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di Roberto Lasagna

Il cinema di Paul Verhoeven

Kitty Tippel... quelle notti passate sulla strada (1975) di Roberto Lasagna

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Kitty Tippel… quelle notti passate sulla strada (1975) si apre come una ricostruzione storica sull’epopea drammatica di una famiglia poverissima impegnata, nella seconda metà dell’Ottocento, in continui viaggi tra Amsterdam e il Belgio, per cercare una stabilità economica: il film di Verhoeven, da queste ampie premesse, si avvia quindi a definire il racconto di formazione di una ragazza squattrinata che scopre se stessa in una vicenda di sacrifici, di sfruttamento del corpo femminile e dei lavoratori. Esperienze che un giorno saranno raccolte nei tre volumi autobiografici della sua vita avventurosa scritti da Nell Doff, di cui Kitty è l’alter-ego letteraria, celebre per aver raccontato l’indigenza e la prostituzione della giovinezza e un percorso di maturazione e consapevolezza che avrebbe arricchito pagine destinate alla nomina per il Nobel della letteratura.

In un luogo e in un periodo poco rappresentati dal cinema, l’Olanda di fine Ottocento, Verhoeven, al terzo lungometraggio, sfodera una riflessione sul capitalismo fortemente intrecciato alle pulsioni umane, in cui le donne trovano uno spazio quasi soltanto per poter mettere in vendita il loro corpo, mentre i lavoratori sono maltrattati dai padroni, come il padre di Kitty a cui, al momento dell’assunzione, vengono controllati i denti come se fosse un cavallo da soma. Istinti bestiali di uno scenario capitalistico i cui tratti brutali pervasivi sono ripetutamente sbeffeggiati da Verhoeven che diverte anche nelle situazioni di sopraffazione, quando non ci sarebbe molto da ridere. Ma il regista va fino in fondo, non lesina dettagli e restituisce schiaffi a questi individui che non conoscono l’amore ma sono dominati dalle pulsioni basse, incapaci di immaginare e prospettare un proscenio differente, come le ombre cinesi animate da Kitty che qualcuno interrompe con la sua

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ombra fallica.

Le pulsioni bestiali segnano come un filo rosso i film del cineasta, ed è anche un tratto di coerenza, tanto che a un primo sguardo Kitty Tippel sembrerebbe proporsi come una versione in costume della commedia d’esordio Gli strani amori di quelle signore (1971), dove il mestiere delle protagoniste è sempre quello più vecchio del mondo; ma a guardare bene, il racconto di formazione di Kitty, assecondato dalla vitalità corporea e sorridente di Monique Van De Ven nuovamente al lavoro con il regista dopo Fiore di carne, dietro la sua parvenza di film scollacciato ci parla a cuore aperto di uno spirito di libertà rimarcato anche dai ripetuti riferimenti alla figura della Marsigliese, pronta a rivendicare l’esigenza (al contempo morale ed estetica) di un nuovo sguardo sulla realtà. Uno sguardo necessariamente politico che emerge attraverso scene di scioperi in strada in cui la giovane Kitty, dal bel corpo e dal sorriso irresistibile, si sente inevitabilmente travolta. Uno sguardo che troverà in Kitty la possibilità di raccontare il punto di vista di una donna che ha conosciuto l’oppressione e una povertà anche culturale sconcertanti, dove per le ragazze carine il destino della prostituzione è considerato quasi un obbligo sociale. Alzando la testa, provando sulla sua pelle il dolore e lo sconforto di lavori che non tutelano né il fisico né la psiche, Kitty sperimenta le scosse di un percorso in cui il corpo e il denaro si legano e dettano la temperatura di un film di sguardi scrutanti, dove gli uomini non hanno rispetto per il sentire di una ragazza spronata dalla sorella maggiore a lavorare sulla strada, così come sulla strada la vuole anche la madre. Libertà sessuale, quella che vive Kitty, da mettere tra le dovute virgolette, visto che si manifesta alla mercé di uomini insensibili alla sua reale condizione, costretta alla strada perché è lei la sola davvero in grado di portare qualcosa da mangiare a casa, mentre, a quanto pare, a nessuno preoccupava che, prima di fare la prostituta, lei si rovinasse le mani lavando i panni con la candeggina (con il datore di lavoro, pronto a provare le sue grazie, che riceveva da lei solo uno sputo in faccia).

La bella lavanderina cambierà allora presto il lavoro, verrà violen-

Antonio Pettierre e Fabio Zanello

tata, si adatterà e un giorno vivrà il sogno di aver finalmente trovato un uomo diverso, quell’Hugo di cui la ragazza s’innamorerà e che stravede per lei (prende a pugni nello stomaco uno dei vecchi clienti di Kitty dando l’illusione di un nuovo provvidenziale equilibrio di coppia, pronto a risarcire lo stato d’animo di una ragazza in tal modo apparentemente ripagata di tanti compromessi). Ma Hugo (con il volto di Rutger Hauer al secondo film di Verhoeven), responsabile dei prestiti di un’importante banca, sebbene coinvolto dalla ragazza, è un cinico che considera la relazione con la bella Kitty unicamente come un contratto a tempo determinato; si troverà senza un soldo, mollerà la giovane per sposare una ricca nobildonna, lasciando alla ragazza il ruolo previsto e stereotipato dell’amante (che Kitty però rifiuterà).

Film scopertamente politico nel ritratto di una futura scrittrice della rivendicazione proletaria, Kitty Tippel conferma il talento del regista olandese impegnato in una ricostruzione storica dello sfruttamento del corpo femminile, con momenti gustosi ma caratteri poco approfonditi. Il film vive però di una genuina schiettezza anche grazie alla personificazione originale e vitale di Kitty da parte di Monique van de Ven, personaggio il cui destino è di essere ceduto e conteso, scrutato senza rispetto, questioni che mettono anche in (non poche) difficoltà il regista impegnato con il produttore Rob Houwer, scettico in special modo per le sequenze degli scioperi in strada e per i contenuti contestatori del film.

Nel cinema del regista olandese i personaggi femminili assumono un ruolo di forza rispetto agli uomini, mossi di solito dai loro istinti, e sul set agitato di Kitty Tippel una situazione di tensione in più è originata dalla relazione tra il direttore della fotografia, Jan de Bont, e Monique van de Ven, conosciuta sul set di Fiore di carne. De Bont non gradisce che la fidanzata compaia in scene di nudo sul set e il regista, per smorzare la gelosia, chiamerà a collaborare persino sua moglie, di professione psicologa. Il viso e il corpo di Kitty sono le risorse di questa ragazza che, come la sua famiglia e molti altri nella seconda metà dell’Ottocento, si muove per migliorare la propria condizione econo-

Antonio Pettierre e Fabio Zanello

mica, con un avvio tra baracche fredde e umide dove lo sguardo di Verhoeven non dimentica di ridere sui battibecchi tra le sorelle, in un realismo doppiato più avanti dalle pagine della futura scrittrice il cui realismo descrittivo la farà paragonare dai suoi contemporanei a Émile Zola. Il freddo e l’ umidità sono una costante dell’esistenza di Kitty, che muovendosi tra il voyeurismo e la violenza del desiderio sessuale maschile, sopravvive con il suo viso e il suo corpo, sole risorse di un sistema sociale in cui la prostituzione è grottesca via per il riscatto economico, mentre lavori ingrati e maternità definiscono un copione consueto. Ma l’esperienza di vendersi per sopravvivere, che la madre e persino Hugo incoraggiano, ferisce nell’animo la ragazza quando scopre che il suo sogno di amore e di cambiamento veritiero si scontra con un cinismo radicato e irriducibile, mentre ogni relazione umana è destinata a rimanere vuota e arida.

Verhoeven, in un racconto dalle cadenze letterarie, mostra via via una maggiore eleganza espressiva; il suo film regala note saporite disegnando il percorso verso la coscienza di classe di una ragazza che riceve di continuo sguardi voraci: in un impeto “Nouvelle Vague” , la sua protagonista attraversa i momenti di perversione sessuale conoscendo il peggio dei maschi in momenti quasi comici o decisamente ridicoli, dove i corpi e i volti caricaturali degli uomini danno impulso per contrasto a una lotta rivoluzionaria che non può sottrarsi al riscatto della carne. Una graduale liberazione, quella di Kitty, che scorre come il film attraverso i guizzi e i sorrisi di una protagonista pronta a cantare e protestare, a fare le smorfie e a non contenersi dal picchiare chi la maltratti. Una liberazione come esibizione di vitalità, dove alla pulsione bestiale dell’ uomo si affianca il comportamento della protagonista che a un certo punto, pur innamorata di quella faccia da schiaffi di Hugo, trova altrove i primi sguardi maschili non brutali, quelli di George eAndré. Il primo è un pittore che accoglie la richiesta della ragazza di voler trascorrere del tempo insieme, il quale le propone un’altra via per sbarcare il lunario, usandola come modella per i propri dipinti: è anche il primo a guardarla non come un oggetto sessuale ma come un soggetto estetico, facendola

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diventare personaggio della Marsigliese di un suo dipinto e indicando come la politica sia anche un fatto estetico di rivendicazione di un punto di vista sulla realtà sociale. Il secondo, amico rispettoso che volle proteggerla dallo sguardo bramoso di Hugo colto a spiarla durante un’esibizione di nudo, diventerà il marito di Kitty, il solo che non le ha mai chiesto niente che lei non desideri davvero. Perché alla fine la ragazza, che si ritrovava di colpo una dama quando riceve in dono da Hugo due fiorini d’oro per comprarsi un abito decoroso, si scontrerà con i padroni e non potrà fare a meno di aderire a moti di ribellione, a quegli scioperi che simbolizzano un altro sguardo sulla società e il proprio tempo.

Dove il sesso è la comune moneta di scambio di uno scenario in cui i lavoratori proletari, come le prostitute, sono piegati a doversi vendere al padrone per sopravvivere alla miseria, il canto orgoglioso della Marsigliese francese può evocare l’ uscita da un sistema di regole in cui il potere, dileggiato daVerhoeven anche con momenti di gustosa leggerezza, trova una rappresentazione schietta della sua malignità. Pur con tratti un po’sfocati, le pagine del racconto cinematografico esibiscono in Kitty Tippel un’eleganza non artificiosa. Tra la crudezza fatta di gelo e povertà, sangue e sesso esplicito, Verhoeven non dimentica l’allegria e la risata beffarda, a cadenzare gli incontri nei bordelli e gli scontri con la polizia. Quello che nel suo film manca in profondità si riscatta in anticonformismo e sfrontatezza elegante. La rappresentazione di un mondo durissimo per una ragazza riserva anche la sottolineatura di un elemento di fascinazione per la pulsione sessuale dell’ uomo prontamente raffigurata come grottesca, lasciando un desiderio sessuale gelido, goffo, crudele e deviato, ricorrente nella futura filmografia del regista olandese.

Non è un caso se la conclusione del film avvenga con Kitty che riportaAndré nella sua ricca dimora e poi si ripresenta a lui scontrandosi dapprima con l’odiosa madre e arrivando all’ uomo, disteso sul letto, a cui lei porge un bacio sulla ferita alla fronte, in questo modo accennando a curarlo come (ricorda lei) si faceva quando si era bambini. Una via per l’amore che passa allora come gesto di riparazione e cura, esat-

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tamente l’opposto delle relazioni che Kitty ha potuto conoscere sino a questo momento, sempre destinate a ferirla e a uccidere ogni sua illusione. La sessualità disumana e il dominio del più potente troveranno nelle pagine della futura scrittrice il racconto maturo di una consapevolezza proletaria che ha fatto pensare a Kitty, confortata dalla compagnia “alla pari” diAndré, come “i soldi fanno più male che bene” . Ed è allora il denaro, nei suoi molti travestimenti, a condizionare più di tutto la vita di Kitty e di chi la circonda, intrecciandosi in una riflessione più ampia sulla violenza con le note dello stile schietto e anticonvenzionale di un regista a suo agio nel dosare il dramma e i toni grotteschi.

La chiusura del film riporta forme eleganti, come durante la partenza in nave nelle sequenze d’apertura. Il racconto non è sempre così compiuto, ma dove perde in eloquenza formale guadagna in gusto irriverente. Quando esce nelle sale Kitty Tippel è la produzione più costosa della storia del cinema olandese sino a quel momento, ma ripaga lo sforzo diventando, come il precedente Fiore di carne, sempre interpretato da Monique van de Ven, un grande successo della stagione.

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