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L’agricoltura assorbe il 70% dell’acqua dolce disponibile

Le nuove tecniche che permettono di ridurne l’impatto

di Giacomo Capodivento

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L’acqua è fondamentale per la vita organica, tuttavia solo una piccola percentuale è utilizzabile dagli esseri viventi per il proprio sostentamento. Della totalità delle acque sul pianeta solo il 2,5% è dolce, il resto è salata. Di questo 2,5% solo lo 0,75% è concentrato nei fiumi, nei laghi, nelle falde acquifere e nell’atmosfera. Il resto è intrappolato nel ghiaccio. Questo vuol dire che solo 4,5 dei 1.400 milioni di miliardi di metri cubi sono a disposizione di uomini e animali.

A rendere particolarmente delicata la questione idrica sono le modalità di utilizzo di questa preziosa risorsa. I dati del 2019 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente indicano che per le attività economiche europee sono utilizzati circa 243 miliardi di metri cubi di acqua.

Più dettagliatamente, secondo una ricerca dello stesso anno della Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, l’agricoltura assorbe il 70% dell’acqua mondiale, ma se si considera l’intero settore agroalimentare la percentuale sale al 90%. Per esempio, solo mangiare meno carne vorrebbe dire ridurre l’impronta idrica del 35%.

Quando si parla di impronta idrica ci si riferisce al volume di acqua dolce utilizzata per produrre beni o servizi per soddisfare i bisogni di individui o comunità. Si pensi a tutti quei settori che utilizzano questo elemento prezioso per attività come l’irrigazione, il raffreddamento nelle centrali nucleari e a combustibili fossili, la produzione di energia e il turismo, solo per citarne alcuni. Il monitoraggio di questa grandezza fornisce indicazioni utili per valutare la sostenibilità dei consumi.

Il concetto di impronta idrica nasce nel 2002 grazie al professore universitario Arien Y. Hoekstra. L’idea era appunto quella di non fermarsi al mero calcolo dell’acqua utilizzata ma di considerare anche i processi che vi sono dietro,

L’ultimo censimento Istat riporta che circa il 30% della superficie agricola in Italia adotta le tecniche di irrigazione a goccia, sistemi che somministrano l’acqua direttamente alle piante con una riduzione del consumo di acqua tra il 15% e l’80% il contesto in cui avvengono e le persone coinvolte, di modo da poter determinare come le risorse idriche vengono effettivamente utilizzate e quale peso hanno sull’ambiente.

L’acqua è fondamentale per la vita organica, tuttavia solo una piccola percentuale è utilizzabile dagli esseri viventi per il proprio sostentamento. Della totalità delle acque sul pianeta solo il 2,5% è dolce, il resto è salata. Di questo 2,5% solo lo 0,75% è concentrato nei fiumi, nei laghi, nelle falde acquifere e nell’atmosfera. Il resto è intrappolato nel ghiaccio. Questo vuol dire che solo 4,5 dei 1.400 milioni di miliardi di metri cubi sono a disposizione di uomini e animali.

In Italia, l’impatto idrico è stimato in circa 130 miliardi di metri cubi all’anno. Secondo i dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), vengono consumati 26 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno, di cui il 55% per usi agricoli.

Un’azienda agricola di origini romane, The Circle, nel 2017 ha avviato un modello agricolo totalmente sostenibile per ridurre la pressione idrica in agricoltura senza generare scarti: l’acquaponica. Il principio alla base è che in natura si può riciclare tutto. Questa tecnica combina la coltivazione fuori suolo e l’acquacoltura. Per esempio, riutilizzando l’acqua contenuta all’interno di vasche in cui vengono allevati pesci d’acqua dolce è possibile produrre materie prime sostenibili, ricercate, fresche e di altissima qualità. Attualmente l’impianto acquaponico di The Circle è

L’agricoltura assorbe il 70% dell’acqua mondiale, ma se si considera l’intero settore agroalimentare la percentuale sale al 90% il più grande di Europa.

Questa tecnica era già stata introdotta negli Stati Uniti e nei Caraibi prima del 2010 e si è poi diffusa in Europa dove la produzione commerciale è orientata alla coltivazione di vegetali. Per esempio nel 2018, attraverso BlueGrass, un progetto di ricerca finanziato da Interreg Europe - un programma che sostiene iniziative transfrontaliere per lo sviluppo delle regioni europee - sono stati realizzati due impianti acquaponici a Koper, in Slovenia e a Palse di Procia, in provincia di Pordenone (PN).

Anche l’industria 4.0 può rendere sostenibile la produzione agroalimentare. Nel vertical farming, grazie all’utilizzo delle tecnologie informatiche, è possibile ripensare la produzione grazie a sistemi interconnessi e all’analisi dei dati con cui monitorare e controllare la produzione agricola attraverso la regolazione dell’illuminazione e dell’umidità del terreno, l’ottimizzazione dell’energia e la creazione di ambienti controllati, limitando la contaminazione da inquinanti, funghi e parassiti, e rendendo superfluo l’utilizzo di pesticidi e fitofarmaci e quindi anche il lavaggio prima della commercializzazione.

Esempi ne sono Agricola Moderna, una vertical farm che produce insalate e piante aromatiche con sede a Melzo, in provincia di Milano, Sfera Agricola, una serra basata su tecnologia idroponica con sede a Gavorrano, in provincia di Grosseto e Future Farming District, a Capriolo (PN).

Lì dove manca la disponibilità di strumenti all’avanguardia è necessario ricorrere a buone pratiche come il ridimensionamento dell’uso di pesticidi

Il concetto di impronta idrica nasce nel 2002 grazie al professore universitario Arien e fertilizzanti che riducono la capacità del terreno di trattenere l’acqua, il monitoraggio dell’umidità del suolo e l’irrigazione attraverso l’acqua piovana. Si può anche irrorare il terreno in base alle condizioni meteorologiche, riutilizzare più volte la stessa acqua attraverso sistemi di filtraggio, effettuare la manutenzione agli impianti per evitare perdite di acqua o ricorrere a sistemi di coltivazione a circuito chiuso in cui acqua e nutrienti vengono recuperati il più possibile.

Y. Hoekstra. L’idea era quella di non fermarsi al mero calcolo dell’acqua utilizzata ma di considerare anche i processi, il contesto in cui avvengono e le persone coinvolte.

Di segnali positivi circa la reale possibilità di ridurre l’impatto idrico in agricoltura ce ne sono e alcuni sviluppi interessanti stanno prendendo piede anche da noi. L’ultimo censimento Istat riporta che circa il 30% della superficie agricola in Italia adotta le tecniche di irrigazione a goccia, sistemi che somministrano l’acqua direttamente alle piante, in modo graduale e controllato, con una riduzione del consumo di acqua tra il 15% e l’80%. In alcune regioni (Liguria, Puglia, Sicilia e Basilicata) la micro irrigazione risulta essere addirittura il metodo prevalente.

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