, come se la conoscenza del lessico e della grammatica non sia un requisito culturale determinante. Perché? «Le ragioni di questa “coscienza debole”, come l’ha definita Francesco Sabatini, vanno ricercate nella nostra storia policentrica, nel ritardo dell’unificazione linguistica, negli errori “nazionalistici” della politica linguistica fascista. La scuola da tempo ha assegnato all’educazione linguistica un ruolo centrale, ma nella pratica non è stato così, perché sono troppo pochi gli insegnanti con competenze specifiche. Se la scuola non trasmette

Nicoletta Maraschio, nata a Pavia, da maggio 2008 è la prima donna presidente dell’Accademia della Crusca. Per lei, un compito non facile: «Continuare la strada di potenziamento delle funzioni dell’Accademia iniziata da Giovanni Nencioni e proseguita da Francesco Sabatini»


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l’idea che la lingua è requisito fondamentale della formazione culturale e umana, è difficile che quest’idea si affermi nella società». Perché un giovane dovrebbe interessarsi allo studio della lingua? «Perché la lingua è la sua carta di identità, non un semplice strumento di comunicazione. La lingua permette di capire l’altro e di esprimere pensieri e sentimenti; mette in rapporto col mondo esterno e dà sicurezza nei confronti del mondo che cambia. Oggi una competenza plurilingue è sempre più necessaria, ma il suo fondamento risiede nella conoscenza profonda della propria lingua». Agli esordi, la televisione è stata un importante strumento per la diffusione dell’italiano. Quale influenza ha oggi sulla lingua? «L’italiano ha avuto una storia particolare, fatta soprattutto di lingua scritta. Solo nel Novecento, grazie anche ai mezzi di comunicazione di massa, si è diffuso un italiano parlato pubblico. La paleotelevisione ha voluto insegnare la lingua anche attraverso programmi specifici, come quello del maestro Manzi. Oggi invece la Tv riflette, amplificandola e in parte deformandola, la realtà plurilingue del nostro Paese. Nessuno vuole più la televisione maestra, ma una programmazione

capace di soddisfare le aspettative culturali degli spettatori, senza dubbio ne arricchirebbe la lingua. Sono gli stereotipi, la banalizzazione, la spettacolarizzazione a tutti i costi, l’urlo e il non rispetto dell’altro che fanno male alla lingua». La scrittura nei blog sviluppa la padronanza della lingua dei cibernauti o diventa un’abitudine che appiattisce la scrittura su stilemi colloquiali e semplicistici? «Può essere vero e l’uno e l’altro. Senza dubbio le occasioni di usare la lingua scritta si sono moltiplicate. E questo è un bene. La questione sta nella competenza linguistica e nell’abilità di muoversi agevolmente fra modalità comunicative che cambiano con rapidità. La lingua è sempre una scelta, non un automatismo, che ci rappresenta anche in Internet». Venendo al linguaggio della politica, chi salverebbe, tra i politici italiani, per la proprietà di linguaggio e chi, invece, “rimanderebbe a settembre”? «Non voglio dare giudizi. L’Accademia ha pubblicato da poco un bel libro Gli italiani al voto. Gli autori sono stati concordi nel constatare la decadenza del politichese, che è un bene, ma insieme l’avvento di una nuova retorica, basata su slogan gridati e ripetuti. Se la lingua della politica si stacca dalla realtà, se non sa analizzarla nelle sue diverse facce, il rischio è quello che perda la sua funzione essenziale: esprimere idee e comunicare programmi».


140 > DIRITTI > Annamaria Bernardini De Pace > Per una vera uguaglianza

IL RICONOSCIMENTO DELL’ALTRO Uno stato di limbo che non vieta, ma non permette. È questa la situazione dei gay, oggi, nel nostro Paese. Annamaria Bernardini De Pace, uno degli avvocati più famosi d’Italia, spiega nel suo nuovo libro Diritti diversi che, anche con le norme di diritto positivo, gli omosessuali possono organizzarsi in assenza di una legge che per ora non c’è, o meglio c’è ma non viene interpretata come dovrebbe DI

DANIELA ROCCA

razie anche a uno solo dei miei lettori che deciderà non più di “tollerare” i gay, ma di condividere la loro identità». Così scrive nella pagina dei ringraziamenti del suo nuovo libro Annamaria Bernardini De Pace, una delle maggiori esperte di diritto della persona del nostro Paese. «Gli omosessuali non sono dei paria. Ma uomini e donne che amano, soffrono, desiderano costruire una famiglia esattamente come gli altri», continua. Un libro di battaglie civili a favore dei deboli e degli emarginati, una difesa appassionata e puntuale di chi vive quotidianamente nel più totale vuoto legislativo. Una fotografia della situazione degli omosessuali in Italia. Annamaria Bernardini De Pace scende in campo e lo fa a modo suo, spiegando con riferimenti a colpi di codice e di costituzione i diritti degli omosessuali. Diritti ancora negati da troppi.

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Š Tania A3 / CONTRASTO

Annamaria Bernardini De Pace, avvocato matrimonialista e uno dei maggiori esperti di diritto della persona


142 > DIRITTI > Annamaria Bernardini De Pace > Per una vera uguaglianza

Il suo ultimo libro offre una visione molto critica di quelli che sono oggi i diritti negati agli omosessuali in Italia. Quali sono oggi questi “diritti diversi”? «I non diritti, cioè i diritti diversi, sono quelli che nascono dalla discriminazione: pertanto, un gay ha molte più difficoltà nell’essere assunto, spesso deve fingere, non ha, nei fatti, il diritto al silenzio sulla sua sessualità e difficilmente vive l’affettività senza disagio. In ogni caso, i gay in coppia non possono sposarsi, non hanno diritto alla pensione, all’assistenza previdenziale, alla tutela successoria. Sono solo alcuni dei diritti negati». Lei suggerisce all’Italia di accogliere le direttive europee emanate che vanno contro ogni discriminazione e disparità di trattamento. Perché questo da noi non è ancora stato fatto? «Perché l’Italia è sorda a ogni affermazione di diritto che non prescinda da moralismi e pregiudizi etici».

Esempi virtuosi

Occorrerebbe prendere Quali sono oggi in Italia, oltre agli omosessuali, le altre cateesempio dal Sudafrica gorie di cittadini che a suo avviso non godono appieno dei che nel 1996 ha introdotto il principio costituzionale diritti che la Costituzione dovrebbe loro garantire? della non discriminazione «In Italia c’è un eccessivo garantismo, piaggeria e presunta per l’orientamento solidarietà verso tutte le categorie che appaiono deboli: clansessuale dei cittadini destini, rom e minoranze in genere. La discriminazione vera è nei confronti degli omosessuali perché il problema risente della zavorra culturale e moralistica che è difficile da abbattere».

Ritiene che le ritrosie dello Stato a riconoscere gli stessi diritti anche agli omosessuali siano unicamente influenzate dal peso della Chiesa cattolica, oppure pensa che ci siano altri fattori di retaggio culturale che portano a una discriminazione anche sociale di questi soggetti? «Il peso dello Stato Vaticano è significativo. Ma altrettanto conta, in negativo, il maschilismo culturale e l’inconsapevolezza scientifica. Non c’è dualismo sessista ma tante varianti genetiche, almeno cinque, dell’orientamento sessuale. Poi, c’è l’incapacità degli italiani di uscire da una mentalità molto provinciale e la non volontà politica di respirare il vento giuridico dell’Europa». A suo parere si è finalmente aperto un dibattito civile e costruttivo su questi temi fra politica, cittadini e associazioni, oppure restano alcuni ostruzionismi a priori da tutte le parti? «Ho cercato di dare il mio contributo a questo dibattito e direttamente mi sono resa conto degli ostruzionismi, ma anche dell’assurda divisione del popolo Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, ndr) che, pur essendo formato da almeno tre milioni di persone, si disperde in correnti, togliendo forza all’obiettivo. La società civile, peraltro, ha un atteggiamento radical-chic di tolleranza, parole e comportamento che se-


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© Tania / CONTRASTO

Annamaria Bernardini De Pace con il ministro della Difesa Ignazio La Russa

condo me hanno in sé molto di offensivo, perché presuppongono, di per sé, un giudizio. Il che è discriminante». Lei è un noto avvocato matrimonialista. Esistono ostacoli giuridici effettivi nel nostro ordinamento che di fatto si oppongono in concreto al riconoscimento dei matrimoni fra omosessuali? «Secondo me, no. Solo la tradizione e la mentalità di chi fa le leggi e di chi le applica». Oltre all’esempio spagnolo che viene spesso citato, quale ritiene possa essere il caso di un Paese da cui trarre esempio per il riconoscimento dei diritti del cittadino anche a lesbiche e omosessuali? «Non posso dimenticare il Sudafrica che, dal 1996, ha risolto funditus il problema della discriminazione, inserendo il principio costituzionale secondo il quale lo stato non ha il potere di discriminare nessun cittadino in base all’orientamento sessuale». Quale sarebbe il primo passo concreto da compiere per arrivare a un effettivo riconoscimento dei diritti degli omosessuali in campo legislativo? «Il più facile sarebbe senza alcun dubbio quello di prendere esempio dal Sudafrica. Il che la dice tutta sul nostro cosiddetto avanzato diritto civile. Intanto, tuttavia, è possibile per gli omosessuali tutelare privatisticamente la coppia che formeranno, ricorrendo ai principi contrattualistici del nostro codice civile che permettono l’elaborazione di accordi di convivenza su misura».


154 > DIRITTO DI FAMIGLIA > Daniela Missaglia > Il confine tra privato e professionale

Oggi, anche se il numero non è ancora rilevante,

crescono sempre di più le famiglie atipiche

SE UN’UNIONE SI INFRANGE © Andrea Pavesi / Olycom

Il valore del matrimonio resiste ma non è più assoluto. Aumentano i divorzi e le separazioni. E molti optano per convivenze e famiglie allargate. La parola a Daniela Missaglia, avvocato matrimonialista di Alice Gattullo alle 91,3 separazioni ogni 100mila abitanti del 1995, si è passati alle attuali 140,4; per i divorzi, invece, da 47,2 ogni 100mila abitanti di quattordici anni fa, si è giunti recentemente agli 80,3. Aumentano, dunque, i matrimoni naufragati, tra i tempi biblici delle pratiche e i conti correnti prosciugati. Spesso le coppie che decidono di separarsi non valutano attentamente le conseguenze di un’azione così radicale. «Questo tipo di decisione, a mio avviso, dovrebbe essere meglio ponderata e assunta dopo attente riflessioni, valutando tutte le conseguenze personali, psicologiche ed economiche relative alla fine di un rapporto» spiega Daniela Missaglia, avvocato matrimonialista. E non è tutto. «A maggior ragione dopo aver preso coscienza delle conseguenze che una separazione porta nella vita delle altre persone coinvolte». L’altro coniuge certo, ma prima ancora i figli. Perché lo step successivo allo scioglimento del matrimonio civile è lo sviluppo di una famiglia con una struttura diversa,

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«di solito monoparentale almeno nei primi tempi». Perché la gestione comune dei figli dopo la separazione e il divorzio è una questione complessa, alla quale questi ultimi devono abituarsi non senza ansie, paure, fragilità. Anche perché i genitori non sempre riescono ad adattarsi alla nuova realtà, soprattutto quelli che la separazione non la volevano e, subendola, forse anche inconsciamente, strumentalizzano i figli contro il coniuge. L’istituzione famiglia negli ultimi 50 anni è


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Š Andrea Pavesi / Olycom

Daniela Missaglia si è specializzata in diritto di famiglia e in diritto delle persone, coniugando il suo ruolo di mamma e di donna in carriera


156 > DIRITTO DI FAMIGLIA > Daniela Missaglia > Il confine tra privato e professionale

passata attraverso grandi mutamenti: crisi, trasformazione in modello “nucleare” e poi allargato. Ma oggi il matrimonio ha ancora un valore? «Credo che il valore del matrimonio non si sia mai perso. Nel momento in cui due persone si incontrano, soprattutto se giovani, il loro progetto di vita coincide quasi sempre con le nozze. Spesso, però, il progetto matrimoniale si sveste del matrimonio come atto formale e rimane il rapporto familiare: cioè chi ha vissuto una situazione negativa una prima volta, si rivolge a me per sapere quali possano essere le regole di convivenza e se sia possibile stipulare scritture private fra conviventi per regolarizzare l’ordinaria e la straordinaria amministrazione del loro rapporto. Si inizia a parlare sempre più di convivenza more uxorio».

matrimonialista sono vicende molto delicate con una componente emotiva altissima. Ci sono da affrontare quotidianamente situazioni che riguardano il coinvolgimento di minori tenendo sotto controllo i sentimenti di rabbia profondi e i conflitti irrisolti dei clienti. In questi casi è importante cercare di dare un aiuto psicologico, spiegando ciò che si può fare nel rispetto della morale prima ancora che delle leggi. Il legale diventa per questo prima consigliere, poi paladino e infine il professionista obiettivo che dà concretezza ai documenti e fornisce soluzioni che permettano al cliente di ripristinare quanto prima la normalità dei rapporti con i figli pur con una separazione in atto». Qual è la più grande sfida per un avvocato che opera in questo campo? «La sfida più grande è riuscire a trovare il punto di equilibrio che consenta ai protagonisti della vicenda di guardare avanti con fiducia e serenità al futuro e seppellire i sentimenti di ansia e di vendetta che pregiudicano i rapporti».

«La sfida più grande è riuscire a trovare il punto di equilibrio che consenta ai protagonisti della vicenda di guardare avanti con fiducia e serenità al futuro e seppellire i sentimenti di ansia e di vendetta che pregiudicano i rapporti» Con la diffusione delle famiglie “non convenzionali” anche l’adozione è diventata una materia più articolata e complessa. Quali sono i casi più delicati? «I casi più delicati riguardano tutte quelle tematiche “nuove” per la nostra società. Oggi, anche se il numero non è ancora rilevante, abbiamo a che fare anche con famiglie atipiche, single, coppie omosessuali, famiglie allargate, e con problemi che prima non erano rilevanti, come le coppie omogenitoriali che desiderano un figlio, la procreazione assistita e il ricorso al cosiddetto utero in affitto. Queste nuove realtà e le paure dei figli coinvolti che molto spesso si sentono discriminati o temono che i loro genitori lo siano, rappresentano i casi più delicati».

Come è cambiata la figura dell’avvocato specializzato in queste materie? «La figura dell’avvocato cambia di continuo, occorre aggiornarsi il più possibile, soprattutto nell’ambito del diritto matrimoniale internazionale con l’insorgere delle unioni miste, fra stranieri anche extracomunitari, che porta all’aumento di problematiche relative a divorzi, affidamenti e separazioni. È fondamentale rimanere aggiornati e avere una preparazione aperta alle leggi della Comunità europea e a quelle internazionali. Inoltre, direi che l’avvocato deve possedere anche doti di mediatore. La mediazione costituisce infatti la nuova frontiera nel sistema della risoluzione alternativa delle controversie attinenti al diritto di famiglia».

Il suo campo è tra quelli in cui più fortemente si pone il problema morale e deontologico. Cosa significa per un legale assumere un approccio “etico” nei confronti della professione? «Quelle che deve affrontare un avvocato

Passiamo ai principali diritti della persona: privacy, salute e immagine. Quali sono oggi quelli più a rischio? «Tutti e tre sono riconosciuti e sanciti dalla Costituzione come diritti inviolabili, quindi sono


© Andrea Pavesi / Olycom

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considerati valori pregiuridici. Ciò spiega la grandissima attenzione su comportamenti che possano compromettere questi diritti della personalità. Attualmente, purtroppo, sia la privacy, che la salute e l’immagine sono a rischio. Per quanto riguarda la prima ci sono i problemi legati all’utilizzo di Internet e di community come i blog o il fenomeno Facebook, che consente a chiunque di poter usare il profilo di un’altra persona e ledere l’immagine altrui. La salute è messa a rischio dall’ambiente in cui viviamo, che tutti i giorni ci espone a inquinamento acustico o atmosferico. Poi ci sono altri sottogruppi di diritti come il diritto all’integrità morale, alla riservatezza, all’onore, che sono messi in pericolo dall’utilizzo non corretto dei vari media». C’è qualche “maestro”, qualche figura a cui si ispira? «Non ho modelli. L’unica cosa a cui mi ispiro è l’esperienza della mia separazione coniugale: il dolore che ho sofferto, la paura di non essere nel giusto e quella di non riuscire a crescere con la

serenità necessaria i miei figli. Tutto ciò mi ha plasmato e mi ha permesso di reagire con serenità e responsabilità». Qual è stato il momento più difficile della sua carriera? E il più gratificante? «La mia carriera è ripartita con rinnovato spirito nel momento in cui sono riuscita a superare la mia separazione. Tutti i meccanismi di difesa che ho utilizzato durante quel passaggio delicato della mia vita, ora li offro ai miei clienti. Mi sono sentita un po’ come quei dottori che curano una malattia e si accorgono di soffrire proprio dello stesso male. La prima reazione è stata la paura. Poi, però, si trovano gli anticorpi per superare quel momento e iniziare di nuovo. Sono quindi ripartita azzerando tutta la mia precedente situazione, cercando di dare un senso nuovo alla mia professione, dedicando notti intere a fascicoli e ricerche giuridiche e psicologiche per approcciare le vicende separative in modo diverso. Sono così riuscita nel mio intento, anche grazie al mio ottimo staff di collaboratori».


178 > LA SCELTA > Valentina D’Acquisto > Nel nome della famiglia

PORTO CON ORGOGLIO IL SUO NOME «Siamo cresciuti con una grande ammirazione per l’Arma dei Carabinieri, tanto che anche mio fratello Mauro oggi è maresciallo». Valentina D’Acquisto è nipote di Salvo e ha scelto la carriera militare per quel naturale senso del dovere che si è sempre respirato in famiglia DI

CONCETTA S. GAGGIANO

tessi colori e stesso sguardo profondo. Identica fierezza nell’indossare la divisa e uguali valori a ispirarne l’azione. Valentina D’Acquisto assomiglia davvero allo zio Salvo. L’uniforme è la stessa, quella della Benemerita. Portata con ancora più orgoglio per quel cognome così importante per la storia dell’Arma e la consapevolezza di dover sempre dare il meglio per avvicinarsi a quell’eroe buono, medaglia d’oro al valor militare, che nel settembre del 43 decise di sacrificarsi per salvare ventidue contadini di Torre di Palidoro dalla ferocia dei nazisti. La nipote di Salvo D’Acquisto è un carabiniere dal 2003. Prima di questa scelta, una laurea in psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Al cuore e al destino però non si comanda e, nonostante gli studi di psicologia, Valentina non ha mai abbandonato il sogno di indossare la divisa. Non una qualsiasi, ma la stesso dello zio. L’occasione è l’apertura delle forze armate alle donne e il tenente Valentina D’Acquisto, assegnata all’Ufficio cerimoniale e attività promozionali presso il Comando generale dell’Arma, diventa un carabiniere.

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Quando le hanno raccontato per la prima volta la storia di suo zio? «Fu mio padre il primo a raccontarmi la storia di mio zio Salvo appena ebbi l’età giusta per capire l’importanza di quello che aveva fatto. Io, come tutta la mia famiglia, l’abbiamo sempre vissuta come un qualcosa di intimo, senza farci mai prendere dal bisogno di partecipazione con l’esterno. All’inizio l’ho vissuta come una cosa molto più grande di me, ma allo stesso tempo ero fiera di avere un eroe in famiglia, anche se mi rendo conto che può sembrare una visione infantile della vicenda». Quanto ha pesato la sua eredità etica e morale e quanto è importante ancora oggi? «Per me è solo un onore portare il cognome D’Acquisto, oltre che uno sti-


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molo a fare meglio il mio lavoro. La scelta di diventare un militare è stata mia, ed è arrivata per vocazione, però l’appartenere alla famiglia del vicebrigadiere Salvo D’Acquisto è stato determinante nella scelta del corpo. Da quando mi sono arruolata ho a che fare con persone che conoscono la storia del mio cognome, per cui sono esposta doppiamente: come carabiniere e come nipote di Salvo D’Acquisto». Quando ha deciso di fare il carabiniere? «Appena le Forze dell’Ordine sono state aperte alle donne. Nel momento in cui si è presentata la possibilità di accedere, ho partecipato al concorso per arruolarmi e oggi sono all’Ufficio cerimoniale e attività promozionali presso il

Comando generale dell’Arma». Quali sono le difficoltà maggiori che ha dovuto superare, in quanto donna, nel corso della sua carriera? «Tutte quelle che ancora l’Italia ha quando si parla di donne e mondo del lavoro. L’Arma non è altro che uno spaccato della realtà del nostro Paese in cui le donne devono ancora dare dimostrazione della propria professionalità. Sicuramente tanto dipende da noi donne: dalla voglia di fare e dalla tenacia che sapremo mettere in gioco, senza mai cadere nell’errore di essere troppo uguali agli uomini. Nell’ambiente militare bisogna trovare ancora un giusto equilibrio anche nel numero delle donne negli eserciti, ma cominciamo a vedere i nostri piccoli risultati».

Valentina D’Acquisto dopo la laurea in psicologia del lavoro e delle organizzazioni, si è arruolata nell’Arma dei Carabinieri


180 > LA SCELTA > Valentina D’Acquisto > Nel nome della famiglia

CHI ERA La morte di Salvo D’Acquisto è legata a uno dei momenti più travagliati della storia del nostro Paese, pochi giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, con re e governo in cerca di riparo al Sud e l’occupazione tedesca in corso. Un reparto di truppe tedesche delle SS era stanziato nelle vicinanze della località di Torrimpietra, a pochi chilometri da Roma, dove D’Acquisto prestava servizio. Il 22 settembre una bomba a mano uccide due di loro. Il comandante tedesco sostenne che

«La scelta di diventare un militare è stata mia, ed è arrivata per vocazione, però l’appartenere alla famiglia del vicebrigadiere Salvo D’Acquisto è stato determinante nella scelta del corpo, non credo che avrei mai potuto scegliere la Polizia o la Marina» fosse un attentato dei partigiani italiani, respingendo il tentativo del vicebrigadiere D’Acquisto di fargli capire che si trattava soltanto di un disgraziato incidente. L’ufficiale ordina alle SS di rastrellare 22 persone minacciando di fucilarle tutte se non avessero rivelato il nome dei colpevoli. D’Acquisto si fa avanti e si accusa del presunto attentato. I condannati a morte furono liberati e lui morì sotto il fuoco del plotone d’esecuzione nazista.

Quali impegni e sacrifici comporta il suo lavoro? «I miei sacrifici non sono diversi da quelli di chi svolge un lavoro d’ufficio, per orari e impegno profuso. Probabilmente le difficoltà maggiori riguardano quelle donne che sono operative sulla strada, che svolgono il proprio dovere mettendo a rischio la vita». C’è qualcosa che i cittadini e l’opinione pubblica non capiscono del lavoro del carabiniere? «L’Arma non è altro che un microcosmo, è composta da più di 120mila uomini e fra questi c’è


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sempre chi sbaglia. Per cui, se vogliamo, le critiche ci stanno. A volte chi non ci ama, ci rema contro, ma non do molto peso a questo. Mi piace pensare di appartenere a una istituzione che crede ancora in determinati valori che sono quelli che fanno svolgere il proprio dovere a tanti giovani sul territorio nazionale e internazionale. Rivolgo il mio pensiero più a chi per vocazione svolge questo lavoro, piuttosto che pensare a chi ci critica. Le critiche possono essere costruttive, ma non mi faccio prendere troppo la mano da chi cerca solo di buttare ombra sui Carabinieri». Ma sente ancora fra la gente l’attaccamento romantico all’Arma dei Carabinieri? «Se devo essere sincera sì, ma forse sono un po’ privilegiata per il cognome che porto. Molto spesso ricevo lettere in cui comuni cittadini mi esprimono il loro apprezzamento per l’Arma e per i valori espressi da mio zio Salvo. Vivo una testimonianza continua da chi, anche fuori dall’Arma, crede in noi. Mi capita di essere invitata da scolaresche, o da associazioni di Carabinieri in congedo, in cui mi si dà testimonianza della fiducia verso il nostro operato e tocco con mano l’affetto vecchio stile alla nostra divisa». C’è un aspetto del suo lavoro che ama di più? «Lavorare per la comunità: questa è la bellezza del mio lavoro. La realtà dell’Arma si estende sul territorio in modo capillare. La presenza di un comandante di stazione in ogni comune d’Italia mi affascina, perché è sempre un punto di riferimento. Ci sono paesini sperduti in cui l’Arma è presente, questo mi incanta e mi riempie d’orgoglio». E quello che le piace di meno? «Essendo stata assegnata al cerimoniale mi trovo a dover organizzare anche i funerali di colleghi che perdono la vita nell’adempimento del proprio dovere. Come è stato per Nassiriya. Si avvertiva, in ufficio e non solo, l’emozione e il cordoglio collettivo. Insieme ai miei colleghi lavoravamo senza orari, perché tutti avevamo nel cuore un’enorme tristezza, e questo ci spingeva a non fermarci. In questi momenti mi rendo conto della dura realtà di questo lavoro».

Ha dovuto rinunciare a qualcosa per la carriera? «Sinceramente ancora a nulla, ho potuto bilanciare la vita affettiva e familiare senza troppe rinunce, anzi ricevendo solo gratificazioni. Magari un giorno penserò più ai miei figli che alla carriera, ma non lo vedo come un sacrificio». Qual è stato il suo momento professionale più gratificante? E il più buio? «Non ce n’è uno in particolare, mi sento molto fortunata a svolgere questo lavoro. La mattina mi sveglio e mi sento gratificata. Sono nell’Arma da sei anni. All’inizio avevo un po’ di titubanza ad accantonare la mia laurea in psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Sapevo che l’avrei messa da parte e chiusa in un cassetto per sempre, ma quel momento di indecisione a un certo punto è sparito. Non lo considero però un momento buio».


182 > DONNE E MAFIA > Salvo Sottile > Storie dalla Sicilia

Salvo Sottile è giornalista del Tg5, palermitano. Il suo ultimo romanzo, Più scuro di mezzanotte, narra una storia di mafia vista attraverso l’occhio discreto delle donne d’onore


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Ormai nella mafia le donne sono alla pari degli uomini, e spesso si trovano in una posizione addirittura superiore. Passano più inosservate e riescono a essere più discrete

COSA NOSTRA È FEMMINA? Donne di mafia viste con gli occhi di una donna impegnata in prima linea nella lotta alla mafia. Questo e altro nell’ultimo romanzo del giornalista del Tg5, Salvo Sottile. Professionista che all’universo mafioso ha sempre dedicato uno studio approfondito. Questa volta visto attraverso gli occhi delle donne di Federico Massari

iù scuro di mezzanotte. È la storia di due donne che all’interno del romanzo camminano parallelamente. Una donna scomparsa nel nulla, che è la donna di un criminale latitante, e un’altra donna magistrato, alla ricerca della donna scomparsa». Così risponde il giornalista Salvo Sottile parlando della sua ultima fatica. Romanzo che mira ad analizzare il ruolo delle donne nell’organizzazione e nelle attività mafiose e nella lotta contro la mafia, ma prima ancora nella società siciliana.

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Ha un significato particolare il titolo del suo romanzo, Più scuro di mezzanotte? «Più scuro di mezzanotte è un vecchio detto siciliano. Quando si pronuncia, significa che, chi lo esprime, non ha più nulla da perdere. Affida la propria vita nelle mani del destino. È una frase che viene usata con disincanto, perché la mezzanotte è il peggio che possa succedere a chiunque. Però dopo la mezzanotte c’è sempre l’alba: la speranza». Il rapporto tra le donne e Cosa Nostra oggi è cambiato? «Direi moltissimo. Una volta le donne erano soltanto delle spettatrici consapevoli di ciò che succedeva all’interno di Cosa Nostra. Oggi, invece, hanno un ruolo diverso. I loro mariti, i capi della

mafia, non si fidano più di nessuno, e visto che i loro uomini potrebbero pentirsi da un momento all’altro, passano il testimone alle mogli alle madri e alle sorelle. Esiste ancora un certo fascino esercitato dagli ambienti mafiosi nei confronti della gente comune? «Non credo. Oggi i palermitani sono molto più consapevoli. Nel senso che hanno voglia di appartenere a un mondo normale. Quando dico normale intendo un mondo senza emergenze. I palermitani non vogliono più vivere in mezzo alla paura, hanno voglia di trovare una strada completamente diversa rispetto a quella precedente. In Sicilia ci sono una serie di giovani che sono fabbriche di idee importanti e che sono rimasti sull’isola per dare alla Sicilia un futuro diverso». Come giudica l’azione dell’attuale governo nei confronti della lotta alla criminalità organizzata? «Mi sembra che il governo si sia sempre schierato contro Cosa Nostra e abbia intensificato una serie di misure che sono sotto l’occhio di tutti».


184 > SISTEMA MODA > Giulia Pirovano > Direttore del sogno italiano

I MODELLI VINCENTI SONO CREATIVITÀ E INNOVAZIONE La sensazione è che nel quadrilatero della moda circoli meno gente, ma allo stesso tempo, che le vetrine brillino di più. Perché in questi momenti non c’è lo spazio per demordere. Bisogna attirare compratori e clienti. Come spiega Giulia Pirovano, direttrice della Camera nazionale della moda italiana di Isabella Bianchi

VANTO ITALIANO Nelle foto, Giulia Pirovano, direttrice di Camera nazionale della moda italiana. Nella pagina successiva, il taglio del nastro per l’ultima edizione di Milano Moda Donna con Beppe Modenese, Mario Boselli, Massimiliano Finazzer Flory, Marco Basla


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ei momenti di difficoltà i giganti del made in Italy danno il meglio di sé, ricercando nuove strategie e nuovi percorsi per mantenere alta la competitività ed essere ancora più d’appeal per i compratori. E, infatti, il circo delle sfilate sembra essere sempre perfetto. Le modelle avanzano fiere sulle passerelle, gli abiti che fanno sognare, con la stampa internazionale al gran completo e i compratori tutti presenti ma con delegazioni ridotte. In sintesi, è il pensiero di Giulia Pirovano, direttrice della Camera nazionale della moda italiana. Una riflessione sulle sfilate concluse, gli eventi che verranno e il supporto che l’associazione milanese dà al settore moda.

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Questa riduzione ha influito anche sui volumi di vendita dei capi e delle collezioni acquistate? «Non ci sono state assenze nelle file dei compratori, ma sono arrivati tutti in delegazioni ridotte. Nelle scorse edizioni della settimana della moda si potevano vedere in prima fila sia l’amministratore delegato di Saks che Ron Frasch, vicepresidente e direttore delle vendite. Alle sfilate milanesi di febbraio c’era solo il secondo con alcuni colleghi. Anche Neiman Marcus, altro grande department store statunitense, anziché inviare delegazioni nutrite ha preferito restringere il cerchio, ma le sfilate hanno comunque visto l’afflusso di tutti i più grandi retailer del mondo. Certo, sono arrivati con budget ridotti, ma in un momento come questo è fisiologico». Come avete agito per fronteggiare la congiuntura economica e la riduzione degli ordinativi?


186 > SISTEMA MODA > Giulia Pirovano > Direttore del sogno italiano

«Non abbiamo potuto far altro che allertare le istituzioni e il governo affinché fossero prese delle misure, in particolare il credito di imposta per la realizzazione dei campionari delle collezioni. Altre iniziative sono legate alla promozione e competizione sui mercati internazionali».

«Noi continuiamo la nostra attività di organizzazione e di investimento in comunicazione degli eventi, proprio perché la strategia scelta è quella di dare un segnale forte ai mercati. L’industria italiana della moda è sana e tiene»

Alle ultime sfilate di New York si è assistito a una situazione paradossale: mentre le modelle sfilavano, nei negozi c’era già la merce in saldo. Lei ha sostenuto che uno dei motivi che impedisce il verificarsi di situazione del genere in Italia è dovuta all’assenza di una grande distribuzione strutturata. «Sì, è chiaro che una distribuzione così frammentata come quella italiana, dove il dettagliante è ancora molto diffuso, rende difficile il verificarsi di queste situazioni. Noi abbiamo solo un grande department store, la Rinascente, di alto profilo ma con un impatto e una funzione diversa dalle grandi catene americane. Negli Stati Uniti, infatti, queste grandi compagnie sono quotate in Borsa e non possono permettersi di avere rimanenze in magazzino. Tra l’altro, a fronte di un inizio del 2008 in ripresa, e di fronte a una crisi come questa, non hanno potuto che svendere danneggiando in parte le aziende che hanno seguito una politica diversa. Da noi questo non è

successo, se non con i saldi di dicembre. Bisogna sottolineare, tuttavia, che i consumi hanno dato segnali di ripresa proprio a dicembre e soprattutto gli outlet sono andati molto bene». Quali sono le linee guida della Camera Nazionale della Moda Italiana per quanto riguarda sia la promozione del fashion italiano sui mercati internazionali, in particolare, sui nuovi mercati asiatici emergenti, sia su quello interno? «Noi continuiamo la nostra attività di organizzazione e di investimento in comunicazione degli eventi, proprio perché la strategia scelta è quella di dare un segnale forte ai mercati. L’industria italiana della moda è forte e tiene. Dunque, sosterremo comunque le quattro settimane della moda milanese: gennaio, febbraio, giugno e settembre come abbiamo sempre fatto, ma anche i nuovi eventi come Milano Moda precollezioni, Milano Moda Showroom e Milano Moda Design, in termini di coordinamento e comunicazione».


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Moda e design rappresentano ancora oggi uno dei fiori all’occhiello del made in Italy. Quanto questi due mondi stanno collaborando? «Milano Moda Design, la nuova iniziativa di comunicazione internazionale di Camera della Moda, di fatto coordina le attività legate al design delle maison di moda. Per la seconda volta quest’anno abbiamo deciso di coordinare tutti i quaranta eventi delle maison di moda che avverranno durante il Salone del Mobile, il cui calendario sarà comunicato con una campagna stampa sui maggiori quotidiani e testate internazionali. L’evento promuoverà le collezioni di arredo e design ma anche quegli eventi speciali in collaborazione con artisti e designer ospitati nelle boutique e negli showroom della moda. Sarà una partnership tra moda e design».

COSA FA Camera nazionale della moda italiana è un’associazione senza scopo di lucro che coordina e promuove lo sviluppo della moda italiana nel mondo. È il punto di riferimento per tutte le iniziative nazionali e internazionali volte a valorizzare e a promuovere lo stile, il costume e la moda italiani.

Per quanto riguarda il mondo della moda, crede che la fase più acuta del calo degli ordinativi sia già terminata, oppure bisogna aspettarsi nuove ripercussioni negative nei prossimi mesi? «Le previsioni non sono così ottimistiche, dunque, credo che per altri mesi avremo una situazione di stallo. È importante che le aziende del made in Italy in queste momenti di crisi trovino sempre le risorse per contrastare le difficoltà sia in termini di flessibilità nei confronti del mercato, sia in termini organizzativi. Il made in Italy ha sempre dimostrato di potercela fare, coniugando creatività e innovazione e così sarà anche questa volta»


come idee che si concretizzano addosso a ogni donna

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Considero le mie creazioni

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196 > LUCI SU > Alessia Pitorri > Nuovi talenti

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CA CREATIVITÁ FUT URO

VESTO LE DONNE CON I MIEI PENSIERI Qualcuno l’annovera già tra i giovani stilisti di cui la moda italiana avrebbe bisogno “per arricchire il made in Italy” come ha recentemente affermato Santo Versace. Ma lei, Alessia Pitorri, vuole costruire la sua carriera a piccoli passi. E dice, «per essere una stilista occorrono diversi anni». Certo è che le sue creazioni hanno già fatto il giro del mondo. Il suo segreto? Creare abiti per tutte le donne di Laura Pasotti

on ama definirsi stilista. Non ancora, almeno. Anche se è proprio questo ciò che fa. Creare abiti. Per passione. O vocazione, come preferisce raccontare lei. Lei è Alessia Pitorri. Che ha iniziato a disegnare abiti per poter “vestire” le figlie delle donne eleganti che vedeva passeggiare per le vie della sua città. «Quando mi capitava di incontrare donne piene di stile rimanevo incantata a osservare come si muovevano. Mi piaceva la loro eleganza, il buon gusto nell’abbinare colori e accessori. Il loro essere impeccabili e raffinate. In quelle occasioni il pensiero era sempre lo stesso». Vestirle. Era questo il suo “sogno” di bambina. È iniziata così la simbiosi tra la sua mano, ha un’abilità innata per il disegno, e la sua mente. Camminando di pari passo. «E così ho iniziato a creare la mia moda» afferma con una punta di orgoglio. Sì, perché Alessia Pitorri di anni ne ha solo 27, ma ha un suo piccolo laboratorio artigianale e le sue

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Alessia Pitorri, 27 anni è nata ad Albano Laziale in provincia di Roma, è stilista. Ha un piccolo laboratorio artigianale in cui crea i suoi abiti


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In queste pagine, due creazioni di Alessia Pitorri. La giovane stilista ha come obiettivo quello di creare una moda accessibile a tutte le donne. Perché dice, «ognuna deve avere la possibilità di sentirsi bella e unica, sempre»


198 > LUCI SU > Alessia Pitorri > Nuovi talenti

creazioni hanno già richiamato l’attenzione di alcuni stilisti internazionali. E lei si dice pronta a portare i suoi abiti in Giappone, anche se non vuole parlarne per scaramanzia. Perché la strada non è ancora spianata. E lei è solo all’inizio. Ma di certo la direzione imboccata è quella giusta. E a chi le chiede qual è la sua carta vincente, Alessia Pitorri risponde seria: «Tipologie di abiti per donne diverse, ma con uno stesso carattere». Ha organizzato le prime sfilate nel paese natale della sua famiglia. Come mai ha scelto un luogo piccolo e poco conosciuto per fare il suo ingresso nel mondo della moda? «È il luogo in cui ho vissuto la mia infanzia. E quello in cui ho scoperto la bellezza e la semplicità delle piccole cose. Poco conosciuto, certo. Ma ricco di stimoli. Quale posto migliore per cominciare la mia carriera a piccoli passi?». Disegna da sempre. Ma è da qualche anno che lo fa per creare i suoi abiti. C’è uno stilista a cui si è ispirata o che le piace più degli altri? «Adoro la musica, il teatro e il ballo. Interessi che hanno stimolato, e stimolano tuttora, la mia creatività. Credo che l’ispirazione sia qualcosa che viene da dentro. È una sensazione. Il lavoro degli altri lo guardo, eccome. E qualcuno anche con ammirazione. Tra questi, c’è sicuramente quello di Valentino. Amo il suo rosso. E i suoi abiti. La sua moda è così pulita. Raffinata. Uno stile unico che non è cambiato con il passare degli anni». E, invece, come definirebbe la sua moda? «Mi sforzo di fare una moda per tutte le donne. Perché sono convinta che il segreto, o uno dei tanti segreti di questo mestiere, sia riuscire a vestire tutti e soddisfare ogni esigenza. Considero le mie creazioni come pensieri che si concretizzano addosso a ogni donna». Le piacerebbe vestire l’uomo? «Nei miei progetti futuri c’è l’idea di una linea che riproponga l’idea del “vero uomo”. Un concetto che è stato, purtroppo, dimenticato. Ma una carriera va costruita piano, a piccoli passi e con modestia. Per ora vesto le donne, per l’uomo si vedrà». Come nasce un suo abito? «Il colore è la benzina. Il tessuto è il motore. E l’idea è la macchina. Ma il tessuto è l’elemento fondamentale. Perché dentro la mia testa creo l’abito di un particolare colore. E poi vado alla ricerca del materiale che più di ogni altro è in grado di esaltare la mia idea originale». Quali caratteristiche deve avere un tessuto per stimolare la sua fantasia? «Palpabilità e raffinatezza. Ma anche sensualità ed eleganza. Quelli che rispondono a questi requisiti sono i cady di seta, sempre leggeri in ogni tonalità, e i pizzi,


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«Il lavoro degli altri lo guardo, eccome. E qualcuno anche con ammirazione. Tra questi, c’è sicuramente quello di Valentino»

capaci di impreziosire anche l’abito più semplice. Sono i miei preferiti». Le sue collezioni prevedono anche una linea di prêt-à-porter. In che cosa si distingue dalle altre? «Da sempre il mio obiettivo è creare abiti importanti alla portata di ogni donna. Ma da un po’ di tempo che ricerco l’eleganza e la raffinatezza per la donna di tutti i giorni. È fin troppo facile farlo con gli abiti da sera. Che devono essere eleganti per definizione. La vera sfida è il tailleur da giorno, una gonna o una camicetta da indossare quando si va in ufficio o a fare la spesa. Credo fermamente che l’eleganza e lo stile siano dentro di noi e non nell’abito». Quindi un abito per essere bello o elegante non deve essere necessariamente costoso. «Un abito è bello se è portato bene. E questo dipende dalla donna che lo indossa, non dall’abito in sé. Né tantomeno dal prezzo. Un bell’abito può essere creato con qualsiasi materiale, ma il migliore sarà sempre quello in grado di esaltare l’idea dalla quale quello specifico modello è nato. Non dimentichiamo che l’abito veste la persona, ma è la persona ad animarlo, a dargli vita. E il concetto di bellezza è soggettivo. Ogni donna deve sentirsi bene con l’abito che ha scelto di indossare». Dopo aver aperto il suo piccolo laboratorio artigianale, aver sfilato con le sue collezioni ed essere stata in televisione a presentarle, qual è il suo prossimo passo? «Il mio obiettivo è creare una moda accessibile a tutti. Perché credo che ogni donna debba avere la possibilità di sentirsi bella e unica sempre, a prescindere dalle sue possibilità economiche. Il prossimo passo andrà sicuramente in questa direzione».


200 > VESTIRE L’UOMO > Annalisa Calabrese > Tradizione partenopea

«La nostra filosofia è creare collezioni ricercate per una persona elegante che ama i particolari»


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SCIOLGO I NODI DELL’ELEGANZA MASCHILE La cravatta è un accessorio da uomini. Ma il tocco femminile aiuta. Nella scelta e nella gestione di un’azienda che le cravatte le produce. Annalisa Calabrese, a capo della partenopea Calabrese cravatte, racconta come ha preso il testimone offertole dal padre di Magda Antonelli na passione nata da bambina, quando andando in azienda a trovare suo padre e suo nonno vedeva «quei lunghissimi metraggi di seta con colori bellissimi». Diventata poi con il tempo il lavoro della vita. Annalisa Calabrese è figlia d’arte, appartenente alla quarta generazione di una famiglia che dal 1924 di mestiere fa cravatte e le vende in tutto il mondo. Oggi è a capo dell’azienda di famiglia, ruolo che non è arrivato per abituale passaggio di consegne, ma grazie alla gavetta fatta in azienda fin dai tempi dell’università. «Sì, perché mio padre mi ha fatto partire da zero», racconta senza nascondere una punta d’orgoglio. Soprattutto per aver modernizzato un’azienda a gestione artigianale, «gestita proprio come un laboratorio di sartoria». Un percorso non privo di difficoltà per una donna imprenditrice che quotidianamente si addentra in territori maschili. Sì, perché la cravatta è «una questione da uomini», forse l’ultimo baluardo di quell’appartenenza al “sesso Annalisa Calabrese, napoletana, si forte”, che per la giovane maoccupa dell’azienda di famiglia nager ancora resiste. «Se all’uomo togliamo pure la

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202 > VESTIRE L’UOMO > Annalisa Calabrese > Tradizione partenopea

1924 > A Napoli nasce la sartoria artigianale Calabrese 1960 > La cravatta Calabrese è distribuita in tutto il mondo cravatta, cosa gli rimane? Alle signore invece consiglio i gioielli», afferma senza esitazione «sono più femminili». Quando è nata la sua decisione di seguire le orme paterne e quali innovazioni ha saputo portare nell’azienda di famiglia? «La curiosità c’era fin da bambina quando andavo in azienda a trovare mio padre e mio nonno e vedevo i nostri collaboratori che tagliavano lunghissime stoffe di seta con colori bellissimi, la cosa mi affascinava tantissimo, non so il perché, ma mi dava un senso di felicità. La decisione di entrare in azienda, invece, è nata in concomitanza con l’università. Mentre la mattina andavo a seguire i corsi, il pomeriggio cercavo di fare pratica in azienda. Sì, perché mio padre mi ha sempre

detto “per gestire una cosa devi saperla fare bene prima tu”. Forse proprio perché sono entrata appieno nel lavoro sono riuscita a modernizzare un’azienda legata ancora alle vecchie gestioni». Quali sono le capacità e le qualità di un’imprenditrice donna ai vertici di un’impresa nata per realizzare accessori d’abbigliamento prettamente indirizzati agli uomini? «Più che di qualità parlerei di passione, perché oggi solo la passione per il tuo lavoro ti fa raggiungere un traguardo. Naturalmente il gusto femminile, mixato ai canoni dell’eleganza maschile, a mio avviso aiuta. Gli uomini sono un po’ troppo conservatori, e oserei dire pigri. Una volta stabilita la mise tendono a fare gli stessi abbinamenti per paura che magari un particolare in più li possa rendere troppo vistosi e non si sentano a loro agio. Allora ecco che il tocco femminile aiuta. Come piacerebbe a una donna vedere un uomo? Elegante, raffinato, ricercato nei particolari, ma che non ostenti, insomma un uomo che si distingua da un altro». Come sono cambiate le tecniche di produzione artigianale negli ultimi anni? «Le tecniche in realtà sono rimaste le stesse, la cravatta di oggi è identica a quella di 70 anni fa, forse addirittura perfezionata». In che modo state riuscendo a difendervi dai nuovi competitor? «Noi produciamo tutto in Italia e acquistiamo materiale tassativamente prodotto in Italia. La cravatta nasce come accessorio esclusivamente maschile».


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4 > Cravatte, sciarpe, accessori e borse sono le collezioni IV > È la generazione che oggi guida la Calabrese

La cravatta è un accessorio da uomini

Ritiene che oggi la cravatta sia divenuta un simbolo di eleganza anche femminile? «Ritengo che la cravatta sia una cosa prettamente maschile, ha sempre identificato un uomo e tale deve essere. Se agli uomini togliamo pure la cravatta cosa gli rimane? Per le donne suggerirei i gioielli, sono più femminili». Lei crede nel binomio popolarità ed eleganza? «In realtà non credo che la popolarità sia simbolo di eleganza, basta guardare in televisione personaggi popolari che pur di adeguarsi alle tendenze risultano ridicoli e privi di eleganza. Piuttosto gli stili si adattano al contesto sociale nel quale viviamo, ma bisogna fare molta attenzione, talvolta un abbigliamento troppo trendy può risultare volgare. Ormai si vede sempre meno buon gusto in giro».

Nelle immagini, alcuni esemplari delle collezioni Calabrese

Le linee di cravatteria e pelletteria Calabrese nascono da un'accurata ricerca stilistica, fondendo l'intramontabile stile classico con il gusto contemporaneo

«Gli uomini sono un po’ troppo conservatori, e oserei dire pigri. Una volta stabilita la mise tendono a fare gli stessi abbinamenti. Allora ecco che il tocco femminile aiuta» Negli ultimi anni avete diversificato la vostra produzione puntando su sciarpe, borse, borsette e accessori di pelletteria. Chi sono oggi i clienti del marchio Calabrese e quali valori ricercano nell’acquisto di un vostro prodotto? «La nostra filosofia è quella di creare collezioni ricercate che possano identificarsi con chi cerca qualcosa di particolare e rispecchiare una persona elegante che ama i particolari. È nata cosi la linea di accessori composta da sciarpe, pantofole da camera in cashmere e velluto, borsoni in cuoio tamponato abbinato al cotone canvas. Una linea che rappresenta, insieme all’intramontabile cravatta, l’eccellenza della lavorazione artigianale per clienti esigenti che cercano qualità e raffinatezza». Quanto è importante oggi il segmento femminile della vostra clientela? «In realtà si tratta di una parte marginale del nostro fatturato, considerato che i nostri prodotti sono quasi esclusivamente maschili, ma mi è giunta voce che le signore accompagnano sempre i loro mariti nelle boutique e forse dobbiamo ringraziare loro».


204 > LE SIGNORE DEL LUSSO > Franca Mulazzani > Nautica

PERSA IN UN MARE DI PASSIONE Una voce di donna. Una professionista affermata. Con la passione per il mare. Franca Mulazzani, ad di Lyc parla dei risultati raggiunti al timone di un’azienda leader della nautica di Daniela Rocca

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uello della nautica è un settore in cui la presenza delle donne in posizioni strategiche è al di sotto della media. E addirittura scende se si esce dall’ambito delle aziende familiari. Eppure i risultati raggiunti dalle signore “del mare” sono soddisfacenti e fanno ben sperare. Grinta, creatività, determinazione sono i fattori che hanno permesso un incremento del business aziendale. «Un mondo fino a poco tempo fa precluso alle donne» afferma Franca Mulazzani, amministratore delegato di Luxury yachts corporation, che si è assicurata il premio di miglior dealer per performance di vendita e fatturato del Gruppo Ferretti. Un mondo di uomini che però non ha mai precluso la presenza femminile. «Per quanto riguarda la

Se è ancora vero che spesso l’armatore è uomo, è vero anche che è la sua compagna a prendere le decisioni più importanti. E allora, è fondamentale che il venditore sia una donna

mia esperienza diretta, furono proprio i miei soci uomini a propormi come amministratore delegato della nostra società. Una fiducia che si basava sul mio impegno e sulle mie capacità» precisa Mulazzani. «Oggi vedo tante altre donne farsi largo in questo mondo e con ruoli di responsabilità. D’altro canto, se è ancora vero che spesso l’armatore è uomo, è vero


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Quando nasce la mia passione? Sono nata e cresciuta nel mondo della nautica. Fin da piccola regatavo con lo zio Orazio

Franca Mulazzani, amministratore delegato di Luxury yachts corporation dealer esclusivista in Italia per i prestigiosi cantieri Ferretti, Mochi Craft e Custom Line


206 > LE SIGNORE DEL LUSSO > Franca Mulazzani > Nautica

anche che sono le loro compagne a prendere le decisioni più importanti. E allora, è fondamentale che il venditore sia una donna». Quando nasce questa sua passione? «Sono nata e cresciuta nel mondo della nautica. Mio padre dirigeva Portoverde, la prima marina privata dell’Adriatico, dove passava tutto il jet set anni 70 e fin da piccola regatavo con lo zio Orazio. Sono cresciuta vicino alla famiglia Ferretti che ormeggiava le barche proprio nella darsena di mio padre, di cui divenni presto una dei loro dealer più qualificati». Si definiscono spesso gli italiani come un popolo di santi, poeti e navigatori. Crede che la passione e la cultura per la nautica da diporto sia sufficientemente diffusa e apprezzata nel nostro Paese oppure che esistano margini di crescita significativi? «Il nostro Paese, con i suoi 8.400 chilometri di costa, ha un patrimonio marittimo senza pari e una cultura nautica che ci contraddistingue nel mondo. Con una configurazione costiera così favorevole abbiamo molte possibilità di crescere. Lo sforzo compiuto dalle industrie del

settore è evidente e ben espresso dai dati Ucina, consultabili in La Nautica in cifre, edizione 2008. L’attenzione va ora rivolta alle infrastrutture e alle aree destinate al diporto nautico sulle quali c’è ancora molto da lavorare e che hanno le potenzialità per creare un forte indotto nel paese e un volano per il turismo a livello locale e nazionale». È vero anche nella nautica, che il settore del lusso ha subito meno contraccolpi dalla crisi economica in atto, come molti analisti sostengono oggi? «Il lusso appartiene a un settore meno soggetto ai contraccolpi della crisi, è nella sua stessa natura avere più stabilità. Un prodotto di lusso come uno yacht, non è un orologio di lusso. Ha un ciclo di produzione e un mercato molto diverso. Di conseguenza, non subisce ricadute immediate». Come è cambiata la richiesta di yacht di lusso negli ultimi anni: cosa cercano gli acquirenti in uno yacht oggi e come le loro aspettative stanno modificando l’offerta? «L’atteggiamento degli armatori è profondamente cambiato in questi anni, e le


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loro aspettative ci fanno da guida. Non siamo più negli anni 80. Non basta una barca bella da ostentare. Oggi gli armatori sono sempre più evoluti e raffinati. Quello che cercano è il meglio, che vuol dire sicuramente bellezza, ma anche affidabilità, comfort e soprattutto servizi all’altezza delle loro attese. In questi anni Lyc ha costruito le competenze necessarie per proporre ai nostri armatori servizi in grado di affiancarli in ogni momento e in ogni circostanza e diventare per loro un punto di riferimento assolutamente affidabile». Come si differenzia oggi il mercato degli acquirenti italiani da quello estero? In entrambi i casi si sta allargando anche l’offerta e la richiesta dell’usato, oppure no? «Sostanzialmente non cambia molto tra gli armatori italiani ed esteri. Probabilmente quelli italiani sono più attenti e raffinati, mentre quelli esteri sono ancora legati all’ostentazione della ricchezza, parliamo dei nuovi ricchi, in sostanza. In ogni caso entrambi i mercati hanno reagito bene al nuovo progetto Platinum Selction, che abbiamo lanciato insieme a Ferretti Yachts e Mochi Craft, un progetto per un usato di lusso garantito con standard

altissimi di qualità e servizi esclusivi all’armatore. Una proposta eccellente che non poteva non essere recepita». Qual è l’andamento del mercato del lusso in questo momento? «Siamo un settore sicuramente meno esposto alla crisi, ma non siamo totalmente esenti. Il nostro lavoro è mantenere i migliori standard possibili studiando formule che rispondano alle nuove esigenze dell’armatore. Il lusso, oggi, non è più sperpero, sfarzo e vezzi. È un’idea più concreta legata a prodotti e servizi sempre più ricercati». Quali sono i numeri di Lyc? «Quattordici punti vendita distribuiti nei punti strategici della penisola, dal Veneto alle Marche, dalla Campania alla Sicilia, Luxury yacht corporation rappresenta una tra le maggiori aziende nautiche italiane per numero di barche vendute». Chi designò la sua nomina? «Furono proprio i miei soci uomini a propormi come amministratore delegato della nostra società».


208 > LE SIGNORE DEL LUSSO > Maria Cristina Buccellati > Bagliori esclusivi

FASCINO DISCRETO UNICO E SENZA TEMPO Offrire un gioiello raffinato a un pubblico di nicchia. L’idea alla base del successo di Gianmaria Buccellati è semplice: oggetti ricercati che rifuggano dalla quotidianità, ma che siano sempre in voga. Maria Cristina Buccellati fa parte della terza generazione di una famiglia che ha fatto del dialogo con la bellezza il proprio stile di vita di Sveva Molinari Le mode nella gioielleria? Non esistono. Ci sono gioielli intramontabili, fuori dalle logiche dei trend, capaci di brillare su ogni abito e in ogni occasione. E quelli frutto delle tendenze di stagione che lasciano il tempo che trovano, e poi finiscono nel dimenticatoio. E non c’entra, almeno questa volta, il made in Italy. A fare la differenza sono la storia, l’arte nella lavorazione, l’amore per l’oro, il platino e gli altri metalli preziosi. E se a questo si accosta un cognome, ormai divenuto simbolo di una dinastia, ecco che il cerchio si chiude. Il cognome in questione è Buccellati. Mario, Gianmaria e Andrea rappresentano una tradizione che va avanti da tre generazioni. Il primo divenne il gioielliere preferito delle case reali di tutta Europa. Il secondo, a partire dai primi anni Settanta, apre punti vendita nelle più prestigiose località internazionali. L’ultimo continua la tradizione ideando personalmente ogni oggetto. «Tutto ciò è stato possibile grazie al passaggio delle conoscenze, della creatività e della tradizione di padre in figlio». E Maria Cristina Buccellati, responsabile della comunicazione, fa parte di questa tradizione. La sua famiglia ha una storia illustre. Qual è il filo conduttore che va dalle origini ai giorni nostri? «Il filo conduttore che ha sempre dato l’imprinting a tutta la nostra produzione è la classicità del gusto e delle linee. In questo modo, un oggetto Buccellati, indipendentemente dal periodo in cui è stato prodotto e acquistato, è considerato sempre attuale, prevaricando le mode e diventando un oggetto senza tempo, mantenendo uno stile proprio e inconfondibile. Tutto è iniziato con mio nonno Mario, poi c’è stato mio padre Gianmaria, e oggi tocca a mio fratello Andrea rappresentare la terza generazione di Buccellati». Qual è a suo avviso il lusso del futuro? «Il lusso è un concetto del tutto soggettivo. In generale, crediamo che sia il potersi permettere qualcosa di unico, non importa se un oggetto, un viaggio, un’esperienza o una sensazione. In questa

Il gioiello italiano viene percepito come ambasciatore del bello Il pezzo più amato «Un anello in oro inciso con una perla barocca che indosso spesso e che rispecchia perfettamente il mio stile» L’eccellenza del made in Italy «Con Altagamma stiamo cercando di promuovere e tutelare l’eccellenza dei prodotti nazionali attraverso varie manifestazioni e incontri in giro per il mondo»


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Maria Cristina Buccellati. A sinistra, anelli Eternelle in oro bianco e giallo, con incassati brillanti e tipica lavorazione traforata


210 > LE SIGNORE DEL LUSSO > Maria Cristina Buccellati > Bagliori esclusivi

Passioni di famiglia Il nome Buccellati è noto nel mondo della gioielleria e dell’argenteria fin dalla metà del diciottesimo secolo, ma il vero successo inizia nel 1919, quando Mario Buccellati, acquisita l’azienda nella quale era stato apprendista nel cuore di Milano. Da qui passano tutti i nomi della cultura, dello spettacolo e della nobiltà. Clienti, amici e semplici ammiratori, nessuno sfugge al fascino dell'unicità di questi gioielli. Mario

Buccellati diventa in breve tempo il gioielliere preferito dalle case reali europee, da papi, aristocratici e imprenditori. Tra tutti, il poeta Gabriele D’Annunzio, con il quale l’orafo stringe una grande amicizia. Dal 1925 al 1956 apre nuove gioiellerie in Italia; nel 1925 a Roma in via Condotti, nel 29 a Firenze in via Tornabuoni e con l’espansione internazionale della sua fama a New York nel 1953, in Fifth Avenue. Nel

considerazione, ovviamente, ognuno applica la sua scala di valori, e da qui viene la soggettività. Come Buccellati, però, crediamo che il lusso non vada mai ostentato, ma mantenuto nei confini della discrezione e dell’eleganza». Gli oggetti del desiderio stanno cambiando? «L’oggetto del desiderio, per sua propria definizione, è una conquista, talvolta difficile da ottenere, ma che può valorizzare il proprio io. Probabilmente, a seguito di questa crisi ci sarà un ridimensionamento completo dei consumi, per cui, nel settore del lusso, ci si orienterà sempre di più all’acquisto di beni che non subiscono le influenze dei trend». Come si riesce a comunicare in modo nuovo una passione ancestrale come quella per i gioielli? «La comunicazione moderna corre sul filo delle sensazioni e delle emozioni. Il nostro punto di forza è sempre stato quello di trasmettere, attraverso i nostri gioielli, un senso di unicità e preziosità. Chi indossa Buccellati prova l’emozione di essere unico e prezioso, in modo elegante e discreto, senza boria e ostentazione». Qual è il gioiello a cui è più legata? «Un anello in oro inciso con una perla barocca che indosso spesso e che rispecchia perfettamente il mio stile».


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1965, alla sua morte, quattro dei suoi cinque figli – Gianmaria, Lorenzo, Federico e Luca – continuarono l’attività del padre, salvo separarsi pochi anni dopo. Gianmaria ha continuato a disegnare le collezioni di gioielli, argenti e orologi prodotti dai laboratori, ma nel contempo ha portato il nome in tutto il mondo, firmando accordi specifici e aprendo negozi a Hong Kong, Tokyo, Los Angeles, Parigi, Londra e

Mosca. Lo stile Buccellati si fonda su un profondo senso del bello che, si traduce nel design e nella scelta dei materiali, su una salda tradizione tecnica e sull’eccezionale maestria dell’esecuzione. Oggi i figli di Gianmaria rappresentano la terza generazione dei Buccellati gioiellieri-orafi. Andrea è l’erede artistico, Maria Cristina si occupa del marketing e della comunicazione mentre Gino

Lo stile Buccellati, unico al mondo, riscuote grande successo presso la clientela più esclusiva. Se lei dovesse indicarmi un solo elemento caratterizzante di questa fama, quale sceglierebbe? «I gioielli Buccellati sono particolarmente apprezzati in quanto ogni pezzo, proprio perché fatto a mano, è assolutamente irripetibile. L’artigianalità e l’unicità sono i nostri segni distintivi».

Lo stile Buccellati «I nostri gioielli sono particolarmente apprezzati in quanto ogni pezzo, proprio perché fatto a mano, è assolutamente irripetibile»

gestisce la produzione di argenteria. La Buccellati è un’azienda a conduzione familiare, con membri della seconda e terza generazione attivi in diversi settori. Ancora oggi portano avanti la tradizione di stile e di eleganza, ma soprattutto della manifattura artigianale iniziata da Mario. I gioielli e gli argenti Buccellati sono tuttora prodotti in piccoli laboratori da artigiani altamente qualificati.

Come è percepito il gioiello italiano nel mondo? «Grazie al background culturale del nostro Paese, il gioiello italiano viene percepito come ambasciatore del bello, ma questo avviene per tutto ciò che è italiano, sia che si tratti di moda, arte, ambiente, paesaggi». Difendere e diffondere l’eccellenza del made in Italy. Cosa si sta facendo e cosa a suo avviso si dovrebbe fare di più? «Con Altagamma, associazione che rappresenta i più grandi marchi italiani, stiamo cercando di promuovere e tutelare l’eccellenza dei prodotti nazionali attraverso varie manifestazioni e incontri in giro per il mondo. In particolare, nel 2009 verrà potenziata l’attività di pubbliche relazioni ospitando giornalisti da diversi Paesi del mondo e mostrando loro le imprese di eccellenza italiane e il meglio in ambito culturale, paesaggistico, gastronomico. Il primo viaggio si svolgerà già a maggio, fra Milano e Firenze». Qual è lo spirito con cui affrontate un nuovo progetto? «L’entusiasmo anima i nostri progetti in ogni singola fase, e poi ci vuole molta perspicacia e impegno senza mai perdere di vista l’obiettivo finale».


220 > VOCI DEL VENETO > Elisabetta Gardini > Prendiamoci lo spazio che ci spetta

L’ETICA DEL MERITO CI PREMIERÀ Nord Est e donne. Accomunati da una continua efficienza e moltissime energie. Ma non solo. Una porzione d’Italia che ha bisogno di tutele normative dal governo per la sua economia. Così come le donne necessitano di essere maggiormente rappresentate politicamente. La parola a Elisabetta Gardini DI

li uomini hanno imparato molto prima delle donne a solidarizzare tra loro per detenere le sfere decisionali del potere. Ma oggi le donne stanno riacquistando terreno. In Italia da tempo rivestono ruoli importanti, in particolare nel Nord Est, in cui contribuiscono non poco allo sviluppo economico. Ciò che manca, però, è una presenza politica più consistente, corrispondente al reale impegno che quotidianamente rivestono in molti aspetti della realtà. Elisabetta Gardini, europarlamentare, non ha dubbi sulla necessità improrogabile di appropriarsi di ruoli decisionali che siano adeguati all’energia spesa per promuovere e far crescere il Veneto, e non solo, da molti punti di vista.

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Secondo lei, le istanze specifiche dei territori del Nord Est sono sufficientemente rappresentate dalla politica nazionale? «Penso che oggi siano finalmente rappresentate. Alcune risposte cominciano ad arrivare. C’è un’attenzione maggiore, ad esempio per quanto riguarda la riforma sul federalismo oppure nell’azione del ministro Brunetta che va incontro alle attese di tutta l’Italia e del Nord in particolare. Purtroppo sono misure che devono scontrarsi con il peso della crisi internazionale».

MARIALIVIA SCIACCA

Esistono sostanziali differenze nell’interesse delle donne alla politica tra Nord Est e resto d’Italia? «Complessivamente direi di no. Ho tante colleghe sia del Nord che del Sud, che hanno fatto campagne elettorali a tutte le latitudini e

Elisabetta Gardini, europarlamentare azzurra, è nata a Padova


© SETTIMIO BENEDUSI

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condividono la passione e la generosità con cui investono energie e risorse. Forza Italia è nata su una maggioranza di voto femminile, ma manca il contraltare dell’accesso alla vita del partito ai livelli più alti, apicali. È un problema di tutti i partiti in Italia e spero che il Popolo della Libertà riuscirà ad affrontarlo e risolverlo. Il presidente Berlusconi punta sempre nei suoi discorsi sulle donne e sui giovani, anche se poi a livello di territorio questo suo appello non sempre è stato accolto». Dopo l’attivismo politico degli anni Settanta sembra che oggi il movimento femminile sia calato. È così? «Il movimento degli anni Settanta coinvolgeva solo una parte delle donne, perché era

marcatamente di sinistra. Resta il fatto che i movimenti femministi sono stati molto importanti perché hanno portato l’attenzione su tematiche fondamentali e hanno ribadito l’impossibilità di continuare a fare politica senza considerare le donne. Hanno cercato di portare l’attenzione su temi che ancora oggi non sono stati risolti, come quello della conciliazione degli orari tra la vita politica e lavorativa e quella delle donne, cadenzata da impegni familiari onerosi. Poi quel movimento femminile si è arrestato. Le sezioni femminili in seno al partito hanno continuato a esistere ed essere attive ma a latere della politica. Oggi le donne in politica possono permettersi molto di più, dall’essere femminili nel loro aspetto al pretendere dei tempi più consoni, fino ad avere una famiglia». Quali sono le decisioni da mettere in campo per ridurre il deficit di presenza femminile nei luoghi di decisione della politica? «Bisogna perentoriamente mettere in campo i criteri della meritocrazia perché l’etica del merito premia le donne. Nelle scuole, nelle università, le donne hanno mediamente risultati migliori. Nei concorsi accade lo stesso e a tutti i livelli, dall’insegnamento ai corsi di polizia. Oggi fortunatamente c’è un adeguamento dei tempi di lavoro che sono più conciliabili con la vita della famiglia. Per esempio le riunioni a fiume che si prolungano fino a tarda notte non vengono incontro alle madri. Oggi che anche gli uomini si adoperano con i figli e in casa qualcosa può cambiare. Nella nostra delegazione oggi le europarlamentari sono cinque, mentre per nove anni l’unica è stata Lia Sartori. Credo che questi numeri dimostrino un reale cambiamento».


222 > CULTURA DEL FARE > Giustina Destro > Un ruolo da protagoniste

SERVIZI, FORMAZIONE e CORAGGIO A guardare i dati, emerge che la presenza delle imprenditrici è ancora principalmente legata al settore del terziario. È un retaggio culturale o esistono motivazioni diverse che portano le donne a non avventurarsi in settori diversi? «Bisogna distinguere se si parla di piccole attività, come appunto un negozio, o di assumere un ruolo guida in una grande azienda. Sin dalla notte dei tempi le donne che lavoravano lo DI MARIELLA CORAZZA facevano soprattutto nel terziario, dal commercio alla ristorazione, attività non faticosissime da un punto di vista fisico rispetto, ad esempio, a lavori di muratore o fabbro. Da lì in avanti il ruolo Quello che ha interessato il Nord Est è stato, ed è della donna è sempre stato identificato ancor oggi, uno sviluppo basato principalmente su soprattutto con un certo tipo di attività. Tuttavia piccole e piccolissime aziende, spesso a conduzione credo che le cose stiano cambiando e, se familiare, dove le donne hanno avuto un ruolo parliamo di ruoli manageriali, non c’è differenza determinante. Nonostante il loro contributo per una donna nel mettersi a capo di un’impresa decisivo, però, le donne sono state, e sono meccanica o di una catena di distribuzione di tuttora, «poco rappresentate a livello di classe prodotti alimentari». dirigente». Ne è convinta Giustina Destro, imprenditrice e politica di Padova, che conosce bene la realtà del suo Veneto, dove, così come nel A che punto è, secondo lei, la diffusione nelle resto d’Italia, la sfida per il futuro è una maggiore imprese del Nord Est, e più in generale in Italia, di tutti quei servizi necessari a facilitare la rappresentanza in rosa. conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa? «Questo è il vero punto dolente della questione: Quanto è diffusa la consapevolezza il nostro Paese deve ancora compiere dei grandi dell’importanza delle donne come valore passi in avanti per evitare che le donne siano aggiunto per l’economia? costrette a scegliere tra maternità e carriera. Per «Purtroppo ancora poco, ma è una sfida per il tanto tempo in Italia c’è stato un modello sociale futuro. A Nord Est le donne sono state in cui l’uomo andava a lavorare e la donna protagoniste, accanto a mariti e figli, dello rimaneva a casa con i figli. Questo modello da un sviluppo delle Pmi che hanno reso possibile la nostra grande crescita. Ora il passaggio successivo lato ha contribuito a dare una forte identità alla è dare fiducia alle donne anche per ruoli di grande famiglia, ma dall’altro ha rallentato la progettazione e la costruzione di scuole materne importanza strategica sia all’interno della singola e di asili nido o lo studio di orari di lavoro adatti impresa che a livello di istituzioni. La strada è alle donne. Da quando le donne non vogliono ancora lunga, ma posso dire che la nomina di rinunciare alla carriera pur essendo mamme, il Emma Marcegaglia a presidente di Confindustria problema si è posto in tutta la sua importanza sia un primo ma significativo passo».

Sono questi, secondo Giustina Destro, i tre elementi su cui puntare per sostenere la presenza femminile nell’imprenditoria. Nel Nord Est, così come in tutta Italia


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«La manodopera femminile deve essere competitiva al pari di quella maschile e anche sotto questo profilo è giusto che l’età pensionabile sia la stessa»

ma è chiaro che il nostro Paese, e con esso anche il Nord Est, sconta un enorme ritardo. Stiamo recuperando, ma c’è ancora tanto da fare». Che cosa ne pensa della proposta di innalzamento dell’età pensionabile delle donne per equipararla a quella degli uomini? «Sono favorevole: la manodopera femminile deve essere competitiva al pari di quella maschile e anche sotto questo profilo è giusto che l’età pensionabile sia la stessa. Anche perché credo che a 60 anni una donna sia nel pieno della sua competenza perché può coniugare conoscenza ed esperienza, e quindi trovo assurdo che sia costretta ad uscire dal mercato del lavoro».

Giustina Mistrello Destro, politica e imprenditrice. È stata sindaco di Padova dal 1999 al 2004, presidente della società Autostrade Venezia Padova dal 2003 al 2006. Dal 2006 è deputata per il Pdl

Anche per il 2009 la Regione Veneto ha avviato un Programma per la promozione dell’imprenditoria femminile. Quanto sono efficaci azioni di questo tipo? «Molto, perché le donne devono prendere coscienza delle loro potenzialità, ma anche continuare nello studio e nella formazione, per competere alla pari con i coetanei maschi. Che la Regione lavori per la promozione di queste caratteristiche dimostra il carattere lungimirante del Veneto che ha ben chiaro l’apporto che il mondo femminile può dare in vista delle sfide future».


224 > AFFARI DI CUORE > Enrico e Iole Cisnetto > Ragione e sentimento

METAMORFOSI DI UNA CULTURA La nostra è una società priva di contenuti? Non del tutto, ma è innegabile l’esistenza di un allarmante appiattimento intellettuale. Ecco come, per Enrico e Iole Cisnetto, l’alta cultura può tornare a essere un diffuso elemento di consumo DI ANDREA

MOSCARIELLO

Enrico e Iole Cisnetto, sono ideatori e responsabili di Cortina InConTra, uno dei maggiori eventi culturali italiani, oltre che essere un laboratorio di idee, proposte e analisi


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Promuovere la cultura in un’epoca in cui l’apparire conta più dell’essere rappresenta una missione (quasi) impossibile. Quando il contenuto cede il posto all’estetica, l’interazione personale alle pagine di Facebook, la letteratura alle soap opera, allora sì che l’intelletto, quello puro, creativo, fatto di contenuti, di arte, di filosofia e di pensiero, diventa una merce rara. Ma perché non renderlo, invece, un elemento preponderante del nostro stile di vita? «La cultura in Italia è ancora viva, il problema è stabilirne l’entità, la dimensione e il fatto che sia in grado di reggere il confronto con il nostro passato». Questo il pensiero del professor Enrico Cisnetto, creatore, assieme alla moglie Iole, di Cortina InConTra. Un evento nato con l’obiettivo di offrire al grande pubblico la possibilità di entrare in contatto con coloro che, nonostante tutto, non si arrendono a quella che i Cisnetto definiscono una “mediocrità diffusa”. Ed ecco che arte, dialettica, riflessione e scienza diventano un appuntamento che ad agosto, in una delle località turistiche di maggior richiamo, è capace di attirare migliaia di visitatori. Parla una coppia unita, nella vita e nella professione, da oltre trent’anni di amore reciproco. Tra sentimento e cultura.

Esistono ancora, in Italia, gli intellettuali? Riconosciamo il ruolo di intellettuale a coloro che in realtà appaiono solo come tali; coloro che sanno cavalcare le strategie di marketing e la comunicazione, sempre presenti nei luoghi dove non si forma cultura, ma se ne verifica semplicemente una sua curata percezione

«Questa fase storica è destinata a ridisegnare i consumi. Si sente il bisogno di frenare la compulsività con cui si consumano i beni materiali. Non c’è bisogno di cambiare l’automobile ogni anno o il telefonino ogni sei mesi»

Qual è la causa alla base di quello che definite “mediocrità”? Enrico Cisnetto: «L’emersione, nel nostro Paese, di una mediocrità imperante, si sta verificando da parecchio tempo. Si tratta di un fenomeno di cui ritengo che la televisione sia uno degli strumenti di maggior diffusione. Questo appiattimento, questa diffusa ignoranza, sono anche causati dal livello scarso delle nostre scuole e delle nostre università. La cultura in realtà sopravvive, e Cortina InConTra ne è un esempio, ma fatica a resistere e si annida in aree di nicchia che difficilmente possono influenzare l’intero Paese. Sopravvivono soprattutto quelle iniziative che rimangono agganciate con un filo

al passato. Ma per quanto riguarda una dimensione puramente moderna stentano a nascere fattori culturalmente significativi». Alessandro Baricco ha recentemente proposto di erogare più denaro a scuola e televisione riducendo i fondi per il teatro e per altre forme di cultura “alta”. Una provocazione o un’idea su cui puntare? Iole Cisnetto: «Sicuramente quella di Baricco voleva essere una provocazione e, come tale, ha la sua utilità. Certo, mettere sullo stesso piano scuola e televisione mi sembra un po’ una forzatura. La Tv è, giustamente, attenta al profitto, ma al tempo stesso non ha intenzione di badare alla qualità. Purtroppo è diffusa la convinzione che la qualità entri necessariamente in conflitto con il profitto. Inoltre la Tv pubblica, adeguandosi ai canoni di quella commerciale, ha contribuito alla confusione e all’appiattimento delle trasmissioni. C’è una rincorsa tutta basata sull’Auditel, ma tenendo


226 > AFFARI DI CUORE > Enrico e Iole Cisnetto > Ragione e sentimento

come riferimento il ventre molle dei gusti del pubblico non può che esserci un abbassamento nei contenuti e nello stile». I media tradizionali sono in declino. Crescono, invece, quelli sociali, come internet, ma anche la buona vecchia piazza, intesa come Agorà. Si tratta di un ripiego o di un progresso? I: «Io vedo il progresso soprattutto in Internet, un veicolo straordinario per fare comunicazione. Ovviamente chi va in rete deve essere capace di scegliere tra le proposte offerte. Perché, mentre nei vecchi media vi è sempre, alla base, un lavoro di filtraggio, sul Web quest’operazione non avviene. È l’utente che deve autonomamente compiere delle scelte e definire il proprio senso critico. Al momento in Rete c’è molta confusione ma, con il tempo, potrà emergere molto di più la qualità». E: «Ricreare un momento come quello dell’Agorà è importante e stimolante per la popolazione. È questo lo scopo di eventi come il nostro o come i festival di Mantova, Spoleto o quello della scienza di Genova».

forma una concezione errata della cultura e del ruolo degli intellettuali». Quale riscontro ottenete dal pubblico di Cortina InConTra? I: «Il pubblico di Cortina è straordinario perché è sempre partecipe e crede in noi come organizzatori, accettando le nostre proposte. Il nostro è un pubblico attento, desideroso di ascoltare cose che evidentemente non si trovano altrove, soprattutto in un mese di vacanza come è quello di agosto, quando le persone sono più

«L’emersione di una mediocrità imperante si sta verificando da parecchio tempo. Si tratta di un fenomeno di cui ritengo la televisione uno degli strumenti di maggior diffusione»

Esistono ancora gli intellettuali in Italia? E: «Il meccanismo dell’apparire anziché dell’essere ha contaminato anche il mondo dell’intellettualità. Per questo, riconosciamo il ruolo di intellettuale a coloro che in realtà appaiono solo come tali; coloro che sanno cavalcare le strategie di marketing e la comunicazione, sempre presenti in televisione, nei dibattiti, nei luoghi dove non si forma cultura, ma se ne verifica semplicemente una sua curata percezione. Se non contano le idee ma le modalità con cui vengono esposte, si

rilassate e hanno più disponibilità a seguire tematiche differenti da quelle che ogni giorno vengono proposte dai mass media». Uno degli effetti positivi della recessione potrebbe essere quello di riportare i bisogni a una dimensione più umana. È a tal proposito


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ipotizzabile una rinascita del consumo culturale? E: «Sicuramente questa fase storica è destinata a ridisegnare i consumi. Si sente il bisogno di frenare la compulsività con cui si consumano i beni materiali. Non c’è bisogno di cambiare l’automobile ogni anno o il telefonino ogni sei mesi. Il fatto che i consumi di prima necessità, come alimentari e abbigliamento, siano ridotti al 20-25 per cento massimo della spesa di una famiglia media, significa che esiste un’area di spesa non comprimibile in termini di quantità,

ma sicuramente rivedibile in termini di contenuti. Se su questa fetta di consumo si toglieranno alcune spese superflue e si comincerà a ragionare su altri tipi di fruizioni, in particolare su una maggiore disponibilità verso i beni e i consumi culturali, ci potrà essere un’evoluzione della società. Attualmente sta già emergendo una domanda nei confronti della cultura. È chiaro, però, che questa domanda va aiutata a emergere attraverso un’offerta altrettanto forte». Avete da poco festeggiato 30 anni insieme. Cortina InConTra è una creazione di

entrambi, un esempio di affinità realmente raro. C’è qualcosa su cui, in tutti questi anni, proprio non avete trovato un accordo? I: «In realtà tra di noi non c’è mai stato un profondo disaccordo, perché abbiamo sempre dialogato. Sicuramente sosteniamo anche posizioni divergenti. Ma poi, alla fine, prevale sempre la scelta e la costruzione di un percorso

comune. Non essere perfettamente allineati su tutto è, spesso, uno stimolo aggiuntivo per arricchirsi». E: «Il fatto di poter lavorare con successo assieme a colei con cui divido la vita è il massimo a cui posso aspirare. Nel nostro caso l’esperimento è riuscito. Certo, ci può essere anche il rischio opposto, cioè che la dimensione privata influisca negativamente su quella professionale e viceversa. Ovviamente la dinamica delle valutazioni e della discussione c’è sempre, come è giusto che sia. Abbiamo constatato che tutte le volte in cui è nata una qualche divergenza di idee con mia moglie, alla fine ha sempre prevalso l’idea giusta».


228 > LEADER > Isabella Bruno Tolomei Frigerio > Motore dello sviluppo

UNA DONNA DA GRANDI OPERE L’edilizia è un settore che può dare slancio all’economia. «A condizione che le grandi opere smettano di essere la bandiera degli schieramenti politici», ammonisce Isabella Bruno Tolomei Frigerio, presidente di uno dei più importanti general contractor italiani di Mariella Corazza

© Foto Papi

Sono poche le donne al vertice in un settore tradizionalmente maschile come quello delle costruzioni. Lei è una di queste. Isabella Bruno Tolomei Frigerio da quasi un anno siede sulla poltrona più alta della Ferfina Spa, holding e finanziaria del gruppo di cui fa parte la Società Italiana per Condotte d’Acqua, terzo general contractor italiano nel settore delle grandi opere. Figlia d’arte, ha preso il posto di suo padre, l’ingegner Paolo Bruno, che al compimento dell’ottantesimo anno di età si è dimesso dalla presidenza del gruppo, per favorire il ricambio generazionale. Ma Isabella Bruno Tolomei Frigerio non è arrivata impreparata all’appuntamento. Laureata in Economia e commercio, due specializzazioni alla Bocconi, ha iniziato come responsabile della funzione fiscale in Ferrocemento Costruzioni, una delle società del gruppo; in seguito, è diventata assistente al direttore finanziario, ha ricoperto la carica di consigliere d’amministrazione della Condotte d’Acqua, diventando poi consigliere e, successivamente, vicepresidente della Ferfina, con delega alla finanza di tutto il gruppo. Un percorso faticoso, che Isabella Bruno Tolomei Frigerio ha affrontato con costanza e impegno: due doti che sono ancora più necessarie ora che il momento storico di difficoltà internazionale impone strategie mirate e scelte ponderate. Quali obiettivi si pone come nuovo presidente del Consiglio di amministrazione della Ferfina Spa? «Gli obiettivi che mi pongo sono quelli di mantenere i valori che hanno accompagnato il gruppo nella sua storia e nella sua crescita: mantenere la “capacità del fare” e proseguire nello sviluppo avendo come riferimento l’economia reale».

Il Ponte di Messina è una sfida interessantissima che avrà enormi ricadute positive

Quello delle costruzioni è uno dei settori che più stanno soffrendo. Anche un gruppo come il vostro ne ha risentito? «La crisi è indubbiamente profonda, paradossalmente le grandi imprese di costruzione potrebbero anche uscirne rafforzate, in quanto operano con clienti pubblici, più affidabili dei privati e hanno un portafoglio lavori basato

L’Italia esporterà l’immagine del ponte con il relativo knowhow, dando a tutto il sistema un importante vantaggio competitivo


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su contratti pluriennali che comportano una maggiore stabilità dei ricavi. Poiché molte nazioni utilizzeranno i programmi infrastrutturali come misura antidepressiva, si apriranno nuove occasioni di lavoro». Tra i vostri lavori, molti appalti all’estero. Quale Paese estero soffre maggiormente la crisi e quale invece offre le migliori prospettive di sviluppo? «L’Europa dell’Est è sicuramente un’area in difficoltà. Noi abbiamo scelto di lavorare direttamente coi governi dei ricchi Paesi produttori di petrolio. Nei nostri programmi di sviluppo, sfrutteremo la nostra presenza negli Usa attraverso Condotte America, per partecipare attivamente al piano di sviluppo del presidente Obama». Dal suo punto di vista, quali sono le maggiori difficoltà che in Italia bloccano lo sviluppo delle grandi opere? «L’alternanza politica troppo frequente è sicuramente negativa, in quanto le opere pubbliche non sono più un diritto della comunità ma la

Due momenti nei cantieri per la “Nuvola di Fuksas”. Insieme a Isabella Bruno Tolomei Frigerio, l’architetto Massimiliano Fuksas e il sindaco di Roma Gianni Alemanno

L’Italia da sempre soffre di un ritardo infrastrutturale pesante. Il rilancio di grandi progetti può contribuire alla ripresa economica? «Ne sono convinta, le costruzioni hanno un enorme impatto antidepressivo per l’economia, si stima che un miliardo di euro aggiuntivo nel settore delle costruzioni attivi un volume di affari di 1.746 miliardi con circa 23.620 nuovi posti di lavoro». Si parla molto di project financing. Cosa ne pensa della validità di questo strumento? «Il project financing è un ottimo strumento, che con la dovuta perizia può essere utilizzato per finanziare in parte le opere pubbliche. Speriamo che la crisi del sistema bancario non porti a un rallentamento nell’uso di tale metodologia. Condotte oggi si sta avvalendo del project in ben sei grandi opere».

LAVORI IN CORSO Il gruppo Condotte è uno dei primi in Italia, si avvale di uno staff di circa 2.500 persone e ha raggiunto un giro d’affari di circa 800 milioni di euro. Oltre alle numerose attività sul territorio nazionale, il campo d’azione si estende anche ad altre regioni geografiche: Europa, Nord e Sud America, Asia e Africa. In Italia è impegnato nella costruzione del Mose di Venezia, della linea D della metropolitana di Roma, del sistema ferroviario nazionale Alta velocità/Alta capacità e del nuovo centro congressi Eur “la Nuvola di Fuksas”, firmato dal grande architetto romano. Tra gli appalti più importanti all’estero, la realizzazione dell’acquedotto Beni Haroun-Oued Athmenia in Algeria e il piano di sviluppo territoriale Progetto Oasi di Ayla, ad Aqaba in Giordania.

bandiera di uno o dell’altro schieramento politico. Quindi, a ogni cambio di amministrazione si ricomincia da capo, con revoche di contratti, contro revoche e via dicendo». Cosa ne pensa del Piano Casa del governo? «Come tutte le leggi vanno esaminate nel dettaglio, insieme a tutti i regolamenti applicativi. Mi sembra comunque un’ottima idea, poiché a costo zero per lo Stato si potrebbe riqualificare il territorio e portare lavoro alla fascia medio piccola del mondo delle costruzioni, con tutti i benefici sulla ripresa».

Cosa ne pensa del progetto per il ponte sullo Stretto di Messina? «Condotte d’Acqua, la società del gruppo Ferfina con la mission sulle grandi opere, fa parte del consorzio che ha vinto la gara per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Personalmente, credo che sia una sfida interessantissima che avrà enormi ricadute positive, sia nel contesto territoriale in cui sorgerà l’opera, sia nel resto del mondo, dove esporteremo l’immagine del ponte con il relativo know-how, dando quindi a tutto il Sistema Italia un importante vantaggio competitivo».


232 > PRENDERSI CURA > Fiorella Donati > Chirurgia plastica d’avanguardia

LA BELLEZZA È ARMONIA Corpi scolpiti e volti affascinanti. È il nuovo modello estetico che si sta imponendo dando vita a un’immagine non solo bella e perfetta, ma che sa di glamour e di modernità. Da viversi come affermazione della propria personalità nel sociale. Un miracolo che ogni giorno il chirurgo plastico Fiorella Donati compie su donne e uomini di tutte le età DI

MARILENA SPATARO

Correggere, modellare, migliorare l’insieme, ma non stravolgerlo. Fare un intervento di chirurgia plastica su un viso o su un corpo è come scolpire. Tenendo conto però di tutte le caratteristiche naturali della persona, che vanno rispettate in quanto la rendono unica e irripetibile. Questa la nuova frontiera della chirurgia plastica. Antesignana in Italia è la dottoressa Fiorella Donati, chirurgo plastico di dive, politici e potenti uomini d’affari che da sette anni vive e lavora a Milano, dove si è trasferita dopo una lunga permanenza in Inghilterra e negli Stati Uniti durante la quale ha seguito innovativi corsi di specializzazione. «A New York, Los Angeles, Miami ho mosso i primi passi lavorando con i maestri più grandi del mondo, i quali mi hanno insegnato a capire la bellezza oltre che a realizzarla» spiega Fiorella Donati. Che da bambina sognava di diventare un’artista ma, dice «da grande non ce l’ho fatta». Convinta che questo fosse il suo karma, ha trovato ugualmente la strada per realizzare il suo sogno dedicandosi con passione a quella che ama definire body art. «Non a caso – aggiunge – la mia preferenza è modellare, quasi scolpire, il viso e il seno. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di lavori di alto artigianato o di arte nel senso più ampio del termine». Quanto al rapporto con il paziente, la dottoressa Donati è convinta che debba essere improntato alla sincerità e che il chirurgo plastico debba possedere una grande sensibilità e doti da psicologo che gli permettono di difendere il

Fiorella Donati è tra i più famosi chirurghi plastici italiani, vive e lavora a Milano. Le tecniche da lei acquisite in lunghi anni di specializzazione negli Stati Uniti e in Inghilterra le permettono di realizzare interventi chirurgici e lifting del viso all’avanguardia. I clienti della sua clinica sono nella maggior parte dei casi, donne e uomini di successo


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Le nuove tendenze della chirurgia plastica Ci sono due tipi d’interventi sul viso: quello più moderno che ne recupera la bellezza riportandola alle caratteristiche del passato e quello che invece stravolge queste caratteristiche

Perché stravolgere la fisionomia delle persone che un tempo si piacevano? Esistono purtroppo ancora stereotipi in voga in buona parte della chirurgia plastica tradizionale: naso all’insù, occhi a mandorla, bocca enorme che messi insieme creano un effetto caricaturale

L’obiettivo da perseguire con il lifting del viso è l’effetto naturale Si ottiene con il riposizionamento delle fasce muscolari riportando il viso all’aspetto che aveva venti, trenta anni prima

Come in un fotogramma del passato Il viso modellato sulla base delle caratteristiche giovanili porta ad accettarsi e a essere accettati più facilmente perché è come guardarsi in un film

paziente da se stesso. Altra qualità indispensabile è essere onesti, il che alla lunga paga. «Il cliente se ne accorge, restando riconoscente per sempre» afferma convinta. Per questo, prima di intervenire con il bisturi, il paziente va ascoltato per capire quali siano i suoi desideri. «Una diagnosi attenta poi stabilirà se la chirurgia plastica potrà veramente apportare miglioramenti». Altri aspetti da non trascurare sono l’assistenza e la garanzia al paziente di tutta la serenità possibile fin dal primo momento in cui entra in clinica. «Si passa infatti da una situazione di benessere a un mondo in cui in qualche modo si prova dolore e dove, momentaneamente, la persona resta bloccata» spiega la dottoressa. Che nella sua clinica, oltre a fornire tutta la sua professionalità, non trascura la tutela della privacy dei pazienti. «Ho voluto – sottolinea – quattro entrate distinte con l’accesso su strade diverse per evitare imbarazzanti incontri tra persone note o che desiderano passare inosservate».

Com’è cambiata oggi l’idea di bellezza? Esiste ancora, al di là degli stereotipi, un solo canone estetico oppure ne esistono più d’uno? «Per il corpo il canone estetico è uno, ed è quello che esisteva già tra i greci e tra gli egiziani. Sia per la donna che per l’uomo, il corpo bello è alto, slanciato e magro. La regola d’oro, che poi vale in natura come nelle costruzioni dell’uomo, è di possedere la giusta proporzione tra le parti: una donna con le cosce lunghissime, anche se fa la modella, non è certo bella. Oggi piacciono anche le donne non esattamente perfette, ma comunque femminili. E la bellezza è considerata più una questione di armonia che di misure. Quanto al viso esistono più canoni estetici: labbra, occhi, naso, anche se presi singolarmente sono bellissimi, vanno armonizzati con l’insieme del volto. Ad esempio, le labbra di una persona di colore su un tipo nordico creano un effetto mostruoso e viceversa. Il compito del chirurgo plastico è


234 > PRENDERSI CURA > Fiorella Donati > Chirurgia plastica d’avanguardia

riportare il viso alla sua armonia rispettandone i contorni, le caratteristiche e le proporzioni senza stravolgerlo solo per adeguarsi a dei cliché. La chirurgia plastica non si deve vedere. Bisogna che la persona si riconosca nella sua personalità, nelle sue fattezze, nella sua cultura e anche, a volte, nella tradizione familiare. La bellezza è un fatto unico e irripetibile, il chirurgo plastico deve riportarla a quella di un tempo o, se si tratta di una ragazza, farla emergere. Ovviamente questa impostazione non riguarda i casi di patologie». La vanità e la lotta contro il tempo fino a pochi anni fa erano appannaggio solo delle donne. Ora sempre più uomini ricorrono alla chirurgia estetica. Qual è la sua esperienza in proposito? «Ho un molti pazienti uomini. La clientela italiana è più o meno la medesima che avevo a New York: capitani di azienda, amministratori delegati, manager, avvocati e grandi professionisti in genere. Tutta gente che deve dare un’immagine di sé giovane e rassicurante, ma che ha anche riscoperto il piacere della perfetta forma. Gli interventi più richiesti dagli uomini sono quelli alle palpebre superiori e inferiori per evitare l’aspetto stanco, il doppio mento che invecchia e

paziente? «Innanzitutto è necessario che il paziente che si rivolge al chirurgo plastico lo faccia spontaneamente e non spinto da altri. Si deve trattare di una decisione matura, autonoma e consapevole, presa in piena serenità e con gioia. Quando arrivano da me persone che hanno avuto recenti problemi sentimentali consiglio sempre di attendere un po’, questo per evitare che si tratti di scelte prese sotto l’onda emotiva della delusione. Lo stesso faccio con persone molto giovani, sempre che non presentino obiettivi problemi estetici». Quali sono oggi gli interventi più richiesti? E, soprattutto, quali sono le aspettative con cui più spesso si entra nel suo studio? «Gli interventi più richiesti sono quelli al viso, al

«Per il seno adotto la tecnica del dual plane che è molto innovativa, anche se un po’ più farraginosa, ma dà risultati di grande naturalezza e dura una vita» dà fastidio a chi indossa camicia e cravatta e le maniglie dell’amore sui fianchi, che in genere non vanno via nemmeno dimagrendo. Per le rughe gli uomini ricorrono al botox. In tal caso applico una tecnica di lifting particolare con cui rendo quasi invisibili le cicatrici visto che l’uomo, al contrario della donna, ha meno mezzi per nasconderle. Inoltre cerco sempre di evitare l’effetto eccessivamente curato, da modello». Quando è consigliabile effettuare un intervento estetico e quando invece è meglio dissuadere un

seno e la liposcultura. Quest’ultima va distinta dalla vecchia lipoaspirazione che non tiene conto dell’insieme delle forme. La liposcultura dà la possibilità, con piccoli ritocchi, di far tornare longilineo anche un corpo non perfetto. L’intervento di mastoplastica per essere soddisfacente deve creare un effetto equilibrato: un seno né troppo grande né troppo piccolo, naturale, leggermente a pera, schiacciato e molto mobile. Per ottenere questo risultato esiste una nuova tecnica la cui regola numero uno è posizionare la protesi sotto il muscolo, non sotto


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la ghiandola come si fa in genere. Io adotto la tecnica del dual plane, molto innovativa, anche se un po’ più farraginosa, perché dà risultati di grande naturalezza e dura una vita. Il viso va costruito in maniera naturale, affinché possa “invecchiare” senza prestarsi agli inconvenienti che troppo spesso si legano ai normali lifting». Iniezioni di botulino in pausa pranzo. Ormai si tratta di una consuetudine. Ma il botulino è consigliabile o no? Quali rischi si corrono? «Ho cominciato a praticarlo 16 anni fa in America. Il botox fatto male comporta sopracciglia che schizzano in alto oppure occhi che diventano tondi e zigomi che non si muovono più. Se fatto bene mantiene il movimento espressivo del volto pur togliendo le

Fare un intervento di chirurgia plastica su un viso o su un corpo è come scolpire rughe. Il baby botox, in tal senso, garantisce risultati eccellenti. In merito alla pericolosità del botulino ritengo sia inesistente visto che è da 35 anni che si usa in oftalmica e in neurologia con successo e senza rischi. Certo va utilizzato con perizia. È un po’ come la caffeina: se introdotta direttamente nel cuore provoca la morte, ma se assunta in modo razionale non crea problemi». Quali sono, invece, i criteri con cui riconoscere un bravo professionista? E quali sono i prezzi sotto i quali è meglio non scendere? «È bene rivolgersi sempre a chi ha una laurea in medicina con una specializzazione in chirurgia

Per interventi estetici che siano sicuri Bisogna rivolgersi a laureati in medicina che siano specializzati in chirurgia plastica e iscritti a una delle relative associazioni

plastica e l’iscrizione a una società di chirurgia plastica italiana. Bisogna diffidare da chi affronta la chirurgia plastica come semplice estetica o opera in un beauty center. I prezzi troppo bassi devono portare a sospettare sulla qualità. È importante rivolgersi a una clinica in cui ci sia estrema pulizia e tutto il personale necessario per praticare un vero e proprio intervento chirurgico». Lei si è mai fatta fare un intervento di chirurgia estetica o lo farebbe mai? «Nonostante i miei 51 anni non ho fatto nulla se non qualche puntura di botox da sola, ma sono molto propensa all’intervento. Sto cercando anche il chirurgo a cui rivolgermi, ci sono due miei professori negli Stati Uniti di cui mi fido moltissimo».


236 > PRENDERSI CURA > Melania De Nichilo Rizzoli > Un impegno costante

SPAZIO ALLA MERITOCRAZIA Le protagoniste della politica italiana si stanno facendo apprezzare per capacità, passione e dedizione. Per questo motivo, ne servirebbe qualcuna in più all’opera. Ne è convinta Melania De Nichilo Rizzoli, medico e deputata del Pdl, in prima fila per risolvere le priorità sanitarie del Paese DI FRANCESCA

DRUIDI

Io sono un medico e se arriva in ospedale un clandestino lo curo e basta». Il percorso politico della deputata del Pdl Melania De Nichilo Rizzoli non può prescindere dalla vocazione che ha sempre caratterizzato la sua esperienza di medico ospedaliero e di specialista per anni al lavoro in un reparto oncologico. Firmataria, insieme ad altri cento colleghi del Pdl, della lettera che invoca un ripensamento delle alimentari gravemente dannosi per la salute. Si tratta, infatti, di siti molto frequentati dalle ragazze, e oggi norme contenute nel pacchetto sicurezza e, in particolare di quella che consente la denuncia da parte dei anche dai ragazzi, che forniscono consigli pratici per il perseguimento ossessivo e compulsivo della perdita medici degli immigrati clandestini che si presentano di peso. Oscurare questi siti porterebbe i giovani negli ospedali, la deputata si sta distinguendo per coinvolti a spezzare la catena che li lega e li esorta un’intensa attività politica che verte sugli argomenti quotidianamente. D’altronde, anoressia e bulimia di maggiore interesse sanitario. Quelli che le stanno più a cuore. Unica donna medico del Pdl militante alla Camera, Melania De Nichilo Rizzoli invita a guardare con molta attenzione alle azioni delle esponenti della politica itaMelania De Nichilo Rizzoli, dal 2004 vicepreliana. No, niente quote rosa, ma ampio spasidente dell’AIL (Associazione contro le zio alla meritocrazia. Una delle sue ultime proposte in ordine di tempo, presentata assieme agli onorevoli Contento, Costa e Lorenzin, riguarda l’istituzione del reato di istigazione all’anoressia e alla bulimia. In che modo l’introduzione dell’articolo 580 bis del codice penale potrebbe, a suo avviso, contrastare il fenomeno? «Può innanzitutto contribuire a oscurare quei siti che inneggiano a comportamenti

Leucemie, i Linfomi e i Mielomi), che promuove come deputata del Pdl la ricerca e una migliore assistenza ai malati. È l’autrice del volume “Perché proprio a me? Come ho vinto la mia battaglia per la vita”, la cui prefazione è curata dal professor Umberto Veronesi, in cui ricostruisce le tappe della sua personale battaglia contro il tumore che l’ha colpita nel 2001, condotta insieme al suo ematologo, il professor Franco Mandelli


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sono patologie diffuse, che toccano molte famiglie impegnate in una battaglia difficilissima». Assieme a un gruppo trasversale di deputate, fra le quali Alessandra Mussolini e Barbara Pollastrini, ha chiesto l’assegnazione di metà delle poltrone all’interno del prossimo Cda della Rai a candidate donne proponendo, inoltre, Renata Polverini come presidente. Da cosa nasce l’esigenza di questa richiesta? «Siamo andate in aula leggendo l’articolo 51 della Costituzione che riguarda le pari opportunità, perché ci è sembrato singolare che non fosse mai stato proposto il nome di una donna nella partita delle nomine Rai. Si è trattato di una sortita provocatoria, ma che vuole invitare a riflettere sull’argomento». Non ritiene, quindi, opportuna l’assegnazione d’ufficio di cariche pubbliche alle donne? «Un’assegnazione d’ufficio no, però è necessario aprire le porte alle cariche delle donne, che numericamente restano poche. Anche se in questa legislatura le donne sono aumentate e il loro impegno politico è serissimo, costante e davvero presente». Più in generale, ritiene che il meccanismo delle quote rosa andrebbe istituito nei diversi settori della vita pubblica, sociale e politica del Paese? «No, in nessun ambito, perché in realtà dovrebbe essere naturale per le donne accedere a tutte le cariche e dovrebbe essere altrettanto naturale la presenza delle donne al tavolo in cui si decide l’assegnazione degli incarichi». Chi sono le donne del centrosinistra che stima di più, con cui oggi riesce a dialogare meglio? «Sono una grande amica di Paola Concia, Daniela Sbrollini, Anna Maria Serafini, con le quali riesco anche a dialogare benissimo dal punto di vista politico, confrontandomi su molti temi. Del resto, il rispetto delle persone e il riconoscimento delle loro capacità sono per me condizioni essenziali». Come giudica sinora l’operato e il modus operandi dei ministri donna del Governo Berlusconi?

«Niente quote rosa, perché dovrebbe essere naturale per le donne accedere a tutte le cariche e dovrebbe essere altrettanto naturale la presenza delle donne al tavolo in cui si decide l’assegnazione degli incarichi» «Sono ammirata, perché, a prescindere dal genere, i ministri donne stanno facendo molto di più dei loro colleghi uomini. Mara Carfagna ha macinato trequattro leggi in pochi mesi, Mariastella Gelmini è impegnata in una riforma importantissima della scuola e dell’Università, che scardinerà un potere baronale in vigore da anni, portando avanti con orgoglio il valore della meritocrazia. Stefania Prestigiacomo sta compiendo al meglio il suo dovere al Ministero dell’ambiente e anche la più giovane, Giorgia Meloni, sta assolvendo egregiamente al suo compito. Ben vengano le donne se questo è l’impegno profuso».


240 > RICERCA > Cinzia Marchese > Le nuove frontiere della sperimentazione

PREMIANDO IL MERITO SI COSTRUISCE IL FUTURO Le cellule staminali sono primitive quanto la vita sulla Terra. Contengono potenzialità infinite ma si scontrano con le incertezze dell’etica e della religione. Cinzia Marchese, direttrice del laboratorio di biotecnologie cellulari del Policlinico Umberto I di Roma, fornisce una prospettiva sul mondo della ricerca. Italiana e statunitense DI

MARIALIVIA SCIACCA

n Italia si stanno facendo notevoli sforzi per implementare il merito e trovare nuove regole di reclutamento e di valutazione sull’effettivo lavoro svolto». Nonostante la ricerca stia attraversando in ogni ambito del sapere uno dei periodi più bui della sua storia, Cinzia Marchese del Policlinico Umberto I di Roma, riconosce nel nostro Paese alcune realtà che impiegano tutte le energie possibili per portare avanti progetti e scoperte. Negli Stati Uniti, in cui la direttrice del laboratorio di biotecnologie ha lavorato, il parametro per pubblicare e continuare a studiare è il merito. In base all’effettiva produttività si è retribuiti e premiati, si tratti di ambito umanistico o scientifico.

I

L’Italia non accoglie i suoi ricercatori, che tendono a partire. Perché lei ha deciso di tornare

dagli Stati Uniti? «La ricerca in Italia soffre della mancanza di fondi e di investimenti sulle innovazioni. Mentre la scienza e la tecnologia svolgono una funzione decisiva nell’economia globale, i giovani ricercatori si allontanano dalle discipline scientifiche per paura del loro futuro. Negli Stati Uniti si investe sulla ricerca e credo che un periodo di studio o lavoro Oltreoceano rappresenti una tappa fondamentale per la formazione professionale. Tuttavia la maggiore difficoltà che si presenta al ritorno è dovuta alla mancanza di lavoro. Personalmente sono rientrata in Italia perché avevo un preciso mandato:


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imparare le nuove biotecnologie sulla ricostruzione in vitro di epitelio per il trapianto negli ustionati e dei nevi melanocitici giganti. E anche perché ho sempre creduto nelle sfide». Quali differenze esistono tra Stati Uniti e Italia nella ricerca medica? «Gli Stati Uniti sono un Paese decisamente meritocratico che utilizza al meglio le risorse umane di cui dispone e non mostra alcuna difficoltà a mettere da parte le persone, quando non all’altezza del compito. In Italia si stanno facendo notevoli sforzi per implementare il merito e trovare nuove regole di reclutamento e di valutazione sull’effettivo lavoro svolto, per stabilire chi veramente vale». Barack Obama ha eliminato il divieto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali e ha dato la possibilità di raccogliere fondi pubblici per chi fa ricerca. È un segnale importante? «Ritengo che Obama abbia dato il la a un nuovo programma di ricerca il cui frutto si potrà apprezzare solo in seguito. Le cellule staminali embrionali sono in grado, dividendosi, di produrne altre identiche, e nello stesso tempo di differenziarsi per costituire i vari tessuti degli organi. L’embrione nelle fasi iniziali contiene cellule staminali in grado di differenziarsi in tutti i tipi di tessuto; mano a mano che l’organismo si sviluppa, le staminali tendono a specializzarsi,

«In Italia si stanno facendo notevoli sforzi per implementare il merito e trovare nuove regole di reclutamento e di valutazione sull’effettivo lavoro svolto» conservando la capacità di differenziarsi in un numero via via minore di tessuti. In Italia la ricerca è limitata al solo utilizzo di cellule staminali adulte per quanto riguarda l’uomo. È consentita la ricerca per le cellule embrionali animali». Quali possibilità si apriranno per la ricerca? «Al di là delle considerazioni etiche, l’opportunità

Le cellule staminali, sono cellule primitive non specializzate dotate della singolare capacità di trasformarsi in qualunque altro tipo di cellula del corpo attraverso un processo detto «differenziamento». Nelle fasi iniziali dello sviluppo umano sono situate nell’embrione e diverse da ogni altra cellula dell’organismo. Si pensa che la ricerca sulle cellule staminali potrà rivoluzionare il modo di curare tante malattie come ictus, diabete, o il morbo di Parkinson.

offerta dallo studio sulle cellule staminali embrionali porterà a nuove scoperte nel campo della biomedicina, è tuttavia essenziale che vengano applicate severe regole morali che salvaguardino la sensibilità del pubblico che non condivide la scelta dell’utilizzo dell'embrione preimpianto ai fini della ricerca. L’Italia non si trova in prima linea nei progetti di ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma non si preclude di ricevere i benefici derivati dalla scoperta di nuovi farmaci e trattamenti: la possibilità che in futuro qualcosa possa mutare c’è». Crede che i cittadini italiani siano informati sulle cellule staminali? «Dopo il Referendum del 2005 sulla procreazione assistita molti italiani hanno sentito l’esigenza di informarsi su cosa siano. Oggi sono molte le notizie su questo argomento sui giornali. Nelle richieste di intervento dei pazienti si nota un senso di fiducia nelle scoperte più recenti che va ben oltre, purtroppo, la reale possibilità applicativa delle cellule staminali».


250 > MEDICINA > Maria Alessandra Rizzotti > Nuove metodiche

INTERVENTI SEMPRE PIÙ SOFT

DI

ELSA ACCOR

Sentirsi belle sostiene l’autostima e rende attraenti: ecco perché l’aiuto della medicina e della chirurgia estetica, non è più un tabù. Maria Alessandra Rizzotti, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, parla delle nuove metodiche

professione con un apporto innovativo continuo grazie ai materiali da utilizzare e alle apparecchiature impiegate in sala operatoria, ma non può ancora sostituire un intervento di blefaroplastica, rinoplastica o mastoplastica. Con le nuove apparecchiature a ultrasuoni focalizzati, uniti ad altre tecniche combinate per il trattamento della cellulite, come ad esempio le onde d’urto, si può ottenere un valido risultato sul rimodellamento corporeo senza dover necessariamente ricorrere alla liposuzione».

ebbene la chirurgia plastica sia considerata una disciplina “giovane” per alcuni aspetti psicosociali emersi negli ultimi decenni, collegati all’apparire e alla bellezza del corpo, ha già tanti anni di storia alle spalle. La chirurgia plastica è forse la specialità più vecchia del mondo. In alcune raffigurazioni risalenti all’antica India, si notano ricostruzioni del naso datate 3.000 anni avanti Cristo. «Un desiderio antichissimo di ricerca della bellezza che riflette l’aspirazione a un’armonia tra corpo e spirito», afferma la dottoressa Maria Alessandra Rizzotti, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. Membro della ESAAM (European Society of Anti-aging Medicine) e della American Accademy of Anti-Aging Medicine, svolge la sua attività professionale a Torino.

Per quanto riguarda il viso, quali possono essere le nuove metodiche per mantenere un aspetto più giovane? «Molto importante è la biostimolazione cioè la penetrazione tramite tecnica iniettiva o transdermica, di sostanze quali vitamine o polinucleotidi e altre per stimolare i fibroblasti, cellule deputate a produrre collagene e acido jaluronico con un effetto di riduzione delle rughe e rassodamento del tessuto. Per migliorare alcuni punti critici del volto si utilizzano i filler, cioè sostanze che vengono iniettate per attenuare rughe o i solchi naso labiali. Io consiglio e utilizzo esclusivamente i filler riassorbibili come il collagene o l’acido jaluronico, privi di effetti collaterali negativi quali possono invece avere i filler permanenti. Utile per distendere le rughe del volto e del collo è l’iniezione di tossina botulinica, dopo uno studio accurato della mimica della paziente un utile e importante apporto al ringiovanimento del volto in modo non invasivo è stato offerto dall’introduzione di tecnologie come la radiofrequenza i cui campi applicativi si sono allargati dal viso al corpo ad esempio per lassità dell’interno braccia, interno coscia, gluteo o addome».

S

Da anni lei è conosciuta come un’esperta che si prende cura della bellezza delle donne. Quali nuove frontiere si stanno aprendo in questo campo di grande attualità? «Penso che le “nuove frontiere”, più che nel campo della chirurgia estetica si stiano aprendo maggiormente nell’ambito della medicina estetica e antiaging attraverso anche la medicina preventiva. Le ricerche sono finalizzate all’esigenza attuale di rimanere giovani il più a lungo possibile in una società che anagraficamente, al contrario, invecchia di più. Ormai l’età anagrafica ha solo un valore burocratico, più veritiera è l’età biologica». Oggi si tende a ricorrere a “ritocchini” soft. Pensa che nel futuro alcuni interventi di chirurgia estetica potranno essere “obsoleti” o addirittura superati da metodiche meno invasive? «La tecnologia modifica costantemente la nostra

Come può un paziente valutare le soluzioni migliori per risolvere i propri inestetismi? «Innanzi tutto è importante la scelta del professionista al quale affidarsi. Credo che il meccanismo migliore sia sempre il passa parola, perché non sempre internet o altri mezzi di informazione possono avere controlli su alcuni medici purtroppo poco affidabili. Scelto il professionista, si devono verificare con lui le proprie aspettative e le modalità con le quali si possono realizzare».


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«Penso che le “nuove frontiere”, più che nel campo della chirurgia estetica si stiano aprendo maggiormente nell’ambito della medicina estetica e antiaging anche attraverso la medicina preventiva»

La dottoressa Maria Alessandra Rizzotti, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. rizzotti.maria@libero.it


252 > RAPPORTI > Alessandro Meluzzi > Madre e figlia allo specchio

TALIS MATER TALIS FILIA DI

LARA MARIANI

Una buona madre, capace di essere tale in tutte le tappe della maternità, candida la figlia a essere a sua volta una buona madre. La trasmissione del valore della maternità e le sue devianze attraverso lo sguardo di Alessandro Meluzzi Una relazione decisiva. Una variante del rapporto tra madre e figlio maschio, ma che presenta delle specificità in più. Fatte di identificazioni, proiezioni, contrapposizioni. In una dimensione che può essere più o meno equilibrata, ma sicuramente inevitabile. È la relazione che si instaura tra una madre e la propria figlia e tra una figlia e la propria madre. Cosa caratterizza questi rapporti? In quali casi essi assumono forme patologiche? Il professor Alessandro Meluzzi, psicologo, specialista in psichiatria e psicoterapeuta, esamina le relazioni complesse che seguono la maternità perché, inevitabilmente, l’interiorizzazione di modelli identitari passa attraverso il rapporto con la figura parentale dello stesso sesso.

«È dall’esempio che si interiorizzano i valori essenziali come la maternità, l’affetto profondo e la famiglia. Le figlie sono attentissime a quello che le madri fanno, piuttosto che a quello che le madri dicono» A suo parere, quale tratto psicologico caratterizza maggiormente il rapporto madre-figlia, al giorno d’oggi: complicità, conflitto, indifferenza oppure dipendenza? «Direi, al di sopra di tutto, il narcisismo. Con una tendenza purtroppo patologica delle madri a scimmiottare i tic e le manifestazioni del linguaggio corporeo e non verbale delle figlie. Con conseguenze devastanti per entrambe». Quindi madri immerse nel pieno dell’adolescenza. Quali sono gli effetti di questa situazione? «Nelle forme più innocue vi sono effetti solamente di tipo estetico. Altre volte, questa situazione assume la forma dell’inquietudine sentimentale, o peggio della gelosia delle madri nei confronti delle figlie e in tal caso le conseguenze sono molto più gravi». Madri che cercano una sorta di giovinezza eterna e figlie che assumono alcuni comportamenti “adulti” sempre più precocemente. Non si rischia una sorta di insana confusione dei ruoli? «Esattamente. Laddove invece è fondamentale la certezza e la chiarezza delle

Alessandro Meluzzi, psicologo, specialista in psichiatria e psicoterapeuta


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posizioni».

Cosa dovrebbero fare le madri per cercare di correggere questi atteggiamenti? «Ben poco, perché il narcisismo è una delle classiche psicopatologie di cui non ci si rende conto. E quindi la prima cosa che si dovrebbe fare è prenderne consapevolezza. Questo sarebbe già di per sé un primo segnale di guarigione, ma, purtroppo non è né così scontato né così facile». Alla competizione dovrebbe sostituirsi la complicità? «Non dovrebbe mai esserci neppure complicità, soltanto una distinzione dei ruoli colorita affettivamente, ma nulla che porti a confondere la madre con un’amica. La figura materna può essere amichevole, si può instaurare un rapporto tenero, confidente, ma altro è un’amica, altro è una madre». Anoressia e bulimia. La psicologia le vede

«Una figlia può definirsi solo in riferimento alla figura materna attraverso la contrapposizione o l’identificazione»

Essere vale più delle parole

Il vissuto della madre e la sua storia incidono sulla figlia più degli insegnamenti detti, ed è fondamentale, e alla base dell’essere madre, un lavoro su di sé.

Cibo e maternità Una distonia profonda tra madre e figlia è una costante nei casi di disturbi alimentari.

legate al rapporto con la figura materna. Lei è d’accordo? «Direi che la presenza di una certa distonia dei rapporti tra madre e figlia è presente nella maggior parte dei casi di disturbo alimentare, anche perché questa patologia, oltre che un disturbo dell’umore e delle pulsioni, è definibile come un disturbo dell’identità. E inevitabilmente l’interiorizzazione di modelli identitari avviene attraverso il rapporto con la figura parentale dello stesso sesso». È inevitabile che la figlia impari a essere donna e a essere madre attraverso l’esempio che le viene proposto all’interno delle mura domestiche. E questo in alcuni casi comporta delle patologie. «Le anoressiche hanno madri che sono “troppo”. Troppo belle, brave, intelligenti, buone, cattive, troppo in carriera, troppo poco in carriera.


254 > RAPPORTI > Alessandro Meluzzi > Madre e figlia allo specchio

©Olycom

Mamme più soddisfatte, meno ansia nel crescere le figlie

Gianna Schelotto, psicoterapeuta, saggista, giornalista e scrittrice

Negli ultimi cinquant’anni, il ruolo della donna è senza dubbio mutato. Il modo in cui questo passaggio segna oggi il rapporto madre-figlia è l’oggetto della chiaccherata con la psicoterapeuta e scrittrice Gianna Schelotto. Come è cambiato il ruolo di madre? «La maternità rimane un nodo essenziale legato all’identità femminile, ma sono molte le donne che oggi hanno scoperto altri ruoli paralleli. Sanno di poter essere “altro” e ciò alleggerisce in maniera notevole le tensioni, i conflitti e le ambiguità che a volte caratterizzano il ruolo di madre». Uno dei luoghi comuni più diffusi vede l’Italia come un

Insomma donne che non consentono né competizione, né emulazione né contrapposizione. Invece una figlia può definirsi solo in riferimento alla figura materna o attraverso la contrapposizione, oppure attraverso l’identificazione. In ogni caso si definisce in relazione a un soggetto, la madre, che se inarrivabile, porterà a un senso di irrisolutezza e all’evolversi successivo della patologia».

Quali manifestazioni patologiche più frequenti possono colpire il legame madre figlia, a parte quelle già citate? «La depressione, che è legata alla percezione di non essere amata. La cosiddetta ferita dei non amati, e delle non amate in questo caso, provoca una sorta di vulnerabilità abbandonica. Una fobia collegata agli attacchi di panico, legata alla percezione della discontinuità e dell’insicurezza dell’attaccamento, che in forme estreme di disaffettività e confusività può produrre persino psicosi. Ma questo vale per tutti i rapporti, sia quelli con i maschi sia quelli con le femmine».

Paese di “mammoni” attaccati alle gonne materne. Vale anche per il rapporto madre-figlia? «Per i figli, sia maschi che femmine, la mamma rappresenta il primo oggetto d’amore. Però nella fase edipica le bambine si staccano dalla madre, devono in qualche modo “rinnegarla” per legarsi al genitore dell’altro sesso, cioè il padre. È una sorta di tappa obbligata. Per i maschi questo non avviene: anche quando il padre entra nel loro orizzonte affettivo, non vivono un allontanamento dalla propria madre. Ciò fa sì che nelle figlie sia più precoce l’esperienza del distacco». Quali sono i conflitti madrefiglia nella nostra epoca?

Finché si arriva ai casi più estremi. Basti pensare agli ormai noti e sconcertanti casi di cronaca degli ultimi anni che riguardano proprio il rapporto madre-figlio. Cogne e Novi Ligure. Un caso o un segno dei tempi? «Del patricidio, del matricidio, dell’uxoricidio, dell’uccisione dei figli è piena anche la tragedia greca. Quindi direi che questa esplosione di violenza estrema che fa irrompere la tematica del senso tragico della vita è antica come l’uomo stesso. Oggi l’unica variante che fa la differenza è l’amplificazione mediatica che contribuisce a farla divenire una kermesse permanente». In Italia si diventa madri in età sempre più avanzata. Quali conseguenze psicologiche si possono avere durante la gravidanza e in seguito nell’educare i figli? «I rischi della gravidanza aumentano a cominciare da quelli ostetrico-ginecologici, genetici e neuroendocrini. Ciononostante tanti bambini e bambine nascono da madri ultraquarantenni.


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«Ritengo che certi sentimenti, un tempo decisamente più mascherati, riescano nell’epoca che stiamo vivendo a mostrarsi in tutta la loro forza. Oggi le mamme sono molto più simili alle loro figlie e le barriere generazioni risultano maggiormente allargate. Non è per niente raro trovare una mamma ancora bella ed elegante, che dimostra meno anni della sua effettiva età anagrafica ed è, quindi, in grado di catturare lo sguardo e l’ammirazione della gente. Per questo, a volte, può nascere una competizione tra madre e figlia». Si parla spesso di mammeamiche. Lei cosa ne pensa? «Si riscontra questa situazione, perché per qualche donna a

volte è difficile assumere il ruolo di madre e appare, dunque, più semplice essere amiche delle proprie figlie. In realtà, mi sembra più giusto che ognuno mantenga il suo ruolo, sebbene interpretato in maniera più libera, sciolta e moderna. Le figlie hanno, infatti, bisogno delle madri come punti di riferimento, non come amiche. Necessitano di una figura che sia severa, che insegni, si arrabbi, vieti e sgridi. Verrebbe altrimenti meno un elemento fondamentale nella loro crescita». Esistono aspetti della vita quotidiana che legano in modo privilegiato una madre alla propria figlia e viceversa? «Dipende dalle storie e dai

Direi che considerando l’allungamento della vita media, questo non è un problema, anzi madri mediamente attempate possono avere un’attenzione e un’attitudine nella relazione con i figli più stabile e matura di quanto non sarebbe avvenuto nel tempo precedente».

Non si pone poi il problema di una troppo ampia distanza generazionale? «Direi che questa non è una questione allarmante. Certamente si accorciano i tempi da dedicare all’essere nonna anche perchè diventare nonna a 45 anni non è la stessa cosa che diventarlo a 7075. Semplicemente lo si sarà per un tempo più breve. Comunque è sempre dall’esempio che si interiorizzano alcuni valori essenziali, come la maternità, l’affetto profondo, la famiglia. E ciò avviene a qualsiasi età e si apprende non attraverso le parole, ma attraverso la vita: le figlie sono attentissime a quello che le madri fanno, piuttosto che a quello che le madri dicono. Questa è la ragione per cui il motto talis mater talis filia in latino aveva un senso, perché, soprattutto

contesti che fattivamente si stabiliscono, dal tipo di lavoro che si svolge, dal legame che si vive giorno dopo giorno e anche dalle dinamiche interne ai genitori, si veda ad esempio il divorzio. Sono tutte variabili che vanno a influenzare il rapporto tra madre e figlia». Come valuta questo rapporto oggi nella società attuale? «Questo legame, almeno in teoria, dovrebbe configurarsi in maniera più sana che in passato. Essendo le mamme meno insoddisfatte, non hanno bisogno dei figli per colmare le proprie mancanze che, quindi, non diventano uno strumento di riscatto. Una maggiore soddisfazione delle madri porta a una maggiore libertà e serenità nella crescita dei figli».

Alessandro Meluzzi,torinese, è un medico psichiatra, oggi docente di Genetica del comportamento umano a Siena e di Salute Mentale a Torino. Ha avuto alterne partecipazioni politiche con schieramenti diversi. È spesso, nella veste di psichiatra, ospite e opinionista nella trasmissione televisiva L'Italia sul 2 e in numerosi reality sulle reti Mediaset.

rispetto ai profili comportamentali, etici o morali, osservare i vissuti della madre poteva essere predittivo nei confronti dei comportamenti della figlia. Una buona madre, capace di essere tale in tutte le tappe della maternità, candida la figlia a essere a sua volta una buona madre. La trasmissione del valore della maternità, in termini di apprendimento, cultura di relazioni, affetti e comportamenti è fondamentale nella vita di una donna».


256 > INSIEME > Francesco Alberoni & Rosa Giannetta > Sull’affettività

INNAMORIAMOCI ANCORA DEL QUOTIDIANO Sentimento. Affettività. Amore. Della loro progressiva sparizione si discute da tempo. Ma secondo il sociologo Francesco Alberoni e sua moglie Rosa Giannetta l’inaridimento dei sentimenti riguarda solo una minoranza di italiani. Perché ancora oggi ci si innamora e si resta innamorati, di un altro, di se stessi, degli altri? Per meritarsi la vita nel suo significato più autentico di Lorenzo Berardi affettività è in via d’estinzione? Certo, che la sfera sentimentale nella sua accezione più nobile, quella intima e personale, appartenga ormai a una minoranza individui pare essere un’esagerazione. Tuttavia, è vero che si avverte una crescente necessità di mischiare e confondere il pubblico con il privato in un’ostentazione degli affetti che poco ha a che vedere con la loro natura più intima. Effetto della televisione, ma non solo. «La realtà non è quella raccontata dai talk show» rassicura il sociologo Francesco Alberoni, autore del celebre studio Innamoramento e amore che trent’anni fa, sulle orme di Stendhal, investigava sulle dinamiche che portano al riconoscimento in noi stessi del sentimento nei confronti di una persona cara. Secondo Alberoni, non è il caso di prestare ascolto a quelle sinistre cassandre che preconizzano una totale sparizione degli affetti nell’immediato futuro. Una visione condivisa dalla moglie del professore, Rosa Giannetta, anche lei nota sociologa, secondo cui esiste appena «una piccola percentuale di nottambuli inquieti o perditempo che fa molto fracasso, monostorta dei riflettori. «Persone che si alzano al mattino polizzando l’attenzione dei media e dando l’imprese vanno a lavorare – afferma Alberoni – magari fasione che l’amore e l’affetto siano scomparsi». cendo i pendolari, magari facendo dei turni e che laHabitué dei teleschermi che non perdono occasione vorano anche durante le feste o di notte: gli per sbandierare in diretta la crisi del rapporto di cop- infermieri, i medici, i volontari, i tranvieri, i ferropia e la superficialità affettiva di una frenetica vita vieri, gli equipaggi degli aerei, i marinai, i poliziotti, i moderna, mentre in Italia ci sono tuttora, assicurano carabinieri, i finanzieri, i baristi». E perché questi migli Alberoni «milioni di coppie che si amano e lioni di persone lavorano? Chiede Alberoni. «Per la amano». Persone autentiche e che conducono una propria dignità – risponde sua moglie – ma sopratvita quotidiana distante dalla luce accecante e ditutto per le proprie famiglie. Perché nella vita prima

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Francesco Alberoni, sociologo e giornalista. Sulla natura dell'amore e le relazioni fra individui, ha scritto il celebre Innamoramento e amore, pubblicato nel 1979 e tradotto in 45 Paesi. Nella foto piccola in alto i coniugi Alberoni, entrambi sociologi


258 > INSIEME > Francesco Alberoni & Rosa Giannetta > Sull’affettività

il denaro non è un dio». Tuttavia, anche per chi ha smarrito la strada che conduce ai sentimenti esistono possibilità di recuperare quella sfera affettivoamorosa lasciata indietro a patto di «rafforzare lo spirito, la mente e spendersi per gli altri – ammonisce Alberoni – perché vivere significa meritarsi la vita». E ciascuno, se vuole, ribadisce la moglie Rosa «può trovare trova la via per raggiungere questa meta».

c’è la sfera della famiglia nella quale non mancano affetto e amore. I genitori sono le uniche persone che ci amano per tutta la vita, e anche oltre. Anche quando i figli diventano autonomi, infatti, i genitori vigilano a distanza, pronti a soccorrerli in caso di necessità». Il deserto dell’affettività Ricordata la valenza dei legami familiari, è innegabile che in Italia si avverta una sorta di “inaridimento sentimentale”. Secondo il professor Alberoni «la causa del fenomeno sta nel volere tutto e subito, senza avere faticato per conquistarsi una professione. E nel non aver capito che non basta prendersi cura solo del corpo, ma anche e soprattutto dello spirito». Ma senza rafforzare lo spirito e la mente non si può avere una statura morale e una personalità, né cogliere appieno il senso della vita. Ecco che allora per riempire il vuoto «si ricorre all’alcool, alla droga, all’orgia di sesso, talvolta al malaffare, pur di procurarsi il denaro per soddisfare le proprie voglie – sottolinea Rosa Giannetta Alberoni –. Ma poi arriva la scoperta che il denaro non basta, perché soddisfatta la fisicità con il sesso a volontà, con la moda, con la droga, con i viaggi, ma senza appagare l’animo». Una minoranza di persone costantemente in preda ad ansie e paure di ogni tipo e che si è costruita un sistema di valori effimero, perché come sintetizza Francesco Alberoni: «Non riesce a comprendere che

L’importanza dell’educazione Per tornare a orientarsi sulla via dei sentimenti non occorre consultare mappe comportamentali perché «amare è la tendenza primaria di ogni essere umano – dice Rosa Giannetta Alberoni –. Amiamo sin da piccoli, ci prodighiamo per farci ammirare, accettare, per assicurarci che esistiamo e contiamo nella nostra comunità». Ma se nei decisivi anni dell’infanzia i giusti valori non vengono indicati e insegnati ai bambini in maniera corretta dalla scuola e dalla famiglia, controllando poi che prendano forma nei comportamenti quotidiani «i bambini seguono le pulsioni. E le pulsioni – avverte Alberoni – comandano una sola cosa: “mors tua vita mea” secondo una regola che è adatta agli animali selvaggi, non all’essere umano». Spazio dunque a un’educazione responsabile delle nuove generazioni che non dimentichi i sentimenti e i valori familiari, per smentire il criterio della sopraffazione reciproca. Il tutto in un quadro in cui il ruolo delle figure tradizionali all’interno della famiglia è cambiato, con donne, madri e mogli sempre più in carriera e uomini talvolta deboli o assenti. Anche se Giannetta Alberoni fa i necessari distinguo: «Le donne in carriera sono poche rispetto al totale di quelle che lavorano. I media però parlano soltanto delle donne di potere, e allora si potrebbe ricavare l’impressione che il mondo sia così. Il rovesciamento dei ruoli, invece, è un’utopia, e per fortuna». E il marito precisa: «La società cambia, perché il cambiamento viene sempre imposto dalla vita. Vivere significa cambiare, in meglio o in peggio, dipende dalle epoche storiche». Entrambi gli Alberoni concordano sul fatto che il ruolo dell’essere al femminile o al maschile resta indispensabile ed è da questa diversità che sorge l’armonia, la bellezza, e la sostanza che costituisce una comunità


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«Amiamo sin da piccoli, ci prodighiamo per farci ammirare, accettare, per assicurarci che esistiamo e contiamo nella nostra comunità» civile e coesa. «Non si scherza con gli archetipi – avvertono –: il bambino ha l’esigenza di crescere in mezzo a una figura materna, morbida, accogliente, complice. E di una figura maschile che gli dia la sensazione della forza, della sicurezza, e anche del timore. Se talvolta il rovesciamento dei ruoli avviene, è un ibrido, e resta minoranza». La forza di volersi bene Per secoli affettività, amore e dolcezza sono state ritenute caratteristiche prettamente femminili e perciò appartenenti a un “sesso debole” in contrapposizione a quell’idea di “uomo forte” alla base di una società patriarcale. Un fraintendimento che gli Alberoni ritengono determinato da «stupidità e pigrizia». Ma è tutta la concezione di forza e debolezza nella odierna società italiana che va reinquadrata sotto una nuova ottica: «I forti – sostiene Francesco Alberoni – sono coloro che si guadagnano da vivere, coloro che trasmettono sicurezza, coloro che hanno una statura morale e forza d’animo. Coloro che nelle avversità sanno sperare oltre ogni speranza. Sono i docenti, gli allenatori, i leader politici, i padri e le madri degni di esserlo, coloro che lottano contro le malattie gravi e non perdono mai la speranza. Coloro che si alzano tutte le mattine e vanno a lavorare, magari per pochi euro e faticano a far quadrare i conti, ma sanno nel profondo del loro cuore che il vento della

storia cambierà, basta avere la pazienza di perseverare». I deboli, invece, secondo Rosa Giannetta Alberoni sono «i ladroni, i predoni, i vanitosi, e tutti coloro che creano il coro del lamento. Chi si lamenta vuole sempre di più, vuole tutto, vuol comandare. E vuole che il tutto gli arrivi dal cielo, come la manna». I due sociologi lanciano un’accusa ben precisa ai mass media, colpevoli di aver creato e diffuso quel modello dell’uomo o della donna vincente a tutti i costi che è oggi dilagato nella società e in modo parallelo nei comportamenti quotidiani determinando una mancanza di valori. «Sarebbe ora – dicono entrambi – che i media cominciassero a indicare altri modelli, quelli alti. A parlare anche delle scommesse vinte e perse dalla gente che lotta». Ma un compito fondamentale spetta anche alle scuole che devono «dimenticare i pedagoghi che osannano gli impulsi in libertà, che lodano l’insegnante che ascolta ciò che vuole il bambino. A scuola – sostengono all’unisono – c’è un modello sano da ripristinare: l’insegnante parla, educa, valuta, comprende le inclinazioni degli allievi. E l’allievo ascolta ed esegue ciò che gli viene ordinato. Oggi dobbiamo comprendere che la mamma dei diritti si chiama responsabilità, cultura. onestà, lealtà, fatica, perseveranza, vigilanza, spiritualità, ricchezza della mente. È questo il patrimonio che nessuna crisi economica o politica può portare via».


260 > FILOSOFIE > Luisa Muraro > Riflessi di saggezza

Luisa Muraro, nata a Montecchio Maggiore (VI) nel 1940, è una filosofa italiana. Fu tra le fondatrici della Libreria delle donne di Milano e della Comunità filosofica di Diotima


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FINITO IL PREGIUDIZIO È ORA DELL’ORGOGLIO Luisa Muraro, filosofa, fondatrice della Libreria delle donne di Milano e della Comunità filosofica di Diotima, nonché profonda conoscitrice del femminismo delle origini, indaga il movimento di oggi. Tra conquiste (non solo per le donne) e fallimenti. E dice: «È necessario allargare l’orizzonte, solo così si afferma la grandezza femminile» di Laura Pasotti «Il concetto di “battaglia femminista” risale all’Ottocento. È un concetto che mi piace, anche se bisogna fare attenzione. Il femminismo odierno non è una battaglia. Lo definirei, piuttosto, un campo di battaglia. Sul quale si scontrano idee, posizioni e interessi contrastanti, che riguardano tutta la società, non soltanto le femministe». È il pensiero di una che il femminismo, quello delle origini, lo conosce bene. Luisa Muraro, tra le fondatrici della Libreria delle donne di Milano e della Comunità filosofica di Diotima, che dice: «Tra queste, una fra le maggiori, è quella per la conciliazione tra lavoro retribuito e maternità.

Oggi i rapporti fra i sessi sono più complicati e più fragili, ma certamente più liberi. E la differenza sessuale si incarna nella singolarità Anche se conciliazione non è un termine adatto. In realtà, si tratta di ripensare l’organizzazione del lavoro per farvi entrare, positivamente, esigenze ed esperienza di cura della vita». Quali sono le vere conquiste del movimento femminista? «Il femminismo ha portato molti cambiamenti, alcuni dei quali costituiscono guadagni di civiltà, non solo per le donne. Al primo posto, io metto il senso libero della differenza sessuale. In passato, uomini e donne dovevano conformarsi a modelli imposti a seconda del sesso di appartenenza e al sistema dell’ete-


262 > FILOSOFIE > Luisa Muraro > Riflessi di saggezza

Le protagoniste della mistica cristiana Come disse Carla Lonzi, “sono donne meno illuse, meno compromesse, più salde nell’esperienza personale, con un nucleo indistruttibile nella riconosciuta fragilità. Di loro mi ha colpito, soprattutto, l’originalità del pensiero

Quote rosa o meritocrazia? Io non credo a questo confronto. Mi sembrano varianti della stessa visione progressista. E io non sono progressista. Non cerco quello che mi sta a cuore su percorsi stabiliti da altri

rosessualità obbligatoria. Oggi i rapporti fra i sessi sono più complicati e più fragili, ma certamente più liberi. E la differenza sessuale si incarna nella singolarità. Poi viene il miglioramento dei rapporti tra donne, quello tra madri e figlie in primis. Le madri hanno smesso di imporre alle figlie la legge del padre. Più in generale si può dire che è finito il patriarcato. Questi cambiamenti ne hanno portati altri. La medicina si interessa della salute delle donne. Le donne stanno diventando la parte più colta e istruita del corpo sociale. Sono entrate nel mercato del lavoro. Ci sono problemi, è chiaro, ma detesto la politica che fa leva su lamento e recriminazione». E dove, al contrario, il movimento ha fallito, secondo lei? «Non si può chiamare fallimento, o non ancora, ma è certo che non siamo riuscite a far intendere il vero spirito del femminismo del XX secolo. Non sto parlando del confronto con gli uomini, ma della presa di coscienza e della libera realizzazione di sé, nella indipendenza da modelli esteriori. Abbiamo fallito in pieno, invece, nell’introdurre un uso corretto di maschile/femminile per i nomi di professioni e cariche che in passato erano solo maschili. È un fenomeno solo italiano, rispetto al

quale sciatteria e disordine regnano sovrani. E poi c’è la questione dell’aborto, che non si può sollevare per le reazioni poco appropriate dei politici. La posizione femminista, che molti confondono con quella radicale, era di considerare l’aborto fuori dal diritto, depenalizzarlo per trovare risposte più giuste. Ha prevalso la “soluzione” di legalizzarlo, sottoponendolo alla legge, come ora si sta facendo per la fine della vita. Ma sovrapporre ciò che è giusto/ingiusto e ciò che è legale/illegale non ci aiuta a operare secondo giustizia. Non so se fallimento sia la parola esatta. Ma è triste constatare che la prostituzione non è calata. Più difficile è valutare l’andamento della violenza sessista e familiare, rispetto al quale molte stanno combattendo e anche gli uomini mostrano un inizio di presa di coscienza. Questo mi rende meno pessimista». Donne sempre più mascoline e uomini che hanno perduto i caratteri tradizionali di autorità e forza. La differenza esiste ancora? «Caduti i ruoli fissi, si ha l’impressione di entrare nella confusione, o peggio, nell’indifferenza sessuale. Non è un’impressione sbagliata, è il risvolto inquietante della libertà. Il cambiamento in corso mostra però di avere una direzione. Gliela dà


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Esistono spazi per il confronto tra donne? Esistono eccome. Il problema è semmai che la società femminile è ancora gracile. Quello che manca è il tempo per noi stesse. Per trovarlo a volte bisogna farsi violenza

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Frequentare le proprie simili per scelta è un’esperienza che vale la pena di essere vissuta

il sentimento che l’essere donna è un titolo di umanità cui non manca nulla, nemmeno l’apertura all’assoluto. Quello che fino a ieri è stato una causa di discriminazione, “è una donna”, sta diventando un titolo di eccellenza». Quote rosa per favorire l’ingresso delle donne ai vertici economico-politici del Paese o meritocrazie e valore individuale. Lei da che parte sta? «Da nessuna. Mi sembrano varianti di una stessa visione progressista. E io non sono progressista. Non cerco quello che mi sta a cuore su percorsi stabiliti da altri, con i loro criteri e i loro tempi. Se c’è bisogno di donne nel governo della cosa pubblica, gli uomini facciano un passo indietro. E noi faremo la nostra parte. Il mio impegno è un altro. Consiste nello scoprire in me, nelle altre donne, nella realtà storica, la grandezza femminile e affermarla. Subito. Con i mezzi che abbiamo. Alzando il cielo e allargando l’orizzonte si otterranno anche i guadagni dell’emancipazione, se una li vuole. Ma non riduciamoci a questo». Quali sono i tratti essenziali dello stare insieme tra donne? «È come galleggiare su un mare di emozioni

profonde e oscure. Frequentare le proprie simili per scelta, o farne una scelta, è un’esperienza che vale la pena di essere vissuta. Non ci si annoia mai come capita, al contrario, con gli uomini. Che sono creature interessanti, ma semplici». Lei ha approfondito lo studio delle protagoniste della mistica cristiana. Che cosa l’ha colpita di più in loro? «Il fatto storico della loro esistenza non tramandata, non iscritta nella tradizione. Ho studiato in due università cattoliche e nessuno ce ne ha mai parlato. Di loro stesse mi ha colpito, e lo dico con le parole di Carla Lonzi, che sono donne meno illuse di altre, meno compromesse, più salde nell’esperienza personale, con un nucleo indistruttibile nella riconosciuta fragilità. Infine, mi ha colpito soprattutto l’originalità del pensiero che, pur nelle grandi differenze tra l’una e l’altra, tra un’epoca e l’altra, si riassume nella proposta di una teologia in lingua materna che si basi sulla mediazione vivente e non sulle dottrine costruite. I risultati sono sorprendenti. Basta pensare a quanto sono differenti e coincidenti nella loro teologia donne come Giuliana di Norwich e Margherita Porete».


264 > SPIRITUALITÀ > Alessandra Borghese > La luce dell’anima

LA GUARIGIONE DEL CUORE La religione come impegno. E la spiritualità come dono, da curare e testimoniare. Alessandra Borghese racconta cosa significa, oggi, accogliere il sacro. E perché avere fede non è affatto superfluo DI ALMA SANTILLI

Quando nel 2004 Alessandra Borghese diede alle stampe Con occhi nuovi, il racconto intimo e sincero della sua rinascita spirituale, del suo rinnovato incontro con Dio, si parlò di una vera e propria conversione. Difficile in effetti interpretare altrimenti la svolta descritta nel libro, che aveva portato una principessa romana di antico lignaggio, laureata nella prestigiosa John Cabot University e avvezza ai ritmi del business newyorkese, prima, e agli ambienti artistici e culturali capitolini, poi, ad abbracciare con tale slancio una fede essenziale e fortissima. Eppure, a ben guardare, c’è un filo che lega queste esperienze così diverse. Ed è la passione, l’entusiasmo, che possono e devono albergare anche nel sentimento spirituale. Perché oggi, ricorda Borghese, la vera minaccia non è la negazione del sacro, ma il nichilismo, l’indifferenza. Che ignora le differenze di credo e di fatto le annulla. Annullando anche l’onere di dover scegliere. E di tracciare, in base a tale scelta, il proprio, personale cammino. Dall’economia alla cultura fino alla spiritualità. La sua parabola di vita ha toccato mondi molto diversi. Cosa ha imparato in questo percorso? «Ho imparato il senso del dovere e della disciplina. Mi sono più volte reinventata, spaziando in campi diversi: dal management alla cultura, fino al giornalismo e alla scrittura. E ho intrapreso ogni mia avventura professionale con passione ed entusiasmo». Quali sono i suoi punti di riferimento spirituali? «La Santa Messa è un punto di riferimento fermo nella mia vita. Ovunque mi trovi nel mondo cerco sempre una chiesa cattolica e mi informo sugli orari della celebrazione liturgica». La società odierna rispetto al sacro sembra avere da un lato un desiderio di recupero, dall’altro una sorta di rifiuto. Da dove nasce questa contraddizione? «Più che un rifiuto, vedo indifferenza. Un certo nichilismo che ci porta sempre più lontano dalla fede cristiana. Da ciò deriva anche una grave crisi educativa per le nuove generazioni. Se non si spiegano le differenze e si pone tutto sullo stesso piano, impegnarsi per qualcosa in particolare può sembrare superfluo. Se tutte le religioni sono uguali perché scegliere di essere cristiani?».

Una fede da condividere “Un tuffo nella Fede, nella Grazia e nella Carità”. Così Alessandra Borghese, nel libro Lourdes. I miei giorni al servizio di Maria, edito da Mondadori, descrive la propria esperienza in uno dei luoghi più suggestivi della cristianità


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«Ogni qualvolta mi reco al santuario di Lourdes è come se fosse la prima volta. Provo sempre una forte emozione»

Esiste ancora una dimensione mistica nel mondo attuale? «La mistica è la ricerca di una dimensione spirituale distaccata dalle cose materiali. In una società come la nostra, dove troppo spesso si viene giudicati per quello che si ha e per come si appare più che per il nostro essere, può far sorridere parlare di mistica. Eppure ho conosciuto molte oasi spirituali. Basti pensare ai bellissimi monasteri sparsi sul nostro territorio». Quali sono i grandi temi intorno ai quali può coagularsi, oggi, una vera tensione spirituale? «Le tematiche sono sempre le stesse da duemila anni. Il grande evento della nostra fede è l’incontro con Gesù Cristo. Una persona viva, e non un mito, che ha vissuto 2000 anni fa sulle strade della Palestina. Una persona che può cambiare radicalmente la nostra vita. Nel mio libro Con Occhi Nuovi ho raccontato la storia della mia conversione e di questo incontro». Dal 2005 lei è Hospitalière del santuario Notre Dame de Lourdes. Cosa comporta questo ruolo? «È un impegno di regolare servizio presso il Santuario, per aiutare i malati e i pellegrini. Il mio compito specifico in questi anni si è svolto alle piscine. Milioni

Sopra Alessandra Borghese durante la presentazione a Roma, presso Palazzo Altieri, del libro Sulle tracce di Joseph Ratzinger, nel marzo 2007. Accanto la principessa ritratta durante il servizio come Hospetalière presso il santuario di Lourdes

di persone si recano a Lourdes con la speranza di un miracolo. Ma il miracolo assai più frequente, quello che Lourdes regala a tutti coloro che lo accolgono, è la guarigione del cuore». Il suo ultimo libro è dedicato proprio a questa esperienza. Qual è stato il momento più emozionante o significativo dei suoi “giorni al servizio di Maria”? «Ogni qualvolta mi reco a Lourdes è come se fosse la prima volta. Questo per dire che provo sempre una forte emozione. Forse il momento più significativo, perché il più intimo, è quello in cui mi inginocchio ai piedi della Madonna nella Grotta». Cosa significa, oggi, essere cristiani e in particolare cattolici? «Significa seguire Gesù Cristo, ognuno nel suo ambito. Amare la Madonna e sostenere sempre e comunque il Santo Padre. Vuol dire non aver paura di professarsi cattolici testimoniando la propria fede».


268 > INVITATA > Nea invitata speciale > 1° Congresso del Pdl

e donne del Pdl segnano il presente e il futuro della politica. Un oggi e un domani fatto di capacità, di cultura del fare, di impegno e competenza. Tipico delle vere guerriere. Un esercito di donne, giovani e meno giovani, che non si risparmia quando si tratta di mettersi al lavoro. Punti di riferimento ed esempi di fiduciosa speranza per il mondo femminile. Come Laura Ravetto, avvocato la cui onestà intellettuale ben si coniuga alla capacità politica. Stefania Prestigiacomo, donna di Stato la cui statura fisica e morale le conferisce un’eleganza sublimata dalla sua spiccata capacità di decidere e di risolvere. Stefania Craxi nel cui dna è scritto il coraggio della verità. La concretezza lombarda di Michela Vittoria

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GIORGIA MELONI Giornalista professionista, è il Ministro più giovane della storia della Repubblica italiana. Ha iniziato il suo impegno politico a soli 15 anni

MARA CARFAGNA Ministro per le Pari Opportunità, ha recentemente ricevuto il plauso della signora Kerry Kennedy, presidente onorario della Robert F. Kennedy Foundation of Europe Onlus per i provvedimenti approvati in materia di anti stalking

DIANA DE FEO Senatrice, è stato uno dei volti storici del giornalismo televisivo italiano. Il padre era Italo de Feo, giornalista, storico, uomo politico, capo dell’ufficio Stampa del Comitato di Liberazione Nazionale

ELVIRA SAVINO Una laurea in economia e commercio. Un master in marketing e pubbliche relazioni. È Componente della VI Commissione Finanze

ANNA CINZIA BONFRISCO Senatrice, è segretario di presidenza a Palazzo Madama nonché docente universitario in Politiche del lavoro


269 VIVIANA BECCALOSSI Vicepresidente della Regione Lombardia, è membro della commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione

MARGHERITA BONIVER Presidente del comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. Presidente dell'Associazione parlamentare di amicizia Italia-Afghanistan. Inviato Speciale per le emergenze umanitarie e le situazioni di vulnerabilità

GIULIA COSENZA Nata a Napoli è laureata in Giurisprudenza. Imprenditrice bel settore turistico è membro della XIII Commissione Agricoltura e della Commissione Parlamentare per l'Infanzia

GABRIELLA GIAMMANCO Nata a Palermo, ha una laurea in Scienze della comunicazione. Giornalista professionista, è una delle più giovani onorevoli di questo Governo

LAURA RAVETTO Avvocato, è membro della V Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera. È stata recentemente nominata responsabile del settore comunicazioneimmagine-propaganda del Pdl

MICHAELA BIANCOFIORE Laureanda in Giurisprudenza, è imprenditrice nel settore del wellness. È componente del Direttivo del Gruppo del Pdl alla Camera dei Deputati

GABRIELLA CARLUCCI Vanta due lauree, una in lingue e letterature straniere e una in storia dell’arte. È Vicepresidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia


270 > INVITATA > Nea invitata speciale > 1° Congresso del Pdl NUNZIA DE GIROLAMO Laureata in Giurisprudenza, con un dottorato di ricerca. È coordinatore provinciale del Popolo della Libertà di Benevento

JOLE SANTELLI Laureata in giurisprudenza, avvocato, è stata sottosegretario al ministero della Giustizia sia nel secondo che nel terzo governo Berlusconi

CATIA POLIDORI Imprenditrice umbra, è laureata un economia bancaria. È stata la prima donna presidente dei Giovani Imprenditori Confapi

STEFANIA PRESTIGIACOMO Imprenditrice, laureata in scienze della pubblica amministrazione. Dal maggio 2008 è ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare

MICHELA VITTORIA BRAMBILLA Sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio dei ministri con delega al turismo. Proveniente da una famiglia attiva da quattro generazioni nell'industria dell'acciaio, è laureata in Lettere e Filosofia

MARIELLA BOCCIARDO È componente della commissione affari sociali e parlamentare per l'infanzia. è nota per essere una stakanovista del parlamento (ha votato il 99,8% delle volte)

MARIASTELLA GELMINI Avvocato, è ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. I suoi decreti in materia di riforma scolastica mirano alla promozione del merito e della competenza

ALESSANDRA MUSSOLINI Laureata in medicina e chirurgia, dal luglio 2008 é presidente della Commissione parlamentare bicamerale per l’Infanzia


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PAOLA PELINO Imprenditrice nel settore alimentare. Schietta e sincera, è membro del comitato per le pari opportunità

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI Avvocato e docente universitario, è sottosegretario alla Giustizia

ANNAGRAZIA CALABRIA Laurea in giurisprudenza, praticante avvocato, suo è stato il discorso di inizio del Congresso fondativo del Pdl in virtù del suo essere, a 27 anni, la più giovane a sedere tra gli scranni di Montecitorio

MARIAROSARIA ROSSI Imprenditrice nel settore dei servizi, Consigliera del X Municipio di Roma, vanta una carriera politica di tutto rispetto, durante la quale ha bruciato tutte le tappe intermedie. Merito della grinta che la contraddistingue

STEFANIA CRAXI Sottosegretaria di Stato agli Esteri, ha fondato l'associazione politica Giovane Italia e la Fondazione Craxi, di cui è presidente onoraria

Brambilla, simbolo di quella tenacia e determinazione proprie di chi viene dal mondo dell’imprenditoria. Gabriella Carlucci, agguerrita, propositiva e instancabile. E ancora, Giorgia Meloni, consapevole di essere un esempio per i giovani che credono nel loro domani. La battagliera Alessandra Mussolini, estroversa e pirotecnica icona della difesa dei diritti delle donne. Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, portatrici di istanze di rinnovamento e protagoniste indiscutibilmente capaci del nostro tempo. Ognuna di loro unica per merito, impegno e forza d’animo. Ma tutte con un unico punto di riferimento. Il Presidente Silvio Berlusconi.


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