Richino e il Teatro

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Richino e il Teatro

Teatro Sociale Cajelli Busto Arsizio a cura di Daniele Geltrudi



Richino Castiglioni (1914-2000), architetto bustese, illustre esponente del brutalismo italiano, è stato conoscitore del teatro. Nel lontano 1982, dopo aver assistito al “Questa sera si recita a soggetto” degli Atecnici di Delia Cajelli (1946-2015), si avvicina al palcoscenico del Teatro Sociale, dove sto assistendo allo smontaggio dell’impianto scenico, e mi propone di partecipare insieme al Concorso di idee per una “FLEXIHALL, sala-spettacolo del futuro”, bandito dalla Fiera di Milano. Durante i mesi di preparazione del progetto, per me una occasione indimenticabile, Richino mi “illumina” e si “illumina” non solo sul tema del Concorso ma anche sul “teatro”. Desidero oggi riproporre, quarant’anni dopo, la sua intensa relazione per il Concorso, facendola precedere da due pezzi della sua bella prosa, da “Urbanistica e Drammaturgia”: il primo, in cui esalta come pochi l’essenza (a me particolarmente cara) di non-edificio del teatro greco; la seconda, in cui colloca poeticamente il teatro tra i due “limiti” opposti del rito e del giuoco.

Compagnia teatrale Atecnici “Questa sera si recita a soggetto”, regia di Delia Cajelli, Teatro Sociale 1982: elementi scenici di Daniele Geltrudi.


Il teatro di Cyrene


Il teatro greco

Chi cerca nelle tracce dei muri possibili segnali per intendere il rapporto fra città e teatro, è naturale si collochi subito il quel crocevia irripetibile della polis greca, un nodo di vita che unisce e scambia le premure politiche, etiche, culturali, religiose, operative. Esterno al recinto sacro dell’acropoli e in margine all’abitato, compare un fiore nuovo, fin’allora sconosciuto: fra la polis attiva e ciarliera e l’altura fortificata e consacrata, la corolla del teatro greco annuncia un luogo e un momento intermedio fra l’attività quotidiana operosa e contesa e l’adempimento rituale e pietoso. Fra tante splendide architetture che la Grecia antica ha condotto alla perfezione smagliante della sua purissima vena, il teatro è il solo vero organismo che l’intelligenza greca inventa e nel quale più compiutamente specchia il suo genio: nel teatro è enucleata l’intima struttura del mondo greco nella sua stessa virtualità, in uno, pratica e contemplativa, critica e creativa, individuale e corale, religiosa e mondana. Di là dall’incanto che tutt’ora emanano i pochi teatri greci pervenuti a noi senza sovrastrutture, desta meraviglia l’esemplare semplicità e la rispondenza essenziale con l’evento teatrale, mai più ritrovate. Anzitutto quell’essere un “luogo” trovato,- inventato - nella natura, una conca naturale alla quale non è fatta violenza ma che è assunta e restituita nella perfezione formale che la astrae dalla casualità e la trasferisce nell’assolutezza del segno. E questo è di tutta l’arte greca. Avete negli occhi il teatro di Epidauro? Il catino rigoroso e terso, più che emiciclo; un gesto che si protende e s’arresta sul punto di chiudersi in un’attesa stupefatta per l’evento ognora chiamato. E nella profondità della scena, la vallata, il mare aperto, il cielo immenso corso dai venti. Il Fato sovrasta i destini degli uomini e degli eroi, nel quale tutti gli atti e le parole e i miti errano, s’incendiano di luce e si spengono con la consumazione del giorno. Nella schematicità emblematica, il dispositivo drammaturgico si dispiega con l’evidenza di un simbolo. Solo il genio greco poteva tradurre nelle forme architettoniche, con la semplicità e l’immediatezza che non tollera l’artificio scoperto, il dispositivo di consumazione nel reale e di restituzione nell’immaginario in cui consiste l’essenza dell’evento teatrale.


La sottrazione dell’invaso architettonico della platea, che introduce sempre l’azione scenica (e sarà in seguito ottenuta con lo spegnimento delle luci e l’artificio dei sipari), avveniva nel teatro greco allorché il pubblico si addensava e l’emiciclo stagliato nella pietra scompariva alla vista; l’architettura, ritraendosi, restituiva intatta l’adunata delle persone. L’eloquenza forense dei romani vorrà recingere e sovraccaricare con schemi convenzionali e fastose strutture sceniche la gran parte dei teatri greci, che vengono a noi snaturati della politezza originale: l’”ordine” del mondo greco, libero e continuamente riportato alle essenze, viene sopraffatto dalla “struttura” e contraffatto dalle decorazioni; ora che la commedia abita le architetture adibite a trattenimento e divertimento, il teatro rientra nei risvolti di un costume vigilato dallo Stato. Nessuna invenzione architettonica nella storia potrà mai più riferire con uguale verità e semplicità la realtà sfuggente del teatro, soglia e “limite” dove il reale si scambia con l’immaginario.


I due limiti opposti del rito e del giuoco

Abbiamo sorpreso l’architettura come “soglia” dove il dramma umano si “rappresenta”, la città come dispositivo complesso di soglie dove il reale continuamente si scambia con l’immaginario. La vita comunitaria trapassa dal rito al giuoco per la scala delle cerimonie, delle rappresentazioni, degli spettacoli, delle funzioni, degli adempimenti e dei comportamenti nei diversi ambiti della vita sociale, religiosa e politica, in un tessimento inestricabile e irripetibile cui corrisponde quella struttura poliedrica che chiamiamo città. Ecco come il dispositivo simbolico dello spazio teatrale ci aiuta a risalire tutta la gamma degli ambiti nei quali le attività comunitarie si esplicano e prendono forma. Se configuriamo i due limiti opposti del “rito” e del “giuoco” noi veniamo a cogliere gli estremi dove la drammaturgia si estenua dissolvendosi: nel rito come liturgia e contemplazione, nel giuoco come meccanica gestuale e naturalità fortuita (fortuna, casualità). Nel dispositivo rituale la scena investe la platea e si richiude sul proscenio configurandosi come universo immaginario (il tempio, la cattedrale). Sulla soglia del tempio si arrestano i catecumeni e gli scomunicati, e la comunità degli iniziati interviene e partecipa di fatto al rito come coro concorde in uno spazio estatico e fermo, in un tempo indefinito. L’ambivalenza della chiesa cattolica assume il dispositivo rituale ma s’appresta a rinnovare il dramma nell’atto sacramentale che ha la struttura tipica dell’atto teatrale: la presenza del pubblico partecipe e, nella partecipazione, lo scatto nel vero, che rende storicamente efficace la parola e l’atto, e invera una presenza tutt’ora attiva nei segni: sono i luoghi e le funzioni dell’evento teatrale, trascesi nell’ineffabile. Sull’altro versante sta il dispositivo ludico dove la naturalità strutturata della platea si richiude sul proscenio: è lo schema dello stadio. Ivi l’azione gestuale configura il conflitto delle forze naturali alla mercé della fortuna. I cori esterni – la stampa e le vociferazioni – avranno preparato la tensione conflittuale esaltando i miti araldici.


Su questi due limiti la componente drammatica è esausta: nel rito, perché il tempo è infinito, lo spazio estatico e l’azione codificata nel rituale liturgico; nel giuoco, perché il tempo e lo spazio sono contratti nel reale presente senza estrazione nell’immaginario, e la rappresentazione è condotta al confronto gestuale e al fatto fortuito, sortito nel dispositivo di convenzioni che costituiscono le regole del giuoco: l’onore del giocatore. Fra questi due limiti si dispone tutta la gamma per infinite varianti delle spazialità predisposte agli atti comunitari. [...] Annotiamo anche che il ritmo è dell’evento teatrale il sostegno e il fattore saliente: nei dispositivi “limite” sopra segnati, il ritmo è diversamente riconoscibile: nel dispositivo rituale il ritmo e il dramma tendono a cristallizzarsi (dal ritmo al rito, dall’emozione all’estasi); l’azione scenica tende a diventare automatismo che libera l’estasi. Per contrasto nel dispositivo ludico il ritmo e il dramma tendono a consumarsi nell’attimo e nell’istante fortuito (l’improvvisazione); lo svolgimento nel tempo e nello spazio tanto si abbrevia da esaurirsi. Il giuoco consiste sempre in un’alea imprevedibile, liberata nel contesto delle convenzioni rituali. Quindi sul piano tecnico rito e giuoco si incontrano. Dove il ritmo si dispiega vigoroso e pulsa nelle rispondenze, ivi è il dramma – il teatro. Qui lo svolgimento addensa un potenziale conflitto di forze trattenute, fino allo scatenamento del dramma che si espande come onda nella commozione del coro. Il dramma è questo convergere risolutivo di moti contrastanti fino a una paralisi, insostenibile, donde si libera l’onda delle commozioni (perciò lo stato di inerzia e di impotenza del pubblico sembra condizione necessaria all’evento drammatico che chiama la partecipazione emotiva piuttosto che attiva).



Ente Autonomo Fiera di Milano, Concorso di idee per una “sala spettacolo del futuro” (FLEXIHALL) Richino Castiglioni e Daniele Geltrudi, Settembre 1982.


Concorso per la Flexihall

Premessa. Queste note che disponiamo a introduzione e lettura del progetto presentato al Concorso per la “Flexihall” presuppongono lo scritto allegato al Bando “Idee per la realizzazione di una sala spettacolo per il futuro” di cui condividiamo il contenuto. Riportiamo dall’allegato: “... la crisi settoriale delle sale cinematografiche va interpretata nell’ampia prospettiva della crisi dello “spettacolo” in senso lato, intesa come crisi stessa dei rapporti umani. La radice del problema va ricercata nella forma di isolamento cui l’uomo d’oggi viene paradossalmente trascinato dal moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione e di informazione. ... È possibile che questa “cattiveria” che respiriamo nell’aria dipenda anche dalla mancanza del vero contatto umano. ... Sulla spinta di tali considerazioni di ordine contingente, pratico e morale nasce ... l’iniziativa ... al fine di offrire un nuovo strumento agile e funzionale che consenta (alla persona) di ristabilire a sua scelta diretti contatti con il suo prossimo attraverso lo “spettacolo”; questo immenso poliedro nel quale giuochiamo contemporaneamente e forse senza saperlo la parte di fruitori - spettatori e di protagonisti - attori ... “ Un nodo, in essa relazione, sul quale c’è da attendersi un vivace confronto di opinioni è il riferimento alla figura dell’”impresario” che si colloca fra il protagonismo degli attori e il burocratismo di Stato (o di partito?). Non spetta a noi di interloquire, ma questa scelta, nel gusto e nel rischio, è un segnale che vogliamo raccogliere. Assunte queste istanze di fondo, annotiamo ciò che qualunque studio sul teatro e sulle rappresentazioni non manca di mettere in evidenza: che lo spettacolo e la rappresentazione, come la competizione e il giuoco, raggiungono il diapason e la tensione dell’evento teatrale nella misura in cui determinano il coinvolgimento degli spettatori. Il discorso della forma delle sale da spettacolo. Ogni qual volta viene affrontato il discorso della forma delle sale da spettacolo per un indirizzo di scelte progettuali,


la riflessione si rivolge ai luoghi teatrali emblematici che la storia ci presenta; ai diversi ruoli che volta a volta assumono reciprocamente il pubblico, gli attori, e la presenza dei cori; al pubblico che si fa coro. Negli antichi teatri greci e romani; negli apprestamenti scenici medievali; nelle strutture teatrali delle corti rinascimentali e negli allestimenti scenografici delle ville e dei giardini; nei teatri elisabettiani e nei teatri secenteschi e settecenteschi italiani; nei teatri dell’opera. E ancora, nelle tradizioni a noi straniere, le multiformi sale da spettacolo e strutture e tende e luoghi officiati alla rappresentazione e alla accolta di un pubblico attento e partecipe. Avendo davanti il quadro offerto dalla cultura, ci portiamo nel vivo dei problemi posti dal Concorso. Intanto quel titolo della “flessibilità” accolto nella denominazione della sala abbisogna di qualche precisazione: tale è l’uso ricorrente del termine nelle circostanze di architettura, che può risultare ambiguo. Bene ha fatto l’estensore del Bando di Concorso a precisarne il senso e i limiti, indicando sia le forme d’uso della sala sia la rispondenza alle funzioni; per parte nostra si vogliono annotare alcune considerazioni. La “flessibilità” dello spazio teatrale ha potuto essere presentata come una sorta di macchinismo che sposta indifferentemente porzioni di pedane e tavole e sedili, secondo ascisse e ordinate, e schemi figurali predeterminati. Intendere la flessibilità in questo senso meccanico e motorio è equivalente a identificare i problemi di linguaggio e delle forme letterarie con la tastiera della macchina per scrivere. Un tale eventuale costosissimo giocattolo non si capisce a cos’altro possa servire se non a compiacersene. Una seconda idea della “flessibilità”, più sottile e pericolosa, tende a proporre lo spazio teatrale come un contenitore indifferente (quindi di per sé insignificante) disponibile a tutte le opzioni, da suscitare volta a volta con le apparecchiature e gli allestimenti. La sua eccezionalità consisterebbe appunto nella assenza di identità propria, l’essere “disponibile” ad ogni identità. È da considerare come questo assunto neghi l’essenza stessa dell’evento teatrale. Infatti la realtà spazio - temporale in cui il dramma si “invera” consiste in una soglia (reale o virtuale) dove lo spazio - tempo “reale” si confronta e si coniuga con lo spazio - tempo “immaginario”. In questo dispositivo virtuale si individuano il luogo abitato (posseduto) dal pubblico come spazio “reale” e la scena


posseduta da “l’immaginario”; l’”orchestra” è la presenza nascosta e arcana dei cori. Il luogo teatrale è, propriamente, la soglia (virtuale) dove avviene lo scambio – la coniugazione – fra la assemblea e la scena posseduta dall’attore, investiti da le risonanze dei cori. Queste “posizioni” e ambiti spaziali possono fra loro intrecciarsi e ricondursi a stati potenziali, ma non annullarsi e confondersi senza dissipare l’evento teatrale. Per ciò la proposta che riconduce tutto lo spazio teatrale all’artificio e intende il luogo del teatro una struttura in sé indifferente, nega la dialettica vitale propria del teatro. Nega del “teatro” come istituzione nella comunità, la sua immagine che gli conferisce identità storica. È la fragilità insita negli happening, destinati alla consumazione nell’atto stesso della proposta teatrale. La terza tentazione – solitamente vincente – consiste nell’esaurire il problema della sala teatrale nella puntigliosa “funzionalità” che risolve “nel migliore dei modi” tutte le funzioni, e però elude – non si pone – il tema della significatività del luogo in ragione dell’evento che vi si celebra, che lo vuole “uno stato potenziale”, una sorta di maschera, di finzione vocazionale, una identità vera e nascosta che attende le presenze, le luci, l’animazione per vivere il suo momento magico; tosto consumato. La professionalità sicura di sé – la platea con le file di poltrone disciplinate a “vedere” il boccascena; il soffitto e le pareti della sala “sagomate” sui dettami dell’acustica; il palcoscenico “attrezzato” per le manovre e gli effetti – tutto a posto, per sedersi e assistere nel migliore dei modi, perché l’operazione dello spettacolo si produca regolarmente. È la disposizione professionale che guida l’allestimento delle sale cinematografiche dove l’individuo entra alla spicciolata, possibilmente in compagnia di una persona conosciuta, si cerca un posto, si appropria della rappresentazione come farebbe di un libro letto nella solitudine della sua stanza, e poi, senza dare disturbo, se ne viene via, scambiando un commento con la persona con cui si è accompagnato. Tutto bene, ma questo non è teatro. (Quanto ai cinematografi, stando così le cose, ci si rende ragione che la televisione li abbia spopolati). Del teatro gli manca lo stimolo, l’appuntamento, la chiacchiera, l’incontro cercato e fortuito, la sollecitazione e l’urgenza del giudizio, la malizia, la precarietà, quel tanto di facinoroso per cui la platea prima di accettare l’attore lo isola e lo respinge. La platea stessa si scruta, si consulta, si recita, prende una parte. Sembra persino ovvio per chi vive nel teatro, di considerare questi


ingredienti consostanziali con lo spettacolo e con l’economia della rappresentazione. Eppure ancora oggi si danno proposte di importanti sale teatrali dove nella grande platea direzionata verso la scena, gli spettatori si voltano le spalle come fossero accomodati in un grande autobus in partenza per il paese dei sogni. Questo non è teatro. Si vuole affermare che la struttura della platea – pur nelle diverse disposizioni previste dal Concorso – deve ognora articolarsi in settori differenziati offerti al gusto e all’umore, ai gruppi sollecitati a instaurare un rapporto dialogante; perché il pubblico prenda una sua “parte”; si riconosca, si converta, o si diverta, si intrattenga prima dopo durante lo spettacolo; assuma ruolo e identità. È la magia che abita i teatri dell’opera, dove infittisce la curiosità fra i palchi e da questi con la platea. Era, in modo perentorio, l’assemblea dei teatri greci. Era nei teatri elisabettiani il calore della gente raccolta intorno al palco. È l’incantamento dei bambini al circo. È essenziale all’effetto - teatro l’assidua confrontazione, il transfert degli spettatori fra loro e con gli attori; le presenze che diventano cori. Spazi reali si confrontano con spazi immaginari. Tempi reali con tempi immaginati. Un rituale che già inizia allorché lo spettatore viene a teatro, “si veste” per l’incontro con un pubblico; un ruolo che si dà liberamente; e la vestizione è emblematica della parte che si accinge a sostenere “in pubblico”. Può essere il frac o il blue-jeans, la toeletta raffinata e ingioiellata o la scapigliatura spregiudicata; comunque una “parte” scelta a fronte di un pubblico. L’ambientazione della Flexihall. Ci si consenta un rilievo che non vuole essere di critica al Concorso in sé (che ha il merito d’aver proposto il tema in modo semplice e aperto) ma intende segnalare un aspetto non secondario nella identificazione dello spazio teatrale. Così come il calendario e la stagione teatrale, anche il luogo e l’ambientazione del teatro appartengono al rituale di una comunità e conferiscono senso e valore all’avvenimento sia esso teatrale o spettacolare o musicale. L’andare alla Scala! certo, qui siamo ai vertici; e l’andare dei Comici di Piazza per le contrade di Bergamo vecchia! Ogni città, ogni comunità vuole – deve – avere e custodire i suoi luoghi deputati dove viene alimentata una tradizione che, col


tempo, diventa una misura preziosa che sta intorno all’avvenimento come un alone. Si vuole dire che nella elaborazione del progetto di Concorso la definizione degli spazi esterni non ha potuto essere se non schematica mentre la progettazione che fosse riferita a un luogo determinato dovrebbe approfondire gli aspetti della ambientazione nel contesto urbano. Che significa tradurre in immagini e in ritmi quell’”andare a teatro” che ha il sapore della festa. Il teatro e la tradizione. C’è una suggestione, che ritorna come le stagioni, verso le forme teatrali orientali, così diverse dalla nostra tradizione. È un capitolo di ricerca che ha preso rilevanza in questo nostro tempo in cui la strenua curiosità congiunta alla diffusa insoddisfazione esplora orizzonti che ci vengono da culture a noi esterne e costituisce la grande avventura, il territorio delle scoperte e dei nuovi mondi che si offrono alla intelligenza perigliosa e ardita degli occidentali, figli di quella Grecia che ci ha consegnato tutti gli adescamenti della intelligenza e tutte le matrici dei pericoli che andiamo a correre. Il punto è questo: che quando noi occidentali ci avviciniamo a certe liturgie millenarie, a certe ascoltazioni che esigono intorno un silenzio totale, ci comportiamo come i Pizarro e i Cortez. Ben vengano queste straordinarie eco da lontanissime e delicatissime risonanze e magie, purché non frughiamo con mano ladra per appropriarcene come fossero oggetti in vendita. Otterremmo solo il risultato di dissolvere quelle magie come le stoffe preziose delle tombe millenarie. Sono depositi di splendide e arcane ricchezze verso le quali noi possiamo solo disporci in ascoltazione. Da queste ascoltazioni potranno dischiudersi orizzonti nuovi, ma il tentativo di contrabbandarne le forme e i cerimoniali, magari con la complicità dei loro mercanti, ne rischia la cancellazione. È comunque una strada che deve essere lasciata alla sperimentazione intelligente e anche rischiosa; non è invece traducibile in struttura. Non sembra plausibile di voler fondare luoghi deputati imitando e mistificando tradizioni che ci sono estranee (si è visto proporre, con evidenti riferimenti all’antico teatro cinese e al teatro No, forme di teatro che di fatto erano


palestre di pallacanestro; perché fuori e intorno al padiglione del teatro cinese c’è il mondo e la civiltà e la presenza della Cina). Questa divagazione offre l’occasione per una notazione più generale che entra nel nostro discorso: uno spazio teatrale non può prescindere da un aggancio con la storia e la tradizione, l’humus in cui una comunità affonda le radici; e non può essere contraffatta con velleitarie “operazioni culturali”, o anche solo infatuazioni. In questa prospettiva, della matrice radicata in una comunità, si avvalora l’uso suggestivo per le manifestazioni spettacolari degli ambienti monumentali, delle rovine, delle fabbriche in disuso; ma soprattutto la costruzione di una sala per spettacoli acquista il senso di un atto di fondazione. Per ciò deve necessariamente risultare significativo così da conferire alla istituzione la immagine riconoscibile che gli apparterrà nel tempo. La scelta del “Teatro” Si son voluti questi approcci, alternando i registri “in negativo” e “in positivo”, per introdurre una tematica che necessariamente risulta complessa, sfaccettata e problematica. Non si può immaginare di poter offrire in una relazione che accompagna il progetto, una disamina esauriente di un tema così vasto e aperto e ognora offerto alla ricerca. Preme qui sottolineare che, fra le funzioni che la sala è chiamata ad assolvere, nel caratterizzarla, noi si sia fatta la scelta del teatro e conseguentemente si sia assunto lo spazio e la immagine della assemblea raccolta, dialogante, vivace, impaziente. E questa vivacità e loquacità propria del teatro, tradotta nelle forme architettoniche, avvalora le diverse manifestazioni spettacolari, ludiche e oratorie che nella sala avranno corso. Oh le messinscene dei congressi politici ! podii comiziali, sul fondo i segni esorbitanti: soli nascenti e scudi rassicuranti e colombe obese; nella sala un diffuso torpore. Abbiamo figurato “un certo teatro” insieme nuovo e antico, come è la nostra identità. Abbiamo inteso la “flessibilità” non nel senso del marchingegno compiaciuto (una estetica del macchinismo) ma nella possibile e immediata e facile riduzione della sala alle tre disposizioni basilari identificate dal Bando come:


- teatro con palcoscenico e sipario;

- teatro a scena centrale;

- teatro a scena spaziale.


Abbiamo inteso la “disponibilità” non nel senso della “indifferenza” ma nel senso della significatività della sala e del teatro che instaura un rapporto dialettico con la invenzione della scena (libera ma non macchinosa). Abbiamo inteso la “funzionalità” non nel senso esclusivo del vedere e assistere e ”fruire”, ma come sollecitazione al ruolo attivo del pubblico che viene a teatro per riconoscersi e atteggiarsi e prendere “parte”. Ciascuno presente e partecipe in una misura, dell’evento corale. Abbiamo voluto intendere l’”andare a teatro” come una liturgia che appartiene al luogo e al modo, al tempo di una comunità; entra nel suo calendario e nella tradizione come patrimonio che essa custodisce e accresce; che le conferisce identità e senso di presenza. Infine abbiamo accolto la “sperimentazione” sicuramente ricca di fermenti producenti, non su un terreno labile e ognora improvvisato, o peggio, mistificatorio di tradizioni che non ci appartengono; con salde motivazioni, la sperimentazione abbisogna di confrontarsi con una matrice che porti con sé i segni della storia e della radicazione. Paradossalmente, la sperimentazione nel campo dell’arte acquista senso e vigore dialettico a Spoleto e nei campi veneziani, piuttosto che a Sesto San Giovanni e a Mestre. Una sala teatrale. Il teatro, nel momento in cui si definisce come organismo autonomo, nella Grecia, è subito assemblea: dove le persone presenti si riconoscono, vi hanno posizioni e ruoli distinti, ordinati in una presenza corale. La forma del teatro greco sarà di lì in poi sempre, la forma dell’assemblea presente e vibrante: donde scaturisce l’evento teatrico. E prima, e durante, e dopo, l’assemblea si sente, si guarda, si riconosce, si distingue nelle parti e nei ruoli. Si identifica appunto come Assemblea. Così sarà ancora il Globe Theatre; una corte chiusa intorno al palcoscenico e i loggiati che gli fanno corona: una cassa di risonanza all’erompere dei sentimenti e del dramma, dall’azione dalla voce dalla presenza dal gesto dell’attore. Quando il teatro è diventato una sala, dapprima ha imitato l’assemblea all’aperto per una accolta ristretta e privilegiata; s’è fatto spalto e loggiato per rituali socievoli. S’è finto corte di palazzo e piazza per una cerimonia affollata; la


stupefacente animazione delle loggette del teatro Scientifico di Mantova! E la curiosità recitante e i rimandi ammiccanti e il brusio nell’invaso dei teatri dell’opera italiani! Era la rappresentazione emblematica di una società vivace che si presentava, si atteggiava, si compiaceva, si specchiava nelle sue ambizioni, nelle sue precarie certezze e nei miti insieme stimolanti e frivoli; e tutt’ora restituiscono quella sottile inebriante finzione. Ultime, le grandi sale sfarzose delle residenze asburgiche, per le affollate rappresentazioni rituali, dove il ritmo trascinante e struggente del valzer rapiva come in un vortice; un rito consumato con gaiezza e spensieratezza fino all’alba livida della tragedia. Oggi, vuote, sembrano apparecchiate per una officiatura di memoria. Una tensione mai più ritrovata nelle stranite sale da spettacoli dei tempi recenti, pur così “professionali” e funzionali e forzosamente “originali”. Si sono provate tutte le strade. Lo squallore bottegaio delle balconate, divise tra loro e la platea, a cumulare posti. L’assenza di comunicatività nelle platee vaste dove le persone non si guardano non si confrontano se non come distanza; si offre una distesa di schienali direzionati, come un immenso veicolo allestito per un viaggio fittizio; sembra di dover cingere la cintura di sicurezza. E la stucchevole, tombale estensione delle pareti vuote, decorate a fingere uno sfarzo supponente e raggelante. E, nella fucina delle invenzioni, la puntigliosa risposta dei macchinismi dispendiosi e infantili (la “Schaubühne am Lehniner Platz” di Berlino) che surrogano la fantasia inceppata. Il teatro, e lo spettacolo, è per sua natura espediente, è finzione è illusione officiata nell’artificio della parola e del gesto e della presenza; una confidenza scambiata con una assemblea occasionale, inveita provocata e sedotta in un rapporto come fra amanti, precario, tempestoso, euforico, continuamente ripudiato e cercato. Gli obiettivi su cui è focalizzata la proposta progettuale. Abbiamo fatto una scelta: la cavea, perché è la forma iniziale e definitiva dell’assemblea raccolta; intorno alla cavea due ordini di logge chiudono la sala. Come dire: l’Assemblea fisicamente presente viva dei volti, degli occhi degli atteggiamenti delle persone; e intorno e sopra questa


corona vibrante di presenze, di occhi curiosi ridenti attenti che si affacciano a guardare e essere guardati, a sfidare e essere giudicati. La sala come una corte vivace, piena di umori, di attesa divertita e maliziosa e, a volte, commossa. È una scommessa anche questa, una sfida: di voler proporre oggi un luogo teatrale autentico, dove il tempo che ci appartiene “si guardi allo specchio” per celebrarsi, per compatirsi, per farsi le boccacce. Questo è il teatro: è spettacolo, è dramma, è giuoco, è rito che consacra e dissacra. Ci si domanda: ne ha voglia, il tempo nostro, di questo scomodo e irritante, a volte insolente, interlocutore? ne ha il gusto? Dovrà – potrà – essere rappresentazione e celebrazione; distinzione di ruoli e comunione; liturgia civile e saga di convenzioni, di ambizioni, di emulazioni; e corsia segreta di confessioni. La comunità (una comunità identificata) che si “scopre” nelle sue connotazioni e nei suoi pregiudizi latenti e nascosti e simulati. Si tratta di offrire un luogo dove la stessa comunità possa affacciarsi come a un balcone e si atteggi di fronte a uno specchio. In qualunque dei nostri paesi i giovani a gruppi “si trovano” per determinate loro affinità in luoghi e ore rituali: in certi bar, in certi angoli di strada che poi prendono e danno nome ai gruppi; e si distinguono per comportamenti ed estrazioni, come necessitati a darsi una identità di gruppo: di età, di attitudini, di affinità, di umori esistenziali che nessuno si procura di prescrivere e di catalogare; appunto, liberi. Accade spontaneamente, perché è nella natura del vivere sociale. Costruire una sala - teatro significa offrire uno spunto che dovrà – potrà – essere catalizzatore di occasioni di appuntamenti, di celebrazioni, di calendari che rivelino la identità dei gruppi; un fattore di coagulo per affinità che non siano (finalmente) associazioni di lavoro o sindacali o professionali, non scolastiche in senso stretto, non di appartenenza di quartiere, non di estrazione politica o confessionale, e neppure culturale nel senso disciplinare; estrazioni “libere” per affinità “vere”, nascoste nei meandri esistenziali, quali suscitano appunto i coinvolgimenti teatrali, rituali e ludici; significa chiamare, estrarre una accolta di persone che tenevano in corpo la voglia segreta e inconsapevole di stare assieme.


Quelle distinte posizioni nella sala teatrale, fra loro dialoganti, sono inviti, una sfida a “prendere posto” darsi una appartenenza, sentirsi “in”; di attitudine, di gusti, di senso e atteggiamento di giudizio; di presenza. Posizioni diverse che fra loro si confrontano e possono entrare in conflitto (ecco sorgere la dinamica conflittuale dei cori; che nella riduzione gestuale delle gare sportive diventano boati e fischi e sbandieramenti; e nella esecuzione musicale è ritmo e onda di commozione). Nel teatro la conflittualità dei cori è la tensione da cui insorge il dramma. Siamo andati fuori campo? Abbiamo assistito in questi decenni alla continua riproposta del teatro che cerca sé stesso e, insieme, alla comunità che cerca la sua identità storica; nelle forme gestuali e ludiche e, sul versante opposto, nelle forme rituali e quasi magiche. Sono i due luoghi – il giuoco e il rito – che stanno sui margini della drammaturgia, che dispiega la pienezza dell’evento teatrale. Come l’avevano suscitato, nella pienezza di tutte le facoltà umane, i Greci. Come si era inverato in quelle straordinarie corti chiuse intorno all’impiantito scenico, dove potevano torneare vortici di passione ed esplodere i drammi dell’universo shakespeariano. Si vorrebbe dunque focalizzare la nostra risposta progettuale sui seguenti obiettivi. Nell’identificare uno spazio “associativo” nel senso più autentico, cioè articolato a ricevere e confrontare atteggiamenti differenti; insieme coinvolgente e producente l’effetto “assemblea”. Nel dare forma alla sala rispondente alle caratteristiche di operabilità richieste dal Bando di Concorso (in più le particolarità della sala musicale) privilegiando nell’impianto architettonico il carattere del “teatro” su lo spettacolo, sul giuoco, sul convegno; ciò significa conferire la dignità e la vivacità del luogo teatrale allo spettacolo, al giuoco, al convegno. Nell’accentuare il riferimento al teatro elisabettiano (il teatro della parola e le rappresentazioni in cui il rapporto attore pubblico è diretto). Avvalersi del dispositivo di palcoscenico a sipario quando fra l’azione scenica il pubblico si dà la presenza dell’orchestra. Quando l’esecuzione musicale è per sé spettacolo, allora che la scena


con la sua propria architettura diventa parte integrante della sala. Le altre disposizioni, a “scena spaziale” oppure della sala con lo schermo per le proiezioni cinematografiche o televisive, si ottengono con adattamenti d’uso corrente. Con la sala – teatro, insieme articolata e versatile e corale sconfiggere – nella stessa immagine – qualunque comportamento e l’idea stessa della “cultura di massa”. L’assemblea, raccolta attorno all’azione teatrale è insieme libera e aristocratica; una estrazione che si produce in virtù di affinità esistenziali e morali; il piacere di stare insieme. Il ritrovarsi intorno alle stesse valenze. Nell’articolare le percorrenze che affluiscono dalla sala e dagli spazi aperti attrezzati, intorno a un fulcro, il Ridotto, un luogo di incontri rituali, significativo del Teatro come fondazione in seno alla comunità. La proposta progettuale. Le annotazioni fin qui svolte ci consentono di entrare negli aspetti specifici del tema progettuale, avendo chiari, con i termini proposti dal Concorso, gli obiettivi e le esclusioni che indirizzano le scelte di progetto. Nel Bando vengono indicate le tre forme basilari che la sala dovrà poter assumere: - teatro all’italiana con palcoscenico e sipario; - teatro a scena centrale; - teatro a scena spaziale, con spettatori disposti attorno al perimetro e sala completamente agibile. Si aggiunge che la sala dovrà essere riducibile con opportuni accorgimenti, per quanto attiene sia alla capienza che all’area scenica, a dimensioni tali che consentano l’allestimento di spettacoli da camera, di cabaret e recitals, e di ospitare congressi di alta selezione. Per quanto riguarda le funzioni che la grande sala dovrà poter assolvere, il Bando stabilisce che essa sia attrezzata per accogliere i seguenti tipi di spettacoli e manifestazioni: - cinema (o televisione su grande schermo); - cinema con avanspettacolo; - teatro di prosa e d’avanguardia; - operetta; - canto, balletto, danza, mimo; - acrobazie e trapezi volanti;


- esibizioni sportive in ambiente chiuso (scherma, pugilato, lotta, ecc.); - congressi di alta selezione; - altri avvenimenti riducibili alla Flexihall. Si è ritenuto di dover considerare nella strutturazione della sala anche l’”orchestra” adottando le caratteristiche rispondenti alla perfetta acustica così da consentire, oltre agli spettacoli e alle manifestazioni previsti dal Bando di Concorso, anche le esecuzioni musicali orchestrali e corali di prestigio e il teatro dell’opera (ipotizzando per quest’ultimo allestimenti appropriati, itineranti da città a città). La sala progettata corrisponde in modo consono alle manifestazioni spettacolari richieste, come viene evidenziato nei disegni per quanto ha riferimento con le principali disposizioni d’uso. Per gli spettacoli per i quali si richiede una riduzione della capienza complessiva, la possibilità della esclusione dei loggiati sembra provvedere nel modo più semplice e appropriato. Il complesso spettacolare sarà dotato – come peraltro è richiesto nel Bando – degli impianti di diffusione sonora e di televisione a circuito chiuso così che le manifestazioni possano essere seguite in tutti gli ambienti della Flexihall. Per la natura selettiva degli eventuali congressi si rende indispensabile prevedere il gruppo delle cabine di ricezione e traduzione simultanea, collegato con i posti a sedere nei diversi ordini e con il palcoscenico. La sala progettata è costituita da una cavea più che emicicla formata da gradini che circoscrivono un campo centrale – la platea – leggermente inclinato verso l’orchestra e il boccascena. Un corridoio a galleria gira intorno alla cavea sulla parte alta; sopra la galleria sono due ordini di logge con palchi che chiudono l’invaso della sala, interrompendosi dove si dà l’apertura del boccascena. Cavea e platea sono traversate da una corsia assiale che è un elemento necessario alla organizzazione spaziale del teatro: una percorrenza rituale che conduce al podio dell’orchestra, o dal palcoscenico viene nella platea. I gradini della cavea, dove si serrano a lato del boccascena, danno luogo agli “spalti”, brevi terrazzi in posizione singolare in quanto a ridosso della scena (con poltrone libere per assumere la posizione più opportuna): hanno la


funzione, un pò istrionica ed esposta, delle “barcacce” nel teatro dell’opera. Sono posizioni ideali per situare i cori e le presenze dialoganti con gli attori, e la stessa azione scenica che esorbita dall’ambito della scena. Quando si danno manifestazioni e spettacoli di diversa natura, congressi, balli, competizioni sportive, queste “posizioni” acquistano particolare rilievo. La sala nel suo insieme è uno spazio strutturato e ordinato in funzione della coralità dell’assemblea, che si guarda e si riconosce e si atteggia dalla platea dalla cavea dagli spalti dalle logge; l’invaso della sala è tutto occhieggiare e sussurro, traversato, posseduto, vibrante dei piccoli messaggi scambiati, raccolti, sviati, come un campo di forze liberate. Questo fitto commercio di rimandi ammiccanti, troverà, nel momento dell’intervallo, un approccio più diretto fra le persone che si incontreranno nel ridotto. La cavità scenica si presenta verso la sala con una propria architettura che conclude lo spazio della sala. Il teatro, come si presenta nella sua configurazione unitaria di scena e sala, verrà usato per gli intrattenimenti musicali e nelle manifestazioni in cui non si richieda un allestimento scenico specifico. Per meglio chiarire il senso di questo intendimento progettuale si vuol richiamare – come modello stupendo – la sala del Teatro Scientifico di Mantova, così armoniosa e consona ad accogliere esecuzioni musicali, sceniche o no; essa stessa un perfetto strumento musicale, quasi l’amplificazione della cassa di una viola. Indugiamo ad esaminare come si dispone il pubblico nella sala in relazione ai diversi usi spettacolari. A) Nella disposizione del teatro all’italiana con palcoscenico e sipario. La platea è interamente occupata dalle poltrone e forma con la cavea una conca posseduta dalla presenza del pubblico. La sala si presenta con la platea capace di 140 posti a sedere allineati a fronte dell’orchestra e del proscenio; intorno alla platea fanno corona sette ordini di posti degradanti che, con gli spalti laterali formano la cavea dove sono appostati 400 spettatori.


I due loggiati, suddivisi in palchi, possono ospitare ciascuno 150 spettatori (tenendo conto di una riduzione riferita ai palchi a ridosso del boccascena). Pertanto, nella disposizione suddetta, la sala può contenere complessivamente 840 posti a sedere. Nell’uso della sala come teatro all’italiana la scena si presenta sul fronte del proscenio dove viene a contatto con l’orchestra, e si approfondisce nello spazio attrezzato per i movimenti degli scenari e dotato dei servizi e degli ambienti per le attività di scena. B) Nell’uso della sala come teatro “a scena centrale”. Il palcoscenico viene allestito nell’interno della sala, in posizione avanzata rispetto al proscenio (secondo lo schema del Globe Theatre) avendo alle spalle lo spazio profondo della scena che verrà diversamente usato in ragione dello spettacolo. Tutta l’attrezzatura della scena si rende disponibile per il palcoscenico ora avanzato nella sala, mentre il sipario sarà sostituito da fondali investiti di luci o oscurati, nelle diverse situazioni. I posti a sedere della platea verranno ridotti a poche file; per contro le posizioni estreme delle logge, che si affacciano sul palcoscenico, potranno considerarsi di piena rispondenza alle esigenze spettacolari. Nella sala i posti a sedere risultano così distribuiti: nella platea i posti si riducono a circa 50; nella cavea e sugli spalti i posti a sedere sono sempre 400; infine nei palchi dei due ordini di logge trovano posto 160 x 2 = 320 spettatori. Complessivamente la sala contiene 770 posti a sedere. Per gli usi della sala che non comportino l’esigenza del fondale della scena, lo spazio del proscenio e della scena stessa si prestano ad allestimenti provvisori di palchi o tribune per presenza di un pubblico selezionato. Questo uso della sala acquista interesse, oltre che per le rappresentazioni propriamente teatrali, anche per esecuzioni musicali di solisti o di gruppi, per prestazioni agonistiche e spettacolari che, pur esibendosi nell’invaso della sala, hanno tuttavia esigenza d’avere alle spalle una certa attrezzatura di supporto all’azione spettacolare. Le operazioni tecniche inerenti la modificazione d’uso della sala riguardano solo il piano della platea centrale e il settore dell’orchestra, con la rimozione delle poltrone e la formazione dell’impiantito del palco.


C) L’uso della sala come teatro “a scena spaziale” con spettatori disposti attorno al perimetro, e sala interamente agibile. Ha riferimento con gli spettacoli e le rappresentazioni in cui le posizioni reciproche degli attori e degli spettatori possono interferire e alternarsi (vien fatto di pensare a un ballo mascherato). Per spettacoli di tale natura è evidente che la regia deve avvalersi volta a volta delle risorse offerte dalla sala per inscenare l’azione e lo spettacolo. Sembra di poter affermare che la sala progettata, con la cavea, gli spalti, le logge e i palchi, la stessa scena architettonicamente conclusa, possa considerarsi uno spazio disponibile e vario, tale da suggerire molti spunti all’estro della regia. In questo ordine di proposte spettacolari, dovrebbe risultare oltremodo stimolante la possibilità di azioni teatrali che si svolgano coinvolgendo la sala, il ridotto che è alle spalle della cavea e il teatro all’aperto con il giardino, ambienti fra loro correlati su un asse percorribile e leggibile dalle diverse posizioni in cui il pubblico può disporsi e atteggiarsi. Il sistema assiale, scena, sala teatrale, ridotto, spazi aperti, si presenta in particolare molto efficace per le manifestazioni del tipo congressi, balli, celebrazioni ed esposizioni, dove il pubblico ha la necessità di spostarsi e incontrarsi in circostanze e modi succursali rispetto all’assemblea nella grande sala. Risulta meno agevole riferire un esatto numero di posti a sedere disponibili nell’uso della sala come teatro “a scena spaziale”. Si è ritenuto di dover considerare completamente libero lo spazio della “platea”, per cui il numero dei posti a sedere risulta essere di 720. Valgono anche in questo caso le considerazioni fatte circa la disponibilità della scena, per l’uso della sala “a scena centrale”. Il ridotto. Se la sala teatrale costituisce il centro attivo spettacolare del complesso, il “ridotto”, situato in posizione assiale fra la sala e il giardino attrezzato per spettacoli ed esposizioni all’aperto, è considerato il fulcro dell’organismo architettonico. Esso rappresenta il luogo tipico di riferimento per gli incontri personali e conferisce alle percorrenze chiarezza e immediatezza; soddisfa altresì alle esigenze espositive, ricreative e rappresentative che si accompagnano alle attività spettacolari e congressuali.


La direzione e gli uffici. Il gruppo degli uffici di direzione, di segreteria generale e di segreteria tecnica è situato al piano degli ingressi del pubblico alla Flexihall ed è disimpegnato; gli uffici sono raggruppati così da costituire un settore indipendente con ingressi autonomi dalla strada. L’altro gruppo degli uffici da destinare volta a volta agli operatori saltuari è situato allo stesso piano in posizione simmetrica rispetto agli atrii, avendo anch’esso ingressi autonomi. Infine, la centrale di azionamento dei servizi specifici e dei servizi generali è situata in posizione autonoma e disimpegnata, ma sullo stesso piano della direzione. Lo spazio scenico. Le diverse impostazioni dello spazio scenico determinano l’uso differenziato della sala. Nel progetto sono stati presi in considerazione i tre dispositivi scenici proposti del Bando di Concorso che si possono alternare mediante operazioni e allestimenti di normale operabilità. Nel considerare in precedenza la caratterizzazione architettonica dell’invaso della sala venne posto in risalto come la stessa struttura della cavità scenica costituisca una conclusione architettonica della sala allorché non si dia l’esigenza di un allestimento scenico particolare. Ai fini di agevolare l’alternanza dei tre schemi d’uso della sala – in vista della economicità della gestione della Flexihall – si dovrà considerare la convenienza di strutturare il pavimento della sala, limitatamente all’orchestra e alla parte della platea che viene a corrispondere alla scena centrale, medianti settori azionati da elevatori meccanici. Nel corpo di fabbrica che costituisce il blocco – scena, si trovano: - i servizi tecnici; - i laboratori e depositi scene; - le sale di prova; - i camerini; - i guardaroba e i servizi per gli attori e per le masse; - la sala accordo strumenti.


Proiezioni cinematografiche e televisive su grande schermo. La Flexihall è perfettamente attrezzata e rispondente agli spettacoli di proiezione cinematografica e televisiva su grande schermo. In tali circostanze la sala viene usata nella disposizione “a sipario aperto” e lo schermo viene installato alla dovuta profondità nell’interno dello spazio riservato alla scena. Le cabine di proiezione sono situate in posizione assiale nell’interspazio fra la soffittatura della sala e la copertura. Spazi attrezzati per spettacoli ed esposizioni all’aperto. La riproposta della forma simmetrica alla sala per gli spettacoli all’aperto assume ovviamente un carattere simbolico. Infatti l’uso del teatro all’aperto – specie in un clima come quello lombardo - , per una gestione economicamente controllata, non può essere se non integrativo alle manifestazioni programmate nella Flexihall. Va notato che la soluzione, altrove sperimentata, che intenda unificare il palcoscenico disponendo l’una a fronte dell’altra le due esedre interna ed esterna, risulta di fatto improponibile perché le attrezzature di scena non possono essere rovesciate in ragione delle condizioni meteoriche. Il teatro all’aperto come è nel progetto, formante esedra nel giardino, sul quale si affaccia il ridotto, si presta a manifestazioni articolate che abbiano svolgimento parte all’interno e parte all’esterno del complesso. È stata presa in considerazione anche l’opzione del teatro all’aperto formante la copertura della sala. Una tale risoluzione che presenta innegabili aspetti suggestivi, non sembra proponibile in uno schema progettuale che voglia rappresentare una proposta – tipo “idealmente collocabile o al centro di un aggregato di paesi viciniori, oppure ai margini di un aggregato urbano di grande città (quartiere, borgata, ecc.)”. Una siffatta disposizione deve poter emergere da situazioni di fatto particolari, quali la presenza di diversi livelli di accessibilità dall’esterno o la opportunità di una soluzione criptica per la stessa Flexihall.


Pianta al livello dei palchi

Pianta al livello del ridotto

Pianta al livello dell’atrio



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