7 minute read

Il giornalismo ambientale una sfida quotidiana

RACCONTARE L’AMBIENTE E LE SUE PROBLEMATICHE È UN COMPITO PIUTTOSTO DIFFICILE PER IL GIORNALISTA E IL COMUNICATORE AMBIENTALE PER LE IMPLICAZIONI TECNICHE E PER GLI INTERESSI ECONOMICI E LE POSSIBILI VERITÀ SCOMODE CHE POSSONO RAGGIUNGERE L’OPINIONE PUBBLICA. RISPETTO DELLA DEONTOLOGIA E FORMAZIONE CONTINUA SONO LA STELLA POLARE.

La comunicazione ambientale è vecchia come il mondo ma ha trovato una collocazione importante e stabile nella società e nel mondo dei media da due decenni a questa parte. È dei primi anni 2000 la svolta verde della stampa agricola, nata alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso in alveo sindacale nel periodo nel quale veniva istituito l’ attuale Ordine dei giornalisti. Sotto la denominazione di Unaga si ritrovarono le associazioni regionali e interregionali dei giornalisti che, oltre alle specializzazioni in agricoltura, alimentazione, foreste e pesca, si diedero quelle dell’ambiente, delle energie rinnovabili e del territorio. Fu una presa d’atto di un’evoluzione irreversibile, sull’onda delle preoccupazioni dell’opinione pubblica e dei nuovi orientamenti dell’economia e della politica con nuove sensibilità che influenzavano il mondo dei media. Nuove competenze si sommarono a nuove mode, mentre cresceva nei consumatori la ricerca di informazioni per orientarsi sul cibo pulito, sano, biologico, su fonti energetiche meno inquinanti, su stili di vita più sostenibili. Grida d’allarme sui pericoli di uno sviluppo indiscriminato dell’industrializzazione, dell’edilizia sia residenziale sia turistica e dell’agricoltura intensiva c’erano sempre state. Non è casuale che, a livello continentale, il 1970 fosse stato denominato “Annata europea per la salvaguardia della natura”, con l’emissione di un francobollo da 25 lire illustrato con una fabbrica fumante da due ciminiere, a cuneo in un prato verde con un albero scheletrito. Occorreranno dunque ancora trent’anni perché si crei un’attenzione diffusa a tutti i fattori inquinanti, ai rischi per la salute, a tutte quelle cause vere o presunte che mettono a rischio l’uomo e gli altri esseri viventi. Gli eventi estremi hanno iniziato a essere interpretati e presentati come una sorta di ribellione della natura

Advertisement

1

2

e i giornalisti, attraverso i loro reportage, hanno amplificato l’attenzione e la preoccupazione. A influenzare l’opinione pubblica concorrono soprattutto i grandi media generalisti che passano, in pochi secondi o in poche righe, da argomenti lontani anni luce uno dall’altro e, inevitabilmente, i colleghi non possono acquisire competenze strutturate su tutto. Inevitabile il ricorso, dopo le cronache dei fatti che fanno notizia, alla voce degli esperti, spesso in contraddittorio e divergenti tra loro. Finché un avvenimento è circoscritto a un territorio il racconto è obiettivamente più facile e lineare; ma quando gli eventi riguardano un mondo globalizzato in un intreccio di interessi più o meno legittimi, aumentano i rischi di censure e autocensure, di sommatorie di fonti che le reti virtuali non aiutano a interpretare.

In una situazione tanto complessa e in costante evoluzione, i giornalisti e gli editori si sono trovati a riempire le pagine di messaggi e di esempi green, di reportage consolatori o drammatici. Le pubblicità aziendali sembrano efficaci e credibili solo se sono orientate alla salvezza del pianeta.

Nel 2011, all’ interno della fiera Ecomondo di Rimini, organizzammo la prima giornata formativa per la stampa ambientale con al centro un convegno nel quale i partecipanti erano seduti su sedie di cartone pressato e riciclato. Ci sentimmo tutti comunicatori ambientali. Per anni ci siamo spesi in fiumi di immagini e di interviste per quei ragazzi che, spesso inconsapevoli e con la bottiglietta di plastica in mano, sfilavano gioiosi nelle nostre città oppure “circondavano” i luoghi dove i potenti della terra prendevano impegni parziali e sempre più a lungo termine. Quando, nel 2013, nel Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti, progettammo la formazione permanente certificata che ci parificava agli altri ordini professionali, salutammo con piacere la spinta che sarebbe venuta alla ricerca di una più alta professionalità che ci avrebbe consentito di ottenere almeno due risultati tangibili: la crescita delle competenze e una maggiore consapevolezza delle nostre responsabilità nei confronti di un’opinione pubblica sempre più spaventata e disorientata. Le grandi crisi dell’ultimo periodo, le guerre, le pandemie, gli eventi ambientali estremi, le migrazioni disperate e forzate, hanno ulteriormente mescolato ansie e paure, fornito alibi e messo a dura prova il mondo dei media impreparato e impossibilitato a costruire un proprio bagaglio autonomo di conoscenze, incapace nella stragrande maggioranza degli operatori a orientarsi tra le fonti che, per essere complete, non possono essere solo quelle in lingua italiana. Ecco, la mancanza di conoscenze linguistiche adeguate ha accentuato l’utilizzo delle agenzie generaliste che inevitabilmente spingono verso un’informazione omologata. Certo, ci si può rivolgere a consulenti madre lingua ma i freelance non se lo possono permettere. Quando poi gli argomenti diventano di estrema delicatezza e toccano interessi diffusi e consolidati, coinvolgono potenti categorie le cui fonti di reddito, come nel comparto turistico, sono legate anche alla promozione del “va tutto bene”, meglio lasciare parlare le immagini e gli attori della filiera. Se infine consideriamo che la nostra categoria è ormai in gran parte composta da precari e da collaboratori che traggono sostentamento da altri lavori, abbiamo pochi motivi per assecondare i giovani che si avvicinano con speranza ed entusiasmo al mondo del giornalismo. Come non spiegare loro che saranno costretti a tanti compromessi e che dovranno combattere ogni giorno per far emergere la propria professionalità? Tutta la comunicazione online e quella social offre ampie e a volte inaspettate opportunità di espressione, ma difficilmente si trasforma in lavoro giornalistico fatto di regole e di norme deontologiche da rispettare. La pubblicità dei media tradizionali è da tempo in crisi e in gran parte a disposizione delle grandi agenzie multimediali. Parliamo tanto di Piano di ripresa e resilienza, ma dove sono i media in grado di raccontare i progetti presentati e approvati e seguirne di pari passo le varie fasi di attuazione secondo la regola dell’amministrazione trasparente? La ricerca di fonti energetiche alternative come conseguenza dei conflitti e di contrapposti interessi internazionali –volendo fare riferimento alla più cruda attualità – dovrebbe accompagnarsi a inchieste giornalistiche indipendenti che consentano all’opinione pubblica di elaborare opinioni libere e consapevoli. Discorso importante è quello delle competenze che, come in tutte le professioni, anche i giornalisti hanno il dovere di acquisire. La formazione permanente ha obbligato a tornare “sui banchi di scuola” e i promotori dei corsi, siano gli ordini dei giornalisti ed enti collegati oppure agenzie esterne certificate, stanno proponendo un’ offerta differenziata, completa e di qualità, capace di coprire tutti gli aspetti di quella che viene definita con l’espressione più usata e abusata al mondo: la sostenibilità ambientale. Il nostro sistema politico parlamentare, che pure viaggia ad alterne velocità e tra mille contraddizioni, ha avuto nei mesi scorsi un sussulto di credibilità quando ha consentito l’ingresso dell’ambiente in modo stabile nella Costituzione italiana.

1 Corso di formazione per giornalisti promosso dalla Fondazione dell’Ordine dell’Emilia-Romagna. 2 Corso di formazione all’aperto su ambiente e salute. 3 Francobollo promozionale dell’Annata europea per la salvaguardia della natura del 1970. 3

Le modifiche introdotte riguardano l’articolo 9 e l’articolo 41. Il primo recita: “La Repubblica (...) tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni (...)”. Il secondo è stato integrato in questo modo: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”. Quando introduciamo i corsi di formazione per i colleghi, ed è avvenuto tante volte nei quasi dieci anni trascorsi dall’entrata in vigore dell’obbligatorietà certificata dai crediti professionali o deontologici, dopo aver accennato alla libertà di espressione e alla libera manifestazione del pensiero, parliamo di diritto di cronaca all’ interno del quale si colloca il giornalismo. Ne consegue l’obbligo etico e giuridico di raccontare fatti veri, attuali e di interesse pubblico. Parlando continuamente di sostenibilità, siamo sicuri di aver fatto il nostro dovere fino in fondo? La deontologia va utilizzata come stella polare, il carattere distintivo della nostra professione rispetto alla libera espressione del pensiero. La comunicazione oggi necessità di tutte le “doti” migliori che compongono la scatola degli attrezzi della nostra attività e diventa il banco di prova della nostra capacità di affrontare i temi ambientali nel modo giusto.

Roberto Zalambani

Presidente Unione nazionale associazioni giornalisti agricoli e ambientali (Unaga - Fnsi)

This article is from: