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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

CRESCERE O DECRESCERE?

Numero 72 Marzo 2019


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 72 - Marzo 2019 Anno XXI

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Francesco Diacceto Gianni Falcone Roberta Forte Pièrre Kadosh Lino Lavorgna Sara Lodi Antonino Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

VIVERE E’ CRESCERE Crescere: "Diventare più grande, per naturale e progressivo sviluppo, detto dell'uomo, degli animali, delle piante." Decrescere: "Diminuire, scemare di volume, di numero, d'intensità" (dal dizionario Treccani). L'attitudine a crescere è propria del vivente, comunque alla fine del percorso c'è ineludibilmente la morte. Il dizionario non ci aiuta rispetto alla crescita dell'universo, delle galassie, delle stelle, dei pianeti. Tuttavia la scienza ci dice che l'universo si espande (cresce?), che le galassie a volte si scontrano per accrescersi, che nelle galassie nascono le stelle e che anche queste muoiono una volta esauritasi l'energia che consumano. I pianeti in quanto tali non crescono - anche se si accrescono in volume per effetto della polvere cosmica che vi si deposita - tendono a rimanere tal quali, salvo impatti con altri corpi celesti o collassi gravitazionali. Quindi la Terra tende a permanere nel suo stato "planetario", tuttavia la biosfera che ospita tende alla crescita e alla morte, salvo a mantenere stabili le condizioni per la sua rigenerazione ed evoluzione. La stabilità di tali condizioni, sia pure entro margini flessibili, rappresenta la precondizione per preservare la vita per come la conosciamo. La presenza dell'uomo, principe dei predatori, si è fatta preminente nella biosfera, una preminenza che, sempre più, è andata a detrimento di altre specie, fino alla loro estinzione, delle risorse non rinnovabili del pianeta, della qualità dell'aria e delle acque, della stabilità climatica. Questo a grandi linee il macroscenario all'interno del quale diventano determinanti la qualità della civiltà, il modello di sviluppo, la responsabilità delle scelte. Poiché "diventare più grande per naturale e progressivo sviluppo" è la molla della vita, nessuna decrescita è possibile e sarebbe in ogni caso infelice. Tuttavia la qualità della civiltà può essere migliorata e di molto. Occorre che la politica si associ alla scienza in maniera indissolubile dandosi nel contempo il senso della prospettiva. Occorre un'analisi critica dell'attuale modello di sviluppo fondato sul consumo, sulla rapida sostituzione dei beni, sulla competizione per il possesso. Le conseguenze sono il rapido consumo di risorse non fungibili, la non durevolezza dei beni prodotti, la smisurata crescita delle disuguaglianze, lo squilibrio complessivo degli assetti naturali. Il motore a combustione ha rappresentato uno dei pilastri su cui si è fondata la qualità del progresso, ma le nefaste conseguenze sono nei polmoni di tutti sotto forma di particolati e gas nocivi.


EDITORIALE

E' maturo il tempo per pensare ad altri pilastri: la trazione elettrica alimentata dal sole, le energie rinnovabili, la fusione nucleare, la mobilità individuale trasferita dalla terra all'aria - già oggi alcuni droni lo consentono, già da qualche anno un aereo superleggero a pannelli solari ha fatto il giro del mondo ed in Australia hanno realizzato la prima moto elettrica volante - la produzione di beni di lunga durata, ordini sociali più cooperativi e meno competitivi, sistemi di protezione sociale in grado di consentire a tutti un vita decente anche in assenza di lavoro, atteso che l'automazione sempre più spinta e diffusa avrà scarso bisogno di apporti umani. Già oggi è possibile "stampare" e porre in opera automaticamente case, pavimentazioni stradali, linee ferroviarie, produrre utensili e oggetti. In un domani molto prossimo ogni produzione sarà "on-demand" e totalmente personalizzabile e questa potrebbe essere l'occasione per rendere i beni davvero durevoli e, forse, si potrebbe sostituire la proprietà di un bene con un diritto d'uso che renderebbe desiderabile per le imprese la "durevolezza". Un altro pilastro è stato il petrolio e la plastica che ne deriva e se ne è fatto un uso smodato salvo ad accorgersi un bel giorno che stavano sorgendo in mezzo agli oceani enormi isole di plastiche galleggianti, che la fauna marina è costretta a rimpinzarsi di microplastiche e altri veleni scaricati in acqua fino a morirne o a far morire gli uomini che se ne cibano, che le emissioni da combustione hanno avvelenato quasi tutti i grandi centri urbani. Eppure quando la politica ha voluto, grazie anche alla scienza, è riuscita ad imporre in alcuni segmenti l'uso di plastiche biodegradabili, a proibire la produzione di piatti e bicchieri monouso che continueranno ad esistere ma realizzati con nuovi materiali biodegradabili -, a incentivare l'uso di sacchetti di carta o di lunga durata... E' tempo di una riflessione profonda, di incentivare la ricerca di soluzioni alternative, di supportare produzioni innovative capaci di sostituire il ricorso alla plastica, interessanti a questo proposito le bottiglie in fibra vegetale impermeabile. Ma il passo più importante è l'incontro stabile e strategico, tra politica e scienza. Un computer quantistico ha invertito il verso del suo tempo relativo, la fusione nucleare è quasi disponibile, le applicazioni del grafene sono un fatto concreto, materiali autopulenti sono in fase di sperimentazione, sono già in servizio centrali solari e congegni in grado di recuperare energia dal moto delle acque e strade in grado di convertire il traffico in energia, i pannelli solari di ultima generazione sono tanto efficienti che un solo metro quadro produce 3 kw, la concentrazione dei raggi solari ha trovato applicazione nelle grandi centrali, ma è una tecnologia che può migrare agevolmente verso il basso e ridare un senso all'uso del vapore, i robot di servizio stanno per diventare una realtà "familiare", le meraviglie "connettive" del 5g sono già disponibili e la colonizzazione dello spazio è alle porte, come pure nuove centrali solari orbitanti e nuovi sistemi di propulsione, come nuove generazioni di armamenti che renderanno obsoleti gli eserciti umani e persino le bombe atomiche. Le applicazioni delle biotecnologie contribuiranno a creare nuovi cibi senza sacrificare vite animali, ad allungare la vita umana, a sconfiggere malattie, a riparare o sostituire organi senza più doverli trapiantare e, senza dubbio, un cuore "d'allevamento" senza rischi di rigetto è meglio

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EDITORIALE

di un cuore tolto dal petto di un altro con tutta la sua carica di ricordi ed emozioni. per non parlare delle nanotecnologie e delle incredibili sorprese che ci riservano nei settori piÚ disparati. Tutto questo fermento di sapere, di ricerca, di inventiva, di genialità , se ben canalizzato verso una crescita responsabile e sostenibile, col supporto di una politica lungimirante e di un'opinione pubblica non ostile, può rendere davvero il pianeta un posto migliore ed offrire al genere umano, che si moltiplica ad un ritmo fin troppo intenso, la concreta speranza di migrare verso altri mondi una volta raggiunto un livello di sovrappopolazione non sostenibile. Senza il fecondo incontro tra politica e saperi lo scenario probabile diventa quello profetizzato da Ridley Scott nel film "Blade runner" dell'ormai lontano 1982. E non sarebbe un futuro desiderabile. Angelo Romano


SCENARI

CRESCERE O DECRESCERE? LE PAROLE INGANNEVOLI: CRESCITA E DECRESCITA Partiamo da lontano, anche se di poco rispetto alla storia dell'umanità, perché non vi è problema di oggi che non sia stato già affrontato ieri o l'altro ieri o prima ancora. Con le debite proporzioni, infatti, si potrebbe addirittura andare indietro nel tempo di molti secoli, avendo da sempre l'uomo fatto i conti con la propria sopravvivenza. Perché di questo si tratta. 1967: Paolo VI pubblica l'enciclica "Populorum progressio", dedicata alla cooperazione tra i popoli e al problema dei paesi in via di sviluppo. In particolare mette in evidenza il forte squilibrio tra ricchi e poveri, i disastri causati dal neocolonialismo, dal capitalismo e dal marxismo. Sancisce il diritto di tutti i popoli a vivere decentemente e propone la creazione di un fondo mondiale per gli aiuti ai paesi in via di sviluppo. 1972. Il Massachussetts Institute of Thechnology pubblica il rapporto sui "limiti dello sviluppo", commissionato dal "Club di Roma", associazione non governativa, fondata nel 1968 da Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King con l'intento di studiare i cambiamenti globali, individuare i problemi futuri dell'umanità e suggerire adeguati provvedimenti preventivi. Il rapporto, scioccante, predice le conseguenze nefaste del progressivo incremento demografico senza la mancata adozione di misure che tengano conto della "finitezza della Terra". 1975. L'autore di questo articolo, già da tre anni attivamente impegnato nelle battaglie 1 ecologiche, stanco dell'atteggiamento dilatorio delle più importanti associazioni ecologiche , protese esclusivamente a non andare oltre la nobile ma insufficiente attività di difendere leprotti e uccellini e organizzare ritempranti scampagnate agresti, fonda l'ASSOCIAZIONE NAZIONALE SALVAGUARDIA ECOLOGICA con l'intento di diffondere i dettami sanciti dal MIT nella società civile, per scuotere le coscienze dei cittadini, non nutrendo alcuna fiducia nella classe politica. Nel 1976 amplifica l'impegno ambientalista aderendo ai neo costituiti GRUPPI DI RICERCA ECOLOGICA, fondati dal biologo Alessandro Di Pietro con finalità affini a quelle dell'ANSE. Nel novembre del 1977, in occasione del PRIMO SEMINARIO DI STUDI ECOLOGICI2, tenutosi presso l'Hotel Terminus di Napoli, cui partecipa come relatore in qualità di presidente dell'ANSE e di dirigente nazionale dei GRE , espone dettagliatamente le tematiche insite nel rapporto del MIT e utilizza per la prima volta l'espressione "sviluppo sostenibile", che incomincia a far breccia nel linguaggio comune, anche se si dovrà attendere il 1987 per il suo utilizzo a livello planetario e pazienza se la paternità se la fregò l'ex primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland,

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presidente della Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo e autrice del "Rapporto Bruntland", nel quale il concetto di sviluppo sostenibile viene spiegato esattamente con gli stessi parametri utilizzati dallo scrivente a partire da quindici anni prima: "Soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri". 1984. Renato Federico, alias "Parsifal", personaggio immaginario protagonista del romanzo 3 "Prigioniero del Sogno" : "Quando un uomo sceglie quotidianamente di prendere l'automobile sapendo di restare imbottigliato nel traffico - dice a un certo punto Parsifal - evidentemente non ha più nulla da dare al prossimo. Uomo inutile e dannoso, quindi". 2007. Fabio Mini4, su "Limes": "Il conflitto fra chi aspira al benessere e chi difende il proprio è il paradigma di questo secolo. La manipolazione dell'ambiente ne è il fronte centrale. Da Cartagine all'Iraq, via Vietnam, si distrugge la natura per annientare il nemico. E se stessi. […]La grande paura del buco dell'ozono che ci ha tenuto in ansia per decenni è stata superata da quella del riscaldamento globale.[…] Esso dipende dall'aumento delle emissione dei gas serra, che dipende dalle emissioni inquinanti di biossido di carbonio, che sono in diretta connessione con ciò che consumiamo ed emettiamo tutti: dall'anidride carbonica che espiriamo ai gas che emette la nostra auto nonostante le spese folli per renderla ecologica. […] Si tendono a giustificare le emissioni di chi produce ricchezza e si tende a criminalizzare coloro che inquinano per il solo fatto di dover respirare, scaldarsi, cuocersi un piatto di minestra o soltanto tentare di emanciparsi. Molti si chiedono: se non producono ricchezza che respirano a fare? Se assorbono risorse e inquinano per produrre cose che mi fanno concorrenza perché farli continuare? E se non hanno avuto la macchina fino ad ora perché non continuano ad andare in bicicletta? Si tende anche ad audacia temeraria igiene spirituale assegnare la responsabilità dell'inquinamento non tanto a chi produce la massa delle emissioni, ma a chi produce il differenziale che la trasforma in massa critica. Siccome ciò che emettiamo è esattamente ciò che consumiamo (e tutto ciò che gli esseri viventi consumano è energia), dovrebbe essere facile trovare i veri responsabili dell'inquinamento: basterebbe individuare chi consuma e quindi emette di più. Ma anche questo non è così semplice. La nostra società è detta dei consumi proprio perché il livello di vita e perfino la felicità è misurata in consumi. Ridurre i consumi porta inevitabilmente alla rinuncia ad alcune gratificazioni e ad un abbassamento del tenore di vita misurato su quello standard. Poco importa se si tratta di uno standard insostenibile e insulso in cui il benessere si fonda sul superfluo e sullo spreco. Sono ancora pochi quelli che seriamente pensano di ridurre i propri consumi o di allineare il proprio stile di vita ad uno standard che misuri la felicità e il benessere anche in termini spirituali, di solidarietà, di rispetto dell'ambiente e di umanità". 2010. Romano Prodi, su Limes5. "La globalizzazione polarizza i punti di vista: alcuni credono che essa conduca ai cancelli della salvezza, che il consumismo sia il lasciapassare per la felicità e che frenare gli eccessi del mercato sia fonte di disagi; altri credono che essa sia una "falsa alba", una distruttrice di posti di lavoro, e che i vincenti in un sistema finanziario globalizzato siano le corporazioni di avventurieri e di speculatori i quali capitalizzano sulla volatilità del mercato a spese degli investitori e dei lavoratori produttivi. Queste opposte visioni sono il terreno di coltura


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dell'attuale crisi della governance. […]Secondo me, dobbiamo incoraggiare la ricerca del profitto, ma al tempo stesso fare in modo di darle un volto umano, e aiutare e provvedere a coloro che sono meno capaci di competere e che si trovano marginalizzati". 2011. Laura Penacchi6, introduzione a "Globalizzazione", saggio di Joseph E. Stiglitz: "Per avere crescita occorre più disuguaglianza, perché solo più disuguaglianza è in grado di imprimere il necessario dinamismo alla società". 7 2013. Furio Colombo, su "Il Fatto Quotidiano" : "Abbiamo aspettato la crescita come un Messia salvatore sotto forma di prodotti, di vendite, di profitti, di lavoro che torna, una terra promessa per la quale bastano alcune leggi, alcune sagge mosse di governo, alcuni sacrifici, magari duri ma necessari, che ti traghettano sulla parte salva del mondo. Su una sponda la corsa della civiltà lascerà indietro i neghittosi di un mondo antico e obsoleto che vogliono garanzie prima di dare. Sull'altra il mondo orgoglioso del nuovo profitto e del nuovo reddito, dove ognuno è protettore di se stesso, dunque affidabile. […] Ecco allora schierati tutti i protagonisti del drammatico momento che stiamo vivendo. Il meno discusso dei protagonisti del dramma è la crescita. "Ammettiamo che il suo piano funzioni. Dove metterà tutte quelle auto?" ha chiesto un analista finanziario a Gianni Agnelli durante un incontro a Wall Street negli anni Settanta. "Dove le metterebbero i miei concorrenti", ha risposto l'Avvocato. […] Il pensiero comune vuole "grandi sacrifici" quasi completamente a carico del lavoro, del reddito fisso e dei senza lavoro, e una forte remunerazione ai più forti che si prenderanno l'impegno di trainare il carro fuori dal pantano. "Non è accaduto, perché dovrebbe accadere adesso, quando deregolamentazione e finanza globalizzata, praticamente non rintracciabile, non hanno alcuna ragione di autodenunciare il proprio immenso vantaggio?" si domandano i Nobel Krugman, Stiglitz e Sen. È nella fossa di questa contraddizione che si è incastrato il mito della crescita. Persino chi ci crede poco non riesce a visualizzare o anche solo a concepire come mito e ideale, la "decrescita". Prima cosa, la senti come una perdita. La contraddizione è dirompente e ovvia: milioni di nuove auto sono necessarie per mettere o rimettere al lavoro milioni di lavoratori a tutti i livelli. Per milioni di nuove auto non c'è posto né per parcheggiare né per respirare. Eppure Marchionne, capo della Fiat, può ancora minacciare "me ne vado, con tutta la mia produzione" e seminare il panico. 8 2018. Steve Morgan , su Limes: "La crescita in numero e in dimensioni dei grandi aggregati urbani - particolarmente dinamica in Asia e in Africa - genera più di un motivo di preoccupazione. In questi aggregati vivono popolazioni con consumi superiori alla media, si producono più rifiuti e si emettono più gas serra, si consuma suolo con velocità doppia a quella della crescita della popolazione. Nei paesi meno sviluppati, quasi un terzo della popolazione vive in baraccopoli o in insediamenti informali, con servizi rudimentali, precario accesso a fonti idriche sicure, pessima igiene. Queste persone sono soggette a rischi ambientali, spesso senza titolo a stabile dimora e quindi a rischio di espulsione. In teoria le aree urbane dovrebbero avvantaggiarsi delle economie di scala generate dalle loro dimensioni. La costruzione di strade, di reti di trasporto, di distribuzione di acqua e di energia, se ben pianificata è in teoria relativamente meno costosa, così come l'erogazione di servizi di base per la salute e l'igiene. È però ben noto che la mancanza

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di un'adeguata pianificazione e di un efficiente governo ha impedito quasi ovunque di godere di questi teorici benefici di scala. Il rapido sviluppo della megaurbanizzazione prevedibile per i prossimi decenni minaccia quello "sviluppo sostenibile" che la comunità internazionale si è solennemente impegnata a perseguire. LA SINDROME DELLA CAVERNA DI PLATONE. Il paragrafo precedente potrebbe essere molto più lungo, ma quanto riportato basta e avanza per inquadrare la problematica nel giusto alveo: quello della mancanza di prospettive serie, sia per la cinica protervia di chi è attento esclusivamente al proprio arco temporale terreno e se ne frega dei posteri sia per la difficoltà oggettiva a farsi ascoltare e rispettare da coloro che il problema affrontano onestamente e con la giusta cognizione scientifica. Glissiamo sui primi, perché con loro è inutile perdere tempo, e soffermiamoci sui secondi, su coloro, cioè, che il problema se lo pongono e si adoperano per risolverlo, comportandosi, però, come i prigionieri incatenati nella famosa caverna di Platone, che avevano un visione parziale e distorta della realtà. Parlare di crescita e di decrescita, secondo le modalità che il dibattito tra i fautori delle contrapposte tesi ha assunto negli ultimi trenta anni non ha senso, come dimostrano le pietose condizioni del Pianeta e le politiche dilatorie di governanti piccoli piccoli, incapaci di guardare al di fuori dei propri orticelli. I limiti umani e l'errato approccio al problema sono le principali cause del fallimento dei vari vertici intergovernativi, congressi scientifici e quant'altro, organizzati per discutere dei malanni del Pianeta. E' sbagliato ancorare la crescita sostenibile a presupposti che di sostenibile non audacia temeraria igiene spirituale hanno nulla, perché non prevedono il cambiamento di malsane abitudini; è sbagliato, altresì, utilizzare il termine "decrescita" per sancire una possibile alternativa, anche quando i concetti associati al termine risultino efficaci e condivisibili, come nel caso, per esempio, di una possibile "decrescita del debito pubblico e degli sprechi", concetto valido solo sotto un profilo ideale e propositivo, ancorché destinato a restare tale. E' il termine che spaventa e vanifica anche i buoni propositi. La prima battaglia da combattere, pertanto, è proprio quella delle parole, affinché non si creino pregiudizi condizionanti. Non mi piacciono le autocelebrazioni, ma non è colpa mia se, dall'analisi della realtà contingente, emergono come concetti sensati quelli che, sostanzialmente, rievocano le tesi già propugnate nel convegno del 1977 e nel rapporto del MIT, con i successivi aggiornamenti, ancora oggi la linea guida più valida per migliorare la vivibilità del Pianeta. Basta, quindi, con "crescita" e decrescita" e iniziamo a parlare, semplicemente, di "progresso" associato alla "conservazione della specie". Parliamo sempre e soltanto utilizzando concetti positivi in contrapposizione al male, in tutte le sue forme. Sostenere la crescita con una più equa redistribuzione del reddito, per esempio, teoria cara a Furio Colombo, tanto per citare qualcuno presente nel precedente paragrafo, è uno dei tanti esempi di mistificazione insulsa che non porta da nessuna parte, perché il concetto è inficiato all'origine da un errore prospettico: ogni crescita, arrivata a un certo livello, si arresta,


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per esaurimento delle risorse, per eccesso delle emissioni di sostanze non metabolizzabili dalla biosfera o per semplice processo della natura. Ogni essere umano non cresce "fisicamente" in eterno, il che non impedisce a tanti di "migliorarsi" anche dopo la cessazione della crescita fisica, crescendo, quindi, sotto altre forme in modo "sano", senza penalizzare gli altri. Se non accettiamo questo semplice enunciato, valido anche in economia, è inutile girarci intorno, non ne usciamo. Una volta acquisito, però, non che abbiamo risolto il problema: abbiamo solo misurato la febbre. Occorre, infatti, convincere centinaia di milioni di persone, per lo più collocate nell'emisfero occidentale, che devono cambiare abitudini e stili di vita. E' una parola! Come spiegare agli statunitensi, per esempio, che è non solo stupido ma oltremodo dannoso l'utilizzo smodato dell'aria condizionata? La riduzione dei consumi non può essere legiferata, ma può essere solo inculcata come principio educativo e queste sono altre parole al vento: quanti secoli occorreranno per questa maturazione civile? Non è possibile nemmeno perseguire gli sciagurati che lasciano l'aria condizionata accesa dal venerdì alla domenica sera (negli USA è diffusa questa propensione), perché quando rientrano dal week end non possono permettersi di aspettare cinque minuti per raffreddare la casa: la devono già trovare come una cella frigorifero. Parsifal del romanzo di cui sopra sosteneva, già oltre trenta anni fa, che è "inutile e dannoso" chi decida coscientemente di restare quotidianamente imbottigliato nel traffico. Andrebbe eliminato, quindi, ma i presupposti di civiltà legati ai nostri convincimenti etici non lo consentono e quindi anche le sue sono parole al vento. EDUCAZIONE AI CONSUMI In attesa (lunga attesa) che si creino i presupposti per educare l'umanità a ridurre i consumi e soprattutto gli sprechi, un compito che forse può raggiungere qualche barlume di successo è quello proteso a "orientare i consumi", in modo che le risorse economiche disponibili aumentino il potere d'acquisto. Nel campo psicologico è ben nota una modalità di "problem solving" elaborata dallo psicologo maltese Edward de Bono, denominata "pensiero laterale". Grazie ad essa si giunge alla risoluzione di un problema complesso, dopo averlo affrontato in modo sostanzialmente diverso da quello tradizionale. Per atavico costrutto mentale noi siamo portati a ragionare in line diretta, cercando di individuare la soluzione più logica a un singolo problema. In campo economico, per esempio, il bisogno di possedere più cose c'induce a desiderare di possedere più denaro per acquistarle. Una volta sviluppata l'esigenza, cerchiamo di individuare tutte le possibili soluzioni, adottandone alcune o tutte: richiesta di aumento salariale, con snervanti lotte; tentare la sorte investendo delle somme nel gioco (spesso aggravando la propria posizione); fare ricorso ad attività illecite, a furti e rapine, etc. Questo è un tipico processo di ragionamento verticale, il più delle volte infruttuoso. Con il pensiero laterale, invece, siamo in grado "di aggirare l'ostacolo" e raggiungere la meta per altre strade. Quante persone conoscono i costi effettivi dei prodotti più comuni? Davvero poche. Un'azione "educativa", pertanto, protesa a far comprendere il pazzesco gap tra prezzo equo di un singolo

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prodotto e prezzo effettivo, che consente ai produttori di incrementare sensibilmente gli utili, sarebbe quanto mai opportuno. Quel surplus improvvido, infatti, contribuisce sensibilmente ad aumentare la distanza tra poveri e ricchi, mentre con prezzi equi il divario si ridurrebbe, senza penalizzare i consumi! In pratica, invece di aspirare all'aumento del reddito (cosa molto difficile) si dovrebbe aspirare alla riduzione dei prezzi, obiettivo non certo facile, ma più raggiungibile sol che si creassero i giusti presupposti. Facciamo alcuni esempi. Milioni di persone spendono fino a mille euro per uno smartphone, che viene utilizzato più come must che non per la sua precipua funzione. Questa è una distonia sociale favorita dal mercato, che sfrutta le debolezze dei consumatori. Se si riuscisse a far comprendere che gli smartphone più cari potrebbero essere tranquillamente venduti a meno della metà del prezzo, senza che nessuno ci perda, forse la scossa potrebbe produrre qualche effetto. Non si tratta di ripiegare su prodotti meno costosi, ma di acquistare il prodotto desiderato pagandolo "il prezzo giusto" perché, ovviamente, la riduzione dovrebbe riguardare tutta la linea produttiva, dal prodotto meno caro a quello più caro. Una famiglia di quattro persone, marito, moglie e due figli, va in crociera pagando settemila euro per imbarcarsi su una nave che ospita almeno 3500 persone. Calcolando una media di duemila euro a persona, in funzione delle varie tipologie delle cabine, la compagnia incasserebbe, solo per i costi fissi, sette milioni di euro, ai quali vanno aggiunti gli utili ricavati dalle varie attività di marketing. Volendo calcolare una media di ottocento euro a persona, per le spese varie a bordo, si arriva a circa dieci milioni di euro. (E' appena il caso di ricordare che basta sostituire 3500 con 4000 o 5000 persone, considerato che la maggioranza delle navi raggiunge tale capienza e i soldout sono una costante, e si raggiungono cifre intorno ai venti milioni di euro). Ritornando all'esempio proposto, sottraendo anche il 70% di costi tra ammortamento e spese varie (e presumo di essere stato molto severo), alla compagnia restano comunque tre milioni di utile netto. Cosa succederebbe se l'armatore si accontentasse di guadagnare "solo" 1,5milioni di euro, e quindi tra il 40 e il 60% in meno a settimana sulla sua flotta? Lui vivrebbe lo stesso da nababbo, ma quella famiglia che ha speso settemila euro, potrebbe permettersi la crociera spendendo non più di 5.800 euro, ottenendo, quindi, un risparmio di ben 1.200 euro, che per una famiglia media non sono proprio noccioline. In base a quale logica, se non lo sfruttamento del consumatore rincitrullito, SKY divide lo Sport in ben tre sezioni, facendosi pagare profumatamente per ciascuna di esse? I tifosi (ossia soggetti "deboli", perché il tifo sportivo è comunque una psicopatologia) pur di guardare una partita, anche brutta e senza gol, sarebbero capaci di indebitarsi; se tutti, però, avessero il coraggio di disdire l'abbonamento e far trapelare l'idea che lo sport comprende tutte le discipline sportive e che sarebbe logico avere un unico abbonamento (con costo "onesto") per tutti gli eventi trasmessi, sicuramente il vertice societario sarebbe indotto a rivedere le strategie commerciali. Allargando questi presupposti a tutti i prodotti è facilmente intuibile il grosso vantaggio per i consumatori e non solo: la riduzione dei prezzi favorirebbe l'acquisto di altri prodotti, sostenendo l'economia di mercato e migliorando la qualità della vita. Mi sa, tuttavia, che anche


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queste, come quelle pronunciate nell'ultimo mezzo secolo, resteranno parole al vento. DEDICA Mentre scrivo la parte finale di questo articolo, all'alba del 15 marzo, in tutto il mondo milioni di giovani si apprestano al "Global Strike for future". L'iniziativa è stata promossa da una giovane ambientalista svedese, Greta Thunberg, che al vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutosi a Katowice, in Polonia, il 14 dicembre 2018, così rampognò i grandi della Terra: "Voi parlate soltanto di un'eterna crescita economica verde poiché avete troppa paura di essere impopolari. Voi parlate soltanto di proseguire con le stesse cattive idee che ci hanno condotto a questo casino, anche quando l'unica cosa sensata da fare sarebbe tirare il freno d'emergenza. Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno. Lasciate persino questo fardello a noi bambini. [...] La civiltà viene sacrificata per dare la possibilità a una piccola cerchia di persone di continuare a fare profitti. La nostra biosfera viene sacrificata per far sì che le persone ricche in Paesi come il mio possano vivere nel lusso. Molti soffrono per garantire a pochi di vivere nel lusso. Se è impossibile trovare soluzioni all'interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema". Avevo venti anni quando fondai "l'Associazione Nazionale Salvaguardia Ecologica" e per quarantaquattro anni sono stato il più giovane ambientalista al mondo a capeggiare un movimento ambientalista. Greta, nel settembre 2018, ha fondato il movimento studentesco "Fridays for Future" e di anni ne aveva solo quindici. Le passo con commosso affetto lo scettro dell'ambientalista impegnata più giovane al mondo, quindi, ben felice che il suo movimento si stia affermando a livello planetario. Le dedico di tutto cuore questo articolo e spero sinceramente che le sue "azioni" siano suffragate da grande successo, proprio nel rispetto di una sua precisa esortazione: "Abbiamo certamente bisogno della speranza. Ma l'unica cosa di cui abbiamo bisogno più della speranza è l'azione". La dedica è sentita, ma anche opportuna e doverosa. Come italiano, infatti, ho la presunzione di parlare a nome della parte sana del paese e quindi, idealmente, è tutta la "buona Italia" che plaude alla giovane ambientalista. Fino a questo momento, però, l'unica dedica ufficiale partita dall'Italia in suo onore è quella di un certo Nicola Zingaretti, dopo la nomina a segretario di un partito nefasto e pericoloso. Un gesto offensivo, quindi, falso e strumentale, non fosse altro perché subito dopo si è precipitato a manifestare per la realizzazione del TAV, opera che, come noto, contrasta nettamente con i principi di un sano ambientalismo, di un corretto uso del pubblico denaro e dello sviluppo sostenibile. In pratica il tipastro si è comportato alla stregua di quei delinquenti che dormono con la bibbia sul comodino e il quadro di Padre Pio alle pareti, cercando di mascherare le proprie malefatte spacciandosi per rispettosi osservanti dei precetti cristiani. Non era proprio possibile glissare su questo scempio, che sporcava la candida figura di una persona pura. Tanti auguri, Greta. Il mondo intero, quello buono, attende di vederti nel Municipio di Oslo, a dicembre, mentre ritiri il Premio Nobel per la Pace. Te lo sei meritato. Lino Lavorgna

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NOTE 1) Va ben spiegato, a tal riguardo, che il rapporto sui "limiti dello sviluppo" subì un sistematico boicottaggio dal potere politico, supportato anche dai soliti "servi titolati" che, dall'alto del loro ruolo accademico, dietro laute prebende, cercavano di sminuirne la portata. Molte primarie associazioni ecologiche erano in stretta connessione con il potere politico, con quante possibilità di una seria attività ancorata alle tematiche proposte dagli scienziati del MIT è facilmente intuibile. 2) Mi fa piacere citare gli altri relatori, tutti insigni studiosi e per buona parte cari amici anche del direttore di questo magazine: Antonio Parlato, avvocato, futuro parlamentare (1979 -1986) e presidente regionale dei GRE; Giuseppe Campanella, neurologo, psichiatra, psicologo, docente universitario; Luciano Schifone, avvocato, giornalista, direttore di Radio Odissea, direttore del centro culturale "La Contea", futuro consigliere regionale e parlamentare europeo; Pietro Lignola, magistrato, docente universitario; Giuseppe Sermonti, biologo, docente universitario; Domenico Orlacchio, architetto, docente universitario; Marcella Zanfagna, avvocato, consigliere regionale e futuro parlamentare; Gabriele Addis, esperto problematiche nucleari; Alessandro Di Pietro, presidente nazionale GRE e futuro conduttore televisivo. Presente anche il dottor Arcella, che parlò del problema delle droghe come mistificazione delle coscienze, del quale non ricordo il nome, purtroppo non reperito nel carteggio relativo all'evento, parte del quale smarrito. 3) Lino Lavorgna, "Prigioniero del Sogno", Edizioni Albatros, 2015. Il romanzo nacque come sceneggiatura cinematografica candidata al concorso "Rai 3 per il Cinema", 1983. Furio Scarpelli, presidente della giuria del concorso, suggerì di trasformarlo in un romanzo, cosa che è avvenuta molti anni dopo. 4) Fabio Mini è un generale di corpo d'Armata che ha svolto importanti missioni al servizio della NATO e dell'Esercito Italiano. E' tra i massimi esperti di geopolitica e strategia militare. I brani citati sono tratti dall'articolo "Owning the Weather: la guerra ambientale globale è già cominciata"; Limes, novembre 2007. 5) "La fame ci sfida", Limes, settembre 2010 6) Farneticante economista sinistrorsa, parlamentare per tre legislature e sottosegretario di stato nel Governo Prodi. 7) "Crisi, l'ora della scelta tra crescita e decrescita". Il Fatto Quotidiano, 2 aprile 2013. 8) Steve Morgan è un analista di scenari globali, nato in Martinica, membro di "NEODEMOS", associazione che si occupa di popolazione, società e politica, legata al periodico "Limes". I brani citati sono tratti dall'articolo "Le conseguenze delle megalopoli", Limes, gennaio 2018.


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QUANDO IL NOMEN E’ UN ARTIFIZIO Caro direttore, è superfluo dirti l'affetto che ti porto e la stima e l'ammirazione che nutro nei tuoi confronti ma, ed ecco il motivo della premessa, non ho compreso il senso del tema di questo numero: crescita o decrescita (anche con riferimento all'ambiente). Sicuramente, partorita dalla tua sesquipedale mente, una ragione l'avrà senz'altro ma, onestamente (nella mia pochezza), riesco a trovare pochi agganci per sviluppare il confronto richiesto. Anche perché, detta così, la risposta non potrebbe che essere 'crescita'. Chi mai vorrebbe decrescere? Nemmeno Martina, sono certa, potrebbe architettare una proposta simile seppur per denegare l'opera dell'attuale governo. Chissà se Zingaretti, rumor di scopa nuova, non possa arrivare a concepire una qualche fantastica ragione per rifiutarla se 'pianificata' da Di Maio o da Salvini. Il riferimento all'ambiente, poi, mi spiazza ancora di più: c'entra, per caso, la TAV e le lagnanze ecologiche del movimento antagonista nonché la decisione dei pentastellati di bloccarla? Se così fosse, sarebbe da pensare che il non voler procedere sulla TAV, sia pur per motivi pseudo-ambientali o economici o finanziari, si tradurrebbe in un danno alla 'crescita' o addirittura in una decrescita mentre il farla consentirebbe un positivo risvolto. Non so se il riferimento sia attinente ma, dando ipoteticamente per accertato che lo sia, vediamo di ragionare un momento sul predetto argomento. Se prendessimo il problema asetticamente, avrebbe senz'altro ragione di Maio. Mi fa un po' fatica ammetterlo perché come provavo disagio a parlare di/con trinariciuti, analogamente lo provo a parlare di fondamentalisti. Il fatto, comunque, è che i vantaggi di tale realizzazione, elencati quasi vent'anni fa nel relativo progetto europeo, sono rimasti nel libro dei sogni. Una linea che colleghi Lisbona a Kiev è una iniziativa che dovrebbe far riempire i cuori di orgoglio europeo, dare un senso di casa comune ma, al di là della riottosità dell'Italia, non risulta che il Portogallo si sia attivato in tal senso né, tantomeno, c'è contezza che la Spagna, da un lato, e gli ex PECO dall'altro si siano nemmeno progettualmente attrezzati per il corridoio 5, la tanto discussa TAV. E questo senza considerare che oggi le merci arrivano per lo più dall'est e si muovono nel nostro continente sull'asse nord-sud sfruttando il sistema portuale, mentre sull'asse est-ovest sono in costante diminuzione da quattordici anni, sia su ferro che su gomma. Peraltro, il traffico totale Italia-Francia, in tutte le modalità attraverso tutti i valichi, è in costante diminuzione qualunque sia il periodo scelto per i confronti. Il motivo è noto: Italia e Francia sono due economie mature tra cui prevalgono scambi di sostituzione, che lasciano sostanzialmente

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immutato il flusso materiale di merci indipendentemente dal buon andamento dei PIL dei due paesi. Allora, come avrebbe detto Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: perché dare vita semplicemente ad un pezzo di TAV di nessun valore strategico? Perché decantarla come un fattore di crescita, collettiva e individuale, quando tale affermazione non corrisponde al vero? Se ne potrebbe tradurre, quindi, che il farla (il 'nostro' pezzo) sarebbe motivo di decrescita visti gli impegni economico-finanziari necessari. Tuttavia, di contro, c'è (purtroppo) un altro ragionamento da fare: vista l'annosità del progetto che la presiede, non risulta che alcuno dei Paesi (virtualmente) interessati abbia sollevato il benché minimo dubbio, né tantomeno (allora) si sia evidenziata la benché minima rimostranza su questioni ambientali. Un coro di assensi ha accompagnato il suo varo e un ottundente silenzio si è protratto fino all'inizio dei lavori pochi anni or sono. L'avvio, comunque, c'è stato e, in ogni caso, è un'opera pubblica che comporta volanizzazione dell'economia e occupazione. Quindi, a farla (sempre il nostro pezzo e molto schematicamente), se ne può configurare un fattore di crescita. Resta l'aspetto ambientale il quale dovrebbe consentire una valutazione inequivocabile. E, invece, anche in questo il punto di vista può influire o meno sulla cosiddetta 'crescita'. L'ILVA docet. È preferibile ignorare per decenni l'opera altamente meritoria dell'ILVA ai fini dell'incremento delle patologie e avere così un buon piazzamento europeo nel settore siderurgico oppure è meglio serrare l'untore e incappare nelle scudisciate dei benpensanti economisti della domenica che hanno denunciato come sconsiderata l'opera di un magistrato che propende per la difesa della salute? Il Ministero dell'Ambiente, inoltre, ha cambiato atteggiamento? Ha azzerato le decine e decine di richieste di VIA giacenti sui tavoli di Via Cristoforo Colombo? Ha sanato la posizione di circa diciotto impianti considerati al limite della legge o addirittura fuori? In sostanza, ha deciso per una 'crescita' a prescindere (come avrebbe detto Totò) oppure si sta indirizzando verso la punizione dei 'furbetti' (che termine desueto!) che incrementano il PIL in maniera disinvolta? E le associazioni ambientalistiche hanno ritrovato il mercurio del termometro o per farsi un'idea continuano a poggiare la guancia sulla fronte del malato, raffreddata artatamente dalle scolle? Naturalmente, sempre nell'ottica del PIL, è ovvio. Ed a proposito del tanto caro 'prodotto interno lordo' che fino a non molto tempo fa ponderava mutande di lana e ignorava i computer e oggi è giunto a considerare la 'corruzione' e l'economia derivata ai fini di stimare con maggiore aderenza la 'salute' del Paese, siamo certi che le correnti valutazioni, operate con tanta dedizione dai maghi di Agharti nel mitico regno di Sham bha lah, corrispondano al vero? Io non credo, direbbe Crozza imitando Razzi. Non lo credo perché perdendo l'oggettività si può ponderare l'effimero quanto si vuole: sempre tale resta. Ciò che importa è la tendenza la quale, a sua volta, tiene conto del marketing oriented e del design dell'immateriale per sfornare un prodotto che si confà al luogo e al tempo, agli usi e ai costumi, alle tradizioni, alla cultura del target da 'colpire'. Inoltre, a prescindere (ancora) per un attimo dai buoni maghi della statistica, come si può


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misurare lo stato di salubrità del Paese quando la minaccia deriva da fattori esogeni, da potenti maghi di Atlantide, al di là delle colonne d'Ercole? La nostra bilancia commerciale è in attivo ma reggerà ad un'estensione della guerra dei dazi? E la risposta dell'Unione quale sarà? Riuscirà, in un soprassalto d'orgoglio, ad allargare la sua ipotetica sfera di ritorsione dai Lewis e dalle Harley Davidson? Eh! Ma questo è in mente Dei, potrebbe dire qualche persona istruita e al dentro di teologia. Già, ma quando tra i fattori esogeni riscontriamo quelli che hanno assunto caratteristiche di retrovirus che utilizzano la trascrittasi inversa per convertire il proprio genoma da RNA a DNA durante il proprio ciclo di replicazione? Sto tristemente scherzando, ma non troppo. Mi basta un esempio. François-Marie Arouet, in arte Voltaire, si ritrovò un giorno a dire che 'l'ottimo è nemico del buono' attribuendo tale affermazione ad un saggio italiano. Peccato che mia nonna non lo sapeva perché ne aveva fatta la sua attestazione preferita credendola frutto della saggezza popolare. Ma forse nemmeno gli 'istruttori' occulti lo sapevano, i quali anziché rifugiarsi in Egitto, sono scampati all'attenzione del teosofo Scott Elliot per dirigersi verso Bruxelles. È nota la decisione europea, mossa nell'ottobre scorso dagli scranni comunitari, di ridurre del 40% le emissioni di CO2 entro il 2030: una determinazione che ha vieppiù (direbbero le persone colte) incentivato la corsa verso l'elettrico nella trazione: così l'offerta si è aperta e spazia dagli ibridi agli elettrici puri, con o senza plug-in. Deus vult, avrebbe detto lo santo monaco Pietro l'eremita chiamando alla crociata. Ma l'uomo della strada non può conoscere la vastità del pensiero dell'Uno, è confuso, frastornato: prima il diesel era la soluzione ottimale dati i bassi costi di esercizio, poi 'il' benzina è divenuto salvifico contro le polveri sottili e le affezioni bronchiali dei poveri milanesi e torinesi alle quali però, si poteva porre rimedio mettendo la lambda al diesel. E, infine, l'elettrico è la risposta ai mali dell'umanità. Qualcuno, naturalmente improvvido, potrebbe chiedersi perché l'European Commission (è andata a scuola di americanismo), limitando le emissioni di qualunque tipo in Europa, consente liberamente ad aziende europee di inquinare in siti extra europei, in prevalenza asiatici e africani, ma questa è una domanda che l'uomo della strada non ha neppure le basi per porsela. Egli è semplicemente alle prese con la confusione che regna sovrana: entro il 2020, '22, '25, il diesel al bando. No. Nessun bando. Sarà loro vietato l'ingresso nei centri storici. Neppure. Saranno scoraggiati dall'ecotassa. Nemmeno. Questa agirà solo per le vecchie auto e, nel contempo, verrà incentivato l'acquisto di nuove vetture ibride o elettriche. Il bello è che la rosa delle ipotesi non si esaurisce con la sintesi suesposta perché alle disposizioni governative si sommano quelle regionali e, addirittura comunali che determinano una sorta di caleidoscopio dalle sfaccettature in costante movimento. Per cui mi chiedo: in virtù di quale impulso l'uomo della strada dovrebbe precipitarsi a comprare un'autovettura, peraltro dopo l'impennata del 3° trimestre dello scorso anno? È indeciso e a tale indecisione si deve la flessione di ben il 18% sull'immatricolazione. Altro che decrescita. Ma la sua perplessità non è data solo dal tipo di trazione. Le ibride, in

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prevalenza giapponesi, adatte alle tasche degli italiani sono poche e, diciamolo, sono brutte per il nostro gusto. Le belle costano. E l'incentivo non consente di superare il gap delle tasche. E tutto questo in nome dell'ambiente, si pensi un po', e della libertà di consumare adeguatamente informati. Peccato che nessuno abbia informato la musa dei girondini, la viscontessa Marie-Jeanne Roland de la Platière quando, prima di essere decapitata dalla ventata di libertè, dichiarò inopinatamente: "O Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!". Chissà se qualcuno ha letto l'intervista rilasciata da Alberto Bombassei, il signor Brembo, leader nel mondo dei sistemi frenanti, nel gennaio scorso ad un giornalista del Sole. Ebbene, al fine di non distorcere mi picco di riportare brani della predetta intervista: Bombassei: "Oggi c'è un grande entusiasmo per l'auto elettrica. Nessuno, però, considera il suo impatto sociale. In Europa, se smettessimo di produrre macchine a gasolio o a benzina e facessimo soltanto più auto elettriche perderemmo un lavoratore su tre. Compri il motore, compri la batteria e il 60% del valore dell'auto ce l'hai. Ma un milione di europei non avrebbe più una occupazione". Questo è l'esordio. Intervistatore: La domanda vera è: l'auto elettrica è un progresso sostanziale sul piano (fondamentale) delle emissioni? Se sì, l'industria europea dovrà cogliere la sfida. Negli ultimi decenni il made in Germany ha fatto utili spaventosi in tutto il mondo, mettendo in ginocchio due delle Big Three americane. Perché ora dovrebbe essere protetta da concorrenti più pronti a cavalcare questa nuova forma di mobilità? E il sig. Brembo: "L'Europa ha inventato il diesel. In Germania, in Francia e in Italia è stata costruita negli ultimi sessant'anni questa specializzazione produttiva. Come è possibile che non ci si renda conto che, nelle loro ultime versioni, i motori a gasolio inquinano, complessivamente, meno di quelli ibridi? Nessuno contrasta le lobby dell'elettrico, formate soprattutto da chi produce e da chi distribuisce elettricità… In Italia, la misura governativa dell'ecobonus… è fondata sulla applicazione degli stessi principi, che non tengono conto né del reale impatto ambientale dei motori di ultima generazione né dell'approvvigionamento di elettricità dalla rete né dello smaltimento delle batterie". Allora, a maggior ragione chi ha letto il Sole, ce lo vediamo andare bel bello bel bello ad acquistare un'auto? Mi fermo qui. Ma nell'intervista si fa cenno alla Germania, alla sua produzione e al possibile rallentamento. Del resto, sappiamo che il suo PIL, quest'oggetto misterioso che assomiglia alla bacchetta di Albus Silente di potterriana memoria, è in frenata (mò ci vuole), dimezzato rispetto alle previsioni. Sappiamo anche che il 40% della componentistica delle vetture tedesche la produciamo noi italiani? E l'European Commission lo sa? Forse quel tale organismo è amante solo della bella musica italiana. No. Non 'O Sole mio' che è appannaggio degli italo-americani bensì di quella pucciniana, amata dagli americani veri. E chi, tra gli appassionati del genere, non ricorda la celebre aria della Bohème 'Sono andati? Fingevo di dormire'? La magistrale opera degli 'istruttori occulti' non si arresta mai e ci protegge, persino da noi stessi. Entro il 2021, nel territorio dell'Unione dovranno essere posti al bando tutti i prodotti monouso in plastica: piatti, bicchieri, cannucce, miscelatori per bevande, ecc. ecc.


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La ventata ecologista non conosce tregua, altro che l'opera degli inquisitori del XV secolo che per arricchire i verbali degli interrogatori furono costretti ad inventare l'obsculatio ani per dimostrare la sudditanza perversa del 'posseduto' verso l'essere malefico per antonomasia, il Diavolo. Un'isola di plastica, grande come la Lombardia, … no, la Lombardia e Veneto… ma sì, abbondandis in abbondandum, avrebbe detto il grande blasonato partenopeo Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, in arte Totò. Grande come la Francia, quest'isola di plastica galleggia nel Pacifico e non sia mai le correnti dovessero addurvi i residui degli improvvidi consumi degli europei, correremmo il rischio di scoprire le attinenze dell'arte precolombiana tra i Paesi mesoamericani e l'isola di Pasqua. Peccato che nei Paesi rivieraschi del Pacifico non ci sia la potente Assocarta nostrana perché, altrimenti, ben prima sarebbe emersa all'attenzione mondiale la terrificante parodia di Atlantide. E, in ogni caso, meglio prevenire che curare afferma la saggezza popolare. Comunque, vogliamo mettere i rilasci della plastica? Questa demoniaca derivazione del tanto deprecato petrolio? Possiamo mai arrivare ad immaginare le tremende micro-particelle che, subdole, si depositano nell'acqua, nel caffè, nelle bevande, nel cibo che noi suggiamo o mastichiamo, inconsapevoli, durante i momenti di relax delle pause da lavoro o al mare o durante i picnic quando non c'è una lavapiatti o un lavello a disposizione per nettare piatti di ceramica, bicchieri di vetro e stoviglie di metallo? Eeeh! No che non ci riusciamo e restiamo tranquilli e sereni mentre l'accumulazione delle insidiose micro-particelle farà emergere danni al nostro organismo nei prossimi duecento anni. E però già vedo all'orizzonte torme di scarmigliate massaie, impiegate arruffate, nonnine atterrite e spettinate che avanzano al pari del Quarto Stato del piemontese Giuseppe Pellizza da Volpedo chiedendo a gran voce che vengano alleviati i loro carichi di lavoro e che vengano rispettate misure igieniche. Igiene? Beh! Certo. Si può immaginare in un posto di lavoro una sfilza di bicchieri in vetro da continuare a lavare con cura? Non temano le massaie perché l'industria lavora per loro. In alternativa, avremo bicchieri, piatti e posate di carta sempre monouso. Un momento …. e l'impermeabilità e la consistenza di questi oggetti di carta? Sarà garantita dalla paraffina della quale sono imbevuti. Ma … la paraffina non è anch'essa un derivato dal petrolio? Certo ma, come avrebbe cantato De Gregori, tutto questo Alice non lo sa. A questo punto, ci starebbe proprio bene "ma io non ci sto più e i pazzi siete voi" proseguendo sull'onda degregoriana ma a che servirebbe? I massmedia, anziché educare sulla corretta gestione dei rifiuti, criminalizzano il singolo prodotto mentre presidi accorti vietano addirittura che in classe si portino merendine dal rivestimento in filmpack. Un po' come il divieto dei crocifissi nelle aule italiane. Non sia mai detto. Perciò, che ci vogliamo fare, così va il mondo per cui 'crescita' e 'decrescita' continuano a turbare il sonno degli uomini di buona volontà che si macerano nel dubbio di aver contribuito a determinare il dissesto delle casse dello Stato per il semplice fatto di riscuotere una pensione, in un clima da Torquemada che ai fini del risparmio colpisce unicamente il vitalizio del parlamentare anziché farlo lavorare, mentre come incentivo per la gente prevede le scarpe sinistre. Si dice che Achille Lauro insegni.

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Ma poi, diciamocela tutta. All'atto pratico, attesi gli esempi, a chi dovrebbe veramente interessare la 'crescita'? Lo scorso numero cennavo al rapporto Oxfam presentato a Davos secondo il quale la ricchezza si accentra progressivamente in sempre meno mani mentre si allarga la platea di coloro che hanno sempre meno. Mancano gli strumenti di ripartizione del reddito prodotto (ovviamente in caso di crescita, e che Madonna). Per cui, si può anche essere ricchi d'ingegno, vedere un incremento degli ordini della produzione (che, peraltro, quello attuale, ad eccezione dell'auto, sconfessa le Cassandre della recessione) osservare i differenziali positivi della bilancia commerciale, ottenere impennate sull'export, avere una botta di culo e veder scendere lo spread, ottenere addirittura un avanzo primario e, comunque, prenderlo in quel posto. L'abisso tra chi ha e chi non ha continua ad allargarsi. Ovviamente, non me la sto prendendo con l'attuale Governo. È insediato da appena dieci mesi e questo Paese, insieme alle difficoltà internazionali, sconta oltre un ventennio di immobilismo e di sudditanza, alternativamente operate da una destra vanesia e da una spenta sinistra. Ma tutto questo mi porta a dire che 'crescita' e 'decrescita' sono degli astrusi concetti che non significano assolutamente alcunché per la maggior parte della gente. Fa differenza per un ergastolano un supplemento di pena per una tentata fuga? Ho concluso, caro direttore, e nello scusarmi per il linguaggio veloce e poco convenzionale, tra tante boutade che in questi anni abbiamo ascoltato, consenti che io avanzi la mia: perché abbiamo abbandonato l'espressione 'progresso' per sposare la 'crescita? Io che sono di un'ignoranza crassa (lasciami dire) sono andata su un vocabolario della lingua italiana, il DevotoOli, e ho letto: Crescita: aumento di dimensione, per lo più connesso con lo sviluppo. È quel 'per lo più' che ti frega e la 'dimensione', abbinata alla 'crescita' ti spinge verso pensieri da caserma. Mentre Progresso è l'acquisizione da parte dell'umanità di forme di vita migliori e più complesse, specialmente in quanto associate all'ampliamento del sapere, delle libertà politiche e civili, del benessere economico e delle conoscenze tecniche. Ed ora, per piacere, mi si venga a dire che non c'è differenza. Nella speranza di non essere uscita dal vaso e nel rinnovarti affetto e stima, sinceramente tua Roberta Forte


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ANATOMIA DI UN PARADOSSO Crescere o decrescere ? : "questo è il dilemma ….. morire, dormire. Dormire, forse sognare" ("Amleto", Shakespeare). Domanda difficile, risposta facile: in entrambi i casi, siamo fottuti! Il nostro mondo è condannato. Ci si trova infatti in una situazione da " Catch 22" di helleriana memoria, una sorta di "deadlock" oppure, se volete (per quanto concerne l'indifferenziata affermazione: "l'economia deve assolutamente crescere o decrescere") di paradosso di Epimenide (VI secolo a.C.) del tipo : La frase seguente è falsa, la frase precedente è vera. Sulla auspicata CRESCITA dell'economia mondiale, misurata dal PIL (sulle cui paradossali implicazioni - e mi scuso profondamente per l'autoreferenzialità - rinvio cortesemente a quanto "CONFINI" mi ha gentilmente concesso di commentare sul suo n° 70 del Dicembre 2018 con il mio articolo: "Fondamentalismi ? - che dire di Sua Maestà il PIL ?" - ) non c'è molto da aggiungere, tranne che sbizzarrirsi con la fantasia sulle disastrose conseguenze di un acritico, costante aumento planetario di detto discutibile indicatore economico. Sulla prospettiva invece di un'eventuale DECRESCITA, felice?, dell'economia mondiale (ebbene sì, c'è chi la teorizza!) c'è da stendere soltanto un velo di filosofica, pietosa indulgenza. A chi crede infatti che nell'odierna situazione socio-economica del nostro mondo si possa ipotizzare una tale forma di VOLONTARIA utopia andrebbe conferita la cittadinanza onoraria del pianeta Marte. Egli infatti non apparterrebbe agli abitanti della Terra. Ci si rende conto infatti che nell'odierno, de-culturalizzato vivere contemporaneo (dai pochissimi ricchi e dagli innumerevoli poveri) imperniato unicamente sullo "Here and Now" non ci è data purtroppo alcuna alternativa alla costrizione di dover vivere in compagnia di una costante crescita, senza se e senza ma, del maledetto PIL? Che non può certamente esserci per gli occidentali, o occidentalizzati, giovani contemporanei (e forse anche per i meno giovani) ragione di vita alcuna senza una totalizzante, individuale aspirazione al consumo e/o al divertimento, coniugata con la planetaria tendenza della maggioranza del mondo studentesco di dirigersi verso future professionalità tutte acriticamente volte ad attività commerciali e/o alla creazione di "start up" economiche mirate esclusivamente alla produzione ed alla vendita di beni di consumo (siano essi, indifferentemente, di tipo materiale o immateriale)? Può il pianeta reggere tale forzata superproduzione di beni e servizi accompagnata da bulimico consumismo?

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"Mala tempora currunt sed peiora parantur"? Ovvero ed al contrario, si riuscirà ad esorcizzare felicemente quell'inelegante termine usato al secondo capoverso del presente mio scritto per definire le nostre future prospettive? Nessuno può saperlo, chi vivrà vedrà. Si stia comunque tutti sereni e tranquilli; in entrambi i casi, di Crescita o di Decrescita, la Terra continuerà a girare intorno al proprio asse ed il totemico PIL proseguirà, almeno per il prossimo, prevedibile futuro, a svolgere il suo ruolo di sommo metronomo della complessiva felicità esistenziale degli esseri umani. Roma, 5 marzo 2019 Antonino Provenzano


POLITICA

UN COMPLEANNO DA DIMENTICARE Pessimo compleanno quello dell'Italia. Nessuna riforma alla vista, un governo di quasi separati in casa, elezioni europee in avvicinamento (con o senza gli inglesi?), opposizione inconsistente. Non c'è da stare allegri, soprattutto per le prospettive economiche: ristagno, debito pubblico crescente, diseguaglianze in crescita, povertà in aumento, smarrimento alle stelle. Certo, il "capitano" ha arginato l'immigrazione e questo è un bene, ha facilitato l'andata in pensione di molti, perlopiù dipendenti pubblici e questo è un bene almeno per quanti riusciranno a pensionarsi, certo, Di Maio ha varato un "reddito di cittadinanza" piuttosto velleitario perché punta al funzionamento dei centri per l'impiego, come fossimo in Germania ed è difficile che questo sarà un bene se non per i 6000 "navigator" da assumere. Sul fronte economico si escludono nuove tasse, anzi si fanno promesse di drastiche riduzioni e ci si gioca la carta cinese nella speranza che i "musi gialli" investano nel Belpaese, casomai comprando anche un po' di debito e, forse, sottovalutando il fatto che la Cina è sempre un Paese comunista, quindi a priorità politica prima ancora che economica e che è il solo Paese comunista ad averla spuntata anche sul piano economico. Il "timeo Danaos et dona ferentes" dovrebbe essere, in questo caso, fortemente considerato. Ma, come spesso accade, in Italia ci si crede più furbi di ogni altro, anche di quelli già esistevano mille anni prima della fondazione di Roma. Nulla contro i cinesi, da parte di chi scrive, sia chiaro. Anzi tanto di cappello verso un popolo pieno storia, di dignità e di capacità. Se l'immigrazione fosse stata solo cinese non avremmo avuto le tensioni che abbiamo con gli altri. Lavorano duramente, intraprendono, producono, si rendono sempre autonomi, non chiedono assistenza, raramente delinquono nonostante la "mafia cinese". Come ospiti nulla da eccepire se non il fatto che socializzano essenzialmente fra di loro, i soli dubbi potrebbero nascere nel chiedersi se la capillare presenza cinese in ogni buco della vecchia Europa sia solo frutto di necessità e scelta dei singoli. Ma la "carta cinese", anche se fosse magistralmente giocata, difficilmente alleggerirebbe i problemi economici. Cosa di cui i governanti sono ben consapevoli, tant'è che hanno provato a metter le mani sulle riserve auree, salvo a scoprire che non sono propriamente nella disponibilità dei governi. Ai tempi della Roma repubblicana, in caso di necessità economiche si spremevano le province fino a lasciarle esangui, ma l'Italia moderna non né province, né imperi. Quindi la partita va giocata in casa. Tutti i governi dalla fondazione della Repubblica hanno utilizzato, per la bisogna, la spremitura

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POLITICA

dei cittadini. Tanto che gli italiani sono tra i più spremuti al mondo, quando non c'era molto altro da spremere si è alimentato il debito pubblico che è diventato immane. E' la via scelta dall'attuale governo per finanziare le sue prime misure fidando nello "stellone". Ma il futuro appare fosco. Non si può risparmiare via riforme istituzionali, ad esempio, abolendo le regioni, perché per la Lega sarebbe un suicidio, nonostante i costi spropositati del regionalismo italico, Non si può neanche risparmiare riducendo il welfare, i Cinquestelle ne morirebbero. Guarda caso cominciano a circolare calcoli sul risparmio dei cittadini, una quarantina di miliardi l'anno e, guarda caso, si dice che si tratta di risorse sottratte agli investimenti... Ergo si tornerà, in un modo o nell'altro, alla spremitura dei cittadini. Pierre Kadosh


ECONOMIA

E’ LA EPSILON A FARE LA DIFFERENZA Forse, a Fitch, la nota società di rating, sembrava poco confermare la valutazione sull'Italia già espressa lo scorso anno di BBB con outlook negativo. Per inciso, in termini di valutazione saremmo al pari di Romania (BBB-) e di Bulgaria (BBB). Così, tanto per giustificarsi, ci ha aggiunto che, secondo lei, il governo attuale più in là di giugno non andrà. Mi chiedo, con una punta d'invidia, dove andranno a prendere queste mirabolanti palle di vetro… forse le hanno fregate alla Sibilla la quale, poverina, si sta disperatamente guardando attorno in una vana ricerca. Come potrà fare, meschina, a coniare mitiche frasi di risposta al soldato implorante, quali ibis redibis non morieris in bello? 'Andrai, tornerai, non morirai in guerra' ma anche 'Andrai, non tornerai, morirai in guerra'. Dipende. Ovviamente dalla virgola, a seconda di dove si posiziona. Un po' come la recente previsione di caduta del governo… Col punto interrogativo? Con i puntini di sospensione? Col punto esclamativo? E' sempre una questione di segni di interpunzione. La traduzione del responso della Sibilla scaturiva dagli eventi, dalle condizioni strategiche, politiche, economiche, dai flussi dei barbari, dall'estensione delle parentele del soldato e da un'infinità di altre considerazioni che facevano propendere per riconoscere come preveggente, in ogni caso, il responso della Sibila. Sia che si fosse salvato, sia che fosse morto. Già, ma chissà perché mi viene in mente l'escatologia la cui radice dal greco antico è 'eskatos', il fine ultimo, il destino. E nel contempo ricordo, per dirla con Manzini, che 'puzza', sempre in greco antico, si potrebbe tradurre con 'katos'. In sostanza, se prima era una virgola a fare la differenza, stavolta si tratta di una epsilon a denotare la discrepanza tra il 'destino' e la 'puzza' che, in via traslata, è 'cacca'. In questo caso, dipende dalla pronuncia. E se il lettore fosse dislessico, più o meno strumentalmente? Allora, siamo alla liaison funzionale tra eskatos e katos, ad un destino di cacca. Me le vedo le sedi di Londra e di New York, tutto cristallo e acciaio, piene di giovani volenterosi, guidati da smagati dirigenti appena appena incanutiti, incravattati e strizzati in camicie slim fit, tutti estremamente smart, che tengono sotto costante controllo la resa dei potentissimi computers, collegati con la sede italiana, i quali monitorizzano in tempo reale le affermazioni di Di Maio, quelle di Salvini, l'arcata sopraccigliare di Conte, le votazioni in Abruzzo, l'umore del popolo del web, il funzionamento della piattaforma Rousseau, l'atteggiamento dei disoccupati organizzati, il flusso delle maree e l'attrazione lunare, le esplosioni solari, lo stato dei rifiuti e le buche stradali.

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Sinapsi pronte a cogliere il benché minimo fruscio, brusio, sibilo. Persino una fetecchia non passa inosservata per valutare se è frutto di stizza da stitichezza o se deriva da un appagamento, dalla soddisfatta rilassatezza della pausa postprandiale durante il chilo. Ma veramente il mondo si è ridotto a questo? A fare la fila nell'antro per ascoltare il vaticinio dell'oracolo? Mancava la epsilon ad avvalorare la discrepanza quando le tre società di rating, che hanno l'obbligo di certificare la qualità di ogni emissione di nuovi titoli sul mercato, hanno dato ampio placet all'emanazione di 'titoli spazzatura', i cosiddetti derivati, che sono stati e sono la causa della crisi che travaglia il mondo da ben undici anni. E chi ne sa qualcosa ritiene che non sia ancora finita. E sempre la epsilon mancava quando venne concessa la tripla A alla Lehman Brothers fino al giorno prima che fallisse, dando il via alla mattanza planetaria. La procura di Trani, su denuncia di Adusbef e Federconsumatori, ha indagato sulle attività di Standard and Poor's, Moody's e Fitch per un danno finanziario ritenuto conseguente alla loro azione nel nostro Paese, valutato in oltre 120 miliardi di euro. Terminate le indagini, ha chiesto il rinvio a giudizio di alcuni manager di Fitch e di Standard and Poor's, con l'accusa di aver manipolato il mercato azionario e delle merci con giudizi falsati; con l'aggravante, per Fitch, di avere un rapporto contrattuale con l'Italia. Ma, nonostante l'apparente fondatezza, il rinvio a giudizio è servito a poco. Il processo si è concluso nel marzo 2017 con l'assoluzione di tutti gli indagati perché il fatto non sussiste. Ben diversamente è andata altrove. Ad esempio, in Australia, la Corte Federale di Sidney ha condannato Standard and Poor's, a pagare oltre 30 milioni di dollari a tredici municipalità della provincia australiana del New South Wales, che avevano perso il 93% del loro investimento di 16,6 milioni di dollari nei titoli, noti come Rembrandt Notes, emessi da ABN Amro e certificati da Standard and Poor's come AAA, in altre parole di assoluta affidabilità. Insieme a Standard and Poor's, la Corte ha anche condannato, per "condotta fuorviante e ingannevole", ABN Amro, una delle maggiori banche olandesi, nazionalizzata nel 2008 a seguito della crisi finanziaria, e la società di consulenza finanziaria Local Government Financial Services Ltd., che nel 2006 aveva intermediato la vendita ai comuni. Il legale delle municipalità australiane ha, poi, dichiarato di pensare ad ulteriori azioni nel Regno Unito, in Olanda e in Nuova Zelanda, a tutela dei danni subiti dagli enti pubblici loro clienti: in particolare per un finanziamento di due miliardi di euro in Constant Proportion Debt Obligation (CPDO), un tipo di derivato che ABN Amro ha venduto sempre grazie all'alto rating garantito da Standard and Poor's, nel silenzio delle altre due società. È curioso il fatto che la linea di difesa delle società di rating si è stata quella di sostenere che "il sistema di rating è un'arte e non una scienza". In sostanza, per diretta affermazione delle agenzie, il destino di Stati e di popoli sarebbe nelle mani di 'artisti' che, senza alcun riconoscimento internazionale (non è previsto), emettono soggettive valutazioni che hanno un'enorme, drammatica, influenza. Ma ciò che ancor più sconcerta è la composizione azionaria delle società di rating che apertamente confligge con il ruolo di 'terza parte' che dovrebbe assumere l'agenzia stessa rispetto al fornitore del prodotto o servizio, da un lato, e all'acquirente, dall'altro; un conflitto, peraltro, ulteriormente collidente


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con il vantaggio delle agenzie rappresentato, come detto, dall'impossibilità di introdurre sulla piazza un prodotto finanziario non valutato. La stragrande maggioranza degli azionisti di queste agenzie è, infatti, costituita da giganti specializzati negli investimenti finanziari e nell'assets management, del livello di Capital World Investors, The Vanguard Group Inc., BlackRock Fund Advisors, State Street Global Advisors, ecc. In pratica, dai principali giocatori del mercato obbligazionario e valutario. Le loro fortune finanziarie dipendono, indifferentemente, dalle evoluzioni, al rialzo e al ribasso, della situazione dei mercati finanziari. Non sembra un po' curioso che nessuno, sottolineo nessuno, controlli un tantino più da presso l'operato di questi 'controllori' dei destini di popoli, di Stati, di municipalità, di aziende, senza che qualcuno, colto dal dubbio, intenti causa (con ampio dispendio di tempo, di mezzi e di risorse) per presunti danni che l'opera di quei 'controllori' gli ha procurato? Mi viene in mente il celebre passo di Giovenale, a feroce attacco dei vizi delle donne, romane e non, ricche e povere, nobili e plebee, secondo lui tutte corrotte e depravate. A cominciare da Messalina: Pone seram, cohibe, sed quis custodiet ipsos custodes? Cauta est et ab illis incipit 1 uxor." . "Spranga la porta, impedisci di uscire, ma chi sorveglierà i sorveglianti? La moglie è astuta e comincerà da quelli.". Il fatto è che non esiste un'autorità in tal senso e sembra che, paradossalmente, a nessuno interessi costituirla. A livello internazionale, non certo al FMI, in tutt'altre faccende affaccendato, sospinto dalla caleidoscopica Legard. A livello comunitario, non certo alla BCE e alla giovane EBA, l'Autorità bancaria europea. A livello nazionale, non certo alla Banca d'Italia la quale, per bocca del suo Governatore, di fronte al caso MPS ha dichiarato di non essere la 'polizia'. infine, a livello borsistico, non certo alla CONSOB che sembra perdersi tra la audaciaE,temeraria igiene spirituale velocità della sequenza degli indici, le frecce rosse e verdi e il loro senso. Eppure, a ognuno dei citati organismi competerebbe il 'controllo'. Per semplice curiosità mi chiedo quale potrà essere il rating della Francia, detentrice della doppia A, dal momento che le riforme, premiate negli intenti dalle società di rating non sembra decollino a causa di scapestrati cittadini con un pittoresco gilet; o quello della Germania, in possesso della tripla A per la sua affidabilità, compromessa tuttavia da un futuro incerto e da una previsione di crescita dimezzata. In ogni caso, per i 'controllori' chissà se una visita oculistica, oppure una seduta dal logopedista o almeno il ripasso del greco (antico, visti gli svarioni sul moderno) possa servire allo scopo. Francesco Diacceto

Nota: Giovenale - Satire, VI, O31-O32

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MOBBING: URGE UNA BUONA LEGGE INCIPIT Tra le tante distonie della società contemporanea, il mobbing nei posti di lavoro sta registrando una crescente espansione, meritevole di maggiore attenzione da parte delle Istituzioni, essendo l'attuale quadro normativo del tutto insufficiente a fronteggiare il fenomeno. DEFINIZIONE DEL FENOMENO Il mobbing definisce i comportamenti registrati in ambito lavorativo da soggetti vittime di soprusi continui da parte di colleghi o superiori, posti in essere con l'intento di un annientamento psicologico, quasi sempre foriero di gravi degenerazioni patologiche, a livello fisico e mentale. Da un punto di vista clinico esistono varie definizioni del fenomeno, più o meno simili, riscontrabili nei principali modelli di riferimento. Il modello Leymann lo caratterizza in quattro fasi, comunque non ancora sufficienti a stabilire i termini per la messa in stato di accusa dei colpevoli, pur rappresentando un ottimo punto di partenza per il legislatore. La teoria elaborata dallo psicologo Harald Ege è molto più fluida e maggiormente adeguata alla realtà sociale italiana, grazie a sei fasi che inquadrano la problematica in un contesto più articolato. Le fasi sono legate logicamente tra loro e precedute da una sorta di pre-fase, detta "Condizione Zero", che costituisce il presupposto di mobbing. CONDIZIONE ZERO E' una pre-fase diffusa nella realtà lavorativa italiana e sconosciuta nella cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale e accettato. Nelle aziende e nella pubblica amministrazione la conflittualità è una regola e tale condizione non costituisce ancora mobbing, anche se ne favorisce fortemente lo sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato, retaggio di un atavico vizio che induce a sopravvalutare se stesso e a denigrare gli altri, che vede tutti contro tutti con banali diverbi d'opinione, discussioni, piccole accuse e ripicche, grotteschi tentativi di primeggiare a ogni costo. I lavoratori italiani vivono con sofferenza la moderna propensione al gioco di squadra, essendo diffidenti per natura, e ciò alimenta i contrasti. Nella "condizione zero" non vi è la volontà di distruggere, ma solo quella di prevalere sugli altri. FASE 1: IL CONFLITTO MIRATO La prima fase del mobbing è quella in cui si individua una vittima e verso di essa si dirige la


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conflittualità generale. Il conflitto fisiologico di base, dunque, prende una svolta: non è più una situazione stagnante, ma si incanala in una determinata direzione. In questa fase si va oltre la volontà di emergere e l'obiettivo principale è distruggere l'avversario, estendendo la sfera d'azione anche all'esterno del campo lavorativo, con l'introduzione di elementi afferenti alla vita privata. FASE II: L'INIZIO DEL MOBBING Gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi o malattie di tipo psicosomatico sulla vittima, pur suscitandole un senso di disagio e fastidio. Essa percepisce un inasprimento delle relazioni con i colleghi ed è portata a interrogarsi su tale mutamento. FASE III: PRIMI SINTOMI PSICO-SOMATICI La vittima comincia a manifestare dei problemi di salute e questa situazione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza, l'insorgere dell'insonnia e problemi digestivi. FASE IV: ERRORI E ABUSI DELL'AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE Il caso di mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dei responsabili delle risorse umane. La fase precedente, che porta in malattia la vittima, è la preparazione di questa fase, in quanto sono le sempre più frequenti assenze per malattia a generare sospetti, ovviamente infondati.1 FASE V: SERIO AGGRAVAMENTO DELLA SALUTE PSICO-FISICA DELLA VITTIMA. In questa fase il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione. Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effetto palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi. Gli errori dei dirigenti, infatti, sono dovuti alla completa ignoranza del fenomeno, sempre che non siano i primi responsabili delle azioni delittuose. Conseguentemente, i provvedimenti presi sono non solo inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col convincersi di essere la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie contro cui nessuno può nulla. FASE VI: ESCLUSIONE DAL MONDO DEL LAVORO. Implica l'esito ultimo del mobbing, ossia l'uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l'omicidio o la vendetta sul mobber. Anche questa fase è preparata dalla precedente: la depressione porta la vittima a cercare l'uscita con le dimissioni o licenziamento, una forma più grave può portare al prepensionamento o alla richiesta della pensione di invalidità. I casi di disperazione più seri si concludono purtroppo in atti estremi.

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LA LEGISLAZIONE IN ITALIA In Italia non esiste una legislazione specifica in materia di mobbing e quindi il fenomeno non è configurato come fattispecie tipica di reato a sé stante. Il quadro di riferimento è il seguente: Costituzione: artt. 32, 35, 41, 42, 97; Codice Civile: artt. 2087, 2043, 2049; Legge n. 300/1970 "Statuto dei Lavoratori" art. 13; d.lgs. n. 626/1994. Per la Cassazione civile (sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785) il mobbing indica sistematici e reiterati comportamenti del datore di lavoro o del superiore gerarchico, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psico-fisico e del complesso della sua personalità. Sotto il profilo penale vi è la sentenza emessa dal Tribunale Ordinario di Torino - sezione Lavoro, nel 2002 (causa iscritta al n. 8262/01 R.g.L.), che culminò con la condanna dell'azienda a reintegrare la ricorrente nelle mansioni e a un risarcimento danni che, per quanto irrisorio, ha la sua valenza in linea di principio. E' ben evidente, tuttavia, che siamo ben lontani da una chiara definizione del fenomeno e da una disciplina che consenta la comminazione di pene adeguate, che necessariamente devono contemplare anche la detenzione, l'interdizione dai pubblici uffici e cospicui risarcimenti per i danni subiti dalle vittime. IL MOBBING NEL RESTO DEL MONDO I primi fenomeni di mobbing si registrarono in Scandinavia agli inizi degli anni ottanta. In Svezia, si è stimato che il mobbing sia all'origine del 10-15% dei suicidi. Nel 2000 la Confederazione australiana dei sindacati pubblicò uno studio nel quale si imputava allo stress la causa principale delle altre patologie insorte in ambito lavorativo. Per quanto concerne la tutela dei lavoratori vittime di mobbing, in Svezia, già dal 1993, è attiva un'ordinanza che prevede severe misure contro qualsivoglia forma di "persecuzione psicologica" e degli obblighi che ciascun datore di lavoro è tenuto ad osservare: 1) il datore di lavoro è tenuto a pianificare e organizzare il lavoro in modo da prevenire, per quanto possibile, ogni forma di persecuzione nei luoghi di lavoro; 2) il datore di lavoro deve informare i lavoratori, con forme adeguate ed inequivocabili, che queste forme di persecuzione non possono essere assolutamente tollerate nel corso dell'attività lavorativa; 3) devono essere previste procedure idonee a individuare immediatamente i sintomi di condizioni di lavoro persecutorie, l'esistenza di problemi inerenti all'organizzazione del lavoro o eventuali carenze per quanto riguarda la cooperazione che possono costituire il terreno adatto all'insorgere di forme di persecuzione psicologica durante l'attività lavorativa; 4) qualora poi, nonostante l'attività preventiva, si verifichino ugualmente fenomeni di mobbing, dovranno essere adottate immediatamente efficaci contromisure volte anche ad individuare le eventuali carenze organizzative causa dell'insorgere del fenomeno; 5) il datore di lavoro dovrà, infine, prevedere forme di aiuto specifico ed immediato per le vittime del mobbing.


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L'intervento normativo svedese può, dunque, essere considerato un vero e proprio codice comportamentale per la gestione delle relazioni sociali all'interno dei luoghi di lavoro. In Norvegia, invece, è stata introdotta una specifica previsione nella legge sulla tutela dell'ambiente di lavoro del 1977 ad opera del § 12 della legge 24 giugno 1994, n. 41, che recita testualmente: "I lavoratori non devono essere esposti a molestie o ad altri comportamenti sconvenienti". Apparentemente la norma sembra insufficiente per una proficua tutela dei lavoratori, ma in realtà essa scaturisce da una precisa scelta legislativa, protesa a garantire una tutela del lavoratore "a tutto campo" e ad "assicurare un ambiente di lavoro che non esponga i lavoratori a sforzi psicologici di entità tali da influire negativamente sul rendimento e sullo stato di salute". In Austria il mobbing è trattato all'interno del piano d'azione per la parità uomo-donna, approvato il 16 maggio 1998: "Tra i comportamenti che ledono la dignità delle donne e degli uomini nel luogo di lavoro vanno annoverati in particolare le espressioni denigratorie, il mobbing e la molestia sessuale. Le collaboratrici devono essere edotte sulle possibilità giuridiche di tutela 2 delle molestie sessuali". In Germania non esiste una specifica norma a difesa delle vittime di mobbing, tutelate solo da norme di carattere generale poste a garanzia della salute e sicurezza dei lavoratori: Art.1. La dignità dell'uomo è inviolabile. Rispettarla e proteggerla è dovere di ogni Stato. Art.2. (A) Tutti hanno diritto di esprimere liberamente la propria personalità, purché non violino i diritti altrui e non siano contrari alle regole del buon costume e dell'ordine pubblico. (B) Tutti hanno diritto alla vita e all'incolumità fisica. La libertà della persona è inviolabile. Art.3. (A) Tutti sono uguali davanti alla legge. Agli uomini e alle donne sono riconosciuti uguali diritti. (B) Nessuno può essere privilegiato o danneggiato per sesso, origine, razza, lingua, opinioni politiche e religiose. Nessuno può essere svantaggiato sulla base di impedimenti fisici. Per il lavoratore tedesco molestato si apre, in alcuni casi, anche la via della tutela penale qualora la condotta vessatoria rivesta i caratteri di un vero e proprio reato: lesione personali, ingiuria, oltraggio, discredito, diffamazione, violenza privata. In questi casi il lavoratore dovrà presentare una apposita denuncia alla polizia o al tribunale di prima istanza oppure la querela per l'attivazione del procedimento penale. Qualora, infine, le molestie patite dal lavoratore abbiano connotazione a sfondo sessuale, il Beschaftigtenschutzgesetz tedesco dispone che: "Il datore di lavoro e i dirigenti devono tutelare i dipendenti da molestie sessuali nel luogo di lavoro. Tale tutela include anche misure preventive. Molestia sessuale è ogni comportamento a connotazione sessuale che lede la dignità dei dipendenti sul lavoro. Sono sanzionati dal codice penale i comportamenti a connotazione sessuale che sono chiaramente respinti dalla persona molestata. La molestia costituisce una violazione degli obblighi contrattuali ed illecito disciplinare". In Svizzera, Gran Bretagna, Spagna e Belgio il fenomeno è inquadrato nell'ambito delle leggi ordinarie a tutela dei lavoratori. Soprattutto in Belgio, tuttavia, sono forti le spinte affinché si legiferi in modo più consono alle esigenze delle vittime di mobbing.

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La Francia è il secondo paese europeo, dopo la Svezia, ad essersi dotato di uno strumento legislativo specifico per combattere il mobbing, ivi definito harcèlement moral. La versione definitiva del testo, approvata il 19 dicembre 2001 dall'Assemblea Nazionale, recita testualmente: "Nessun lavoratore deve subire atti ripetuti di molestia morale che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale. Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, in particolare modo in materia di remunerazione, di formazione, di riclassificazione, di qualificazione o classificazione, di promozione professionale, di mutamento o rinnovazione del contratto, per aver subito, o rifiutato di subire, i comportamenti definiti nel comma precedente o per aver testimoniato su tali comportamenti o averli riferiti.". CONCLUSIONI Alla luce di quanto sopra esposto traspare chiaramente la sottovalutazione di un fenomeno che, invece, ha forti ripercussioni negative in ambito sociale. La maggiore attenzione riservata alle molestie sessuali è riconducibile a molteplici fattori, tra i quali fanno gioco senz'altro "la quantità" dei casi registrati a livello planetario e la "morbosità" dell'argomento, di facile presa per l'opinione pubblica. Va benissimo reprimere con ogni mezzo possibile il sessismo e tutto ciò che afferisce al campo delle molestie sessuali, per le quali non sarebbe male una ridefinizione dell'attuale quadro normativo, con inasprimento delle pene. E' solo opportuno conferire anche al mobbing "tout court" analoga attenzione. Lino Lavorgna

NOTE 1) Quanto esposto ha valore solo nel caso in cui il mobbing non nasca proprio nell'ambito delle risorse umane, o in strutture parallele, delle quali magari si diventi coscientemente complici. 2) Per amor di sintesi in questo articolo, eccezion fatta per alcuni specifici riferimenti, si omette il "capitolo" riguardante le molestie sessuali associate al mobbing, che aprono la finestra su altre complesse problematiche. E' evidente, altresì, che nel momento in cui il legislatore si dovesse decidere ad analizzare il fenomeno per sanzionarlo adeguatamente, non potrebbe prescindere da esse, in modo da ridefinire organicamente anche l'attuale quadro normativo. BIBLIOGRAFIA BONA, MONATERI, OLIVA, Mobbing - Vessazioni sul luogo di lavoro, Giuffré, 2000; CAPPELLO Maja, Spunti dalla normativa europea per una legislazione mirata sul mobbing, relazione al seminario "Le molestie morali (mobbing): uno dei rischi derivanti da una alterata interazione psicosociale nell'ambiente di lavoro", Roma, 4 giugno 1999; CAPPELLO Maja, L'ambiente psicosociale: il c.d. mobbing e le molestie sessuali, estratto dalla tesi di dottorato "L'ambiente di lavoro tra mercato interno e politica sociale: esperienze scandinave e italiane a confronto", Università di Firenze, 1997-1998, p. 151-165; In rete è reperibile un'ottima sintesi dell'argomento intitolata: "La tutela giuridica del mobbing in alcuni paesi europei, negli Stati Uniti e in Australia", a cura di Luisa Lerda.


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A “MANO ARMATA” Venerdì di sangue per la strage di musulmani nel giorno della preghiera in due moschee sulla costa orientale del Sud della Nuova Zelanda. A Christchurch sono stati trucidati 50 innocenti e altrettanti feriti rischiano la vita. Il responsabile di tanto orrore è Brenton Tarrant, un fanatico del suprematismo bianco, un violento razzista imbevuto fino alla perdita della ragione di idee xenofobe e belliciste anti-islamiche, un appropriatore indebito di un'iniziazione templare che nessuno gli ha trasmesso. Un millantatore che si è autonominato cavaliere crociato. Più verosimilmente, un pazzo. Tuttavia, la supposta follia dell'individuo non attenua la gravità del vile gesto terrorista. Tarrant, probabilmente, è un burattino nelle mani di occulti burattinai. Non è infrequente che fanatici di ogni sorta siano reclutati da menti raffinate allo scopo di provocare fatti di sangue tali da innescare, nelle comunità umane colpite, reazioni a catena incontrollabili. Anche in questo caso bisogna porsi una domanda: cui prodest? A chi giova il raid criminale di Tarrant? Non certo a chi, con ragione e passione, pone al centro della propria riflessione politica o filosofica la questione della difesa identitaria di una comunità quale antidoto alla mondializzazione economica che annovera tra i suoi effetti patologici l'esplosione del fenomeno migratorio su scala globale. Per i nemici del primato della radice identitaria nella naturale aggregazione dei gruppi umani Tarrant è stato l'utile idiota prestatosi a fornire la prova, la pistola fumante, della sedicente pericolosità insita in alcune teorie sovraniste. Che poi è la velenosa equazione nella quale fa capolino l'armamentario ideologico della sinistra multiculturalista. In queste ore di sgomento le abbiamo colte quelle voci di sottofondo che blaterano di un farneticante nesso di causalità tra le politiche anti-immigratorie di esponenti della destra intransigente e l'eccidio di Christchurch. Siamo alla rivisitazione in chiave criminogena della teoria del caos, per la quale un battito d'ali d'una farfalla in Brasile provocherebbe un tornado in Texas. Per le anime belle dell'amalgama globalista a porre la mano di Tarrant sul grilletto sarebbero stati i vari Donald Trump sparsi per il mondo, anche in Italia dove il lepidottero dell'attrattore lorenziano (da Edward Norton Lorenz, matematico e meteorologo statunitense, autore del neologismo "effetto farfalla") si chiama Matteo Salvini. Tuttavia, neanche i campioni del pacifismo peloso, che sanno connettere nei modi più bizzarri estremità di pensiero sideralmente lontane, rispondono alla domanda: in mezzo cosa c'è? Chi non è della parrocchia multiculturalista una risposta la conosce. Nella strage di Christchurch è il vuoto dei dubbi che la personalità del terrorista australiano, in trasferta in Nuova Zelanda, genera appena si scrosti la patina dell'ipocrisia di un'untuosa riprovazione morale.

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Dalle cronache si apprende che Tarrant era stato in giro per il mondo a informarsi e formarsi sui temi della lotta tra cristianità e islamismo. Portogallo, Polonia, Francia, Islanda, Romania, Turchia (due volte), Emirati Arabi, Est Europa, Pakistan, il Kashmir, il corridoio del Vancan in Afghanistan, lo Xinjiang cinese. Perfino un anno sabbatico in Corea del Nord, che non è propriamente come soggiornare in un resort extralusso. Se non fosse che meriterebbe una punizione esemplare lo si dovrebbe eleggere turista del secolo. Ma come ha fatto un personaggio del genere a girare il mondo indisturbato? E con quali denari? Che fosse uno che si era bevuto il cervello lo si evinceva leggendo le farneticazioni che ha postato sui social. Com'è che i servizi segreti dei tanti Paesi visitati non si siano accorti di lui? Tarrant, al momento delle stragi, era armato fino ai denti. Come si è procurato un tale arsenale? E poi il manifesto di 74 pagine, imbottito di asserzioni deliranti, con il quale ha cercato di fornire una maldestra copertura ideologica al suo gesto è farina del suo sacco? I suoi miti: il doge di Venezia Sebastiano Venier che ha sconfitto i turchi a Lepanto nel 1571 associato a Luca Traini, l'autore della sparatoria contro gli immigrati a Macerata nel febbraio del 2018. E quella dichiarazione allucinante: "Mi sono ispirato alla strage compiuta ad Utoya, in Norvegia, da Anders Breivik nel 2011. Voglio uccidere gli stranieri invasori", ma cos'ha capito costui della storia dell'Occidente? Non c'è da fare i complottisti, tuttavia in una fase in cui tutte le ipotesi sono squadernabili, consentiteci di opinare che la rappresentazione del mentecatto razzista e islamofobo puzzi di bruciato a migliaia di chilometri di distanza. Sarà che, da italiani, abbiamo conosciuto l'oscura stagione della strategia della tensione, ma quando spunta dal nulla un Lee Oswald che ammazza il John Fitzgerald Kennedy di turno siamo istintivamente portati a domandarci cosa ci sia dietro. E soprattutto, chi. Non esistono lupi solitari, nobilissimi animali chiamati spesso in causa a sproposito, ma automi mossi da menti sottili. Perciò la domanda è: chi può aver pensato di usare il fanatismo di un Tarrant qualsiasi a dimostrazione che il sovranismo, ovunque applicato, sia nocivo e porti alla catastrofe? Non è che qualcuno conti sulla reazione degli estremisti islamici per rimettere in pista una guerra che si avviava ad essere vinta dagli occidentali con l'annientamento dei terroristi dell'Isis, il sedicente Stato Islamico? Comunque sia, sono questi i momenti in cui non è dato di smarrire la rotta. C'è stata Christchurch che resta una ferita nella coscienza profonda della civiltà occidentale. Ma ci sono i dati sullo stop all'immigrazione del ministero dell'Interno che segnalano, nel periodo 1 gennaio -15 marzo 2019, la riduzione degli arrivi di immigrati clandestini del -94,37 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018 (335 contro 5.945). Con ciò dimostrando che la ricetta introdotta da Matteo Salvini sia quella giusta e per niente al mondo si debba deflettere dalla strada imboccata. La sinistra vorrebbe usare la strage neozelandese per farci ritornare ad allargare le maglie dell'accoglienza come ai tempi del Governo Renzi? Se lo tolga dalla testa. Gli italiani hanno aperto gli occhi e non sarà la follia omicida di Brenton Tarrant a farglieli richiudere. Cristofaro Sola* *Pubblicato anche su L’Opinione del 18/3/19


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Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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