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Cos’è il water grabbing

Il furto dell’acqua

di Pasquale De Salve

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Il water grabbing, identificato come furto dell’acqua, è la privazione che una popolazione, con i suoi diritti di utilizzo sulle risorse idriche del territorio in cui vive, subisce da multinazionali, aziende o altri Stati, che negano la possibilità di gestire e scegliere come utilizzare le risorse idriche del territorio. Le conseguenze di questo fenomeno possono essere guerre, inquinamento o depauperamento delle risorse idriche oggetto del grabbing.

Controllo dell’acqua: dallo spreco del lago d’Aral, alle guerre contemporanee

Un esempio esaustivo è quello del Lago d’Aral, l’ex quarto lago più grande del mondo, alla frontiera tra Uzbekistan e

Kazakistan, ormai prosciugato per le necessità della produzione di cotone e trattato come “errore della natura”. Probabilmente, il caso più eloquente su grande scala per descrivere il fenomeno del water grabbing. Un caso che rivela chiaramente i danni di questa pratica per l’ambiente, l’economia e la salute di un territorio e le possibilità di sviluppo degli Stati che subiscono il furto o la privazione di questa risorsa.

L’acqua è un bene fondamentale, tanto da essere stata protetta e riconosciuta come diritto umano dalle Nazioni Unite. Più questo bene comune diventa scarso, per l’incremento della popolazione o di altri fattori, più il suo più coinvolte nel water grabbing. Ma non sono le sole… controllo porta a conflitti tra Stati e negli Stati: tra il 2010 e il 2018 l’Unesco contava ben 263 guerre per il controllo dell’acqua.

Da allora, come ultimi eventi occorsi, la contesa armata tra Afghanistan e Iran, entrambi colpiti da siccità, per il controllo di alcune risorse idriche di confine e la distruzione della diga Nova Kakhovka sul fiume Dnipro, in pieno conflitto ucraino, con le devastanti ripercussioni che questo avrà nel tempo sulle sue popolazioni, sul territorio e sulla sua economia.

Gli interessi delle industrie e degli Stati sull’acqua vanno a colpire le popolazioni

Secondo l’Onu ben 1,8 miliardi di persone si troveranno a dover fronteggiare la carenza idrica e ben due terzi degli esseri umani saranno sottoposti a stress idrico. L’aumento delle temperature globali e quello della popolazione mondiale saranno elemento scatenante di nuove guerre in futuro, specie dove si avrà a che fare con la siccità. Ad oggi, sono tre le aree considerate più a rischio: il Medio Oriente, l’Africa sub sahariana e l’Asia meridionale, senza dimenticare, però, che il cambiamento climatico porta conseguenze dagli effetti imprevedibili ovunque.

Il settore dell’estrazione mineraria è uno di quelli che più spesso portano a fenomeni di water grabbing. L’estrazione del carbone, o il fracking per la ricerca del gas, di frequente hanno comportato problemi di accaparramento o di danneggiamento delle risorse idriche. Per il carbone, infatti, è necessario usare una quantità di acqua notevole lasciandola inquinata, per quanto riguarda il fracking, il problema sta nei danni che possono subire le falde acquifere. L’inquinamento delle risorse idriche dovuto all’attività industriale spesso risulta visibile o ne risultano visibili gli effetti indiretti come l’aumento dell’incidenza di gravi malattie. Per impedire l’inquinamento o il danneggiamento di corsi d’acqua e falde si agisce su autorizzazioni e controlli che rappresentano il momento critico in cui si manifestano episodi di corruzione o di pressione lobbistica sulle scelte dei decisori. Governi e amministrazioni si trovano così tra l’incudine e il martello: tra il permettere cioè le necessità industriali o il garantire le comunità locali e le popolazioni fin troppo spesso costrette a subire inermi la privazione di un diritto umano.

C’è del water grabbing anche nell’inquinamento, nella presunzione che delle industrie abbiano il diritto di sversare le proprie acque reflue in fiumi inquinandoli a tal punto da renderne impossibile l’utilizzo alimentare o agricolo. È il caso del fiume più inquinato del mondo, l’indonesiano Citarum, distrutto dagli sversamenti delle aziende dell’indotto tessile più utilizzato al mondo.

Come difendersi in Europa?

Dove il contesto non è tale da generare conflitti armati e spargimenti di sangue, la via della prevenzione e della tutela sta prioritariamente nel diritto e nella strada della democrazia.

L’Assemblea generale ONU riconosce dal 2010 il diritto umano all’acqua e ai servizi igienici e lo fa definendolo come una sorta di prerequisito alla base dei diritti umani. Già le Nazioni Unite, quindi, aprono una possibilità di difesa almeno dove lo Stato di Diritto esiste.

L’Europa è uno dei continenti dal maggiore utilizzo pro-capite di acqua e con più alta impronta idrica virtuale, ossia il consumo di acqua generato dalla produzione dei beni acquistati dall’utenza europea (indipendentemente se siano prodotti in loco o in altre parti del mondo). Un contesto in cui la Direttiva Europea 2020/2184 stabilisce gli standard di salubrità e pulizia relativi alle acque destinate al consumo umano, mettendo in primo piano il diritto all’accesso all’acqua per tutti, oltre a fissare delle garanzie di tutela per le fasce di popolazione più emarginate.

In Italia dove i problemi di water grabbing sono per lo più oscurati su larga scala da quello della “dispersione idrica” e dall’inquinamento dettato da più fattori concomitanti, il diritto di accesso all’acqua è normato con il Decreto Legislativo del 23 febbraio 2023, n. 18 che recepisce la direttiva europea e con i Decreti Legislativi 152/1999 e 152/2006 che tutelano i corpi idrici (cioè le acque superficiali come quelle di laghi e fiumi e sotterranee come le falde) dall’inquinamento e regolamentano reti fognarie e sistemi depurativi.