La prima goccia di pioggia (Amanda Craig)

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Amanda Craig La prima goccia di pioggia traduzione di maria luigia di nisio

Casini Editore


Titolo originale dell’opera: Love in Idleness Copyright © 2003 by Amanda Craig Published by arrangement with Marco Vigevani Agenzia Letteraria © 2012 Valter Casini Edizioni www.casinieditore.com


E vidi, anche, dov’era caduta la saetta del dio. Era caduta sopra un fiorellino dell’occidente, che da bianco–latte si tinse a un tratto, per quella ferita d’amore, di color sangue vivo. Le vergini, lo chiamano fior dell’amore svagato. — Oberon, Sogno di una notte d’estate, II, i1

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Traduzione di C. V. Lodovici, Torino, Einaudi, 1964



1.

Le lunghe imposte di legno di Casa Luna, sprangate a difesa dal caldo e dalla criminalità, furono spalancate, e la luce di un nuovo giorno si riversò all’interno. Pia si voltò di schiena e iniziò a spazzare. C’era sempre polvere: polvere dall’intonaco decrepito che si sgretolava, polvere dalle grandi e scure travi di quercia del soffitto, polvere lasciata da ospiti ormai dimenticati e polvere dalle bianche e riarse strade di campagna. Mentre la figura rotonda di Pia si chinava e si allungava, si sollevò una nuvola leggera di pulviscolo scintillante, sciamando, come fosse animato. Pia sapeva che sarebbe tornato, come sempre, ma catturò quel che poté con la scopa. Le ragnatele si arrotolavano come un filato sottile attorno allo spolverino dal lungo manico, mentre i ragni scappavano in rifugi di fortuna in mezzo alle travi. Piccoli scorpioni sgusciarono via dalle ruvide pareti di pietra, per andare a sistemarsi inosservati sulle pietre levigate, all’aperto; i grandi tarli interruppero il loro rosicchiare e i topi che abitavano dietro le scale svanirono in un mucchio di pelo. I rubinetti del bagno furono ripuliti da lordure e incrostature e in cucina il lavandino fu tirato a lucido, i fornelli sgrassati e il frigorifero sbrinato.


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— Ahiahiahi! — sbottò Serafina, la cognata di Pia, mentre ascoltava la stazione radio locale. — Perché mi fai sempre piangere? Pia si unì al coro. Piccolo uomo non andare via Io piccola donna ne morirei Cantavano con passione, sbatacchiando vigorosamente i tappeti fuori dalla finestra con robusti battipanni. Una lucertola, che assomigliava a un minuscolo drago, sparì dal caldo davanzale nel gelsomino stellato con un guizzo. Con il levarsi del sole, un’orchestra in miniatura di cicale intonò la sua musica di mezza estate che sarebbe durata fino all’imbrunire. Le rondini sfrecciavano intorno alla casa e ai cipressi con frequenti richiami. Sarebbe stata un’altra giornata molto calda. Le due donne lavoravano con ritmo costante e instancabile. Sfoggiavano grembiuli a fiori e un’espressione concentrata e soddisfatta, perché erano serene, a differenza delle persone per cui stavano preparando la casa. Come sembravano sempre provati, gli stranieri, quando arrivavano! Certamente, viaggiare non era sempre piacevole. Pia, da parte sua, non si era mai spinta oltre Arezzo, e lì si era sentita a disagio, circondata da volti e edifici estranei, talmente tanto che non vi era più ritornata. Quei poveri stranieri senza dubbio pativano ancor peggio, sbalzati da un paese all’altro. Ma era il loro colorito ciò che davvero la muoveva a compassione. — Vivono al buio, come funghi — rifletteva Serafina. Pia aveva qualche dubbio al riguardo. — Non sanno come essere felici, poveretti. Aveva un’idea approssimativa di che aspetto avesse il mondo al di fuori del grande televisore a colori perennemente acce-


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so in cucina; le sembrava che fosse un luogo da evitare. La saggezza di questa convinzione le veniva confermata dall’estrema riluttanza con cui gli ospiti lasciavano la Casa. Contò le lenzuola che aveva comprato al mercato di Camucia. Era una seccatura che i ladri avessero rubato la biancheria d’epoca fornita dal signor Bill, ma Pia aveva colmato la mancanza con lenzuola nuove, in misto cotone, molto più facili da lavare e stirare. I ladri erano una piaga annuale, colpivano sempre le case per le vacanze degli stranieri — un obiettivo facile, perché di solito erano isolate e incustodite. Sapevano che il signor Bill lavorava a Hollywood: tutta Cortona ne era immensamente orgogliosa e viveva nella fiduciosa speranza che un giorno lui avrebbe girato un film a cui avrebbero partecipato tutti gli abitanti. I cortonesi erano convinti sostenitori della fotogenicità della città e di loro stessi, qualità che in gran parte restavano sconosciute al resto del mondo. Una volta scoperto che il signor Bill aveva soltanto una televisione vecchia di dodici anni e un hi–fi sgangherato, i criminali avevano preso le lenzuola — per fortuna, il mobilio antico era troppo pesante e troppo ameno per loro. Pia passò in rassegna i ricambi. Un paio doppio per il lettone. Marito e moglie avrebbero occupato quella camera; aveva la vista migliore sulle colline e la stanza da bagno. Tre paia di lenzuola singole color giallo ranuncolo per i bambini — due maschi e una femmina, secondo gli appunti che l’agente immobiliare le aveva lasciato. Gli stranieri avevano ancora famiglie numerose, a differenza degli italiani, ormai… Pia adorava i bambini. Sospirò. Dopo una breve riflessione, tirò fuori un minuscolo servizio da tè in porcellana su un vassoio di latta argentato. Non era niente di speciale — solo una teiera bianca, un bricco e quattro tazze con i piattini, ogni pezzo non più alto del pollice di un bambino e decorato con un fiore viola in miniatura, una violetta, probabilmente. Alla bambina piacerà, pensò Pia. Magari giocava a prendere il tè, come lei stessa aveva fatto, tanto tanto tempo addietro.


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Tornò a occuparsi delle camere. C’erano i due letti più piccoli a una piazza e mezza, ciascuno con la sua testiera in legno di castagno. Uno sarebbe stato per la nonna dei bambini, senza dubbio. L’altro era per gli amici della coppia. Riguardo al numero preciso di ospiti erano rimasti sul vago, così Pia non preparò i letti nelle ultime tre stanze. C’erano lenzuola appena sufficienti per tutti. Gli asciugamani bianchi a nido d’ape che sistemò nei bagni erano vecchi e in alcuni punti spelacchiati, ma di dimensioni generose. Nella Casa niente era nuovo, tranne le lenzuola e la piscina che era stata ricavata in giardino, in modo da potersi accaparrare un affitto più alto. Gli stranieri erano stati restii a trascorrere lì i mesi estivi fino a quando la gentile insistenza dell’agente immobiliare non aveva convinto il proprietario a considerare la piscina come un investimento. — Chi viene questa volta? — chiese Serafina. — Americani. Si scambiarono un largo sorriso. Potevano aspettarsi una sostanziosa mancia alla fine; a parte questo, gli americani erano spropositatamente grati per un tiramisù lasciato nel frigorifero, o per le verdure fresche dell’orto della cucina che loro stessi contribuivano a mantenere. Usavano la doccia solo ogni tanto, e trattavano Pia come fosse lei la padrona, anziché il signore. Allorché ripartivano, lasciavano una gran quantità di strani cibi nel frigorifero — scatole di grasso giallo che nessuna persona ragionevole si sarebbe mai sognata di ingerire e lattine di bevande gassate — ma anche i rimasugli di tanti ottimi saponi e shampoo. I tedeschi erano scrupolosi e così puliti che raramente restava qualcosa da fare per loro. Gli inglesi, d’altro canto… Pia fece una smorfia. Alcuni di loro erano gradevoli, anche se non avrebbero mai capito che il denaro era sempre meglio di una bottiglia di whisky, o che riempiendo le vasche da bagno sprecavano acqua preziosa. Altri la


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facevano rabbrividire. Non aveva dimenticato la festa dell’anno precedente: quel gruppo di inglesi aveva lasciato bottiglie di birra intorno alla piscina, pattumiere strabordanti e tubature ostruite dai preservativi. Alla Italian Dream non importava di che nazionalità fossero gli inquilini che affittavano Casa Luna, purché avessero il denaro per pagare; ma erano sempre gli inglesi a causare guai. Di solito, comunque, non erano abbastanza ricchi per la Toscana. Pia e Serafina si dilettavano a riflettere sulle ricchezze degli altri, che, pensavano, restituivano onore alle loro fatiche. Quello sarebbe stato un periodo impegnativo, con così tante case affittate agli stranieri. Una macchina lontana suonò il clacson. Pia guardò verso il pendio della collina, oltre la piscina in cui suo nipote Rico, a torso nudo, si affannava a pulire i filtri e a sostituire il cloro. Alla fine del lungo viale di cipressi che costeggiava la strada sottostante spuntava la sagoma di una lunga e chiara automobile, il genere di macchina guidata sempre da uno chauffeur in uniforme, proveniente da un hotel di prim’ordine di Firenze o Roma. Sarebbe arrivata in mezz’ora, dopo aver aggirato, con l’aiuto di Rico, il tornante lungo la strada. Pia esaminò la sala prima di chiudere di nuovo le imposte. Le sue fatiche erano terminate, per il momento. Ogni traccia degli inquilini che erano stati lì appena qualche ora prima — a mangiare, dormire, ridere, piangere, amare, odiare e perdonare — erano state estirpate, come tutte le volte. Così voleva il padrone; e anche gli ospiti. In quel posto avevano l’illusione che la casa e i giardini e i boschi fossero davvero di loro proprietà, e che nessuno ne avesse mai scoperto prima le attrattive, o i misteri. Theo e Polly Noble all’aeroporto di Pisa attendevano con crescente apprensione che i loro bagagli sbucassero dalla tenda del


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nastro trasportatore. Fino a quel momento, Tania e Robbie erano stati tenuti a bada da una combinazione di passatempi come audioracconti, libri da colorare e, prima ancora, da una sfrenata abbuffata di caramelle e, inevitabilmente, da una separazione forzata durante il volo. Ora si stavano di nuovo surriscaldando. Polly, indolenzita dalla tensione e dalla spossatezza, aspettava il momento opportuno per attaccare. — Siete proprio sicuri che non dovete fare pipì, bambini? — chiese, di nuovo. — Tesoro, puoi abbassare la voce? — disse Theo. — Li stai mettendo in imbarazzo. I bambini, tutt’altro che imbarazzati, non fecero caso ai loro discorsi. — Scusami — rispose Polly. — È solo che pare non mi sentano, a meno che non parli con un tono di voce assordante. Bambini! Avete bisogno del bagno? — Sono abbastanza intelligenti per saperlo da soli, no? Polly serrò le labbra. Non lo erano, ovviamente, ma non voleva che Theo montasse in una delle sue collere improvvise. Se i bambini avessero continuato a non darle retta, si sarebbero dovuti fermare sul ciglio rovente dell’autostrada, immersi nei rifiuti fino alle caviglie, per permettere a uno o a entrambi di svuotare la vescica. Se almeno fossero riusciti ad arrivare alla villa prima di quella Demon Queen della suocera, sarebbe andato tutto bene. Sperava di trovare un po’ di pace. In cuor suo, sapeva che era alquanto improbabile. Il sudore impregnava le sottili righe bianche e blu della camicetta. Ah, perché l’Italia? Adorava quel Paese, naturalmente, ma non in piena estate; non ci vai in piena estate, se sei sano di mente. A ogni modo, chi ha figli piccoli non è mai sano di mente. Diventa matto per la mancanza di sonno. Il più delle volte Polly


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non sapeva se era sveglia o se stava sognando, per quanto era stanca. E ora doveva di nuovo affrontare un soggiorno all’estero. Perché non potevano andare in Scozia o, meglio ancora, nella loro graziosa casa di Rhode Island, con quelle belle spiagge? Perché sopportare le temperature roventi, le zanzare, la lingua straniera? Ma Theo aveva insistito. — Devo passare queste ferie in Europa per via dell’affare a cui stiamo lavorando. È probabile che prenderò un volo per Milano o Francoforte nel bel mezzo della vacanza, ed è molto più semplice se non devo attraversare l’Atlantico. E poi, ai bambini piaceranno i dipinti. Theo aveva l’amena convinzione, non contaminata dall’esperienza, che i loro figli si sarebbero divertiti a trascinarsi per gli Uffizi, ammirando l’arte rinascimentale insieme a un’orda di altri turisti sudati. Polly era troppo stanca per discutere. Si chiedeva come sarebbe stata una masseria toscana, tremando alla prospettiva di antichi oggetti di valore e porcellane da dover proteggere da improvvisi movimenti di braccia puerili. Forse non era un male che i bambini facessero un po’ di moto ora, rincorrendosi senza sosta attorno ai nastri trasportatori. Era importante guardare il lato positivo. — Se ti fossi limitata al bagaglio a mano per i bambini, a quest’ora saremmo usciti da qui — disse Theo. — Non capisco perché dev’esserci così tanta roba. Con queste temperature, hanno bisogno solo di magliette e pantaloncini. — Mi dispiace, tesoro. Io ci ho provato. Ma lo sai quanto ci tiene Tania a portarsi tutto il guardaroba estivo. — Sai, c’è una lavatrice, lì. — Lo so. Polly sapeva fin troppo bene che avrebbe trascorso le ferie a fare il bucato, cucinare, prendersi cura dei figli e sbrigare tutte


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le altre faccende che a Londra avrebbe diviso con la domestica. Una vacanza con Theo e i bambini equivaleva a due settimane di dura fatica per la casa e per i figli. Sperava che la cucina avesse almeno un bel panorama. Le cucine continentali, come le colazioni continentali, di solito lasciavano molto a desiderare. — Perché hanno portato le racchette da tennis? — chiese Theo. — Hai promesso che avresti giocato con loro, ricordi? Robbie la tirò per un braccio. — Mamma, mamma, mamma, tocca a me sedere sul carrello. — Non è vero, brutto bugiardone, tocca a me. — Scendi! C’ero prima io. — Ragazzi, ragazzi — intervenne Theo. Non lo considerarono minimamente. — Fanculo, fanculo, fanculo, fanculo — cantilenò Robbie. Theo si voltò verso la moglie e sibilò: — Dove ha imparato quella parola? Polly arrossì. Non voleva ammettere che era una di quelle che di tanto in tanto le sfuggivano di bocca durante le corse verso la scuola. — Penso che si sia ispirato al logo della French Connection — disse, in un lampo di ispirazione. — Capito quale? FCUK? L’espressione furiosa di Theo puntò altrove. — In tal caso, provvederò a scrivere al loro consiglio direttivo per reclamare — disse. Robbie iniziò a gridare. — Ora prendo a calci le rotelle! Mammaaa! — Time out, per favore, time out — intervenne di nuovo Theo, facendo il segno T con le mani. — Stai zitta, faccia da culo — disse Robbie. Polly, che ora capiva perché l’espressione “avere le rotelle fuori posto”, fosse sinonimo di follia, disse: — Stellina, non ti puoi sedere sul carrello. Ci serve per le valigie.


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— Allora voglio un carrello per me! — esclamò Tania. — Te lo devi andare a prendere. — Benissimo, ci vado, allora! Polly squadrò la figura della figlia che si allontanava in uno scatto d’ira esagerato. Era ancora piatta e dall’aspetto infantile, ma da un anno a quella parte, nonostante i nove anni, si comportava sempre più come un’adolescente. Da un mese all’altro, la dolce bambina che indossava abitini scamiciati e parlava con le bambole si era evoluta in una creatura terribilmente sofisticata, che pretendeva di farsi il piercing alle orecchie e di promuovere la sua vita sociale con un telefono cellulare. Al rifiuto di Polly aveva urlato: «Ti odio, brutta cicciona fallita!», e aveva tenuto il broncio per settimane. Fuori dalle ore di scuola, Tania ora aveva sempre uno smalto metallico sulle unghie morbide di bambina e si spalmava un gel glitterato sulle guance perfette. Le lunghe gambe da puledro finivano in pesanti sandali con la zeppa e il suo corpo era a malapena coperto da uno striminzito top verde lime e una minigonna bianca punteggiata di strass e abbassata con cura, in modo da scoprire l’elastico degli slip Calvin Klein. Sembrava, pensò Polly, una puttana in miniatura. Ma quel che era peggio, era sempre così arrabbiata e immusonita. Che cosa era successo alla sua bella bambina allegra e innocente? Almeno Tania aveva ancora l’immaginazione di una bambina. Theo, per la verità, si preoccupava che vivesse un po’ troppo in un mondo fantastico — “nel mondo delle fate”, come dicevano gli inglesi. Polly attribuiva la colpa a se stessa, perché si era sforzata di mandare avanti la carriera durante i primissimi anni di vita della figlia. Tania aveva avuto una serie di tate poco ispirate, che non avevano mai saputo tenerla a freno, né controllarla — non che Polly ci riuscisse, solo che lei almeno le voleva bene, seppur con un sentimento goffo e discreto. Tania inventava sempre giochi lunghi ed elaborati, che si degnava di condividere con


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Robbie, quando non ci litigava. A volte, la forza delle sue convinzioni era sconcertante. Era più che mai persuasa, ad esempio, di poter volare e, per dimostrarlo, era saltata giù da un alto muro, slogandosi una caviglia. — Un eccesso di fantasia può far male ai bambini, come del resto un eccesso di qualsiasi cosa — diceva suo padre. — Dovrebbe concentrarsi di più sulla matematica. Purtroppo, Tania odiava la matematica quasi quanto le verdure. Polly spostò lo sguardo sul figlio. Ora che la sorella gli aveva ceduto il diritto sul carrello, aveva un’aria angelica. Non c’era nulla di inusuale in questo, perché Robbie aveva sempre un’aria angelica. Gli estranei li fermavano dovunque per strada, estasiati dalla sua bellezza e ignari della sua propensione a mordere, quando veniva infastidito. Robbie ora le sorrideva radioso dalla sua postazione in cima al carrello. — Ti voglio bene, mamma. — Anch’io, piccola peste — rispose lei. Polly non era per nulla preparata alla passione che si era impossessata di lei quando le era nato il figlio. Si era vergognata per questo, perché si presumeva che le donne moderne apprezzassero di più le figlie femmine dei maschi, ma era stato inevitabile. Voleva bene a Tania, ma Robbie… lo adorava. Quel bambino riusciva letteralmente ad accelerarle i battiti del cuore solo con un sorriso. Lei pretendeva di conservare ogni ciocca dei suoi capelli; mentre lui era a scuola, spargeva lacrime sui suoi vestitini smessi, ciondolando per la cameretta e affondando la faccia nel suo cuscino. Anche lui stava cambiando. Si concedeva ancora ai suoi lunghi abbracci, ma ultimamente aveva smesso di andare da lei nel letto, come aveva sempre fatto al mattino. Il sublime piacere di tenerlo stretto per tutto il tempo che stava pian piano sfuggendole di mano. Robbie diceva «puah!» e «bah!» quando vedeva in TV delle persone che si baciavano e il suo imbarazzo


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si andava estendendo tanto che il più delle volte, quando lei gli tendeva le braccia, lui ridacchiava e indietreggiava. Grazie al cielo stavano arrivando Meenu ed Ellen. Era stato un bel colpo di fortuna averle convinta entrambe. Ellen era la compagna ideale per fare shopping. Sapeva anche parlare italiano. Ah, sarebbe stato bello poter stare di nuovo insieme, proprio come ai vecchi tempi, quando dividevano l’appartamento. Magari avrebbero organizzato un’escursione di sole donne a Firenze. E poi, Bron sarebbe di sicuro andato d’accordo con Tania — avevano la stessa età. Lentamente, mentre gli odori e i suoni di un paese straniero filtravano nella sua coscienza, Polly iniziò a sentirsi più allegra. Era in Italia, dopotutto, e l’Italia era sempre divina. Aveva qualche incertezza riguardo al modo in cui Ellen si sarebbe ambientata, ma Polly nutriva il ragionevole sospetto che la vera attrattiva per lei fosse la presenza del fratellastro di Theo, Daniel. Fra i due sembrava esserci qualcosa. Polly scivolò in una nebbia di pensieri promettenti. Sia Ellen che Meenu erano single. E se fosse riuscita a combinare la coppia Meenu–Ivo? Lui aveva, sì, una certa reputazione, ma era una compagnia piacevole. Come Guy, d’altro canto, anche se Polly sperava di tenerselo per sé. Era questo il vantaggio di avere persone intorno. Significava non sentirsi isolati, né stare da soli. Davanti agli sportelli dell’autonoleggio c’erano il solito ficus avvilito piegato in due a mo’ di posacenere e la solita contrattazione con qualcuno che parlava un inglese con un forte accento straniero riguardo alla prenotazione da Londra di un mezzo di trasporto con aria condizionata. Con qualunque compagnia si viaggiasse, sembrava sempre che la prenotazione si smarrisse, e poi ci voleva anche un’ora per ritrovarla. Theo odiava l’inefficienza dei viaggi in classe economica. A volte Polly lo prendeva in giro dicendo che se ci fossero stati posti business class su una scialuppa di salvataggio suo marito avrebbe insistito per


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prenderli, ma per le vacanze in famiglia non esisteva nulla del genere. Avrebbe dovuto prenotare la business class per sé e l’economica per gli altri; così avrebbe potuto giustificarlo senza problemi al commercialista della società per la quale lavorava. Le sue gambe erano troppo lunghe per gli striminziti sedili della classe economica, e inoltre c’era stata quella ricerca sul pericolo di coaguli del sangue durante il volo, per cui Theo aveva provveduto a comprarsi un paio di calze contenitive, perché, a ragion veduta, era lui quello che più rischiava, e adesso il suo programma giornaliero includeva anche un’aspirina; tuttavia, l’ansia restava. Le sue smanie si erano placate al pensiero che, almeno, con il Frequent Flyer Miles tutti i biglietti erano gratis. Avrebbero persino potuto portare una tata, ma, con grande sollievo del marito, Polly aveva ripetuto che non serviva più, ora che aveva rinunciato alla carriera. Non si era mai aspettato Mary Poppins, non letteralmente, ma se ne esisteva una che non si presentava con piercing vari e un odio connaturato per i suoi datori di lavoro, Theo non l’aveva mai incontrata. Il problema dei servizi per l’infanzia era un’altra delle questioni che i britannici davvero non avevano sbrogliato, non disponendo di un esercito volenteroso di messicane sulla porta di casa. Neanche a dirlo, in quanto socio della Cain–Innocent, non avrebbe comunque potuto assumere una di quelle, a ogni modo… Due settimane con Polly e i bambini, lontano dallo studio, erano abbastanza per far cadere le braccia a chiunque, pensava. Non perché non volesse bene a tutti loro, specialmente ai figli, però andare in vacanza insieme era un’altra storia. Le mogli di alcuni colleghi riuscivano a stare l’intera estate da sole, facendosi vive saltuariamente per il fine settimana, ma per il resto tenendosi ben alla larga. Lui aveva bisogno del suo spazio e lo trovava allo studio. Ma Polly sarebbe uscita fuori dai gangheri al minimo accenno. Il problema era che, per quanto gli importasse della consorte e dei figli, a Theo importava di più del lavoro, e


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della sua altra vita. Niente, ma proprio niente, reggeva il confronto dell’euforia e dell’adrenalina di un affare che andava in porto. Polly non capiva; pensava che lui lavorasse per il denaro, o per dimostrare di poter avere successo oltreoceano, lontano dalla madre. Ma per lui, una vacanza era per l’appunto solo questo: una vacanza; un periodo di tempo vuoto, senza impegni, e il fatto che ci fossero altre persone non diminuiva la sua frustrazione. Al lavoro era qualcuno. Aveva una posizione, una funzione, un’occupazione; al lavoro aveva lo stress, sì, ma lo stress faceva bene, pensava Theo. Ad affrontarsi erano i migliori tra i migliori e tutti davano il meglio, anche se questo significava avere riunioni di domenica mattina alle sette. Era così che lavorava uno studio prestigioso. A Polly toccavano gli avanzi di tutto questo e, visto che era così tranquilla, così calma e di poche pretese in tutte le piccole e insignificanti faccende domestiche per le quali non si può importunare il proprio compagno, era la moglie ideale, anche se s’interessava di musica e arte più di quanto non fosse strettamente necessario. Ogni tanto Theo aveva l’impressione che la differenza fra l’esperienza di vita coniugale che aveva Polly e quella che aveva lui fosse come quella fra due persone che guardino lo stesso dramma, una dalla platea di un teatro, e l’altra davanti alla televisione. Naturalmente, Theo andava spesso a teatro, così come all’opera. Era quel genere di cose che si facevano in quanto soci della Cain–Innocent, proprio come andare dal barbiere e dal sarto. La gestione della vita era solo questione di navigare in acque tranquille e destreggiarsi nelle difficoltà mostrando il proprio lato buono, e in quelle circostanze la cultura era terapeutica. Lui non era appassionato di musica come Danny e Polly. Sinceramente, sperava di non essere appassionato di nulla. Da molto tempo Theo aveva capito che, ogni volta che qualcosa poteva turbarlo, lui riusciva semplicemente a guardare a quanto accadeva con perfetto distacco. Qualcuno l’avrebbe


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potuto ritenere sgradevole, ma Theo lo considerava fondamentale. Altrimenti, come poteva una persona razionale funzionare in modo appropriato? Così ora, in attesa che la ragazza dell’Avis ritrovasse la sua prenotazione, lui si sforzava di restare calmo. Al di là di quello che succedeva. Si ricordò della frase che aveva citato il suo professore preferito a Harvard: «La legge è ragione senza passione». Era così che un avvocato viveva la sua vita. Amava Polly senza esserne innamorato — una condizione, quest’ultima, che disprezzava integralmente, reputandola dannosa per gli affari e distruttiva per la proprietà, la stabilità e la conformità. Nessun avvocato, e specialmente nessun socio della Cain–Innocent, poteva credere nelle favole. Pensò a Polly mentre la ragazza dell’Avis finalmente compilava i moduli richiesti. Un periodo di vacanza era una pausa, qualcosa di cui entrambi avevano bisogno. Condividevano così tante cose — gli stessi interessi, gli stessi valori e i bambini, che erano (in generale) assolutamente meravigliosi. Theo si voltò a guardare Tania, che ora se ne stava appollaiata in cima alla sua grande e soffice valigia di Mulberry, con le cuffiette alle orecchie. Gli sorrise radiosa. Il lato positivo di andare in vacanza con loro era poter fare qualcosa insieme, come insegnare a entrambi a giocare a baseball, o a Robbie il nuoto a stile libero. Theo aveva sempre voluto dei figli, ne era preso come poteva esserlo un padre che lavora, e quella vacanza significava anche che avrebbero potuto recuperare un po’ di amici. No, tutto sommato, pensò Theo, quando la pressione sanguigna tornò alla normalità, finché Guy si fosse adattato a quella farsa, ci sarebbe stato da divertirsi.













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« La Craig scrive con fascino e intelligenza e quello che in altre mani potrebbe sembrare inverosimile e artificioso resta invece nel regno del delizioso. »

« È come se la Craig spalmasse una pozione sulle palpebre dei suoi lettori, trascinandoli in fondo a un sogno incantato dove il potere che lei ha su di loro è totale. » Anthea Lawson

Forse i veri romanzi, come le persone reali, rivelano aspetti diversi di sé, a seconda della capacità che in quel momento il lettore ha di coglierli?

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