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OSSIER L’INTERVENTO .......................................09 Ernesto Abbona Alessandro Barberis Mario Resca Guido Carella

PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................16 Giorgio Napolitano SVILUPPO ECONOMICO...................22 Antonio Tajani Gianfranco Carbonato Antonio Nucci L’export piemontese Roberto Cota

ECONOMIA E FINANZA MERCATO DEL LAVORO ..................36 Arturo Maresca Marina Calderone Rosario De Luca I numeri del Piemonte Claudia Porchietto EXPORT...................................................46 Amilcare Merlo Alberto Pesce Giacomo Marena TECNOLOGIE.........................................56 Giancarlo Bellino Paolo Ravalli Stefano Crosio INNOVAZIONE.......................................64 Massimo Corippo Guglielmo Gai Roberto Ferretti Pietro Sicurella IMPRESA E SVILUPPO ......................74 Il Forum del LegnoArredo Antonino Rizzari Elia Pinna MODELLI D’IMPRESA........................82 Ugo Paffoni Gilli Paola e Luisa De Negri Mauro Vinai Luca Monteu Aliot Mauro Sanero Pietro e Flaviano Gastaldi

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VIGILANZA............................................102 Marco Carlo Grossi FACTORING .........................................104 Massimo Ferraris Claudio Cola STRUMENTI FINANZIARI.................110 Mario Massari Andrea Tinagli FISCO.......................................................116 Victor Uckmar CONSULENZA.....................................120 Giovanni Ansaldi Attilio Mercalli


Sommario AGROALIMENTARE ..........................125 Mario Guidi Claudio Sacchetto Fiorenzo Dogliani Filippo Ferrua Magliani Tiziano Bergia Maria Lussiana Monica Berton Simone Girardi Mauro Demartini Marina Tesio Andrea Tourn Boncoeur Roberto Adda ECONOMIA CUNEESE......................152 Fernanda Fulcheri Ezio Falco Gianna Gancia Federico Borgna

TERRITORIO

AMBIENTE

EDILIZIA.................................................162 Giorgio Gasparetto

RINNOVABILI.......................................170 Gabriele Poggi Sandro Barbero

INTERNI .................................................166 Gianni Bonino TRASPORTI E SPEDIZIONI ............168 Roberto Simi

CONSULENZA AMBIENTALE ........174 Sergio Testa GESTIONE RIFIUTI.............................176 Ermanno Benassi

SANITÀ POLITICHE SANITARIE....................180 Ugo Cavallera Giovanna Baraldi STRUTTURE SANITARIE.................184 Eugenio Zanon FISIOTERAPIA.....................................188 Federica Maffi e Domenico Moniaci

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Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Uscire dalla crisi, un impegno condiviso di Ernesto Abbona, presidente del comitato piccola industria di Confindustria Piemonte

economia e la società italiane si trovano, ormai da 5 anni, in un momento di crisi, la più difficile - in tempo di pace - della nostra storia unitaria. Tanti settori produttivi, nonostante le eccellenze, stanno soffrendo con cali di fatturato sensibili. Il manifatturiero è il settore che più di altri sta subendo l’attuale momento congiunturale. Negli ultimi sei anni, oltre 70mila imprese hanno chiuso la propria attività e il ritmo delle cessazioni non diminuisce. A farne le spese sono ovviamente le piccole e medie imprese che, da sempre, ne rappresentano la parte più consistente. Non sono mancate le conseguenze sull’occupazione. Il numero degli occupati è calato di oltre 500mila unità, con una forte concentrazione nelle fasce di età più basse. Dal 2007 i disoccupati sono raddoppiati, oltrepassando i tre milioni. Ovviamente, anche il Piemonte e le sue aziende stanno soffrendo in questo prolungato periodo di recessione. Le uniche opportunità di mantenimento e crescita dei livelli produttivi nascono, oggi, dalla capacità delle imprese, specie se pmi, di rafforzare la presenza sui

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mercati esteri. Ma per operare con successo in questi mercati, in contesti caratterizzati da abitudini, consumi e culture assai diverse e mutevoli, è indispensabile poter realizzare rapide e continue metamorfosi. Quelle metamorfosi che le pmi hanno sempre dato dimostrazione di saper realizzare, affinando e specializzando quotidianamente i propri prodotti e servizi, personalizzandoli per ogni mercato e cliente, rendendoli unici nel mondo. Oggi questa capacità di trovare soluzioni sembra essere venuta meno perché coniugare crescita con cambiamento, mobilità e flessibilità, è sempre più difficile, oneroso e a volte è precluso. Lo si vede ogni giorno dalla decrescita degli investimenti in produzione, ostacolati sempre più da oneri finanziari, fiscali e burocratici. La ripresa potrà, quindi, realizzarsi solo coniugando l’abbattimento del cuneo fiscale e contributivo con riforme che tutelino e accrescano il potere d’acquisto di stipendi e salari e, analogamente a quanto avviene nei paesi nordeuropei, permettano di riqualificare le professionalità nei modi e nei luoghi migliori, con-

sentendo i necessari rapidi avvicendamenti nei posti di lavoro. La crisi delle pmi è lo specchio della crisi del nostro intero sistema: ne è l’effetto, non la causa. Le pmi potranno rifiorire, rinnovate e consolidate, a patto che la politica, la finanza e la pubblica amministrazione si riformino, tornando alle loro funzioni di servizio e smettendola di asservire alla loro crescita abnorme e spregiudicata le imprese e l’intera società civile. Il progetto “Confindustria per l’Italia: crescere si può, si deve” ha delineato, nello scorso gennaio, una serie di proposte pragmatiche, per superare l’emergenza economica e sociale. Una terapia d’urto, di durata pluriennale, completa delle necessarie riforme per recuperare la competitività persa in questi ultimi anni dal nostro sistema produttivo. La rinascita dell’Italia non passa solo dall’attuazione di questo progetto, sì coraggioso ma al contempo necessario, ma anche e soprattutto dalla piena e consapevole collaborazione di tutti gli attori economici, politici e sociali. Solo così si potrà concretizzare il passaggio per una nuova stagione di progresso e crescita. Dipenderà da tutti noi. 2013 • DOSSIER • 9



L’INTERVENTO

Un nuovo modello di sviluppo di Alessandro Barberis, presidente della Camera di commercio di Torino ome Camera di commercio di Torino abbiamo una visione privilegiata sul territorio locale e i dati più recenti in nostro possesso ci parlano di una situazione ancora di difficoltà, a causa soprattutto del perdurare della crisi internazionale. Se nel 2011, per la prima volta in 10 anni, la provincia di Torino ha visto calare il numero di imprese registrate, nel 2012 la tendenza si è confermata, portando al saldo negativo tra imprese aperte e imprese chiuse. Una situazione che non si era mai verificata prima e che ha portato a un tasso di crescita negativo, seppur lieve, pari al -0,15 per cento. Anche il 2013 non sembra proporre una controtendenza: l’onda lunga della crisi deve, quindi, ancora esaurirsi. Ci sono, tuttavia, note positive: nonostante il calo generale, in Piemonte e a Torino anche nel 2012 spiccano alcuni settori in crescita, per esempio il turismo (+1,3 per cento). Crescono poi sempre le

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imprese straniere (+2,3), con un saldo 2012 estremamente positivo. Un dato incoraggiante arriva anche dalle esportazioni: nel 2012 il valore dell’export torinese ha superato i 18 miliardi di euro, con un +0,9 per cento rispetto al 2011. Il Torinese, anche a causa della crisi economica internazionale, prosegue in un processo di trasformazione profonda, già iniziata da alcuni decenni: nel corso del tempo, il nostro tessuto imprenditoriale ha saputo diversificare la propria base economica e coniugare la vocazione industriale con nuove specializzazioni produttive, dalle biotecnologie all’Ict, dall’ambiente all’enogastronomia. Anche il modo di produrre si è modificato: è più distribuito e rende fondamentali investimenti nella logistica e nei collegamenti. Sia a livello locale che nazionale, oggi si dovrà lavorare ancora e ulteriormente a un nuovo modello di sviluppo sostenibile, puntando sulla competitività territoriale: accessibilità, reti di imprese,

ricerca e innovazione, internazionalizzazione, promozione delle eccellenze sono le parole chiave. Ma queste sono scelte e investimenti che spettano innanzitutto alle imprese, perché l’uscita dalla crisi è responsabilità individuale di chiunque si trovi a gestire oggi realtà produttive o gestionali. Sicuramente, poi, la politica può e deve intervenire con urgenza a migliorare il panorama in cui le nostre imprese operano: è fondamentale sbloccare i pagamenti, semplificare la burocrazia, promuovere la ricerca. Importante garantire un più facile accesso al credito premiando il coraggio, da parte del sistema bancario, di supportare le buone idee imprenditoriali. Ma è necessario anche sostenere politiche a lungo termine e non solo e sempre contingenti, investendo sul capitale umano, attraverso la formazione a tutti i livelli, rendendo così i nostri prodotti unici grazie alla tecnologia, al design, alla creatività di nuovi imprenditori del futuro. 2013 • DOSSIER • 11



L’INTERVENTO

Non c’è export senza management di Guido Carella, presidente Manageritalia

ggi l’export è il vero jolly da giocare. È il modo per essere e stare dove c’è e ci sarà la crescita. Ma da fare c’è tanto, tantissimo. Poche migliaia sono le imprese ben posizionate nei principali mercati esportando da tempo prodotti, servizi con pratiche consolidate e innovative. Poi c’è il vuoto. 200mila aziende esportano abitualmente, ma senza una precisa strategia, senza l’obiettivo di creare valore, mosse solo dall’intento di“tappare” le falle di un fatturato interno calante. Altre 300mila lo fanno solo una volta all’anno e con un fatturato medio di poche migliaia di euro (Dati: Antonio Belloni, Esportare l’Italia - Guerini & Associati). Come ci indica il IV Rapporto sui distretti italiani (Unioncamere), le strategie da mettere in campo per risolvere le criticità di quelle tantissime imprese che hanno un export blando, sono: investire in competenze e managerialità, allungare le filiere, rafforzare il raccordo con l’offerta di terziario innovativo, riposizionarsi sui mercati esteri, ridefinire il rapporto con le banche. Insomma, servono più presenza, competenza e gestione manageriale. Perché oggi per fare export occorre parlare la lingua degli interlocutori con i quali dobbiamo relazionarci nelle varie catene del valore globali. E non è tanto la lingua parlata (inglese o cinese che essa sia), ma il linguaggio organizzativo, fatto di processi, prassi e supporti di information e communication technology, ciò che permette di dialogare e produrre valore insieme. Se mancano questi presupposti c’è incomunicabilità, si perdono opportunità, fatturati e mercati. Non è un caso se proprio quelle aziende che esportano in modo consolidato e vincente vantano un rapporto corretto e bilanciato tra imprenditori, azionisti e management. Questo è il loro punto di forza. Non è un caso se oggi, più dell’80 per cento dei diri-

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genti del settore privato che lavora in Italia, va all’estero almeno una volta al mese, e il 50 per cento molto di più. Non è un caso se le sempre più frequenti, ma ancora troppo scarse, occasioni di incontro e collaborazione tra manager e Pmi nascono proprio per chiedere ai manager di iniettare nelle aziende quell’organizzazione, quei linguaggi e quella conoscenza ormai indispensabili per stare sul mercato e per competere all’estero. Certo, anche i manager devono e possono migliorare: l’esperienza nei paesi stranieri, la capacità di muoversi in contesti internazionali, la visione globale dell’economia sono must da coltivare e rafforzare. Per lo sviluppo professionale e per contribuire, insieme agli imprenditori, a portare l’Italia sugli scenari che contano. Rendendola protagonista nel mondo. 2013 • DOSSIER • 15


IN COPERTINA

STALLO DELLA POLITICA, NAPOLITANO DETTA LE CONDIZIONI Le bocciature di Marini e di Prodi al Colle. L’Italia rischia il caos istituzionale. Ancora una volta si fa appello a Napolitano che accetta il secondo mandato. Ma la condizione è quella di una “grande coalizione” guidata da Enrico Letta Mario Cervi

questo profilo di Giorgio Napolitano - che non è un profilo imparziale perché a lui vanno la mia ammirazione e la mia simpatia - voglio premettere qualche ricordo personale. Ricevetti un giorno di qualche anno fa i ringraziamenti del presidente per un mio scritto. Non una pensosa analisi politica o economica, ma un piccolo commento a una notizia di cronaca. La notizia era questa. La signora Napolitano - Clio - era stata investita da un’auto, per fortuna senza gravi conseguenze, mentre con un’amica lasciava il Quirinale, da un ingresso laterale, per una passeggiata. La cosa straordinaria dell’incidente è che Clio Napolitano e l’amica che l’accompagnava non fossero circondate e assistite da un nugolo di poliziotti e cortigiani mentre uscivano dal

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palazzo, ma si comportassero come normalmente si comportano due signore che fanno quattro passi insieme. Quella sottolineatura d’una normalità che per i potenti dovrebbe essere regola, e che in Italia è eccezione, Napolitano non la dimenticò a distanza di tempo. Era capitato che anch’io intervenissi, sul Giornale, nella polemica per i costi eccessivi del Quirinale con un articolo dal titolo “Colle, elefante che non sa dimagrire”. Ricevetti allora una lettera “personale/riservata”, intestata a Giorgio Napolitano senza alcun altro titolo, che così cominciava: “Mi sono proposto di risponderle anche tenendo conto dell’attenzione e del garbo che ha sempre dimostrato verso me (e mia moglie)”. Nel chiarimento il presidente osservava che nelle sue 1.200 stanze il Quirinale “si identifica in larga misura con un museo”.

Ma così proseguiva: “Per l’insieme degli uffici e dei servizi del Quirinale basterebbe un numero di addetti decisamente minore. Se esso era cresciuto oltre misura è perché non le sembri banale la spiegazione - per molti anni sono state troppo larghe le maglie, sono stati troppo deboli gli argini alla pressione esercitata da ambienti politici e burocratici per immissioni nel personale del Quirinale come destinazione particolarmente ambita”. Chiaro e forte. Fine della premessa. Per la prima volta nella storia della Repubblica, Napolitano è un presidente replicante (o se preferite ripetente). Circostanza che da sola dice in quali difficoltà si dibatta attualmente l’Italia. A Napolitano sono state rivolte innumerevoli suppliche affinché nonostante l’anagrafe - è del 1925 - non lasciasse il suo scomodo trono. Lo supplicarono anche molti


Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano durante il discorso alle Camere in occasione del suo secondo mandato

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IN COPERTINA

S’è dovuto misurare con un presidente del Consiglio travolgente e incalzante quale è stato Silvio Berlusconi: fautore del presidenzialismo

che contro di lui s’erano scagliati per alto - tentò di portare il cursus honorum nel Pci. Non fu mai, da napoletano colto e garbato, un “trinariciuto”, se vogliamo usare l’espressione coniata da Giovannino Guareschi. Ma in alcune occasioni come la rivolta ungherese del 1956 si piegò alla logica del partito. Nel quale fu esponente autorevole della corrente cosiddetta “migliorista”, che aveva infondate illusioni sulla possibilità di correggere in senso liberale la connotazione dei dogmi marxisti. Impresa non ardua ma impossibile, come i fatti hanno dimostrato. Ma da allora è trascorso un cinquantennio abbondante che dal punto di vista degli schieramenti ideologici e dei problemi internazionali potrebbe essere un millennio. Come presidente della Camera (1992), Napolitano si distinse per l’eleganza dei modi, come ministro dell’Interno del governo Prodi - prima d’essere issato sul colle più

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un po’ di razionalità in un’armata Brancaleone di partitoni e partitini rissanti della sinistra. Quando il suo nome affiorò per le elezioni presidenziali del 2006 non vi furono opposizioni dure. L’uomo riscuoteva rispetto, anche in chi gli era ostile. Venne eletto con 543 voi su 990 votanti, ma la Casa delle libertà rinunciò ad avere un suo candidato e depose nelle urne scheda bianca. Più larga la maggioranza delle schede in suo favore nella replica del 20 aprile scorso: 738 voti su 997 votanti. Un personaggio amabile e intelligente come Giorgio Napolitano pareva fatto apposta per dar prova delle sue doti -molto simili a quelle del

predecessore Carlo Azeglio Ciampi - in un settennato tranquillo. Invece gli è toccato d’assistere - ma da protagonista anziché da testimone - a uno dei periodi più convulsi della storia contemporanea italiana. S’è dovuto anzitutto misurare con un


Giorgio Napolitano

Il presidente Napolitano con i ministri del Governo Letta dopo il giuramento al Quirinale del 28 aprile

presidente del Consiglio travolgente e incalzante quale è stato Silvio Berlusconi: fautore del presidenzialismo, ossia d’un capo dello Stato che non fosse il notaio d’Italia, ma che avesse un potere effettivo e ampio. Al contrario, Napolitano era propenso a un totale rispetto della Magna Charta repubblicana e del suo parlamentarismo. La sorte ha voluto che proprio Napolitano inaugurasse

una stagione - la si chiami o no terza repubblica - nella quale il presidente è stato insieme arbitro e giocatore, abilitato fare e disfare i governi e a imporre loro determinate direttive politiche ed economiche. Finché Berlusconi volò alto nei sondaggi e nelle urne Napolitano dovette soprattutto moderare qualche eccesso decisionista del Cavaliere. Votato tuttavia, in una fase

successiva, a un declino che pareva inarrestabile, e che era stato in larga misura determinato da una gravissima crisi economica e finanziaria. L’Italia, che con la prima repubblica aveva raggiunto vertici di sviluppo e che da Paese d’emigrazione quale era stata sempre s’era trasformata in Paese d’immigrazione, perdeva colpi. Eravamo i monelli, non più i modelli di una Europa che ci imponeva terribili misure d’austerità. Sotto il peso di questa sconfitta il Cavaliere fece un passo indietro. Ma Napolitano, preoccupato dalle conseguenze d’uno scioglimento delle Camere, non indisse nuove elezioni nelle quali quasi sicuramente il Pd degli ex comunisti e degli ex democristiani sarebbe riuscito vincitore. Varò invece un governo tecnico dopo aver nominato senatore a vita Mario Monti che l’avrebbe guidato. Monti mise a stecchetto gli 2013 • DOSSIER • 19


IN COPERTINA

La Nomenklatura s’è trovata nel Palazzo una mina vagante. E a Napolitano è spettata l’impresa immane d’evitare che la presenza di quella mina vagante mandasse in pezzi l’Italia

italiani, riassestando i conti ma tano non poteva piacere un movi- A quel punto pareva che l’Italia fosse vuotando le tasche. Napolitano approvò l’austerità, disapprovò alcuni marchiani errori che Monti commise. Come quello di buttarsi nella politica politicante, diventando leader d’un partito che risultò poi essere un partitino. Fosse rimasto al di fuori della mischia, molto probabilmente lui, e non Napolitano, sarebbe ora insediato al Quirinale. Un altro elemento dirompente è affiorato negli ultimi anni ed è deflagrato con le ultime elezioni politiche. Si tratta di Beppe Grillo e del suo guru Casaleggio, capaci di calamitare con i loro urli di protesta il consenso di almeno un quarto dell’elettorato. La Nomenklatura s’è trovata nel Palazzo una mina vagante. E a Napolitano è spettata l’impresa immane d’evitare che la presenza di quella mina vagante mandasse in pezzi l’Italia e forse anche l’Europa. A Napoli20 • DOSSIER • 2013

mento che predicava una sorta d’arretramento italiano verso l’economia agricola, che voleva l’uscita dall’euro, che incitava lodevolmente a misure virtuose ma farneticava su leggi devastanti e deliranti. Benché Pier Luigi Bersani, maldestro gestore della maggioranza, volesse con tutte le sue forze allearsi al Movimento Cinque stelle, Grillo si è negato, e suppongo che Napolitano ne sia stato molto contento. Non deve essergli piaciuto lo spettacolo d’un popolo grillino che invocava per il Quirinale, issando cartelli entusiasti, il professor Rodotà, del quale fino a un momento prima ignorava il nome e del quale non aveva letto nulla. Non so - né voglio ipotizzare - cosa Napolitano abbia pensato delle bocciature di Marini e di Prodi. Forse per Prodi gli è dispiaciuto. O forse no.

precipitata nel marasma - una condizione che le è abituale - e che fosse necessario tornare immediatamente alle urne nel colmo d’una prevedibile tempesta economica. La salvezza fu trovata in lui, Giorgio Napolitano, che proprio avrebbe voluto dire addio al Quirinale e che invece per patriottismo c’è rimasto. È davvero strano un mondo dove il Papa si dimette per la prima volta e dove per la prima volta il capo dello Stato raddoppia, votandosi in pratica a una presidenza perenne. Dopodiché Napolitano, insuperabile nel maneggiare le carte della politica, s’è inventato e ha imposto la grande coalizione e il premier nuovo di zecca Enrico Letta. Meno male che Napolitano c’è, canticchiano in cuor loro gli italiani riecheggiando una canzoncina inneggiante a Silvio Berlusconi. C’è anche lo stellone d’Italia, ma non abusiamone.



SVILUPPO ECONOMICO

Ricapitalizzare l’economia reale Gli indicatori dell’industria piemontese tendono al ribasso. Gianfranco Carbonato sollecita una svolta che metta al centro riduzione del cuneo fiscale e occupazione Giacomo Govoni

nche le punte di diamante del sistema produttivo piemontese vacillano sotto i colpi della crisi. In ordine di tempo, sono la meccanica e meccatronica gli ultimi settori a segnare il passo rispetto a una fase negativa iniziata nell’ultimo trimestre del 2011 e che non accenna ad allentare la morsa sull’industria regionale, in flessione in quasi tutti i principali comparti. «Tutti i settori – osserva il presidente di Confindustria Piemonte, Gianfranco Carbonato – sono stati investiti dalla recessione. Il valore aggiunto è sceso soprattutto nell’industria, con un calo del 4,6 per cento, e nelle costruzioni, con -6,9 per cento. Anche i servizi, molto meno legati al ciclo economico, hanno rallentato, sia pur di un più modesto 0,5 per cento». L’indagine del quarto trimestre 2012 restituisce un quadro economico regionale ancora segnato dagli effetti della crisi. «Il 2012 si chiude con un bilancio molto negativo per l’economia piemontese. I dati a consuntivo rilevano una contrazione del Pil pari al 2,1 per cento. I consumi delle famiglie piemontesi nel 2012 sono

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Gianfranco Carbonato, presidente di Confindustria Piemonte

diminuiti del 4,6 per cento. Anche le spese per consumi della pubblica amministrazione si sono ridotte dell’1,1 per cento e gli investimenti pubblici e privati sono crollati del 9 per cento. Secondo Unioncamere, la produzione industriale piemontese ha fatto registrare una flessione del 4,7 per cento rispetto al 2011. La recessione ha avuto effetti anche sulla demografia d’impresa». Come si riflette questo andamento sul tasso di natalità delle imprese? «Nel 2012 sono state 28.904 le aziende nate in Piemonte, a fronte delle 30.834 cessazioni. Il bilancio complessivo si traduce in un tasso

di crescita negativo dello 0,4 per cento. Va osservato che non vi è una relazione univoca tra demografia e ciclo economico, per cui una recessione può accompagnarsi a un aumento delle nuove imprese, in seguito al venire meno di altre opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani. Peraltro, un’indagine condotta un paio di anni fa da Camera di commercio e Unione industriale di Torino sulle imprese nate nell’ultimo triennio evidenzia come il 28 per cento dei rispondenti abbia meno di 30 anni, mentre il 38 per cento ha un’età compresa tra 31 e 40 e il 34 per cento ha oltre 40 anni».


Gianfranco Carbonato

PIL

-4,7% IL CALO DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE REGISTRATO L’ANNO SCORSO IN PIEMONTE RISPETTO AL 2011

Sui propositi di sviluppo del sistema industriale piemontese pesa un dato della disoccupazione giovanile in ascesa. Come si può uscire da questa spirale o quanto meno attenuarne la portata? «La ripresa è una condizione necessaria per rilanciare l’occupazione. Tuttavia non bisogna illudersi, ci vorranno molti anni perché i posti di lavoro persi in seguito alla crisi possano ricrearsi e sicuramente saranno di tipo diverso e in settori diversi. Per agevolare l’inserimento di giovani nelle imprese occorrono anzitutto interventi sul fronte contrattuale e normativo. Le odierne rigidità del mercato del lavoro e i meccanismi di welfare a partire dagli ammortizzatori sociali, penalizzano i giovani a vantaggio di chi è già occupato. Occorre un deciso rilancio dell’istruzione tecnica e professionale, oggetto di rovinose riforme,

che alterni momenti di studio e di lavoro sul modello tedesco. Può infine essere utile uno strumento come il patto generazionale attualmente all’esame della nostra Regione. In generale, per il rilancio dell’occupazione è prioritario ridurre la tassazione sul costo del lavoro e una revisione della legge Fornero». È stato da poco nominato vicepresidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo. In che modo porterà all’attenzione del sistema creditizio le istanze delle imprese piemontesi? «È una nomina di grande prestigio che mi consente di aver accesso all’altro lato della medaglia e valutare il rapporto fra mondo del credito e sistema delle imprese con cognizione di causa. L’anno scorso questo rapporto ha vissuto un periodo difficile per via di una riduzione degli impieghi alle famiglie e, an-

cor di più, verso le imprese, determinata a sua volta da una maggior selettività nelle concessioni al fine di contenere le sofferenze bancarie. I dati riportati dalle banche italiane, inclusa Intesa Sanpaolo, nel primo trimestre 2013, mostrano tuttavia un rallentamento nei flussi di nuove sofferenze. Un buon segnale che consentirà al sistema bancario di destinare più liquidità al mondo delle imprese e, auspico, al sostegno degli investimenti, indispensabili per creare crescita economica e occupazionale». Nei suoi ultimi interventi pubblici ha fatto la voce grossa contro lo stallo del mondo politico. Ora che abbiamo un governo, quali misure prioritarie si augura in tema di rilancio del vostro tessuto industriale? «L’obiettivo primario è dare ossigeno alle imprese, soprattutto alle 2013 • DOSSIER • 25


SVILUPPO ECONOMICO

L’obiettivo primario è dare ossigeno alle imprese, soprattutto alle pmi che hanno bisogno di ricapitalizzare

pmi, che hanno bisogno di ricapi- l’eliminazione degli adempimenti improvvisa esportatori, specie se i talizzare. Il centro studi di Confindustria ha recentemente certificato che l’economia reale non può crescere se non è finanziata e io condivido pienamente. Tra gli interventi da attivare in fretta sottolineo il rilancio del private equity, la diffusione dei bond di distretto e di territorio, il rafforzamento del sistema dei confidi e le loro sinergie con il Fondo centrale di garanzia. Solo misure simili a queste aiuteranno a soddisfare il fabbisogno finanziario aggiuntivo delle imprese che, sempre secondo il centro studi, ammonta a 90 miliardi in 5 anni». Altri obiettivi da perseguire in tempi rapidi? «La semplificazione e la sburocratizzazione. Per aiutare le imprese servono regole semplici, procedure rapide, tempi di risposta certi e

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meramente formali. Altra emergenza è il tema delle infrastrutture, per il Piemonte in particolare, sia la Torino-Lione che il terzo valico sono parti strutturali della rete dei corridoi europei Ten-T». Come strategia di ripresa a breve termine, la via dell’export sembra la più percorribile. Quali opportunità provenienti dai mercati esteri possono coinvolgere anche le imprese giovani e in quali settori? «A fronte di una domanda interna in forte caduta, l’export rappresenta spesso l’unica opportunità per tutti i settori e i segmenti di mercato, tranne poche eccezioni legate a prodotti dove i costi di trasporto incidono in misura elevata. La via dell’export, tuttavia, non è facilmente percorribile da imprese senza una solida struttura imprenditoriale e manageriale. Non ci si

mercati più dinamici non sono quelli “sotto casa”, come quelli europei, ma le piazze asiatiche, quella americana o dell’est Europa. La dimensione d’impresa può effettivamente essere un vincolo insormontabile». Esistono strade per aggirarlo? «Vi sono numerosi esempi di imprese anche molto piccole che hanno saputo superare la barriera dimensionale con adeguate strategie di collaborazione e networking. In quest’ottica, la giovane età dell’imprenditore o dei manager può essere un asset, in quanto rende meno stringenti quei “vincoli culturali” come la scarsa conoscenza delle lingue o la bassa propensione a muoversi in un contesto multiculturale, che talvolta costituiscono la barriera principale alla proiezione all’estero».



XXXXXXXXXXX SVILUPPO ECONOMICO

Porte aperte agli imprenditori di domani Antonio Nucci, responsabile direzione Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria di Intesa Sanpaolo

Sono numerosi gli strumenti che gli istituti di credito mettono a disposizione dei giovani talenti che aspirano a fare impresa. Antonio Nucci illustra i più interessanti Giacomo Govoni

l Piemonte è la regione italiana con maggior presenza di innovazione tecnologica e il più alto tasso di laureati in discipline scientifiche e tecnologiche, con un indice del 14,7 ogni mille abitanti, tra i 20 e i 29 anni, contro il 12,2 dell’Italia. Lo riferiscono gli ultimi dati Eurostat, secondo cui la stessa regione vanta il primato nazionale in termini di addetti alla ricerca e sviluppo, con un indice di 5,1 ogni mille abitanti, rispetto al 4,8 per il Nord Ovest e al 3,7 per l’Italia. Un giacimento di talenti umani e professionali che sommati alle eccellenze nella biotecnologia, nella biomedica e nella tecnologia espresse dalla Liguria, fanno di quest’area nord occidentale del Bel Paese un terreno ideale per far germogliare nuove realtà imprenditoriali. «Stiamo parlando tra l’altro – spiega Antonio Nucci, responsabile direzione territoriale di Intesa

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Sanpaolo – di un Nord Ovest ad alta intensità brevettuale, in cui ricerca e sviluppo rappresentano l’1,37 per cento del Pil, rispetto all’1,22 nazionale, e con la punta dell’1,77 per cento del Piemonte». In regioni dal potenziale industriale così alto, quali soluzioni finanziarie mettete a disposizione dei soggetti interessati ad avviare una nuova attività? «I supporti finanziari e di intervento sul capitale per far decollare un’idea imprenditoriale non mancano: dal sostegno alle diverse esigenze finanziarie collegate ai piani di avvio e sviluppo del business delle nuove imprese, all’apporto di capitale nelle nuove imprese attraverso i nostri fondi di venture capital. Semmai la sfida è preparare le nuove realtà imprenditoriali al confronto con il mercato, metterle nelle condizioni di redigere e presentare un business plan valido, di parlare lo stesso linguaggio di un investitore».

All’attivazione di quali leve destinate principalmente le risorse? «Quello che manca ai giovani non sono certo le capacità, ma l’esperienza. E una banca come Intesa Sanpaolo può agire su questo gap di conoscenza. D’altra parte, la probabilità di sopravvivenza di una start-up è superiore in Italia che in Germania e le nostre crescono più rapidamente: negli ultimi 6 anni hanno creato 2,76 milioni di nuovi posti di lavoro, pari al 17 per cento degli occupati. A marzo abbiamo sottoscritto un accordo con la sezione piccola industria di Confindustria, che riproporremo in Piemonte a giugno, con il lancio di “Adotta una start-up”. Le migliori idee imprenditoriali, selezionate dal comitato congiunto Intesa Sanpaolo-Confindustria, vengono adottate da imprese già consolidate sul mercato segnalate da Confindustria, con l’obiettivo di creare incubatori che le aiutino a svilup-


Antonio Nucci

parsi. Altri strumenti che offriamo sono “Neo impresa” e “Officine formative”». Di che si tratta? «“Neo impresa” è un portale web, www.neoimpresa.com, suddiviso in tre sezioni funzionali ai passaggi che un aspirante imprenditore deve compiere per avviare un’impresa. Officine formative (www.officineformative.it) è

una scuola-laboratorio per chi vuole imparare a creare nuove imprese attraverso un programma formativo qualificato e un periodo di laboratorio per sviluppare l’idea affiancato dagli esperti di Intesa Sanpaolo. “Start up initiative” e “Atlante ventures” sono invece percorsi end-to-end dedicati allo sviluppo delle start-up a elevato contenuto tecnologico che,

INNOVAZIONE

1,77%

L’INCIDENZA SUL PIL DELLA VARIABILE RICERCA E SVILUPPO IN PIEMONTE: È LA PIÙ ALTA D’ITALIA

A giugno in Piemonte rilanceremo l’accordo sul progetto “Adotta una start-up” siglato a marzo con Confindustria

attraverso varie fasi di coaching e di selezione arrivano a incontri mirati con investitori internazionali». L’anno scorso avete stretto un accordo col Politecnico di Torino per la nascita di nuove reti d’impresa. Quale sarà il grado di coinvolgimento delle giovani imprese in tale progetto? «L’idea dell’accordo è di creare un facilitatore di incontri tra aziende, banca e il Politecnico per sostenere le aziende che vogliono cercare la crescita dimensionale e un partner per i processi di innovazione. Le porte del laboratorio sono aperte sia a imprese esistenti sia a imprese di nuova costituzione. La collaborazione con il politecnico si esplicita inoltre in forme di finanziamento diretto e con il sostegno degli studenti attraverso formule quali il prestito d’onore». Sul tema del rating delle aziende, comprese le neo imprese, come si raccorda la vostra attività con quella dei confidi? «In questo periodo stiamo lavorando a stretto contatto con i principali confidi del territorio perché riteniamo fondamentale valorizzare gli strumenti di supporto pubblico, in particolare il fondo di garanzia pmi. Per questo, abbiamo messo a punto un prodotto di finanziamento a mediolungo termine dedicato alle imprese di recente costituzione che offre condizioni di particolare favore attraverso la controgaranzia di consorzi fidi. Va detto infine che i sistemi interni di valutazione del merito aziendale ultimamente si sono evoluti sia sul piano qualitativo, a vantaggio ad esempio delle start-up che non hanno ancora una storia di bilanci adeguata, sia riguardo ai fattori di garanzia come il ricorso al consorzio di garanzia o il Fondo centrale». 2013 • DOSSIER • 29


MERCATO DEL LAVORO

La chiarezza genera opportunità

I

L’avvocato Arturo Maresca, docente di diritto del lavoro presso l’università La Sapienza di Roma

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l premier Enrico Letta ha dichiarato che la riforma dell’ex ministro Elsa Fornero «contiene rigidità che vanno eliminate». La legge, come ricorda il professor Maresca, si proponeva di riequilibrare la flessibilità del lavoro, limitando quella che si realizza attraverso forme irregolari di collaborazioni o di lavoro autonomo, contenendo quella attuata con la reiterazione di assunzioni a termine e, per la prima volta, flessibilizzando l’uscita, con la modifica del famoso articolo 18. «Questa impostazione, teoricamente di significativo interesse, stenta a realizzarsi sia per le difficoltà occupazionali indotte dalla crisi economica sia per le incertezze applicative relative alla flessibilità, particolarmente quella in uscita. Peraltro in una situazione come quella attuale di drammatica crisi occupazionale, restringere la possibilità di assunzioni a termine significa limitare le opportunità di lavoro regolare, anche se temporaneo». Su quali punti della riforma è dunque più necessario intervenire? «Gli interventi più urgenti sono quelli che riguardano il contratto a termine e l’apprendistato. Occorre immaginare soluzioni congiunturali di breve periodo per aumentare la possibilità di assunzioni a termine, che sono le uniche che le imprese riescono oggi a programmare, e soluzioni strutturali che riguardano l’utilizzo del contratto a termine e l’apprendistato, cioè le tipologie contrattuali finalizzate all’assunzione dei giovani». Quali le soluzioni che si augura arrivino dal governo? E quale auspica sia la linea di lavoro per rendere più dinamico il mercato in Italia? «Si deve intervenire sul lavoro a termine acausale che è stato introdotto dalla legge Fornero e che risponde alla necessità di semplificare le modalità di assunzione, consentendo così alle stesse imprese di affrancarsi dal famigerato “causalone”, di cui al decreto legislativo 368/2001, e dal contenzioso giudiziario che esso ha innescato. Ri-

«Il legislatore abbandoni incertezza e complessità nelle norme». È la richiesta di Arturo Maresca, docente di diritto del lavoro all’università La Sapienza, per intervenire sul settore partendo dal contratto a termine e dall’apprendistato Renata Gualtieri

spetto all’attuale assetto il contratto a termine acausale dovrebbe avere una durata maggiore di quella prevista di 12 mesi, che andrebbe portata a 24. Inoltre dovrebbe essere introdotta la possibilità di proroga del termine iniziale, naturalmente nei limiti della durata massima prevista. Sul piano degli interventi di breve periodo sarebbe opportuno sospendere, per due o tre anni,


Arturo Maresca

il contributo addizionale dell’1,4 per cento e prevedere un vantaggio fiscale per l’impresa che trasforma il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. E, infine, ridurre l’intervallo temporale che deve intercorrere tra un contratto a termine e quello successivo che rischia di limitare le opportunità di lavoro a termine per quei lavoratori che, avendo avuto una precedente assunzione a termine, non possono essere riassunti se non dopo 60 o 90 giorni d’intervallo». Quali le misure specifiche di intervento per i giovani? E quali tipologie di contratto andrebbero favorite? «Si deve far in modo che le imprese utilizzino l’apprendistato per investire sul giovane lavoratore. Ancora oggi non siamo in grado di rispondere a domande semplici come: può un’impresa che ha assunto a termine un lavoratore per 20 giorni riconoscendogli la qualifica di saldatore, assumere successivamente lo stesso lavoratore con un contratto di apprendistato professionalizzante per la stessa qualifica? È mai possibile che il legislatore non si esprima chiaramente sulle sanzioni applicabili in caso di inadempimento degli obblighi formativi? Queste domande devono avere una chiara risposta da parte del legislatore che finora si è mosso generando incertezze e complessità. C’è poi il

Occorre affrontare il tema del ricambio generazionale per sostenere l’uscita dei lavoratori anziani e l’assunzione di giovani

tema del ricambio generazionale che occorre affrontare per sostenere l’uscita dei lavoratori anziani e l’assunzione di giovani. La soluzione proposta dalla legge Fornero, e praticata da un importante accordo aziendale stipulato dall’Enel, è sicuramente interessante, ma con costi che non sono alla portata di tutte le imprese. Si tratta di un investimento necessario che dovrebbe occupare uno dei primi posti nell’agenda del governo». Come si può arrivare a sconfiggere lavoro nero e falsi stage? «Il legislatore deve intervenire con fermezza, cosa che in passato non è riuscito a fare, dando luogo a interventi legislativi che assumevano un indirizzo che, poi veniva smentito dalle stesse circolari applicative del Ministero del lavoro. Si deve scegliere una strada che consenta ai giovani che finiscono gli studi di accedere a uno stage in un’azienda per maturare una prima esperienza e anche cogliere un’opportunità di dimostrare le proprie capacità professionali. Ma questo non può portare a confondere lo stage con un contratto di lavoro che assolve alla funzione di primo inserimento». 2013 • DOSSIER • 37


MERCATO DEL LAVORO

L’importanza delle professioni «Nell’agenda del governo il lavoro e la gestione delle crisi occupazionali siano una priorità». Interviene così Marina Calderone, presidente Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, che assicura il contributo degli ordini professionali al buon andamento del Paese Renata Gualtieri

R

Riteniamo che le società tra professionisti possono essere uno strumento utile soprattutto per le giovani generazioni, ma è necessaria una grande vigilanza 38 • DOSSIER • 2013

ifinanziamento della cassa integrazione, riduzione del costo del lavoro, interventi in favore degli esodati, pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione e riforma della burocrazia rappresentano le azioni che servono a dare le spinta al mondo del lavoro facendo ripartire l’economia, secondo Marina Calderone, assieme a una politica per lo sviluppo che si affianchi a quella del rigore. Lo sviluppo è momento non più rinviabile per le pmi. «Gli ordini professionali sono sin d’ora disponibili a collaborare per dare il loro apporto a una necessaria nuova fase del Paese – continua la presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro –. E la IV edizione del Festival del lavoro può divenire il giusto consesso per discutere ed elaborare nuove riforme». Fisco, tasse, spread, pareggio di bilancio. Sono parole entrate ormai nella quotidianità di tutti i cittadini. Come affiancherete cittadini e imprese nei rapporti con gli enti incaricati al controllo e alla riscossione? «È stato da poco sottoscritto un accordo con Equitalia, mirato ad agevolare cittadini e imprese, che permetterà di realizzare nuove forme di collaborazione locale tra Equitalia e i rappresentanti dei 106 consigli provinciali


Marina Calderone

15,1% PIL QUOTA RAPPRESENTATA DALLE PROFESSIONI ORDINISTICHE, CHE HANNO ASSUNTO UN RUOLO FONDAMENTALE NEL SISTEMA ECONOMICO E SOCIALE DEL PAESE, SUL DATO NAZIONALE

dei consulenti del lavoro, con l’obiettivo di rafforzare il dialogo già avviato da anni sul territorio. È prevista anche la condivisione di uno sportello web interattivo dove tutti gli iscritti all’Ordine possono partecipare con le loro riflessioni sull’azione di riscossione a livello locale oltre a un filo diretto con Equitalia per ricevere tutta le informazioni sulle procedure, sulle novità normative e sulle agevolazioni a disposizione dei contribuenti e, in particolare, sulla possibilità di rateizzare le cartelle di pagamento per chi si trovasse in difficoltà a mettersi in regola con il fisco. Si terranno poi in tutte le regioni italiane incontri fra i direttori regionali di Equitalia e gli iscritti all’Ordine dei consulenti del lavoro sulle tematiche di attualità. Bisogna essere al fianco delle istituzioni nella lotta all’evasione, ma anche al fianco dei cittadini che subiscono soprusi da parte dello Stato». Qual è l’importanza degli ordini professionali nel processo di rinnovamento del Paese e i cittadini quanta fiducia hanno nelle professioni? «Le professioni ordinistiche hanno assunto nel tempo un ruolo fondamentale nel sistema economico e sociale del Paese, giungendo a rappresentare una componente importante del Pil italiano, arrivando al 15,1 per cento

del dato nazionale. Dagli ultimi dati pubblicati dall’Agenzia delle Entrate risulta che i contribuenti che dichiarano più di 150.000 euro di reddito sono proprio i lavoratori autonomi, tra cui i liberi professionisti. Le professioni intellettuali rappresentano di sicuro un valore aggiunto per il sistema Italia. Le attività professionali, inoltre, non si rivolgono solo all’utente-cittadino ma sono continui i rapporti dei consigli degli ordini con le istituzioni e la pubblica amministrazione per l’elaborazione e lo sviluppo di politiche attive a favore di tutti i cittadini. I singoli comparti professionali hanno contribuito alla modernizzazione e all’introduzione di criteri di efficienza nell’attività delle pubbliche ammini- In apertura, Marina Calderone, strazioni. La semplificazione amministrativa presidente del Consiglio è uno dei temi su cui gli ordini professionali nazionale dell’Ordine operano da tempo e per il cui raggiungimento dei consulenti del lavoro i singoli iscritti effettuano costantemente ingenti investimenti in termini di allocazione di risorse umane ed economiche, senza percepire alcuna forma di compenso a carico della finanza dello Stato». Da dove passa il rilancio del mondo delle professioni? E cosa si aspetta dalle istituzioni? «La riforma delle professioni ordinistiche italiane ha trovato il suo compimento nella pubblicazione del decreto 137 del 7 agosto 2012. 2013 • DOSSIER • 39


MERCATO DEL LAVORO

Ora attendiamo che si rendano operativi al- bisogno di studiare le nuove disposizioni e cuni dei regolamenti che attueranno le norme inserite nel testo che, nel clima instaurato di piena e fattiva collaborazione, spero vengano discussi e condivisi con gli organi nazionali di rappresentanza delle professioni. Il mondo ordinistico è una parte importante dello Stato e come tale va trattato». Come è andato il debutto delle società tra professionisti? E quali risultati si aspetta per i prossimi mesi della diffusione di questo modello rispetto ad altri modelli societari? «Non ci aspettiamo la corsa alla creazione di nuove società perché i professionisti hanno

metabolizzarle prima di usarle. I primi risultati si vedranno tra un paio di mesi, ma nel frattempo stiamo cercando di risolvere alcune criticità venute fuori dalla pubblicazione del regolamento. Ad esempio, abbiamo evidenziato che le disposizioni non disciplinano in alcun modo il regime fiscale applicabile alle nuove società tra professionisti, né alcun rinvio è stato fatto dalla legge a disposizioni emanate in passato. Si tratta di un punto chiave, perché da quello fiscale dipende anche il regime previdenziale. Inoltre, restano problematiche la vigilanza degli or-

IL RILANCIO DELL’OCCUPAZIONE N el suo ultimo rapporto sulla riduzione del costo del lavoro, l’Ocse conferma quello che i consulenti del lavoro sostengono già da tempo. E cioè che il problema dell’elevato costo del lavoro non si può risolvere senza ridurre la tassazione da lavoro dipendente. Senza un’adeguata riduzione di costi indiretti e un intervento sulla spesa pubblica, aggravata sempre più da sprechi e da costi in esubero, è difficile pensare alla possibilità di accumulare risorse utili a ridurre la pressione fiscale e a rilanciare l’economia. «Chi conosce le problematiche reali, sa che la soluzione sta nel creare un sistema strutturato e costante di regole che vanno nella direzione delle imprese – precisa il presidente della Fondazione studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, Rosario De Luca (nella foto) –. Infatti, così come lavoratori e famiglie, le imprese

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non possono attendere ulteriormente l’introduzione di nuove misure utili allo sviluppo». L’Italia deve ripartire dal lavoro, riducendone sensibilmente i costi. Come si può procedere in questa direzione? «La nostra categoria ha avanzato ai decisori politici una serie di proposte volte a risolvere la questione occupazione, optando per un maggiore sviluppo delle pmi e per l’abbassamento del costo del lavoro. Il principio è quello di restituire alle imprese parte delle somme che versano a vario titolo e che sono destinate a finanziare la spesa pubblica. Nel corso del Professional day di febbraio abbiamo presentato un progetto di riduzione del carico fiscale e contributivo dell’8 per cento, distribuito al 50 per cento tra datore di lavoro e lavoratore, per coloro che percepiscono una retribuzione non superiore a 40.000 euro. I fondi per sostenere

questa riduzione delle entrate sono rintracciabili in 4 interventi concreti e realizzabili: una revisione delle tariffe di rischio Inail, una nuova destinazione delle risorse accumulate con il fondo di tesoreria del Tfr, l’utilizzo del 20 per cento delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale e la riduzione di uno dei capitoli della spesa pubblica». L’Ocse invita a muoversi seguendo il modello della Riforma Fornero. Lei è d’accordo? O quali interventi strutturali andrebbero applicati? «La Riforma Fornero non è un modello da seguire per creare sviluppo. Si tratta di un insieme di compromessi che hanno coinvolto la politica e le parti sociali sulla questione licenziamenti a danno delle aziende che, in questo modo, sono chiamate a rispettare una serie di adempimenti inutili e complessi. La legge 92/12, infatti, ha intro-


Marina Calderone

Abbiamo sottoscritto un accordo per nuove forme di collaborazione locale tra Equitalia e i rappresentanti dei 106 consigli provinciali dei consulenti del lavoro dini sulle società multidisciplinari e il rapporto con le società tra avvocati, che dovranno essere ristrutturate seguendo le indicazioni della riforma forense. Alcune questioni potranno essere chiarite dagli ordini, con circolari interne ma per altre saranno necessari nuovi interventi normativi che, se si faranno attendere, potrebbero mettere a rischio il decollo del nuovo strumento». Quali le opportunità e i limiti delle nuove società? «Toccherà ai professionisti vigilare sulla corretta applicazione della legge. Noi riteniamo che possa essere uno strumento utile so-

dotto troppe rigidità in entrata, creando un’eccesiva burocratizzazione che non semplifica le condizioni del datore di lavoro o del lavoratore dipendente, frapponendo ulteriori ostacoli all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Sono necessari interventi strutturali sui contenuti della riforma, oltre che su tutto ciò che ostacola i consumi. Una revisione dei metodi di accertamento del fisco, e in particolare del redditometro, non sarebbe sbagliata». Quali i punti più importanti del manifesto “Ripartiamo dal lavoro”, presentato in occasione del 1° maggio, e le ricette dei consulenti per rilanciare l’occupazione? «Ripartiamo dal lavoro è il tema della due giorni organizzata a Palermo che ha visto, tra i suoi numerosi eventi, un momento in cui giovani consulenti del lavoro si sono ritrovati assieme ai vertici della categoria

prattutto per le giovani generazioni. Ma é necessaria una grande vigilanza per evitare che diventino scorciatoie per chi, senza averne le caratteristiche, vuole svolgere abusivamente una libera professione. In quest’ottica, é indispensabile essere molto severi e attenti perché di mezzo ci sono diritti fondamentali dei cittadini che vengono tutelati dalla nostra professionalità. Diritti il cui godimento sarebbe invece messo a serio repentaglio se a fornire la prestazione fossero soggetti senza alcun controllo deontologico o formativo, come avviene invece nel sistema ordinistico».

per discutere del futuro della professione e ritrovare fiducia e sostegno per il loro ingresso nel mercato del lavoro. La ricetta è quella di rivedere la Legge Fornero intervenendo soprattutto sulla flessibilità, l’apprendistato, la cassa integrazione in deroga e i contratti a termine. Ma la priorità

assoluta è quella di favorire lo sviluppo, ridando respiro alle aziende». Quale sarà il contributo che i consulenti del lavoro offriranno al nuovo governo? «Abbiamo molto apprezzato il discorso del premier Enrico Letta, che ha posto al centro del suo programma l’emergenza lavoro e il sociale, prevedendo interventi di modifica alla Riforma Fornero. Ci siamo messi da subito a disposizione del nuovo governo per contribuire alla nascita di una nuova fase del Paese. L’occupazione dovrà essere in cima alle priorità, ma per far questo è indispensabile varare provvedimenti che rafforzino la gestione delle politiche attive del lavoro. Porteremo avanti il nostro ruolo di sussidiarietà allo Stato così come il monitoraggio preventivo delle norme con i tecnici per evitare gli sprechi sulla collettività a posteriori».

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MERCATO DEL LAVORO

La crisi presenta il conto La disoccupazione in Piemonte corre, così come avviene a livello nazionale. Le istituzioni e le associazioni di categoria invitano ad agire per risolvere una vera emergenza sociale Renata Gualtieri

S

econdo i dati diffusi dall’osservatorio che fa capo all’assessorato regionale al lavoro guidato da Claudia Porchietto, rispetto a cinque anni fa, il numero di chi cerca lavoro è cresciuto dell’86 per cento, e il primato negativo spetta alle città di Alessandria e Novara. A vivere la situazione più critica è però la provincia di Vercelli, che da 3.700 persone senza impiego passa a 9.200, +49 per cento, con un tasso di disoccupazione dell’11,1 per cento. Anche Torino in questi ultimi anni ha raddoppiato il suo tasso di disoccupazione, con quella giovanile che tocca addirittura il 34 per cento. Su 187mila persone in cerca di lavoro in tutta la regione, i disoccupati nella città della Mole sono 103mila e le assunzioni, rispetto al 2008, hanno subito un calo significativo con una diminuzione del 30 per cento dei contratti a tempo indeterminato. Elevato anche il ricorso alla cassa integrazione: quasi 675 milioni di ore dal 2008 al 2012, mentre gli iscritti alle liste di mobilità sono 46mila, cioè il 70,5 per cento in più del 2008, e circa 25mila risultano torinesi. A Novara, in occasione del 1° maggio, la segretaria della Cisl Piemonte, Giovanna Ventura, ha ribadito che il Piemonte è «la regione del nord Italia con il più alto tasso di disoccupazione e se la cassa in deroga non verrà finanzia42 • DOSSIER • 2013

ta si perderanno migliaia di posti di lavoro. Bisogna quindi ripartire dal lavoro. Creare occupazione, risolvendo la vera emergenza di questi tempi». E ha poi spiegato come non abbia senso che la Regione applichi una strategia di soli tagli. «Le conseguenze – ha sottolineato Giovanna Ventura – le stiamo vedendo, in modo pesante, su settori come il trasporto pubblico locale, la sanità, i servizi socio-assistenziali. Per questo diremo anche il nostro no all’ipotesi regionale di aumento dell’addizionale Irpef». L’11 maggio scorso Cgil, Cisl e Uil provinciali hanno organizzato una fiaccolata, “Insieme per il Lavoro. Ora e subito”, perché anche gli ultimi segnali non appaiono incoraggianti. La cassa integrazione, cresciuta proprio recentemente, coinvolge tutti i settori produttivi. Al 30 aprile i lavoratori interessati dalla cassa integrazione straordinaria risultavano 24.282, di cui 16.661 appartenenti al settore metalmeccanico e più di 4mila a quello della gomma-plastica. Le tre sigle sindacali hanno denunciato come centinaia di attività produttive e commerciali hanno chiuso i battenti o sono fallite, lasciando un vuoto non solo di lavoro, ma anche di competenze e di reddito. «È in corso – ha commentato il segretario della Cisl Torino, Mimmo Lo Bianco – una vera deindustrializzazione del nostro territorio, peggiorata ulteriormente dal blocco dei


I numeri del Piemonte

-2.262

IMPRESE ARTIGIANE IL SALDO CHE SI È REGISTRATO AL 31 DICEMBRE 2012 TRA AZIENDE ISCRITTE E CESSATE, SU 133.134 DITTE DEL SETTORE

Un giovane su tre tra 15 e 24 anni è senza lavoro. Il rischio è quello di condannare all’emarginazione un’intera generazione

lavori in edilizia e dalla riduzione d’imprese e cooperative vittime del taglio delle risorse al welfare. Con questa fiaccolata abbiamo voluto dare voce a queste priorità. Il lavoro non è solo una fonte di reddito, è soprattutto dignità. È la condizione per realizzare la propria personalità e la propria vita. Senza lavoro non c’è libertà». Secondo i sindacati torinesi sono migliaia i cittadini non più in grado di far fronte alle esigenze primarie come la casa (sono 250 al mese gli sfratti per morosità incolpevole), la salute (circa il 30 per cento rinuncia a cure e prevenzione per sé o per i propri familiari) e l’istruzione per i figli. I sindacati confederali chiedono «adeguati stanziamenti per la cassa integrazione in deroga, misure e risorse per gli esodati, lo sblocco del patto di stabilità agli enti locali per investire su lavoro e welfare, politiche industriali per impedire la desertificazione del manifatturiero e il licenziamento di migliaia di persone». Il protrarsi della recessione colpisce in particolar modo le imprese artigiane. Secondo i dati di Confartigianato, in Piemonte, su 133.134 ditte del settore, il saldo al 31 dicembre 2012 tra iscritte e cessate è stato di -2.262 unità. La sola provincia di Vercelli ha perso negli scorsi 12 mesi 148 aziende. Non solo: negli ultimi cinque anni, in regione, si è registrato un calo negli investimenti nel settore delle costruzioni del 19,1 per cento. «Un giovane su tre – fanno sapere da Confartigianato Vercelli – nella fascia d’età tra 15 e 24 anni è senza lavoro. Il rischio che molti temono è quello di condannare all’emarginazione un’intera generazione». 2013 • DOSSIER • 43


MERCATO DEL LAVORO

La priorità è l’occupazione giovanile Negli ultimi 5 anni la disoccupazione è cresciuta dell’86 per cento e le città della grande industria, Torino, Alessandria e Novara, sono state travolte dalla crisi. Ma l’attenzione più grande, secondo l’assessore regionale al Lavoro, Claudia Porchietto, va rivolta ai giovani Renata Gualtieri

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Claudia Porchietto, assessore Lavoro e formazione professionale della Regione Piemonte

ra i dati diffusi dall’osservatorio dell’assessorato al Lavoro e formazione professionale della Regione Piemonte, quello più preoccupante è riferito alla disoccupazione giovanile. La lunga crisi in corso sta minando alle fondamenta l’identità stessa di società italiana che vedeva nell’investimento sui giovani la propria forza. «La riforma Fornero – commenta l’assessore regionale Claudia Porchietto – ha avuto effetti devastanti per i nostri ragazzi. Non perché fosse sbagliata a priori, ma perché non ci voleva un tecnico per sapere che in un momento di congiuntura sfavorevole è dannoso irrigidire le regole d’entrata nel mercato del lavoro». A Torino la disoccupazione giovanile ha toccato il 34 per cento. Quali le misure già messe in atto o da programmare per invertire la rotta? «Ci stiamo muovendo in più direzioni. Abbiamo rafforzato le interazioni tra i mondi dell’impresa e dell’istruzione/formazione puntando sull’apprendistato. Infatti, dall’inizio

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del mandato a oggi il Piemonte si è affermato come un esempio in Italia in questo campo: siamo la prima regione ad aver offerto la possibilità anche ai minorenni di poter lavorare acquisendo un titolo di studio e possiamo contare su oltre 1.000 ragazzi che hanno acquisito un titolo accademico in apprendistato. Abbiamo poi ampliato l’offerta del salone “Io Lavoro”, che si occupa di agevolare l’incontro tra domanda e offerta per giovani, andando oltre il solo settore turistico-alberghiero. Questo sforzo permette oggi al Piemonte di poter annoverare la prima job fair in Italia: in questi anni sono stati oltre 210mila i colloqui promossi grazie alla collaborazione di circa 700 aziende che hanno messo a disposizione circa 150mila offerte, di cui il 25 per cento si tramuta in un contratto di lavoro. E ora stiamo lavorando


Claudia Porchietto

Siamo la prima regione ad aver offerto la possibilità anche ai minorenni di poter lavorare acquisendo un titolo di studio

su un dossier giovani da sottoporre al governo». In Piemonte negli ultimi 4 anni sono stati assunti oltre 227mila artigiani, il 30 per cento dei quali a tempo indeterminato. Quanto l’artigianato può rappresentare un’opportunità? «L’artigianato rappresenta un’opportunità enorme, in particolare per chi ha voglia di “rubare” il mestiere per poi mettersi in proprio. In questi anni ho incontrato tanti artigiani che hanno timore che la propria competenza scompaia. Proprio sulla filiera degli antichi mestieri c’è tutto un mondo fatto d’eccellenza made in Italy che rischia l’estinzione e che, invece, può tramutarsi in reali ricadute occupazionali. Si tratta di mestieri peraltro anche remunerativi e che non devono essere vissuti come di serie B solo perché manuali». Donne e occupazione: qual è la situazione in regione e in che misura la donna può rappresentare un valore aggiunto nel mondo del lavoro? «Sono state le prime a perdere il posto di la-

voro, ma sono anche le prime che vengono richiamate in azienda. La dimostrazione c’è stata nel 2010 quando abbiamo verificato una timida ripresa di tre mesi, poi tramontata con la crisi dello spread. È assodato che il fattore D produce più ricchezza e Pil, lo Stato italiano però deve iniziare a investire su tutta una serie di servizi che agevolano la donna nella sua carriera. Su questo punto c’è solo da imitare il modello dei Paesi scandinavi». Negli ultimi tempi si moltiplicano episodi di cronaca che vedono coinvolti imprenditori e lavoratori schiacciati dal peso della crisi economica. In che modo le istituzioni locali possono sostenerli? «Abbiamo rafforzato negli uffici la funzione anche di semplice ascolto: un modo per non farli sentire soli. Certamente però la situazione è drammatica perché questa crisi, per capacità di diffusione a 360 gradi, ti fa perdere tutti i punti di riferimento in modo subdolo. Ma il problema vero è che molte volte le persone non conoscono tutte le misure che abbiamo a disposizione per loro, spesso gli enti locali una mano possono darla». La Romi Sandretto è a un passo dalla chiusura e ha avviato le procedure di licenziamento. In merito alla vicenda lei ha affermato che l’Italia non può essere trattata come un supermarket. Cosa intendeva dire? E quale sarà l’impegno della Regione in questa circostanza? «Esiste una tendenza ormai consolidata da parte straniera di venire in Italia, acquisire il know-how e poi dopo due anni abbassare la serranda di quelli che fino a ieri erano i diretti concorrenti. È quello che sta succedendo alla Romi Sandretto, dove è in gioco, oltre al marchio, anche la manutenzione di oltre 3mila presse nel mondo. Lo Stato italiano deve imparare a fare quadrato verso questo tipo di speculazioni e dire basta. In questa vicenda siamo riusciti a far sedere nuovamente al tavolo l’azienda brasiliana e un possibile acquirente che non era mai stato incontrato. Vedremo se questa sarà la volta buona per venire incontro agli oltre 150 lavoratori coinvolti». 2013 • DOSSIER • 45


EXPORT

Sollevatori, si punta sulla diversificazione geografica L’innovazione declinata in quattro concetti chiave: sicurezza, efficienza, versatilità e comfort. Queste le linee guida della strategia che guida gli investimenti del gruppo presieduto da Amilcare Merlo Valerio Germanico

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Amilcare Merlo

n fatturato 2012 con una quota di export che supera il 90 per cento. Dato al quale se ne accosta un altro: la produzione interna del 91 per cento dei componenti. Sono questi alcuni dei numeri più significativi del Gruppo Merlo che ha scelto di affrontare la crisi giocando in attacco. Come sottolinea il presidente Amilcare Merlo: «Il momento di generale incertezza sul mondo che stiamo ormai vivendo da alcuni anni, evidenzia con chiarezza la fase sociale nuova nella quale siamo entrati. Ognuno di noi dovrà pensare, vivere e operare in modo diverso da quanto fatto fino a ieri. I grandi paesi asiatici il Sud America, l’Africa, stanno cercando con veemenza di emergere dalla stagnante situazione dei decenni passati e stanno diventando protagonisti importanti in molti mercati già maturi, ma stanno anche offrendo a noi, paesi più avanzati, grandi opportunità a casa loro. L’Italia, come hanno già fatto altri, deve partecipare a questo momento di crescita inserendosi nei loro circuiti produttivi e commerciali per essere domani un partner, e non solo un concorrente. Per questo è necessario creare nostri punti di sviluppo, nuove filiali commerciali, e forse anche produttive, senza le quali non potremo mai essere integrati». Il Gruppo Merlo, comunque, resta fortemente legato all’Italia. «Il Gruppo è costituito da un’insieme di aziende che abbiamo creato in questi anni, onde poter portare a termine un progetto chiaro: realizzare prodotti ideati e costruiti interamente in Italia. Una sfida che abbiamo vinto. Come abbiamo detto, il Gruppo Merlo non è un “assemblatore” ma una realtà industriale estremamente verticalizzata che produce al suo interno la maggior parte dei componenti, che sono disegnati e sviluppati al nostro interno, per poter così trovare sempre la soluzione migliore per le esigenze dei nostri clienti. È questo ha convinto anche i mercati che continuano a premiarci». Qual è, oggi, il vostro core business?

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Amilcare Merlo, presidente del gruppo Merlo Spa di Cervasca (CN) www.merlo.com

«Il successo del Gruppo Merlo nel mondo si basa sulla tecnologia e l’innovazione dei prodotti, che vengono interamente disegnati e sviluppati al nostro interno per poter così trovare sempre la soluzione migliore per le esigenze del mercato. È evidente che il cuore della nostra azienda sono i sollevatori telescopici, ma noi non produciamo solo questo tipo di prodotto. Abbiamo anche altre linee molto importanti, come le betoniere auto caricanti, che rappresentano una parte importante del nostro business soprattutto in Nord Africa; i trasportatori cingolati multiuso Cingo, molto utili per le lavorazioni in aree con forti pendenze e spazi stretti; i trattori porta-attrezzi per la manutenzione dei boschi dei cigli stradali e per la rimozione della neve. Per concludere abbiamo un’intera gamma di compattatori in grado di coprire le differenti esigenze di ogni comune, dalla raccolta in centri storici con strade anguste alla necessità di raccogliere grandi quantità di nettezza urbana con grandi mezzi». Come ha modificato le vostre strategie la crisi economica? 2013 • DOSSIER • 47


EXPORT

LO SCOPO SOCIALE DELL’AZIENDA er il management del gruppo Merlo l’impresa non è solo uno strumento per la creazione di ricchezza. Bensì un fattore che deve contribuire a migliorare le condizioni dell’area in cui opera. Da ciò la scelta di non delocalizzare, investire nell’unico stabilimento produttivo italiano e collaborare con le altre aziende del territorio – anche di altri settori industriali. L’impegno del Gruppo però non si arresta a questo. Merlo promuove infatti numerose attività a livello locale, soprattutto a supporto della formazione dei giovani. Per questo da anni collabora con il Politecnico e l’università, ma anche con scuole locali. Queste collaborazioni hanno portato a un progetto di avvicinamento fra studenti e azienda che si sviluppano poi in stage per i giovani più meritevoli, sia in azienda sia presso le filiali estere. Le parole chiave dell’investimento sul territorio sono quindi per Merlo tre: formazione, giovani e internazionalizzazione.

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«Abbiamo deciso di lavorare duramente per au- quanto richiesto dalla già severa normativa sulla mentare l’efficienza e, di conseguenza, la competitività. Producendo al contempo macchine sempre più performanti. Per questo abbiamo lavorato su tre fronti: innovazione di prodotto, innovazione del sistema produttivo e sviluppo commerciale. L’innovazione del prodotto si basa su quattro fattori: sicurezza, efficienza, versatilità e comfort. La Sicurezza è un tema molto importante per il Gruppo Merlo, che è da sempre impegnato per realizzare macchine più sicure e ha creato al proprio interno un Centro di Formazione (CFRM) accreditato presso la Regione Piemonte ed eroga corsi approvati dall’Inail DTS. Negli ultimi modelli è stato inoltre introdotto un sistema rivoluzionario e brevettato che gestisce in modo completamente automatizzato la sicurezza operativa del mezzo, il Controllo Dinamico del Carico Merlo (Mcdc), che permette di andare oltre

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sicurezza (En 15000). Per efficienza intendiamo sia la massimizzazione della produttività, che la riduzione dei costi e dei consumi con conseguente riduzione delle emissioni. Un esempio è dato da due tecnologie anch’esse brevettate: Merlo CVTronic ed EPD (Eco Power Drive), che lavorano sinergicamente per ottimizzare queste azioni produttività e confort, permettendo di ottenere una riduzione dei consumi che può raggiungere anche il 30 per cento rispetto a un mezzo ordinario, riducendo così i costi di esercizio e le emissioni di CO2». E per quanto riguarda versatilità e comfort? «Versatilità per noi vuol dire utilizzare un mezzo in applicazioni molteplici. E questo è possibile grazie alle attrezzature che noi stessi produciamo, ma anche grazie a telescopici nuovi, progettati per un ampio campo di utilizzo. Parlo per esempio dei Turbofarmer e dei Multifarmer, veri e propri


Amilcare Merlo

Stiamo investendo in maniera importante per portare a termine un progetto di evoluzione e riorganizzazione del processo produttivo

crossover fra il mondo dei telescopici e quello dei trattori agricoli. Per quanto riguarda il comfort, poi, abbiamo introdotto la possibilità di avere la cabina sospesa, in maniera tale da incrementare notevolmente il comfort dell’operatore che si trova a bordo dei nostri mezzi». Parliamo invece dell’innovazione del sistema produttivo. «Sin dal 2010 si è ideato e messo in atto un grande progetto economico-finanziari di ricerca, sviluppo che interessa l’intero Sistema del Gruppo Merlo. Abbiamo investito e stiamo investendo in maniera importante nel nostro stabilimento per portare a termine un progetto di evoluzione e riorganizzazione del processo produttivo, che adotterà tecnologie di ultima generazione per aumentare la qualità del processo ed aumentando al contempo l’efficienza».

Lo sviluppo della rete commerciale significa aumentare l’export. In quali aree? «Per affrontare la crisi economica che sta colpendo l’Europa, e il nostro paese in particolare, abbiamo investito per potenziare la nostra rete commerciale con la ricerca di nuovi mercati e la realizzazione di nuove filiali. Abbiamo così iniziato a sviluppare maggiormente la nostra presenza in nuovi mercati come l’America del Sud – focalizzandoci sul Brasile –, gli Stati Uniti, la Russia e la Polonia, dove proprio nel 2012 abbiamo aperto una nostra filiale diretta per sviluppare il mercato. Se l’espansione geografica è stata sicuramente una mossa fondamentale per la nostra crescita, al contempo ci ha posto in una posizione più equilibrata rispetto al rischio legato alla volatilità e ai cicli economici dei singoli mercati».

Sopra, programmazione di controllo di qualità automatica

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EXPORT

L’eccellenza italiana premiata in Giappone l Piemonte, con le sue eccellenze industriali, ha ancora le carte per risollevare le sorti economiche del suo territorio, e non solo. Per questo serve però un cambio di rotta che non è solo responsabilità del governo, né risulterà risolutivo il dialogo tra le parti sociali: le imprese devono trovare il modo di guadagnare nuove quote di mercato. L’esperienza di Alberto Pesce, amministratore della Vigel Manufacturing Technologies, spiega come rivolgere la propria attenzione al di fuori dei confini nazionali sia una possibilità irrinunciabile, anche in questo settore. La Vigel è leader nei sistemi di produzione per sospensioni, sistemi frenanti, e powertrain. E ne è una testimonianza l’importantissimo riconosci-

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Una realtà leader al mondo nella produzione di beni strumentali. Il caso della Vigel e le prospettive del suo amministratore, Alberto Pesce, sempre più orientate all’export Remo Monreale

mento ottenuto dall’azienda da parte del mercato giapponese (ndr: Hitachi Automotive) per gli obiettivi raggiunti, con l’assegnazione del prestigioso “Award 2013 for performance and continue support”, premio assegnato per la prima volta a un’azienda del vecchio Continente. «I nostri Centri di Lavoro Plurimandrino – spiega


Alberto Pesce

Alberto Pesce, amministratore della Vigel Spa di Borgaro (TO) durante la cerimonia dell’Hitachi Automotive Award (Tokio - Aprile 2013) www.vigel.com

95% Pesce – sono moduli flessibili di produzione ad alte prestazioni destinati alla mass production per il settore automotive, a clienti Tier-1 o direttamente al Car- Maker finale e quindi sempre finalizzati alla produzione di componenti OEM. Quest’anno, nonostante la profonda crisi economica e finanziaria, il risultato di bilancio si è chiuso in modo più che soddisfacente, con una crescita del fatturato di circa il 20 per cento, consolidando peraltro le posizioni di mercato». Un risultato in controtendenza. « Il trend che ci vede da sempre orientati in modo determinato verso l’export, ci ha permesso una redistribuzione delle quote di vendita che vede in costante crescita i mercati asiatici, il consolidamento del mercato Usa ed Europeo. Determinante è stata la decisione di aprire una sede operativa tecnico-commerciale in Cina a fine 2011. Sede che, nel 2012, ha iniziato a dare i risultati attesi. Allo stesso modo, strategica è stata la decisione di potenziare la nostra presenza in Messico, prima dipendente dalla sede di Vigel Nord America, con l’avvio di una struttura locale snella ma capace di azzerare i tempi di attesa per

EXPORT LA QUOTA PERCENTUALE SOMMARIA DELLE ESPORTAZIONI SECONDO IL BILANCIO RELATIVO AL 2012 DELLA VIGEL SPA

gli interventi di service. La sede produttiva di Vigel India, con un organico di circa 8o addetti, ci permette di essere ben presenti su questo mercato emergente dalle grandi potenzialità. Tali orientamenti sono del resto giustificati dalle stime degli analisti di settore che prevedono per il 2013 una produzione attesa di 20 milioni di auto in Cina, 16 milioni di auto negli Usa e 14 milioni di motocicli in India». Quali sono stati gli asset strategici che lo hanno permesso? «L’asset intangibile del know-how è una delle leve più importanti in azienda. Investiamo molto in termini di formazione e sviluppo delle competenze, così come in sistemi di progettazione e di produzione che rendono integrato, reattivo e flessibile il modo di operare delle risorse, sia a livello di collaborazione tra enti interni che con i propri clienti. Importanti investimenti hanno ri- 2013 • DOSSIER • 51


EXPORT

guardato, ad esempio, l’implementazione di una

nuova piattaforma gestionale Erp (Oracle). In una logica di “gestione per processi", l'adozione di un sistema Erp evoluto e allineato alle best practices degli standard internazionali offre un efficace strumento gestionale per integrare i processi primari con quelli di supporto, in modo da pianificare e controllare l'intero processo di trasformazione della materia prima o del semilavorato, permettendo alle funzioni produttive di interfacciarsi efficacemente con le funzioni tecnico-amministrative e di presidiare tutte le aree industriali». Il vostro investimento in ricerca non è da poco, quindi. «A dimostrazione del nostro costante impegno in questa direzione, posso dire che nel 2012/13 abbiamo avviato le procedure per la registrazione di due nuovi brevetti internazionali. Continuo, del resto, è il rapporto di col-

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laborazione con il Politecnico di Torino e con i centri di analisi e i laboratori certificati che si affiancano al programma di testing che gestiamo all’interno. L’attività R&D è da sempre orientata all’integrazione e modularità, in grado di accorpare più fasi di lavorazione sulla stessa macchina, riducendo per i nostri clienti gli investimenti in macchine convenzionali e ottimizzando spazi e layout di stabilimento». Quali sono le sue previsioni sull’andamento del mercato interno? «È sotto gli occhi di tutti. Senza politiche di sostegno alle imprese (non “piccoli aiuti dallo Stato”, ma snellimento di pratiche burocratiche, sviluppo delle infrastrutture e dei distretti industriali, accordi di partnership commerciali strutturali, incentivi per ricerca e sviluppo, e altro ancora) le imprese faranno sempre più fatica. L’indotto auto, un tempo fiore all’occhiello dell’industria italiana, rischia di depauperare competenze e professionalità. Oggi è già allo stremo».



TECNOLOGIE

Telecomunicazioni, l’innovazione si rinnova Il mondo delle telecomunicazioni non sta vivendo il suo momento più florido a causa della recessione e dei cambiamenti tecnologici che penalizzano gli assetti tradizionali. Le soluzioni sono innovazione ed elasticità Lorenzo Brenna

l settore delle telecomunicazioni può giocare un ruolo cruciale per lo sviluppo del Paese e dell'economia. Investire in reti fisse e mobili potrebbe essere la scelta vincente, nonostante al momento i ricavi degli operatori di telefonia siano in calo, conseguenza della crisi che ha investito il Paese. Le difficoltà sono anche il riflesso dei cambiamenti tecnologici che stanno modificando il settore, ampliandone i confini e penalizzando gli assetti tradizionali. Affrontiamo il caso Alpitel per chiarire le dinamiche di questo mercato. Alpitel, azienda della provincia di Cuneo, opera nel settore delle telecomunicazioni, dello sviluppo e nella realizzazione di reti e impianti per telecomunicazioni da oltre mezzo secolo. Effettua anche progettazione, sviluppo e realizzazione di reti e sistemi che integrano tecnologie diverse, flessibili e aperte integrando servizi di fonia, dati e video. «In questi ultimi anni il mondo delle telecomunicazioni in cui operiamo, sta vivendo momenti travagliati e complessi - sostiene Giancarlo Bellino, presidente e amministratore delegato di Alpitel - le regole non sono chiare e gli in-

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Giancarlo Bellino, presidente e amministratore delegato della Alpitel Spa di Nucetto (CN) www.alpitel.it

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vestitori sono molto prudenti, se non addirittura spaventati. La nostra posizione di “impresa di rete”, cioè di azienda specializzata nella costruzione di infrastrutture, sia passive che attive, risente molto degli umori dell’ambiente e di conseguenza soffre delle incertezze e della mancanza di investimenti promessi, stanziati e quasi mai effettuati. Malgrado ciò riteniamo che il settore delle telecomunicazioni abbia ancora molto da dare al Paese e possa essere un vettore importante per accompagnarlo fuori dalla profonda crisi che sta attraversando, dando priorità all'acquisizione di nuovi clienti e alla massimizzazione del po-


Giancarlo Bellino

Riteniamo che il settore delle telecomunicazioni abbia molto da dare al Paese e possa essere un vettore importante per uscire dalla crisi

tenziale per acquisirne la fiducia». Soprattutto in un settore come questo innovazione e crescita sono parole chiave per non restare indietro e rimanere competitivi. «Abbiamo cercato di cogliere durante il 2012 quei timidi segnali di ripresa che stiamo aspettando da tanto tempo e che si sono manifestati attraverso l’aggiudicazione da parte dei nostri clienti più importanti, di commesse per lo sviluppo nelle città della “rete a banda ultralarga” e della rete mobile 4G, ed è stata proprio Alpitel ad avviare la prima sperimentazione sul campo della nuova tecnologia Lte». L’azienda piemontese si è adattata alle logiche di mercato cambiando se stessa. «Alpitel negli anni si è evoluta da impresa di rete a System Integrator - conferma Sergio Verzello, direttore dell’area di produzione e sviluppo - investendo sull’incremento delle competenze per l’implementazione delle tecnologie più innovative nell’ambito delle Reti Dati, Data Center e impianti per la sicurezza». Oltre le telecomunicazioni, che rappresentano il

core business dell’azienda, Alpitel si sta espandendo verso altri settori. «Stiamo esplorando nuove opportunità per lo sviluppo di soluzioni ad alto valore aggiunto applicabili ai progetti Smart City - spiega Carlo Carlotto, direttore dell’area di gestione - continueremo ad espandere la nostra capacità nel settore dell’impiantistica nel senso più ampio del termine, quali per esempio, in ambito ferroviario la sicurezza nelle gallerie». L’azienda punta a crescere sul panorama nazionale e a sfruttare le possibilità offerte dal mercato estero, in particolare il Sud America. «Il Brasile e l’Argentina stanno dando segni di vitalità e di sviluppo anche nelle telecomunicazioni – dichiara Gianpaolo Demi, direttore commerciale - Alpitel sta trattando l’acquisizione di importanti commesse pluriennali in questi paesi. Riteniamo che la professionalità finora dimostrata nell’esecuzione di contratti strategici accoppiata a un’organizzazione solida ci potranno consentire di esprimere al meglio il nostro potenziale anche oltremare». 2013 • DOSSIER • 57


TECNOLOGIE

L’Ict e il traguardo della semplicità Tecnologie all’avanguardia al servizio della semplificazione di processi inutilmente dispendiosi. Paolo Ravalli illustra il futuro, già disponibile, prendendo spunto dalla dematerializzazione dei flussi documentali Renato Ferretti

on l’attuale livello di contrazione del mercato la creazione di valore ritorna come tema centrale. In un mercato ideale, l’impresa vincente è quella innovativa che in una certa misura concorre a uno sviluppo sociale, in concomitanza con quello economico. Com’è evidente, invece, il mercato è tutt’altro che vicino al suo virtuoso modello ipotetico. Eppure, l’innovazione che porta all’effettivo miglioramento dei processi dà ancora i suoi frutti in termini di competitività e progresso sociale, anche in un settore ancora in calo come l’Ict: nell’ultimo quadrimestre, infatti, Sirmi ha registrato un andamento negativo del 3,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso nell’area sviluppo. Ma cosa vuol dire creare valore? A rispondere è Paolo Ravalli, uno degli amministratori della torinese Mainline, da quasi trenta anni in ambito Ict. «Nel nostro campo – dice Ravalli – la creazione di valore si può spiegare partendo proprio dalla situazione attuale del nostro mercato di riferimento. L’andamento è in calo perché ci sono tante società “generaliste” che offrono servizi di body rental, per progetti di software o sistemi informatici e le aziende si sono stufate di investire tanto per ottenere poco e oggi si attendono dalle aziende partner un’offerta diversa. La stragrande maggioranza del sistema italiano si basa su questo modello: la competenza rimane sulla persona, il cliente la utilizza

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Paolo Ravalli

Nascondere la complessità, utilizzando cultura e metodologie di avanguardia, è sempre più apprezzato dal mercato

La Mainline ha sede a Torino www.mainline.it

ma alla società che affitta il lavoro del suo personale, rimane poca competenza e i progetti del cliente diventano spesso a risorse infinite. La creazione del valore, invece, sta nella capacità di essere maniacali, al limite dell’ossessività, sui requisiti richiesti. Questo è il punto di partenza che consente di strutturare un progetto o l’ integrazione di un prodotto in fasi e componenti isolati tra loro. garantendo così un più facile e controllato raggiungimento degli obiettivi attesi e comuni. Nascondere la complessità, utilizzando cultura e metodologie di avanguardia, schemi progettuali che accelerano le fasi realizzative del software, è sempre più apprezzato dal mercato. In una parola, la semplicità è un traguardo».

Ravalli definisce la sua Mainline come una società di system integration, «La società – spiega l’amministratore – è presente nel mercato Ict dal 1998 con soluzioni complete per il mondo assicurativo nel ramo cauzioni e nella gestione dei flussi documentali: firma digitale forte, firma grafometrica, archiviazione ottica, archiviazione sostitutiva e gestione della posta elettronica certificata Pec. Questi sono i cinque pilastri che declinati all’interno di una qualsiasi organizzazione consentono di smaterializzare completamente i flussi documentali di qualsiasi organizzazione ed ottenere grandi benefici. Siamo stati i primi in Italia ad applicare la firma digitale forte con delle compagnie assicurative nel ramo cauzioni, ottenendo il riconoscimento del premio Odisseo prima edizione dell’Unione Industriale di Torino per l’innovazione tecnologica. Tra le altre necessità su cui abbiamo riflettuto c’era quella di usare il canale della “posta elettronica certificata”, di gestirne gli allegati in Pec, abbinando le ricevute con i messaggi e gli allegati riconciliandoli in unico punto. Inoltre, grazie alla firma grafometrica, già ORA firmiamo i documenti secondo le norme tecniche di riferimento di contratti o di polizze, anche in mobilità». 2013 • DOSSIER • 59


TECNOLOGIE

Immaginiamo di fare una pratica in Comune e avere tutto quello che serve il secondo dopo aver firmato, senza carta: è possibile grazie alla firma digitale

In particolare, la firma elettronica digitale forte è Come si può intuire, non sono certo poche le una tecnologia sulla quale ultimamente le aziende stanno convergendo. «La firma grafometrica – continua Ravalli – è basata invece su caratteristiche biometriche (ritmo, velocità, pressione, inclinazione, accelerazione) che consentono di ricondurre la firma apposta al soggetto sottoscrittore è molto simile a quella analogica e più vicina a utenti con scarse conoscenze informatiche. La firma digitale forte consente di attribuire paternità e integrità ai documenti elettronici prodotti con strumenti informatici, nel rispetto della normativa vigente, e attribuisce un valore legale a un documento informatico (fatture, contratti, bilanci...) o in contesti in cui è necessario aumentare il livello di sicurezza delle transazioni».

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possibilità di applicazione di novità come questa. «Basti pensare alla Pa – ricorda Ravalli –, in cui si sta convergendo verso un discorso di “agenda” digitale e non più solo di firma utilizzata per processi interni: il governo si è impegnato a emanare decreti che snellissero la Pa, obbligando già oggi i fornitori, per esempio, alla fatturazione elettronica. Si immagini la possibilità di fare una pratica in Comune e avere tutto quello che serve un secondo dopo aver firmato, grazie alla firma digitale o grafometrica: senza più gestire la carta e senza aspettare. Migliorando così la disponibilità immediata delle informazioni sia al cittadino e sia agli uffici competenti». La realtà della Mainline non è tra le più grandi del settore, eppure è riuscita a ritagliarsi il suo spazio grazie a determinate caratteristiche dell’ offerta. «Il vantaggio del software realizzato dalla Mainline – dice Ravalli – sta nella sua qualità costante nel tempo, indipendentemente dall’autore. Avere un software uniforme indipendente da chi l’ha scritto, è un valore in termini di omogeneità, di scalabilità e di manutenibilità, ed evita ricicli inutili. Tutto questo assolve alla nostra mission che è fornire soluzioni in grado di generare valore».



TECNOLOGIE

Se la forza vendita è “mobile” a rivoluzione tablet è appena iniziata. Per chi non vedeva una differenza poi così rilevante con un portatile, è giunto il momento di ricredersi. La capacità dimostrata dalle “tavolette” informatiche sta nell’usabilità di gran lunga maggiore a qualsiasi computer. Ma questo è solo l’inizio. Come Renato Ferretti spiega Stefano Crosio, di Nexus Informatica, questo supporto ha permesso una sorta di ribaltamento nella gerarchia aziendale per quanto riguarda l’uso della tecnologia. «Il mercato della mobilità aziendale è in piena rivolta – dice Crosio –, si è passati dalle soluzioni chiuse propo- utilizzatori. La nostra offerta al mercato si è ste dall’alto, cioè dall’azienda, all’uso di piatta- quindi modificata per fondere le reciproche esiforme aperte, che vengono dal basso e cioè dagli genze, sempre con il fine ultimo di garantire un prodotto software che presentasse evidenti benefici per entrambi gli utilizzatori». Bisogna premettere che la facilità d’uso ha permesso una maggiore diffusione dell’informatica, in base alla quale si sono moltiplicate le opportunità. La sfida della Nexus, in questo contesto, era creare un software il più semplice e completo possibile, accordandosi alle aspettative suggerite dal tablet, avendo un obiettivo ben preciso in mente: rendere del tutto indipendenti i funzionari di vendita. «Ma ancora più importante – continua Crosio – era per noi semplificargli la vita, o meglio, il lavoro. Abbiamo organizzato il software in modo da aiutare i rappresentanti a incrementare la loro efficacia, il numero delle visite, la marginalità di ciascun ordine: insomma, la nostra suite di programmi permette di fare più business in meno tempo. Il sistema consente di visitare clienti potenziali o acquisiti, localizzandoli con sistemi Gps e navigazione cartografica, abbiamo la disponibilità di tutti i documenti legati al dato cliente, della sua situazione contabile, delle statistiche e di tutte le informazioni che aiutano a vendere, come per esempio i prodotti che

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La Nexus Informatica Srl ha sede a Novara www.nexusinformatica.biz

Una tavoletta con tutto il necessario “a bordo”. La facilità d’uso ha aumentato il bacino di utilizzatori e questo ha trasformato il mercato, moltiplicando le opportunità. Stefano Crosio, Marketing Manager di Nexus Informatica, illustra le ultime soluzioni disponibili


Stefano Crosio

abitualmente compra, o quelli simili. Sono disponibili tutte le condizioni commerciali, in modo estremamente accurato, la gestione della trattative con la visione degli ultimi prezzi che sono stati applicati, un supporto per gestire la marginalità della transazione (per consentire gli sconti oppure no) e, ovviamente, la visibilità immediata dei prodotti a magazzino. Non bisogna dimenticare la possibilità di visionare le promozioni o di sfogliare un catalogo in formato pdf per illustrare le novità: insomma, una tavoletta con tutte le informazioni». Attualmente, le soluzioni per la Sales Force Automation, che Nexus ha prodotto e distribuito dal 2000, hanno raggiunto circa 2.200 utilizzatori sia in Italia, sia in altri Stati europei. «I reali risultati ottenuti alla terza generazione di new-tablets – dice Crosio – eccedono di gran lunga ogni risultato ottenuto da tre generazioni di mobile computer quanto da tre generazioni di smartphone. Certamente, soprattutto sul mercato italiano, la crisi del sistema manifatturiero e distributivo ha allungato significativamente i tempi di decisione, talvolta sino a un rinvio nell’adozione di specifiche soluzioni pur ritenute utili e valide». Per questo motivo non tutti gli operatori all’interno dell’Ict sono immuni dalla crisi. «Indubbiamente – continua il

La mobilità aziendale è in rivolta: dalle soluzioni chiuse proposte dall’alto si è passati alle piattaforme aperte, che vengono dal basso

titolare di Nexus – gli operatori che come Nexus più fattivamente hanno raccolto le opportunità offerte dai nuovi paradigmi informatici resistono, o meglio, vincono la crisi complessiva del sistema. Altri, invece, che hanno conservato i propri precedenti modelli di business, o che hanno usato le nuove tecnologie solo come una generica occasione per destare interesse nel proprio mercato, soffrono in misura maggiore». Inutile dire quanto sia importante in questo settore l’attività di ricerca. «La ricerca è un pilastro fondamentale ed è da sempre orientata su due direttrici. La principale è quella tecnologica, per offrire prodotti ready-to-go su ciascuna delle piattaforme riconosciute come leader dal mercato. La seconda è focalizzata sull’evoluzione dei processi di business: senza incremento di efficacia, infatti, la sola tecnologia non può portare reale valore aggiunto all’azienda utilizzatrice». 2013 • DOSSIER • 63


INNOVAZIONE

Stampaggio a caldo, i frutti della ricerca I comparti che hanno continuato a puntare sull'innovazione di prodotto e di processo stanno risentendo meno degli altri della congiuntura economica. Ne parliamo con Massimo Corippo Marco Tedeschi

Istat a inizio maggio ha ricordato che la ripresa per l'Italia è rimandata al secondo semestre del 2014, mentre per il 2013 l'attesa è di un altro calo del Pil dell'1,4 per cento. Un quadro fosco, ma non in maniera uniforme. Spigolando i dati dei singoli settori industriali, quotidianamente emergono situazioni differenziate: alle crisi profonde, talvolta a due cifre come nel caso dell'edilizia, si affiancano comparti con dati positivi. Com-

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parti che hanno in comune soprattutto una cosa, l’aver puntato sull'innovazione di prodotto e di processo, o che hanno esplorato nuovi mercati conquistando quote all'estero. È il caso ad esempio dell'Oms, realtà che si occupa dello stampaggio a caldo dell'acciaio producendo parti per sistemi di trasmissione e moto come ingranaggi, corone e alberi, dal grezzo alla lavorazione meccanica e fino al prodotto finito pronto per il montaggio. Un'azienda che, nonostante la congiuntura


Massimo Corippo

Massimo Corippo è titolare della società Oms. Nelle immagini alcune fasi di stampaggio e lavorazione di ingranaggi all’interno dello stabilimento di Salassa (TO) www.oms-spa.it

economica, non ha mai smesso di dedicare investimenti alla ricerca. «Mediamente – racconta il titolare Massimo Corippo - investiamo circa il 7-8 per cento del fatturato, con punte molto più alte nel caso di nuovi progetti mirati su clienti selezionati. Ora inoltre stiamo collaborando con delle università straniere a due progetti europei di sviluppo di nuove tecnologie produttive. Questo ci permetterà di essere ancora più competitivi e di poter puntare su processi innovativi». Una crisi che si è comunque fatta sentire molto anche per la Oms. «La congiuntura economica ha messo un forte freno agli investimenti in progetto, ma nonostante tutto siamo riusciti a sostituire due linee obsolete con delle linee nuove tecnologicamente avanzate. Siamo riusciti a rivedere tutto il processo produttivo e abbiamo cercato di puntare su nuove efficienze anche per riuscire a consolidarci sui mercati a cui puntiamo di più, ovvero il mercato nazionale ed europeo nel settore automotive, in particolare auto e camion. Sebbene il 2012 sia stato un anno difficile per la recessione generale e in particolare per il settore meccanico, siamo riusciti a gettare le basi per nuovi progetti che vedranno la luce a partire da metà 2013. Questo ci fa quindi ben sperare per l'anno in corso, nel quale speriamo di consolidare la clientela e di sviluppare dei progetti acquisiti». Nuovi progetti che punteranno ancora sulla qualità. «La nostra realtà esiste dal 1952 e siamo sempre stati un’azienda di riferimento in termini di qualità dei prodotti. Per questo siamo sempre stati riconosciuti come partner strategico dai principali clienti nazionali ed internazionali. Tutti i processi e servizi gestiti da noi rispondono infatti ai

8%

IL FATTURATO INVESTITO OGNI ANNO DALLA OMS PER FAVORIRE LO SVILUPPO E LA RICERCA. RISPONDENDO COSÌ ALLA CRESCENTE RICHIESTA DI INNOVAZIONE DA PARTE DEI MERCATI

più alti standard qualitativi nei settori dell’automotive e un laboratorio analisi con apparecchiature elettroniche garantisce la rispondenza delle caratteristiche richieste sia sulla materia prima che sul prodotto finito. La qualità nell’acquisto, progettazione e nella fabbricazione, la gestione dei processi e il supporto continuo sono sempre stati alla base di ogni nostra attività». Una qualità che risponde comunque a una produzione di grandi livelli e numeri. «Disponiamo di 14.000 mq di area attrezzata per lo stoccaggio dell’acciaio, con attiguo reparto troncatrici per il taglio a freddo di diametri con sezione tonda da 20 a 150 mm e quadra da 20 a 140 mm. Complessivamente – conclude Corippo - possiamo garantire una produzione di 3.200 tonnellate al mese per particolari con diametro fino a 450 mm. Il tutto senza mai abbassarne la qualità». 2013 • DOSSIER • 65


Export tecnologico La forza del made in Italy nel settore dell’imbottigliamento. Guglielmo Gai fa un quadro dei maggiori paesi importatori e delle tendenze e richieste del mercato. Sottolineando la crescente richiesta del comparto beer Luca Càvera

a tecnologia italiana dell’imbottigliamento si fa globale. Con un export che raggiunge l’80 per cento sul fatturato e una produzione annua di mille macchine la Gai di Ceresole d’Alba ha raggiunto tutti e cinque i continenti, individuando i suoi mercati principali in Francia, Stati Uniti, Germania e Austria. Mentre i settori di riferimento tradizionali sono quelli del vino, dell’olio e dei distillati, negli ultimi anni

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nel business dell’azienda fondata dalla famiglia Gai è entrato anche il settore della birra, in particolare con un incremento della domanda da parte dei microbirrifici, realtà ancora legate a una logica artigianale che punta all’alta qualità. Come evidenzia l’ingegnere Guglielmo Gai, membro del direttivo dell’azienda: «A differenza del segmento del vino, dove vige una concorrenza sfrenata fra i produttori, nel campo della birra si osserva invece grande collabora-


Guglielmo Gai

A sinistra macchine imbottigliatrici prodotte dalla Gai Spa di Ceresole d’Alba (CN) www.gai-it.com

zione: le esperienze positive e le buone referenze vengono condivise. E ciò aumenta potenzialmente il bacino dei potenziali partner. Poiché è nostra ferma convinzione continuare a investire in questo settore, siamo stati anche espositori a Brau Beviale a Norimberga lo scorso anno, mentre quest’anno saremo a Monaco di Baviera al Drinktec. E per potenziare le nostre relazioni commerciali facciamo frequenti trasferte, in particolare in Cina». La Cina rappresenta attualmente per Gai il quarto mercato per fatturato. Il dato assume ancora più valore considerando il fatto che sino a pochi anni fa era praticamente un mondo sconosciuto per l’azienda piemontese. «Fra i mercati emergenti in cui speriamo di trovare nuovi sblocchi c’è anche il Brasile. E poi altro paese assolutamente fondamentale è la superpotenza statunitense, sia per quel che riguarda il giro di affari annuo, sia perché è il mercato che anticipa sempre quelli che saranno i trend cui si orienteranno successivamente anche le altre economie mondiali – tuttavia i grandi risultati arrivano dal settore della birra, mentre il vino arranca». Fra i mercati storici, l’Italia attraversa un momento molto difficile per quel che riguarda la grande platea dei produttori medi. «Tengono bene soltanto i produttori di grandissima qualità. Per quanto riguarda il resto dell’Europa, dalla Francia continuiamo ad avere soddisfazioni – l’importanza di questo mercato è resa evidente anche dalla presenza a Le Cannet des Maures di una nostra filiale, Gai France. E la recente sinergia con l’inglese Greencroft Bottling Company ci ha permesso di ampliare la

50%

DEL MERCATO FRANCESE, RELATIVO ALLA PRODUZIONE FINO A 4MILA BOTTIGLIE ALL’ORA, È COSTITUITO DA AZIENDE VINICOLE PARTNER COMMERCIALI DELLA GAI SPA

visibilità in Nord Europa». Il 90 per cento della componentistica Gai è realizzata internamente, così come anche la progettazione e il know how, alimentati dai forti investimenti in ricerca e sviluppo. «La nostra produzione – prosegue Gai – si può dividere in due grosse branche: una per quantitativi che vanno fino a 3mila bottiglie/ora – produzione destinata alle piccole cantine –, e una per lotti di imbottigliamento fino a 15mila bottiglie/ora, dedicati ai produttori medio-grandi. Appartiene a questa seconda area produttiva la collaborazione con la Greencroft Bottling Company, per la quale abbiamo progettato e costruito quattro monoblocchi ad hoc con una capacità produttiva di 13mila bottiglie/ora. Si è trattato di un lavoro portato avanti in sinergia con la Greencroft, che ha saputo collaborare in modo ottimale sia durante la definizione degli aspetti tecnici, meccanici ed elettronici, sia 2013 • DOSSIER • 67


INNOVAZIONE

nella fase operativa di assemblaggio e messa in Alla luce di queste notizie, gli esercizi dell’ulopera della macchina. In questo senso la Greencroft rappresenta una referenza di assoluto prestigio per quel che riguarda la grande industria: un laboratorio di test per nuove soluzioni adatte a questa tipologia di mercato oltre che una vetrina per tutta l’industria dell’imbottigliamento. Anche per questo abbiamo deciso di partecipare Drinktec di Monaco, che è salone di riferimento per la tecnologia industriale del settore».

31,5 mln FATTURATO REALIZZATO NEL 2012 DA GAI SPA. DATO IN CRESCITA RISPETTO AL RISULTATO 2011 DI 27,4 MILIONI 68 • DOSSIER • 2013

timo biennio sono stati più che positivi, sebbene siano da collocare in un contesto di mercato sempre più competitivo e aggressivo. «Dal fatturato di 22 milioni di euro del 2010 siamo passati 2011 a 27,4 milioni, mentre il 2012 si è chiuso a quota 31,5 milioni. La nostra capacità di essere competitivi si spiega con l’altissima qualità e la continua attività di ricerca e sviluppo. Circa il 10 per cento del nostro fatturato viene reinvestito in nuovi prodotti. E un altro 10 per cento viene reinvestito in nuova tecnologia di produzione». Altri investimenti importanti sono stati quelli per ottenere una produzione alimentata con energia proveniente da fonti rinnovabili. «L’80 per cento circa del nostro fabbisogno energetico deriva da fonti pulite. Possiamo quindi dirci al passo con gli standard dei paesi europei con i


Guglielmo Gai

La nostra produzione ha due grosse branche: una per quantitativi che vanno fino a 3mila bottiglie/ora e una per lotti fino a 15mila bottiglie/ora

quali collaboriamo e dove esiste una lunga tradizione di industria ecosostenibile. La nostra azienda dispone infatti di un imponente impianto solare composto da fotovoltaico e solare termico. E inoltre ha adottato un sistema di generazione di energia a metano, attraverso il recupero del calore non utilizzato per fini energetici, in modo da non disperdere nulla dalla combustione e di poter lavorare di fatto senza azionare le caldaie». In conclusione, Guglielmo Gai traccia un quadro delle sue previsioni per i prossimi anni. «Nonostante i nostri risultati e un 2013, che si è aperto con un portafoglio ordini costante, le prospettive sono abbastanza dure, perché ci troviamo ormai a confrontarci con un mercato con un numero minore di produttori, in più segnato da forti divisioni al suo interno tra grandi e piccoli produttori. Esistono poi fattori

forte discontinuità, che riguardano anche i mercati in cui siamo più forti, come quello francese. Infatti, le sovvenzioni promesse dal governo oggi non sono state ancora approvate e questo causa una situazione di stallo nel conferimento degli ordini annunciati. Inoltre, temiamo che molti nostri competitor, non adeguatamente strutturati per fronteggiare questa situazione e nel tentativo di sopravvivere ai cambiamenti, possano iniziare a svendere i loro macchinari, inquinando il mercato con tutte le conseguenze che ne deriverebbero per aziende come la nostra. A mio giudizio, invece, anche se potrà sembrare banale e scontato, occorre continuare a puntare sulla qualità, fattore che, almeno per quel che riguarda i produttori di vini, viene ancora riconosciuto e apprezzato. A questo aggiungo che le aziende manifatturiere che continueranno a vivere e far crescere l’economia e la produttività saranno quelle in grado di fornire prodotti personalizzati e adattati alle esigenze specifiche dei partner, oltre che le aziende strutturate in maniera tale da riuscire a garantire l’assistenza postvendita ai loro clienti finali. Un prodotto a basso costo può essere certamente allettante – e forse nel breve periodo l’azienda che lo fornisce potrà costituire un concorrente insidioso. Tuttavia sul lungo periodo è sicuramente la qualità il fattore che premia e noi continueremo a puntare su questo». 2013 • DOSSIER • 69


INNOVAZIONE

L’elettronica anticipa il mercato Evolvere e rivoluzionare un’attività per adeguarsi a un mercato sempre più bisognoso di rapidità, efficienza, know how, qualità e innovazione. Il punto di Roberto Ferretti Emanuela Caruso

volversi di pari passo con il mercato, è questa la sfida che negli ultimi anni sta impegnando i protagonisti dell’economia mondiale e in particolare alcuni settori che da sempre si distinguono per la capacità innovativa e la tendenza al cambiamento. Non possiamo non pensare all’elettronica, che con il suo naturale bisogno di migliorare tecnicamente, ogni giorno impone alle aziende del comparto una buona dose di rischio imprenditoriale. Ma è proprio a partire dalla voglia di rischiare e di portare sul mercato novità assolute e prodotti rivoluzionari, che la società Albraton di Guarene, in provincia di Cuneo, è riuscita a espandere il proprio raggio d’azione. Come spiega lo stesso titolare dell’impresa, Roberto Ferretti: «Abbiamo deciso di scommettere in tutto e per tutto sull’evoluzione della nostra attività, andando a sviluppare non più soltanto quei prodotti per cui eravamo conosciuti, ovvero i dispositivi elettronici per uso industriale e civile, ma elaborando anche nuove idee, nuovi progetti. Per farlo abbiamo intrapreso un percorso di sviluppo che ci permettesse di essere pronti e reattivi ai continui cambiamenti del mercato. È così che siamo riusciti a entrare anche nel comparto dei dispositivi di tipo consumer».

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Roberto Ferretti, fondatore e amministratore della Albatron S.r.l. di Guarene (CN) www.albatron.com

+ 20% CRESCITA NELL’ULTIMO ANNO DELLA ALBATRON SRL OTTENUTA ATTRAVERSO IL POTENZIAMENTO DELLA PRODUZIONE DI DISPOSITIVI CONSUMER 70 • DOSSIER • 2013

Come il mercato vi ha indirizzato proprio verso questo tipo di evoluzione? «Abbiamo capito che andava colmata la distanza, il gap, tra le tecnologie diffuse nel mondo consumer e quelle utilizzate nell’ambito industriale. Di conseguenza, abbiamo cercato di mettere a punto dei dispositivi che fossero in grado di sviluppare rapidamente soluzioni per qualsiasi tipo di piattaforma e realtà aziendale, così da impiegare il nostro ampio know how sia per soddisfare la clientela abituale che per ideare dispositivi di largo uso. Attualmente, stiamo lavorando su prodotti che a livello mondiale sono totalmente nuovi e solo da pochissimo sono disponibili sul mercato». Tra le soluzioni consumer più richieste c’è sicuramente il touch screen. «Le soluzioni touch screen permettono all’operatore un uso semplice e intuitivo delle mac-


Roberto Ferretti

Abbiamo deciso di allargare l’attività, approdando così alla produzione di dispositivi elettronici di tipo consumer

chine e dei dispositivi, riducendo quindi il numero di pulsanti e indicatori. Inoltre il touch offre schermi più dettagliati a livello di informazioni, e al contempo consente di interagire con essi in svariati modi. Considerata da un punto di vista più industriale, però, la pecca dei dispositivi dotati di touch screen sta nel fatto che invecchiano molto velocemente, e di conseguenza non favoriscono il ritorno d’investimento, ragion per cui molte aziende sono ancora titubanti in merito all’adozione di questo strumento». Passi da gigante sono stati fatti anche nella gestione della produzione informatica a uso industriale. A questo proposito, quali servizi propone la Albatron? «La nostra società ha sviluppato sia prodotti hardware che prodotti software dedicati al telecontrollo, al monitoraggio di processo, alla gestione

della produzione e al controllo della qualità in vari e differenti settori produttivi. In questo modo, siamo in grado di fornire al nostro bacino d’utenza tanto consulenze mirate quanto i mezzi per mettere in atto le soluzioni più adatte a ogni realtà imprenditoriale». La Albatron realizza dispositivi elettronici personalizzati. Quali step segue la produzione? «Il processo produttivo avviene sia in grande che in piccola serie e comprende ogni singolo passaggio di lavorazione: dalla definizione delle specifiche alla gestione della produzione. Si parte con un esame della problematica specifica di ogni cliente e con lo studio delle possibili soluzioni. Si procede con uno studio di fattibilità della soluzione ritenuta migliore al fine di realizzare il primo prototipo. Se questo prototipo supera tutti i test preliminari effettuati nei nostri laboratori, si passa alla realizzazione di una prima serie di apparecchiature da installare sul campo. Apportate le ultime migliorie in base ai feedback ricevuti sul campo, si procede infine alla produzione». 2013 • DOSSIER • 71


INNOVAZIONE

Oltre l'automotive La crisi del comparto automotive ha spinto le realtà del settore a gettare lo sguardo oltre l'ostacolo. Dove? Nel campo sanitario e agricolo. Ne parliamo con Pietro Sicurella Marco Tedeschi

n Europa il settore automotive si dimostra decisamente in affanno. I produttori della componentistica italiana hanno recentemente lanciato da Torino l’allarme sul calo della produzione del 10-12 per cento nel 2012 e dell’export, del 5,3 per cento. Con tendenze per il 2013 che fanno prevedere un’ulteriore discesa del mercato dell'auto pari al 10 per cento quest'anno. Uno scenario difficile, in cui molte aziende del settore hanno deciso di rispondere cercando in altri comparti la possibilità di restare competitivi e di crescere. È il caso ad esempio della General-

I Generalplastik si trova a Bruino (TO) www.generalplastik.it

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plastik, realtà che dal 1977 si occupa di produzione, stampaggio e verniciatura di particolari termoplastici per interno ed esterno vettura. «Nel biennio in corso – spiega il titolare Pietro Sicurella - nonostante la riduzione della produzione nel settore automotive, la Generalplastik ha mantenuto il suo fatturato stabile. Questo grazie alla diversificazione nei prodotti sulle diverse vetture e all’acquisizione delle nuove commesse Maserati. Vista la caduta libera del mercato italiano dell'automotive dove la produzione è diminuita di oltre il 40 per cento, ci siamo posti come obiettivo di contenere la perdita di produzione me-


Pietro Sicurella

diante la riduzione dei costi, la diversificazione produttiva, la costruzione delle attrezzature, la realizzazione di un impianto di verniciatura e di floccatura, la ricerca di nuovi prodotti e quella di partner che possano ampliare il nostro core business». Per quanto riguarda la riduzione dei costi, la Generalplastik si è dedicata, con la consulenza del Politecnico di Torino, alla realizzazione di un impianto fotovoltaico di 230 KW. «Stiamo inoltre valutando la possibilità di utilizzare l’accumulo di aria calda, generata dai macchinari, come energia elettrica. Nella ricerca di nuovi prodotti invece, con l’ausilio del professor Mario Da Re, responsabile di tutti i processi innovativi e di Eugenio Dondossola, che segue l’industrializzazione delle nuove attrezzature, è stato realizzato un elemento strutturale costituito da un reticolo di barre incrociate, che ha dato origine a un elemento estremamente leggero e rigido. Abbiamo inoltre realizzato una serie di materiali che hanno la facoltà di esercitare una continua azione sterilizzante. Queste ricerche ci hanno posto nella condizione di affrontare applicazioni nel settore sanitario e agricolo». Recentemente l'azienda ha costituito con la C.T.S.V. una società con la denominazione C.T.S.V.-Genetik per la costruzione e la commercializzazione di un nuovo sistema realizzato nello stabilimento di Candiolo. «Un macchinario – precisa Sicurella - che verrà utilizzato nei laboratori di analisi chimiche e soprattutto microbiologiche, all’interno di strutture pubbliche e private, per controlli alimentari e veterinari».

L’INNOVAZIONE “RIGENERA” a collaborazione tra C.T.S.V.-Genetik e la società HBW ha portato allo sviluppo del sistema Rigenera. «Un sistema che permette di intervenire sui difetti tissutali anatomici causati da malattie e traumi – spiega il dottor Antonio Graziano che insieme al dottor Riccardo d'Aquino ha fondato HBW – un campo che presenta tuttora importanti limiti che ne pregiudicano il successo e l’efficacia. L’ingegneria tissutale, moderna branca della medicina, si propone di promuovere la rigenerazione di organi e tessuti andati persi o danneggiati. Elementi importanti di questo approccio terapeutico sono le cellule staminali. Queste cellule, prelevabili mediante il sistema Rigenera da qualunque tessuto connettivo, hanno la capacità di rilasciare, senza alcuna manipolazione, notevoli quantità di Bmp-2 e Vegf, fattori che si sono dimostrati fondamentali per la rigenerazione di difetti tissutali. Altri studi hanno evidenziato come dette cellule sono in grado non solo di produrre matrice connettivale extra-cellulare perfettamente differenziata, ma allo stesso tempo di dare vita a processi di neo-vasculogenesi e neo-angiogenesi».

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Tramite la C.T.S.V.-Genetik è stata inoltre acquisita una partecipazione nella società HBW (Human Brain Wave) fondata da due ricercatori. «Con lo loro abbiamo sviluppato un’apparecchiatura con tecnologia altamente innovativa per la creazione, a partire da frammenti di tessuto del paziente stesso, di micro innesti contenenti cellule vitali del paziente, che hanno mantenuto la capacità di riparare il danno e restituire la forma e la funzione persa da ossa, pelle e cartilagine. È in questo modo che abbiamo sopperito alla perdita di produzione nel settore automotive, decisamente in declino in Italia, con le nuove iniziative nel campo sanitario e agricolo». 2013 • DOSSIER • 73


IMPRESA E SVILUPPO

Un forum rivolto alle imprese Il mondo del legno-arredo si riunisce a Milano per discutere del futuro del settore, con una serie di incontri d’eccezione e workshop tecnici: tutti strumenti per nuove strategie e politiche aziendali, verso un assetto anti-crisi Chiara Sirianni

ondividere gli obiettivi, muoversi come un unico organo pensante, mettere in rete le esperienze di ciascuno. Sono le esigenze con cui nel 2012 è nato il Forum del LegnoArredo, un evento formativo organizzato da FederlegnoArredo, che in questo modo punta a conquistare una visione d’insieme efficace, elemento decisivo nella lotta contro la crisi economica. Quest’anno l’appuntamento è per il 13 giugno, presso Mico-Milano Congressi, per una fitta serie d’incontri di scenario, strategie e politiche aziendali, affiancati da workshop tecnici per la formazione degli operatori. Un’edizione arricchita e potenziata, che mette a tema le esigenze del comparto suggerendo alla politica una serie di interventi. A questo scopo FederlegnoArredo sta lavorando, insieme alle istituzioni nazionali e regionali, per individuare una soluzione concreta. A proposito di misure urgenti per la crescita, necessarie per

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Il Forum del LegnoArredo di FederlegnoArredo è in programma per il 13 giugno al Mico-Milano Congressi www.federlegno.it

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rilanciare la competitività del settore, saranno illustrate le ultime novità sulla proroga delle detrazioni fiscali 50 e 55 per cento, assieme a una selezione delle principali misure di accesso alle risorse finanziarie. “Fare politica industriale: la nostra sfida”: questo il titolo del workshop moderato dal professor Marco Fortis, della Fondazione Edison, e che vedrà la partecipazione di Massimo Della Ragione (Goldman Sachs International), Giuseppe Tripoli (Garante Pmi, ministero dello Sviluppo Economico) e Gabriele Piccini (Country Chairman Italy di Unicredit). L’obiettivo è fornire una serie di risposte agli associati: le ragioni per tornare a investire in Italia, l’accesso alle risorse finanziarie, e alla selezione dei canali effettivamente accessibili per le Pmi del Legno Arredo, quotazione in borsa, reti d’impresa, marketing ambientale. Per fare politica industriale occorre valorizzare l’eccellenza italiana e quindi la creatività, l’artigianalità, la passione, la traduzione, la cultura e il design che contraddistinguono il made in Italy. Molti i temi al centro del dibattito. Cosa significa oggi operare sul mercato globale?


UN’OCCASIONE PER IMPARARE opo il successo della prima edizione, il Secondo Forum del Legno Arredo pensa a nuovi strumenti per offrire informazioni e creare reali opportunità per le imprese del settore. Ad appoggiare le posizioni di FederlegnoArredo il dottor Massimo Giroldi, amministratore delegato di Newform (a sinistra, in foto), una delle aziende più rappresentative del distretto della rubinetteria di Novara. «Sicuramente un’iniziativa come quella del Forum è importante – dice Giroldi – perché oggi bisogna aiutarsi a diventare più bravi, e una modalità del genere è un grande aiuto per le aziende. La crisi, infatti, si combatte accettando le sfide, imparando e adeguandosi. Bisogna coltivare creatività, onestà, coerenza e internazionalizzazione». Per lui e la sua Newform questo “diventare bravi” significa «innanzitutto cercare di internazionalizzarci partendo dall’alone di bellezza, di importanza e di valore del made in Italy, spaziando non sui mercati in crisi del vecchio continente, ma su Russia, Cina e India, per citarne alcuni. Inoltre stiamo cercando di diventare più propositivi, creando prodotti realmente di design, perché oggi non ci si può nascondere né giustificare dietro questa parola per poi proporre prezzi irrealistici e mancanza di qualità: servono oggetti che abbiano un valore reale. Penso per esempio ad alcuni nostri prodotti 100 per cento green, oppure allo spaziare in modo creativo su concetti diversi, o di unire in un prodotto solo tutte le innovazioni tecniche presenti in più articoli. Non bisogna rimanere fermi, ma aprirsi al nuovo, perché la realtà è che oggi l’essere italiani non basta più, ed è necessario rimettersi al lavoro».

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Quali sono le sfide da affrontare? Quali cambiamenti culturali e organizzativi sono richiesti al top-management? Risponderà raccontando la sua esperienza Pasquale Natuzzi (presidente del Gruppo Natuzzi), imprenditore del settore imbottiti che ha creato un’azienda globalizzata. L’obiettivo è riconfigurare l’approccio delle imprese al mercato e al consumatore, per creare organizzazioni e ambiti di lavoro: questi devono focalizzarsi sugli elementi da cui può scaturire un’alta produttività e su una

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IMPRESA E SVILUPPO

GLI APPUNTAMENTI E I PROTAGONISTI aranno i capitani d’azienda, in primis, i veri protagonisti dell’evento. Si incomincia dalle 9.30, con un gruppo di “maestri d’impresa” che si confronterà col tema del “bello e ben fatto”, e sugli strumenti più idonei a penetrare i nuovi mercati. Giovanni Anzani (Poliform), Andrea Margaritelli (Listone Giordano) e Gabriele Centazzo (Valcucine) sono i relatori che rappresenteranno il settore legno-arredo, seguiti da una serie di ospiti dal mondo imprenditoriale dei settori di eccellenza italiana. Modera Philippe Daverio, autore e conduttore del programma d’arte e cultura “Passepartout” e incaricato di un corso di Storia dell’arte presso lo Iulm di Milano, e dei corsi di Storia del design presso il Politecnico di Milano. Il forum è strutturato per percorsi, in modo che ciascun partecipante trovi un workshop di specifico interesse in tutto l’arco della giornata. Per quanto riguarda il settore arredo, alle 14.30 Nichi Vendola (governatore della Regione Puglia) e Antonio De Vito (Direttore Generale Puglia Sviluppo) illustreranno le opportunità di investimento nella regione. Il workshop fornisce alle imprese l’opportunità di conoscere i fondi messi a disposizione e le modalità di accesso. L’aspetto marketing-comunicazione sarà affrontato da Massimo Egidi (rettore Luiss), Antonio Tombolini (Ad Book Farm, impresa pioniera nel settore in Italia, che crea e fornisce servizi per l’editoria digitale), Fabio Salvati (economista d’impresa, docente presso l’Istao) e Domenico Brisgotti (Private Label, responsabile marketing, sourcing e R&D, della gamma grocery e non food a marchio dell’insegna, attraverso un team di 30 persone).

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Per info: marketing@federlegnoarredo.it

forte realizzazione delle persone che lavorano

al loro interno, o più in generale degli stakeholders dell’impresa. La giornata prevede inoltre un incontro dedicato alla “Due Diligence”, per analizzare lo stato di adeguamento delle nostre imprese al regolamento europeo, nato per contrastare il commercio

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del legname illegale. Le imprese che parteciperanno all’incontro avranno la possibilità di acquisire concretamente gli strumenti di conoscenza normativa e procedurale indispensabili per un’iniziale verifica della propria conformità al regolamento. Un focus sarà dedicato al settore pallet e imballaggi e sulle novità normative del 2013 che stanno cambiando il settore: Assoimballaggi e Rilegno hanno lavorato assieme all’Istituto Superiore di Sanità per pubblicare un documento per i produttori di cassette per ortofrutta che rappresenta una linea guida per la conformità alla legislazione vigente, oltre a corsi di qualificazione per gli operatori del settore. Anche il mondo dei cantieri e delle soluzioni ingegneristiche per edifici multipiano in legno vedranno un incontro di aggiornamento professionale con lo scopo di anticipare i futuri orientamenti di mercato, e per portare alla luce quanto la ricerca ha prodotto nell’ultimo triennio. Al centro dei dibattiti anche la green economy, il mondo dell’ufficio e quello che racchiude luce, energia e daylighting.



MODELLI D’IMPRESA

L’evoluzione della rubinetteria Una Company to watch 2013. Una delle prime sei aziende piemontesi per solidità e forza negli investimenti per l’innovazione. Con alla guida Ugo Paffoni, che presenta bilanci e prospettive di una storica rubinetteria a cavallo fra mercato interno ed export Luca Càvera

nota la crisi che negli ultimi anni ha colpito l’edilizia, sia per quanto riguarda le nuove costruzioni sia per la ristrutturazione. E numerosi sono i settori che il mattone ha trascinato con sé. Fra questi la rubinetteria, la cui domanda è stata influenzata in maniera preponderante dall’andamento del mercato immobiliare. A sostenere il settore è stata così soprattutto la sostituzione, sempre più orientata a un cambiamento dell’estetica delle abitazioni e alla necessità di ottenere risparmi idrici ed energetici nei consumi. Tuttavia l’auspicio di Ugo Paffoni, presidente della Rubinetteria Paffoni, è che: «Questa situazione di incertezza e di difficoltà che blocca gli investimenti lasci spazio, nel corso del 2013, a qualche segnale di ripresa». Il brand storico della rubinetteria sanitaria made in Italy quest’anno celebra il sessantesimo anno dalla fondazione e ottiene inoltre due importanti riconoscimenti, collocandosi fra le sei migliori aziende piemontesi secondo Global strategy e otte-

È

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nendo da Databank il titolo di Company to watch 2013. «Questi riconoscimenti sono legati anche ai risultati economici, ma soprattutto alla nostra solidità patrimoniale e finanziaria e alla capacità di innovare e investire, scelta quanto mai impegnativa in un momento di crisi». A questo proposito, qual è la sua valutazione sull’andamento del 2012? «Nonostante la situazione generale ci possiamo ritenere soddisfatti di come si è concluso lo scorso anno. Abbiamo certamente sofferto per la situazione globale, con difficoltà nei pagamenti e oneri sempre maggiori da sostenere. Però siamo riusciti comunque a chiudere con un leggero aumento di fatturato. Inoltre, il risultato più importante che


Ugo Paffoni

Il risultato più importante che abbiamo raggiunto nel corso del 2012 è stato il consolidamento della nostra posizione di mercato

abbiamo raggiunto è stato il consolidamento della nostra posizione, sia come struttura produttiva sia come collocamento sul mercato». L’avvio del 2013 conferma questo trend? «Stiamo investendo molto per migliorare le nostre procedure produttive, in modo da garantire una maggiore razionalità dei processi, minori costi di produzione e soprattutto una maggiore qualità del prodotto. Abbiamo creduto in questi anni che il consolidamento del nostro marchio sul mercato fosse basato soprattutto su prodotti con un giusto rapporto qualità prezzo, un servizio di spedizione rapido e puntuale, una presenza costante sul mercato e un’assistenza presente in qualsiasi momento della fase di vendita e di post vendita. Oggi più che mai siamo con-

vinti che questi fattori di successo siano le chiavi per emergere, e quindi l’obiettivo principale per il 2013 è consolidare maggiormente quanto raggiunto finora». Su quali mercati state puntando per il consolidamento della vostra posizione? Ugo Paffoni, «Certamente l’estero rappresenta per noi presidente della Rubinetteria Paffoni un’opportunità fondamentale di sviluppo, Spa di Pogno (NO) una strada obbligata per assicurarci conti- www.paffoni.it nuità e crescita. Attualmente il 50 per cento della nostra produzione viene esportata in più di sessanta paesi diversi, anche se il mercato maggiormente sviluppato rimane sicuramente quello dell’Unione Europea con in testa Germania, Belgio e Paesi Scandinavi. Però ci sono numerosi altri mercati in cui stiamo cercando di incrementare la presenza, 2013 • DOSSIER • 83


MODELLI D’IMPRESA

SESSANT’ANNI DI MADE IN ITALY a Rubinetteria Paffoni quest’anno festeggia i sessant’anni dalla fondazione, che risale all’iniziativa di Roberto Paffoni, fondatore e padre dell’attuale presidente della società, Ugo. Agli esordi, l’azienda si occupava principalmente di lavorazioni in conto terzi per altri produttori di rubinetteria. È solo a partire dal 1955 che inizia lo sviluppo della sua prima serie di rubinetteria, la serie Olimpia, un rubinetto tradizionale a due maniglie, che è uscita dal catalogo Paffoni solo da pochissimo tempo. Nata quindi come anello di una filiera produttiva, ancora oggi la famiglia Paffoni crede sia nelle collaborazioni fra le aziende dell’economia locale, che della specializzazione produttiva. L’azienda ha fatto registrare un plus importante per il settore e per il territorio, che è considerato un distretto produttivo per la rubinetteria, ed è riconosciuto come il più grande polo mondiale di trasformazione dell’ottone, coprendo circa un terzo della produzione nazionale e quasi il 15 per cento delle esportazioni mondiali di rubinetteria e valvolame in ottone e bronzo. Oggi l’azienda è condotta da Ugo Paffoni, affiancato dalla moglie Paola e dalle figlie Daniela e Francesca.

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sebbene lo scenario economico internazionale

non incoraggi grandi mosse. Nonostante ciò noi continuiamo a investire per crescere, perché crediamo che proprio in questo momento sia necessario spingere per emergere.

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Sono soprattutto i paesi extra Ue a trainare la domanda, mentre i paesi dell’Estremo Oriente sono in questo momento una sfida per noi molto interessante. Abbiamo avviato diverse collaborazioni con partner locali per incrementare gli affari e insieme a loro abbiamo partecipato a fiere di settore e avviato numerosi progetti interessanti». Quali sono le criticità che incontrate all’estero? «Sicuramente alcuni paesi, rispetto ad altri, hanno costi iniziali di investimento piuttosto elevati in termini di normative o di necessità tecniche specifiche, ma nella maggior parte dei casi hanno delle potenzialità di crescita che rendono sicuramente interessante l’investimento. Del resto, riusciamo a muoverci agevolmente anche nei paesi più lontani. E infatti uno dei nostri fattori di successo sul mercato estero è sicuramente la rapidità nel-


Ugo Paffoni

l’evasione dell’ordine. Il nostro catalogo prodotti è molto ampio, ma nonostante ciò i tempi di consegna sono rapidi anche per l’export. Questo sicuramente ci ha permesso di stringere partnership in diverse parti del mondo e di mantenere queste collaborazioni in modo duraturo». E per quanto riguarda il 50 per cento di mercato interno? «Lo scenario economico italiano in questo momento patisce la frenata globale e l’instabilità dei mercati finanziari. Dall’analisi degli indicatori congiunturali emerge ancora oggi che le dinamiche sono negative, la domanda interna non ha ancora raggiunto un punto di svolta. In più è un momento di grande difficoltà per le indispensabili manovre correttive che tutti stiamo sostenendo per cercare di migliorare i conti pubblici. L’analisi dei dati globali e delle stime sicuramente non spinge a essere ottimisti, il sistema dei pagamenti sta soffrendo, e questo porta oltre che a una maggiore incertezza, anche a una maggiore difficoltà per le aziende a effettuare investimenti, anche a causa di un sistema creditizio sempre più oneroso. Nonostante tutto ciò noi crediamo che quello italiano, pur essendo abbastanza saturo, sia comunque un mercato di grande interesse, che offre importanti opportunità di crescita e di consolidamento. In questo momento la domanda interna, anche se fragile, esiste». State investendo sull’innovazione. Come si declina nei vostri prodotti? «Nel settore della rubinetteria, la maggior parte dei prodotti si trova nella fase di maturità del proprio ciclo di vita. Le idee per i nuovi progetti nascono generalmente sulla

I maggiori investimenti in ricerca e sviluppo sono oggi rivolti al miglioramento del funzionamento tecnico del prodotto

spinta delle tendenze del mercato, quello dell’arredamento in generale e dell’arredo bagno in particolare, dalle richieste e dalle necessità tecniche dei diversi mercati. I maggiori investimenti in ricerca e sviluppo sono oggi rivolti al miglioramento del funzionamento tecnico del prodotto, al miglioramento del processo produttivo o alla ricerca di materiali alternativi. In questo senso negli ultimi anni abbiamo allargato la gamma dei prodotti, inserendo diversi articoli a risparmio idrico ed energetico». Quali tecnologie permettono di ottenere un risparmio? «Il risparmio idrico è garantito dalle cartucce Water saving, che prevedono un doppio scatto in apertura per avere più portata di acqua. Mentre per il risparmio energetico esistono le cartucce Energy saving, con apertura 2013 • DOSSIER • 85


MODELLI D’IMPRESA

centrale per erogazione di sola acqua fredda – nella gamma modelli classici e professional, per avere l’acqua calda è necessario un ulteriore movimento della leva verso sinistra. Lo sforzo maggiore di tutti i produttori in questo momento è comunque verso l’innovazione estetica e il design, con il lancio di nuovi modelli e nuove caratteristiche estetiche. La tendenza è di dare sempre più spazio al design, introducendo modelli con un elevato valore stilistico e una cura sempre maggiore nei particolari. Buona parte di questi sforzi sono stati concentrati per lo sviluppo della nostra offerta di colonna doccia e saliscendi, oltre che per la gamma di prodotti per la cucina. Abbiamo sviluppato diversi modelli per cercare di soddisfare la maggior parte delle esigenze, tenendo come prerogativa fondamentale per ciascun modello l’utilizzo confortevole. Di conseguenza abbiamo inserito

50% PRODUZIONE DELLA RUBINETTERIA PAFFONI SPA DIRETTA A OLTRE 60 PAESI DIVERSI, EUROPEI ED EXTRA EUROPEI 86 • DOSSIER • 2013

con canne di diverse misure e di diverse altezze, reclinabili, con blocchi di rotazione o rotazione totale, oltre a diverse tipologie di doccette estraibili». A quale target si rivolge la vostra produzione? «Prevalentemente al medio livello, sia in Italia – dove siamo presenti con una distribuzione capillare del prodotto grazie a una fitta rete di vendita costituita da agenti e funzionari diretti – sia all’estero. Questo vale soprattutto per il marchio Paffoni, mentre con il marchio Fonte Water House il livello risulta essere leggermente superiore. Il partner di riferimento è rappresentato soprattutto da grossisti, rivenditori, show room, installatori e idraulici. Di conseguenza l’attività di marketing e pubblicità è molto specifica. In particolare, l’attività pubblicitaria viene svolta principalmente sulle riviste specializzate di settore, mentre l’attività di marketing viene svolta soprattutto tramite le fiere di settore, le attività dirette in punto vendita, le promozioni legate agli acquisti, sia in termini di quantità sia di tipologia di prodotto».



MODELLI D’IMPRESA

La metalmeccanica torinese punta tutto sulla qualità Le produzioni metalmeccaniche del capoluogo piemontese rimangono un’eccellenza, offrendo esempi di resistenza in un settore particolarmente provato dalla recessione. L’esperienza della Generaltubi Remo Monreale

urante la corsa a ostacoli cui sono costrette le imprese metalmeccaniche, spesso si finisce per non vedere più il traguardo: come se una soluzione al calo continuo non fosse possibile. Le esigenze di mercato, infatti, appaiono sempre meno raggiungibili. Eppure la ricerca della qualità senza compromessi, che

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contraddistingue tanto la produzione italiana, continua ad avere un valore: si abbassano i margini, ma i modelli di resistenza alla recessione sono più numerosi di quanto i dati negativi dell’andamento di settore farebbero supporre. La tradizione torinese di questo comparto continua a rinvigorirsi con esempi di eccel-


Gilli

La Generaltubi Spa ha sede a Torino www.generaltubi.biz

lenze produttive, che accusano ma non rinunciano a nuovi investimenti e al mantenimento della propria competitività a livello internazionale. L’esperienza della famiglia Gilli, titolare della Generaltubi Spa, offre uno spaccato dei risultati possibili che determinate strategie permettono nonostante la congiuntura. «Nell’ultimo anno – spiegano i titolari– la crisi si è ancora protratta. Purtroppo il mercato italiano è sempre più fermo e ancora non s’intravedono spiragli di apertura per le aziende che vogliono crescere e svilupparsi. Ma non è nel nostro spirito lasciarsi sopraffare, per cui abbiamo cercato in ogni modo di fronteggiare la situazione, penetrando in aree geografiche mai toccate in precedenza, con particolare interesse verso i mercati esteri. Mercati, questi ultimi, dove stiamo investendo molte risorse, sia finanziarie sia umane. In questo modo, nonostante tutto, non siamo mai stati costretti a ricorrere ad alcuna forma di riduzione di personale: pertanto l’intero organico è rimasto con la nostra società da molti anni, maturando così una vasta esperienza sul campo». Ed è proprio l’esperienza uno dei motivi dietro lo standard raggiunto dalla Generaltubi. «Siamo consapevoli dell’importanza che la qualità del prodotto riveste, pertanto abbiamo posto la qualità al vertice delle strategie aziendali, coinvolgendo a tutti i livelli ogni area interessata, che opera secondo gli schemi di un sistema ben preciso (dando corso all’edizione di un manuale del sistema qualità), promuovendo e sostenendo ogni iniziativa finalizzata al miglioramento della

Non abbiamo mai ridotto il personale: l’intero organico ha maturato così una vasta esperienza su campo

qualità stessa. Il nostro controllo qualità vanta un’ampia esperienza e il laboratorio è corredato di macchinari ad alta tecnologia come lo spettrometro a emissione ottica (controllo della composizione chimica del materiale), la macchina di trazione (per la misura della forza necessaria a provocare la rottura della provetta), il pendolo per le prove di resilienza (capacità di resistere alla rottura per flessione) e vari durometri. Tutte prove che sono inserite nei certificati di qualità rilasciati alla clientela. Queste capacità tecnologiche sono particolarmente apprezzate dalle industrie ferroviarie e automobilistiche. Per la fabbricazione dei nostri prodotti abbiamo sempre ricercato l’eccellenza nelle materie prime, e la massima serietà e preparazione dei professionisti e fornitori cui ci rivolgiamo». 2013 • DOSSIER • 89


MODELLI D’IMPRESA

DALL’ESPERIENZA ALLA COMPETITIVITÀ a Generaltubi Spa svolge la sua attività nel settore del commercio e della trafilatura dei prodotti tubolari in acciaio dal 1963, l’azienda quindi quest’anno festeggia il suo cinquantenario. Nata dalla tenacia e operosità del geometra Giuseppe Gilli, ha sempre mantenuto le guide dettate dal suo fondatore: il fine ultimo era quello di costruire un'azienda sempre alla ricerca di nuove opportunità, volte alla realizzazione di prodotti sempre più efficienti e competitivi. Le dimensioni attuali sono solo un’altra espressione del percorso fatto finora: ora la sede commerciale e produttiva si estende su un’area di 35mila metri quadrati, di cui 24mila sono adibiti a lavorazioni e magazzini dove vengono stoccati i prodotti per la vendita o per le successive lavorazioni in trafileria. Il complesso industriale è composto di nove fabbricati razionalmente disposti per favorire lo stoccaggio, la produzione e la corretta movimentazione del prodotto.

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Il settore si è trasformato, con un inasprimento della concorrenza. «La difficoltà del nostro mercato di riferimento ha costretto anche le maggiori società a una distribuzione del prodotto al dettaglio, prima di esclusiva competenza di imprese del nostro livello. Siamo, comunque, riusciti a contenere al minimo le perdite delle quote di mercato, tanto da registrare, all’inizio del 2013, un piccolo incremento del fatturato. Questo è sicuramente dovuto alla capacità di incrementare le potenzialità produttive, sia con la costru-

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zione di nuovi reparti sia con l’acquisizione di moderne tecnologie. Tutto questo grazie una corretta politica degli investimenti e un’attenta gestione patrimoniale. Il processo innovativo, tuttora in corso, ha come obiettivo il mantenimento dei risultati raggiunti e l’individuazione di nuovi traguardi, finalizzati alla crescita della società attraverso il continuo miglioramento del prodotto e del servizio, tale da renderla sempre più competitiva e rispondente alle esigenze del mercato. Tutti i prodotti sono quindi acquistati, lavorati e commercializzati, seguendo le procedure previste dal manuale in accordo con le norme Uni En Iso 9001:2008. A conferma di tale impegno un ente internazionale omologato ha certificato il Sistema Qualità della società secondo le norme Uni En Iso 9002/Uni


Gilli

Anche le maggiori società del settore sono state costrette a una distribuzione del prodotto al dettaglio, prima di esclusiva delle imprese del nostro livello

En Iso 9002 già nel 1997 e poi aggiornato alla nuova edizione Uni En Iso 9001:2008». A dimostrazione dell’importanza accordata all’obiettivo qualità, dal 1988 l’azienda ha costruito e attrezzato un moderno laboratorio tecnologico, specializzato nelle verifiche qualitative sui materiali in ingresso e durante le varie fasi produttive, riconosciuto dai principali enti di collaudo. Entrando nel dettaglio della produzione, un’altra parola d’ordine certamente alla base delle strategie aziendali è “diversificazione”. La possibilità di soddisfare esigenze anche molto diverse tra loro è un altro dei motivi che hanno reso competitiva l’impresa torinese. «L'attività prevalente – spiegano i titolari – è il commercio del tubo di acciaio proveniente dalle principali ferriere italiane ed europee. La vasta gamma di dimensioni, qualità e tipi di acciai sempre disponibile a magazzino, permette una rapida e precisa risposta alle esigenze dei singoli clienti. I principali prodotti da noi trattati corrispondono a varie tipologie di tubi: i meccanici sal-

dati e senza saldatura di tutte le dimensioni; di grosso spessore per applicazioni meccaniche in qualità; trafilati a freddo di precisione per impieghi meccanici, per alte pressioni, per oleodinamica in acciai al carbonio e legati; per impieghi termici (caldaie) in acciaio al carbonio e legati; profili per giunti cardanici e speciali a disegno; trafilati tagliati e smussati a disegno per settore automotive – autoindustrial; in acciai speciali per settore rotabile (treni alta velocità). Per la produzione del materiale trafilato, la Generaltubi Spa si avvale di una propria trafileria a freddo dotata di validi macchinari e di consolidata tecnologia». Tra i prodotti citati, un esempio è rappresentato dai tubi senza saldatura laminati a caldo, prodotti attraverso la laminazione a caldo dell'acciaio. «L’ampia gamma dimensionale disponibile dal pronto viene utilizzata nell'industria meccanica ed ingegneristica. I tubi possono essere forniti su richiesta con tolleranze normali o ristrette, e con differenti trattamenti termici in diversi acciai al carbonio e legati. Sempre su richiesta, forniamo tubi a lunghezza fissa stabilita dal cliente. Per lavorazioni particolari si può migliorare la lavorabilità fornendo prodotti "risolforati" con la percentuale di zolfo maggiorata». 2013 • DOSSIER • 91


MODELLI D’IMPRESA

Nuovi componenti per l’automazione industriale Dietro ai dati sconfortanti dell’economia nazionale ci sono imprese che hanno trovato la forza di continuare a investire. Paola e Luisa Denegri svelano un’eccezione allo stato di crisi generale Manlio Teodoro

Le due società amministrate dalle sorelle Denegri, Alusic e Sicomat, si trovano a Mondovì (CN) www.alusic.com www.sicomat.com

roduzione industriale scesa del 5,2 per cento nel 2012. Basta questo dato per disegnare il quadro della sofferenza dell’industria italiana e del sistema paese nell’ultimo anno. «Nella flessione generale, tuttavia rileviamo un elemento che fa meno rumore, ma che a nostro giudizio è veramente positivo: l’acquisizione di nuovi partner, ottenuta frazionando ulteriormente il fatturato e legandoci a un nuovo gruppo di aziende che sta iniziando a usare i nostri prodotti». Questo è probabil-

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mente uno dei segnali sottotraccia del fatto che dietro i risultati nazionali a segno meno, qualcosa si sta comunque muovendo. A riferire di questo fenomeno sono le sorelle Paola e Luisa Denegri, titolari di due aziende complementari: Alusic e Sicomat, specializzate nella costruzione di componenti e sistemi per la produzione e automazione industriale – la prima accessori e profili


Paola e Luisa Denegri

strutturali in alluminio, la seconda nel settore della distribuzione dei fluidi. Come spiega Paola Denegri: «Abbiamo sempre cercato di non focalizzarci su un solo settore o su un solo aspetto di un settore industriale. Il settore dell’automazione industriale – presidiato da Alusic – continua a essere forte grazie alle linee di nastri trasportatori, sistemi di movimentazione industriale e accessori per alluminio impiegati dall’automotive all’alimentare, passando per i settori della lavorazione del legno, dei tessuti, delle protezioni antinfortunistiche e altri. Tuttavia Alusic non è solo questo: la differenziazione ci ha portato anche nel settore delle energie rinnovabili grazie allo sviluppo della linea AluSol dedicata ai sistemi di staffaggio nella produzione di energia pulita, in particolare nel campo fotovoltaico e del solare termico, con una vasta gamma di componenti e strutture funzionali e innovative». Sicomat, invece, è concentrata nel settore della distribuzione dell’aria compressa e dei fluidi industriali in genere, con ottimi riscontri soprattutto all’estero, dove il know how italiano è garantito dalla certificazione di qualità del sistema aziendale Iso 9001:2008 e dal raggiungimento di importanti traguardi quali la certificazione di prodotto del sistema SicoAir, ottenuta presso Tuv. «Solo nell’ultimo anno – afferma Luisa Denegri – sono nate tre nuove linee di prodotto, che hanno ulteriormente ampliato l’offerta». Le aziende, unite dalla stessa proprietà, si integrano anche se costruiscono prodotti diversi – i settori di competenza infatti sono più connessi di quanto possa sembrare. «L’integrazione – prosegue Luisa – è anche interscambio di informazioni e questo facilita il marketing e la conoscenza dei partner. Questo genera un potenziale che ci porterà di sicuro a un’ulteriore crescita produttiva. Spesso i nostri partner, che si occupano della distribuzione di uno dei due marchi nel mondo, ci chiedono di poter ampliare la loro offerta aggiungendo i prodotti dell’altra azienda. Si crea

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Il settore dell’automazione industriale continua a essere forte grazie alla flessibilità della componentistica

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così la possibilità di offrire un pacchetto completo di prodotti che va dalla linea di distribuzione dell’aria compressa al materiale per costruire il macchinario che utilizzerà l’aria compressa stessa e magari anche le strutture che daranno energia elettrica allo stabilimento produttivo». Il valore aggiunto che sviluppano insieme le due realtà si ritrova dunque sul fronte commerciale, con un risparmio di energie e conseguentemente di costi. La liberazione di risorse ha pertanto permesso di destinare queste ultime verso l’innovazione. «In questo periodo di rallentamento del lavoro – prosegue Paola – le nostre società, godendo di buona salute, hanno reinvestito una parte degli utili nello sviluppo di nuovi prodotti e nella ricerca della qualità, puntando soprattutto al completamento e ampliamento delle due linee di prodotto (aria compressa, componenti e profili in alluminio strutturali) e guardando a un futuro di crescita che purtroppo non si trova nell’orizzonte più immediato. Per questo nel breve periodo pensiamo di completare al meglio la nostra offerta di prodotti, investendo anche sulle fiere di settore».

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MODELLI D’IMPRESA

Dall’artigianato all’industria nche se i nostri partner sono tutti italiani, avvertiamo la competizione della concorrenza internazionale, dato che lavoriamo con aziende esportatrici, dal termoelettrico alla farmaceutica e ai trasporti». Questo lo scenario industriale con il quale si confronta Luca Monteu Aliot, amministratore unico di Lasergi, azienda specializzata in progettazione meccanica, taglio laser e piegatura dei metalli, lavorazioni meccaniche e assemblaggio di macchinari. «Sviluppando particolari per numerosi settori industriali – prosegue Monteu Aliot –, riusciamo così a contenere il rischio e per

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L’evoluzione tecnologica di una realtà specializzata nella progettazione di strutture metalliche. E gli investimenti per attuarla, mantenendo costante l’attenzione per lo sviluppo ecosostenibile. Ne parliamo con Luca Monteu Aliot Mauro Terenziano

questo non abbiamo risentito della crisi generale, almeno finora. Anche grazie al fatto che stiamo continuando a investire nell’innovazione, nella tecnologia e, avendo aderito ad un contratto di rete, nella formazione. Soprattutto per il settore dell’automazione industriale – sistemi di orientamento, trasporto, packaging – e del food & beverage. Questi settori, infatti, impongono una costante industrializzazione del prodotto e dei processi». Oggi Lasergi ha a disposizione una dotazione produttiva di due impianti laser da 6mila watt, tre presse piegatrici, una cella robotizzata di piegatura e un vasto assortimento di utensili per la lavorazione, partendo sempre dalla progettazione in codesign con il committente. «Il nostro impianto più datato ha meno di sette anni. Inoltre, abbiamo investito risorse quantificabili in milioni di euro nell’acquisto di laser e piegatrici robotizzate, software Cad Cam e stazioni di progettazione 3d. Questo apparato tecnologico permette all’ufficio tecnico di sviluppare i particolari e inviarne le specifiche direttamente ai laser e alle piegatrici che eseguono le lavorazioni in modalità non presidiata. Ciò è possibile attraverso l’utilizzo di software dedicati, che programmano la produzione ottimizzando la superficie utile dei fogli di acciaio, ferro, alluminio o


Luca Monteu Aliot

Luca Monteu Aliot, amministratore unico della Lasergi Srl di Santo Stefano Belbo (CN) www.lasergi.com

altri materiali, in modo da ridurre lo scarto e migliorare flessibilità ed efficienza». Tuttavia la fase di investimento non è affatto conclusa. «Stiamo sviluppando una verticalizzazione dell’attuale Erp, in modo da migliorare la gestione della produzione e automatizzare la tracciabilità dei singoli prodotti nella singola fase di lavorazione. Poi, per rispondere alle richieste di maggiore rapidità nell’evasione degli ordini, dovremo potenziare il reparto lavorazioni. Per questo, da una parte stiamo valutando l’introduzione di una linea di saldatura laser in fibra, dall’altra abbiamo la necessità di investire in nuove attrezzature per aumentare la produttività delle operazioni di tornitura, fresatura, trattamenti superficiali e deformazione delle lamiere». Questo processo è il proseguimento del passaggio da ditta artigianale – com’era Lasergi alla fondazione, nel 2002 – a realtà industriale. Per gestire questo passaggio, è stato chiamato in azienda Alessandro Musso, che ha consolidato una decennale esperienza nel controllo di gestione. «Altro passo verso una completa industrializzazione è stato l’investimento in un nuovo

+60% FATTURATO INCREMENTO REGISTRATO DA LASERGI SRL NELL’ULTIMO BIENNIO, RAGGIUNGENDO NEL 2012 LA QUOTA DI 4 MILIONI DI EURO

stabilimento, decisione inevitabile di fronte all’aumento dei volumi e alla necessità di avere a disposizione più spazio per lo stoccaggio e l’efficienza interna». Lo sviluppo di Lasergi in chiave innovativa non ha tralasciato naturalmente uno degli aspetti notevoli dell’industria contemporanea: l’attenzione allo sviluppo ecosostenibile. «Questo fattore è stato tenuto in considerazione nello sviluppo di tutti i progetti di ampliamento, in maniera tale che a ogni potenziamento della capacità produttiva – anche per gli interventi futuri, venga potenziata anche l’efficienza, sia dal punto di vista economico che ecologico. Il futuro ecosostenibile passa necessariamente per investimenti nell’automazione. Due esempi fra le nostre scelte sono state l’introduzione di un magazzino automatico e il progetto per l’installazione di un impianto fotovoltaico per il quale stiamo valutando una potenza dell’ordine di 1 megawatt». 2013 • DOSSIER • 97


MODELLI D’IMPRESA

Metalmeccanica, la crescita possibile er le aziende italiane che danno il loro contributo all’economia “reale” e alla produzione, esiste un ideale cui tendere. Nella produzione non basta la precisione, serve anche un’alta velocità di realizzazione. Bisogna avere anche il proprio ufficio progettazione, con il quale raggiungere il massimo della flessibilità, una rete di contatti commerciali consolidata. Ma tutto questo è solo il minimo necessario per cominciare a competere. È il motivo per cui non si ferma l’emorragia del settore metalmeccanico: l’andamento degli ultimi mesi conferma la crisi, con migliaia di posti lavoro persi. In questo contesto oltre a raggiungere il massimo del risultato, soddisfacendo tutti i requisiti dell’impresa ideale, la svolta sta nell’analisi di mercato più vicina alla situazione reale. L’esperienza di Mauro Sanero della piemontese Nuova Simach Srl, offre un esempio concreto di sviluppo in campo metalmeccanico. «Noi – spiega Sanero – proponiamo la filiera completa, dal disegno del cliente al prodotto finito, progettiamo e costruiamo stampi, produciamo particolari sia in acciaio che in metallo. Puntiamo solo ai massimi standard qualitativi e non solo per la fidelizzazione del cliente. Uno dei nostri obiettivi è l’aumento dell’export: per renderla spendibile abbiamo portato la nostra qualità laddove ce n’era una vera richiesta. Dopo una lunga analisi economica approfondita, abbiamo scelto alcuni paesi che risultavano più appetibili, e che offrivano più opportunità». Così inizia l’export della Nuova Simach in Lussemburgo e a Malta, paesi piccoli, dove per le aziende è appetibile investire, vista la tassazione nettamente inferiore rispetto a paesi eu-

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La Nuova Simach Srl si trova a Lusigliè (TO) www.nuovasimach.it

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È uno degli ambiti produttivi più vessati e la sua crisi continua, ma esistono modelli virtuosi in cui lo studio di mercato è decisivo. Mauro Sanero porta l’esempio di una strategia risolutiva. «Parole d’ordine: export e qualità» Remo Monreale

ropei come Francia e Germania. «Inoltre, la manodopera – precisa Sanero – ha un costo decisamente inferiore. Ma anche il mercato italiano per noi è in crescita. Lo studio che abbiamo fatto all’interno dei confini nazionali ci ha portato a lavorare con aziende che sentono meno la contrazione del mercato. In questo


Nuova Simach

modo abbiamo aumentato il fatturato del dieci per cento, stando ai dati dell’ultimo anno: un ritmo d’espansione che rimane stabile da dieci anni». E dire che più della metà del fatturato cui si riferisce Sanero riguarda l’automotive, tra i comparti più colpiti dalla recessione. «Per quanto riguarda la nostra realtà – continua il manager della Simach – anche gli altri settori, come la domotica, gli elettrodomestici e la sicurezza, sono in netta crescita, motivo per cui stiamo pensando di proporci ai mercati francesi, tedeschi e russi: risulterà decisivo per mantenere uno sviluppo a doppia cifra anche per l’anno prossimo». Studi a parte, uno dei punti di forza della Nuova Simach sta nel personale , nella completezza del processo e negli investimenti che hanno migliorato la capacità realizzativa. «Abbiamo acquistato macchinari evoluti – dice Sanero – come centri a controllo numerico a elevata velocità di asportazione , delle presse con alimentatori molto più veloci che ci hanno conferito una competitività maggiore, e riguardo la qualità abbiamo acquistato delle macchine di controllo tridimensionale e altre macchine di precisione per il controllo dei particolari. Quest’ultime permettono la "matematizzazione" del particolare e quindi un controllo accurato di ogni singola quota dello

Puntiamo solo ai massimi standard qualitativi, ma per renderla spendibile abbiamo portato la nostra qualità laddove c’è una vera richiesta

stesso. Durante le fasi di progettazione, sviluppo e di realizzazione dell’attrezzatura, suggeriamo e concordiamo con il cliente soluzioni progettuali e costruttive “Nuova Simach” che consentono di ottenere risparmio di materiale, velocità di esecuzione, qualità del prodotto finito, minore necessità di manutenzione dell’attrezzatura. Il reparto progettazione è dotato di varie stazioni Cad/Cam, con possibilità di elaborazione e visualizzazione 3D e trasmissione on-line degli elaborati finali alle macchine a controllo numerico». Tra i vantaggi annoverati dal dirigente dell’impresa piemontese, non va sottovalutata la situazione finanziaria. «Abbiamo la fortuna di essere appetibili a livello bancario, cosa che ci permette un migliore accesso al credito. Questo garantisce la possibilità di fare gli investimenti necessari per rimanere competitivi». 2013 • DOSSIER • 99


VIGILANZA

La flessibilità, un supporto per la sicurezza Una gestione operativa versatile, diversificata e aggiornata tecnologicamente è garanzia di un efficace servizio di vigilanza privata. Ma al settore safety, per evolversi, occorrono maggiori sostegni dal Pubblico. L’opinione di Marco Carlo Grossi Filippo Belli

umenta la microcriminalità ma, al tempo stesso, aumentano gli strumenti per la sicurezza a disposizione di cittadini, aziende ed enti pubblici. Si mantiene dunque stabile anche il mercato, sempre più vasto, della vigilanza privata. «Rispetto al passato si verifica uno spirito maggiormente collaborativo da parte della nostra committenza». A osservarlo è Marco Carlo Grossi, a

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capo della Sicur2000, tra le realtà più dinamiche sul panorama di settore. La parabola della società di Tortona, in provincia di Alessandria, evidenza una tendenza tipica dell’impresa italiana contemporanea, che ora caratterizza anche il mercato del safety. «Nel nostro caso diversificazione e flessibilità si sono dimostrate fondamentali – spiega Grossi –. Soprattutto, si è rivelato vincente l’utilizzare per tutti i nostri servizi in outsourcing


Marco Carlo Grossi

quel modus operandi preciso e dedito alle regole che caratterizza l’attività di vigilanza. Abbiamo, per intenderci, trasferito la nostra meticolosità anche in tutti i servizi integrati per aziende e pubblico che hanno ampliato l’offerta della società negli ultimi anni». Nata nel 2000, la società ha sviluppato in questi anni molteplici proposte nell’ambito della sicurezza. In seguito all'evoluzione del settore, e per anticiparne le richieste, ha arricchito di ulteriori competenze nella progettazione e installazione di impianti per la sicurezza. La diversificazione di Sicur2000 oggi si estende altresì a una serie di nuove proposte riguardanti il multiservizi e l'outsourcing, tutte contraddistinte da un modus operandi preciso e dedito alle regole, che caratterizza l'attività di vigilanza privata. Ad esempio, oggi Sicur2000 si è specializzata nell’impiantistica e nella manutenzione degli apparati di sicurezza elettronica, dalla videosorveglianza ai sistemi di allarme. «Siamo in grado di seguire i nostri committenti a 360 gradi – spiega il titolare –. Interveniamo tempestivamente su guasti, problemi ed emergenze». Grazie ai sistemi informatici e di videosorveglianza, le aree vengono costantemente monitorate dalla centrale operativa, consentendo così di agire nei tempi più rapidi in caso di necessità di intervento. Un valore aggiunto riconosciuto, in primis, dalle imprese. «Quando iniziammo l’attività le aziende richiedevano più che altro servizi di controllo. Oggi, invece, sono loro, per prime, a richiedere da subito determinati impianti tecnologici. Il tessuto sociale è ben consapevole del valore aggiunto che questi apparati comportano». E certamente il fatto di interagire con un unico soggetto tanto per la sicurezza in loco, quanto per quella remota, fa risparmiare tempo e denaro alle imprese». Esistono, però, ancora ampi margini di miglioramento. «Oggi rappresentiamo un utilissimo strumento integrativo per le forze del-

Oggi sono le aziende, per prime, a richiedere determinati supporti tecnologici in favore della sicurezza

l’ordine – spiega Grossi –. La collaborazione con Polizia di Stato e Carabinieri è molto forte, ma si può fare di più. Si parla sempre, anche a sproposito, di sicurezza, manca però quella spinta affinché attori privati e Forze dell’Ordine collaborino in maniera ancora più sinergica, per il bene dell’intera comunità». Per il futuro l’azienda di Tortona intende ampliarsi ulteriormente. A patto, però, che si verifichino importanti riforme strutturali in favore delle imprese e del settore. «L’auspicio è che le riforme vengano realizzate in favore delle imprese. Senza adeguati strumenti gli imprenditori come possono riuscire a investire e ad assumere nuovo personale?». Proprio sul tema delle risorse umane, Sicur2000 ha da sempre speso affinché l’organico possa conoscere una concreta crescita di professionalità. «Vogliamo continuare a investire nelle nostre risorse. Puntiamo a formarle internamente sotto ogni aspetto, da quello puramente operativo a quello, ben più complesso, legislativo. Il lavoratore va incentivato, educato. Il lavoro, oggi, è riconosciuto come un valore assoluto ma ciò non è sufficiente. Occorre una propensione totalmente diversa, non si possono chiedere solamente diritti, serve una maggiore presa di coscienza sui doveri e sulle responsabilità sociali di ogni lavoratore. L’auspicio è che le parti sociali, i sindacati, le imprese, trovino il modo di dialogare in maniera costruttiva, permettendo al sistema Paese di ripartire». Per il futuro dell’azienda, Grossi è ottimista. «Paradossalmente abbiamo registrato una crescita costante con il coincidere della crisi, dal 2008 a oggi. Segno che la qualità dei servizi e la strategia di diversificazione e ampliamento in outsourcing hnno funzionato. Prevediamo di continuare a crescere e investire sulle nostre migliori risorse».

La Sicur 2000 Srl ha sede a Tortona (AL) www.sicur2000.al.it

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FACTORING

Uno strumento utile a tutte le imprese È ancora poco diffuso nel nostro Paese, ma viene utilizzato da un numero crescente di imprese che cercano di far fronte al problema del credito. Massimo Ferraris illustra i vantaggi e le peculiarità del factoring Nicolò Mulas Marcello

l mercato del factoring in Italia ha svolto e continua a svolgere un ruolo importante di sostegno finanziario alle imprese, anche nel contesto recessivo degli ultimi anni che ha visto una grave contrazione dell’economia. Anche nel 2012 il settore del factoring ha proseguito il suo percorso di crescita, ormai in atto da diversi anni, sostenendo la liquidità delle imprese, e ha registrato al 31 dicembre un volume pari a oltre 175 miliardi (in termini di turnover) con una crescita del 3,8 per cento rispetto al 2011. Con tali volumi il mercato del factoring rappresenta oltre l’11 per cento del Pil. «Dopo un avvio positivo del mese di gennaio, i primi mesi del 2013 – spiega Massimo Ferraris, presidente di Assifact –mostrano un lieve rallentamento del settore, con un turnover al 31 marzo di oltre 40 miliardi e una variazione negativa rispetto al 2012 del 2,7 per cento. I tassi d’interesse praticati dalle società di factoring alla clientela si mantengono in linea o addirittura più bassi rispetto a quelli degli altri strumenti finanziari». Le imprese italiane riescono a sfruttare le potenzialità di questo negozio giuridico? «Sebbene il factoring sia ormai utilizzato da un numero crescente di imprese, esso rap-

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presenta ancora uno strumento non sufficientemente conosciuto, soprattutto in termini di contenuti e complessità del prodotto, nel ventaglio di elementi che lo compongono, di natura finanziaria e di servizi, combinabili in modo variabile: dalla gestione al finanziamento, alla garanzia del credito. Un’indagine svolta per Assifact dalla Sda Bocconi ha evidenziato che le imprese che ricorrono attualmente al factoring e che presentano una consolidata esperienza di utilizzo, mostrano una cultura finanziaria in crescita, che consente loro di valutare adeguatamente i vantaggi, le peculiarità e le prospettive di crescita derivanti dal factoring. Per le altre imprese, che non fanno abituale uso del factoring o non vi hanno mai fatto ricorso, permane un ampio spazio di miglioramento in termini di conoscenza dello strumento, cosa che consentirebbe loro di sfruttarne le potenzialità e di fruire dei benefici che il factoring indubbiamente può comportare. Ritengo pertanto che ci siano ancora ampie potenzialità del factoring che possano essere valorizzate e messe a disposizione delle imprese». È possibile considerare questo negozio giu-


Massimo Ferraris

Il factoring è complementare e non alternativo al finanziamento bancario, esso integra servizi di tipo finanziario, gestionale e assicurativo

Massimo Ferraris, presidente di Assifact

ridico come un’alternativa al finanziamento bancario? «È complementare e non alternativo al finanziamento bancario. La componente di servizio del factoring è spesso prevalente; nella sua accezione più completa, esso integra servizi di tipo finanziario, gestionale e assicurativo ed è uno strumento completo nel supporto al capitale circolante aziendale». Per quanto riguarda i debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, come si posiziona questo strumento? «L’industria italiana del factoring ha manifestato il proprio impegno sul tema dei ritardi

di pagamento della Pa su più fronti. In primo luogo ha mantenuto costante il supporto alle imprese fornitrici della pubblica amministrazione, aumentando il finanziamento alle imprese grazie allo smobilizzo dei crediti vantati dalle imprese: il portafoglio di crediti verso la Pa acquistati da società di factoring al 31 dicembre 2012 è stimato in oltre 17 miliardi di euro. In secondo luogo, l’industria italiana del factoring ha formulato a più riprese alle competenti Istituzioni, forte dell’esperienza e delle competenze maturate nella gestione dei crediti verso la Pa, proposte di intervento con l’obiettivo di migliorare i rap- 2013 • DOSSIER • 105


FACTORING

Le imprese che ricorrono al factoring e che presentano una consolidata esperienza di utilizzo mostrano una cultura finanziaria in crescita

porti tra imprese e enti pubblici sul fronte dei che non dessero seguito alle procedure; la pagamenti dei debiti commerciali e destinate a un sostegno finanziario all’economia, nella prospettiva dello sviluppo di una cultura della regolarità dei pagamenti, in coerenza con la direttiva sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali già recepita in Italia con le modifiche al decreto 231/02». Qual è la posizione del settore su questo fronte? «Il settore ha espresso le proprie posizioni sul recente decreto legge che affronta in modo specifico il problema dei crediti pregressi della Pa e propone alcune soluzioni per ridurne la portata. Le finalità dell’intervento sono condivisibili, nella prospettiva di destinare nuove risorse finanziarie alle imprese, sotto forma di pagamento dei crediti di fornitura vantati nei confronti della Pa. A questo fine esso fa ricorso a strumenti certamente utili, quali la certificazione dei crediti (già prevista, anche se ancora di fatto non operante); l’introduzione di sanzioni e penalizzazioni per le amministrazioni pubbliche

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detassazione delle cessioni dei crediti e una razionalizzazione di alcune fasi di processo e dei relativi costi; il ricorso a criteri di priorità basati sull’anzianità dei crediti da soddisfare». Quali sono i limiti del decreto e cosa occorre fare per migliorare la situazione? «Il decreto, oltre a coprire solo una parte del debito pregresso, prevede alcune condizioni di attuazione e modalità operative particolarmente complesse, che rischiano di comprometterne l’efficacia, a danno delle imprese creditrici. Si ritiene opportuna una semplificazione del provvedimento, che ponga le amministrazioni pubbliche nelle condizioni di effettuare con tempestività e accuratezza il censimento dei propri debiti e di avviare i pagamenti ai propri creditori. In questa prospettiva, la distinzione nell’ambito dei crediti oggetto di cessione tra crediti ceduti pro soluto e gli altri appare di scarso rilievo e il suo mantenimento rischia di ingenerare confusione, senza favorire comunque il sostegno finanziario delle imprese».


Claudio Cola

A favore della trasparenza Offrire consulenza a tutti coloro che necessitano di approfondire gli argomenti legati alle materie di compliance, in particolare al management e ai vertici aziendali. Claudio Cola illustra le attività di Aicom Nicolò Mulas Marcello

Associazione italiana compliance è nata nel 2005 con lo scopo di promuovere la cultura della conformità e del rispetto delle regole all’interno del sistema finanziario, dei diversi settori industriali e della pubblica amministrazione; in particolare, far comprendere l’importanza che assume la tutela reputazionale. Tramite l’emanazione di principi standard, di specifici approfondimenti tematici, di convegni e seminari, Aicom favorisce lo sviluppo e la diffusione dei principi dell’etica e della conformità nonché la conoscenza delle regole che caratterizzano l’attività, agevolando lo scambio di informazioni. La funzione di compliance, divenuta obbligatoria per le banche, gli intermediari e per le assicurazioni, è oramai presente in diverse realtà industriali quotate e non. E si sta espandendo anche ai settori della pubblica amministrazione (si pensi ad esempio alla recente normativa anticorruzione). Ne consegue che anche nelle società di factoring, in diversi casi espressione di gruppi bancari e finanziari, è oramai da diversi anni presente una funzione di compliance autonoma, indipendente e con diretto riporto agli organi aziendali. «Il perimetro delle aree di competenza (trasparenza bancaria finanziaria,

L’

antiriciclaggio, responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, privacy) e le metodologie di approccio al rischio di non conformità – spiega Claudio Cola, presidente di Aicom – sono analoghe a quelle presenti in altri contesti. Specifico è il “mestiere” del factoring e la funzione di compliance deve conoscere le specificità regolamentari e operative di questo mestiere, le metodologie proprie dei professionisti che si occupano di compliance devono servire a gestire le specificità del factoring». I rischi di compliance, o meglio, i rischi di non compliance sono strettamente legati alla complessità del contesto di riferimento - regolamentare, operativa e dimensionale -, la crisi 2013 • DOSSIER • 107


FACTORING

economica e in particolare le caratteristiche di

globalità della stessa rendono ancor più rilevanti i rischi di non conformità. «Il cosiddetto compliance risk – continua l’avvocato Cola – comprende il rischio sanzioni e di perdite non solo economiche dovute al mancato rispetto di leggi, regolamenti codici di comportamento ma anche di ricadute negative reputazionali; la crisi economica è anche crisi di fiducia e aumenta in maniera esponenziale anche il rischio reputazionale». In un contesto come l’attuale diviene pertanto ancora più rilevante l’apporto della funzione di compliance che può consentire di creare all’interno dell’azienda un contesto favorevole al rispetto delle regole e alla creazione di best practice operative mentre all’esterno consentire un corretto rapporto con la clientela. Aicom ha promosso studi, indagini, convegni, master e attività di formazione e di sensibilizzazione autonomamente e in collaborazione con importanti università italiane. «L’obiettivo di Aicom – sottolinea il presidente – è creare un clima favorevole alla diffusione e alla conoscenza delle problematiche della materia, contribuendo all’affermazione

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La crisi economica è anche crisi di fiducia e aumenta in maniera esponenziale il rischio reputazionale

del ruolo professionale di coloro i quali operano nell’attività di compliance. Tra le prossime iniziative vorrei segnalare il convegno internazionale “Italia-Stati Uniti. Affrontare la crescita globale dei rischi di compliance”, che si terrà il 10 giugno a Roma e che vedrà la partecipazione di importanti esponenti di autorità nazionali e internazionali. Tra gli altri, ci saranno rappresentanti della Securities and exchange commission americana, della Banca d’Italia, della Consob, della Banca europea degli investimenti, del ministero dell’Economia, nonché rappresentanti di Abi e Febaf. Tema dell’incontro sarà l’evoluzione della compliance negli Usa, in Europa e in Italia, tenuto conto della crescita globale dei rischi di compliance; saranno poi affrontati i temi della corruzione e del riciclaggio, aree di rilevante impatto sulla funzione di compliance».



STRUMENTI FINANZIARI

Un’opportunità per finanziare grandi opere

Per cambiare marcia e invertire l’attuale tendenza recessiva, l’Italia guarda allo strumento dei project bond. A illustrarne le caratteristiche è Mario Massari, direttore del Dipartimento di finanza dell’Università Bocconi Leonardo Testi

ilanciare gli investimenti, senza dover ricorrere ai prestiti bancari oggi difficilmente accessibili a causa delle ben note criticità in cui naviga il sistema creditizio. È l’obiettivo che si prefiggono i project bond, obbligazioni di scopo con scadenza di medio-lungo periodo emesse da società di progetto e società coinvolte nella realizzazione di infrastrutture stradali, reti di telecomunicazione, reti elettriche e di trasporto del gas e altri servizi di rilevanza pubblica, per finanziare pro-

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getti specifici. I project bond rappresentano, quindi, una modalità di finanziamento privato rivolta a investitori qualificati. Uno dei vantaggi di questo strumento è l’ampliamento dell’approvvigionamento finanziario, con il coinvolgimento di nuovi soggetti quali fondi pensione, fondi di investimento, compagnie di assicurazione e fondi sovrani. Disciplinati dalle leggi 27, 134 e 221 del 2012, i project bond sono percepiti come un possibile strumento di uscita dalla recessione attuale. Non ne è, però, convinto Mario


Mario Massari

Massari, direttore del Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi di Milano, secondo il quale, invece, questi strumenti «per funzionare in maniera efficace hanno bisogno di stabilità politica e istituzionale». In quali elementi risiede la carica innovativa dei project bond? «La potenzialità dei project bond risiede essenzialmente nella possibilità di allargare la platea dei potenziali investitori, con l’obiettivo di far partecipare al finanziamento di grandi progetti anche fasce di investitori che tradizionalmente non avrebbero preso in considerazione questo tipo di asset class. Un secondo elemento di interesse, sempre che tutto venga confermato dal governo italiano, consiste nel trattamento fiscale agevolato rispetto a quello dei corporate bond tradizionali: un trattamento che rende questo strumento di finanziamento competitivo con i titoli di Stato». Si può parlare di rischi correlati? «I rischi sono gli stessi che gravano sulle asset class per le quali lo strumento dei project bond viene utilizzato in tutto il mondo: ambiente, energia, opere di pubblica utilità. Tendenzialmente, si tratta di rischi modesti che possono essere stimati in base a un’esperienza consolidata. Il discorso cambierebbe se questo strumento fosse utilizzato per finanziare progetti con caratteristiche diverse». Quali allora devono essere le caratteristiche dei progetti per poter essere finanziati con questi strumenti? «Sono caratteristiche legate alla prevedibilità dei flussi di cassa. I project bond, come in generale le operazioni di project financing con partecipazione di investitori privati, sono strumenti che servono a finanziare progetti in grado di generare flussi di cassa prevedibili nel lungo termine e soprattutto di mantenerli anche in presenza di condizioni di scenario sfavorevoli rispetto alle previsioni inizialmente formulate. Si tratta di progetti che fanno riferimento alla tipologia dei settori prima identificati: dal campo dell’energia all’ambiente, alle infrastrutture». Ritiene adeguate le modalità normative e

operative attualmente in vigore in Italia per Mario Massari, un pieno funzionamento dei project bond? docente e direttore Dipartimento di «Un elemento centrale vede i project bond del finanza dell’Università riservati in Italia ai progetti nuovi con Bocconi l’esclusione delle cosiddette opere “brownfield”, quelle cioè già realizzate o in corso di realizzazione per cui l’emissione del bond è volta a rifinanziare il debito già prodotto in precedenza per sostenere l’intervento. La presenza di questa clausola potrebbe costituire una limitazione, in quanto progetti in una fase iniziale del proprio ciclo di vita fase possono essere più consolidati, nei confronti dei quali risulterebbe più facile formulare delle prospettive di generazione di cassa». L’Unione europea sta lavorando per sviluppare i project bond in ottica futura. Qual è l’orientamento internazionale nei confronti di questo strumento di finanziamento? «L’orientamento non è diverso da quello che è stato assunto in Italia. Alcune differenze si rilevano nelle modalità di garanzia. Per quanto riguarda le finalità generali, l’Europa ha visto questa iniziativa come mezzo per attenuare la pressione sulla finanza pubblica in un momento di crisi, finanziando grandi progetti con capitali privati». In quali aree del mondo ritiene che i project bond possano ottenere più successo? «Le aree potenzialmente più interessate sono quelle relative ai paesi emergenti, che sen- 2013 • DOSSIER • 111


XXXXXXXXXXX STRUMENTI FINANZIARI

I project bond servono a finanziare progetti in grado di generare flussi di cassa prevedibili nel lungo termine in settori quali l’energia, l’ambiente, le infrastrutture

tono maggiormente la necessità di creare bond ad altri tipi di esigenze, per queste ultime nuove infrastrutture e servizi di pubblica utilità come il Far East e l’Africa. Alcuni di questi paesi potrebbero generare un’enorme domanda di fondi per infrastrutture ma si tratta di realtà connotate da un’elevata instabilità politica, introducendo così un fattore di rischio importante che differenzia completamente il project bond emesso in ambiente europeo rispetto ad altri contesti geopolitici». I project bond potrebbero applicarsi in altri settori oltre a quello infrastrutturale ed energetico? «Penso che, in realtà, questo strumento sia finalizzato al finanziamento di asset class con le caratteristiche specifiche che ho già delineato: progetti di lungo termine con prospettive consolidate in grado di generare flussi di cassa. Non vale la pena di tentare di piegare i project 112 • DOSSIER • 2013

potranno essere delineati nuovi strumenti». Quale futuro potrebbe avere questo modello di finanziamento? «Per alcuni progetti energetici e di infrastrutturazione stradale un futuro c’è in Italia, poiché sono progetti che hanno tutte le necessarie caratteristiche di finanziabilità. Bisogna che si creino le condizioni per cui questi progetti generino flussi di cassa sufficienti per remunerare l’iniziativa anche per i soci privati. Il successo dei progetti finanziati con i project bond è legato a un riequilibrio della situazione politica e delle prospettive di governabilità dell’Italia. Non penso sia corretto definire i project bond come un veicolo che possa consentire e agevolare l’uscita dalla crisi. È uno strumento che ha bisogno di un certo contesto di stabilità politica e istituzionale per funzionare in maniera efficace».


Andrea Tinagli

L’Europa punta sui project bond Priorità dell’Unione europea è aumentare la disponibilità di finanziamenti per progetti infrastrutturali prioritari. I project bond possono essere la risposta al problema. Ne parla Andrea Tinagli, alla guida della sede romana della Bei Francesca Druidi

n uno scenario europeo condizionato dalla ridotta disponibilità di capitale di rischio, i project bond possono rappresentare una valida soluzione per rilanciare gli investimenti in infrastrutture. Approvata in via definitiva a novembre 2012, “Iniziativa project bond” si sviluppa a partire dall’accordo di cooperazione tra Commissione europea e Banca europea per gli investimenti (Bei), puntando al miglioramento del mercato dei capitali come fonte di finanziamento per le infrastrutture di trasporto, energia e comunicazioni. La fase pilota del programma, gestita dalla Bei, è stata finanziata con un ammontare di risorse pari a 230 milioni di euro provenienti dal bilancio europeo e dalla stessa banca. “Ogni euro erogato dal bilancio Ue in favore dell’iniziativa project bond potrebbe generare circa 20 euro di investimenti infrastrutturali”, ha dichiarato il vicepresidente della Commissione europea Olli Rehn. A prendere in esame le prospettive di questo strumento di finanziamento, anche in Italia, è Andrea Tinagli, responsabile dell’ufficio di Roma della Banca europea per gli investimenti. Quali sono allo stato attuale le considerazioni, in termini di criticità o di margini di svi-

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luppo, che si possono trarre a proposito della Andrea Tinagli, progressiva fase di lancio dell’Iniziativa project responsabile ufficio di Roma e capo bond? divisione per enti «Lanciare un nuovo strumento finanziario non è locali, infrastrutture mai una cosa facile. Una volta concepito lo stru- ed energia della Banca europea per mento sul piano teorico, deve essere adattato ai gli investimenti bisogni del mercato e poi accettato dai protagonisti del mercato stesso. Attualmente siamo nella fase pilota dell’iniziativa: lavoriamo ad alcuni progetti-campione in Europa. È un momento importante, perché serve a sviluppare un prodotto finanziario adatto alle attese degli investitori e dei beneficiari finali». Come si declina nel concreto l’intervento della Bei, in congiunzione con l’Ue, per aumentare la disponibilità di finanziamenti per progetti infrastrutturali? «In questi tempi di scarsa liquidità disponibile a lungo termine per il finanziamento dei grandi progetti infrastrutturali, l’idea è quella di provare 2013 • DOSSIER • 113


XXXXXXXXXXX STRUMENTI FINANZIARI

L’effettivo successo dei project bond dipenderà in larga misura da quante risorse del bilancio della Ue saranno dedicate a questo strumento

ad ampliare il mercato dei finanziamenti grazie vrebbe offrire la liquidità massima del mercato al mercato dei capitali. Nel passato, i progetti infrastrutturali potevano essere finanziati dal mercato dei capitali grazie all’azione delle società d’assicurazione dette “monolines”, che fornivano un supporto tecnico e finanziario necessario per ridurre il rischio dei progetti infrastrutturali e renderli, quindi, più appetibili agli investitori istituzionali. Con la crisi, l’attività delle monolines è crollata, ma le disponibilità finanziarie degli investitori istituzionali sono rimaste. La Bei e la Commissione hanno voluto fronteggiare questa situazione, proponendo un prodotto congiunto che dovrebbe permettere agli investitori istituzionali, da una parte, di ricevere un supporto sul piano tecnico per la valutazione dei progetti e il loro monitoraggio e, dall’altra, migliorare il profilo di rischio». Questo renderebbe attraente l’investimento? «Certo. L’obiettivo ultimo dei project bond è elevare il profilo di rischio delle obbligazioni legate a questi progetti a un solido livello di investment grade, con un rating minimo, che do114 • DOSSIER • 2013

dei capitali». Quali sono le condizioni affinché i project bond abbiano effettivamente successo in Italia e possano dispiegare le loro potenzialità? «La condizione fondamentale è la qualità del progetto sottostante. Non si deve mai dimenticare che un project bond non cambia il valore intrinseco del progetto. Allarga solo l’accesso alla liquidità a lungo termine. Gli stessi vincoli di “bancabilità” rimangono inalterati e la qualità dei progetti e degli sponsor resta determinante». In quali ambiti i project bond potranno assumere un decisivo strumento di stimolo? «Al momento, l’Iniziativa project bond è dedicata al finanziamento di quelle che si chiamano reti transeuropee o Ten nel settore dei trasporti (TenT), dell’energia (Ten-E) e della banda larga. Da sottolineare che l’effettivo successo dei project bond dipenderà in larga misura da quante risorse del bilancio della Ue saranno dedicate a questo strumento nella prossima prospettiva finanziaria 2014-2020».



FISCO

Caccia al conto in paradiso Gli Stati Uniti hanno iniziato a fare la voce grossa contro i paradisi fiscali e anche l’Unione europea si sta muovendo. Ma nel vecchio continente il problema è anche interno alla rosa dei 27, dove non tutti potrebbero essere d’accordo Teresa Bellemo

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he il tentativo sia quello di conferire un volto più umano alla finanza o soltanto di rimpinguare le casse dello Stato, poco importa. Il fatto è che in tema di contrasto ai paradisi fiscali qualcosa si sta muovendo. Dall’elezione di Obama del 2009 in poi le grandi democrazie mondiali, che per decenni hanno tollerato l’amara realtà dei paradisi fiscali, stanno cercando di porre dei limiti a questa dinamica. Sono proprio gli Stati Uniti a fare la parte del gigante in questa lotta ed è la Svizzera, la “banca d’Europa”, a farne per prima le spese. Pur di far emergere i miliardi di dollari esportati ille-

galmente all’estero dai propri contribuenti, il governo Usa ha dimostrato di essere disposto ad azioni molto pesanti anche contro gli interessi svizzeri in territorio americano. Il governo a stelle e strisce ha, infatti, minacciato più volte la chiusura delle filiali di Wall Street delle grandi banche el116 • DOSSIER • 2013

vetiche come l’Ubs, arrivando addirittura ad arrestare Bradley Birkenfeld, ora ex manager dell’istituto bancario di Zurigo, che ha confessato molte delle procedure messe in piedi per permettere ai cittadini americani di eludere il fisco. Ma quello che oggi sembra quasi un risveglio, in realtà è frutto di un lungo percorso. Verso gli anni Settanta l’Ocse, attraverso la regolamentazione del transfer pricing, si è occupato di reprimere tutte quelle operazioni delle multinazionali tendenti a ottenere riduzioni d’imposta. Nel contempo, sono stati individuati gli stati da inserire in una black-list perché disponibili alla collocazione di operazioni tendenti all’elusione. Dapprima fu indicato un centinaio di paesi a tassazione privilegiata, cioè zero o poco più. Poi il criterio è cambiato e i paesi da inserire nella black-list si sarebbero ridotti solo a 9, quelli cioè non disponibili a uno scambio di informazioni. Negli ultimi anni, infatti, l’Ocse ha stipulato circa 800 convenzioni per lo scambio di informazioni e sono stati raggiunti accordi anche con Liechtenstein, San Marino e Principato di Monaco. A questo riguardo, il tributarista Victor Uckmar ha sottolineato: «L’Italia non si è attenuta a queste nuove regole Ocse e dal 1992 ha mantenuto nella propria black-list un’ottantina di paesi, Colombia inclusa, con i quali invece il nostro Paese potrebbe avere intensi rapporti commerciali impedendo di fatto il nostro sviluppo economico». Anche l’Europa sta seguendo l’esempio americano sul fronte dell’elusione fiscale internazionale. Il commissario Ue alle Finanze ha intenzione di proporre un meccanismo di scambio di informazioni tra tutti i 27 paesi dell’Unione.


Il contrasto all’elusione

PRINCIPALI PARADISI FISCALI

EUROPA Andorra Campione Cipro Gibilterra Guernsey Irlanda (Dublino) Isola di Man Jersey Liechtenstein Lussemburgo Madeira Malta Monaco Sark Svizzera

CARAIBI Anguilla Antigua Aruba Bahamas Barbados Belize Bermuda Isole Vergini britanniche Isole Cayman Costa Rica Antille Olandesi Panama Saint Kitts e Nevis Santa Lucia Isola di Saint Vincent e Grenadine Isola di Turks e Caicos

AFRICA OCEANO INDIANO Liberia Mauritius Seychelles

ASIA-PACIFICO MEDIO ORIENTE Bahrain Isole Cook Dubai Hong Kong SAR Labuan Liban Macao Marianas Isole Marshall Nauru Niue Singapore Vanuatu Samoa

Fonte: Borsa Italiana

Se finora questo scambio era attivo soltanto tra Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna, questa volta il cerchio si allarga e coinvolge anche paesi come il Lussemburgo, che nelle sue 152 banche detiene 227,37 miliardi di euro, ovvero il 516,9 per cento del suo reddito nazionale. Tra i 27, anche Irlanda e Austria, meno celebri rispetto alla Svizzera, ma entrambe con un regime fiscale a trame più larghe e per questo meno inclini ad accettare il meccanismo, tanto che già in passato hanno mostrato la loro opposizione ad ogni misura di coordinamento. Ma qualcosa si sta muovendo, anche qui. Soltanto qualche mese fa, infatti, sia Lussemburgo che Vienna hanno accettato di limitare la rigidità del segreto bancario. La posta in gioco è alta: grazie alle informazioni potrebbe essere recuperata una parte consistente degli oltre mille miliardi di euro che secondo Bruxelles vengono elusi ogni anno dal fisco di tutti i paesi Ue. Per quanto riguarda l’Italia, si tratterebbe di 120-130 miliardi, cifre che in tempi di tagli alla spesa pubblica e tentativi di rilancio della crescita farebbero certamente comodo. Giocano un ruolo di primo piano il web e le nuove tecnologie, attraverso cui lo spostamento di capitali ormai non ha limiti. Il lato positivo è

che permettono anche di scoprire informazioni importanti. L’Offshore-leaks, l’inchiesta dell’International consortium of investigative journalists di Washington, ha reso pubblici non solo 130mila evasori, 200 dei quali italiani, ma anche i meccanismi che consentono il trasferimento illecito di capitali. Per fare un esempio, la Deutsche Bank, la più grande banca della rigorosa Germania, nella sua filiale di Singapore ha 300 tra fondi fiduciari e società anonime a disposizione per chi desideri far emigrare il suo denaro lontano dal fisco del proprio paese d’origine. Inoltre, delle cento società che compongono il Ftse 100 della City, soltanto due non hanno conti offshore, mentre tutte le altre ne hanno circa 8mila. Un dato impressionante che ha colpito anche il ministro delle Finanze inglese, il conservatore George Osborne, da tempo all’attacco delle aziende che nascondono nei paradisi fiscali una parte cospicua dei propri profitti. Per questo anche David Cameron, ospite del G8 programmato per il prossimo giugno in Irlanda del Nord, ha intenzione di mettere la questione dei paradisi fiscali all’ordine del giorno. Se anche la liberale Gran Bretagna e iI suo primo ministro tory sceglie la linea dura forse significa che il dado è tratto, o così almeno pare.

La geografia dei maggiori paradisi fiscali mondiali

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FISCO

Chi controlla la finanza? I governi internazionali stanno cercando di regolamentare di più transazioni e depositi all’estero con più informazioni dai paradisi fiscali e una tassazione più equa. L’analisi del giurista Victor Uckmar Teresa Bellemo

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Victor Uckmar, giurista e docente universitario di diritto tributario

ualcosa sta cambiando nella finanza mondiale. Se per anni, infatti, il liberismo e la mano invisibile dell’economia sembravano bastevoli all’autogoverno delle transazioni economiche internazionali, oggi si sta diffondendo un sentimento diverso. Ecco, dunque, la tendenza a un maggior controllo e a una trasparenza più diffusa, forse come reazione uguale e contraria a quella finanza allegra corresponsabile dell’attuale crisi economica. Paesi considerati capofila del liberismo quali gli Stati Uniti e l’Inghilterra, che negli anni hanno largamente agevolato anche fiscalmente le loro imprese operanti all’estero, stanno ora intavolando provvedimenti più restrittivi. Dalle statistiche è evidente che le prime cento società multinazionali hanno sempre subìto un prelievo al massimo del 10 per cento, mentre oggi le cose stanno cambiando, anche negli Stati Uniti. Qui, infatti, le spese per le guerre sono state enormi, sono previste grosse risorse per l’introduzione del sistema sanitario pubblico e il debito dello Stato è molto alto, per giunta in buona parte in mano ai cinesi. Secondo Victor Uckmar, giurista e docente universitario di diritto tributario, oggi è inevitabile il tentativo di controllo anche dei cosiddetti paradisi fiscali. «Dato che la pressione fiscale sia degli Stati Uniti che dell’Inghilterra, comunque di gran lunga inferiore a quella italiana, non consente inasprimenti, ecco dunque la tendenza ad approvvigionamenti intervenendo sulle ricchezze accumulate all’estero in paesi a tassazione bassa». I risultati, però, sono tutti da verificare.

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Come operano le società da questo punti di vista? «Si tratta di un problema storico. Le multinazionali, soprattutto quelle nate nel secondo dopoguerra, hanno sempre utilizzato le collocazioni territoriali in modo da ottenere nel complesso una riduzione del prelievo ed essere favoriti a livello concorrenziale. La procedura è molto semplice, si collocano le attività di alto reddito - ad esempio i proventi per royalties in paesi a bassa tassazione, solitamente nei paradisi fiscali, mentre i costi figurano nei paesi ad alta tassazione. Nel piccolo, anche l’Italia ha seguito questa strada e così la joint venture fra


Victor Uckmar

Eni e Gazprom è stata collocata a Zug, il Cantone svizzero a più bassa tassazione». La disponibilità però non sembra nuova, infatti l’Ocse conta 800 accordi bilaterali per l’informazione di natura fiscale. Cosa inceppa questo meccanismo? «Francamente ho poca fiducia nello scambio di informazioni. A mio parere, le prime dovrebbero essere quelle bancarie, mentre in molti stati come le Cayman Islands vige il segreto bancario. Nel

corso di un’indagine per conto della Comunità europea espressi il dubbio sulla possibilità di ottenere effettive informazioni da Stati nei quali i segreti costituivano la loro forza preponderante». Si è già espresso su questo tema, ma oggi, a distanza di tempo, qual è il suo giudizio sullo scudo fiscale? «Lo scudo fiscale è una sorta di condono e io da sempre asserisco che il condono è il più nefasto dei provvedimenti di uno Stato democratico, perché determina sperequazioni fra chi onestamente paga e l’evasore. Ergo, induce all’evasione. Ma a quanto pare i tempi sembrano cambiare, visto che altri paesi come Stati Uniti e Germania

hanno consentito a condoni, limitati però alle sanzioni e mai estesi alle imposte». Lo scudo fiscale è inviso non solo a molti contribuenti, ma anche a molti analisti, anche se spesso non si vedono altre soluzioni. Quali potrebbero essere invece degli strumenti efficaci su questo fronte? «La lotta all’evasione dovrebbe condursi con un sistema fiscale certo, giusto, perequato. Nel rapporto che feci alla Commissione europea di cui parlavo poco fa, espressi i dubbi sulla possibilità di ottenere effettiva collaborazione anche solo nello scambio di informazioni, dato che sarebbe in contrasto con gli interessi di quel paese. Per questo suggerii l’embargo, cioè mettere fuori della legalità banche, istituzioni finanziarie e professionisti disponibili a operare nei suddetti Paesi». Qual è il suo parere sulla Tobin tax? «Il mio parere sarebbe favorevole se fosse adeguata per portare una giusta tassazione ai redditi da capitale, comprese le relative plusvalenze oggi tassabili al 20 per cento, con esclusione della progressività. Inoltre, andrebbero colpite non soltanto le operazioni che avvengono attraverso i mercati regolamentati, ma anche quello dei derivati a contenuto tossico. La formulazione attuale della Tobin Tax, invece, non consente il raggiungimento di tali risultati, compresa quella adottata in Italia. Dobbiamo renderci conto che c’è un mercato non regolato. I derivati, ad esempio, hanno un valore nozionale pari a circa undici volte il Pil mondiale, ma non sono trasparenti, e sono invece strumento di evasione e di truffa giornaliera, come risulta anche da quanto riportato in un recente articolo del Financial Times dal titolo Watchdof probes in US swap contracts». 2013 • DOSSIER • 119


CONSULENZA

Più ossigeno a imprese e famiglie Uno dei maggiori responsabili della bassa crescita è il livello della pressione fiscale, insieme al peso della burocrazia e alla limitazione alla concorrenza nei mercati esteri. Giovanni Ansaldi spiega le opportunità offerte dalla comunicazione per uscire da questo quadro Lorenzo Brenna

l commercialista ha il compito di affiancare gli imprenditori nella gestione delle diverse fasi della crisi, specialmente ora che è a rischio la sopravvivenza di molte imprese. La figura del commercialista è però cambiata e si è adattata seguendo le dinamiche mutevoli del mercato, ciò che fa la differenza, oggi, è la specializzazione. Le specializzazioni più fruttuose degli ultimi anni sono la ristrutturazione del debito e la rinegoziazione, mentre assistenza bilancistica e fiscale hanno subito una flessione. A queste necessità si è adattato lo Studio Ansaldi Srl, che opera nell'ambito fiscale, previdenziale e societario, avvalendosi in sede della collaborazione di consulenti e professionisti in campo aziendale, fiscale, amministrativo, legale e notarile. Affrontiamo l’argomento con il dottor Giovanni Ansaldi, commercialista e consulente fiscale di Alba. Partirei dal tema della comunicazione delle informazioni ai clienti. La crisi ha imposto un cambiamento nella gestione patrimoniale, un’attenzione maggiore anche alla gestione fiscale. Con quali figure sta aumentando l’impegno rivolto alla comunicazione?

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Sopra, il dottor Giovanni Ansaldi, commercialista e consulente fiscale. A destra, un momento di lavoro all’interno di un’impresa. Nella pagina a fianco, lo staff dello studio di Alba nella sede di Corso Piave (CN) www.studioansaldi.it

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«Sono anni che il nostro studio porta avanti un certo tipo di comunicazione, che grazie all’aiuto del web e di internet può diventare uno strumento indispensabile di conoscenza che si trasforma anche in consulenza e di opportunità fino a diventare un servizio. In questa particolare situazione economica, segnata soprattutto dalla mancanza di crescita, possono servire alle piccole e medie imprese per cogliere le opportunità, migliorarsi e mettersi in competizione. Noi cerchiamo costantemente di perfezionarci dal punto di vista professionale, quindi il target a cui ci rivolgiamo è


Giovanni Ansaldi

ampio, i nostri collaboratori hanno anche competenze relative ad ambiti collaterali al nostro, per dare un servizio di consulenza più ampio e completo possibile». Il problema del paese è la mancanza di crescita. C’è la possibilità di consolidare una posizione anche in una situazione del genere. Quali sono le opportunità più importanti per le Pmi? «Uno dei maggiori responsabili della bassa crescita è il livello della pressione fiscale a cui vanno aggiunti il peso della burocrazia e la limitazione alla concorrenza nei mercati esteri. Le informazioni sono rivolte alle imprese, ma anche a chi vuole aprire un’attività o alle famiglie, per districarsi tra oneri deducibili e detraibili o per le spese di ristrutturazione del fabbricato. Con queste informazioni è possibile alleviare il carico fiscale in modi diversi e avere effetti positivi sul potenziale di crescita». Che interventi si auspica? «Secondo me l’Italia, rispetto ad altri paesi europei, risente maggiormente degli effetti negativi del fisco sulla crescita. Interventi sull’Irap e sui contributi sociali potrebbero creare condizioni favorevoli per la riduzione del costo del lavoro rilanciando gli investimenti e forse anche la domanda. Inoltre la riduzione della spesa pubblica non è più rinviabile in quanto devono essere assicurate

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Interventi sull’Irap e sui contributi sociali potrebbero creare condizioni favorevoli per la riduzione del costo del lavoro rilanciando gli investimenti e forse anche la domanda

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fonti certe di finanziamento per la riduzione delle imposte». Quali saranno le sfide maggiori della sua categoria? «In questo momento le esigenze dei clienti sono sempre immediate: fidi, finanziamenti, clienti che non pagano. Abbiamo sempre problemi contingenti brevi e da risolvere in tempi molto ristretti. La programmazione fiscale è passata in secondo piano, siamo sempre più rivolti a una consulenza di breve durata, destinata a risolvere un problema immediato. Se le aziende cresceranno anche la consulenza non potrà che trarne giovamento e vivrà momenti migliori. Il nostro studio è sempre attento alle problematiche dei vari imprenditori, siano essi piccoli o grandi, cerchiamo di risolvere le esigenze di tutti adeguandoci alle necessità odierne, ovvero velocità nelle risposte, nella comunicazione e negli adempimenti». 2013 • DOSSIER • 121


CONSULENZA

L’economia secondo “perizia” La prospettiva di chi è abituato a controllare e stimare offre una visione d’insieme in cui si possono individuare andamenti, tendenze e possibili sviluppi. Il punto di Attilio Mercalli sul mercato peritale. E le valutazioni che ne conseguono Renato Ferretti

i sono attività e specializzazioni attraverso le quali si gode di una vista privilegiata su interi settori di mercato, se non addirittura sulle trasformazioni complessive che lo riguardano a livello internazionale. Tra quegli specialisti, in grado di cogliere le trasformazioni economiche, ci sono i periti professionisti, proprio in virtù di quella che, solo a un primo sguardo superficiale, potrebbe essere considerata un’attività tangenziale. Evidentemente, il dato che in mano al professionista può essere prezioso, per i non addetti ai lavori non costituisce che un indizio. Le profonde trasformazioni cui assistiamo negli ultimi tempi, per esempio, possono risultare contraddittorie. Il dottor Attilio Mercalli, amministratore unico della torinese Engineering Data, sulla scorta della propria esperienza professionale, offre più spunti di riflessione con cui spiegare le tendenze attuali. «Nel mercato che riguarda la nostra attività – spiega Mercalli –, in concomitanza della crisi mondiale, è avvenuto un cambiamento strutturale, con una forte contrazione dei volumi e della qualità professionale delle prestazioni. La contrazione della domanda si spiega con il diffuso accorpamento delle strutture minori, da parte dei colossi storici, che hanno così disarticolato il mercato, alterandone i meccanismi di competizione. I nuovi centri di potere così costituiti colpiscono di conseguenza anche le società di servizi, annullando ogni capacità contrattuale di queste ultime, alle quali è imposto, nella migliore delle ipotesi, l’accorpamento con for-

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nitori storici della compagnia dominante». In una parola: monopolio. La tendenza del capitalismo attuale è di accentrare in poche mani la ricchezza e la produttività. La mortalità imprenditoriale e i vari accorpamenti di cui Mercalli parla, hanno una precisa ricaduta sul mercato peritale, da cui l’analisi dell’amministratore di Engineering Data. «Una delle conseguenze immediate – spiega Mercalli – è stato un ulteriore potenziamento della nostra attività in un settore che per noi aveva già raggiunto in passato incrementi ragguardevoli, quasi senza una specifica Attilio Mercalli, amministratore della Engineering Data di Torino www.engineeringdata.it


Attilio Mercalli

azione di promozione, quindi immodestamente per merito della qualità del servizio. Si tratta della stima del valore residuo dei beni strumentali in rientro alle società di leasing-finanziarie, per fine contratto o per contenziosi in genere, con attivazione-controllo di iniziative, atte a favorirne la ricollocazione sul mercato degli utilizzatori». La società di Mercalli riesce a intercettare questo bisogno dato l’alto numero di contratti corrispondenti a fallimenti delLa contrazione della domanda si spiega con l’industria, dovuti forse a una il diffuso accorpamento delle entità minori da naturale evoluzione della proparte dei colossi storici. E il mercato si riduce duzione, per la delocalizzazione, per la crisi economica o per mancati pagamenti. Per fortuna di Mercalli e dei suoi collabora- scarichi. tori, queste attività richiedono una profonda Ma le cose sono destinate a cambiare anspecializzazione, che rappresenta una for- cora, almeno per quanto riguarda il lavoro midabile barriera d’ingresso per la concor- dei periti. «Lo stimolo – dice Mercalli – alla renza. Quindi «sono bastati minimi sforzi – tendenza negativa nel mercato del leasing riprende l’amministratore –, per allargare il finirà. Anche perché le società sono più caute portafoglio clienti, favoriti anche dalla par- nel stipulare i contratti, ed è quindi dimiticolare congiuntura di crisi internazionale, nuito il giro d’affari. Man mano che il mercon scarsa propensione agli investimenti e cato si indebolisce dobbiamo allargare la diffusa casistica di contenziosi (fallimenti, piattaforma delle attività, oggi dobbiamo anticipata risoluzione dei contratti, ratei in muoverci per raccogliere quelle frange del sofferenza)». La maggior parte del lavoro giro d’affari delle piccole società di leasing, peritale riguarda beni strumentali, macchine piccole società di finanziamento, piccole utensili, impianti industriali, impianti di banche che non hanno un consulente che le condizionamento o di depurazione degli possa aiutare su questa strada».

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AGROALIMENTARE

Esportare la cultura del buon cibo

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n occasione della manifestazione “Io lavoro” svoltasi alcune settimane fa a Torino, è emerso un interessante orientamento sulle prospettive del sistema agroalimentare regionale. A bilanciare l’andamento di una filiera che negli ultimi mesi, secondo Unioncamere Piemonte, ha visto ridursi il numero di realtà attive, si registra una crescita degli avviamenti nel settore. In particolare nel segmento del cibo di qualità, in grado di sviluppare una quota di fatturato export quasi doppia rispetto al resto d’Italia. «Il tessuto agroalimentare piemontese – sottolinea l’assessore regionale all’agricoltura Claudio Sacchetto – è composto da circa 200 società cooperative agricole, 4mila aziende artigianali agroalimentari, 5.800 imprese agroindustriali con 30mila addetti. Con un fatturato complessivo di quasi 12 miliardi di euro vale il 10 per cento di quello nazionale». Quali i settori più in sofferenza e quali, invece, mostrano una maggior tenuta? «Il Piemonte non è immune al delicato momento di recessione, ma oggettivamente si rileva una generale tenuta di tale comparto, spesso trainante dell’economia. Certo il panorama delle aziende dedite alla trasformazione si modifica, spesso riscontrando una diminuzione delle realtà attive, compensata da un aumento della dimensione media delle aziende operative. Settori in crisi preoccupante non ci sono: è un buon periodo per il comparto vitivinicolo, probabilmente soffre più di altri quello zootecnico, in particolare gli allevamenti suini». È in corso il piano triennale per l’internazionalizzazione del Piemonte. Quali i passi compiuti finora nel campo agroalimentare? «Il piano, gestito dal Centro estero per l’internazionalizzazione del Piemonte, coinvolge positivamente l’agroindustria, proponendo partecipazioni a fiere, missioni specifiche su mercati esteri, contatti con buyer, attività promozionali. Al momento si stanno raccogliendo le candidature pre-

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La qualità della produzione agroalimentare piemontese guadagna consenso all’estero. Per Claudio Sacchetto è il momento di affondare il pedale sulla promozione Giacomo Govoni

sentate dalle imprese ed è in corso l’organizzazione degli eventi. Le prime iniziative concrete partiranno di qui a un mese. Al di fuori del piano per l’internazionalizzazione, l’assessorato regionale all’agricoltura mediante lo strumento dell’Ocm vino e del programma di sviluppo rurale, ha agito con intensità su questo fronte, portando le aziende ai grandi eventi europei del settore come il Vinexpo di Bordeaux, il Fruit logistica di Berlino e il Prowein di Dusserdolf. Inoltre, abbiamo sviluppato iniziative promozionali in Cina, Usa e Canada». Al Vinitaly ha espresso soddisfazione per l’andamento all’estero del comparto dei vini. Quali altri prodotti tipici del made in Piemonte stanno vedendo crescere il loro ap-

Claudio Sacchetto, assessore all’agricoltura della Regione Piemonte


Claudio Sacchetto

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I grandi formaggi Dop cominciano ad attrarre un certo tipo di buyer interessati più alla qualità e meno alla quantità

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peal internazionale? «Il vino sta superando al meglio la crisi di pochi anni fa: sui mercati esteri va il 60 per cento della produzione vinicola piemontese, per un valore nel 2012 di 1,4 miliardi di euro, in rialzo del 7 per cento sul 2011. Indubbiamente i grandi formaggi Dop, simbolo di una produzione artigianale d’eccellenza, cominciano ad attrarre un certo tipo di buyer, europei e americani, interessati più alla qualità e meno alla quantità. Per citare un esempio, il 30 per cento della produzione di gorgonzola va all’estero. Il nome del Piemonte è conosciuto all’estero anche per il riso, senza dimenticare la frutta, kiwi, mele e pesche su tutti, il 70 per cento della quale viene smerciata in Europa». Quanto incide la concorrenza sleale di marca estera sull’agroalimentare piemontese? E come la contrastate? «La concorrenza sleale è un problema in ascesa. Dietro un prodotto rinomato vi è il lavoro enorme di un produttore in termini di tempo, investimenti, passione. Metodi di produzione più rapidi e semplici esistono, ma ne risente il prodotto finale. Se non si provvede a combattere il fenomeno, oltre a danneggiare la cultura del buon cibo, si penalizzano i produttori onesti che investono in qualità. Per questo il nostro asses-

sorato sta seguendo con atteggiamento propositivo la partita comunitaria sull’etichettatura a tutela del produttore e del consumatore. Serve un sistema di verifiche coordinato, a condizione però che non si trasformi in un boomerang burocratico che soffoca le aziende». Il Piemonte ha dimostrato di credere fermamente nello strumento promozionale. Su quali fronti focalizzerà le proprie strategie di marketing nei prossimi mesi? «Per essere conosciute, apprezzate e distribuite, le eccellenze vanno valorizzate. Sul fronte dei finanziamenti a sostegno del comparto vino, la Regione ha dato attuazione nel 2012 al programma di sostegno al settore vitivinicolo, finanziato dall’Ocm unica, e confermato anche nel 2013, per 21 milioni di euro: più di 600 gli interventi di ristrutturazione e riconversione di vigneti sostenuti, 170 nuovi investimenti di cantina e 26 progetti di promozione dei vini in Paesi terzi. Nell’ambito dell’Organizzazione comune del mercato vino il Piemonte è stata la regione che in Italia ha investito di più in promozione. Non vanno infine dimenticati i 9 milioni di euro impegnati nei programmi 2012-2013 sulla promozione dei prodotti agroalimentari di qualità». 2013 • DOSSIER • 127


AGROALIMENTARE

Il made in Italy è un fine comune «All’estero apprezzano i vini italiani perché sono ognuno frutto di un territorio e di un microclima particolare. E quindi portatori di tratti distintivi propri. Non bisogna rincorrere la standardizzazione». Fiorenzo Dogliani fa il punto sull’enologia italiana in tempo di crisi Valerio Germanico

a recessione ha toccato tutti i settori produttivi. E la vitivinicoltura non ha rappresentato un’eccezione. Anche se fino alla metà del 2012 gli effetti della crisi, anche in termini di fatturato, non si sono fatti particolarmente tangibili. «A seguire, il 2013 si è aperto all’insegna dell’incertezza, con ordini frammentati, il ti-

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more da parte di molti di accumulare giacenze di magazzino. Tuttavia, soprattutto per quanto riguarda l’export, il lavoro non manca. La ripresa proveniente dagli Stati Uniti è ossigeno per la vitivinicoltura di casa nostra». È questo il quadro tratteggiato da Fiorenzo Dogliani, amministratore delegato dell’azienda agricola cuneese Beni di Bata-


Fiorenzo Dogliani

siolo, costituita da nove cascine e i cui vigneti sono situati nei più pregiati territori di vinificazione del Nebbiolo da Barolo, emblema della produzione della cantina, presentato in cinque diversi crus provenienti dalle privilegiate colline di Monforte, Serralunga e La Morra. Quali sono oggi le sfide più importanti per un’azienda che produce vino? «Intanto è basilare avere il polso del mercato. I meccanismi sono saliti di livello repentinamente, negli anni Sessanta l’orizzonte commerciale era regionale, negli anni Settanta interregionale, da metà-fine anni Ottanta ha conosciuto l’oltrefrontiera più prossimo, oggi si parla con tutta evidenza di rete planetaria. Questo vuol dire dover conquistare nuovi mercati, con la presenza fisica, la cura dei rapporti, le fiere, i tender, e soprattutto entrando nell’ottica del paese specifico, comprendendo i gusti più diffusi, ma anche le normative sull’importazione, la tassazione. Il resto lo fa il palato delle persone, che tende ad affinarsi ovunque, e più diventa esigente, più è stimolante per noi».

Oggi il consumatore è interessato a comprendere la collocazione storica e geografica di quello che beve

Da quali paesi vi attendete la maggiore risposta commerciale nei prossimi mesi? «Ultimamente i mercati più floridi sono stati senza dubbio quelli del continente americano – Stati Uniti, Canada e Brasile. Realtà che una volta ci sembravano attardate in termini di sviluppo economico, come il Brasile, stanno esprimendo un potenziale di primissimo ordine, ben più oliato di quello della vecchia Europa, che comunque tiene, seppur faticosamente, la posizione. Molto vivi sono i mercati dell’Estremo Oriente, naturalmente con in testa la Cina». Quali sono le ragioni del successo all’estero? «La nostra fortuna è nella credibilità che conserva il made in Italy. All’estero apprezzano i vini italiani proprio perché sono ognuno 2013 • DOSSIER • 129


AGROALIMENTARE

LA PRODUZIONE VINICOLA el cuore di una terra conosciuta soprattutto per i suoi grandi vini rossi, le Langhe, Beni di Batasiolo produce tutti i vini maggiormente celebrati di questa regione come il Barolo, il Barbaresco, la Barbera d’Alba Sovrana e il Dolcetto d’Alba Bricco di Vergne. Però anche grandi bianchi, come il Moscato d’Asti Bosc dla Rei, il Langhe Chardonnay e il Gavi del Comune di Gavi. Completano questa grande gamma l’elegante Batasiolo Metodo Classico millesimato e l’esclusivo Moscato Passito Muscatel Tardì. Il Barolo è l’emblema della produzione vinicola, la vera e propria punta di diamante, che la cantina presenta in cinque diversi crus provenienti dalle colline di Monforte, Serralunga e La Morra: il Barolo Bofani, il Barolo Boscareto, il Barolo Cerequio, il Barolo Brunate e il pluripremiato Barolo La Corda della Briccolina. Il nome Beni di Batasiolo racchiude un collegamento inscindibile tra il contadino e la sua vigna. Non si potrà mai capire l’essenza della Beni di Batasiolo senza ammirare le distese dei suoi vigneti nei più pregiati e importanti comuni delle Langhe. Le cascine sono situate nella pregiata zona del Barolo e in particolare in La Morra con i vigneti Batasiolo, Morino, Cerequio e Brunate. In Serralunga d’Alba con i vigneti Boscareto e la storica Corda della Briccolina. In Barolo con i vigneti Bricco di Vergne e Zonchetta e in Monforte d’Alba con i vigneti Tantesi e Bofani.

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frutto di un territorio diverso, di un microclima diverso e come tali portatori di tratti distintivi propri. Non bisogna rincorrere la standardizzazione del prodotto, peggio che mai un appiattimento organolettico. I nostri vigneti hanno bisogno soltanto di esprimersi appieno, senza artifici, perché è proprio nell’inimitabilità che sta la ricchezza maggiore dei nostri vini e del made in Italy in senso lato».

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E le vostre prospettive per il mercato italiano? «Questo è più frammentario e magmatico. I vecchi canali di vendita al dettaglio recedono lasciando spazio alla grande distribuzione, che oggi offre gamme di scelta impensabili fino a qualche anno fa. Meno snobismo (e questo è un bene) e più presenza sul territorio. Lati negativi nascono da una visione unilaterale che demonizza il vino assimilandolo tout court all’ebbrezza. Dovremmo in questo senso imparare dalla Francia: i transalpini tutelano il fiore all’occhiello della propria economia, ossia il vino. Al contrario in Italia c’è una burocratizzazione tale che in certi casi rischia di avvicinare la vitivinicoltura a una semiparalisi di natura amministrativa». Il mondo del vino è sempre più legato a quello del turismo. Su quali aspetti occorre fare leva affinché si possano attrarre i flussi


Fiorenzo Dogliani

Promuovere il vino e far conoscere il territorio sono ovviamente facce della stessa medaglia

Fiorenzo Dogliani, amministratore delegato dell’azienda agricola Beni di Batasiolo Spa che si trova in frazione Annunziata La Morra (CN) www.batasiolo.com

di turisti interessati alla cultura enologica piemontese? «Promuovere il vino e far conoscere il territorio sono ovviamente facce della stessa medaglia. Oggi il consumatore è interessato a comprendere la collocazione storica e geografica di quello che beve. Forse siamo arrivati tardi, ma oggi la promozione del territorio si fa in maniera seria e organica. La tradizione è il legame ideale di cibo, vino, monumenti, piazze, opere d’arte di un determinato luogo.

110 ETTARI SONO LA PROPRIETÀ DELL’AZIENDA AGRICOLA BENI DI BATASIOLO SPA. DI QUESTI CIRCA 65 SONO COLTIVATI A NEBBIOLO DA BAROLO

A partire da un microclima fisico bisogna segnare i punti distintivi di un microclima psichico, culturale, storico. Proponendo cibo e vino, dobbiamo essere in grado di proporre vivacità culturale. Oggi c’è maggiore consapevolezza, e strutturazione. Si deve ancora far molto, ma la strada è quella giusta». Quanto le aziende sono impegnate nel fare sistema e rete per promuovere i prodotti delle Langhe? «Ognuna ha il proprio modus operandi. Noi siamo consapevoli che le aziende, anche in una dimensione di concorrenza, debbano necessariamente collaborare, cooperare, perché il fine è comune. Il made in Italy che si afferma è una vittoria per tutte le aziende, nessuna esclusa. Noi cerchiamo di evolverci il più possibile, e di misurare sempre le nostre nozioni con i criteri di chi poi alla fine consuma, perché il vino alla fine deve piacere, e per piacere deve essere buono». Invece le associazioni di categoria e le istituzioni come contribuiscono o potrebbero ulteriormente contribuire? «La richiesta è una sola ed è rivolta alle istituzioni: snellire la burocrazia. I controlli sono assolutamente necessari e la verifica capillare della produzione è una garanzia anche per noi. Il problema è la moltiplicazione dei documenti, spesso pleonastici perché ripetitivi e riguardanti dettagli del tutto secondari. Bisogna invece proteggere la sostanza». 2013 • DOSSIER • 131


AGROALIMENTARE

Ridare slancio ai consumi L’industria alimentare italiana inizia a pagare gli effetti della crisi. Filippo Ferrua Magliai, presidente di Federalimentare, indica le priorità per rallentare la fase recessiva e incrementare l’export Francesca Druidi

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idurre la pressione fiscale e contrastare la contraffazione sono tra i punti chiave invocati da Federalimentare per risollevare il settore in occasione della presentazione, a marzo, dei dati di bilancio 2012. Nell’anno appena concluso, il fatturato dell’industria alimentare ha raggiunto i 130 miliardi di euro, con un incremento del 2,3 per cento sul 2011 legato esclusivamente all’effetto prezzi. Cala, infatti, la produzione dell’1,4 per cento, mentre tiene bene l’export con 24,8 miliardi di euro (+8 per cento sul 2011). Il problema è che gli italiani, ormai da anni, comprano meno e scelgono prodotti più economici. Filippo Ferrua Magliani, presidente di Federalimentare, analizza le aree di intervento per un recupero del comparto. Nonostante il suo ruolo trainante, l’industria alimentare soffre per il calo dei consumi, l’erosione dell’occupazione e la ridotta propensione agli investimenti, oltre alle difficoltà di accesso al credito. Il primo passo consisterebbe nella riduzione della pressione fiscale. Quali gli altri nodi da affrontare? «La cancellazione dell’aumento Iva, previsto al 1° luglio 2013, è senza dubbio il primo passo per non deprimere ulteriormente un settore che nell’arco 2007-2013 accumulerà, in termini deflazionati, un calo di quasi 12 punti del valore del venduto. Va sottolineato che tale perdita mostra 4-5 punti aggiuntivi rispetto al calo parallelo accusato dalla media dei consumi del Paese. Un settore di largo consumo come l’alimentare si lega, mani e piedi, all’an-

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3% CALO DEI CONSUMI ALIMENTARI NEL 2012, PARI AD UNA PERDITA IN VALORE DI 6,8 MILIARDI DI EURO (10 VOLTE IL MERCATO DI COMPUTER, SMARTPHONE E TABLET)

damento dei macronumeri del Paese. Non a caso, le variazioni dei consumi alimentari, negli ultimi anni, si sono apparentate strettamente a quelle del Pil. Un incentivo concreto al rilancio dei consumi sarebbe quello, perciò, non soltanto di abolire l’incipiente, possibile aumento del carico fiscale, quanto quello di alleggerire subito il carico esistente, liberando


Filippo Ferrua Magliani

Le variazioni dei consumi alimentari si sono apparentate a quelle del Pil

per le famiglie il massimo consentito di capacità di acquisto, aprendo alcuni settori alla concorrenza, riducendo alcune tariffe e comprimendo il cuneo fiscale almeno per i giovani e le famiglie meno abbienti». Ci sono margini di intervento per l’industria alimentare? «Il percorso di uscita dalla crisi deve puntare su

misure di rilancio che mettano Filippo Ferrua Magliani, in seconda linea i tempi di risa- presidente di Federalimentare namento del bilancio pubblico, mirando a rientri più graduali e meno severi, in una fase di prolungata, perniciosa recessione come quella attuale. I tempi dell’aggiustamento andrebbero tarati e, soprattutto, accompagnati da misure che consentano di “irrigare” il sistema con nuove risorse, anche finanziarie, favorendo la ripresa dell’economia. In questo senso, l’avvio del pagamento dei debiti della Pa nei confronti delle imprese è un primo passo, indilazionabile, necessario ma non sufficiente, nella giusta direzione. Un secondo passo consiste nella liberalizzazione di molti settori protetti, a partire dalle tariffe dell’autotrasporto. Un terzo passo sta nelle dismissioni di molto patrimonio pubblico al fine di abbattere il debito alla radice». 2013 • DOSSIER • 133


AGROALIMENTARE

24,8 mld AMMONTARE DELLE ESPORTAZIONI DELL’INDUSTRIA ALIMENTARE NEL 2012, IN CRESCITA DELL’8% SUL 2011 E CON UN’INCIDENZA SUL FATTURATO TOTALE DEL 19%

L’export aumenta e incide sul fatturato totale dell’industria alimentare per il 19 per cento. Un valore sul quale si può lavorare ancora molto, considerando che Francia, Spagna e Germania ancora ci superano. Come procedere in maniera più efficace sui mercati esteri? «L’estero rimane l’unica area di realistica espansione del food and drink italiano. Ma esso richiede sforzi promozionali adeguati, soprattutto sui mercati più lontani, che offrono le migliori prospettive di espansione, e dove le aziende italiane - specie se pmi - arrivano con maggiore difficoltà. Ma la carenza di risorse private e pubbliche non aiuta. D’altra parte, le verifiche sul posizionamento competitivo del food and drink italiano sui mercati emergenti mostrano che esso procede con grande fatica e subisce la concorrenza di grandi paesi comunitari, Francia in testa, che si mostrano meglio attrezzati e più performanti, anche perché dispongono in loco di proprie catene distributive. Il rischio è che, se non si riesce a presidiare adeguatamente questi mercati nell’attuale fase strate-

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gica di apertura, sarà ben difficile - in prospettiva lunga - recuperare spazio e scalzare le quote acquisite dalla concorrenza». Quanto pesano ancora problemi quali la contraffazione e il fenomeno dell’italian sounding? «L’avvio recente di contatti per il raggiungimento, entro l’anno, di un accordo commerciale bilaterale Ue-Usa offre una novità e una chance molto promettente. Esso potrebbe portare alla reciproca liberalizzazione daziaria dei due mercati e alla creazione di maggiori salvaguardie su un tema delicato come la difesa dei marchi e della proprietà intellettuale. Non va dimenticato, infatti, che, dei 60 miliardi complessivi stimati di italian sounding e contraffazione, 6 miliardi appartengono all’area specifica della vera e propria contraffazione. Di questi 6 miliardi, la metà appartiene proprio al mercato nord-americano. Comunque, è chiaro che la strada maestra per aprire il futuro commercio internazionale e garantirne le regole è quella del perseguimento lungimirante di accordi bilaterali, in presenza del fallimento del Doha Round».



AGROALIMENTARE

Allevare la bufala in Piemonte Dall’iniziativa di alcuni imprenditori agricoli del Nord Italia una mozzarella di bufala che non teme gli scandali della cosiddetta “emergenza rifiuti” campana. La parola a Tiziano Bergia, allevatore e casaro piemontese Mauro Terenziano

a mozzarella di bufala è comunemente associata alla Campania. Tuttavia esistono altre regioni italiane in cui si alleva quest’animale, se ne munge il latte e con questo si producono mozzarelle di ottima qualità. E di questo si è accorto pure il mercato – nazionale e internazionale –, che negli ultimi anni, anche e soprattutto sotto la pressione dei numerosi scandali legati alla cosiddetta “emergenza rifiuti”, ha preferito orientarsi verso mozzarelle di bufala prodotte in altre zone, in grado di offrire maggiori garanzie dal punto di vista sanitario. Fra queste, solo apparentemente in maniera paradossale, spiccano le regioni del Nord Italia e il Piemonte. Qui, circa dieci anni fa, Luigi Bergia ha portato quarantacinque capi di bufale e ha iniziato ad allevarli in un’azienda agricola che sorge alle porte del Roero, nel territorio di Poirino, comune del torinese. Come spiega Tiziano Bergia, figlio di Luigi: «Abbiamo costatato una crescita della ricerca, da parte del consumatore, di un prodotto di qualità offerto a un prezzo giusto. E abbiamo lavorato per condurre quest’attività di ricerca verso punti vendita come il nostro, o come i piccoli negozi nei quali i nostri prodotti vengono commercializzati: si tratta di attività commerciali che intendono mantenere ed esaltare l’autenticità di un prodotto

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La produzione dell’azienda agricola Le Copette si svolge a Poirino (TO) coppette@tiscali.it

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di nicchia e di livello qualitativamente elevato. Inoltre, in questo contesto di crisi economica e di calo dei consumi, anche alimentari, siamo soddisfatti dei risultati che abbiamo ottenuto, in quanto siamo riusciti a ritagliarci una discreta quota di consumatori. Tuttavia stiamo tentando di raggiungere il nostro target anche attraverso ulteriori canali, come quello dei mercati». A riprova del successo di questo esperimento compiuto in Piemonte, oggi l’allevamento Bergia, dai quarantacinque animali dell’esordio, ha rag-


Tiziano Bergia

giunto i duecentocinquanta capi, di cui settanta destinati esclusivamente alla mungitura. «Nel frattempo, inoltre, è stato avviato un processo di ammodernamento dell’azienda, che è stata ribattezzata “Le Copette” e che oggi comprende, oltre al caseificio, un punto per la vendita diretta, che accanto alla mozzarella – prodotta in maniera artigianale e lavorando esclusivamente latte di bufala intero, crudo e filato manualmente – propone la burrata, la ricotta, diversi tipi di formaggi freschi e stagionati e yogurt». Per dare l’assicurazione al consumatore di un prodotto genuino, la filiera di “Le Copette” è brevissima. Infatti, l’azienda produce internamente i foraggi e i cereali per l’alimentazione delle bufale, in modo che l’allevamento avvenga sotto il più attento controllo sia dello stato di salute delle bestie che delle condizioni igieniche. «Garantire un’alimentazione corretta, equilibrata e sicura agli ani-

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La nostra mozzarella è prodotta in maniera artigianale, lavorando solo latte di bufala intero, crudo e filato manualmente

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mali – prosegue Tiziano Bergia – è il primo passo verso la produzione di un latte che abbia caratteristiche tali da produrre latticini di alta qualità. E inoltre, ormai da diversi anni, abbiamo introdotto nel nostro allevamento un sistema di riconoscimento dei capi tramite boli ruminali – sistema che permette un veloce controllo dell’animale». Se dunque i risultati di questo esperimento sono positivi sotto il profilo del gradimento del mercato e della sostenibilità dell’impresa, Tiziano Bergia, in conclusione, non può non osservare l’esistenza di difficoltà di sistema per un settore che riesce con mezzi semplici a naturali a esaltare le potenzialità del made in Italy. Queste difficoltà sono rappresentate dalle eccessive lungaggini burocratiche, che soprattutto nel caso di un’azienda a conduzione familiare, pongono non pochi problemi. 2013 • DOSSIER • 137


AGROALIMENTARE

Fedeli al metodo artigianale Conservare i metodi di allevamento di una volta per produrre i formaggi tipici delle Alpi Occidentali. Maria Lussiana racconta come contrastare il calo dei consumi puntando sulla genuinità Mauro Terenziano

a qualità dei prodotti di nicchia tiene anche di fronte alla crisi dei consumi. A dimostrarlo il fatto che i consumatori, anche se limitano gli acquisti sotto il profilo delle quantità, non rinunciano al gusto e alla particolarità di prodotti fortemente legati al territorio. A confermalo è l’esperienza imprenditoriale di Maria Lussiana, che con i fratelli Aldo, Luigi ed Elda gestisce l’omonima azienda agricola che produce formaggi tipici a Giaveno, in borgata Fornello, nel cuore della Val Sangone. «I nostri formaggi – racconta Maria – sono prodotti con il latte di circa novanta bovini di

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razza Barà-Pustertaler, presente solo sulle Alpi piemontesi e trentine, e una settantina di capre di razza Camosciata Alpina, molto diffusa sulle montagne del Piemonte e della Valle d’Aosta. Seguiamo l’animale dalla nascita e ne controlliamo sia la crescita sia l’alimentazione, che durante l’anno avviene in prevalenza al pascolo nei prati circostanti, mentre nella stagione estiva prosegue negli alpeggi Sellery e Balma, del comune di Coazze. In questo modo gestiamo tutta la filiera. È certamente un impegno non indifferente, che però rende il formaggio unico e apprezzabile dal consumatore più attento». Fiore all’occhiello dell’azienda è il Cevrin di Coazze, che ha alle spalle una tradizione secolare esclusivamente legata al territorio della Val Sangone. «È un formaggio nato dall’esigenza di utilizzare il latte misto caprino e vaccino prodotto in alpeggio. Un tempo, le piccole forme di Cevrin di Coazze venivano trasportate a dorso di un mulo nelle gerle per poi essere vendute al mercato di Giaveno e il consumo e la diffusione era prettamente locale. Oggi è diventato un presidio Slow Food: in questo modo siamo sia riusciti a salva-


Maria Lussiana

In apertura, Luigi Lussiana sta rivoltato il Cevrin di Coazze. A fianco, bovini e caprini allevati dall’azienda agricola Lussiana di Giaveno (TO) maria.lussiana@virgilio.it

guardare le due razze autoctone, sia a proporre i prodotti tipici della Val Sangone a livello nazionale e internazionale. Oggi il Cevrin di Coazze si può acquistare a Eataly, al salone del Gusto, al Cheese di Bra, oltre che in azienda e nei mercati settimanali dei paesi limitrofi. E lo si trova affiancato da molti altri formaggi di nostra produzione: toma di capra, toma del lait brusc, formaggi freschi caprini, vaccini e ricotta». Impossibile invece trovare i formaggi Lussiana sugli scaffali della grande distribuzione, dato che l’azienda ha scelto di mantenere alta la qualità anche a scapito della quantità. Nonostante questo le previsioni per l’anno in corso sono quelle di una chiusura di bilancio in attivo. Anche se non hanno accettato le logiche della Gdo, i fratelli Lussiana si sono adattati alle norme imposte per quel che riguarda le disposizioni in materia di sicurezza igienicosanitaria. «Nella tecnica di lavorazione non ci sono state delle innovazioni, lavoriamo il latte sempre secondo i dettami della tradizione ed è questo che conferisce ai prodotti caseari le caratteristiche tipiche che deve avere un formaggio fortemente legato al territorio in cui nasce. Ci siamo però dotati di celle e camere apposite, che hanno sostituito le antiche cantine per la conservazione del formaggio. Infatti le condizioni di conservazione di un tempo non sono compatibili con gli standard moderni della sicurezza alimentare, che devono fornire al consumatore tutte le garanzie non solo di genuinità, bensì anche di salubrità certificata e certificabile del pro-

I nostri formaggi tipici sono prodotti con il latte di bovini Barà-Pustertaler e capre di Camosciata Alpina, razze autoctone del nostro territorio

dotto». Fra gli obiettivi futuri dell’azienda c’è quello di introdurre nella produzione nuovi tipi di formaggi. «Quello a cui resteremo fedeli però sarà sempre il metodo. Non ci interessa raggiungere le dimensioni e i quantitativi dell’industria casearia. Vogliamo mantenere la dimensione artigianale e di nicchia, che consideriamo la nostra forza. Fra gli esperimenti, attualmente c’è la preparazione dello stracchino di latte di capra». 2013 • DOSSIER • 139


Il chilometro zero, una forte garanzia prezzi del carrello della spesa scendono ma le famiglie italiane comprano sempre di meno: oltre il 60 per cento del reddito mensile è infatti divorato da bollette e mutui. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, commentando i dati Istat sull'inflazione. È crollato infatti il potere d’acquisto delle famiglie ma, nella maggior parte dei casi, non a discapito della scelta della qualità nei prodotti. «La gente – spiega Monica Berton della Società Agricola Coop Lago Nero di Cesana viene al mercato con un altro spirito, facendo attenzione a quello che compra; si tende a comprare di meno ma a fare sempre scelte di qualità. Tutto sommato la differenza si vede e il nostro prodotto è sempre molto richiesto, questo a testimonianza della qualità offerta». La Società Agricola Coop Lago Nero produce presso il caseificio a Pianezza, tome,

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La possibilità del contatto diretto con il produttore ha portato a un successo crescente dei mercati a chilometro zero, garanzia di maggiore qualità del prodotto. Ne parliamo con Monica Berton Marco Tedeschi

burro, ricotta e formaggi freschi vaccini e caprini. Tutti prodotti fatti con il latte fresco delle vacche e delle capre che, d’estate, vengono portate negli alti alpeggi di Cesana Torinese da oltre 70 anni con la stessa passione. Un’attenzione che va sempre verso la naturalità e la sicurezza di un prodotto che poi viene venduto al pubblico nelle piazze dei mercati rionali. «Distribuiamo anche alle manifestazioni organizzate da Campagna Amica con vendita a chilometro zero in cui ci si rivolge direttamente all’aspettativa del consumatore.


Monica Berton

La Società Agricola Coop Lago Nero di Cesana si trova a Pianezza (TO) monyberton@alice.it

Per i clienti che non possono raggiungerci direttamente nei nostri mercati rionali, abbiamo creato insieme ai nostri grossisti di fiducia un buon numero di negozi in cui si possono reperire i nostri prodotti di qualità con la medesima serietà». Tutto ciò ha portato a un bilancio positivo per l’anno appena concluso. «Un prodotto di primo acquisto non è una spesa superflua, non se ne può fare a meno. Sui generi alimentari si rinuncia meno; magari si mangia meno ma si sta più attenti alla qualità. Per questo intendiamo proporre sempre un prodotto buono, controllato e garantito per il cliente». Tra i prodotti di punta della Società Agricola Coop Lago Nero di Cesana c’è sicuramente la toma. «Fin dai tempi dei miei nonni abbiamo sempre prodotto toma, è un buon prodotto, per il quale abbiamo anche ricevuto dei premi. Un prodotto valido che la gente cerca e che riusciamo a vendere bene sul mercato, mantenendo il prezzo inalterato tutto l’anno». Un prodotto che fonde artigianalità alle più moderne tecnologie. «Nonostante il nostro sia un formaggio artigianale, grazie alle innovazioni tecnologiche il prodotto si mantiene sempre uguale, sia in estate che in inverno. Le problematiche del latte e l’alimentazione degli animali non sono infatti mai uguali, cambiano molto a seconda

La toma è un formaggio artigianale che, grazie alle innovazioni tecnologiche, si mantiene uguale sia in estate che in inverno

delle condizioni climatiche e ambientali. Per questo abbiamo investito sulle celle, i pastorizzatori, i fermenti e sul controllo durante la filiera. Sono tutte cose su cui abbiamo sempre posto attenzione, ma magari in modo meno tecnico. Ora cerchiamo di tenere sotto controllo tutti i fattori, tra cui l’umidità; particolari che sembrano sciocchezze ma che in realtà fanno la differenza sul prodotto. Siamo riusciti a installare una catena di produzione regolare durante tutto l’anno che ha portato a un prodotto eccellente, la Toma del Lago Nero. Un marchio che nel futuro – conclude Monica Berton – intendiamo sempre più preservare. Intendiamo infatti continuare a investire sulla meccanizzazione in modo da aumentare il prodotto ma continuando a lavorare come abbiamo sempre fatto, mettendo avanti la lavorazione artigianale, la qualità della materia prima e la sicurezza del consumatore. Stiamo inoltre ultimando il nostro sito internet per poter meglio spiegare sia i nostri prodotti,sia il nostro modo di produrre in modo tale da accontentare il maggior numero di potenziali nuovi clienti». 2013 • DOSSIER • 141


AGROALIMENTARE

Legati alla tradizione e alla cultura del cibo Artigianalità, freschezza del prodotto e delle materie prime. Questi alcuni dei fattori sui quali Simone Girardi ha scelto di puntare per conquistare i consumatori con un prodotto che nel nostro paese ha competitor agguerriti Mauro Terenziano

marzo i consumi alimentari hanno segnato un meno 3 per cento su base tendenziale (fonte: Confcommercio). Uno degli effetti più gravi del clima di pesantezza e austerity che stiamo attraversando. Come sta reagendo il settore? Ne parliamo con Simone Girardi, titolare di Pasta & Company, azienda produttrice di uno degli alimenti più consumati dagli italiani, in versione fresca. «La crisi ci ha spinti a rivolgere il nostro sguardo verso nuove opportunità di

A Fasi produttive dell’azienda Pasta & Company di Rivalta di Torino (TO). Nella pagina accanto, Simone Girardi al lavoro www.pastaecompany.it

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crescita ed espansione. Fra queste, la scelta di canali alternativi di vendita – dettaglio e ristorazione –, sia in Italia sia in Francia, e una produzione diversificata hanno consentito un aumento del fatturato». E questo senza mai rinunciare alla qualità. «Fin dalla nascita del pastificio, abbiamo fatto della tradizione, della genuinità e dell’artigianalità i nostri punti di forza. Non abbiamo mai acquistato semilavorati, ma solo materie prime fresche. È all’interno dello stabilimento che puliamo le verdure, rompiamo le uova a mano, brasiamo e speziamo la carne, il tutto sotto l’occhio vigile e attento delle nostre dottoresse. Ci assicuriamo in questo modo di continuare la filiera di tracciabilità e di evitare giacenze in magazzino, così da garantire la quotidiana freschezza del nostro prodotto. E questo assume un valore maggiore proprio in un periodo in cui tutto è industriale e pensato in un’ottica di risparmio – sovente a danno del consumatore finale. Essere portavoce di valori importanti come quelli legati alla tradizione e alla cultura


Simone Girardi

del buon cibo è stata ed è sempre la scelta più giusta». I mercati principali di Pasta & Company sono quello italiano e quello francese, Simone Girardi ne spiega le differenze: «In Francia ci troviamo ad affrontare una concorrenza meno competitiva e, inoltre, la nostra produzione made in Italy assume una marcia in più agli occhi dei consumatori, che riconoscono a noi italiani un primato in questo settore. Diversamente e per ovvie ragioni, l’Italia è un mercato più difficile e competitivo. Nonostante questo siamo riusciti a conquistare e soprattutto mantenere la fiducia dei nostri clienti, puntando sul nostro essere artigiani, sulle varietà della pasta fresca che produciamo e sulla sua qualità». A questo approccio si sono sommati gli investimenti nell’innovazione tecnologica. «Abbiamo dotato lo stabilimento di macchinari all’avanguardia per la lavorazione, la cottura e la stabilizzazione dei cibi, così da evitare il ricorso ad additivi. Inoltre diamo il nostro contributo alla salvaguardia dell’ambiente impiegando energia proveniente solo da fonti rinnovabili e allo stesso tempo con il controllo dei fumi e degli odori in uscita». Guardando al futuro, Simone Girardi riassume i prossimi obiettivi e progetti che l’azienda intende mettere in campo. Fra questi, un investimento importante sarà rappresentato dal-

Investiamo in macchinari all’avanguardia per la lavorazione, la cottura e la stabilizzazione dei cibi, così da evitare il ricorso ad additivi

l’introduzione degli impianti necessari alla lavorazione di farine speciali e farine sempre più orientate verso il naturale. «Intendiamo iniziare a produrre pasta per celiaci, sia ripiena sia vuota e, inoltre, ampliare la produzione attuale di quella senza latticini. Ancora, vorremmo sviluppare maggiormente il settore locali di ristorazione, consolidando quelli che già abbiamo, con l’obiettivo di creare uno standard di servizio di qualità, tuttavia accessibile ed esportabile anche all’estero. Infine abbiamo avviato un importante progetto di street food di qualità, in cui la vera protagonista sarà la pasta fresca in tutte le sue squisite varianti».

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ECONOMIA CUNEESE

L’arte di essere imprenditore A Cuneo il tessuto produttivo resiste alla crisi grazie alla vivacità e alla passione degli imprenditori locali. Ma, secondo Fernanda Fulcheri, servono strumenti che aiutino le imprese locali. Semplificazione e accesso al credito sono i primi nodi da sciogliere Tiziana Achino

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Fernanda Fulcheri, presidente della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa

ella provincia di Cuneo Fernanda Fulcheri è presidente della Cna, Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa, associazione che svolge attività di tutela e rappresentanza per favorire lo sviluppo e la qualificazione delle imprese in un quadro di valorizzazione delle economie locali, dall’artigianato all’agricoltura, dal commercio ai servizi. È inoltre parte attiva del Comitato per l’imprenditoria femminile della Camera di commercio di Cuneo, in una provincia in cui le donne con un’attività in proprio rappresentano una parte considerevole dell’imprenditoria. Come stanno affrontando la crisi economica le piccole e medie imprese del Cuneese? «La nostra vivacità e passione imprenditoriale ha tenuto attiva la provincia di Cuneo, nonostante abbia sentito, e stiamo ancora vivendo, la grave crisi economica. Partendo dall’attività artigianale, possiamo constatare ogni giorno che l’artigiano manualmente sa generare opere d’arte: è un artista che lotta, si reinventa un lavoro adatto alla difficile situazione attuale e sa affrontare una situazione complessa, ma non va scoraggiato e soprattutto va supportato dall’esterno per la sua attività. Questo vale anche per coloro che hanno intrapreso attività commerciali, agricole, di servizi che sono il fulcro dell’economia della nostra provincia. “Lavorare in proprio senza essere soli”, come ha sottolineato il nostro direttore provinciale, Patrizia Dalmasso, è la sicurezza che dobbiamo trasmettere a chi avvia un’attività in questa complessa fase economica».

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Quali sono i vostri obiettivi? «Diversi studi confermano che le piccole medie imprese creano un aumento di posti di lavoro superiore rispetto alle grandi imprese. Dobbiamo chiedere regole conformi al principio “pensare anzitutto in piccolo”, in quanto siamo un mondo di invisibili ma più che attivi. Le pmi rappresentano il tessuto connettivo della nostra economia; di conseguenza se si vuole proteggere, preservare e implementare questo patrimonio non si può prescindere dal considerare i problemi specifici e le peculiarità economiche di tali realtà imprenditoriali. Un primo punto che consideriamo nodale è una burocrazia esasperata con lacci e lacciuoli, da eliminare per ridurre la “fatica di fare impresa”. Le pmi sono il cuore della nostra economia (italiana ed europea) e necessitano di regole semplici ed ef-


Fernanda Fulcheri

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Per ridurre la “fatica di fare impresa”, consideriamo nodale eliminare la burocrazia esasperata fatta di lacci e lacciuoli

ficaci: il legislatore può fare molto per aiutare la ripresa economica delle piccole imprese. Oggi l’imposizione fiscale è al massimo e soffoca l’iniziativa imprenditoriale. Ma non è solo questo a vessare le imprese italiane: oggi l’azienda impiega 285 ore all’anno per adempiere ai propri doveri fiscali». L’accesso al credito è un’opportunità per le imprese? «Lo scarso numero di imprese cuneesi che hanno fatto ricorso al credito si confronta con il calo delle erogazioni effettive concesse dalle banche. L’accesso al credito è oggi difficile e costoso per le piccole e medie imprese. Occorre fornire loro risorse finanziarie nei momenti più delicati della loro vita: quelli dello start-up, della crescita e del consolidamento. Occorre dunque studiare, in un confronto globale, interventi

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tesi a sostenere la competitività delle pmi, come strumenti finanziari specifici e politiche che si rivelino essenziali ed efficaci nel contesto economico attuale». Quali sono i numeri dell’imprenditoria femminile nel Cuneese? «L’incidenza dell’imprenditoria femminile su quella totale risulta significativa nella provincia di Cuneo, dove supera il 24 per cento. Si tratta di imprese che nella maggioranza dei casi non superano i vent’anni di attività e circa nella metà dei casi neppure i dieci. In questo territorio le donne, più che altrove, assumono il comando di imprese familiari e ne continuano l’attività con profitto. Inoltre, le ditte individuali sono numerose sul territorio, che è fortemente caratterizzato dal settore agricolo ed enogastronomico». 2013 • DOSSIER • 153


ECONOMIA CUNEESE

Casa e lavoro, emergenze da affrontare La crisi economica ha acuito le difficoltà delle famiglie italiane, complicazioni che si sono riverberate soprattutto sull’occupazione e sull’abitazione. In Provincia di Cuneo, le istituzioni hanno supportato i cittadini con investimenti e progetti ad hoc. Il punto di Ezio Falco Tiziana Achino

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A destra, Ezio Falco, presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo

a casa e la crisi del lavoro ci hanno indirizzato a spingere al massimo l’acceleratore sugli interventi che potessero almeno in parte lenire le situazioni più gravi segnalateci dai Comuni e dagli enti assistenziali della provincia» sottolinea Ezio Falco, presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo. Quali sono gli obiettivi della Fondazione per quest’anno? «Nel piano programmatico pluriennale definito lo scorso luglio per il triennio 20132015, l’obiettivo prioritario è proseguire nel ruolo di attore a sostegno dello sviluppo socio economico del territorio, in particolare nel contesto di crisi che sta interessando la provincia di Cuneo. Le scelte strategiche fatte confermano il forte investimento nella società della conoscenza, in particolare nel settore educazione, istruzione e formazione, e a favore dei giovani e delle persone in difficoltà. Inoltre, nel documento sono individuati quali obiettivi primari l’aumento del-

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l’attività proattiva della Fondazione, attraverso progetti propri e bandi, e la sostenibilità degli interventi da finanziare». A quanto ammonta il budget previsto per queste operazioni? «La fondazione si propone di destinare all’attività erogativa, per i prossimi 3 anni, 54 milioni di euro: questo significa erogazioni annue per 18 milioni, attingendo, se le condizioni lo richiederanno, al fondo di stabilizzazione delle erogazioni, messo da parte dal 2008 e attualmente pari a 37,5 milioni di euro. A partire da queste indicazioni, abbiamo poi elaborato, a ottobre scorso, il piano di lavoro specifico per il 2013. Stiamo attraversando una bufera finanziaria che ha fortemente indebolito i valori patrimoniali di tutte le Fondazioni: questo ci ha spinto a selezionare in modo più preciso i settori strategici di intervento, con l’obiettivo di qualificare al massimo la funzione sociale e di supporto allo sviluppo del territorio della Fondazione».


Ezio Falco

Il progetto “EmergenzaCasa” ha visto lo stanziamento nel 2012 di 600mila euro, con cui sono stati aiutati 270 nuclei familiari e ristrutturati 16 alloggi

Per arginare la crisi economica, in quali direzioni sono indirizzati i vostri interventi? «Fin dall’esplosione della crisi a fine 2008, la fondazione ha avviato un costante monitoraggio della situazione, sia attraverso il lavoro di analisi dei dati e la predisposizione di specifici dossier a cura del centro studi, sia attraverso la predisposizione di interventi finalizzati ad affrontare le sue conseguenze sociali e occupazionali. Nel 2009 e nel 2010 abbiamo realizzato interventi quali progetti di microcredito e di formazione, finanziamento del fondo di garanzia Confidi e anticipazione della cassa integrazione. Con la fine del 2011 è partita la prima edizione del Piano crisi, replicata a partire da dicembre 2012. In tutto, i due piani hanno messo a disposizione quasi 4 milioni di euro e si sono sviluppati su 3 assi principali: il sostegno alle persone e alle famiglie, il sostegno all’occupazione e il sostegno alle imprese, sia attraverso lo strumento del Confidi, sia direttamente alle imprese sociali.

Tutti i progetti sono realizzati in collaborazione con i tanti soggetti locali attivi sul territorio nei diversi ambiti d’intervento: Comuni, Caritas, consorzi socio assistenziali, cooperative sociali, associazioni di categoria e quelle di volontariato». Quindi, casa e lavoro sono due settori su cui siete intervenuti? «L’emergenza casa è un asse importante, purtroppo, dell’attività della fondazione: la casa e la crisi del lavoro ci hanno indirizzato a spingere al massimo l’acceleratore sugli interventi che potessero almeno in parte lenire le situazioni più gravi segnalateci dai Comuni e dagli enti assistenziali della provincia. In particolare, il progetto “EmergenzaCasa” ha visto lo stanziamento nel 2012 di 600mila euro: con questi fondi sono stati aiutati 270 nuclei famigliari in difficoltà ad Alba, Cuneo, Mondovì, Bra, Fossano, Saluzzo e Savigliano e ristrutturati 16 alloggi per l’accoglienza di famiglie in situazioni di sfratto. E nella nuova edizione, 2013 • DOSSIER • 155


ECONOMIA CUNEESE

partita a dicembre 2012, sono stati coinvolti 4 nuovi Comuni - Boves, Borgo San Dalmazzo, Racconigi e Busca - e ampliato il budget a 750mila euro. Sul versante lavoro, la fondazione ha realizzato in particolare un intervento denominato “EsperienzaLavoro”: nel 2012 sono stati avviati complessivamente 65 stage di 6 mesi l’uno, con sostegno al reddito nel settore agricolo e in quello artigiano, per giovani alla ricerca del primo impiego e adulti espulsi dal mercato del lavoro. Nel 2013, con la nuova edizione, il budget rimane di 600mila euro, mentre cambiano i settori, che saranno quelli dell’industria, del commercio, dell’artigianato e dei servizi alle imprese. Certamente la fondazione non può pensare di risolvere da sola una situazione di crisi così estesa e profonda, ma intende giocare a pieno il proprio ruolo tra i soggetti, pubblici e privati, attivi nella provincia di Cuneo». Per quanto riguarda la concessione dei mutui, con quali enti la fondazione collabora? «Con Ubi e Regione Piemonte stiamo lavorando affinché diventi operativa al più pre156 • DOSSIER • 2013

Le scelte strategiche fatte confermano il forte investimento a favore dei giovani e delle persone in difficoltà

sto un’operazione finanziaria che darebbe ossigeno ai consorzi socio-assistenziali della provincia e, di conseguenza, alle tante cooperative che erogano sul territorio servizi essenziali per malati, disabili e anziani. L’operazione prevede l’erogazione di 10 milioni di euro ed è resa possibile dallo stanziamento di oltre 2 milioni di euro da parte della fondazione quale fondo di garanzia. Per quanto riguarda le imprese, medie e piccole, la fondazione ha rafforzato con 500mila euro un fondo di garanzia destinato ai Confidi, che permetterà un maggior accesso al credito: si calcola che, grazie alla leva attivata dalla Banca regionale europea, il tetto complessivo dei crediti erogabili possa salire fino a 15 milioni di euro».


Gianna Gancia

L’asset da cui ripartire Cuneo è la seconda provincia piemontese per numero di imprese e anche quella che ha registrato la performance migliore, insieme ad Alessandria, nel saldo tra cessazioni e nascite di nuove attività. Nonostante ciò, sono ancora diversi i temi da affrontare. Le proposte della presidente Gianna Gancia Tiziana Achino

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a provincia di Cuneo si distingue per il numero di aziende, 80mila, in prevalenza a dimensione familiare. La presidente Gianna Gancia evidenzia come «la capacità di eccellere ed essere competitivi sui mercati internazionali è l’asset da cui ripartire». Una grande provincia in cui economia e lavoro sono obiettivi primari? «La nostra è una provincia nella quale 80mila aziende, perlopiù a dimensione familiare, fanno del lavoro un valore in sé. Da qui le ragioni dell’affermazione di molti comparti produttivi negli ultimi decenni, nonostante le difficoltà infrastrutturali che hanno a lungo pesato sull’economia locale». La crisi sta toccando tutti i settori nell’ampio territorio del cuneese? «Non in modo omogeneo. Un po’ tutti i settori scontano, è vero, la stretta delle banche così come la contrazione dei consumi. Ma chi vive di export ha risultati meno negativi, quando non in aperta controtendenza. E questo è l’asset da cui ripartire: la capacità di eccellere ed essere competitivi sui mercati internazionali». Quali iniziative di sostegno e supporto? «Serve un’accelerazione sul fronte dei collegamenti. Penso soprattutto all’Asti-Cuneo, per cui bisogna arrivare subito all’avvio dei lavori sui lotti albesi. Così come al Tenda bis, che ha una

valenza turistica e commerciale e i cui cantieri si apriranno nelle prossime settimane. In tutto, oltre un miliardo di euro d’investimenti interamente disponibili che correggeranno, almeno in parte, una bilancia che, tra dare e avere, per la Provincia di Cuneo è sempre stata in passivo con lo Stato centrale. Siamo una comunità che ha storicamente dato tanto, senza ricevere altrettanto. Dobbiamo tirare fuori le unghie e pretendere quanto ci spetta». Le donne risultano le più toccate dalla crisi nell’ambito lavorativo. Progetti ad hoc? «Molta parte delle aziende della Granda sono, come dicevamo, a dimensione familiare, per questo hanno alle proprie spalle sovente l’impegno forte della componente femminile in molti ruoli, nella famiglia come nell’impresa. Penso tuttavia che il lavoro femminile vada incentivato da politiche nazionali di segno opposto rispetto a quelle messe in atto sinora. Si fa tanto parlare di passaggio dal welfare al workfare. Bisognerebbe darvi concretezza, dando priorità assoluta proprio alle esigenze delle donne e senza scaricare costi aggiunti sulle aziende. Meno incentivi a pioggia, che costano e spesso finiscono con l’alimentare spesa parassitaria. Ma servono asili e strutture adeguate, sull’esempio di altre realtà come quelle nordiche».

Gianna Gancia, presidente della Provincia di Cuneo

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ECONOMIA CUNEESE

Cuneo punta su se stessa È ora dei primi bilanci per il sindaco Borgna. La situazione non è facile, ma l’amministrazione crede in un rilancio che passa dal turismo e dal nuovo piano integrato di sviluppo urbano Teresa Bellemo

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ederico Borgna è un sindaco espressione di quella società civile che oggi si st ritagliando una parte sempre più importante nella vita politica del Paese. Giovane (39 anni) e appartenente al mondo dell’associazionismo, Borgna è stato eletto alle elezioni amministrative del maggio dello scorso anno, alle quali si è presentato a capo di un rassemblement di liste civiche, Udc e transfughi cattolici del Pd. Un momento, questo, di disillusione nei confronti della politica che in molte occasioni ha premiato gli outsider, più vicini ai problemi dei cittadini comuni e meno invischiati in manovre di potere. Ma poi, una volta eletti, il problema è sempre lo stesso per tutti: amministrare con le risorse che si hanno e che continuano a ridursi. «Per fortuna Cuneo nel corso degli anni è sempre stata ben governata, quindi ho trovato una città bella e accogliente e una struttura comunale efficiente, composta di persone capaci che hanno a cuore l’interesse della città e dei cittadini». Borgna sembra dunque avere meno preoccupazioni di molti nuovi primi cittadini alle prese con una macchina amministrativa da riorganizzare. Ma i nodi ci sono anche a Cuneo, dove grandi aziende che da generazioni assorbivano la forza lavoro del territorio, come la Miroglio e l’Alpitour, oggi stanno affrontando forti cambiamenti. «Attualmente il problema più urgente è la mancanza di lavoro, che pur essendo meno evidente rispetto ad altre parti d’Italia, anche qui comincia a diventare preoccupante». In questo momento per un sindaco uno dei problemi più complessi è proprio quello di mantenere la coesione sociale. «Fortunatamente a Cuneo il problema della coesione sociale è più limitato, perché gli effetti della

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crisi, che pur si sta facendo pesantemente sentire anche qui, sono meno impattanti che da altre parti. Inoltre devo dire, ed è una cosa che mi ha molto sorpreso all’inizio del mio mandato, che le persone qui riescono ad affrontare le difficoltà economiche con una dignità e un decoro notevole. Probabilmente un osservatore disattento avrebbe l’impressione che in città stanno tutti benissimo». E invece? «E invece, purtroppo, mi sono reso conto di quante persone stiano facendo fatica ad affron-


Federico Borgna

La linea Torino-Nizza riveste un’importanza strategica per lo sviluppo delle relazioni economiche e turistiche fra Torino, il Cuneese, Nizza e il Ponente ligure

Qui sopra, la Fiera nazionale del Marrone, che da quindici anni si svolge nel centro storico di Cuneo ad ottobre. A destra, il sindaco di Cuneo, Federico Borgna

tare questo periodo di grande emergenza: sono moltissimi i cittadini che mi chiedono un appuntamento per parlarmi dei loro problemi economici, sempre derivati da perdita del lavoro o da una disoccupazione ormai cronica. Anche parlando con i responsabili dei centri di primo aiuto, il problema è sempre quello dell’aumento delle persone che sono sotto la soglia di povertà, come dimostra l’altissimo incremento di chi chiede aiuto a queste strutture, anche solo per avere un pasto. Comunque, al di là di quello che si sta facendo sul fronte del welfare, credo che il compito del Comune debba essere quello di promuovere il territorio, anche per ciò che riguarda la possibilità di attrarre investimenti». Su cosa punta, dunque, la sua giunta per il rilancio della città? «Il progetto a cui stiamo lavorando con maggiore impegno è quello del Pisu, un intervento destinato a cambiare la faccia della città. Si tratta di quasi 20 milioni di investimenti, frutto

di un finanziamento europeo cui si aggiungono risorse del Comune e di privati, che trasformeranno radicalmente la parte storica di Cuneo. Nella nostra concezione, inoltre, il progetto vuole essere anche uno strumento anticrisi perché ci saranno parecchi milioni di investimenti finalizzati al rilancio economico della città e delle attività produttive». I ritardi nei pagamenti sono un handicap della pubblica amministrazione e anche i Comuni ne fanno le spese. Come intendete agire su questo fronte? «Intanto posso dire che, per quello che ci riguarda, abbiamo sempre cercato in tutti i modi di rispettare i termini per i pagamenti e da quello che mi risulta ci siamo quasi sempre riusciti. Certo i vincoli del patto di stabilità possono incidere anche su questo fronte perché, pur avendo i soldi in cassa, in alcuni casi non si possono spendere per non sforare i limiti e subire le relative sanzioni». Come vi state muovendo per il trasporto ferroviario, in particolare per la linea Cuneo-Ventimiglia? «Proprio pochi giorni fa abbiamo organizzato una manifestazione di protesta a Torino, sotto la sede della Regione, per difendere la linea Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza, a cui hanno preso parte moltissime persone, tra cui anche numerosi rappresentanti delle istituzioni francesi. Questo dimostra quanto il tema sia sentito. Tale collegamento ferroviario riveste un’importanza strategica per lo sviluppo delle relazioni economiche e turistiche fra l’area metropolitana di Torino, il Cuneese, l’area metropolitana di Nizza, il Ponente ligure e i territori transfrontalieri com- 2013 • DOSSIER • 159


ECONOMIA CUNEESE

20 MLN GLI INVESTIMENTI TRA RISORSE EUROPEE, COMUNALI E PRIVATE DESTINATI AL PIANO INTEGRATO DI SVILUPPO URBANO

presi tra queste aree. L’assessore regionale ci stronomia. Come valorizzare questo patriha garantito che la linea non chiuderà, ma è necessario un forte intervento del governo centrale e una maggiore partecipazione di quello francese, che fino a oggi ha lasciato all’Italia i maggiori oneri di manutenzione». Per quanto riguarda quello aereo, come vede gli investimenti russi nell’aeroporto Levaldigi? «Ben vengano investimenti stranieri se possono contribuire al definitivo rilancio dello scalo. Dopo gli anni in cui Levaldigi sembrava un buco nero di denaro, adesso i risultati stanno indicando chiaramente che le potenzialità per farlo vivere e prosperare ci sono tutte. L’aeroporto è un’infrastruttura indispensabile per il territorio, già carente a livello di collegamenti». Anche grazie a Slow Food, il Cuneese è ormai visto come una delle culle dell’enoga-

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monio anche in un’ottica di rilancio? «Sicuramente l’enogastronomia rappresenta uno dei punti di forza della nostra provincia ed è un ambito sul quale puntare in maniera decisa. Il turismo gastronomico è, assieme a quello naturalistico ed escursionistico, un grande fattore di crescita economica per il territorio. Come amministrazione comunale puntiamo molto sull’organizzazione di fiere e mostre-mercato, perché diventano un volano economico importante per la città. Ad esempio, nonostante i continui tagli imposti da Roma, molti dei quali mirati proprio a ridurre le spese di promozione e sugli eventi, noi continuiamo a credere fortemente nella Fiera nazionale del marrone, che porta ogni anno centinaia di migliaia di visitatori, con un importante impatto economico sulla città e sulle attività economiche della zona. La Fiera è proprio una vetrina delle eccellenze della provincia».



EDILIZIA

L’edilizia è stremata E lancia un ulteriore grido di allarme, chiedendo a istituzioni e politici di intervenire per rilanciare un settore che copre il 40 per cento del Pil nazionale. Ne parla Giorgio Gasparetto Emanuela Caruso

ben noto come il settore dell’edilizia stia naufragando in un mare di incertezze e problematiche, e grazie all’informazione e alle ricerche svolte in questi anni è risaputo anche che a pagare lo scotto di questo difficile periodo sono soprattutto le nuove costruzioni. Sì, perché per riuscire ad affrontare un mercato in stallo, molti imprenditori edili hanno deciso di puntare alla ristrutturazione e alla riqualificazione del “vecchio”. Ma come ci spiega il geometra Giorgio Gasparetto, titolare dell’impresa edile CO.GA.L. Srl di Ciriè, anche il restauro presenta problematiche non di poco conto, prima fra tutte il costo. «La ristrutturazione è sicuramente un intervento giusto, ma i suoi costi sono quasi il doppio di quelli del costruire il “nuovo”. Ciò vuol dire che va bene incentivare la riqualificazione attraverso agevolazioni su interventi di risparmio energetico e di utilizzo di fonti di energia rinnovabili, ma bisogna essere consapevoli di tutta una serie

È

In apertura, Condominio in Piazza Filiberto a Torino. Nella pagina accanto, il lavoro al Politecnico di Torino: CO.GA.L. ha realizzato quattro nuove aule nell’edificio della ex centrale termica www.cogal-edile.com

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di difficoltà che il restauro si porta dietro. Puntando solo su questo tipo di edilizia si incide negativamente sulle nuove costruzioni e non si ridà spinta al settore». Un settore che nella zona del torinese ha già visto andare alla deriva moltissimi imprenditori, e come loro circa 6mila posti di lavoro. «Negli ultimi

due anni – spiega il geometra Gasparetto – la nostra impresa ha registrato un aumento del fatturato, che ricordiamoci non va sempre a braccetto con un aumento dell’utile, ma nello stesso periodo, la tendenza nazionale è stata contraria alla nostra. L’edilizia odierna non può più contare sull’entrata di


Giorgio Gasparetto

utili, di conseguenza i costi in più o imprevisti che possono verificarsi durante un’opera in corso non sono ammortizzabili; da qui al fallimento il passo è molto corto. Inoltre, purtroppo, oggi l’acquisizione di un appalto non si basa più sulla bravura di coloro che concorrono alla gara, ma è basata quasi esclusivamente sulla fortuna. Infatti per appalti da 1 milione di euro, vi partecipano circa 150/200 aziende, di cui viene fatta una media con uno scarto di chi vince dello 0,01/0,02 per cento. Ovvero, per una questione di millesimi non si arriva al primo posto e non si

L’edilizia attuale non può basarsi soltanto sulle ristrutturazioni, è necessario rilanciare le nuove costruzioni e i lavori pubblici

ottiene il lavoro». Tale situazione poco soddisfacente si riferisce al settore pubblico, ma se si va a guardare il privato, il clima si inasprisce ulteriormente. «L’appalto privato è del tutto fermo, in quanto non ci sono né prospettive né incentivi. Tra i tanti problemi che affliggono il privato e l’edilizia in generale ci sono l’accesso al credito, oggi quasi impos-

sibile a causa delle banche che non ritengono più la casa o le costruzioni un buon investimento; la concorrenza sleale perpetrata da aziende non competenti; la burocrazia infinita che allunga i tempi di qualsiasi tipo di intervento edile; nonché la prospettiva delle future difficoltà nel vendere il vecchio. Da qui a due anni, infatti, le costruzioni vecchie smette- 2013 • DOSSIER • 163


EDILIZIA

ranno di avere valore nel

Sopra, costruzione in via Piave a Ciriè

mercato di scambio e quindi tutti quelli che vorranno vendere la vecchia casa per comprarne una nuova e più spaziosa non ci riusciranno». Avendo ben chiare tutte le dinamiche, anche quelle più contorte e meno edificanti, che governano il settore edile, la CO.GA.L. è riuscita a individuare alcuni punti di forza su cui puntare e grazie ai quali sopravvivere all’onda d’urto di questa crisi economica che sembra non voler abbandonare l’Italia. «La nostra impresa riesce a rimanere a galla – continua ancora Giorgio Gasparetto – perché è una realtà flessibile dove sia io che il mio socio Franco

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Leccese siamo titolari-lavoratori. In tempi come quelli in cui ci troviamo a lavorare è importante capire che per salvare la propria attività è necessario che siano i titolari a sopperire all’impossibilità di mantenere dei dipendenti, ciò significa che i titolari devono svolgere il lavoro che normalmente farebbe un dipendente, perché solo così è possibile ammortizzare le spese. Chi non ha ancora capito questa particolare evoluzione del nostro settore, non riuscirà a durare molto. Altro punto di forza della CO.GA.L. è l’elevata qualità che miriamo a raggiungere in ogni nostro intervento, sia esso di costruzione o di ri-

strutturazione. Poniamo grande attenzione alla cura di ogni minimo particolare; seguiamo da vicino i clienti, ascoltandone le esigenze e rispettiamo tutte le normative imposte, comprese quelle sul risparmio energetico. Infine, come tutti i settori del mercato italiano hanno cercato di fare, abbiamo creato un’offerta dove qualità e prezzo si bilanciano in un rapporto conveniente sia per noi che per gli acquirenti». Sempre in fatto di qualità, la CO.GA.L., a differenza di altre realtà, ha trovato nella scelta delle location un valore aggiunto per le costruzioni. Gasparetto spiega, infatti, che «scegliere un terreno particolare per posizione e possibilità di intervento si è rivelata la strategia migliore per affrontare un mercato tumultuoso come quello attuale. Ne è un esempio l’acquisizione a Ciriè, di un terreno che all’azienda è costato carissimo, ma che sta regalando buone soddisfazioni, tanto che le richieste per abitazioni, uffici e locali commerciali sono soddisfacenti; senza contare poi che proprio tra le costruzioni di Ciriè passerà anche un traguardo volante del prossimo Giro d’Italia».



INTERNI

Il made in Italy alla prova esigenza di rilanciare la sua immagine cresce col passare del tempo. Il made in Italy si sente minacciato, e le aziende che su questo valore hanno scommesso corrono ai ripari. Ma quanto sono reali le loro preoccupazioni? Gianni Bonino, alla guida della Bonino Expo insieme alla moglie Patrizia, cerca di fare ordine nel caos delle cifre e delle tendenze contrastanti all’interno dei mercati: il suo è il punto di vista di chi ha ereditato un’azienda, nata nel

L’

Gianni e Patrizia Bonino della Bonino Expo Srl. L’azienda si accinge ad aprire un nuovo showroom in C.so Einaudi 58 a Cortemilia (CN) bonino.exposrl@libero.it

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Il trend negativo preoccupa non poco le aziende che hanno scommesso sulla creatività e lo stile riconosciuti ai nostri artigiani. Gianni Bonino spiega quali sono i veri rischi e le possibili soluzioni Remo Monreale

1957 e specializzata nella produzione di divani e poltrone in pelle, che ha fatto del design e della creatività tipica italiana il suo punto di forza e che oggi, secondo una ricerca dello studio inglese Plimsoll, è annoverata tra le prime 25 aziende del nostro paese del settore imbottito. «Il momento – dice Bonino – non consente distrazioni dai mercati. Occorre riflettere, fare le opportune considerazioni e di conseguenza le proprie mosse. Il tutto deve essere trattato, però, con estrema cautela, cercando di consolidare il fatturato attuale piuttosto che espandersi. In tal senso credo che il momento opportuno potrebbe presentarsi dal secondo semestre 2015, aiutato dall’Expo di Milano, manifestazione fondamentale per il rilancio dei mercati e del made in Italy. Ci siamo ovviamente mossi in questo senso, sviluppando alcune strategie con i nostri principali clienti, non solo aumentando il numero delle campionature, dando così

maggiori possibilità di incremento del fatturato, ma anche riducendo al massimo i tempi di consegna. I nostri prodotti che alcuni anni fa rispecchiavano in particolar modo il gusto francese si trovano invece oggi a essere apprezzati anche dal pubblico italiano». La situazione della Bonino non sembra subire la recessione in modo violento, anzi. «L’attività dello scorso anno, seppur non esente dalla crisi, si può ritenere non solo positiva ma soddisfacente – ricorda il titolare –. La flessione in termini numerici è iniziata con i primi mesi del 2013 e dipende in particolar modo dalle difficoltà che alcuni importanti clienti hanno incontrato. Ritengo che tale flessione sia decisamente contenuta e che, soprattutto, dipenda da fattori ben definiti. Il 2012 ci ha permesso ancora una volta di renderci conto dell’affidabilità, della garanzia e della serietà che la Bonino rappresenta per i nostri clienti-partner».


Gianni Bonino

90% Se si prendesse l’azienda albese a rappresentare l’andamento del brand si potrebbe supporre che le preoccupazioni siano in realtà frutto solo di facili allarmismi. «Credo fermamente – dice Bonino – che il made in Italy sia un punto di forza e questa mia opinione viene avvalorata dai continui tentativi di “copiatura” dei nostri prodotti da parte di fabbricanti extraeuropei. Due a mio avviso i punti centrali. Il primo è far si che il prodotto made in Italy risponda alle esigenze dei consumatori con un corretto rapporto qualità prezzo. Il secondo è prestare cura e attenzione alla fase di

ricerca dei materiali, al fine di rendere il prodotto comunque unico». Da cosa deriva quindi il timore per il declino dell’immagine che l’Italia ha dato di sé riguardo a design, stile e innovazione? Per Bonino è il sistema del nostro paese a dover cambiare strategia. «Se si vuole sopravvivere spiega – occorre considerare l’intera filiera produttiva sotto un’unica ottica: quella collaborativa. Difficile essere competitivi contro chi deve sostenere un costo lordo mensile per un operaio pari a duecento euro, in Cina, o a seicento euro, in Est Europa. E poi bisogna ricordare che

EXPORT LA PRODUZIONE DESTINATA ALL’ESTERO DELLA BONINO EXPO SRL, SECONDO IL BILANCIO RELATIVO AL 2012

l’artigianato da sempre rappresenta un punto di forza del nostro paese, e ora rischia di sparire. È sempre più difficile trovare giovani disposti a cimentarsi in lavori manuali, anche se questo rappresenta imparare un mestiere o ancora seguire le orme della tradizione. Chissà che questo periodo di crisi non porti a fare una nuova riflessione alle nuove generazioni». 2013 • DOSSIER • 167


Il settore trasporti affronta il calo dei consumi Trasporti e spedizioni risentono del prezzo dei carburanti. Per sopravvivere, è necessario il potenziamento dei sistemi produttivi e commerciali. Il punto di vista di Roberto Simi, a capo di uno dei più importanti depositi doganali del Nord Ovest Lorenzo Brenna

n Italia il volume dei trasporti e delle spedizioni ha subito un drastico calo. I trasporti stradali, aerei e ferroviari sono in diminuzione, resistono solo le spedizioni internazionali via mare. «L'impatto della crisi ha marginalmente coinvolto anche noi - dichiara Roberto Simi, titolare della Sacchetti & Simi - riducendo inevitabilmente il volume del lavoro». L’azienda cui fa capo Simi è un punto di riferimento per nu-

I 168 • DOSSIER • 2013

merose aziende, fungendo da deposito doganale e fiscale per prodotti quali birre, vini e, in generale, alcolici. Scopriamo come l’azienda è riuscita a far fronte alle difficoltà emergenti. «Le strategie adottate per fronteggiare il calo dei consumi spiega Roberto Simi - sono consistite fondamentalmente nell'offrire un servizio che comprenda non solo il nostro core business ma che si estenda a 360 gradi. Fornire cioè ad aziende di vari settori l'assi-

stenza necessaria come, ad esempio, procurare il trasportatore più idoneo al tipo di prodotto da consegnare e alla destinazione da raggiungere, sbrigare tutte le pratiche legate alle regole commerciali dei Paesi da cui la spedizione parte e a cui è diretta, il tutto al prezzo più competitivo possibile, che però non deve pregiudicare la qualità del servizio». Molte realtà del settore hanno scelto di diversificare i target e i mercati di riferimento per


Roberto Simi La Sacchetti & Simi ha sede a Rivoli (TO) www.sacchettiesimi.it

sopperire al calo della domanda, Sacchetti & Simi ci è riuscita aumentando la produttività. «L'ampliamento delle prestazioni offerte ci ha consentito di arginare il calo della domanda - conferma il titolare della Sacchetti & Simi - inoltre la qualità ed efficienza del servizio, garantite da risorse umane di comprovata professionalità, si sono da sempre rivelate le nostre strategie vincenti. Non siamo pertanto dovuti ricorrere a strategie di diversificazione del nostro target e del nostro mercato. Gli sforzi compiuti ci hanno spesso portato nuovi committenti». Abbiamo chiesto a Roberto Simi di illustrare i settori e i target da cui derivano le maggiori prospettive di business dell’attività. «L'Intrastat è il core business di Sacchetti & Simi che funge da deposito doganale e fiscale per prodotti quali birre, vini, alcolici ed altre bevande. Il settore di riferimento è quello dei trasporti internazionali. Il target prin-

cipale è dato da produttori, distributori, grossisti, trasportatori e destinatari finali della suddetta merce, i quali costituiscono gli anelli di una catena che si estende da un produttore iniziale ad un consumatore finale». L’azienda ha una fitta rete di rapporti di collaborazione all'interno dei confini nazionali, ma punta con crescente decisione ai mercati esteri. «Lavoriamo molto con paesi quali Olanda, Germania, Spagna, Francia e con i Paesi dell'Est. Siamo anche operativi per quanto concerne tutte le pratiche doganali, legate alle importazioni ed esportazioni nei Paesi dell'Est del mondo. Fungiamo inoltre da supporto per le aziende di tutta Italia che devono effettuare spedizioni in Europa e nei Paesi extracomunitari, fornendo servizi di spedizione adeguati alle specifiche esigenze del committente». Lo scorso anno Sacchetti & Simi è riuscita a consolidare la sua posizione senza perdere la clientela storica.

«Nel corso del 2012 l'attività ha dato buoni risultati, nonostante la crisi mondiale. La recessione ha costretto tutte le aziende, compresa la nostra, a ricercare sistemi produttivi più efficienti e diversificati. In un momento difficile come questo riteniamo sia un risultato di tutto rispetto». La sfida che l’azienda si pone per l’anno in corso è quella di cercare di migliorare ulteriormente la posizione sul mercato. «Ritengo che le sfide che ci porrà il futuro siano difficili da prevedere poiché i mutamenti sociali, economici e politici a livello comunitario e in particolare nel nostro Paese saranno sempre più repentini e sempre meno identificabili. Certo è che uno dei fattori, che permetteranno di sopravvivere in ogni ambito di attività economica, sarà dato dalla forte flessibilità e capacità di adattamento di ogni azienda alle trasformazioni. Noi andremo sicuramente in questa direzione». 2013 • DOSSIER • 169


RINNOVABILI

Il futuro è rinnovabile, ma serve chiarezza Dagli imprenditori del settore dell’energia pulita arriva un appello al Governo: avere regole certe, subito. Ne parliamo con Gabriele Poggi Matteo Grandi

ra le priorità e le emergenze individuate dal Governo Letta poco spazio è stato lasciato al settore delle rinnovabili, ancora pesantemente penalizzato dalle modifiche dei vari Conti Energia. La situazione di precarietà della green economy rischia così di vanificare i risultati del 2012: ben 2500 miliardi per l’acquisto di carburanti fossili risparmiati. Per continuare a far crescere il settore delle rinnovabili servono certezze, non solo per i potenziali risparmi esponenziali a esso associati ma anche per le opportunità

T Poggi Ugo Srl si trova a Spalto Borgoglio (AL) www.poggiugosrl.it

170 • DOSSIER • 2013

che offre in termini di posti di lavoro, che in caso contrario potrebbero crollare drasticamente. «Nonostante imposizioni legislative e norme sempre più restrittive abbiano rallentato la richiesta – spiega Gabriele Poggi, titolare della Poggi Ugo Srl di Alessandria nel 2013 abbiamo visto aumentare la fiducia nei confronti di quelle figure che, come noi, possono guidare il cliente a districarsi all’interno dalla sempre più fitta giungla burocratica del nuovo Conto Energia, fornendo validi consigli sulla scelta degli incentivi. Il cambiamento della normativa per quanto riguarda l’obbligo di posizionamento sul tetto dei pannelli solari con la stessa inclinazione della falda del tetto ci penalizza soprattutto nel periodo invernale, quando il sole ha un’inclinazione di 23,5°. Questa soluzione è adatta per il fotovoltaico che utilizza i fotoni per generare corrente elettrica; per il solare termico, che utilizza i raggi infrarossi, un’in-

clinazione troppo bassa compromette il rendimento». La Poggi Ugo si occupa principalmente di quei servizi inerenti il risparmio energetico sul riscaldamento, una voce che incide notevolmente nel bilancio delle famiglie piemontesi. «Anche per questo motivo sono diminuite le richieste di manutenzione sia da parte dei privati che delle imprese. Questa razionalizzazione delle spese, al contrario di quello che si potrebbe erroneamente pensare, non costituisce un vero risparmio, anzi, l’incolumità delle persone è messa a rischio in quanto i sistemi di sicurezza delle caldaie sono i primi a perdere la loro efficienza. La durata dell’intero impianto inoltre diminuisce notevolmente rendendo necessarie maggiori


Gabriele Poggi

riparazioni e interventi di emergenza». L’esperienza del fondatore, che da decenni si occupa di riscaldamento e condizionamento in partnership con Riello ha sicuramente costituito un valore aggiunto anche nel mondo delle rinnovabili. «In questo periodo di recessione abbiamo deciso di allargarci proprio a questo campo. L’obiettivo – spiega Gabriele Poggi - è stato quello di elevare la nostra qualità ed esperienza in particolare riguardo le energie rinnovabili come solare fotovoltaico, solare termico, biomassa, bio gas, geotermia e cogenerazione. Il futuro noi lo vediamo rinnovabile. Una fonte di energia indispensabile per un mondo che di

energia è sempre più affamato. Questi sistemi alternativi sono però ingombranti, richiedono spazi appositi e non sempre l’estetica viene favorita. Gli impianti fotovoltaici tuttavia, stanno riscuotendo un grande successo grazie all’incentivazione e alla semplicità del sistema. Anche il sistema solare termico si sta diffondendo, ma necessita di personale abituato ad integrare il sistema solare con quello del riscaldamento. L’utilizzo della geotermia risulta invece più articolato in quanto determinato dalle caratteristiche del terreno e dall’ubicazione degli impianti. Se si potesse sbirciare nel futuro mi piacerebbe vedere edifici e strutture che inglobano sia il fotovoltaico

2500 I MILIARDI RISPARMIATI PER L’ACQUISTO DI CARBURANTI FOSSILI NEL 2012 GRAZIE ALL’UTILIZZO DELLE RINNOVABILI

che il solare termico». Un futuro che per l’azienda piemontese sarà sempre più rivolto alle rinnovabili. «Intendiamo mantenerci sempre aggiornati sulle evoluzioni tecnologiche riguardo alle fonti rinnovabili. Speriamo inoltre di poter realizzare un nostro sogno, quello cioè di fare ricerca creando un’area dalla nostra azienda per realizzare nuovi progetti. Di idee ne abbiamo tante e vorremmo svilupparle. L’importante è che si faccia più chiarezza sul settore delle rinnovabili». 2013 • DOSSIER • 171


Un futuro all’insegna dell’autoconsumo L’energia per l’industria, l’artigianato e il terziario. Sergio Testa fa il punto sui costi di investimento per la realizzazione di un impianto che sfrutti le fonti rinnovabili Valerio Germanico

o sviluppo repentino delle fonti rinnovabili ha portato a una fortissima richiesta di servizi tecnico-fiscali per l’attivazione degli impianti, sia da parte delle aziende costruttrici che dei committenti. Se in passato la consulenza energetica aveva per obiettivo primario la riduzione dei costi di approvvigionamento di energia elettrica e gas naturale – e in piccola parte l’assistenza nell’applicazione della fiscalità dei prodotti energetici –, negli ultimi anni la richiesta di questi servizi per questioni stretta-

L

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mente fiscali è “esplosa”. «In un periodo di crisi economica generalizzata a quasi tutti i settori – spiega Sergio Testa –, i più diversi soggetti economici trasversalmente riconducibili a industria, artigianato e terziario hanno iniziato a occuparsi di fonti rinnovabili. La maggior parte di questi soggetti però ha fatto il suo ingresso in questo mondo senza alcuna esperienza e, di conseguenza, nel corso della realizzazione degli impianti, sono stati causati notevoli danni economici ai committenti, per carenze di tipo

tecnico, ma anche per scarsa conoscenza delle norme per la gestione fiscale dei siti». A rappresentare l’altro lato della medaglia della capillare diffusione di impianti fotovoltaici e altre fonti rinnovabili è il direttore della Sge di Torino, società specializzata nel settore della consulenza energetica industriale, del monitoraggio e della pianificazione dei costi energetici. «Molto spesso – prosegue Testa – le aziende che installano un impianto alimentato da fonti rinnovabili, dopo l’avviamento, vengono “abbandonate”


Sergio Testa

Da sinistra, Paola Gremo, Elena Vetere, responsabile della qualità, Ombretta Brondino e Sergio Testa, amministratore unico della società di consulenza energetica Sge Srl, Torino www.sge-consulting-web.com

120mila

EURO INVESTIMENTO PER LA REALIZZAZIONE DI UN IMPIANTO FOTOVOLTAICO DA 100 KW. NEL 2011 PER UNA PARI POTENZA ERANO NECESSARI 350MILA EURO

dal fornitore e si ritrovano così ad affrontare da sole i numerosi e periodici adempimenti richiesti dall’Agenzia delle Dogane, dal Gse, da Terna, dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. La nostra società, per colmare questo vuoto, si pone come unico referente per la cura di tutte le pratiche burocratiche, precedenti e successive l’avviamento degli impianti. E inoltre per esaminare e risolvere eventuali problematiche che dovessero sorgere durante l’esercizio». Ma quali sono le prime cose da valutare per chi ha programmato un investimento nelle energie rinnovabili? «Per la realizzazione di un buon impianto, oltre che la progettazione, è importante analizzare i materiali. Altrettanto impor-

tante è la verifica dei tempi di ritorno dell’investimento, sia durante la fase di autorizzazione dell’impianto e sia nella successiva gestione tecnico-fiscale – verifica che la nostra società svolge come super partes e senza alcun interesse commerciale». Testa spiega inoltre come rapportarsi rispetto agli incentivi previsti dall’ultimo conto energia. «Attualmente le tariffe incentivanti del quinto conto energia sono sicuramente meno interessanti rispetto ai conti precedenti. Per contro il notevole sviluppo degli ultimi anni, soprattutto del fotovoltaico, ha portato a delle significative riduzioni dei costi di investimento. Se nel 2011 per realizzare un impianto da 100 kW era necessaria una spesa di circa

350mila euro, oggi è possibile realizzare un impianto della stessa potenza con appena 120mila euro. Questa riduzione dei costi, a mio avviso, nei prossimi anni, stimolerà quegli investimenti destinati a realizzare impianti che produrranno energia per l’autoconsumo delle imprese e che, anche in assenza di incentivi statali, renderanno l’investimento sostenibile. Considerando infatti gli attuali costi di approvvigionamento dell’energia dalla rete e tenendo conto degli oneri di investimento, oggi un impianto fotovoltaico richiede un periodo di rientro di circa 4/5 anni. L’esperienza consolidata degli ultimi anni, unita ai miglioramenti tecnologici e a una puntuale manutenzione preventiva, garantisce poi una durata della centrale fotovoltaica di circa 25 anni. E questo renderà conveniente per l’impresa la realizzazione di impianti destinati all’autoconsumo». 2013 • DOSSIER • 175


GESTIONE RIFIUTI

Tutelare l’ambiente e l’economia nazionale È l’ambiziosa sfida del settore del recupero dei rifiuti. Ma si è ancora lontani dall’obiettivo del 90 per cento di recupero dei materiali cartacei, plastici e metallici immessi sul mercato. Ne parliamo con Ermanno Benassi Mauro Terenziano

uello del riciclo è un settore talmente importante che, anche in un periodo di crisi mondiale, riesce a confermare un trend di crescita grazie alle maggiori attenzioni rivolte all’ambiente. Aumenta da parte di imprese e cittadini la consapevolezza sul ruolo cruciale del recupero dei rifiuti, ma è ancora lunga la strada da percorrere prima di giungere alla soglia ottimale del 90 per cento di recupero dei materiali. L’Italia è stata e continua a essere un paese all’avanguardia nel settore del recupero e riciclo dei rifiuti, ma la congiuntura economica, insieme alla globalizzazione dei mercati, ha provocato il calo della richiesta nazionale e favorito l’esportazione in paesi dove vige un’economia più viva e florida. Un caso positivo per il nostro

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territorio è certamente quello della società cuneese Benassi che oggi tratta nei propri impianti oltre 50mila tonnellate di rifiuti all’anno, che vengono poi trasformati, per oltre l’80 per cento, in materie prime seconde, sottoprodotti e semilavorati per le varie industrie di trasformazione nazionali (40 per cento) o estere (60). «Gli obiettivi che ci eravamo prefissati fino al 2012 – rivela Ermanno Benassi, titolare della Benassi Srl – li abbiamo raggiunti. Oggi anche noi abbiamo difficoltà a reperire le quantità solite dei vari rifiuti,

derivanti principalmente dagli scarti di produzione della grande distribuzione, dell’artigianato e dell’industria. Per questo motivo ci stiamo orientando sul recupero di materiali più difficili, come gli estrusi e gli accoppiati del vastissimo mondo della plastica. Abbiamo così investito su nuovi e sofisticati impianti per la separazione dei polimeri plastici che ci permettono di recuperare e creare un importante valore aggiunto su ciò che prima era destinato allo smaltimento. Il risultato finale è quello di semilavorati sotto


Ermanno Benassi

50mila TONNELLATE PER ANNO

QUANTITÀ DI RIFIUTI LAVORATI DALLA BENASSI SRL. L’80% VIENE TRASFORMATO IN MATERIE PRIME SECONDE, SOTTOPRODOTTI E SEMILAVORATI

forma di macinati di varie pezzature, destinati alle industrie di trasformazione delle materie termoplastiche, che le rimettono nel ciclo produttivo». Però le materie prime che in futuro saranno cruciali per questo settore sono quelle derivate da apparecchiature elettriche ed elettroniche. «L’attuale tecnologia permette di recuperare da questi rifiuti, oltre a ferro e plastica, buone quantità di metalli preziosi e terre rare, materie prime che sono sempre meno disponibili». Benassi non nasconde le difficoltà che oggi investono il

settore. «Ciò che ancora ci impedisce di lavorare in maniera ottimale sono i troppi punti d’ombra sulle normative di smaltimento e sulla tracciabilità dei rifiuti. Per questo speriamo che il nuovo governo approvi norme più “semplici” e allo stesso tempo più efficaci. E che possa incisivamente rivedere l’annoso problema del contorto Sistri e della tracciabilità dei rifiuti. Questo consentirebbe a tutti gli operatori del settore di lavorare in modo più chiaro e fluido, di avere un controllo completo sui rifiuti e, soprattutto, di contrastare le ecomafie in maniera forte e definitiva! Infatti, da sempre, chi si occupa di rifiuti è considerato borderline. Oggi, per fortuna, la mentalità sta cambiando. Si inizia a comprendere che il recupero e il riciclo consentono una vita migliore e che tutelando l’ambiente si tutelano tutti gli es-

seri viventi del pianeta». Un fondamentale elemento è la consapevolezza dell’importanza delle certificazioni ambientali che sono garanzie di sicurezza e qualità. La Benassi Srl, azienda pluricertificata, può garantire una gestione ottimale dei rifiuti, garantendo un prezzo equo con la garanzia di un’assoluta certezza di correttezza e legalità in qualsiasi tipo di servizio. «Per far sì che si riesca a recuperare una maggior frazione di rifiuto è necessario agire anche monte, facendo in modo che le aziende che producono i vari beni e imballaggi lo facciano utilizzando un minor numero di materiali differenti, rendendo così più facile il recupero. Agendo così su qualsiasi produzione e materiale, si percorrerà la strada giusta per un recupero ottimale sia a livello ambientale sia a livello di costi».

L’azienda di recupero rifiuti Benassi Srl si trova a Guarene (CN) www.benassiambiente.it

2013 • DOSSIER • 177


Palletways, la soluzione veloce e sicura per spedire in Italia ed Europa Un modello di trasporto che unisce la velocità del corriere espresso con le quantità e la tipologia di merci del distributore tradizionale. Albino Quaglia spiega i vantaggi e le ragioni del successo del pallet network

recento aziende di autotrasporto consorziate. Un Network internazionale che abbraccia undici Paesi Europei e che, lungo lo Stivale, può contare su una rete di 86 Concessioni, distribuite capillarmente su tutto il territorio nazionale e capace di movimentare, in Italia, oltre 5000 pallet al giorno, anche in aree remote, dove è difficile effettuare spedizioni con altri corrieri. Sono i numeri di Palletways, società leader nel trasporto espresso di merce su pallet, nata nel 1994 nel Regno Unito, da un’idea al tempo stesso semplice e rivoluzionaria: trasferire le logiche tipiche delle spedizioni tramite corriere espresso alla movimentazione di merci pesanti, per garantire anche al trasporto di bancali fino a una tonnellata di peso e oltre, i tempi di consegna previ-

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sti per un pacco. A costi competitivi. «Dopo il mercato britannico, l’Italia è stata il primo Paese, nel 2001, ad adottare il nuovo sistema per le spedizioni veloci con ottimi risultati, perché la società continua a crescere, in termini di volumi, a un ritmo del 15/20 per cento l'anno», ricorda Albino Quaglia, amministratore delegato di Palletways Italia al quale abbiamo posto alcune domande. Quali sono i vostri punti di forza, in un mercato così difficile? «Prima di tutto la qualità del servizio, poi la flessibilità. A disposizione dei nostri Clienti mettiamo sei differenti tipologie di bancali: dal Mini Quarter, ideale per piccole spedizioni, con peso inferiore ai 150 Kg; al Full pallet, per merce fino a una tonnellata di peso, passando per quat-

Palletways Italia Spa - Via Pradazzo, 7 - 40012 Calderara di Reno (Bologna)


Informazione pubblicitaria

tro bancali di formato intermedio: Quarter, Extra Light, Half e Light. Questo ci permette di offrire tariffe semplici e competitive, calcolate in base al numero e alla tipologia di pallet da spedire, senza passare per la tradizionale conversione peso/volume». A quali settori merceologici vi rivolgete? «Abbiamo Clienti che provengono da tutti i settori, con il vitivinicolo in pole position con il 30 per cento dei volumi; quindi dai materiali per l'edilizia ai prodotti per la casa e la persona, dai casalinghi all’agroalimentare. Il nostro sistema, infatti, ci consente di rispondere a esigenze molto diverse ma è particolarmente competitivo per spedizioni frazionate verso destinazioni multiple». Quali garanzie offrite sui tempi di spedizione? «I nostri Clienti possono scegliere tra due servizi: Economy, con consegna entro 48/72/96 ore, a secondo dell’Hub e del destino, oppure Premium, per spedizioni urgenti, entro 24/48 ore: in questo caso, se si verifica un ritardo sui tempi di consegna, offriamo la garanzia di rim-

www.palletways.com

borso delle spese di spedizione – anche per le merci ADR. In Italia, siamo l'unica azienda di trasporto espresso a proporre standard di servizio così elevato». Come riuscite a proporre un servizio altamente qualitativo pur tenendo conto delle esigenze di razionalizzazione dei costi avanzate dalle imprese? «La competitività, economica e di servizio, della nostra offerta, la frammentazione dei carichi e il ridimensionamento delle reti captive di distribuzione, aumenta la nostra penetrazione di mercato, creando volumi elevati nel Network; siamo in questi ultimi mesi a +25% / 30% al disopra delle scorso anno. Creando economie di scala, questo modello permette ai Concessionari di ottimizzare i carichi e di garantire tempi di consegna competitivi offrendo un livello di servizio eccellente, il circolo virtuoso è avviato!». Quali altri vantaggi offre il vostro network? «Facciamo parte di un network internazionale e quindi i Clienti possono inviare facilmente le spedizioni anche verso altri Paesi Europei, in particolare Regno Unito, Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Danimarca, Portogallo, Irlanda e Lussemburgo. Palletways si differenzia inoltre per l’innovazione continua: abbiamo recentemente esteso il Servizio Garantito anche alle merci ADR e siamo sempre al lavoro per migliorare i nostri indicatori di performance».

Concessionari per il Piemonte: Cornali Autotrasporti TO - AO Impresa autotrasporti Sacchi NO - VB Lottero Servizi AL - AT - CN Eurober Lux NO (alcuni CAP) Cerri Trasporti BI - VC So.Co.Fat. TO (alcuni CAP) Bordignon Trasporti TO (alcuni CAP) U&B TO (alcuni CAP)


POLITICHE SANITARIE

La difficile strada del risanamento La sanità piemontese è nell’occhio del ciclone. La causa è l’enorme debito accumulato, anche dalle amministrazioni precedenti, che ha costretto la giunta regionale a varare il nuovo piano socio-sanitario. Teresa Bellemo

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l taglio di 300 milioni di euro contenuto nel piano di rientro non è bastato per ripianare il buco di quasi 900 milioni della sanità piemontese. Su questi presupposti la giunta guidata dal presidente Cota ha avviato una riforma sanitaria ambiziosa e una riorganizzazione basata sull’esigenza di avere un sistema efficiente, in grado di far funzionare gli ospedali secondo il criterio dell’appropriatezza e tenendo conto delle caratteristiche del Piemonte, che ha una grande estensione, tanti piccoli comuni e necessità di più presidi coordinati in rete. Detto questo, l’obiettivo dovrà essere anche quello di mantenere sotto controllo la spesa sanitaria che è stata una delle principali cause dell’indebitamento in cui versa oggi la Regione. Ugo Cavallera, da due mesi assessore regionale alla sanità e alle politiche sociali, ha tra le mani quella che per molte regioni italiane è una vera e propria patata bollente. «Il mio obiettivo è portare avanti il lavoro iniziato con l’approvazione del piano socio-sanitario nell’aprile del 2012. Sappiamo che vi sono resistenze al cambiamento, ma siamo determinati a proseguire, tenendo conto ovviamente dell’evoluzione normativa nazionale e delle esigenze che provengono dai vari livelli istituzionali».


Ugo Cavallera

Dal “tavolo Massicci” sono arrivate critiche alla riforma Monferino, che però sulla riorganizzazione ha ricevuto la promozione. Cosa intende cambiare? «Il piano socio-sanitario verrà attuato, con alcuni aggiustamenti, ma senza stravolgerlo. Dal tavolo di verifica della spesa sanitaria del 4 aprile scorso è giunto un sostanziale via libera alla Regione, con alcune osservazioni che abbiamo recepito. La scorsa settimana abbiamo inviato a Roma la bozza dei programmi operativi del piano di rientro, con una dettagliata descrizione dei risparmi di spesa che contiamo di conseguire nel periodo 2013-2015. Questi risparmi consentiranno comunque di mantenere elevato il livello del servizio reso alla popolazione e di mantenere i costi in linea con le entrate che derivano principalmente dal Fondo sanitario nazionale, per una somma totale che sfiora gli 8 miliardi e 400 milioni di euro all’anno». L’ex ministro Balduzzi ha mostrato delle perplessità sul tema delle federazioni e del fondo immobiliare sanitario. Vista la situazione economica, le preoccupazioni per le privatizzazioni quanto sono reali? «Sulle federazioni interverremo con un procedimento legislativo specifico. Le esigenze di concentrazione di determinate attività, a iniziare dalle forniture di beni e servizi fino al coordinamento dei sistemi informatici e alla centralizzazione degli acquisti, sono condivise da tutti. Sul come attuare questo tipo di razionalizzazione possono esserci poi soluzioni diverse. L’importante è l’obiettivo finale, ossia il risparmio di spesa a parità di qualità nelle forniture e nel servizio. Per quanto riguarda il fondo immobiliare sanitario, non c’è mai stata la volontà di vendere. Semplicemente c’era l’ipotesi - tutta da approfondire dal punto di vista tecnico, vista la complessità della questione - di reperire risorse utili all’ammodernamento dell’edilizia sanitaria, che negli anni si è stratificata e

grava sulle spalle dei cittadini piemontesi. È bene ricordare che il fondo immobiliare della sanità prevede che tutte le strutture oggi di proprietà delle Asl continuino a rimanere nella disponibilità delle aziende stesse. Ma la questione patrimonio immobiliare non è tra le priorità». La sanità è una delle poche materie davvero federalizzate. Cosa non funziona allora in questo sistema? «Il tema è talmente ampio che ci vorrebbe un intero numero della vostra rivista. Diciamo che la sanità in Italia è di buon livello e il Piemonte è una delle realtà migliori. Naturalmente, l’attenzione dei media è sempre rivolta a enfatizzare i casi negativi. Le buone pratiche e i tanti casi di eccellenza che ogni giorno salvano la vita a molte persone non hanno la stessa evidenza. Un interessante libro, uscito da qualche settimana, curato da Valeria Fargion ed Elisabetta Gualmini, dal titolo significativo “Tra l’incudine e il martello”, sottolinea lo sforzo che le regioni e gli enti locali, in un contesto di crisi, con risorse decrescenti e bisogni crescenti, stanno affrontando per dare risposte concrete ai cittadini. Credo sia una lettura corretta della realtà, al di là delle strumentalizzazioni e delle polemiche quotidiane. Sarebbe bene che, pur con tutte le difficoltà e i problemi che indubbiamente esistono, ogni tanto si tenesse conto di questo e il giudizio fosse più sereno ed equilibrato».

Ugo Cavallera, assessore alla sanità e alle politiche sociali della Regione Piemonte

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POLITICHE SANITARIE

Tagli chirurgici di bilancio L’azienda ospedaliera di Cuneo è al primo posto della classifica delle strutture piemontesi. Forse perché, mentre la sanità regionale deve razionalizzare, S. Croce e Carle lo ha già fatto Teresa Bellemo

S Giovanna Baraldi, direttore generale dell’Azienda ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo

ette indicatori per analizzare 1.400 strutture di ricovero pubbliche e private accreditate, sulla base dei dati riferiti all’anno 2011. Il risultato finale dell’operazione è stato reso noto alla fine dello scorso aprile dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari, che ha posto l’Aso S. Croce e Carle di Cuneo al quarto posto della classifica nazionale. Gli indicatori comprendevano esiti di mortalità, tutti inerenti a interventi cardiologici, ma anche esiti di appropriatezza e le percentuali di parto cesareo. Per quanto riguarda quest’ultima voce, ad esempio, nell’ospedale di Cuneo l’incidenza è pari al 16 per cento, mentre la media nazionale è del 27. È stata premiata la qualità dell’assistenza che al S. Croce e Carle è principalmente correlata alla qualità della competenza tecnico-professionale. «Quest’ultima è stata sempre al centro dei nostri obiettivi prioritari» dichiara Giovanna Baraldi, direttore generale della struttura. In tutti i suoi vent’anni di operato, l’azienda ospedaliera di Cuneo ha sempre dedicato la massima attenzione per dare risposte assistenziali migliori e appropriate. «Abbiamo puntato molto nell’arruolamento del personale sia medico che infermieristico, alla formazione e all’aggiornamento professionale, all’investimento in attrezzature e tecnologie innovative e avanzate affinché crescesse lo sviluppo professionale e con esso il benessere dei cittadini». Il Santa Croce e Carle è primo in Piemonte, una regione che sul fronte sanitario dimostra di avere qualche difficoltà. Quali sono se-

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condo lei le principali emergenze? «Le principali criticità della regione riguardano un grave ritardo nella razionalizzazione della rete ospedaliera, il cui risultato determina la riduzione di costi inutili e non necessari. Si potrebbe partire dalla riconversione dei piccoli ospedali in strutture alternative alla degenza per acuti, ridurre l’eccessiva frammentazione di servizi e attrezzature, concentrandoli. In questo modo si potrebbero liberare risorse necessarie per progettare attività innovative e indispensabili per rispondere ai nuovi fabbisogni della popolazione». Nel tentativo di risolvere queste difficoltà i tagli orizzontali hanno colpito anche una struttura virtuosa come la vostra e il personale ha protestato. Come vede questo paradosso? «I tagli orizzontali, purtroppo applicati, non vengono capiti e accettati perché non ricono-


Giovanna Baraldi

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Spesso i cittadini pretendono di avere tutti i servizi sotto casa, ma questo ricade sui conti finanziari

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sciuti efficaci a risolvere il problema delle risorse scarse. La nostra azienda pensa che le manovre debbano diventare strutturali e cioè consistere nell’eliminazione di sprechi e privilegi che ancora sussistono. Il nostro ospedale ha realizzato una profonda revisione della spesa ed eliminazione dei costi non necessari, accompagnata da una altrettanto profonda riorganizzazione delle strutture assistenziali e dei percorsi, orientata a ottimizzare le risorse umane, tecnologiche, ma anche professionali e culturali, in modo da assistere i pazienti sulla base dei fabbisogni. La condivisione delle analisi e dei processi ha permesso l’accettazione dei cambiamenti organizzativi da parte dei professionisti e degli operatori, i quali hanno avuto la possibilità di interpretare tali cambiamenti sulla base delle capacità e esperienze maturate, ma anche di operare con una

forte motivazione al confronto con altre esperienze nazionali e internazionali. In questo modo è stato possibile correlare l’evoluzione della medicina e della pratica clinica con l’organizzazione e la gestione delle strutture a Cuneo, dove vengono esercitate». Quali ostacoli avete trovato su questo fronte? «Purtroppo l’obsolescenza delle nostre strutture edilizie crea numerosi vincoli alla possibilità di riorganizzarle in base all’intensità di cura e all’omogeneità, ma stiamo compiendo tutti gli sforzi per razionalizzare i layout nel miglior modo possibile». Spesso le conseguenze dei buchi di bilancio ricadono sui cittadini. Dove dovrebbe stare il confine tra azienda e welfare? «È vero, ma credo anche che i cittadini non siano ancora consapevoli degli sprechi che determinano i buchi di bilancio e che non vi sia affatto una consapevolezza della reale necessità di strutture sicure. Spesso la pretesa dei cittadini è quella di avere tutti i servizi sotto casa. Cosa capita, infatti, se si cerca di eliminare un punto nascita, magari anche pericoloso, o quando un ospedale, per continuare a essere utile, deve cambiare attività o ancora quando servirebbe concentrare una tac e una risonanza - costosissime, tra l’altro - in un punto baricentrico di un territorio? Senza considerare che tale distribuzione non è dettata da questioni finanziarie, ma dalla necessità di assicurare e garantire la casistica professionale e quindi la qualità. Tutte queste decisioni hanno ricadute spaventose sui conti finanziari». 2013 • DOSSIER • 183


STRUTTURE SANITARIE

Né pubblica né privata: la sanità “parallela” In un momento critico per la sanità italiana, la risposta al bisogno di cure dei cittadini, anziché dal Ssn, arriva dal privato “fair cost”. Che unisce prezzo basso e alte prestazioni. Eugenio Zanon presenta un’esperienza torinese che dovrebbe fare scuola Valerio Germanico

resce l’età media della popolazione, accompagnata da un aumento dell’incidenza delle malattie croniche. Di conseguenza cresce anche la richiesta di prestazioni sanitarie. Il servizio sanitario nazionale propone un’offerta estremamente eterogenea per quantità e qualità, spesso con lunghe liste di attesa. La buona notizia è che emergono nuove proposte da parte di strutture sanitarie gestite con criteri innovativi. Ma qual è l’effettivo quadro di questa moltiplicazione dell’offerta? «La situazione in cui si trova oggi in Italia la sanità pubblica – spiega il dottor Eugenio Zanon – fa sì che i tempi di accesso alle cure non sempre siano pienamente appropriati ai problemi di salute dei cittadini. E, inoltre, accanto a punti di eccellenza nelle prestazioni, esiste una diffusa assenza di attenzione al percorso completo di diagnosi e cura. Non è senza ragione quindi che alcune aree di cura – per esempio, odontoiatria, ginecologia, psicoterapia – siano oggi prevalentemente coperte dalla sanità privata, che di contro spesso ha costi di accesso fuori dalla portata della grande platea dei pazienti». A Torino però, da poco più di un quinquennio, è attivo quello che inizialmente poteva sembrare solo un esperimento e che

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184 • DOSSIER • 2013


Eugenio Zanon

12mila PAZIENTI CHE HANNO AVUTO ACCESSO ALLE CURE DEL CENTRO MEDICO MULTISPECIALISTICO EXAMINA NEL CORSO DEL 2012

oggi qualcuno ha già definito “sanità parallela”, un’offerta sanitaria che offre al cittadino un’alternativa sia alle lunghissime attese della sanità di stato, sia alle parcelle pesanti delle cliniche private. Il dottor Zanon è medico radiologo, presidente e coordinatore per la senologia del centro medico Examina, che mette a disposizione tre sedi – due a Torino e una a Rivoli – e oltre venti specializzazioni. Totalmente privato, Examina non è convenzionato con il Ssn. «Questa scelta – prosegue Zanon – impone che tutte le prestazioni vengano offerte in regime privatistico, ma è anche la base della nostra autonomia operativa, gestionale e finanziaria, che ci permette di offrire visite specialistiche di

qualità a prezzi competitivi anche rispetto a quelli del Ssn e con tempi di attesa di gran lunga più brevi. È questo l’aspetto che fa emergere la struttura nel panorama dell’offerta sanitaria privata italiana. Infatti spesso accade che all’alta qualità delle prestazioni corrisponda un costo elevato per il paziente o, viceversa, che i costi contenuti determinino bassa qualità e scarsa efficacia della diagnosi». Examina, facendo combaciare le esigenze dei singoli con le competenze Il centro medico professionali e l’eccellenza della cura a costi multispecialistico Examina si trova a Torino e Rivoli sostenibili, risponde alla tendenza per cui (TO) all’aumento della richiesta di prestazioni sanitarie corrisponde un calo nell’accesso alle cure – sia nel pubblico sia nel privato. E non solo a causa dei tempi di attesa, ma soprattutto per la scarsità di risorse disponibili nel Ssn e per il contesto sociale e lavorativo che ha generato una fascia di popolazione sempre più ampia che non è in grado di affrontare i costi delle prestazioni sanitarie. Inaugurato nel 2007 come struttura dedicata alla prevenzione e alla diagnosi del tumore della mammella, ambito in cui ha raggiunto livelli di eccellenza qualitativa e quantita- UU 2013 • DOSSIER • 185


STRUTTURE SANITARIE

LA DIAGNOSI PRECOCE DEL CARCINOMA MAMMARIO l carcinoma mammario è il tumore femminile più frequente nei paesi industrializzati. Si calcola che una donna su nove sarà colpita da tumore della mammella nel corso della vita. La maggioranza dei tumori è diagnosticata tra i cinquanta e sessant’anni, rappresentando circa il 30 per cento dei casi. Tuttavia un caso su quattro (25 per cento) si manifesta fra i quaranta e i cinquant’anni. Le possibilità di sopravvivenza sono in gran parte legate alla diagnosi precoce. Il cancro infatti nasce come patologia locale, ma col tempo può diffondersi a tutto l’organismo. Se la malattia viene scoperta in fase iniziale, le probabilità di guarigione sono molto alte: in caso di una piccola lesione, inferiore a un centimetro di diametro, la sopravvivenza a quindici anni è superiore al 90 per cento. Se invece il tumore viene diagnosticato quando ha già raggiunto notevoli dimensioni, le possibilità di sopravvivenza a distanza si riducono considerevolmente. Examina è un centro di eccellenza per la diagnosi e la cura delle patologie senologiche. La prevenzione più importante per questo tipo di tumore sembra attualmente quella secondaria, che si basa su controlli periodici, il più importante dei quali è rappresentato dalla mammografia – esame in grado di diagnosticare carcinomi ancora in fase preclinica. Una diagnosi precoce permette il trattamento della malattia in uno stadio con una migliore prognosi e l’applicazione di terapie chirurgiche e mediche meno aggressive e meno invalidanti. Infatti, in caso di tumore iniziale, i trattamenti necessari, nella maggior parte dei casi, si limitano a un intervento chirurgico di tipo conservativo, con asportazione solo del nodulo o di una piccola parte della mammella, con indubbi vantaggi clinici, estetici e psicologici. In caso di tumore avanzato, invece, sono quasi sempre necessarie terapie aggressive, con interventi chirurgici ampiamente demolitivi e successivi trattamenti di radioterapia e chemioterapia.

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www.studioexamina.it

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UU tiva, Examina è oggi un centro medico multispecialistico, che ha come proprio motto “Qualità, equità e cura” e ha abbracciato la filosofia di una sanità “fair cost”, – progetto avviato fin dalla fondazione, quando era solo attivo il servizio di senologia. Oggi si sono aggiunte medicina interna e cardiovascolare, mente e cervello, tutto quello che riguarda naso, gola, orecchio, voce e linguaggio, apparato muscolo-scheletrico, cura delle patologie della pelle e chirurgia estetica, alimentazione e metabolismo, psicologia e psicoterapia. I responsabili di Examina ci tengono a rimarcare che l’approccio fair cost non va confuso con l’emergente diffusione della cosiddetta “medicina low cost”: «Il concetto di low cost è associato ormai comunemente all’idea di prezzo basso, ma in cambio di un servizio ridotto. Il nostro concetto è esattamente l’opposto: noi offriamo ai pazienti il massimo. Il massimo della tecnologia in una struttura moderna e accogliente, e medici di riconosciuta capacità ed esperienza». Ma qual è il mezzo che permette di garantire alta qualità e prezzi accessibili? «Il segreto per mantenere prezzi equi e alta professionalità – spiega Zanon – è nell’organizzazione e nel numero di prestazioni. Se all’inizio a molti la nostra era parsa un’impresa destinata al fallimento entro poco tempo, anno dopo anno abbiamo dimostrato la sua sostenibilità e che si può essere competitivi anche in ambito totalmente privato, offrendo cure adeguate anche a chi non ha alle spalle un’assicurazione o una cassa mutua in grado di coprire i costi delle prestazioni. E la prova ulteriore è stata la recente inaugurazione di una nuova sede a Rivoli».



FISIOTERAPIA

Nuovi metodi fisioterapici La Tecar è la nuova frontiera della fisioterapia applicata al mondo dello sport professionistico e al benessere. Ne parlano Federica Maffi e Domenico Moniaci Marco Tedeschi

l settore della sanità si deve confrontare oggi con una delle maggiori crisi economiche degli ultimi 100 anni. In questo contesto gli operatori sanitari sia pubblici che privati devono saper coniugare la salute dei cittadini con i costi che la sanità richiede». È con queste parole che la dottoressa Federica Maffi fotografa la situazione sanitaria italiana. Insieme con il dottor Domenico Moniaci, gestiscono l'Istituto Fisicoterapico di Torino, un istituto che ha conosciuto tre secoli di storia (nato nel 1898) e che negli anni, pur rimanendo centro d'eccellenza della fisioterapia, si è trasformato in un centro medico polivalente. Cardiologia, dermatologia, ortopedia, osteopatia, logopedia, chirurgia estetica, chirurgia vascolare, ginecologia, neurologia, oculistica, odontoiatria sono tra le specialità eseguite dal centro. Tutte specialità che non mettono mai in secondo piano la qualità. «È vero che la salute non ha prezzo – precisa la dottoressa Maffi - ma ha certamente un costo. Questa è la sfida che oggi dobbiamo affrontare visto anche l'impetuosa entrata nel sistema salute di operatori cosi detti “lowcost” che utilizzano il "basso prezzo" per entrare in un mercato che necessiterebbe di un serio controllo sul sistema qualità prezzo».

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Federica Maffi e Domenico Moniaci

La dottoressa Federica Maffi gestisce insieme al dottor Domenico Moniaci l’Istituto Fisicoterapico di Torino www.fisicoterapico.it

Una sfida che per l’Istituto Fisicoterapico di Torino è supportata dalla lunghissima esperienza accumulata. «La nostra storia – spiega il dottor Moniaci - ci lega come attività primaria alla riabilitazione. Nasciamo con Istituto Fisicoterapico, primi in Piemonte e certamente anche primissimi in Italia ad essere riconosciuti dal servizio sanitario nazionale. La fisioterapia resta il nostro fiore all’occhiello; nella nostra struttura operano circa 50 operatori, tra ortopedici, fisiatri e fisioterapisti. Tra le prestazioni convenzionate e quelle private vengono trattate circa 600 persone al giorno». Il tutto, dando una grande importanza al rapporto medicopaziente. «La tradizione e la cultura sanitaria assorbita nel corso dei decenni - prosegue il dottor Moniaci - permettono naturalmente ai nostri operatori di avere l'attenzione che i pazienti meritano. I nostri operatori, in costante aggiornamento, si avvalgono inoltre della competenza di una psicologa capace di dare il giusto sostegno quando necessario». Gli aggiornamenti, riguardano naturalmente anche il profilo tecnologico e scientifico. «In quest’ambito – riprende la dottoressa Maffi – è fondamentale il ruolo dei nostri collaboratori; sono loro che ci informano e ci suggeriscono riguardo alle nuove tecnologie. Siamo sempre pronti ad investire sulle tecnologie innovative che rispondono a requisiti scientifici. Parlando di macchinari innovati ci avvaliamo di quelli di ultima generazione, come la Tecar terapia (Diatermia) e l'utilizzo delle onde d'urto. La Tecar in particolare è la nuova frontiera della fisioterapia applicata al mondo dello sport professionistico e nel campo del benessere. Una svolta rivoluzionaria nella patologia

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L’efficacia della Tecarterapia si basa sulla possibilità di trasferire energia biocompatibile ai tessuti lesi

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traumatologica non chirurgica, nella patologia osteoarticolare e dei tessuti molli. L’efficacia della Tecarterapia si basa sulla possibilità di trasferire energia biocompatibile ai tessuti lesi, inducendo all’interno le cosiddette correnti di spostamento: ripristina la fisiologia tissutale mediante l’ipertermia (incremento della temperatura interna) e l’innalzamento del potenziale energetico delle cellule dei tessuti trattati. Macchinari innovativi che in ogni caso in questa materia sono solo a supporto della competenza e della professionalità dell’operatore». Attenzione al paziente che si lega quindi all’innovazione tecnologica. Senza mai perdere di vista la situazione generale. «Siamo sinceri – conclude il dottor Moniaci - in questo momento è difficile avere una chiara visione strategica per il domani. La politica che stiamo perseguendo da un anno a questa parte è infatti quella di competere soprattutto sulla sanità privata ampliando le nostre strutture e le nostre specialità». 2013 • DOSSIER • 189


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