Bergamo Salute - 2022 - 64 - gennaio/febbraio

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numero

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Anno 12 Gennaio | Febbraio 2022

www.bgsalute.it Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG

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Dito a scatto COME RICONOSCERLO E COSA FARE

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Alimentazione 4 MESI PER RITROVARE LA LINEA

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Heels Dance IN FORMA SUI TACCHI

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Borse e occhiaie I RIMEDI PER CANCELLARLE

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Volontariato

Il grande cuore bergamasco


PREVENIRE È MEGLIO CHE CURARE

LE BUONE PRATICHE PER TENERE MONITORATO IL PROPRIO STATO DI SALUTE ORALE Per salute orale non si vuole intendere solamente assenza di malattia, ma molto di più: si tratstato di salute e di benessere della persona; esistono, ad esempio, correlazioni tra malocclusione dentale e alterazioni della postura corporea e tra parodontopatie e patologie dell’apparato cardiovascolare e diabete. Le malattie del cavo orale sono strettamente legate agli stili di vita (igienici e alimentari) e sono provocate in larga misura da batteri contenuti nella placca dentaria.

che visite specialistiche permettono il precoce intercettamento di eventuali processi patologici. Una buona igiene orale prevede innanzitutto il corretto spazzolamento dei denti, che deve avvenire almeno tre volte al giorno (dopo i interdentale. Tali manovre hanno lo scopo di eliminare meccanicamente la placca batterica dalle

residui di cibo. Per quanto riguarda invece le abitudini alimentari, un abbondante apporto di zuccheri con la dieta può determinare, da parte dei batteri cariogeni, la formazione di sostanze acide La mancanza di adeguati interventi di prevenzione può portare responsabili della demineralizzazione della componente inorgaad alti valori di prevalenza di carie e di parodontopatie, con per- nica dello smalto e della dentina. dita precoce di elementi dentari causa di edentulismo (parziale o Per questi motivi, le visite a cadenza periodica, oltre a creare una totale) e di conseguenti disagi funzionali ed estetici. La prevenzione delle malattie dei denti e delle gengive si fonda consapevolezza del proprio stato di salute, servono a far conosull’adozione e la pratica quotidiana di precise norme di com- scere i mezzi oggi a disposizione per una buona prevenzione e a portamento legate a pratiche di igiene orale. Inoltre, periodi- intercettare precocemente eventuali patologie.

LA PRIMA VISITA E LE VISITE PERIODICHE: IL RUOLO DELLO SPECIALISTA NELLA PREVENZIONE La prima visita odontoiatrica andrebbe fatta in età infantile, entro i tre anni di età. In questo modo, il professionista può verificare lo sviluppo dei denti, dell’ossatura della bocca e del palato e, in caso di piccoli problemi, può subito intervenire. È preferibile poi, sottoporsi regolarmente – almeno ogni 6 mesi - a visite periodiche dal dentista per identificare e poter curare, sin dalle prime fasi, eventuali processi patologici a carico dei denti e delle gengive.

LA DIAGNOSI PRECOCE In odontoiatria, le patologie dentali più comuni – la carie e la piorrea – sono patologie croniche e asintomatiche per molti anni. In certi casi, quando il paziente si rende conto del problema però, il rischio di danneggiare i denti potrebbe acutizzarsi.

INFORMARSI È IL PRIMO PASSO PER PREVENIRE


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) EDITORIALE 7 Volontariato. Il grande cuore bergamasco ) ATTUALITÀ 8 Gli effetti della pandemia: vita più digitale e scontrino green ) SPECIALITÀ A-Z 10 Endocrinologia Diabete. Una malattia dai tanti risvolti 14 Ortopedia Dito a scatto. Come riconoscerlo e cosa fare ) PERSONAGGIO 18 Bergamo La prima città italiana capitale del volontariato ) IN SALUTE 23 Stili di vita Zoom Fatigue? Ecco come difendersi dallo stress da videocall 26 Alimentazione 20, 40, 60 giorni. 4 mesi per ritrovare la forma 28 Cardi, amici della linea, depurativi… ma non solo ) IN ARMONIA 30 Psicologia Misofonia: quando certi suoni diventano insopportabili 32 Coppia Io ti salverò. La sindrome della crocerossina

Anno 12 Gennaio | Febbraio 2022

) IN FAMIGLIA 34 Dolce attesa Un aiuto dall’osteopatia durante il percorso di PMA 38 Bambini E se non fosse solo timidezza? 42 Ragazzi Endometriosi. Un progetto per parlarne fin dalla scuola ) IN FORMA 44 Fitness Heels Dance, in forma sui tacchi 46 Bellezza Borse e occhiaie. I rimedi per cancellarle ) RUBRICHE 53 Animali Displasia dell’anca nei cani. Come riconoscerla e cosa fare 56 Guida esami Test del VO2max, per migliorare le performance sportive, ma non solo 58 Altre terapie Vitamina A. A cosa serve e quando “integrarla”

) DAL TERRITORIO 62 News 67 Terzo settore Cooperativa sociale Alchimia 68 Farmacie Progetto Mimosa: giù le mani! 71 Malattie rare Ipervalinemia ) STRUTTURE 72 ASST Papa Giovanni XXIII ) PROFESSIONI SANITARIE 74 L’Ordine degli Psicologi della Lombardia e i suoi Referenti Territoriali ) 77 79 81

REALTÀ SALUTE Tecno System srl Cooperativa In Cammino Ottica Gazzera

Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute

) RICETTA 60 Sformatini verza e castagne PARTECIPANTI ALLA FONDAZIONE ITALIANA PER L’EDUCAZIONE ALIMENTARE

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EDITORIALE

Volontariato Il grande cuore bergamasco Una bella notizia per iniziare il primo numero del 2022: Bergamo è stata scelta come la prima Capitale Italiana del Volontariato. Un riconoscimento, fortemente voluto dal neo ri-eletto Presidente Mattarella, che premia la generosità, l’operosità e l’impegno nel mondo della solidarietà e del volontariato che da sempre contraddistinguono i bergamaschi. Il “grande cuore bergamasco”, quello che tutta Italia ha conosciuto, forse per la prima volta, durante la prima e più drammatica ondata della pandemia da Covid, in realtà è sempre stato parte del DNA di un popolo a

volte dipinto come “chiuso” e di poche parole ma sempre pronto, nei fatti, a mobilitarsi e mettersi al servizio degli altri, senza chiedere nulla in cambio. Una ricchezza che è un patrimonio di tutti e che dobbiamo alimentare e difendere, ognuno per quello che può, perché ogni singolo gesto, ogni azione, ogni iniziativa di solidarietà può fare la differenza. E dobbiamo trasmetterla alle nuove generazioni seminando e coltivando in loro l’attenzione agli altri, il rispetto del mondo in cui viviamo, l’impegno a rendere migliore la nostra società. Proprio come sognava anche Da-

vid Sassoli, giornalista, Presidente del Parlamento Europeo scomparso prematuramente a gennaio, che nel suo ultimo messaggio di Natale, che ora appare come il suo testamento morale, diceva “Nessuno è al sicuro, da solo. L’unica risposta è la solidarietà”, invitandoci a non voltarci mai dall’altra parte.

Adriano Merigo


ATTUALITÀ

Gli effetti della pandemia: vita più digitale e scontrino green ∞ A CURA DI ELENA BUONANNO

L’inizio del 2021, tra l’emanazione di nuove misure di contenimento dell’epidemia da Covid19 e la crescita della curva dei contagi relativi alla pandemia, ha confermato i risultati della ricerca di mercato “Stetoscopio 2021”, uno studio nato all’interno della partnership Evolving Partners tra l’istituto MPS Research e la società di comunicazione e innovazione NT Next, che a fine 2021 prevedeva un cauto ottimismo degli italiani, tra emergenza e ripartenza.

FIDUCIA NEL FUTURO «Rispetto alla prima rilevazione effettuata lo scorso aprile 2021 emerge un miglioramento del sentiment degli italiani» dichiara Antonio Federico Di Marco Pernice Chief Executive di MPS Research. «Quasi 8 intervistati su 10 valutano la situazione odierna in chiave

positiva (ad aprile erano 7 su 10). Calano le preoccupazioni, anche di tipo economico, e cresce la convinzione che da questa esperienza si uscirà fortificati; a conferma del dato si registra un diffuso ottimismo nei confronti del 2022». Sul piano economico si sta assistendo a piccoli segnali di ripresa che lasciano ben sperare per il 2022, ma che attualmente non sbilanciano gli italiani verso una maggior leggerezza agli acquisti. Molti gli intervistati che anche nello scorso semestre sono stati chiamati a rinunce (94%) e risparmi (57%). Negli ultimi sei mesi un italiano su quattro ha subìto una riduzione del reddito. Il protrarsi della situazione emergenziale sembra aver impattato in modo negativo sulla fiducia della capacità di gestione del bilancio familiare. L’indice è pari a 67, in calo sia rispetto ad aprile (70), sia rispetto

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ai risultati pre-pandemia (72).

VITA PIÙ DIGITALE L’ambito sul quale la pandemia sembra aver avuto maggiormente impatto è quello della digitalizzazione, tendenza che oggi possiamo dire consolidata rispetto alla quotidianità pre-pandemica. La pratica degli acquisti online è ormai entrata nelle abitudini degli italiani, soprattutto per alcune categorie merceologiche. Se infatti prima della pandemia meno di 1 italiano su 5 dichiarava di comprare regolarmente online prodotti culturali (libri, CD, ecc.), tecnologici/informatici e piccoli elettrodomestici, ora questi articoli sono acquistati prevalentemente online da 1 italiano su 2. I mesi di didattica a distanza e di smartworking, sempre più apprezzato dai lavoratori (il 63% degli occupati vorrebbe lavorare in


modalità agile almeno 1 giorno a settimana), hanno contribuito a un incremento delle skill digitali degli italiani. Oltre alla capacità di risparmiare tempo (38%), tra i principali benefici della vita digitale si registra la maggior possibilità di accesso alle informazioni (32%), che però non sembrano rispondere alle esigenze degli italiani. Il 41% degli intervistati ritiene infatti il web lo strumento d’informazione meno attendibile (il 36% si scaglia contro i social network e il 5% contro i siti internet d’informazione).

lità è pertanto una vera e propria leva di mercato: un italiano su 2 la considera un vantaggio decisivo al momento della scelta del prodotto e 1 su 3 si dichiara addirittura disposto a spendere di più per acquisti che siano realmente sostenibili. Questa incidenza sale ulteriormente nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 24 anni, l’ennesima riprova dell’attenzione della Generazione Z nei confronti dell’argomento.

SCONTRINI IN MEDIA PIÙ SOSTENIBILI

La ripresa delle attività in presenza e della socialità e le minori limitazioni agli spostamenti hanno modificato la scala di priorità dei consumi degli italiani. Lo si nota dallo spostamento verso il basso della piramide dei viaggi e dei weekend fuori porta, che rimangono fra i consumi procrastinabili, ma si avvicinano alla soglia di quelli utili. Anche la perdita d’importanza della ristorazione a domicilio, ormai considerata quasi accessoria, è frutto della minore necessità di questi servizi grazie alla riapertura di bar e ristoranti. L’essenzialità si concentra sui bisogni di base: spesa alimentare e per la pulizia della casa, spese per l’istruzione dei figli, articoli per gli animali domestici.

Una sezione dell’indagine prende in analisi il percepito degli italiani riguardo al tema della sostenibilità, aprendo a spunti di riflessione interessanti. Il 57% degli intervistati associa il termine “sostenibilità” a temi di natura ecologica, ma a colpire è il 36% dei rispondenti un campione di mille persone tra i 18 e i 70 anni - che ha indicato le declinazioni di tipo sociale (25%) ed economico (11%). Un dato che suggerisce una sorprendente e completa concezione della sostenibilità, intesa come sintesi delle sue sfere: ambientale, economica e sociale. Nei comportamenti di acquisto degli italiani, la sostenibi-

SALUTE E BENESSERE: SU I CONSUMI ALIMENTARI E PER LA PULIZIA DELLA CASA

Cos’è Stetoscopio Pubblicato per la prima volta nel 2011, Stetoscopio è uno studio che supera la lettura lineare del comportamento di consumo per arrivare a comprendere come la percezione della situazione sociale, economica e politica del Paese impatti sul “soggetto consumatore”. Toccando grandi temi come istituzioni e aziende, bilancio familiare, sicurezza, sanità, abitudini di acquisto, digitalizzazione e sostenibilità la ricerca ci restituisce un quadro della situazione attuale e uno scorcio sul futuro. La rilevazione è stata realizzata dall’istituto MPS - Evolving Marketing Research tra il 15 e il 17 novembre 2021, su un campione di 1.000 italiani (1870 anni), rappresentativi della popolazione. È possibile leggere gli approfondimenti sul sito del progetto. www.stetoscopio2021.it

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SPECIALITÀ A-Z

ENDOCRINOLOGIA

Una malattia dai tanti risvolti ∞ A CURA DI RITA CARPINTERI

Nel tempo che impiegherete a leggere questo articolo, alcune decine di persone nel mondo avranno scoperto di avere il diabete. Nel 2006 si calcolava che 246 milioni di persone nel mondo fossero diabetiche, nel 2025 il numero salirà a 380 milioni: 7 milioni all’anno, 800 all’ora, uno ogni 4-5 secondi. Attualmente si calcola che in Italia 5 milioni di persone abbiano alterazioni di vario tipo nel mantenere la glicemia sotto controllo, di questi 3 milioni hanno un diabete vero e proprio, anche se solo 1,5 milioni lo sa e solo poco più di un milione è trattato in modo adeguato per questa patologia. A crescere, in particolare, è il diabete di tipo 2, quello più legato alle abitudini alimentari e allo stile di vita. Il diabete di tipo 1, di origine autoimmune, è in aumento anch’esso, ma su ordini di grandezza molto inferiori. L’epidemia di diabete e di obesità, che ha colpito sia l’America sia l’Europa e in misura ancora maggiore i Paesi in via di sviluppo, sta diventando un’emergenza planetaria.

UNA MALATTIA DEL PROGRESSO Il diabete è la conseguenza di un modello di sviluppo che ha reso per altri versi un grande servizio all’uomo. Il corpo umano si è selezionato per decine di migliaia di anni scegliendo le caratteristiche che lo rendevano più adatto all’ambiente. Fino a quando non vennero inventati l’allevamento e l’agricoltura, i nostri progenitori avevano una

Il trattamento del diabete richiede molto tempo, l’integrazione e l’impegno di diverse figure: diabetologi, cardiologi, cardiochirurghi, oculisti, chirurghi vascolari, chirurghi ortopedici, neurologi, nefrologi, fisiatri, urologi, chirurghi plastici, infermieri, dietisti, psicologi, fisioterapisti”

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alimentazione molto irregolare. Una serie di variazioni genetiche, via via selezionatesi, permisero di non sprecare l’energia assunta, ma di tesaurizzarla sotto forma di grasso, o come glucosio circolante nel sangue pronto a essere utilizzato dalle cellule. Nelle condizioni di oggi di facile approvvigionamento e sedentarietà le caratteristiche genetiche, che davano un vantaggio ai nostri progenitori, si tramutano in malattie croniche. Il grasso viene tesaurizzato, ma mai utilizzato e si accumula. Il glucosio nel sangue non è utilizzato e quindi ristagna e erode le arterie.

UN DIFETTO O LA MANCANZA DI INSULINA ALLA BASE Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza eccessiva di zucchero (glucosio) nel sangue, che viene definita iperglicemia. Il glucosio è la principale fonte di energia per tutte le cellule. Per permettere l’ingresso intracellulare del glucosio, che viene poi bruciato a fini energetici, il pancreas produce un ormone, l’insulina, che


funge da “chiave apriporta”. Il paziente diabetico non può utilizzare correttamente il glucosio come “carburante”, in quanto mancante dell’ormone insulina (diabete di tipo 1) oppure perché presenta un difetto di funzionamento dell’insulina stessa (diabete di tipo 2).

LA DIAGNOSI? SPESSO “CASUALE” Il diabete tipo 2 è spesso asintomatico e viene individuato attraverso esami di laboratorio eseguiti di routine: glicemia, emoglobina glicata ed esame urine. Nei casi acuti, come all’esordio del diabete tipo 1 o tipo 2 gravemente scompensato, i sintomi sono stanchezza, incremento della sete e della diuresi, perdita di peso importante e rapida, alterazioni visive e stato confusionale.

UN APPROCCIO “GLOBALE” PER LA CURA DELLA MALATTIA E LA PREVENZIONE DELLE COMPLICANZE La patologia diabetica è particolarmente rilevante per le complicanze tardive della malattia, che possono insorgere a carico di numerosi organi e apparati: complicanze microvascolari quali neuropatia, nefropatia, retinopatia, e complicanze macrovascolari quali infarto del miocardio, ictus cerebrale, insufficienza circolatoria degli arti inferiori. Per questo, nell’ambulatorio di diabetologia, il paziente viene preso in carico con lo scopo di ridurre il rischio cardiovascolare nella sua globalità, attraverso il controllo di glicemia, assetto dei lipidi, pressione arteriosa. Questi

obiettivi vengono perseguiti attraverso l’educazione terapeutica del paziente e le più innovative terapie farmacologiche.

LE NOVITÀ NELLA TERAPIA FARMACOLOGICA Ad oggi sono presenti numerose categorie farmacologiche, ognuna con diverse peculiarità, tali da poter cucire in modo sartoriale la terapia adatta ad ogni paziente. Le classi di ipoglicemizzanti attualmente disponibili sono: biguanidi, sulfoniluree, glinidi, glitazoni (o tiazolidinedioni), inibitori dell’enzima DPP-4, inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali, inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2, gli analoghi del GLP-1. Le biguanidi (metformina) e i glitazoni (tiazolinedione) aumentano la sensibilità all’insulina. Le sulfoniluree (glimepiride e gliclazide RM) e le glinidi (repaglinide) aumentano la secrezione insulinica. Gli inibitori dell’enzima DPP-4 (sitagliptin, linagliptin, saxagliptin, alogliptin, vildagliptin) rallentano la degradazione di un ormone (il GLP1) che viene prodotto dall’intestino e stimola la secrezione di insulina e inibisce la secrezione di glucagone dal pancreas. Gli inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali (acarbosio) ritardano l’assorbimento del glucosio alimentare. Gli inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2 (canaglifozin, dapaglifozin, empaglifozin, ertuglifozin) aumentano l’eliminazione renale del glucosio. Gli analoghi del GLP-1 mimano l’azione del GLP1 (glucagon-like pep-

DOTT.SSA RITA CARPINTERI Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio Ospedale Faccanoni Habilita Sarnico (BG)

tide 1), un ormone prodotto dall’intestino che stimola la secrezione di insulina e inibisce la secrezione di glucagone da parte del pancreas, rallenta lo svuotamento gastrico, aumenta il senso di sazietà in risposta all’assunzione di cibo, e riduce l’appetito, agendo direttamente sui centri di regolazione della fame del sistema nervoso centrale. Questo ormone sembra anche avere altre azioni potenzialmente favorevoli fra i quali una protezione delle beta-cellule pancreatiche e una protezione del cuore. Tali farmaci si somministrano con iniezione sottocutanea una volta al giorno (liraglutide, lixisenatide) o due volte al giorno (exenatide) oppure una volta alla settimana (exenatide LAR, dulaglutide e semaglutide). Inoltre liraglutide e lixisenatide sono disponibili anche in associazione precostituita con insulina (degludec e glargine rispettivamente) in proporzioni fisse. Altro importantissimo tassello della

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SPECIALITÀ A-Z

ENDOCRINOLOGIA

terapia per il diabete è l’insulina. La somministrazione d’insulina rimpiazza la carenza di ormone che è assoluta in caso di diabete tipo 1 e relativa in caso di diabete tipo 2. La terapia insulinica, salva-vita nel diabete tipo 1, è in alcuni casi indispensabile anche nel diabete tipo 2, a volte solo temporaneamente al momento della diagnosi o in caso di eventi intercorrenti (traumi, operazioni chirurgiche, malattie concomitanti), altre volte in via definitiva quando la malattia dura da molti anni e le cellule che producono l’insulina sono molto ridotte. Inoltre è necessaria nel diabete tipo 2 se i farmaci orali sono controindicati (ad esempio se c’è insufficienza renale o epatica) o non sono tollerati. Le insuline disponibili in

commercio si distinguono, a seconda della velocità e della durata di azione, in rapidissime (lispro, aspart, glulisina), rapide (umana regolare), intermedie, a lunga durata (glargine, detemir, lisproprotamina, degludec). Sono disponibili anche miscele precostituite d’insulina rapidissima e intermedia. In molti casi la correzione dell’iperglicemia richiede l’uso di 2-4 farmaci, sfruttando meccanismi

d’azione complementari. In altri casi i farmaci orali possono essere associati all’insulina, più spesso del tipo a lunga durata d’azione, assunta una volta al giorno.

Educazione e stile di vita, le armi in più L’educazione terapeutica è di fondamentale importanza per il paziente diabetico e comprende il cambiamento dello stile di vita (alimentazione, attività fisica, abitudine al fumo), l’autocontrollo glicemico strutturato, la cura quotidiana (igiene orale, la cura del piede), la gestione di eventi particolari (gestione del diabete durante malattie intercorrenti, eventi acuti quali ipo o iperglicemia). Le caratteristiche principali dell’intervento dietetico per la cura del diabete di tipo 2 sono: moderata restrizione calorica (con l’obiettivo di una riduzione del peso del 5-7%), con il 55-60% di carboidrati, il 30% di lipidi, il 12-15% di proteine (preferibilmente vegetali), e un consumo di fibre giornaliero superiore a 15 gr/1.000 calorie. L’attività deve essere di tipo aerobico, di moderata intensità e della durata di almeno 20-30 minuti/ giorno o 150 minuti/settimana. L’efficacia dell’esercizio fisico consente di mantenere dei profili glicemici giornalieri più stabili, oltre che livelli glicemici più bassi ed è, almeno in parte, indipendente dalla perdita di peso ed è dose dipendente. L’autocontrollo, ossia la rilevazione dei valori glicemici domiciliare, è molto utile non solo al paziente, ma anche al diabetologo che potrà così disporre di tutti gli elementi per migliorare l’efficacia della terapia. A seconda delle esigenze e della terapia in atto sarà utile la rilevazione della glicemia con minore o maggiore frequenza e in specifici momenti della giornata, secondo specifici schemi di automonitoraggio. La cura quotidiana riguarda in particolare la cura del proprio piede e in generale della propria pelle, che deve essere mantenuta integra e ben idratata. La pelle eccessivamente secca tende infatti a screpolarsi facilitando in questo modo l’ingresso di microorganismi potenzialmente molto dannosi. L’educazione all’autogestione del diabete è un processo di miglioramento di abilità, conoscenze e comportamento relativi alla propria patologia, finalizzato a ridurre le complicanze e/o ritardare la progressione dei sintomi e sviluppare la capacità di prendere decisioni da parte della persona con diabete che, in questo modo, diventa parte attiva del processo di cura e membro del team clinico con cui, potrà condividere obiettivi di miglioramento.



SPECIALITÀ A-Z

ORTOPEDIA

Dito a scatto Come riconoscerlo e cosa fare ∞ A CURA DI DAVIDE SMARELLI E SIMONE GIORI

Il dito a scatto, chiamato anche tenosinovite stenosante, è una problematica molto comune, ma anche di semplice risoluzione. Se diagnosticato e trattato tempestivamente, infatti, è possibile risolvere la patologia e recuperare anche al 100%.

QUANDO I TENDINI DELLE DITA FANNO FATICA A “SCORRERE” Il dito a scatto può verificarsi nelle quattro dita lunghe o nel pollice, ed è una patologia a carico dei tendini flessori. I tendini funzionano come degli elastici e hanno l’obiettivo di piegare le dita. Scor-

rono, avvolti nella loro guaina (chiamata tenosinovia), all’interno di tunnel fibrosi creati dalle pulegge, delimitati dall’arco delle pulegge e dalla base l’osso, che gli permettono regolare nutrizione e scorrimento. Il dito a scatto consiste in un deficit di scorrimento di tali strutture e può verificarsi per un aumento di spessore del tendine, della guaina o della puleggia. Ogni volta che il tendine si mette in tensione all’interno della puleggia si schiaccia producendo dolore e può scattare generando ulteriore infiammazione e ispessimento delle strutture, andando a creare un circolo vizioso ogni volta che il paziente piega il dito.

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SOVRACCARICO FUNZIONALE E MICROTRAUMI TRA LE CAUSE PIÙ FREQUENTI Tra le cause del dito a scatto possono esserci microtraumi o un sovraccarico funzionale dovuto a prese ripetute e forti. Tra i fattori di rischio principali ci sono alcune condizioni mediche come l’artrite reumatoide e le malattie reumatiche, la gotta e il diabete.

I SINTOMI? DOLORE, GONFIORE, RIGIDITÀ Il dito a scatto si manifesta con dolore, gonfiore, rigidità o perdita di movimento e sintomi meccanici. Vediamoli uno per uno. > Dolore: può iniziare con un


SIMONE GIORI Fisioterapista Humanitas Gavazzeni Bergamo

DOTT. DAVIDE SMARELLI Specialista in Ortopedia e Traumatologia Responsabile Chirurgia della mano Humanitas Gavazzeni Bergamo

disagio percepito alla base del dito interessato, che aumenta esercitando una pressione sull’area della puleggia; all’inizio il dolore è legato all’attività della presa ma poi, nel tempo, può

causare compressione e dolore a prescindere dall’uso delle mani. > Gonfiore: con il tempo può svilupparsi un nodulo alla puleggia causato da un

rigonfiamento nodulare all’interno del tendine o allo sviluppo di una cisti piena di liquido; il gonfiore può anche interessare tutto il dito. > Rigidità o perdita di


SPECIALITÀ A-Z

ORTOPEDIA

movimento: un dito a scatto può comportare la perdita della capacità di piegare e raddrizzare il dito; questa disfunzione è più comune nelle fasi croniche non trattate in cui il dolore è persistente. > Sintomi meccanici: si tratta di schiocchi o blocchi articolari nel movimento del dito interessato.

LE OPZIONI DI TRATTAMENTO Trattare un dito a scatto significa ridurre o eliminare il gonfiore e il blocco, consentendo un movimento completo e indolore del dito. Dopo una prima valutazione ortopedica, la scelta di trattamento può essere di tipo conservativo o chirurgico. Conservativo > Iniezioni di corticosteroidi: le infiltrazioni di questo farmaco hanno la peculiarità di avere una forte e quasi immediata azione antinfiammatoria. A volte sono in grado di risolvere i problemi più leggeri o, quantomeno, alleviare i sintomi delle situazioni più complesse. > Fisioterapia: se eseguita da un terapista specializzato sulla 16 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2022

mano, può essere di grande aiuto insieme all’educazione del paziente. La prima indicazione è cercare di modificare le attività lavorative, facendo particolare attenzione alle prese di forza e ripetitive. Importante inoltre è tenere l’arto a riposo. Si può anche cercare di ingrandire il diametro dell’impugnatura degli attrezzi maggiormente utilizzati per evitare di aumentare lo stress a carico dei tendini. Il terapista può poi confezionare un tutore notturno volto a ridurre il gonfiore evitando il bloccaggio doloroso durante il sonno, o un tutore diurno da utilizzare nelle attività quotidiane. I tutori sono molto utili anche in prospettiva di un intervento chirurgico non programmato a breve termine. Inoltre si possono ottenere benefici da alcuni esercizi svolti anche a domicilio. È sempre buona cosa che il fisioterapista insegni concetti ed esercizi, come il movimento articolare passivo per un migliore scorrimento del tendine e trattamenti antiedemigeni volti a far ridurre l’infiammazione e il conseguente gonfiore.

Chirurgico Se i trattamenti conservativi non alleviano i sintomi, può essere utile sottoporsi a un intervento chirurgico, solitamente effettuato in day hospital. La chirurgia consiste nell’aprire, attraverso una piccola incisione, la puleggia alla base del dito, cioè all’inizio del canale digitale, in modo che il tendine possa scivolare più liberamente. Il clic o lo schiocco scompaiono nella maggior parte dei casi dopo aver tagliato la puleggia. Durante il trattamento chirurgico il paziente rimane sveglio con anestesia locale, essendo così in grado di muovere la mano aiutando anche il chirurgo a verificare la risoluzione del problema. Nel post chirurgico il movimento delle dita recupera in modo molto soggettivo. Di solito non è necessario ricorrere a un intervento fisioterapico, ma se la rigidità del dito persiste diventa fondamentale affidarsi a un terapista specializzato sulla mano per velocizzare i tempi di recupero. Per i casi più gravi in cui il dito rimane piegato si può confezionare un tutore post chirurgico su misura per riportare il dito nella posizione naturale di completa estensione.


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VOLONTARIATO DI BERGAMO

Bergamo, la prima città italiana capitale del volontariato ∞ A CURA DI LUCIO BUONANNO

Il logo, stilizzato con i colori di Bergamo, giallo e rosso, rappresenta un grande abbraccio, avvolgente, come quello che i volontari fanno ogni giorno aiutando chi ha bisogno, con amore e senza chiedere nulla in cambio. È il biglietto da visita di Bergamo, prima Capitale Italiana del Volontariato. Un riconoscimento e un premio alla città e alla provincia, che conta più di 4.300 associazioni con oltre 100.000 volontari iscritti e altri centomila definiti “liquidi” in quanto non fanno parte di nessuna organizzazione. Più di duecento mila bergamaschi, su una popolazione di 1 milione e 100 mila abitanti, sono disponibili ad aiutare i più deboli. Secondo una ricerca promossa alcuni anni fa da CSV, (Centro di Servizio per il Volontariato Bergamo), con l’Università degli Studi di Bergamo, il valore economico del volontariato, organizzato e spontaneo, e soprattutto gratuito, nella nostra provincia supera mezzo miliardo di Euro, pari a quasi un punto e mezzo del PIL provinciale. È insomma Il “grande cuore dei ber-

gamaschi”, dati oggettivi che raccontano come la provincia bergamasca sia storicamente una terra di volontari, di persone che si mettono al servizio degli altri, silenziosamente, senza nulla chiedere in cambio, nel mondo laico tanto quanto in quello religioso. A lanciare la proposta di scegliere ogni anno una città come capitale del volontariato è stato il Presidente Sergio Mattarella nel 2020 in occasione del suo intervento a Padova nominata Capitale Europea del volontariato. Una proposta subito accolta dal CSV nazionale e dall’ANCI (Associazione dei Comuni Italiani), che ora hanno scelto la nostra città e la nostra provincia come prima Capitale italiana. Per Mattarella il volontariato è infatti “una straordinaria energia civile che aiuta le comunità ad affrontare le sfide del tempo e le sue difficoltà”. E in occasione della Giornata Internazionale del volontariato per lo sviluppo economico e sociale ha affermato: “La pandemia ha evidenziato fragilità sociali ed economiche. Le misure

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per cercare di rallentare la diffusione del virus hanno cambiato il modo in cui viviamo, ma le attività dei volontari e delle volontarie non si sono fermate portando, con coraggio e abnegazione, conforto fattivo alle categorie più vulnerabili. Il volontariato nel nostro Paese ha radici lontane, è un importante volano di solidarietà ed è stato artefice, lavorando in sinergia con i territori, di un profondo cambiamento sociale che ha migliorato la qualità della vita della collettività. Sostenere il volontariato e facilitare la partecipazione dei nostri giovani in questo settore concorre alla formazione di cittadini responsabili in grado di affrontare sfide locali e globali, contribuendo attraverso l’inclusione alla creazione di una società sempre più equa e priva di pregiudizi, in cui si rafforzano i valori di generosità e di altruismo”. Anche Papa Francesco ha sottolineato più volte l’importanza del volontariato. “È una delle cose più grandi che ha la società italiana. I volontari. Quanti di loro hanno lasciato la vita in questa pandemia!


Si fa per amore, semplicemente per servizio. La gratitudine, la riconoscenza, è prima di tutto segno di buona educazione, ma è anche un distintivo del cristiano. È un segno semplice ma genuino del regno di Dio, che è regno di amore gratuito e riconoscente”. E amore gratuito lo dimostrano i tanti volontari bergamaschi e non che supportano i più deboli

consegnando loro la spesa, le medicine, aiutandoli in casa o nei piccoli lavori, accompagnandoli in ospedale per le cure oncologiche, la riabilitazione, gli esami o semplicemente facendo loro compagnia, aiutandoli a sentirsi meno soli. La pandemia ha indebolito tutti: insicurezza, ansia, paura, chiusura, difficoltà a guardare avanti e relazionarsi con gli altri. E ancora una volta, con i contagi che

aumentano, il ruolo dei volontari diventa indispensabile, soprattutto nell’anno in cui Bergamo è la Capitale Italiana del volontariato. Il CSV e l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune continuano nel loro impegno con nuove iniziative e con i tanti volontari. Ne abbiamo parlato con Oscar Bianchi, presidente del CSV Bergamo e con l’assessore Marcella Messina.

Due su cento aiutano i più vulnerabili “Lo scorso 5 dicembre, in occasione della Giornata Internazionale del Volontariato, insieme al Comune di Bergamo, a CSVnet e ad ANCI, abbiamo annunciato che nel 2022 Bergamo sarà la prima Capitale Italiana del Volontariato. Un riconoscimento conferito alla nostra città che è carico di un forte significato simbolico: la nostra terra, colpita in modo così

forte dalla pandemia, ha saputo rialzarsi anche grazie ai suoi numerosi volontari. Anche per questo, Bergamo rappresenta l’apertura di una nuova stagione per tutto il movimento del volontariato, chiamato ad affrontare una transizione tra quello che è stato e quello che sarà, senza dimenticare le proprie radici. Un riconoscimento che va soprattutto a voi volontari e volon-

OSCAR BIANCHI Presidente CSV Bergamo

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PERSONAGGIO

VOLONTARIATO DI BERGAMO

tarie che a Bergamo siete più di 100.000 e rappresentate un patrimonio inestimabile per il nostro territorio: patrimonio silenzioso, ma che non è rimasto nascosto agli occhi di chi ha scelto di conferire questo titolo proprio alla nostra città. Credo che questo Natale non possa esserci dono più bello di questo annuncio per chi come voi s’impegna quotidianamente per il benessere delle nostre comunità. Un dono che è allo stesso tempo un invito a essere nostri compagni nell’avventura che ci aspetterà il prossimo anno: avremo bisogno dell’aiuto e della collaborazione di tutti per immaginare e realizzare progetti e interventi che rimettano il Volontariato al centro delle politiche. Solo in questo modo, infatti, la grande opportunità offerta dalle celebrazioni per la Capitale non resterà un evento transitorio, ma avrà un impatto reale sulla qualità della vita dei cittadini bergamaschi e sul futuro del nostro volontariato.” Così a Natale Oscar Bianchi presidente del CSV Bergamo nella lettera di auguri alle migliaia di volontari bergamaschi. Ora però è impegnato a preparare il programma per l’importante evento. Ne parliamo con lui che ci rivela anche una curiosità sulla nomina di Bergamo a Capitale Italiana del volontariato. «Due anni fa il Presidente Mattarella a Padova propose di nominare, a turno, capitale una delle 49 città, sedi di Centro di Servizio per il Volontariato. E chiese alla

rete dei CSV d’impegnarsi insieme con l’ANCI a preparare un bando che sarà pronto tra qualche mese e riguarderà il 2023. Ma la volontà era di partire subito e allora si è deciso di premiare Bergamo come prima Capitale italiana del Volontariato. Una grande opportunità per noi. Il nostro obiettivo è quello di provare a fare incontrare il mondo del volontariato a vari livelli (nazionale, regionale e locale) con riflessioni e spunti sull’impegno dei volontari nella sanità, un momento di riflessione per i giovani, incontro con la classe dirigente della politica. I temi cruciali sono quattro: povertà, salute, giovani e cultura». A breve ci sarà un primo step con i calendari. «Per quanto riguarda la sanità vogliamo esaminare e trovare migliorie, laddove sia possibile, all’impegno dei volontari nell’assistenza ai malati, dall’accompagnamento in ospedale o dal medico, alla consegna dei medicinali, alle altre attività per aiutare i più deboli. Non ci occuperemo del servizio sanitario, ma di come fare la nostra parte che non è assistenzialismo ma condivisione. Quando l’anno scorso abbiamo organizzato la seconda edizione degli Stati generali chiamando a raccolta volontari, gruppi e associazioni, avevo sintetizzato l’impegno del volontariato con il motto “Eccomi”: in pratica sono a disposizione, sono pronto a mettermi in gioco per aiutare gli altri. Altro tema importante è la povertà» continua Bianchi. «Spesso riflettiamo sul concetto di povertà

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identificandolo con la mancanza di risorse economiche, e invece un altro aspetto non meno cruciale, è la solitudine, la mancanza di confronto con gli altri, la chiusura, la paura. E allora dobbiamo cercare di far sentire la gente meno povera e soprattutto meno sola. Per quanto riguarda la cultura il volontariato stesso è cultura, nasce da una radice cristiano cattolica che ha negli anni conquistato anche chi non è religioso. Poi chiederemo alle altre organizzazioni come Bergamo Scienza o il Film festival di dedicare spazio al volontariato. E infine coinvolgeremo le piccole associazioni». “La Capitale 2022 è l’occasione per apprezzare il senso più profondo del volontariato” sostengono i promotori. “Portarlo nel cuore della comunità per renderlo disponibile ad altri affinché possa rigenerare la cultura della solidarietà nei nostri territori. E affrontare il passaggio tra quello che è stato e quello che sarà dopo la crisi pandemica. Perché il volontariato non potrà più essere lo stesso.” Anche a causa della riforma legislativa del Terzo Settore, di cui i CSV fanno parte, che prevede alcune restrizioni burocratiche per il funzionamento dei Centri riguardanti la stesura dei bilanci e l’IVA. Il bilancio del CSV Bergamo è di 550 mila euro che arrivano dalle Fondazioni bancarie che per legge devono versare un quindicesimo alle associazioni di volontariato.


La vera Città dei Mille Bergamo è davvero la Città dei Mille. Tanti infatti sono i volontari che si sono messi a disposizione per aiutare il Comune a tutelare e assistere le persone più fragili e più anziane, ma anche chi ha perso il lavoro o vive in condizioni economicamente disagiate. «Sono mille cittadini di tutte le età dai 18 agli 80 anni» ci dice l’Assessore alle Politiche Sociali Marcella Messina. «Li abbiamo organizzati in squadre di quartiere. Nella prima ondata della pandemia avevamo lanciato un appello alla partecipazione e subito hanno risposto 400 persone, diventate poi mille che si sono messe in gioco e a disposizione con l’obiettivo di sostenere il tessuto sociale e

prevenire le emergenze. Hanno iniziato, nella fase più drammatica, a portare la spesa ai familiari e ai vicini chiusi in casa. Dal condominio sono poi passati al quartiere». E l’assessore ha organizzato tutti i volontari “cittadini” nel progetto “BergamoxBergamo”, in squadre di quartiere poco numerose che pianificano gli interventi in modo da razionalizzare le diverse fasi, dal confezionamento alla consegna per esempio nel caso di spesa alimentare, così da ridurre anche il rischio di contagi. Sono registrati dal Comune, godono di copertura assicurativa e sono dotati di dispositivi di protezione individuale e di tesserino di riconoscimento.

MARCELLA MESSINA Assessore alle Politiche Sociali Comune di Bergamo

«La risposta all’appello del Comune è stata straordinaria» sottolinea l’assessore Messina. «Una vera


PERSONAGGIO

VOLONTARIATO DI BERGAMO

risorsa per la comunità. E la stragrande maggioranza dei volontari continua ancora oggi a collaborare con le istituzioni aiutando nei centri per i tamponi, per le vaccinazioni, nell’aiuto agli anziani, nella consegna della spesa e dei medicinali. Stiamo costruendo, accanto alla rete di aiuto formale, una informale sempre più forte, presente nei quartieri con l’obiettivo di andare a trovare le persone che hanno bisogno e non aspettare che siano loro a venire da noi. Molti infatti, per vari motivi, forse anche per vergogna, non chiedono aiuto o pensano che non possiamo aiutarli. Ed allora c’è bisogno anche di un nuovo welfare di comunità con interventi mirati». Bergamo è in prima linea. È infatti la città capofila di WILL (acronimo di Welfare Innovation Local Lab) che vede coinvolti 10 Comuni capoluogo di Provincia di quattro Regioni e intende individuare interventi che rispondano ai bisogni dei cittadini e che siano in grado di autosostenersi, senza pesare sulle finanze pubbliche locali. «Stiamo partecipando a un progetto di

portata nazionale che si occupa di ripensare le progettualità per le persone che hanno più di 65 anni» spiega l’assessore. «Dentro la categoria degli over 65, rientrano persone con bisogni molto diversi: ci sono i grandi anziani, che sono gli ottantenni e i novantenni, che hanno bisogno di politiche sociali e sociosanitarie, e chi entra nell’età convenzionalmente ritenuta anziana, i “silver age”, per i quali si reggono oggi le politiche di welfare, perché queste persone aiutano i figli e anche la comunità. E non è raro trovare famiglie con bisogni “intrecciati” con minori, genitori anziani e redditi bassi. Molte persone infatti, redditi alla mano, non possono essere definite povere, ma hanno visto drammaticamente ridursi le entrate. C’è chi riesce ancora a resistere, altri invece tentano di reiventarsi, di ripartire, ma purtroppo non è facile». Altro problema sono i giovani che soffrono di un vero disagio causato dalla pandemia e dalle restrizioni sanitarie. Anche loro sono nel mirino dei volontari che spesso li

convincono a superare la crisi aiutando i più deboli. «Molte famiglie ci hanno infatti comunicato che i loro ragazzi si sono invece prodigati nel volontariato consegnando i buoni spesa alle famiglie in difficoltà e mettendosi al servizio della comunità per consegnare spese e medicinali» spiega l’Assessore. Ma come si diventa volontario? Basta aver 18 anni e iscriversi a una delle 4.300 associazioni bergamasche o al Comune mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità in modo gratuito ed esclusivamente per fini di solidarietà. Oltre al CSV e al Comune ci sono, tra i più noti, Maite di Città Alta, Avis, Mercato&Cittadinanza, Caritas, Società San Vincenzo de Paoli, Fondazione Serughetti La Porta, Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, Cooperativa Sociale San Martino, Telefono Amico, Aeper, Auser, Banco Alimentare, City Angels, Alpini, Protezione Civile e via dicendo, ma l’elenco è lunghissimo.

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STILI DI VITA

IN SALUTE

Zoom Fatigue? Ecco come difendersi dallo stress da videocall ∞ A CURA DI LELLA FONSECA

Negli ultimi due anni la pandemia ha spostato moltissime persone dalla scrivania dell’ufficio al lavoro agile (smart working) a casa, accelerando incredibilmente un processo che si stava già lentamente avviando. Certamente questa modalità ha molti lati positivi per le aziende e i lavoratori: risparmio sul costo degli uffici, tempo libero guadagnato, migliore conciliazione con la vita extra-lavorativa, riduzione dell’assenteismo. Ma non è tutto oro quel che luccica. Ben presto infatti sono emerse criticità in questo cambia-

mento: non tutti gli smart workers sono stati in grado di modificare in modo radicale e repentino la propria esperienza lavorativa, sia per mancanza di strumenti tecnologici adeguati sia per carenza di una formazione rispetto alle nuove competenze richieste. Molti hanno denunciato un aumento dei livelli di stress. Anche a causa la cosiddetta “Zoom Fatigue”. Ne parliamo con Vittoria Olivieri, psicologa del lavoro. Dottoressa Olivieri, che cosa è la “Zoom Fatigue”?

DOTT.SSA VITTORIA OLIVIERI Psicologa del lavoro Presso Workitect

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IN SALUTE

STILI DI VITA

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CONSIGLI PER PREVENIRLA

> Riunioni solo se necessarie. Evitare video conferenze quando potrebbe essere ugualmente efficace uno scambio di messaggi, una telefonata o uno strumento di lavoro condiviso. > Postazione lavorativa dedicata. Fissare una sola postazione della casa dedicata al lavoro, proprio per favorire l’attivazione dei già citati neuroni GPS. Possiamo tenere sulla scrivania una serie di oggetti che identifichino chiaramente che quello è il momento del lavoro e non altro. > Attivazione web cam. Chiedere, se possibile, di far attivare la webcam a tutti gli interlocutori per avvicinarci alla modalità face to face e poter captare così anche le loro espressioni facciali. > Appunti. Cercare di sgravare il carico alla memoria a breve termine prendendo appunti durante la riunione. > Giornata “meeting free”. Pianificare con cura la propria agenda, cercando di intervallare le videocall ad attività diverse. Può essere utile anche stabilire un giorno a settimana “meeting free”, cioè libero da riunioni virtuali. > Telefonata come valida alternativa. Concentrarsi, durante una chiamata, solo sull’ascolto ed eventualmente camminare in giro, azione che aiuta a pensare e favorisce la creatività. > Corretta gestione del meeting online. Per migliorare l’organizzazione e la gestione dei meeting online definire prima un ordine del giorno, invitare solo partecipanti indispensabili, definire un orario e rispettarlo, non andare fuori tema, fare un verbale etc.

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Con questa espressione si va a identificare una nuova sensazione di fatica e disagio legata alle numerose sessioni di videoconferenza che riempiono le giornate in smart working (dal nome di una delle piattaforme più diffuse). La stessa fatica si è evidenziata anche per bambini e ragazzi che hanno dovuto affrontare molte ore di didattica a distanza. Perché fare riunioni virtuali stanca di più rispetto a quelle di persona? I motivi sono innumerevoli. Dalla tecnologia, che spesso da amica si trasforma in nemica se non è sufficientemente performante, alla possibilità di vederci costantemente in monitor rendendo più complesso il controllo delle nostre espressioni facciali in situazioni sociali. La video conferenza può indurre un’ansia costante per lo spazio di lavoro personale che mostriamo nello schermo e per gli imprevisti che potrebbero accadere rovinando la nostra immagine agli occhi dei colleghi. Inoltre l’ascolto e il contatto visivo prolungato richiedono un notevole sforzo di concentrazione. Le neuroscienze, grazie all’im-


portante lavoro di ricerca svolto, hanno confermato come la partecipazione a riunioni virtuali non possa essere paragonabile, in termini di carico cognitivo, a quella in presenza, e come, in particolare, il primo tipo sforzi di più la nostra memoria a breve termine. Quali sono le evidenze di questi studi? Una è legata al fatto che noi esseri umani siamo dotati dei cosiddetti “neuroni GPS” (scoperta che è valso a J. O’ Keefe, M.B. Moser ed E. Moser il Nobel per la Medicina nel 2014). Questi particolari neuroni, attivandosi, formano una sorta di mappa che riproduce gli spostamenti del soggetto nello spazio

bidimensionale. L’ambiente fisico funge da impalcatura cognitiva, grazie alla quale attribuiamo determinati significati. Identificare automaticamente attraverso questo meccanismo una sala riunioni ha ricadute peculiari sui nostri comportamenti e pensieri. Le videoconferenze, non attivando i neuroni GPS che consentono una connessione esperienza-luogo inconscia, comportano una saturazione della memoria a breve termine e rischiano di ostacolare la creatività, la capacità di prendere decisioni e risolvere problemi. Un altro aspetto riguarda la carenza di comunicazione non verbale. A causa della limitatezza della nostra memoria, la maggior

parte delle informazioni, che incontriamo nel quotidiano, viene elaborata inconsciamente, ad esempio, tramite il linguaggio del corpo. Incontrarsi online aumenterà il carico cognitivo, in quanto la maggior parte delle elaborazioni dovrà obbligatoriamente esser fatta a livello cosciente. E se lo stress prende il sopravvento? Ci sono diversi stratagemmi per ridurre lo stress (vedi box) ma se ci si sente sopraffatti e si ha l’impressione di non farcela da soli si può chiedere aiuto rivolgendosi a uno sportello di assistenza psicologica o al medico del lavoro.


IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

20, 40, 60 giorni 4 mesi per ritrovare la forma

∞ A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Anno nuovo, peso aumentato. Le festività ci hanno permesso di allentare le tensioni, di goderci qualche giorno libero e di gratificarci con qualche golosità in più. E così ora ci si ritrova a fare i conti con la bilancia. Ma soprattutto ad avere bisogno di perdere peso in un tempo ragionevolmente rapido e di mantenere poi i risultati ottenuti grazie ai sacrifici. Chi ha già fatto diete lo sa bene: se i risultati non sono rapidi e la perdita di peso non è efficace, spesso ci si demotiva e si getta la spugna. Cosa fare allora? «La strada vincente sarebbe seguire una dieta a step, in cui dopo una fase di “attacco”, con la quale raggiungere velocemente i primi risultati apprezzabili – ovviamente sempre senza mettere a rischio la salute – si passa a una meno rigida e poi a una di mantenimento per consolidare la nuova condizione fisica» osserva la dottoressa Cristina Robba, nefrologo e nutrizionista. «Tra i diversi schemi dietetici, uno dei più efficaci e sicuri è quello che prevede una fase di

tre settimane di dieta chetogenica, una di circa 40 giorni di dieta “mitigata” e infine due mesi di mantenimento». Dottoressa Robba, ci può spiegare in cosa consiste in pratica questo schema dietetico? Durante la prima visita e colloquio si valutano le motivazioni della persona alla perdita del peso e si fissano gli obiettivi di calo ponderale per ciascuna fase. Nelle prime tre settimane l’obiettivo è raggiungere una chetosi stabile, che è quel meccanismo metabolico che costringe il corpo a usare la sua riserva di grasso come fonte di energia. Per poter raggiungere la chetosi, nelle prime tre settimane s’introducono pasti sostituiti con prodotti appositamente confezionati a basso contenuto di carboidrati, ma con un contenuto corretto di proteine ad alto valore biologico per mantenere la massa muscolare, abbassare i livelli d’insulina riducendo la sua attività antilipolitica. La chetosi inoltre è utile a eliminare il senso di

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fame e a fornire una sensazione di pieno benessere che facilita il mantenimento dello schema dietetico. È in questa prima fase che s’instaura rapidamente la perdita di peso. Ma cosa succede se, per qualche motivo, s’interrompe la chetosi? Bisogna ricominciare da capo? È bene seguire le indicazioni fondamentali per non interrompere la chetosi, ossia utilizzare solo le verdure consigliate durante la visita e non introdurre carboidrati oltre a quelli già presenti nei pasti appositamente preparati. Con queste regole non si corre il rischio di sbagliare. Tuttavia se per qualsiasi motivo la chetosi viene interrotta si riprende subito il percorso. Durante la prima visita di controllo si valuterà se questa interruzione ha influito, riducendola, sulla perdita di peso. Cosa prevedono, invece, la seconda e terza fase? La fase successiva della durata di circa 40 giorni permette d’introdurre durante i pasti principali una


porzione di carne, pesce o uova associata a verdure a basso contenuto di carboidrati. Questa fase, che possiamo chiamare “mitigata” permette di mantenere la chetosi, diminuire il consumo dei pasti sostituiti e consente una discreta convivialità. Passati questi due mesi, in cui il calo ponderale è maggiore, si entra nella fase di transizione, che è indispensabile per permettere la stabilizzazione del peso. È da qui che dipende, infatti, gran parte del successo nel mantenimento del peso corretto. In questa fase avviene la reintroduzione graduale, sia qualitativa sia quantitativa, di tutti i tipi di alimenti. Ovviamente questo percorso è personalizzabile a seconda delle esigenze del paziente

e, con nuovi test genetici oggi a disposizione, è ulteriormente possibile indirizzare la persona verso la dieta e le abitudini di attività fisica più utili a non riprendere peso. Possono seguire tutti questa dieta? Ci sono controindicazioni? Le fasi chetogeniche non sono indicate per pazienti affetti da diabete mellito tipo 1, malati con insufficienza renale o epatica, in persone che hanno avuto un infarto cardiaco o ictus recente. Sono invece indicate nelle persone con obesità o sovrappeso associato a comorbilità, come diabete tipo 2 e dislipidemie, obese o sovrappeso con ovaio policistico, in donne in menopausa o con aumento di

peso importante dopo gravidanza e allattamento.

DOTT.SSA CRISTINA ROBBA Specialista in Nefrologia Responsabile dell’Ambulatorio di Nutrizione Clinica Policlinico San Marco Zingonia e Nutrizionista di Smart Clinic


IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Cardi, amici della linea, depurativi… ma non solo ∞ A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Anche se non troppo conosciuti, i cardi sono ortaggi molto versatili, ideali per arricchire primi e secondi o creare gustosi piatti unici ed essere cucinati in modi diversi. Poveri di calorie, ma dall’alto potere saziante, grazie alle

I cardi freschi possono essere conservati in frigorifero in sacchetti di carta oppure in quelli di plastica per alimenti, ricordandosi di fare dei piccoli forellini sulla busta per evitare che si formino delle muffe”

Tabella nutrizionale loro virtù nutrizionali, sono classificati come functional food. Conosciamoli meglio allora con l’aiuto della dottoressa Emanuela Mosca dietista. Dottoressa Mosca, che tipo di verdura è il cardo? È una pianta erbacea perenne con foglie di colore verde chiaro, in certe varietà anche spinose, e gambi verde chiaro o biancastri. Simile al sedano nell’aspetto, ha però il sapore dei carciofi, famiglia alla quale appartiene. Il suo nome scientifico è “Cynara cardunculus”, mentre quello “popolare” è carciofo selvatico. Esistono diverse varietà di cardi: lo “Spadone” o “cardo gobbo” (tra i più conosciuti quello di Nizza Monferrato) che, a differenza dei comuni cardi, è ottimo anche crudo. Tra le altre varietà, il Gigante di

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per 100 g di alimento: . Energia 13 kcal . Acqua 94,0 g . Fibra 1,5 g . Carboidrati 1,7 g . Proteine 0,6 g . Potassio 293 mg . Calcio 96 mg

Romagna e il Cardo Mariano conosciuto soprattutto per la sua azione epatoprotettiva (cioè benefica per il fegato). Come scegliere quelli migliori? È preferibile non acquistare cardi dalle coste verdastre perché risulterebbero amari e aspri. Meglio selezionare invece i cardi più bianchi e scartare quelli che presentano delle sfumature rosa, segno di un ortaggio non molto fresco. Altro


DOTT.SSA EMANUELA MOSCA Biologo Nutrizionista con Laurea in Alimentazione e Nutrizione Umana Brignano Gera d’Adda (BG)

indicatore importante per capire se i cardi sono freschi è che siano ben chiusi, senza macchie sulle foglie e con le costole croccanti e turgide. In che modo si puliscono? Innanzitutto, i cardi vanno puliti al momento dell’utilizzo perché anneriscono molto, come i carciofi. Per evitarlo, dopo aver eliminato tutte le fibre che si trovano sulla superficie delle coste con un coltello e tagliate le coste in bastoncini riducendone la lunghezza, andrebbero messi in una ciotola con acqua e limone. Quali sono le proprietà nutrizionali? Il colore degli ortaggi è un indizio importante per variare l’assunzione di sostanze preziose. Ogni colore (rosso, verde, bianco, giallo/arancio e blu/viola), infatti, corrisponde a sostanze specifiche, con differenti azioni nutrienti e protettive e rappresenta una diversa stagionalità. Per il cardo il colore è il bianco. Pro-

prio come tutti gli ortaggi bianchi, il cardo contiene potassio in buona quantità, ferro, sodio, calcio e fosforo. Tra le vitamine sono presenti alcune del gruppo B, in particolare l’acido folico, e la vitamina C. Povero di zuccheri, proteine e grassi, ha invece buone quantità di fibra, caratteristica che li rende particolarmente sazianti nonostante il basso apporto calorico. Come già accennato sono classificati come functional foods (ndr. un alimento è definito funzionale quando è scientificamente dimostrata la sua capacità di influire positivamente su uno o più funzioni fisiologiche, contribuendo a migliorare lo stato di salute e a ridurre il rischio di insorgenza delle malattie correlate all’alimentazione). Quali sono, in particolare, i benefici per la salute? Il potassio contribuisce al normale funzionamento del sistema nervoso e alla normale funzione muscolare nonché al mantenimento di una normale pressione sanguigna, mentre la fibra mantiene in salute l’intestino. La silimarina, composto di cui i cardi sono ricchi, invece favorisce la diuresi, stimola la funzionalità dei reni e del fegato, aiutandolo nel suo lavoro di smaltimento dei prodotti tossici derivati da farmaci o contaminanti alimentari, con effetto depurativo. Inoltre, possiedono eccellenti proprietà antiossidanti che aiutano a prevenire i danni da radicali liberi e facilitano l’eliminazione di scorie e tossine. Infine, in particolare cotti, contribuiscono ad alleviare i dolori di stomaco e svolgono un’azione antibatterica e antipiretica.

COME CUCINARLI Gratinati o al forno. I cardi gratinati, o i cardi al forno, si cuociono in soli 15 minuti. Lavate, tagliate e bollite i cardi, poi disponeteli in una teglia da forno a più strati. Potete aggiungere prosciutto a dadini e formaggio grana, prima di cuocerli in forno a 200 °C. In pastella. Dopo averli tagliati e puliti, sbollentate i cardi in acqua salata per circa 20 minuti. Una volta scolati e tagliati della lunghezza desiderata, preparate una pastella totalmente priva di grumi con farina, acqua, sale, bicarbonato e succo di limone in cui immergere i cardi prima di friggerli in olio bollente. In umido. Dopo aver pulito, tagliato e sbollentato i cardi, fate rosolare lo scalogno tagliato a rondelle in un’ampia padella con l’olio. Una volta aggiunti i cardi e fatti insaporire per qualche minuto, aggiungete la polpa di pomodoro e un mestolo di acqua. Salati e pepati, cuoceteli per circa 30 minuti ancora. Accompagnate il piatto a fine cottura con una spolverata di ricotta grattugiata e di prezzemolo.

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IN ARMONIA

PSICOLOGIA

Misofonia: quando certi suoni diventano insopportabili ∞ A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

“Il rumore delle persone che masticano mi fa veramente infuriare; se mio marito mangia una mela devo lasciare la stanza, altrimenti non posso trattenermi dall’urlare per la rabbia!”. “Per poter pranzare con i miei familiari devo tenere gli auricolari nelle orecchie a volume alto, altrimenti sono costretto a mangiare per conto mio. Non sopporto nemmeno il rumore che fanno con le posate!”. Chissà quanti di voi, in misura maggiore o minore, si rivedono in questi due esempi di intolleranza verso stimoli uditivi in genere considerati innocui dalla maggioranza delle persone. «Si tratta di una condizione cronica, chiamata misofonia (odio del suono), in cui certi suoni, soprattutto quelli prodotti da altre persone, per esempio masticare, respirare rumorosamente, il clic di una penna, causano un disagio talmente forte da provocare esplosioni di rabbia, urla, ansia. Per capire la reazione emotiva dei misofonici proviamo a pensare a quanto siamo infastiditi, per esempio, dal

gesso sulla lavagna, dallo stridio del coltello sul piatto, dall’insistente sirena di un antifurto. Quel rumore ci dà sui nervi, è insopportabile e desideriamo che s’interrompa il prima possibile» dice la dottoressa Maria Rita Milesi, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa Milesi, che caratteristiche hanno i suoni che più frequentemente provocano questo tipo di intolleranza? Le reazioni misofoniche non sono suscitate dal volume degli stimoli uditivi, ma dalla loro ripetitività e principalmente riguardano suoni generati da un altro individuo, specialmente quelli prodotti dal corpo umano: > suoni associati alle funzioni orali, come masticare, mangiare, schioccare le labbra, sussurrare, tossire, schiarirsi la gola, deglutire; > suoni nasali, come respirare, annusare, tirar su con il naso, russare.

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Il fastidio può essere causato anche da suoni non legati alle funzioni corporee, ma comunque prodotti da altre persone, come il clic della penna, la digitazione sulla tastiera del computer, il rumore delle posate, nonché suoni prodotti da oggetti, come il ticchettio di un orologio o generati da animali. Anche alcuni stimoli visivi possono creare malessere nei misofonici, come guardare le gambe di un’altra persona che si muovono o oscillano ripetutamente. Che reazioni hanno le persone con misofonia? Come si manifesta il disturbo? Non riescono a distrarre la loro attenzione dallo stimolo irritante né a controllare le proprie reazioni emotive di rabbia, irritazione, disgusto o ansia. Possono verificarsi forti reazioni comportamentali come agitazione o aggressività diretta verso l’individuo che produce lo stimolo fastidioso, a volte con esplosioni verbali o fisiche. Si associano un aumento della ten-


sione muscolare e della frequenza cardiaca, sudorazione. Quali sono le possibili conseguenze nell’ambito personale e interpersonale? La misofonia può inscriversi all’interno di complessi meccanismi relazionali. Infatti, per controllare le loro reazioni, i misofonici chiedono agli altri (in genere ai familiari) di non produrre quei suoni fastidiosi, ma questi difficilmente riescono a comprendere l’intensità della sofferenza del misofonico. All’opposto, i familiari si sentono ingiustamente colpevolizzati e interpretano le reazioni del misofonico come atti ostili nei loro confronti. Nei casi estremi la persona affetta può arrivare a evitare il posto di lavoro, la scuola, l’ambiente familiare, per non essere esposto alle percezioni fastidiose. Ne deriva la tendenza all’isolamento e la difficoltà nello stabilire e/o mantenere i rapporti interpersonali, con importanti ricadute sulla qualità di vita e il rischio dell’insorgenza di disturbi mentali. Quali sono le cause alla base? La misofonia è una condizione recente (fu descritta nel 2001 da Pawel e Margaret Jastreboff) e sulle sue cause si sa poco ancor

oggi. Ciò che si può osservare è che i misofonici sono disturbati da stimoli sonori o visivi prodotti da altre persone, soprattutto dai familiari. Si potrebbe ipotizzare che la misofonia sia riconducibile a esperienze dolorose del passato che avvenivano nel momento in cui vi era l’emissione di questi suoni (per esempio litigi durante i pasti). Il misofonico potrebbe aver associato determinati suoni o immagini a persone che hanno inciso in maniera negativa sulla loro vita. Queste associazioni sarebbero inconsce, pertanto i misofonici non riescono a spiegarsi né tantomeno a controllare il disagio derivante dallo stimolo nocivo. È una condizione che si può “curare”? Spesso i misofonici adottano misure pratiche per soffocare i suoni irritanti con altri rumori ambientali. Molti scelgono di lavorare in ambienti rumorosi (discoteche, piste da bowling, scuole di danza), altri usano auricolari, cuffie etc. L’audiologo può impostare una terapia con un dispositivo che genera suoni con frequenze specifiche, utile a minimizzare la consapevolezza dei suoni fastidiosi e indebolire l’anomala connessione tra certi

DOTT.SSA MARIA RITA MILESI Psicologa e Psicoterapeuta a Bergamo

suoni e il sistema nervoso autonomo. Lo psicologo, invece, può aiutare il misofonico a lavorare sulle intense reazioni emotive, sull’assertività (per comunicare senza aggressività le proprie esigenze), proporre tecniche di meditazione e di rilassamento per spostare l’attenzione dagli stimoli fastidiosi. Per i familiari, infine, può essere utile un intervento psicoeducazionale, per consentire una migliore conoscenza della misofonia ed evitare la colpevolizzazione e la stigmatizzazione del congiunto. Questo può attenuare le tensioni in famiglia e orientare a un approccio costruttivo per la risoluzione del problema.

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IN ARMONIA

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Io ti salverò La sindrome della crocerossina ∞ A CURA DI ELENA BUONANNO

Perché ci sono donne che si ritrovano sempre a scegliere, accudire e sopportare in modo incondizionato uomini che non sanno amare, pieni di problemi e che sembrano non crescere mai? Potrebbe trattarsi della cosiddetta sindrome della crocerossina, anche chiamata sindrome di Wendy. «Nella favola di Peter Pan la protagonista Wendy è una bambina di 10 anni che fin dall’infanzia è spinta dai genitori a prendersi cura dei fratellini più piccoli e a farsi carico di compiti di competenza

DOTT. SSA ENRICA DES DORIDES Psicologa e Psicoterapeuta A Bergamo, Seriate, Gorlago e Trescore

degli adulti. Infatti mentre gli altri bambini giocano e si divertono lei passa il tempo a cucire» spiega la dottoressa Enrica des Dorides, psicologa e psicoterapeuta. «Lo stesso atteggiamento relazionale si può sviluppare in coloro che sono stati responsabilizzati prima del tempo, non potendo vivere la spensieratezza della loro età. Apprendono in questo modo una sorta di accudimento invertito che ripropongono da grandi nelle loro dinamiche relazionali. Wendy cerca il suo Peter Pan cioè uomini immaturi affettivamente che non vogliono crescere». Dottoressa des Dorides, quali sono le cause? Certamente le esperienze vissute durante l’infanzia e l’educazione ricevuta possono avere un ruolo importante, così come anche i tratti di personalità. L’affettività incentrata sulla dipendenza e il bisogno reciproco può diventare una prigione emozionale. Pensiamo, ad esempio, a situazioni in cui si è sperimentata una mancanza di

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affetto da parte dei genitori e di altre figure importanti oppure quando uno o più familiari a causa di malattie non è stato disponibile nel dare le cure necessarie. Può succedere anche che genitori troppo autoritari e giudicanti inculchino nei figli dei principi rigidi che impediscono lo sviluppo di una sana autostima. In questo modo la persona resta legata a un copione di ricerca di consenso e si sente a posto solo quando può darsi da fare per gli altri. Qual è il pensiero tipico di chi soffre della sindrome della crocerossina? “Io ti salverò” è il bisogno tipico di chi si realizza nell’accudimento degli altri. Chi ha questo schema di pensiero fa di tutto per aiutare, sostenere e curare persone fragili, dipendenti, immature o problematiche. In pratica la persona svolge un ruolo di maternage (ndr. accudimento materno) nei confronti di tutti coloro che hanno necessità di una spalla sulla quale appoggiarsi. Il convincimento alla base della sindrome della crocerossina è che le


persone siano vulnerabili e vadano protette e rassicurate. Il bisogno di sentirsi utili e indispensabili per gli altri può nascondere una profonda paura di essere abbandonati o rifiutati e rimanere soli. Compiacere ed esaudire i desideri degli altri prima dei propri comporta il rischio di annullare se stessi. E nelle relazioni amorose come si manifesta tutto questo? “Io sono felice se tu sei felice”. La crocerossina si sente gratificata quando vede il partner gioire grazie al suo aiuto e alla sua dedizione. L’amore non viene concepito come qualcosa di gratuito ma qualcosa da doversi meritare. Questo tipo di amore malsano, completamente centrato sull’altro è tipico delle relazioni tossiche. La scelta del compagno ricade su personalità inafferrabili, misteriose e problematiche: il tipico “bello e dannato” che solo lei potrà salvare o cambiare. L’abnegazione assoluta porta in questo caso a sacrificare se stessi per dedicare tutte le energie nella cura amorevole del proprio principe. Ma spesso il lieto fine della favola non c’è perché quando lui ha risolto i suoi problemi non accetta più le attenzioni asfissianti, comincia a rivendicare il proprio spazio di autonomia. La soccorritrice

piomba così in un baratro nero di insicurezza e paura dell’abbandono che la porta a essere ancora più dipendente. È un ciclo che si ripete all’infinito se non si chiede un aiuto per interromperlo. Anche gli uomini possono essere crocerossini? La donna per ragioni culturali è più predisposta alla cura, al sacrifico, all’ascolto, ma la sindrome del crocerossino può colpire anche gli uomini. Si parla in questo caso di sindrome del salvatore. Il pensiero tipico è “ci penso io a tutto”. C’è l’aspettativa implicita che la donna che si fa soccorrere e aiutare poi debba ricambiare l’amore. Quando questo non avviene si possono scatenare forti sentimenti di aggressività, di rabbia o di vuoto. La persona ripropone con l’altra un copione inconscio sofferente. La partner diventa un mezzo per colmare la propria voragine affettiva. Prendersi cura della partner può far sentire onnipotenti e forti ma quando c’è una eccessiva identificazione in questo ruolo il rischio è di perdere la propria centratura ed equilibrio. Come se ne esce? Il primo passo è riconoscere di avere un problema. Il secondo è

di accettare di farsi aiutare. Si tratta di recuperare il proprio benessere emozionale e imparare attraverso un percorso di psicoterapia a vivere le relazioni in modo appagante. L’autostima, il valore di sé non sono negoziabili, ma elementi imprescindibili sui cui fondare il proprio essere nel mondo.

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PASSI PER GUARIRE

> Invertire la tendenza di pensare all’altro e riorientare attenzione su se stessi. > Riprendersi i propri spazi di autonomia. > Costruire legami al di fuori della relazione di coppia. > Far fluire le emozioni con tecniche di rilassamento e autoipnosi. > Darsi valore con affermazioni motivazionali. > Intraprendere una psicoterapia che aiuterà a rinascere.

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IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

Un aiuto dall’osteopatia durante il percorso di PMA ∞ A CURA DI MARIA CASTELLANO

Aiuta a combattere lo stress. Ma ha anche effetti positivi sulle condizioni meccaniche e fisiologiche dell’organismo. Anche nel caso di trattamenti di procreazione medicalmente assistita (PMA) l’osteopatia può rappresentare un valido aiuto per contribuire al benessere psico-fisico delle aspiranti mamme e, in alcuni casi, migliorare le chances si successo. Ne parliamo con la dottoressa Gilda Patria, ginecologa, e con la dottoressa Monica Vitali, ostetrica e osteopata. Dottoressa Patria, innanzitutto cosa s’intende per PMA? La PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) è la branca della medicina che mira ad aiutare le coppie a realizzare il desiderio di maternità/paternità quando

subentrano difficoltà nel concepimento spontaneo. Non è soltanto una serie di tecniche “artificiali”, ma un percorso che indirizza le coppie a capire, quando possibile, l’origi-

Dal 2011 al 2018 le coppie che hanno affrontato tecniche di PMA di I-II-III livello sono passate da 73.570 a 77.509. Nel 2018 i nati vivi mediante queste tecniche rappresentano il 3,2% dei nati vivi in Italia. Del totale del 2018, 7.213 coppie hanno fatto un percorso di donazione di gameti”

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ne del problema, a supportare la ricerca della procreazione tramite educazione, conoscenza, percorsi diagnostici ed eventualmente interventi terapeutici. Nonostante i numeri ci dicano che la fertilità umana, già molto ridotta rispetto per esempio a quella animale, si stia riducendo ulteriormente negli anni, sembra che l’informazione al riguardo sia ancora molto scarsa. L’informazione deve essere intesa come educazione alla salute riproduttiva, fin dall’inizio dell’età fertile, e come avvicinamento a una branca della medicina ancora considerata esclusiva di pochi e indice della presenza di un “difetto” di cui vergognarsi e di cui non poter parlare apertamente. Non è un argomento che coinvolge un solo individuo, nella maggior parte dei casi la ricerca di un figlio


riguarda una coppia, due persone che condividono un desiderio, e questo non bisogna scordarlo mai. Non si deve parlare di “colpe” e non ci si deve concentrare solamente su un partner: questo comporterebbe uno squilibrio all’interno della coppia che rischia di rendere ancora più difficile un percorso già così delicato e impegnativo, oltre a essere un errore medico ovviamente. Questo per dire che non sono coinvolti solo aspetti medici, ma anche implicazioni sociali e umane che giocano un ruolo importante sia all’origine della ricerca della gravidanza sia nel percorso che può dover affrontare la coppia. Per questo motivo è fondamentale una collaborazione con diversi professionisti, dal ginecologo all’andrologo, dallo psicologo all’agopuntore, all’ostetrica, al nutrizionista, all’osteopata, tutte quelle figure che studiano e possono curare/aiutare “corpo” e “mente”. In cosa consistono i trattamenti di procreazione medicalmente assitita? Oggi esistono diverse tecniche di procreazione medicalmente assistita, da quelle più semplici a quelle più complesse. > I livello: inseminazione intrauterina (IUI). Consiste in una leggera stimolazione dell’ovulazione con monitoraggio ecografico e inserimento del liquido seminale trattato in cavità uterina mediante specifico

catetere. > II-III livello: tecniche di Fecondazione in Vitro. Comprendono l’induzione della crescita follicolare multipla e monitoraggio ecografico, il triggering e prelievo ovocitario, l’inseminazione in vitro e il trasferimento di embrioni in utero. > Fecondazione eterologa. Prevede la donazione di gameti maschili (spermatozoi) o femminili (ovociti) tramite tecniche di I o II livello. Dottoressa Vitali, in che modo l’osteopatia può aiutare in questo percorso e in quali casi di infertilità in generale? Dobbiamo sempre tenere in considerazione che una persona è fatta dal legame sottile tra soma, corpo, ed emozione. Una coppia con un forte desiderio di genitorialità che vede l’età avanzare senza riuscire a realizzare il proprio sogno rischia di entrare in un tunnel. Così si mettono in atto involontariamente dei meccanismi in cui il corpo accusa il colpo e la mente mantiene il circolo vizioso. Emozioni e fisicità sono un’unica cosa, non esiste distanza, separazione. In situazioni stressanti o intense, come queste, il cervello trasmette lo stress agli organi e crea una relazione organo-comportamento. Ogni persona tende ad avere il proprio punto debole in un particolare organo e ciò si ricollega ai tratti della sua personalità sottostante. Come diceva il grande osteopata John Upledger “i nostri

DOTT.SSA GILDA PATRIA Specialista in Ostetricia e Ginecologia Centro PMA 9.baby, Policlinico San Pietro e Centro Italiano Pavimento Pelvico

DOTT.SSA MONICA VITALI Ostetrica-Osteopata Consulente Sessuale Centro Italiano Pavimento Pelvico

organi fanno eco alle nostre emozioni”. Ecco allora che la manipolazione viscerale osteopatica aiuta a capire correttamente quanto tutto sia realmente connesso. Non solo i comportamenti emotivi, ma anche la chirurgia addominale, infezioni o traumi, possono influire sulla mobilità degli organi o dei visceri. Con tecniche manuali, l’osteopatia

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IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

stimola il ripristino della fisiologia a livello dei diversi sistemi: circolatorio, respiratorio, fasciale, nervoso, muscolo-scheletrico che regolano il sistema corpo, migliorando quindi le funzioni fisiologiche e il mantenimento dell’omeostasi. Questo in generale. Nel caso specifico dell’infertilità, è stata mostrata una maggiore efficacia del trattamento in vitro se preceduto dal trattamento manuale (Wurn et al., 2004 ; Rice et al., 2015). Altri studi hanno evidenziato: > come il trattamento manipolativo osteopatico abbia incrementato la possibilità di concepire in presenza di varie problematiche ginecologiche senza, in alcuni casi, ricorrere all’intervento chirurgico che sembrava invece necessario (Kramp et al., 2012; Rice et al., 2015); > come in alcune patologie, ad esempio endometriosi e assente pervietà delle tube, si ottenga un successo di gravidanza nelle donne

sottoposte a trattamento manipolativo osteopatico maggiore del 40% rispetto alle pazienti che non ne hanno fatto utilizzo. (Wurn et al., 2004; Wurn et al., 2008; Rice et al., 2015); > che la terapia manuale potrebbe essere un trattamento coadiuvante per le pazienti infertili sottoposte a terapie ormonali, IUI e FIVET aumentandone il successo (Adams et al., 2009; Rayner et al., 2009; Shaffir et al., 2009; Smith et al., 2010; ASRM, 2012). Ma come agisce nello specifico il trattamento osteopatico in questi casi? La possibilità del trattamento osteopatico di incrementare la capacità di concepire è legata alla manipolazione delle regioni sacrale, pelvica e coccigea, sia a livello fisiologico sia anatomico. Il trattamento osteopatico, in particolare, si propone di agire sulle restrizioni tissutali, sulla mobilità viscerale e sulle

adesioni o le microadesioni degli organi dell’apparato riproduttivo e delle strutture adiacenti. La mobilizzazione dei tessuti molli crea un microfailure (cioè uno sfibramento) dei collegamenti di collagene, che portano a un ripristino della mobilità e della funzionalità delle strutture stesse e di quelle adiacenti. Inoltre il rilascio delle restrizioni fasciali e legamentose diminuisce la pressione sui vasi sanguigni, permettendo una miglior vascolarizzazione e un’efficacia maggiore dell’attività del sistema linfatico. Anche il trattamento con agopuntura può essere molto d’aiuto in quanto lavora sui meridiani energetici che fanno da trait d’union tra mente e corpo, regolando sia le funzioni organiche sia quelle psichiche. In conclusione possiamo dire che l’osteopatia può davvero offrire benefici alle donne che stanno intraprendendo o hanno intrapreso un percorso di PMA, ma è sempre bene rivolgersi a professionisti esperti per un lavoro multidisciplinare prima, durante e dopo.

Sempre meno nuovi nati in Italia Nel 2018 sono stati iscritti all’anagrafe 439.747 bambini, oltre 18 mila in meno rispetto all’anno precedente (- 4%) e quasi 140 mila in meno in confronto con il 2008. L’età media del primo figlio è in aumento e l’Italia è il paese europeo in cui si fa più tardi (31,3 anni). In questo calo di natalità e di fertilità sicuramente incide in modo importante l’età femminile, fattore prognostico più importante per le chance di gravidanza, i cambiamenti nello stile di vita, il desiderio di “stabilità” lavorativa e di ruolo senza adeguato supporto sociale alla maternità/paternità, gli inquinanti ambientali, e non per ultimo l’emergenza Covid, che solo nei primi tre mesi della pandemia ha “causato” 1.500 nati vivi in meno per la riduzione inevitabile dell’attività dei Centri di PMA. Il primo passo per invertire questa tendenza è agire sulla prevenzione: informazione e cambiamenti sociali sono necessari per risolvere almeno una parte dei fattori che contribuiscono al calo demografico.

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IN FAMIGLIA

BAMBINI

E se non fosse solo timidezza? Il Mutismo Selettivo, una realtà frequente in diversi contesti di vita ∞ A CURA DI MARIA CASTELLANO

Anna (nome di fantasia) è una bambina di sei anni e mezzo che frequenta la prima elementare. I genitori chiedono una consulenza su indicazione delle maestre poiché quest’anno si sono accentuate alcune difficoltà già presenti alla scuola dell’infanzia. Anna è una bambina molto inibita, fatica a prendere parte a momenti didattici collettivi e spesso non si alza neanche dalla sua sedia. Ma l’aspetto più difficile da gestire da parte delle insegnanti riguarda il fatto che Anna a

scuola “non parla”. Dietro queste due parole, in realtà, si nasconde molto di più: Anna riesce a comunicare, timidamente e con un tono di voce molto basso, con i compagni. Con le maestre invece parla solo durante le interrogazioni e, quando nei momenti liberi come l’intervallo la maestra le pone qualche domanda, risponde con voce flebile solo se la maestra si china verso di lei, la sfiora con un tocco e le dà tutta la sua attenzione. Al contrario, la mamma racconta che a casa Anna è “un fiume di parole”: “non riesco a farla stare zitta… vuole raccontarci tutto. Parla, ride, canta, e quando si arrabbia urla!”. In casa è esattamente come tutti gli altri bambini, ma probabilmente parla un po’ di più. «La storia di Anna ci racconta di ciò che può accadere a circa un bambino su 140 (il dato è chiaramente sottostimato, poiché molti casi “lievi” rimangono sommersi) e che prende il nome di “Mutismo Selettivo”. L’esordio si verifica tra i due e i quattro anni d’età e interessa mag-

giormente il sesso femminile» sottolinea la dottoressa Laura Ferla, psicologa. Dottoressa Ferla, che cos’è il Mutismo Selettivo? Il Mutismo Selettivo è un disturbo acquisito della comunicazione interpersonale. Si tratta di un disordine dell’infanzia caratterizzato da una persistente incapacità del bambino a comunicare verbalmente in uno o più contesti di vita sociale. Il Mutismo Selettivo è un disturbo d’ansia che deve soddisfare cinque criteri diagnostici: > è presente una costante incapacità a parlare in situazioni sociali specifiche in cui ci si aspetta che si parli (per esempio a scuola) nonostante il bambino sia in grado di parlare in altre situazioni; > la condizione interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale; > la durata è di almeno un mese (non limitato al primo mese di scuola); > l’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conosce o non si è a proprio agio con il tipo di linguaggio richiesto in una situazione sociale; > la condizione non è meglio spiegata da un disturbo della comunicazione o da altri disturbi. Quali sono i segnali che possono farci sospettare la presenza del Mutismo selettivo?


È frequente un’inibizione temperamentale: il bambino manifesta un’estrema timidezza, soprattutto nelle situazioni nuove in cui è richiesta una prima familiarizzazione con l’ambiente. Il bambino prova una forte sensazione di disagio: ad esempio ha timore di essere presentato a persone sconosciute, di divenire oggetto di burla o critiche, di essere messo al centro dell’attenzione, che gli venga chiesto di eseguire una prestazione (ansia sociale). Spes-

so il disagio in questi bambini è accompagnato da espressioni somatiche: volto inespressivo, postura goffa e rigida, tendenza a evitare il contatto visivo quando sperimentano una forte sensazione di ansia. Hanno un’emotività caratterizzata da preoccupazione eccessiva, tristezza, scoramento e sfiducia nei confronti di se stessi. Appaiono estremamente volubili, con sbalzi di umore; sono spesso inflessibili e testardi. Dal punto di vista comportamentale

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IN FAMIGLIA

BAMBINI

tendono al ritiro, alla chiusura e all’evitamento di tutte le situazioni sociali che possono generare ansia. Questi bambini, inoltre, hanno un forte bisogno di controllo interno, ordine e struttura: ciò li rende particolarmente resistenti al cambiamento. Si manifestano notevoli difficoltà comunicative e di socializzazione relativamente a contesti circoscritti, nonostante sia molto forte il desiderio di interazione sociale. Talvolta hanno anche un ritardo nello sviluppo, in particolar modo nell’area motoria, comunicativa e nella sfera della socializzazione. Cosa possono fare i genitori che sospettano il Mutismo Selettivo nei loro figli? Se i genitori dovessero riscontrare la presenza dei segnali sopra elencati nei propri figli, è bene rivolgersi a un esperto, senza aspettare

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che i segnali di disagio spariscano spontaneamente. Per arrivare a una “risoluzione” del Mutismo Selettivo spesso sono necessari anni e un intervento precoce garantisce una riduzione dei tempi di lavoro. È essenziale un lavoro di rete bambino-specialista-genitori-insegnanti: soltanto se vi è una sinergia di intenti e modalità, è possibile rendere visibile un cambiamento. Il primo passo è non richiedere al bambino di parlare: dobbiamo togliere dai riflettori la comunicazione verbale, incentivare il più possibile il non-verbale, trasmettere al bambino l’idea che lui è importante al di là del fatto che parli o meno. C’è un circolo vizioso che va spezzato: se gli chiediamo di parlare e aumentiamo le aspettative, manifesterà più ansia e parlerà di meno, noi allora insisteremo ancora di più e lui parlerà sempre di meno. Dobbiamo fare in modo di fargli avvertire meno aspettative (prima di tutto non chiedendogli espressamente di parlare): solo così comunicherà o parlerà di più e avrà meno ansia. Con gli insegnanti è utile seguire le stesse linee guida e strutturare un intervento graduale per portare nel contesto scolastico maggior relax e aprire alla possibilità della parola. Ricordiamoci sempre che i bambini con Mutismo Selettivo non scelgono di non voler parlare, vorrebbero tanto parlare ma non ci riescono proprio perché bloccati dall’ansia. Cerchiamo quindi di comprendere questa paura e

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di non leggere il loro comportamento come un atto volontario o come una sfida personale: non è affatto così.



IN FAMIGLIA

RAGAZZI

Endometriosi Un progetto per parlarne fin dalla scuola

∞ A CURA DI MARIA CASTELLANO

Una lezione interattiva e coinvolgente per acquisire una maggiore consapevolezza del proprio corpo e informarsi sull’endometriosi, una malattia che colpisce molte donne (circa 3 milioni in Italia), a volte fin dall’adolescenza, ma che è ancora difficile da diagnosticare. È il progetto “COMPREND-ENDO” dedicato alle ragazze della terza, quarta e quinta superiore delle scuole di tutta Italia, ideato dalle volontarie dell’A.P.E. Associazione Progetto Endometriosi, associazione di pazienti nazionale impegnata nell’organizzazione di momenti formativi per far conoscere la patologia e permettere alle giovani donne di aiutare le amiche e fare prevenzione.

«Sono due ore in cui avviene un cambiamento» spiega Laura Letizia, una delle psicoterapeute del progetto COMPREND-ENDO che in collaborazione con medici, ginecologi, esperti e le volontarie dell’A.P.E. entra nelle scuole per spiegare alle ragazze cos’è l’endometriosi e come approcciarsi alla malattia. «Le ragazze all’inizio sono ignare, pensano di togliersi qualche ora di lezione, ma poi s’incuriosiscono e la loro attenzione diventa totale». Dopo un primo momento informativo, le giovani sono invitate a compilare un questionario in forma anonima e a porre domande. «Attraverso le proposte delle studentesse e i suggerimenti delle volontarie dell’A.P.E., che conosco-

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LA PREVENZIONE? CONSAPEVOLEZZA E INFORMAZIONE L’endometriosi è una malattia infiammatoria cronica che colpisce in Italia circa il 10% della popolazione femminile in età fertile, anche se i dati sono estremamente parziali e probabilmente sottostimati. I sintomi più diffusi sono: forti dolori mestruali e in concomitanza dell’ovulazione, cistiti ricorrenti, irregolarità intestinale, pesantezza al basso ventre, dolori ai rapporti sessuali, infertilità nel 35% dei casi. Essendo una malattia di cui non si conoscono ancora con certezza le cause, per la quale non esistono cure definitive né percorsi medici di prevenzione, per limitare i danni che provoca, è fondamentale creare consapevolezza informando e sensibilizzando.


no in prima persona la malattia, si costruisce un clima sereno, in cui le ragazze riescono a comprendere quali sono i sintomi, ma anche come rivolgersi ai genitori se si hanno dolori durante il ciclo mestruale, come rapportarsi con il ragazzo. Gran parte delle domande che le ragazze rivolgono sono relative alla comunicazione e alla relazione. Capiscono che se hanno dei dolori non è normale e dunque è bene fare una visita ginecologica. Spesso persiste lo stigma che la donna deve soffrire, uno stigma che va abbattuto». Avere informazioni utili sull’endometriosi può aiutarle a riconoscere la malattia e a non sentirsi sole per quel dolore che le fa sentire diverse e per il quale a volte devono saltare la scuola. «Quando entriamo in contatto con le ragazze notiamo subito l’effetto immediato della prevenzione. Ad esempio, una ragazza che ha scoperto grazie a uno dei nostri incontri informativi di avere l’endometriosi ha poi promosso nelle altre classi le informazioni sulla malattia» aggiunge la psicoterapeuta. L’endometriosi è una patologia cronica il cui ritardo diagnostico

Tante scuole di tutta Italia hanno già aderito agli incontri informativi online dedicati all’endometriosi. Per partecipare ai prossimi si può richiedere il modulo a scuole@apendometriosi.it”

varia dagli 8 ai 12 anni se si tratta di adolescenti. «È complicato per le pazienti farsi capire, spiegare alla famiglia, al partner, al medico stesso, cosa si prova. Ed è bruttissimo per le ragazze non essere credute per dei dolori o sensazioni che non si riescono ad identificare» sottolinea la dottoressa Letizia. Di qui il supporto psicologico del progetto COMPREND-ENDO che consente di prevenire, di avere consapevolezza, e di accettare poi in un secondo momento la malattia. «Quando le donne scoprono di avere l’endometriosi possono avere paura, l’idea di avere una malattia cronica spaventa. Ognuna imma-

gina cosa farà nella vita e come la malattia impatterà sul proprio futuro. Conoscere la malattia consente di gestirla. Non bisogna identificarsi con essa, ma accettarla». Un percorso che avviene con il supporto di altre donne, come le volontarie dell’A.P.E. che attraverso le proprie esperienze e la collaborazione con specialisti dell’endometriosi aiutano le donne fin dall’adolescenza a capire e convivere positivamente con la patologia. «Rivolgendoci alle ragazze frequentanti le scuole superiori, giovani donne di domani aperte agli stimoli e alle proposte formative che coinvolgono la propria parte femminile, intendiamo porre le basi per una sensibilizzazione della società in materie delicate e fondamentali quali la comprensione e la solidarietà verso le persone affette da una patologia, la loro attiva partecipazione nelle dinamiche della vita sociale, l’importanza della condivisione nella sofferenza, il valore della fiducia e della positività nei confronti della vita» conclude Annalisa Frassineti, presidente dell’A.P.E..


IN FORMA

FITNESS

Heels Dance, in forma sui tacchi ∞ A CURA DI LELLA FONSECA

Si chiama “Stiletto Heels Dance” (letteralmente “danza dei tacchi a spillo”) e negli ultimi sta catturando l’interesse di un pubblico crescente, fondamentalmente donne, spesso giovanissime. Il tacco alto, si sa, è considerato un simbolo di eleganza e femminilità, ma qui non parliamo di un semplice tacco alto, bensì dello stiletto o tacco a spillo. Questo accessorio se portato con naturalezza - e non è da tutti - conferisce stile al portamento di chiunque lo indossi, sia mentre si cammina sia mentre si balla. Ci introduce a questa disciplina Ester Oteri, insegnante di danza. Quali sono le origine della Stiletto Heels Dance? Questo stile nasce dopo gli anni Sessanta, dai primi videoclip in cui alcune grandi star iniziarono ad esibirsi sui tacchi a stiletto. Dai

primi anni del 21esimo secolo lo stile conosce un boom planetario, sull’onda dei video di famosi cantanti: tra questi uno dei più noti, forse l’emblema del genere, è “Single Ladies” di Beyoncé del 2008. Stelle come Jennifer Lopez, Madonna e Lady Gaga l’hanno introdotta spesso nelle loro performance dal vivo e non dimentichiamo che a casa nostra già nel lontano 1974 Raffaella Carrà faceva a gara con Mina in quanto a tacchi alti nelle coreografie di Milleluci. In che cosa consiste? Si tratta di una danza rigorosamente con l’uso del tacco. La disciplina prevede uno studio approfondito della tecnica insita nel camminare, muoversi ed eseguire correttamente alcune figure (piroette, spaccate, salti) che poi si concretizzano nelle varie coreografie.

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A chi è adatta? Ci sono controindicazioni? Essendo obbligatorio l’utilizzo del tacco a stiletto è raccomandabile iniziare il corso alla conclusione dello sviluppo fisico, per evitare conseguenze in fase di crescita ed eventuali infortuni. Sempre per evitare danni fisici è fondamentale seguire con attenzione le direttive dell’insegnante, con lo scopo di imparare il modo corretto a predisporre il corpo al bilanciamento e alla fatica richiesti dall’uso dello stiletto. Il tacco impone l’uso di muscoli che normalmente non sono sottoposti a sforzo fisico e vanno preventivamente allenati. Come si svolge una lezione base? Le lezioni, soprattutto nei corsi base, non iniziano sui tacchi. Si parte con un adeguato riscaldamento, rigorosamente senza scarpa alta.


Questa fase è seguita da esercizi tecnici di varia natura sui tacchi. Dopo una certa pratica nell’ultima sezione della lezione vengono introdotte le coreografie per entrare in musicalità. Quali sono i benefici fisici e mentali? Il lavoro che si va a imporre con gradualità al nostro corpo giova sicuramente a livello fisico per quanto riguarda il bilanciamento corporeo, la ricerca del baricentro personale e l’ovvia tonificazione muscolare. Purtroppo questo stile

a volte suscita reazioni di critica, ostilità o rifiuto, a causa di una società in cui il pregiudizio è all’ordine del giorno, soprattutto nei confronti del genere femminile. In realtà questa disciplina è un’arte che permette di esprimere pienamente la propria sensualità, diventando un deterrente efficace contro l’insicurezza, contro le critiche da parte degli altri e di noi stessi. Un modo per riscoprirsi piano piano, a tutte le età, iniziare ad amarsi, sviluppare una consapevolezza di sé con determinazione e fiducia nelle proprie capacità

ESTER OTERI Insegnante di danza Presso Sportindoor Mozzo (BG)

I Percorsi Terapeutici Percorsi di terapia Individuali Percorsi di terapia di Coppia Percorsi di terapia di Gruppo Terapia EMDR

Le Patologie Trattate Problematiche sessuali Narcisismo patologico Traumi Lutto Ansia Autostima Problematiche affettive

I Gruppi di Terapia Gruppi sulla Dipendenza Affettiva Gruppi sull’Autostima Gruppi sul Narcisismo Patologico Gruppi sulle Dipendenze senza Sostanze (Lavoro, Sessualità, Internet, Shopping)

I Laboratori Dipendiamo è un centro di eccellenza per il trattamento e lo studio delle New Addiction, ovvero le dipendenze senza sostanza.

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Borse e occhiaie I rimedi per cancellarle ∞ A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Sono due inestetismi tanto diffusi quanto odiati. Possono comparire a tutte e età, sia nelle donne sia negli uomini. In alcuni casi alla base c’è una predisposizione genetica, in altri lo stile di vita. Parliamo delle borse e delle occhiaie. Cosa si può fare per prevenirli? E soprattutto esistono trattamenti davvero efficaci per attenuarli e alleggerire lo sguardo? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Concetta Borgh, medico chirurgo estetico. Dottoressa Borgh, cominciamo dalle occhiaie. Come si manifestano e perché vengono? Le occhiaie si presentano con un’ombreggiatura scura bluastra-viola sotto gli occhi e sono legate a una condizione fisiologica (non patologica), in parte determinata dall ’ invecchiamento, caratterizzata da una dilatazione eccessiva dei capillari sotto la palpebra e da un accumulo di pigmento, chiamato melanina. La condizione peggiora con la pelle cadente e con i depositi anomali dei lipidi che appaiono in età avanzata. In alcuni casi, invece, ad esempio quando compaiono già in giovane età, dipendono da una particolare con-

formazione anatomica dell’area sottopalpebrale.

evitando di fumare e dormendo a sufficienza.

Si possono prevenire? In parte sì, con uno stile di vita sano che favorisce un buon funzionamento del microcircolo e migliora la capacita rigenerativa dei tessuti. Ad esempio bevendo una quantità adeguata di acqua (1,5 – 2 litri), consumando alimenti che contengano bioflavonoidi, sostanze in grado di favorire il corretto funzionamento dei vasi sanguigni come i frutti rossi, vitamina C (come kiwi, agrumi, peperoni e asparagi) e vitamina K (uva, prugne, melanzane, cetrioli) che rinforzano le pareti dei capillari,

Quali sono i rimedi per attenuarle invece? Può essere utile applicare sieri o patch specifici per migliorare la microcircolazione locale e drenare i liquidi in eccesso e, nel caso di occhiaie scure, per ridurre la pigmentazione. Per avere risultati, è importante scegliere principi attivi adatti alla propria pelle e caratteristiche, chiedendo consiglio a specialisti e ricordando che quella perioculare è molto più delicata e sensibile rispetto al resto del viso. Inoltre è consigliabile assumere integratori, vitamine e bionutrienti che riattivano l’elasticità e compattezza dei tessuti. Se però tutto questo non basta, oggi la medicina estetica mette a disposizione alcuni trattamenti particolarmente efficaci. > Peeling: trattamento ambulatoriale che consiste nell’applicazione di particolari acidi sulla zona palpebrale. Attraverso la combinazione di acido glicolico e acido lattico da un lato si favorisce la rigenerazione cutanea e il ricambio cellulare dall’altro di schiarisce l’epidermide. > Laser (frazionato non ablativo): trattamento che


stimola una serie di processi di riparazione dei tessuti, attenuando i cerchi scuri intorno agli occhi e tonificando la pelle. Passiamo alle borse… Le borse sotto gli occhi rappresentano un inestetismo molto frequente quando non si è più giovanissimi. Con l’andare dell’età, infatti, i tessuti che circondano gli occhi, compresi alcuni dei muscoli che sostengono le palpebre, si indeboliscono. A questo si aggiunge il fatto che il normale grasso presente nella palpebra inferiore, con il passare del tempo può causare una specie di gonfiore e la graduale e progressiva perdita dell’elasticità cutanea. ll risultato è un gonfiore poco naturale che appesantisce e invecchia lo sguardo. Ad accentuare il problema possono concorrere

poi uno stile di vita non corretto o eccessivamente stressante, una certa predisposizione individuale e un’ eccessiva esposizione al sole e/o lampade solari (negli anni). È importante sottolineare che, anche se nella maggior parte si tratta di un problema solo estetico, in alcuni casi può essere sintomo di una malattia. Per questo in situazioni dubbie, non legate ad esempio alla mancanza di riposo o all’età che avanza, è bene verificare la situazione con il medico per escludere possibili cause organiche. Come si possono eliminare? Ad oggi non esistono trattamenti di medicina estetica davvero validi per trattare le borse. La soluzione, quindi, è squisitamente chirurgica e consiste nella blefaroplastica, un intervento di chirurgia estetica volto alla rimozione della pelle o del

grasso in eccesso dalle palpebre. L’operazione sulla palpebra inferiore dura circa un’ora, si esegue in regime di day hospital e in anestesia locale con sedazione e non prevede in genere cicatrici esterne.

DOTT.SSA CONCETTA BORGH Specialista in Chirurgia plastica e Medicina estetica Clinique Naturelle Bergamo e Capriolo (BG)

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Displasia dell’anca nei cani Come riconoscerla e cosa fare ∞ A CURA DI ELENA BUONANNO

Da due genitori esenti da displasia può nascere un cucciolo displasico soprattutto per le razze ad alta predisposizione alla patologia. Per questo è sempre consigliabile uno studio precoce per verificare la predisposizione del cucciolo a sviluppare la malattia”

È una tra le più diffuse malattie genetiche ortopediche del cane. Può riguardare potenzialmente tutte le razze, anche se alcune, come i Labrador, i Boxer, i Pastori Tedeschi o i Bovari bernesi, sono più a rischio. Parliamo della displasia dell’anca, patologia che, se non identificata e affrontata tempestivamente, può portare a sofferenza, importanti limitazioni nel movimento del nostro amico a quattro zampe e a un sensibile peggioramento della sua qualità di vita. Come ci spiega il dottor Mario Di Franco, medico veterinario.

Dottor Di Franco, cosa s’intende per diplasia dell’anca? La displasia dell’anca consiste, brevemente, in una malformazione dell’articolazione coxo-femorale per cui non c’è armonia e sinergia tra la testa del femore e l’acetabolo che è la cavità che la accoglie. Durante la crescita si crea un “gioco articolare” eccessivo (lassità articolare) per cui la testa del femore non combacia più perfettamente con la cavità acetabolare. La testa del femore si troverà a “muoversi” in modo meno controllato all’interno della cavità e produrrà un appiat-

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ANIMALI

timento e/o deformazione della cavità dove è accolta. Nel tempo, questo processo insiste sempre più andando a deformare questa cavità, con conseguente sviluppo di artrosi, zoppia e dolore. Quali sono i campanelli d’allarme che possono farne sospettare la presenza? Non esiste una specifica sintomatologia. A volte si può notare un movimento non “lineare” soprattutto sul treno posteriore o una zoppia, ma spesso i cuccioli non hanno uno sviluppo muscolo scheletrico tale da garantire un movimento armonioso. Più frequentemente, invece, nei primi mesi di vita non si nota alcun sintomo o modificazioni dello stile di vita. Solo uno studio radiografico mirato e precoce può dare indicazioni su una predisposizione a tale patologia. Questo studio radiografico si effettua in sedazione e si associa allo studio di altre articolazioni soggette a displasia (gomito, spalle, ginocchio). Per i cani che possiedono il pedigree, può essere utile consultarlo per accertarsi che i parenti presenti nell’albero genealogico abbiamo ufficializzato il grado di displasia e con quale esito.

particolare le diete ipercaloriche e iperproteiche possono provocare nei cuccioli, soprattutto di razze grandi e giganti, un incremento di peso e un’accelerazione ossea molto rapida, più di quello previsto fisiologicamente, non supportati e bilanciati da uno sviluppo muscolare e legamentoso adeguato. Quali sono le razze più predisposte? In linea teorica tutti i cani possono soffrire di displasia dell’anca. Esistono però razze più predisposte di altre, solitamente i cani appartenenti a razze di media e grossa taglia (compresi i meticci) come, a titolo d’esempio, Golden retriever, Labrador, Boxer, Pastori Tedeschi, Rottweiler, Alani, Cane Corso, Bovaro Bernese, San Bernardo, Bulldog e in generale quasi tutti i molossoidi. Anche i cani di piccola

Quali sono le cause? La causa è genetica. Le displasie si ereditano da genitori a cuccioli. Può accadere che da due genitori esenti da displasia dell’anca nascano cuccioli displasici. Questo perchè il corredo genetico dei genitori è ereditato dai nonni, trisnonni etc.. Quindi due soggetti (padre e madre) esenti da displasia, ma con corredo genetico proveniente da soggetti displasici potranno trasmettere la genetica degli avi displasici al cucciolo. Esistono poi dei fattori di rischio che possono contribuire ad aggravare la patologia. In 54 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2022

L’ESORDIO? A QUALSIASI ETÀ I sintomi della diplasia dell’anca possono presentarsi già in tenera età, soprattutto in presenza della forma più grave. In questo caso la sintomatologia spesso si manifesta per la sublussazione della testa femorale e porta alla riluttanza al movimento del cucciolo. La malattia, però, in realtà si può manifestare a qualsiasi età del cane. Dal giovane all’adulto o all’anziano, la sintomatologia si manifesta per l’insorgenza artrosica che altera le superfici articolari e provoca infiammazione e dolore.

taglia però possono essere affetti da displasia dell’anca: nel loro caso spesso la displasia può non dare sintomatologia poiché il loro ridotto peso fa sì che non si manifestino aspetti dolorifici e/o artrosici importanti. A che età è utile fare esami per verificare o escludere la presenza di displasia negli animali più soggetti? È importante effettuare sui cuccioli uno studio radiografico detto “precoce” o “preventivo” per conoscere e valutare i primi segni che possono evidenziare la possibile evoluzione della patologia. L’età di questo studio radiografico (effettuato sempre in sedazione profonda) varia in base alla taglia ed alla razza del cane. In linea generale, si effettua intorno ai quattro mesi di età, per le razze giganti anche ai cinque mesi. L’esame comprende una serie di proiezioni radiografiche alle quali seguono poi delle misurazioni precise per stabilire il grado di copertura acetabolare, il grado di lassità articolare, la presenza di segni di sofferenza articolare, di artrosi etc.. Già dalla tenera età è possibile capire se un soggetto sta crescendo in modo armonioso e con una buona conformazione, oppure se mostra già segni che possono far presumere un potenziale grado di displasia da adulto. La conferma o assenza di displasia, e la valutazione dell’eventuale grado, avviene dopo l’anno di età del cane (qualche mese in più per i cani di razza gigante), quando lo sviluppo e la crescita ossea sono terminati. Ma si può fare qualcosa per prevenirla? La prevenzione della displasia dell’anca è possibile solamente


escludendo dalla riproduzione tutti quei cani che risultano displasici a seguito di un attento studio sia clinico sia radiografico e che abbiano parenti prossimi o remoti con displasia accertata. In

DOTT. MARIO DI FRANCO Medico Veterinario DVM Centro Veterinario Gorle

linea teorica se tutti i cani fossero testati per la displasia e si riproducessero solamente quelli sani, si potrebbe puntare alla drastica diminuzione dell’incidenza della patologia displasica. È quindi importante, prima di acquistare un cucciolo da un allevamento, chiedere al proprietario dei genitori, una copia del pedigree sul quale è possibile visualizzare il grado di displasia di tutti i parenti del cucciolo. In tutti i casi è importante effettuare una visita ortopedica e uno studio radiografico precoce del cucciolo anche in assenza di sintomatologia conclamata. Come si cura? È sempre necessario operare? Non esiste una vera e propria cura. Nei casi in cui la displasia com-

porti dolore importante, riluttanza al movimento e lo studio radiografico mostri una conclamata e grave artrosi, è possibile scegliere le soluzioni più adeguate al caso. Oggi abbiamo a disposizione la protesi d’anca che risolve e annulla il dolore articolare restituendo una vita normale al cane. Esistono, poi, anche delle procedure chirurgiche “precoci”, indicate per alcuni soggetti giovani con predisposizione alla displasia dell’anca, in grado di migliorare la copertura acetabolare e limitare lo sviluppo artrosico da adulto. Tra questi, un intervento chiamato DPO (Duplice Osteotomia Pelvica) che mira a modificare la posizione che l’acetabolo ha rispetto alla testa femorale, andando a “coprire” maggiormente quest’ultima.

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GUIDA ESAMI

Test del VO2max, per migliorare le performance sportive, ma non solo

∞ A CURA DI GIULIA SAMMARCO

«Il massimo consumo di ossigeno o VO2max è “la massima quantità di ossigeno che il sangue può trasportare verso i muscoli e che questi possono utilizzare”. Questo valore, misurato in base al proprio peso corporeo, è indicativo della capacità fisica che una persona ha nel compiere sforzi di lunga durata. Saper stimare in modo empirico i valori del VO2max risulta quindi di cruciale importanza se si vuole pianificare al meglio le intensità di allenamento necessarie per raggiungere il proprio

DOTT. MASSIMO DE NARDI Dottore in Scienze motorie Krioplanet Treviglio

obiettivo, soprattutto se la disciplina praticata ha una spiccata componente aerobica». Chi parla è Massimo De Nardi, ci siamo rivolti a lui, ora che per molti è tempo di rimettersi in forma e ricominciare (o iniziare) a fare attività fisica per saperne di più. Come si calcola il massimo consumo di ossigeno? Si può stimare con diversi metodi indiretti da campo (test di Cooper, test di Billat e test di Leger). Il vantaggio di questi test sta nel fatto che sono facili da somministrare, hanno un costo molto contenuto e si possono proporre anche a più persone contemporaneamente. Il limite è che non possono essere precisi, trattandosi di misurazioni indirette da campo. Inoltre i primi due richiedono una pianificazione dello sforzo ottimale all’interno del test stesso, mentre il test di Leger, con i suoi continui cambi di direzione ha una componente neuromuscolare non trascurabile che lo rende più adatto per gli sport di squadra piuttosto che per

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le classiche discipline prettamente aerobiche. Il gold standard per la misurazione del massimo consumo di ossigeno è invece il metodo diretto per mezzo di una strumentazione specifica. In che cosa consiste? Nell’effettuare uno sforzo aerobico di tipo incrementale fino all’esaurimento, indossando una speciale maschera che rileva la quantità di aria inspirata e la quantità di aria espirata, correlando i valori respiratori con quelli di frequenza cardiaca. Il test si può svolgere all’aperto o in palestra (sul tapis roulant, sulla cyclette, sul vogatore, etc.). Prima di effettuare il test del VO2max bisogna svolgere una seduta introduttiva durante la quale la persona familiarizza con la maschera e, seguendo un particolare protocollo, ricerca i parametri personalizzati riguardanti la velocità di partenza e l’entità di ciascun incremento. Il test vero e proprio, poi, si divide in tre fasi: > riscaldamento, durante il quale la persona, facendo riferimento


Il massimo consumo di ossigeno è un fattore determinante ai fini della prestazione sportiva, ma anche per il dimagrimento”

recupero individuale. Complessivamente il test dura circa un quarto d’ora e il report ottenuto permette di conoscere con precisione il massimo consumo di ossigeno ma anche altri valori preziosi per impostare un programma di allenamento ad hoc per ciascuno.

al test su tapis roulant, cammina ad una velocità costante per tre minuti; > parte centrale, che consiste nel camminare/correre fino all’esaurimento, ovvero fino a quando non si è più in grado di mantenere l’intensità dello sforzo; > recupero passivo, fermi e in silenzio sul tapis roulant per tre minuti. Durante quest’ultima fase vengono registrati diversi parametri fisiologici utili a conoscere la capacità di

Ci può fare qualche esempio? Dal massimo consumo di ossigeno si ricava ad esempio la VAM (ovvero la velocità aerobica massima). È inoltre possibile definire l’intensità metabolica relativa a un determinato esercizio grazie a due dei parametri che si vengono indicati nel report, ovvero le due soglie ventilatorie: un esercizio di intensità inferiore alla 1° VT è considerato “leggero”, tra la prima e la seconda soglia è considerato “moderato” e infine se l’esercizio è superiore alla seconda soglia ventilatoria è defi-

nito “intenso”. Un altro parametro molto importante è la determinazione della Fat Max, ovvero l’intensità alla quale il nostro organismo brucia il maggior quantitativo di grassi per sostenere l’esercizio. Conoscere la propria Fat Max consente di individuare ad esempio la velocità di corsa o di camminata per svolgere in modo ottimale un “allenamento bruciagrassi”. Il test del massimo consumo di ossigeno è inoltre molto importante per effettuare un’analisi qualitativa del grado di condizione fisica degli atleti e per monitorare gli effetti di un programma di allenamento, di una terapia o di un intervento nutrizionale. Ripetere nel tempo il test, magari a distanza di un paio di mesi, permette di valutare i progressi ottenuti e attuare gli adattamenti necessari per raggiungere e mantenere il risultato desiderato.

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RUBRICHE

ALTRE TERAPIE

Vitamina A A cosa serve e quando “integrarla” ∞ A CURA DI MARIA CASTELLANO

Negli ultimi anni il ricorso a integratori vitaminici sta vivendo un vero e proprio boom: vitamina C per il sistema immunitario, vitamina D per la salute delle ossa, vitamina E per contrastare i radicali liberi e l’invecchiamento, vitamina del gruppo B per contrastare la stanchezza fisica e mentale… e vitamina A. Scopriamo a cosa serve quest’ultima, forse meno nota, con l’aiuto del professor Massimo Valverde, endocrinologo, tossicologo e farmacologo. Professor Valverde, innanzitutto cosa sono le vitamine e che funzione hanno? Le vitamine sono composti che giocano il ruolo fondamentale di catalizzatori e di regolatori dei molteplici processi biochimici che determinano il funzionamento e il mantenimento in salute di tutti gli organismi viventi, dalle più semplici forme di vita (alghe, unicellulari, batteri, funghi etc.) fino all’uomo. In natura esistono infinite varianti di una singola vitamina, ciascuna adattata alla forma di vita che la utilizza. Un esempio? Negli uccelli, oltre ad un’azione metabolica “globale”, la vitamina A “crea” i colori del

loro piumaggio e lo stesso vale per i pesci e per gli insetti. Che ruolo ha, in particolare, la vitamina A nel benessere del nostro organismo? Negli animali, e nell’uomo in particolare, la vitamina A gioca un ruolo fondamentale sia per il corretto funzionamento della vista, sia per la salute della pelle e sia, ancora, per il funzionamento del nostro sistema immunitario, il tutto grazie anche alla sua capacità di trasformare in semplice acqua i cosiddetti “radicali liberi“ ( e principalmente l’acqua ossigenata ) che vengono prodotti come scarti da tutte le nostre cellule proporzionalmente alla loro stessa velocità di funzionamento, innescando i più comuni processi di progressivo deterioramento e invecchiamento del nostro DNA e quindi di tutto il corpo. Il nostro organismo non è in grado di produrre la vitamina A e quindi è necessario che venga introdotta con i cibi nelle sue varie forme biochimiche naturali e nelle dosi tipicamente presenti in ognuno di essi. Una volta assunta, poi, il nostro organismo, con opportuni passaggi biochimici, la rende

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adatta alle nostre svariate esigenze biologiche. Verrebbe quindi spontaneo pensare che aumentare il più possibile l’assunzione di alimenti contenenti una o più delle forme di vitamina A (o anche di altre vitamine) adatte a noi, o assumere in grande quantità integratori alimentari ove inizialmente la vitamina A e le altre vitamine siano presenti nella dose ritenuta corretta dalle tabelle nutrizionali internazionali definite dai LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia e dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità), possa in qualche modo metterci al riparo da diverse malattie, Covid in primis, come vorrebbero le più recenti convinzioni popolari. Ma è davvero così? Sfortunatamente no, anzi! Sin dalla prima metà degli anni Ottanta del secolo scorso, come ben riportato in tutti gli articoli scientifici sull’argomento e soprattutto dai dati pubblicati dallo IARC (International Agency for Research on Cancer, la branca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si occupa del cancro e di tutte le sostanze coinvolte nel suo sviluppo), è assolutamente noto e ampiamente


dimostrato che la Vitamina A, sia che venga introdotta nell’organismo in dosi elevate con un consumo smodato di alimenti che la contengono e sia che provenga da dosi eccessive di integratori vitaminici che la contengono, quindi globalmente ingerita in dosi ben superiori ai limiti prescritti, ha una potentissima azione cancerogena essenzialmente proprio a causa della sua capacità di trasformare i radicali liberi in acqua e in pratica detossificando le cellule tumorali, permettendo loro di svilupparsi sempre con maggior vigore . Questo meccanismo tipico anche della vitamina E e della vitamina C, in dosi e condizioni definibili “normali” ha un effetto benefico, ma sfortunatamente anche nelle cellule altamente attive esattamente come accade nelle cellule tumorali. Inoltre dosi massicce di queste vitamine interferiscono pesantemente con l’a-

zione delle terapie farmacologiche antitumorali, riducendone di molto l’effetto curativo . In ogni caso e senza arrivare ad usare l’esempio legato ai tumori, un’integrazione non giustificata ed eccessiva sia di vitamina A sia di altre vitamine, può frequentemente risultare dannosa. Come regolarsi allora? Pur comprendendo il legittimo desiderio di cercare autonomamente di mantenersi in salute più a lungo possibile, non si può che sconsigliare l’assunzione “fai da te“ di integratori, farmaci, alimenti ed altre sostanze, benché di origine naturale e se pur magnificati da pubblicità sempre più martellanti. Fondamentale è aver preventivamente consultato un medico esperto in questo ambito che, sulla base delle condizioni generali della persona ed eventualmente richiedendo il dosaggio della o delle

vitamine nel sangue, possa dare un’indicazione chiara e precisa sia sulla reale necessità di assumere degli integratori sia sulle dosi e durata dell’assunzione.

PROF. MASSIMO VALVERDE Specialista in Farmacologia e Tossicologia, Patologia della Riproduzione Umana ed Endocrinologia Direttore Sanitario Centro Medico MR Bergamo

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Tempo di preparazione 60 minuti più 25 forno

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INGREDIENTI per 4 persone 300 g... Castagne secche ammollate una notte 200 g... Cuore di cavolo verza già pulito e tagliato fine 6-8....... Foglie di verza media misura 200 ml. Panna di soia 60 g..... Formaggio grattugiato 3............ Uova 2............ Scalogni qb......... Rosmarino secco, sale, pepe, olio evo PREPARAZIONE

FABRIZIO MARTINELLI Cuoco Presso il Ristoro de Il Sole e la Terra di Bergamo

Cuocere con l’alloro per circa un’ora le castagne ammollate (devono risultare tenere ma non sfaldate). In una pentola antiaderente soffriggere scalogno tritato e rosmarino, aggiungere il cuore della verza tritato finemente, salare e pepare e proseguire la cottura per 30 minuti bagnando con poca acqua se necessario. Scottare per pochi minuti le foglie di verza in acqua bollente e freddarle subito con acqua e ghiaccio in modo da farle rimanere ben verdi. Rivestire 4-5 stampini monouso o di silicone con le foglie, tenere da parte 8/10 castagne intere e schiacciare le restanti con una forchetta in modo grossolano, farle insaporire con la verza per qualche minuto, spegnere e lasciar intiepidire. Battere le uova con il formaggio e la panna, salare, pepare, mescolare la verza cotta con le castagne all’uovo, distribuire il tutto negli stampini. Cuocere in forno a 150 °C per circa 20/25 minuti. Prima di sformarli lasciarli assestare un paio di minuti. Rovesciarli e guarnire con due castagne intere.

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DAL TERRITORIO

NEWS

NEWS AISLA, apre il magazzino solidale per persone con la SLA In un contesto sociale in continua evoluzione e in cui le risorse economiche sono sempre più limitate, AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) lancia il Magazzino Solidale, progetto che rappresenterà il punto centrale di una rete reale e virtuale a disposizione delle persone con SLA in condizione di bisogno, attraverso il riutilizzo di ausili di proprietà in ottimo stato o di materiale di consumo non utilizzato. Possono essere inseriti strumenti che facilitano la presa, come impugnature o pinze che permettono di afferrare oggetti altrimenti impossibili da prendere; bicchieri o piatti adattabili o anche apparecchi per cucinare, oppure strumenti per il tempo libero, ad esempio carrozzine adattate per lo sport, o ancora strumenti per la riabilitazione passiva. Molto importanti sono anche gli ausili per la cura e l’igiene personale: le sedie da doccia e da bagno, i tappeti, i maniglioni da bagno. Ciascun donatore potrà pubblicare contemporaneamente sulla sezione del sito di AISLA www. magazzinosolidale.it fino a un massimo di cinque annunci di cessione gratuita di beni. Il servizio sarà gestito dalla sede nazionale di AISLA e supportato dai volontari e dalle famiglie delle 64 rappresentanze locali e da tutti i cittadini che hanno la necessità di ricollocare un proprio materiale in disuso. L’associazione si mette a disposizione per coprire le spese di spedizione del materiale. Per ulteriori informazioni: www.magazzinosolidale.it oppure magazzinosolidale@aisla.it.

Con la variante Omicron donazioni di sangue in calo L’incremento dei contagi da Covid-19 per via della rapida diffusione della variante Omicron sta causando disagi, anche a livello trasfusionale. Alcune zone del Paese, infatti, segnalano un calo nelle donazioni di sangue, a seguito dell’incremento dei casi positivi e, di conseguenza, di persone - e donatori - che hanno contratto o che hanno avuto contatti diretti con positivi al virus. Alla luce della carenza di donazioni, Avis Regionale Lombardia invita a una donazione e raccolta di sangue il più possibile ordinate. La rete organizzativa della raccolta è territoriale: ogni singola Avis ha una specifica necessità di sangue, strettamente connessa non solo alla generosità dei donatori del territorio, ma anche alla programmazione delle donazioni e all’utilizzo che viene fatto delle scorte. È importante che chi è già donatore si attenga rigorosamente alle indicazioni fornite dalle Avis locali di riferimento, a garanzia della programmazione e del buon uso di sangue. A chi invece vorrebbe diventarlo, l’appello è scegliere di farlo indipendentemente dalle emergenze e dai momenti di calo fisiologico delle donazioni.


“Io vedo le stelle”: la campagna di sensibilizzazione contro lo stigma dell’epilessia In occasione della Giornata Internazionale per l’Epilessia, in programma il 14 febbraio prossimo, la LICE - Lega Italiana Contro l’Epilessia lancia la campagna di sensibilizzazione “Io vedo le stelle”. Obiettivo: scardinare l’atteggiamento di rassegnazione e non accettazione che spesso prova chi è affetto da Epilessia, ma soprattutto lo stigma sociale ancora troppo diffuso nella comunità e che vede chi è affetto da questa patologia escluso da una vita ricca delle opportunità a cui accedono gli altri. Testimonial della campagna Umberto Guidoni, l’astronauta italiano che nel 2001 fu il primo europeo a mettere piede sulla Stazione Spaziale Internazionale - ISS, protagonista di un video messaggio rivolto alle persone con Epilessia e presente all’evento celebrativo della LICE ospitato il 14 febbraio all’ASI – Agenzia Spaziale Italiana. Un messaggio rivolto alla comunità e che invita chi soffre di questo disturbo a raggiungere la consapevolezza che - con il giusto supporto - una migliore qualità della vita oggi è assolutamente possibile e che anzi, seppur in presenza di un disturbo neurologico potenzialmente invalidante, è possibile fare tutto, persino l’astronauta. Anche quest’anno, in occasione della Giornata Internazionale per l’Epilessia, si rinnova la tradizionale illuminazione dei monumenti italiani: molti dei monumenti delle principali città italiane, a partire dal

Colosseo, si coloreranno di viola, il colore della lotta all’Epilessia. La ricorrenza quest’anno in Italia coincide con il 50° anniversario della LICE, la Società Scientifica che da mezzo secolo è impegnata nella

ricerca sull’Epilessia, nella formazione scientifica degli specialisti, assistenza e informazione di chi convive con questa patologia e delle famiglie.


DAL TERRITORIO

NEWS

Al via la navetta gratuita per il nuovo PRSST posto all’Ospedale di Treviglio È stato inaugurato qualche giorno fa il bus navetta che, per cinque giorni a settimana, dal lunedì al venerdì, collega gratuitamente Treviglio al nuovo PRSST all’Ospedale

di Treviglio (prima ubicato in Via San Giovanni Bosco/Via Rossini, nel centro città), accompagnando così gli anziani, i pazienti, le neo mamme e i piccoli bimbi nella nuova sede. Per accedere al servizio bus sarà necessario, all’atto della salita presentare al controllore: Green pass e Documento PRSST attestante la prenotazione a uno dei servizi socio-sanitari a seguire: Sportello Scelta/Revoca - Esenzione - Rilascio TS - Credenziali FSE; Servizio protesica per ausili, piani terapeutici, device per diabetici; Ufficio Invalidi - Commissione invalidi; Ufficio Convenzioni; Sportello Assorbenza; ADI - Assistenza

Domiciliare Integrata; Consultorio Familiare; Vaccinazioni sia pediatriche sia area adulti. Nonsaràfornitoiltrasportoachinon mostrerà idonea documentazione o chi dovesse raggiungere il PRSST presso l’Ospedale per altre attività (ad esempio visite, prelievi ematici, esami radiologici). Questi cittadini potranno usufruire dei mezzi di trasporto già esistenti. Dopo la sosta al PRSST, il bus proseguirà la sua corsa verso il PalaSpirà, nuova sede del centro vaccinale anti Covid. Anche in questo caso i trevigliesi potranno utilizzarlo previa presentazione del Green pass e Sms o stampa della prenotazione.


TERZO SETTORE

DAL TERRITORIO

Cooperativa sociale Alchimia Da 35 anni accanto ai giovani, ma non solo ∞ A CURA DI ELENA BUONANNO

IL GIOCO COME STRUMENTO DI AIUTO Lungo questi 35 anni, Alchimia ha promosso la cultura del gioco attraverso proposte adatte ai diversi contesti di vita di adulti e bambini, restituendo così all’esperienza ludica una posizione importante nella crescita degli individui. Il Ludobus Giochingiro, conosciuto in tutta la Regione, i CRE di Alchimia, l’animazione di eventi, i laboratori ludici e creativi, la formazione sul tema del gioco, sostengono la capacità diretta di ogni persona, di scegliere, esercitare in forma attiva il proprio diritto al gioco.


DAL TERRITORIO

TERZO SETTORE

Nata nel 1986 a Dalmine da un gruppo di operatori sociali con l’obiettivo di creare e gestire servizi con finalità preventive, educative, risocializzanti e terapeutiche rivolte in particolare a situazioni di disagio giovanile, oggi la cooperativa Alchimia ha allargato il proprio raggio di azione a servizi e progetti in diverse aree d’intervento orientandosi verso l’impresa sociale di comunità. Sono sei aree le aree di intervento dalla tutela dei minori all’ambiente. «Nei primi anni di vita la nostra cooperativa ha contribuito all’apertura e alla gestione del primo Centro di Aggregazione Giovanile della Lombardia, un servizio che si è poi diffuso rapidamente in molti Comuni e nelle province lombarde. Oggi sviluppa progetti e servizi di promozione sociale e culturale attivando processi di coinvolgimento e condivisione, grazie all’impegno, alla passione e alla professionalità dei suoi soci e lavoratori (quasi 300 operatori), contribuendo al miglioramento della qualità della vita delle persone e allo sviluppo delle comunità locali negli ambiti territoriali di Bergamo, Dalmine, Isola bergamasca, Bassa Val San Martino e Valle Imagna/ Villa d’Almè» spiega la presidente Nadia Pautasso. Alchimia si occupa di progetti e servizi suddivisi in sei aree di intervento: disabilità, politiche giovanili, tutela dei minori, infanzia, ambiente, animazione ed eventi. Il comune denominatore di tutti gli interventi è l’attenzione alla persona e al suo progetto di

Alchimia è stata, ed è tuttora, partner di processi di attivazione e di innovazione sociale, in stretta collaborazione con istituzioni, realtà sociali e cittadini, beneficiari e protagonisti, diretti o indiretti, delle attività della cooperativa”

vita, la promozione del benessere, il diritto di partecipazione piena alla vita sociale, il coinvolgimento attivo e propositivo delle famiglie. «Nei primi anni siamo partiti dai servizi per giovani e adolescenti con centri di aggregazione giovanile, educativa di strada, progetti di impegno civile, spazi compiti, poi sulla base dei bisogni delle persone che incontravamo nei territori abbiamo aperto/gestito diversi servizi e progetti dedicati a persone con disabilità come servizi di Assistenza Educativa Scolastica, Servizi di Formazione all’Autonomia, Servizi territoriali Disabili, Centri Socio Educativi, Tirocini formativi e socio-occupazionali, le attività residenziali. Ancora, abitando le comunità, abbiamo intercettato le fragilità delle famiglie attivando così servizi di tutela dei minori, come la Comunità Educativa per Minori, il Centro Educativo Diurno, l’Assistenza Domiciliare Minori, gli

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Incontri protetti. Abbiamo inoltre aperto e/o gestito servizi per i più piccoli come asili nido, spazi gioco e scuole dell’infanzia». E non è tutto. «Nel tempo abbiamo sviluppato una forte sensibilità per i temi della sostenibilità ambientale attraverso la promozione di percorsi di educazione ambientale del Parco dei Colli di Bergamo presso il Centro Parco Ca’ Matta organizzando attività didattiche, naturalistiche, esperienziali e l’ospitalità presso l’Ostello Ca’ Matta per scuole, gruppi e famiglie» continua la presidente. I progetti in tempo di Covid Anche in questo periodo della pandemia la cooperativa non si ferma. Anzi. «Ci sembra importante valorizzare all’interno dei servizi che gestiamo, quelli che si rivolgono alla promozione di spazi di socializzazione e aggregazione, adatti a tutte le età, come ad esempio La Porta del Parco a Mozzo e il Chiosco dei Gelsi a Lallio. Ci auguriamo che i cittadini possano ritornare al più presto a vivere l’incontro e la relazione sociale con serenità e leggerezza, perché il benessere emotivo e psicologico sono elementi preziosi, che la cooperativa coltiva con attenzione nel suo agire quotidiano». Porta del Parco è un progetto di comunità frutto della collaborazione tra le Cooperative Sociali Oikos e Alchimia teso alla valorizzazione di un’area agricola e all’attivazione di pratiche di sostenibilità, conoscenza del patrimonio ambientale, con sensibilità ecologica, sociale e solidale che coinvolgono la cittadinanza. È composto da un bar punto ristoro e pizzeria,


un’ampia area verde con orti sociali e collettivi e un’area gioco per i bambini, il mercato agricolo del sabato mattina con prodotti locali e biologici, il frutteto e il vigneto, ed è collegato a sentieri ciclopedonali. Qui si svolgono eventi di carattere culturale, artistico, laboratoriale e ludico, adatti a diverse fasce d’età, ma anche feste ed eventi privati. Il Chiosco dei Gelsi, invece, si trova all’interno del Parco dei Gelsi nel Comune di Lallio: è un locale pubblico che affianca alla normale attività commerciale di bar e punto

Cooperativa Sociale Alchimia Bergamo via Boccaleone, 17c - Tel. 035 362 960 www.coopalchimia.it - segreteria@coopalchimia.it Codice Fiscale 01738900164

ristoro un’azione sociale, educativa e animativa, rivolta in modo attivo e prioritario ad adolescenti e giovani e altre fasce di clientela adulta. È inserito in una grande area verde con laghetti, attrezzi sportivi, giochi per bambini e bambine e una arena naturale attrezzata per eventi

culturali, musicali, espressivi di vario genere (mostre, video, mostre fotografiche, rassegne di poesia, presentazione di repertori musicali, spettacoli, cabaret, teatro e giocoleria… ), compleanni e laboratori e attività ludico/educative.


DAL TERRITORIO

FARMACIE

Progetto Mimosa: giù le mani! ∞ A CURA DI BEATRICE GRANATA

Nato nel 2014 da un’idea dell’associazione Farmaciste Insieme in collaborazione con Federfarma, il Progetto Mimosa rappresenta oggi una delle più importanti campagne di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, particolarmente cruciale in questo periodo di pandemia. Le donne vittime di violenza in Italia sono 7 milioni, ma la situazione è peggiorata con l’emergenza Covid: secondo i dati dell’Osservatorio Regionale Antiviolenza, nel periodo marzo-giugno 2020 la Lombardia è stata la regione italiana con il maggior numero di chiamate pervenute all’help line antiviolenza 1522 (13,4% del totale a livello nazionale), registrando un +118,8% rispetto allo stesso periodo del 2019. Un fenomeno trasversale, che si verifica a prescindere da età, classe sociale, istruzione, nazionalità e non riguarda solo la violenza fisica

o sessuale, ma anche quella psicologica ed economica. Secondo l’ONU, infatti, si definisce violenza “qualsiasi atto che provoca o può provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione e la depravazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia privata.”

no molto spesso il primo punto di informazione a cui le donne si rivolgono per avere supporto, anche psicologico. Chi subisce questo tipo di trauma, ha difficoltà non solo a sporgere denuncia, ma anche semplicemente a parlarne con qualcuno. Il ruolo del farmacista, grazie e attraverso il Progetto Mimosa, è proprio dare a tutte le

Il Progetto Mimosa ha una forte valenza sociale, soprattutto nel perdurare dell’emergenza legata alla pandemia che spesso ha limitato, per le donne vittime di violenza domestica, la possibilità di chiedere aiuto all’esterno a causa di tutte le restrizioni in atto sugli spostamenti. L’adesione a questa campagna rappresenta per le farmacie un’ulteriore occasione per confermare il proprio ruolo come primo presidio sanitario territoriale. Grazie alla capillarità diffusa ovunque, anche nei piccoli paesi, le farmacie so-

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DOTT.SSA BEATRICE GRANATA Farmacista Gruppo Piusalute srl e Agifar Bergamo


donne che hanno subito violenza fisica, psicologica o economica, l’aiuto necessario per infrangere la solitudine che le imprigiona tra le mura domestiche, informandole su cosa sia la violenza e su quali siano gli strumenti per liberarsene, dando loro supporto morale e indirizzandole verso sociologi, psicologi, avvocati e centri specializzati contro la violenza. Nel 2021 il progetto ha potuto contare sulla collaborazione della fondazione Vodafone Italia, che ha creato Bright Sky, un’app informativa che offre risorse, supporto e strumenti concreti alle donne vittime di violenza domestica e maltrattamenti. L’app è scaricabile gratuitamente e può essere

utilizzata anche da parenti, amici, colleghi di lavoro, associazioni e da tutti coloro che sono vicini a donne maltrattate. Il QR code per scaricare l’app è presente su tutte le locandine e le brochure informatiche che sono state distribuite nelle circa 19.000 farmacie in Italia. Questa particolare attenzione delle farmacie anche su problematiche sociali s’innesta in un contesto di farmacia dei servizi che vede ampliare sempre più le competenze di questi presidi territoriali. L’obiettivo è quello di offrire professionalità e vicinanza a tutte le persone in difficoltà che riconoscono il farmacista non solo come professionista sanitario, ma anche e soprattutto come “amico” e punto di rifermento.

LA MASCHERINA 1522 A settembre 2021 una giovane di 17 anni ha chiesto in una farmacia di Oristano “Vorrei una mascherina 1522…”. La farmacista ha subito afferrato la frase in codice e ha raccolto nel retro della farmacia la confessione della ragazza su una situazione di violenza da parte di un amico di famiglia. Attivate le forze dell’ordine la vicenda si è conclusa con l’arresto dell’uomo per violenza sessuale su minore.

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La salute è un investimento, non una spesa! A TUTTI COLORO che per motivi di salute necessitano di un percorso di allenamento personalizzato e monitorato e che evidenziano le seguenti patologie:

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LA MIOPIA l’utilizzo di SCHERMI a distanzA ravvicinatA FAVORISCE L’AGGRAVARSI DELLA MIOPIA la miopia potrebbe interessare QUASI 5 miliardi di persone nel mondo Entro il 2050 Un’elevata miopia comporta un maggior rischio di patologie oculari pIU’ gravi Lenti specifiche per occhiali e lenti a contatto aiutano a prevenire il peggioramento della miopia


A.R.M.R. Associazione Ricerca Malattie Rare

INSIEME CONTRO LE MALATTIE RARE Le Malattie Rare sono un ampio gruppo di patologie (circa 7.000 secondo l’OMS), accomunate dalla bassa prevalenza nella popolazione (inferiore a cinque persone per 10.000 abitanti secondo i criteri adottati dall’Unione Europea). Con base genetica per l’80-90%, possono interessare tutti gli organi e apparati dell’organismo umano.

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CANCELLAZIONE EVENTI A.R.M.R. comunica che per l’impennata dei contagi Covid ha dovuto annullare gli eventi programmati a Gennaio: Il Concerto “Tributo a Lucio Battisti - Sonorità Solidali” al Teatro Manzoni di Milano e la Cerimonia di Consegna delle Borse di Studio 2022 all’Auditorium di piazza della Libertà a Bergamo.

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IPERVALINEMIA Codice di Esenzione. RCG040 Categoria. Malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e disturbi immunitari. Definizione. Disturbo ereditario del metabolismo della valina, ovvero uno degli aminoacidi essenziali coinvolto nella sintesi proteica e nella produzione di energia dal metabolismo delle proteine, con deficit della reazione di transaminazione. Epidemiologia. La precisa incidenza della patologia è tuttora sconosciuta e sono descritti soli pochissimi casi. Segni e sintomi. Ritardo dello sviluppo psicomotorio e staturo-ponderale, vomito, nistagmo (disturbo caratterizzato dal movimento involontario, rapido e ripetitivo, degli occhi) e ipercinesia (involontaria, non coordinata attività motoria) delle estremità sono le caratteristiche cliniche descritte. Eziologia. L’ipervalinemia è ereditaria come carattere autosomico recessivo. Diagnosi. Gli esami del sangue mostrano valori elevati di valina fino a 10 volte i valori normali senza altre anomalie del profilo aminoacidico plasmatico. I chetoacidi sono assenti nelle urine. La diagnosi clinica e biochimica può essere confermata mediante lo studio del metabolismo della valina su leucociti periferici. Terapia. La terapia dietetica è basata su una dieta a basso contenuto di valina. Nei casi descritti è stato riportato un miglioramento delle condizioni generali, ma non del ritardo di sviluppo.

Dottor Angelo Serraglio Vice Presidente della Fondazione A.R.M.R

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STRUTTURE

ASST PAPA GIOVANNI XXIII

“A spasso con Luisa”, al via l’ottava edizione delle escursioni in montagna per i trapiantati Torna anche quest’anno “A spasso con Luisa”, il progetto che offre ai trapiantati la possibilità di cimentarsi in escursioni in montagna per migliorare il proprio benessere mentale e fisico, in compagnia dell’esperto del CAI di Bergamo, Silvio Calvi, trapiantato di fegato. Sette le uscite in programma, una ogni due settimane, nelle domeniche dal 10 aprile 2022 al 26 giugno 2022. L’iniziativa, giunta quest’anno alla sua ottava edizione, è dedicata a Luisa Savoldelli, trapiantata di fegato e grande appassionata di montagna. S’inizia con il rifugio Parafulmine, sopra Gandino, per poi passare al rifugio Gherardi in Val Taleggio, al rifugio Magnolini in alta Val Seriana, e poi ancora al rifugio Campione, sul confine tra la Val di Scalve e la Val Camonica,

L’idea del progetto “A spasso con Luisa” nasce nel corso di alcune escursioni fatte con Luisa Savoldelli qualche anno fa. Trapiantata di fegato per la prima volta negli anni Novanta, Luisa ha riscoperto con gli amici e i familiari il piacere di fare fatica in montagna, su e giù per i sentieri e i monti, godendosi la natura, l’aria, il sole, senza paure”

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alla Baita Golla nella Valle del Riso e al rifugio Fratelli Calvi in alta Val Brembana. L’ultima escursione, con pernottamento, sarà al Rifugio Albani, sulla Presolana, il weekend del 25 e 26 giugno. Ai partecipanti trapiantati viene chiesto di eseguire, con tempi e modalità indicate dal Centro di Medicina dello Sport del Papa Giovanni, le verifiche necessarie ad accertare l’idoneità all’attività sportiva e a valutare il miglioramento del proprio stato di salute grazie all’attività sportiva. Il progetto, mirato a ristabilire la fiducia del trapiantato nelle proprie risorse e a misurare con idonei test il miglioramento delle proprie condizioni e del benessere psicofisico, nasce all’interno del protocollo di ricerca “Trapianto e adesso sport”


promosso dal Ministero della Salute e dal Centro Nazionale Trapianti, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e con le associazioni dei pazienti trapiantati, con il Centro di Medicina dello Sport del Papa Giovanni XXIII identificato come centro di riferimento per la Regione Lombardia. «Abbiamo contribuito fin dall’inizio a questo progetto con l’obiettivo di capire se la pratica costante di certi esercizi e determinati programmi di allenamento possano essere considerati delle vere e proprie terapie, capaci di tenere sotto controllo lo sviluppo del grasso corporeo e di favorire la ripresa psico-fisica del paziente trapiantato, con effetti positivi sulla sopravvivenza dell’organo» spiega Giacomo Poggioli, responsabile del Centro Medicina dello Sport dell’ASST Papa Gio-

vanni XXIII. «È un’iniziativa bellissima che prosegue nel solco di una tradizione ormai consolidata» aggiunge Elena Buelli, che attualmente coordina i prelievi e trapianti di organi dell’ASST Papa Giovanni

XXIII. «Le escursioni consentono di fare attività fisica all’aria aperta, tra i più suggestivi scenari delle nostre montagne, aiutando non solo il corpo, ma anche lo spirito dei pazienti trapiantati».

Iscrizioni aperte Per iscriversi basta compilare il form di adesione disponibile ai CUP di Torre 4, Torre 5 e Torre 6 dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e sul sito web dell’ASST Papa Giovanni XXIII e restituirlo al Sig. Gianni Alfieri - volontario dell’Associazione Amici del trapianto di fegato, partner dell’iniziativa - da lunedì a giovedì dalle 8 alle 12 al quarto piano della torre 4 (Segreteria A), oppure inviarlo compilato a mezzo e-mail a silviocalvi@tin.it o a giannyalfieri@hotmail.it. L’iscrizione è aperta ai trapiantati, che possono impegnarsi a partecipare a tutte le escursioni oppure in maniera saltuaria, ma anche ai loro familiari e amici e agli operatori della ASST Papa Giovanni XXIII. La partecipazione è gratuita. Sono escluse le spese di trasporto.

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GUIDA ALLE PROFESSIONI SANITARIE

L’Ordine degli Psicologi della Lombardia e i suoi Referenti Territoriali per Bergamo e provincia collaborano con Bergamo Salute ∞ A CURA DI ANDREA POERIO E DIANA PRADA

Da fine 2021 l’Ordine degli Psicologi della Lombardia (OPL) ha avviato con piacere la collaborazione con Bergamo Salute, entrando a far parte del Comitato Etico della rivista, supervisionando i contenuti di rilevanza psicologica proposti ed evitando la commistione tra pura informazione e pubblicità. In particolare l’OPL ha deciso di esercitare tale ruolo attraverso le figure dei Referenti Territoriali per Bergamo e provincia, il dottor Andrea Poerio e la dottoressa Diana Prada. Cogliamo così l’occasione per raccontare il Progetto Referenti Territoriali promosso dall’Ordine

degli Psicologi della Lombardia e per presentarci ai lettori. Il Progetto Referenti Territoriali nasce nel 2012 con l’obiettivo di portare le iniziative dell’Ordine in ogni provincia, mantenendo un dialogo aperto tra l’OPL e le specificità dei bisogni del territorio. In particolare la figura del referente ha il compito di: > promuovere la professione dello psicologo, favorendo la creazione di una rete di conoscenze e contatti con le diverse figure istituzionali, aziendali, politiche ed amministrative; > fungere da punto di contatto per la raccolta di suggerimenti, segnalazioni, proposte e opportunità inerente l’attività

dell’Ordine regionale da parte dei colleghi, cittadini e Istituzioni e altre realtà appartenenti al territorio; > supportare lo sviluppo di uno spirito di collaborazione e comunità tra psicologi, organizzando momenti di incontro, condivisione, formazione e diffusione della cultura psicologica, garantendo un approccio che sia aperto al dialogo e in grado di accogliere modelli ed orientamenti teorici differenti. Ad oggi le iniziative proposte sono state molteplici. Dall’inizio del nostro incarico abbiamo realizzato infatti diversi momenti di riflessione

Chi siamo Da settembre 2020 il Progetto Referenti Territoriali ha noi come nuovi referenti. Chi siamo?

DOTTOR ANDREA POERIO Psicologo Socio fondatore dell’Associazione NeoPsi di Bergamo

Da diversi anni mi occupo di sostegno psicologico, psicodiagnosi e somministrazione di test psicologici, oltre che di dipendenze patologiche presso una comunità terapeutica riabilitativa, in cui ricopro il ruolo di responsabile del progetto psicoeducativo di UdO. Dal 2020 sono inoltre docente presso il Master in Valutazione Multidimensionale Psicologica dell’Università degli Studi di Bergamo.


e condivisione di professionalità attraverso dei webinar su temi legati alla situazione pandemica, tra cui: la psicologia dell’emergenza, il lutto ai tempi del Covid in collaborazione con il Gruppo AMA (Auto Mutuo Aiuto) Bergamo, l’intervento nella rete ospedale territorio. Inoltre, la psicologia scolastica, la presa in carico di famiglie multiproblematiche e molti altri sono in programma per il futuro. Da giugno, inoltre, sono attivi i nostri gruppi d’incontri di Intervisione e discussione di casi clinici, momenti in cui psicologi e studenti della facoltà di psicologia possono confrontarsi e condividere le proprie riflessioni, fatiche e

DOTT.SSA DIANA MARGHERITA PRADA Psicologa e Psicoterapeuta sistemico relazionale

Centro di Terapia della Famiglia di Bergamo

risorse integrando le diverse esperienze professionali.

cologo in diversi ambiti siano essi educativi, sociali o di welfare.

La progettualità futura prevede, oltre alla riconferma delle iniziative più apprezzate degli anni passati, un incremento della collaborazione degli Psicologi con i servizi territoriali, le associazioni e le istituzioni locali, anche attraverso una serie d’incontri informativi e divulgativi rivolti alla cittadinanza.

Per restare aggiornati sulle iniziative proposte dal Progetto Referenti territoriali OPL e mettersi in contatto con noi, è possibile consultare il sito https://www.opl.it/referenti-territoriali.php o scrivere una mail a bergamo@opl.it.

Siamo infatti convinti delle grandi potenzialità della Psicologia nell’incremento del benessere individuale e sociale e dell’importanza della valorizzazione del ruolo dello psi-

Con i colleghi del Centro di Terapia della Famiglia di Bergamo incontriamo famiglie, coppie e individui. Nel Centro sono anche referente per i tirocini post lauream dei giovani laureati in psicologia. Sono docente presso il Centro milanese di terapia della famiglia e da gennaio 2022 Presidente dell’Associazione ISPS (sezione italiana dell’International Society for Psychological and Social Approaches to Psychosis) Lombardia con sede a Berga-

I colleghi appartenenti all’Ordine degli Psicologi della Lombardia, che desiderassero farne parte, possono inoltre accedere al gruppo Telegram dedicato al link https://t. me/OplReferentiBergamo.

mo. Nelle attività che svolgo ho particolare attenzione agli aspetti etici della professione e la relazione tra salute, risorse umane e luoghi.

Entrambi abbiamo a cuore la valorizzazione delle risorse presenti sul territorio e l’integrazione e il dialogo tra approcci e professioni differenti, motivo per cui abbiamo scelto di presentarci per questo ruolo.


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REALTÀ SALUTE

Un defibrillatore a casa Come e perché

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«Oggi finalmente, grazie alla tecnologia, alla conoscenza e alla cultura il Defibrillatore Semiautomatico Esterno (DAE) si affaccia anche al contesto domiciliare. Il DAE è un aiuto concreto quando un nostro caro è colpito da Arresto Cardiaco Improvviso (ACC). Se consideriamo che circa l’80% degli ACC al di fuori delle strutture sanitarie avviene tra le mura domestiche ecco che prende significato pensare di dotare la propria casa, condominio o quartiere di uno o più DAE» osserva Federico Pelicioli di Tecno System. La nuova legge n. 116 del 2021 prevede l’utilizzo del DAE in caso di emergenza cardiaca anche da parte di persone che non abbiano seguito un corso specifico (BLSD), inoltre grazie al servizio di emergenza 112 l’operatore di AREU è in grado di guidare il soccorritore nelle manovre da svolgere e nell’uso corretto del DAE. L’uso del defibrillatore non comporta responsabilità da parte di chi lo utilizza dopo che abbia chiamato i soccorsi e abbia seguito il protocollo. Di fatto dopo aver collegato gli elettrodi al paziente la respon-

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sabilità passa al defibrillatore. Pur essendo possibile utilizzare il DAE anche senza aver svolto un corso specifico, è alla portata di tutti formarsi con un corso BLSD che insegna a riconoscere i sintomi in una persona colpita da cardiaco, le manovre di rianimazione e l’utilizzo del DAE. Il corso BLSD è utile sia per lo scopo specifico di utilizzare un DAE sia per un proprio bagaglio culturale. «Non è necessario tappezzare un complesso abitativo di defibrillatori, certamente occorre svolgere una minima valutazione sulla struttura, tenere sempre in considerazione che il defibrillatore possa essere raggiunto, prelevato e applicato alla persona colpita da ACC entro 4/5 minuti. Non mi stancherò mai di sottolineare che in caso di arresto cardiaco improvviso il tempo è l’unico nostro nemico in quanto per ogni minuto che passa la possibilità di sopravvivenza si abbassa del 10%.

Dal punto pratico la postazione del DAE non necessità di opere murali o elettriche particolari, è sufficiente una parete su cui applicare una teca, un cartello e all’interno posizionarvi il defibrillatore. Gli unici costi saranno il cambio degli elettrodi e batteria che in base al modello di DAE hanno periodicità differenti e che non comporta per forza la presenza di un tecnico specializzato (a meno che non voglia far eseguire dei controlli funzionali periodici, ma anche in questo caso è giusto sapere che molti DAE eseguono periodicamente degli autotest comunicando successivamente le anomalie ed in questo caso l’azienda lo sostituirà gratuitamente)» conclude Pelicioli.

La localizzazione dei defibrillatori AREU dispone della mappatura di tutti i DAE sul territorio e dopo la chiamata d’emergenza al 112 e l’attivazione dei soccorsi l’operatore può guidare per raggiungere il DAE più vicino. Un defibrillatore all’interno di un contesto abitativo non comporta autorizzazioni particolari se non il fatto di comunicare ad AREU la presenza del dispositivo (generalmente le aziende stesse che forniscono i DAE affiancano il cliente nelle pratiche di registrazione AREU).

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REALTÀ SALUTE

Cooperativa In Cammino La Cura dell’Albero: inaugurato il nuovo Punto Unico di Accesso a prestazioni e servizi

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

Un nuovo Punto Unico d’Accesso a tutte le prestazioni e servizi con il nome “Albero della Cura”. È quello inaugurato l’unici dicembre scorso dalla Cooperativa In Cammino in via De Medici a San Pellegrino Terme. Un progetto frutto di uno studio durato quasi dieci anni. «Da sempre l’Albero rappresenta un sistema vitale complesso, capace di trovare nel luogo dove nasce il punto esatto dove espandere le proprie radici, alimentandosi a tal punto da poter sviluppare armonicamente l’insieme della propria vegetazione, radici, tronco, rami e stagionalmente fogliame. Attraverso la fotosintesi clorofilliana produce e scambia con l’ambiente circostante l’ossigeno, trattenendo e modificando l’anidride carbonica che incamera» sottolinea Danila Beato, presidente della Cooperativa In Cammino. «A prescindere dalla tipologia di arbusto, l’Albero ha un ruolo generativo e proattivo nei confronti dell’ecosistema che lo circonda, così il radicamento dell’esperienza della Cooperativa In Cammino assume significato nella misura in cui scambia e libera nella comunità tutto il suo valore. In questa metafora abbiamo incardinato l’interpretazione del nostro

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“I fiumi non bevono la propria acqua, gli alberi non mangiano i propri frutti, il sole non brilla per sé stesso e i fiori non disperdono la propria fragranza per sé stessi. Vivere per gli altri è una regola della natura; la vita è bella quando sei felice però la vita è straordinaria quando gli altri sono felici per merito tuo. La vera nostra natura è essere al servizio perché tutto sia migliore” ∞∞ ENRICO GRASSI

esistere in Valle Brembana individuando, da un lato nella morfologia di questo territorio, una forte analogia con l’Albero, con una bassa Valle-radice, un tronco centrale ed una chioma che esplode nella sua maestosità nella parte superiore della Valle, dall’altro nella scelta di radicare in questo Distretto il nostro progetto imprenditoriale abbiamo saputo assecondare, con un ascolto profondo, l’esistere di una popolazione che, nel corso di 30 anni, ha fortemente cambiato le proprie sembianze e, quindi, i propri bisogni. C’è una dedizione profonda nella scelta di accudimento di un territorio che invecchia con la propria popolazione, ma è un amore maturo quello che permette di continuare a credere che ci sarà vita piena anche nei decenni che verranno, sapendo progettare servizi per le giovani famiglie, proposte educative per la prima infanzia, spazi di ascolto e valorizzazione per gli adolescenti». L’Albero della Cura offre, a chi vi acce-

de, la possibilità di orientare il proprio bisogno sulla rete di Servizi che lo circondano, con le proposte del Consultorio Familiare Priula, le opportunità del Luogo di Cura con le specialistiche poliambulatoriali e le attività psicosociali del Centro Famiglia, l’accesso alle cure domiciliari del Servizio di Assistenza Domiciliare Integrata e le Cure Palliative, un Servizio di assistenza privato sul quale poggiare eventuali bisogni assistenziali. Non mancano le attività legate all’educazione al benessere che Olos organizza da anni sul territorio. L’Albero della Cura è anche il luogo in cui trovare orientamento verso i Servizi presenti sul territorio, con i quali In Cammino collabora e genera sinergie, svilupperà ed insedierà uno sportello di orientamento al lavoro, è sede di un Punto Tamponi in risposta all’emergenza Covid, il tutto nell’auspicio che possa diventare un punto di riferimento immediato, vicino e familiare per tutta la comunità.

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REALTÀ SALUTE

La miopia nei bambini si può rallentare

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Si stima che entro i prossimi 50 anni in Europa la popolazione miope aumenterà dal 22% al 56%. Questo significa che un numero sempre crescente di giovani diventeranno miopi. Gli studi dimostrano che quanto più precoce è l’insorgenza della miopia in un bambino tanto più velocemente il difetto progredirà. Ad esempio un bambino che a sette anni ha -1,00 diottrie in media raggiungerà -6,00 diottrie e 16 anni, se invece lo stesso grado di -1,00 diottrie insorge a 11 anni probabilmente a 16 anni raggiungerà solo -3,00 diottrie (vedi grafico). Bisogna anche considerare che per ogni diottria in più corrisponde un aumento del rischio di ulteriori disabilità visive nel corso della vita. Tra le cause di questo “boom” del difetto visivo certamente c’è l’abitudine sin dalla giovane età all’uso intensivo di dispositivi elettronici, anche nella didattica a distanza. La buona notizia è che esiste oggi una soluzione all’avanguardia per limitare la progressione della miopia nei più giovani. Ce ne parla Massimiliano

Gazzera, ottico e titolare di MGM snc che controlla Ottica Gazzera e L’ottica di moda. Di che cosa si tratta? Oggi sono disponibili particolari lenti (Stellest™ prodotte da Essilor®) che utilizzano un’innovativa tecnologia detta HALT (Highly Aspherical Lenslet Target) progettata per rallentare l’allungamento dell’occhio nei bambini, i cui occhi sono ancora in fase di sviluppo. Queste lenti sono composte da una serie di 11 anelli (microlenti invisibili) che creano un segnale davanti alla retina per guidare la crescita oculare e rallentare la progressione della miopia. Chi può avvalersi di questo sistema di prevenzione? La tecnologia è stata messa a punto per bambini e ragazzi dai 6 ai 16 anni. È necessario un primo

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controllo oculistico e prescrizione di questo tipo di lenti da parte dello specialista. A seguire un ottico che abbia seguito la specifica formazione, assolutamente necessaria su questo sistema, realizzerà gli occhiali e accompagnerà il bambino nella fase di prova (15 minuti) e adattamento (una settimana). Nei mesi successivi verranno fatti altri controlli periodici e con cadenza variabile verranno sostituite le lenti, considerato che si tratta di una fase di crescita. Quali sono i risultati? Dagli studi clinici realizzati su un consistente numero di bambini è risultato che il 91% si è adattato alle lenti in tre giorni e il 100% in una settimana e tutti hanno riscontrato una visione nitida. Riguardo alla progressione della miopia si è stimato che in media il rallentamento è stato del 67% rispetto all’uso di lenti comuni.

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Bergamo Salute anno 12 | n° 64 Gennaio | Febbraio 2022 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Rosa Lancia rosa.lancia@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Shutterstock, Adobe Stock, Unsplash, Pixabay, Adriano Merigo Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing Km Zero Srls Via G. Garibaldi, 3 - 24030 Mozzo (BG) Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Lella Fonseca, Giulia Sammarco

Iscr. Tribunale Bergamo N°26/2010 del 22/10/2010 Iscr. ROC N°26993. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche se parziale, di qualsiasi testo o immagine. L’editore si dichiara disponibile per chi dovesse rivendicare eventuali diritti fotografici non dichiarati. I contenuti presenti su Bergamo Salute hanno scopo divulgativo e non possono in alcun modo sostituirsi a diagnosi mediche.

Tiratura 30.000 copie/bimestre. Canali di distribuzione: • Abbonamento. • In omaggio in edicola con Il Giorno (Provincia di BG). • Spedizione a diverse migliaia di realtà bergamasche, dove è possibile leggerla nelle sale d’attesa (medici e pediatri di base, ospedali e cliniche, studi medici e polispecialistici, odontoiatri, ortopedie e sanitarie, farmacie, ottici, centri di apparecchi acustici, centri estetici e benessere, palestre, parrucchieri etc.) • Distribuzione gratuita presso le strutture aderenti alla formula "Amici di Bergamo Salute".

82 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2022

COMITATO SCIENTIFICO • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Dott. Diego Bonfanti - Oculista Dott.ssa Maria Viviana Bonfanti Medico Veterinario Dott. Rolando Brembilla - Ginecologo Dott.ssa Alba Maria Isabella Campione Medicina Legale e delle Assicurazioni Dott. Andrea Cazzaniga Idrologo Medico e Termale Dott. Sergio Clarizia - Pediatra Dott. Marcello Cottini - Allergologo Pneumologo Dott. Giovanni Danesi - Otorinolaringoiatra Dott. Adolfo Di Nardo - Chirurgo generale Dott. Nicola Gaffuri - Gastroenterologo Dott.ssa Daniela Gianola - Endocrinologa Dott. Antoine Kheir - Cardiologo Dott.ssa Grazia Manfredi - Dermatologa Dott. Roberto Orlandi Ortopedico Medico dello sport Dott. Paolo Paganelli - Biologo nutrizionista Dott. Antonello Quadri - Oncologo Dott.ssa Veronica Salvi - Ostetrica Dott. Orazio Santonocito - Neurochirurgo Dott.ssa Mara Seiti - Psicologa - Psicoterapeuta Dott. Sergio Stabilini - Odontoiatra Dott. Giovanni Taveggia Medicina Fisica e Riabilitazione Dott. Massimo Tura - Urologo Dott. Paolo Valli - Fisioterapista

COMITATO ETICO • Dott. Ernesto de Amici Presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo • Gianluca Solitro Presidente OPI Ordine delle Professioni Infermieristiche di Bergamo • Dott. Andrea Poerio e Dott.ssa Diana Prada Referenti territoriali di Bergamo e Provincia OPL Ordine Psicologi Lombardia


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Cooperativa In Cammino

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pages 79-80

L’Ordine degli Psicologi della Lombardia e i suoi Referenti Territoriali

4min
pages 74-76

Tecno System srl

2min
pages 77-78

ASST Papa Giovanni XXIII

3min
pages 72-73

Terzo settore

1min
page 67

Farmacie

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Malattie rare

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News

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Bellezza

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Altre terapie

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Animali

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Psicologia

4min
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Gli effetti della pandemia vita più digitale e scontrino green

4min
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Volontariato Il grande cuore bergamasco

1min
page 7

Cardi, amici della linea depurativi… ma non solo

4min
pages 28-29

Stili di vita

4min
pages 23-25

Bergamo

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pages 18-22

Endocrinologia

7min
pages 10-13

Ortopedia

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pages 14-17

Alimentazione

3min
pages 26-27
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