Speciale Salone 2023

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centro/00826/06.2015 18.06.2015 BIMESTRALECOPIA EURO 0,001 DESIGN MILANO EDIZIONE STRAORDINARIA SALONE FUORI SALONE 2023 SUPPLEMENTO N. 1 AD ARTRIBUNE MAGAZINE N. 71
crafthub THE LIBRARY CRAFT INTERNATIONAL EXHIBITION INDAGINE SULLE PRATICHE ARTIGIANALI IN EUROPA 01→14/04 2023 Matera ex ospedale S. Rocco P.zza San Giovanni INFO crafthubeu crafthubeu.eu in collaborazione con: a cura di con la partecipazione di: e il prezioso sostegno di:

anno XIII | 71

marzo — aprile 2023

Supplemento n. 1

SUPPLEMENTO A CURA DI

Giulia Marani

DIRETTORE

Massimiliano Tonelli

PUBBLICITÀ & MARKETING

Cristiana Margiacchi | 393 6586637

Rosa Pittau | 339 2882259 adv@artribune.com

EXTRASETTORE

downloadPubblicità s.r.l. via Boscovich 17 – Milano via Sardegna 69 – Roma 02 71091866 | 06 42011918 info@downloadadv.it

REDAZIONE | EDITORE via Ottavio Gasparri 13/17 Roma redazione@artribune.com

PROGETTO GRAFICO

Alessandro Naldi

STAMPA

CSQ

Centro Stampa Quotidiani via dell’Industria 52 Erbusco (BS)

COPERTINA

Koos Breen, LI-T II, courtesy Koos Breen e Alcova Project Space

Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 184/2011 del 17/6/ 2011

Chiuso in redazione 7 aprile 2023

HANNO COLLABORATO:

Flavia Chiavaroli, Silvia Donnini, Gianluca Ferriero, Giorgia Losio, Yoshiyuki Miyamae, Giacomo Moor, Giulia Mura, Sophie Marie Piccoli, Alessandra Quattordio, Valentina Silvestrini, Maria Chiara Virgili, Johannes Willi, Giulia Zappa

Guarda fuori dalla finestra e se ciò che vedi ti piace, allora non c’è ragione di fare nuovi progetti. Se invece ci sono cose che ti riempiono di orrore al punto da farti venire voglia di uccidere i responsabili, allora esistono buone ragioni per un progetto”. Questa frase di Enzo Mari, pronunciata alcuni anni fa nel corso di una conversazione con Hans Ulrich Obrist e molto citata, conserva la sua freschezza nel contesto in cui ci troviamo. A seconda della nostra posizione geografica, infatti, possiamo trovarci di fronte all’orrore della guerra, alle conseguenze del cambiamento climatico, al disagio abitativo o a feroci disuguaglianze sociali.

Per questo motivo, abbiamo scelto di guardare all’edizione 2023 della design week milanese privilegiando le proposte che partono da una lettura della realtà, con le sue storture e i suoi problemi, e su scale diverse provano a cambiarla. Alcuni tra i progetti che abbiamo selezionato riguardano una dimensione intima come quella del corpo, altri puntano a incidere il proprio segno nello spazio pubblico. L’artista svizzero Johannes Willi, per esempio, ha trovato il modo per arginare la difficoltà che molti pazienti affetti da dolore cronico hanno nel raccontare a parole la loro sofferenza, rispondendo al loro bisogno di “essere visti”. Il designer Giacomo Moor ha lavorato a stretto contatto con i ragazzi di Mathare – una delle più estese baraccopoli di Nairobi, i cui abitanti vivono in una situazione difficile –semplificando al massimo i processi per metterli in grado di assemblare in autonomia gli arredi destinati alla scuola locale. In queste pagine, vi proponiamo inoltre una guida ragionata al Fuorisalone, organizzata per distretto e arricchita da una serie di mappe, per aiutarvi a districarvi tra le centinaia di eventi, mostre e presentazioni in programma nei prossimi giorni. Vi portiamo alla scoperta del design danese, influenzato dal genius loci e cresciuto come il nostro in un tessuto produttivo fatto di reti di piccole aziende a trazione familiare. Vi raccontiamo, infine, due diverse idee di radicalità: quella scapigliata degli enfants terribles del collettivo olandese Droog Design, emersa nei primi anni Novanta e celebrata nelle sale della Triennale, e quella dei 100 progettisti under 35 scelti da Angela Rui e dal suo team curatoriale per fare parte del “nuovo panorama collettivo” del design italiano.

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LA NOSTRA IDEA DI UNA GUIDA PER LA DESIGN WEEK EDITORIALE
GIULIA MARANI Uno scatto da Made in Slums - Mathare Nairobi . Photo ©Filippo Romano

DISTRETTI

è un focus di 3.000 metri quadri sulla tecnologia applicata al design, con un allestimento progettato dallo studio Pininfarina.

TORTONA

4 Il nucleo storico del Fuorisalone continua a essere uno dei punti di attrazione principali tanto per gli addetti ai lavori quanto per gli adepti di feste e aperitivi. In via Tortona e nelle adiacenze oggi convivono quattro diverse iniziative, ognuna con una propria identità: Tortona Rocks, BASE, Superstudio Più e Tortona Design Week.

BRERA

1 Con oltre 240 eventi, la Brera Design Week si aggancia al tema generale proposto dal Fuorisalone: Laboratorio Futuro, un invito a progettare nuovi scenari per rispondere alle sfide della contemporaneità. A interpretare il brief è una moltitudine di attori, divisi tra le realtà che hanno la loro sede permanente in queste vie – oltre 180, con una decina di nuove aperture – e quelle che invece hanno scelto di occupare una delle tante location in affitto.

! Design Variations, la manifestazione curata da MoscaPartners, torna al Circolo Filologico (con un intervento site-specific di Zaven sulla facciata) e apre per la prima volta al pubblico l’Istituto Marchiondi Spagliardi, capolavoro brutalista di Vittoriano Viganò a Baggio. Qui, va in scena Reforming Future, la mostra dei progetti del corso magistrale tenuto da Michele De Lucchi e Andrea Branzi al Politecnico.

5VIE

2 La ricerca di punti di contatto tra la dimensione estetica e quella etica – di un bello, cioè, che sia anche votato al benessere collettivo – è al centro della proposta di 5VIE, che organizza la propria settimana del design per il decimo anno concentrandosi come di consueto sul design d’autore e sul dialogo con le arti visive e l’alto artigianato. Design for Good è lo slogan attorno al quale

si agglutinano mostre e installazioni, sei delle quali sono state prodotte direttamente dal distretto.

! Non lontano da 5VIE, Senza Invito è un progetto unico perché consente di entrare in uno dei luoghi più inaccessibili della città, il carcere di San Vittore, e avvicinarsi alla realtà dei detenuti attraverso la lente del design. In mostra, gli esiti del laboratorio di economia circolare fondato da Ilaria Scauri.

ISOLA

3 Sempre più l’erede ideale di VenturaLambrate, il distretto di Isola continua a puntare su circolarità e rigenerazione. Non a caso, il motto di quest’anno è Nothing happens if nothing happens, da intendersi come “non succede niente se nessuno agisce”. Le proposte sono ancora più numerose e investono oltre 40 luoghi dentro e fuori dai confini del quartiere: in Piazza Città di Lombardia, per esempio, CircolareThe Circular Village mette in mostra materie prime grezze, biomateriali e prodotti realizzati con scarti industriali, mentre Tools & Crafts (alla Fondazione Catella) guarda all’artigianato con la sensibilità di Millennials e Gen Z e con strumenti nuovi come l’intelligenza artificiale, e Take Care! (alla Stecca3) approfondisce il tema della cura, in senso stretto e allargato.

! Exclave di Isola nel quartiere di Certosa, Innovation for Living

! Anche Tortona Rocks, come Brera, guarda al futuro ponendosi l’interrogativo How do you take care of tomorrow? e cercando di fornire una serie di risposte all’Opificio 31 e in altre sedi limitrofe. Inoltre, si rende protagonista di una “digressione territoriale” nel vicino quartiere popolare del Giambellino con il progetto Altrove sviluppato insieme alla piattaforma MilanoSecrets. Una serie eterogenea di botteghe – un pastificio, una libreria, una polleria… – si trasformano in palcoscenici per le creazioni di designer emergenti.

ALCOVA

5 Format che vince non si cambia, anche se continua a cambiare sede. Dopo aver portato i visitatori del Fuorisalone, nell’ordine, in un ex-panettonificio a NoLo, in uno stabilimento tessile dell’Isola e in un ospedale militare a Baggio, il progetto ideato da Valentina Ciuffi e Joseph Grima nel 2018 investe e “riattiva” una nuova location in rovina, l’Ex-Macello di Porta Vittoria. Si tratta dell’ultima occasione per vedere il complesso liberty di 20mila metri quadri così com’è, prima dell’avvio di un imponente intervento di rigenerazione che porterà alla nascita di un nuovo quartiere residenziale, del campus dello IED, di un museo e di un parco. Il programma è come sempre variegato, con i progetti di oltre 70 espositori tra designer indipendenti, istituzioni (per esempio il LUMA di Arles, presente con il suo centro di ricerca Atelier LUMA), gallerie e collettivi, tutti contraddistinti da un approccio sperimentale.

LA MAPPA DEI
Come ogni anno, il design torna a invadere la città, dal centro alle periferie, portandosi dietro il suo corollario di eventi e di happening.
E continua a fornire occasioni per riscoprire architetture dimenticate o di solito inaccessibili al pubblico.

PORTA VENEZIA

6 Posto a cerniera tra il centro e la prima cintura, cosmopolita e includente per natura, il quartiere di Porta Venezia ospita un nuovo distretto del Fuorisalone – anzi, L’ALTRO distretto, un’etichetta che rimanda sia al genius loci (in queste vie convivono molte realtà, dalle attività commerciali della diaspora eritrea ai ritrovi della comunità LGBTQ+ e agli studi di architettura) che all’esistenza di tanti modi diversi di fare design.

! Ai margini del distretto, il Bar Basso, un’istituzione cittadina, festeggia i 55 anni del Negroni Sbagliato e l’ingresso del “bicchierone” in cui viene servito con Hidden Sound. L’azienda svizzera ha realizzato un’edizione limitata di sistemi audio, in esposizione durante la design week, e una playlist. E a Via Rosolino Pilo passate a vedere il nuovo negozio di piante Palma.

A DUE PASSI DAL DUOMO

7 Via Durini è con ogni probabilità la strada milanese con la più alta concentrazione di showroom di design ed è l’epicentro del

Milano Design District, associazione all’inizio concentrata in un perimetro molto ristretto e oggi cresciuta a macchia d’olio sia verso via Larga-Missori (dove si trova anche l’Università Statale, sede della collettiva Interni Re-Evolution) che in direzione di corso Monforte. Le 41 attività che ne fanno parte si sono date anche un tema condiviso, Metamorfosi urbana.

! Dopo sei edizioni a Palazzo Turati, Masterly-The Dutch in Milano si sposta in un’altra sede di grande fascino, il cinquecentesco Palazzo Giureconsulti, e punta a stupire i visitatori con una monumentale installazione floreale.

STAZIONE CENTRALE E DINTORNI

8 In via Sammartini, all’interno dei Magazzini Raccordati della Stazione Centrale, sorgerà presto –l’apertura è prevista nei primi mesi del 2024 – un nuovo centro per l’architettura e il design. Una prima anticipazione del progetto è arrivata lo scorso anno durante la design week, quando il contenitore, cioè i tunnel, è

stato aperto ai visitatori; quest’anno, invece, una rassegna intitolata Dropcity Convention 2023 permette di farsi un’idea dei contenuti che andranno ad animare quegli spazi nel prossimo futuro. Tra le varie iniziative, segnaliamo la mostra Arrigo Arrighetti. Un architetto pubblico e l’installazione Aspen, the Italian Manifesto, omaggio a un momento clou nella storia del design italiano: il congresso organizzato nella località sciistica americana dall’International Design Conference nel 1989, al quale parteciparono alcuni tra i più visionari progettisti del momento, da Achille Castiglioni a Ettore Sottsass.

! La designer americana Felicia Ferrone espone le creazioni in vetro del suo brand fferrone in una mise en place blu Klein a Villa Mirabello, un gioiello rinascimentale a nord del quartiere Maggiolina che per la prima volta accoglie un evento legato al design.

7 OSSERVATORIO SALONE
GIULIA MARANI 5 ! ! ! ! 4 2 6 1 ! 7 3 ! ! 8
acuradi
Porta Venezia
Centrale ParcoSempione Villa Mirabello City Life Garibaldi Porta Romana Corvetto Fondazione Prada Bar Basso Palma Palazzo Giureconsulti Circolo Filologico Carcere di San Vittore Innovation
Living
Opificio 31
for
Istituto Marchiondi Spagliardi

BRERA

a cura di ALESSANDRA QUATTORDIO

UN VARCO DI LUCE VERSO IL DESIGN

alizzate da venti artisti-artigiani coreani, che ricorrono anche al riutilizzo di oggetti d’epoca per attuare i loro sogni di bellezza in forme inedite.

viale Pasubio 5 kcdf.or.kr

L’UOMO E LO SPAZIO

L’ingresso è segnato, la soglia oltrepassata: la luce “si materializza”. Ancora una volta deus ex machina è Ingo Maurer, azienda che a Milano a Porta Nuova, ai Caselli 11-12, mette oggi in scena l’ennesimo sortilegio: Light-Floating Reflection, ovvero un tappeto di trenta metri dipinto a colori fluorescenti che attraversa a mezz’aria l’arco in pietra – uno degli antichi varchi della città –, e si specchia su una superficie riflettente che lo sovrasta. Il risultato è un mix di luci e colori che provengono dal tappeto stesso, ma anche dagli spazi urbani circostanti.

piazzale Principessa Clotilde 11-12 ingo-maurer.com

LA SECONDA VITA DELLE ANTICHITÀ COREANE

Il rapporto fra uomo, tecnica e spazio è scandagliato anche grazie alla mostra City Oasis presentata alla Tempesta Gallery in Foro Bonaparte. Qui le opere esposte – concepite fra gli anni Sessanta e i Duemila da un artista-ingegnere: Piero Fogliati –sono macchine che carpiscono i segreti del vento come i rumori della città, rivelando una visione metropolitana sofferta, all’interno della quale l’uomo può però ritagliare il suo spazio di libertà e poesia. Fanno da contraltare alle sculture gli arredi prodotti da Riva 1920, disegnati, fra gli altri, da Enzo Mari, Renzo Piano, Mario Botta, con il riutilizzo di bricole veneziane.

foro Buonaparte 68 tempestagallery.com

All’Acquario Civico ecco invece un vero salto nel futuro con il manifestarsi dei segni del passaggio umano grazie all’ausilio delle più raffinate tecnologie. In Trame, curata da Stark, azienda leader nelle installazioni multimediali e interactive experience per musei ed enti pubblici e privati, serpeggianti traiettorie luminose si diramano e si intrecciano, fra visivo e sonoro, come risposta al muovere dei visitatori e del loro reciproco interagire – secondo un “concetto di co-autorialità” –, nonché al manifestarsi delle loro reazioni emotive. Si parte da un’immagine artistica proiettata, come sottolinea l’architetto Alice Boroni che con Gloria Lisi e Alex Boroni ha condiviso questo progetto: “Ci sono algoritmi iniziali sulla base dei quali ogni corpo in movimento genererà diramazioni, suoni, colori e ‘paesaggi’ diversi. Ciò dimostra ancora una volta che l’essere umano deve sempre tener conto della presenza di altri soggetti e delle relazioni che instaura con loro e con l’ambiente”.

viale Gadio 2 stark1200.com

Da Porta Nuova alla Fondazione Feltrinelli il passo è breve. Qui, grazie a Korea Craft & Design Foundation, è possibile immergersi nella cultura della Corea, una tradizione prestigiosa e raffinatissima che dal passato si è propagata fino ai nostri giorni secondo le varie declinazioni regionali. Shift Craft, sotto la direzione artistica di Byungjun Koo, offre uno straordinario florilegio di sessanta opere in ceramica, metallo, legno, vetro, lacca e pittura re-

Foro Buonaparte 68

FUTURO È QUI
IL
Piazzale Principessa Clotilde 11-12 Viale Gadio 2 Largo Claudio Treves 1 BRERA GARIBALDI CENTRALE Viale Pasubio 5

a sinistra

colonna 1: Light-Floating Reflection , rendering, courtesy Ingo Maurer

Uno dei pezzi esposti in Shift Craft . Courtesy Korea Craft & Design Foundation

colonna 2: Le opere di Piero Fogliati alla Tempesta Gallery, photo Sarah Indriolo

colonna 3: Trame , rendering, courtesy Stark

in alto: Ritratto di Agostino Iacurci, courtesy Brera Design District

AGOSTINO IACURCI, FUTUROLOGO E ARTISTA

La sua installazione Dry days, tropical nights trasforma la storica torre anni Cinquanta di largo Treves in un miraggio onirico-pop

Avrebbe mai potuto immaginare il mitico architetto ‘comunale’ milanese Arrigo Arrighetti (1922 - 1989) che il palazzo di dieci piani da lui eretto in stile funzionalista in Largo Treves a Milano — oggi abbandonato e probabilmente destinato alla demolizione — sarebbe stato radicalmente riplasmato nei giorni della Design Week? All’interno, in un lussureggiante giardino botanico; all’esterno, in una sorta di totem sulle cui superfici — là dove abitualmente si aprono finestre in sequenza continua — appaiono lune e soli, in rigorosa alternanza, come su una scacchiera multicolore. “Questi corpi celesti fanno pensare ai simboli del calendario dell’avvento. Li ho concepiti così, su pellicole applicate ai vetri, alludendo ai giorni e alle notti di quest’epoca dai grandi cambiamenti climatici”, sottolinea l’artista Agostino Iacurci (Foggia, 1986), autore di questa mega installazione dal titolo eloquente, Dry days, tropical nights, la più grande da lui mai attuata, che inaspettatamente “metamorfizza” uno degli edifici più interessanti nello skyline del quartiere di Brera.

Personalità indipendente, Iacurci si è formato all’Accademia di Belle Arti di Roma e dal graffitismo è approdato a una dimensione creativa grazie alla quale compie frequenti incursioni nei territori della scenografia, dell’architettura, del design, culminando sempre nella formulazione di opere dall’inconfondibile cifra stilistica: superfici colorate à plat, scandite da pattern geometrico-figurativi progettati con calligrafica precisione e senso della simmetria, spesso a effetto trompe-l’œil

Continua poi: “Mi ha colpito di questo palazzo davvero interessante soprattutto la spazialità degli interni, ritmati da colonne e lucernari. Ho voluto creare un paesaggiomiraggio — che è anche un presagio — composto di sculture in ferro e neon in cui sono racchiusi temi naturalistici che oggi più che mai appartengono alla quotidianità di tutto il pianeta: in particolare, il rapporto uomo-natura”. L’artista precisa: “Dal punto di vista strutturale ho pensato alle serre e agli orti botanici, che rappresentano da secoli soluzioni abitative pensate dall’uomo per le piante e dove la luce diventa cuore pulsante”. Se dovessimo individuare una fonte d’ispirazione per questo panorama tra l’onirico e il pop, a che cosa potremmo guardare? Iacurci non ha dubbi, il tema delle trasformazioni ambientali del pianeta e del riscaldamento globale, da lui posto sotto i riflettori, ha specifiche vicinanze concettuali. Spiega: “Il modello di riferimento che meglio si confà a questa mia opera è il libro «Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro» (Aboca Edizioni, 2021), del filosofo Telmo Pievani e del geografo Mauro Varotto, che proietta verso un futuro distopico prendendo le mosse dal «Viaggio in Italia» di Goethe. Nelle sue pagine si assiste alla metamorfosi del territorio, ovvero l’Italia che sarà più di mille anni dopo la pubblicazione dell’opera dello scrittore tedesco. Per esempio, l’innalzamento dei mari, la trasformazione di Milano e Roma in metropoli tropicali…”. Conclude: “Io però applico solo una visione aperta a una realtà data. Non offro soluzioni, piuttosto opere d’arte”.

ALESSANDRA QUATTORDIO

largo Treves 1 agostinoiacurci.com

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OSSERVATORIO SALONE

rabilità e della creatività sia nella costruzione delle comunità, sia come forma di resistenza all’atomizzazione e alla paura. Alla mostra è collegato un fundraising per sostenere il lavoro di Progetto Arca, onlus milanese che assiste rifugiati e persone in difficoltà.

tente e intelligente, riprodotto fedelmente nel colore e nella consistenza dai maestri ceramisti di Bitossi.

via Zenale 3 bitossiceramiche.it

ARTS&CRAFTS&DESIGN

Quest’anno 5VIE presenta sei produzioni in collaborazione con creativi internazionali, confermando sinergie già consolidate e inaugurandone di nuove. Prendete e Mangiate, a cura di Sara Bologna, è una mostra-evento collettiva dedicata alla tavola come luogo di scambio e di condivisione. Attorno a una lunga tavolata allestita con oggetti d’arte e design, i visitatori sono invitati a scambiare cibo e parole, nutrimento per il corpo e per la mente. Nel corso della design week si alternano interventi performativi e talk che mettono in relazione il design con le arti sceniche, la poesia, la cucina, in un simposio condiviso.

via Santa Marta, 18 5vie.it

LETTERE D’AMORE

Carwan Gallery presenta il progetto del designer viennese Robert Stadler, di base a Parigi, con la storica azienda Bitossi Ceramiche. Per la sua speciale collaborazione con la galleria, Stadler riflette sul rapporto tra uomo e ambiente affrontando il tema della manipolazione genetica di frutta e verdura, che trasforma in monumenti in scala ridotta. Così, per esempio, una fetta di anguria rettangolare giapponese senza semi diventa uno sgabello, le zucchine si piegano in una perfetta forma a L per creare una serie di mensole. Ogni pezzo trasforma un frutto o un ortaggio in un oggetto funzionale, diver-

L’alto artigianato e la creatività tornano a valorizzare gli spazi di Palazzo Litta, con cinque esposizioni dedicate al dialogo tra saper fare e pensiero progettuale sotto la direzione di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

Sono tanti i creativi coin-

volti: l’artista

Gianluca Pacchioni presenta

negli spazi del cortile del Richini una scul tura site-specific mentre

Michelangelo Foundation, Fonda

zione Cologni e Living

Corriere della Sera propongono la settima edizione di Doppia Firma attraverso un tema di base, il gioco, che permette una grande creatività e libertà espressive. Si tratta di 24 sodalizi di artigiani e designer internazionali quali Luca Nichetto, Pierre Marie, Chris Wolston, Supertoys e Jean Blanchaert, che presentano oggetti iconici espressione di un dialogo creativo.

corso Magenta 24 fondazionecologni.it

Anche il progetto Love Letters a cura di Anna Carnick per Anava Projects fa parte delle produzioni del distretto. Si tratta di una mostra intimista che espone i pezzi inediti di alcune designer internazionali, espressioni di gratitudine nei confronti di persone che sono state per loro significative. Le opere hanno una forte componente autobiografica e servono a ricordarci l’importanza dei rapporti interpersonali. Love Letters mette in luce il ruolo della gentilezza, della vulne-

CIBO PER IL CORPO E PER LA MENTE
5VIE
IL FRUTTETO DI ROBERT STADLER Via Santa Marta 18 Via Bernardino Zenale 3 Corso Magenta 24 Corso Magenta 63 CINQUE VIE

a sinistra

colona 1: Prendete e Mangiate a cura di Sara Bologna, photo Elena Coscia

Eve De Haan, It’s Love I Think, red neon wall piece. Courtesy Eve De Haan

colonna 2: Robert Stadler per Bitossi, OMG-GMO , photo Filippo Telaro

colonna 3: Chris Wolston per Jose Luis Álvarez, Twiggy Super Model , photo David Sierra

in alto: Constance Guisset, Vertigo Nova , © Constance Guisset Studio

UNA FESTA A SORPRESA PER CONSTANCE GUISSET

L’Institut Français presenta la prima mostra della designer francese, un percorso concepito come un intermezzo ludico nella frenesia della design week.

L’Institut Français partecipa al circuito creativo di 5Vie ospitando un Surprise Party! in onore di Costance Guisset (Neuillysur-Seine, 1976). La mostraevento è un omaggio alla sua pluriennale produzione, per la quale ha ottenuto riconoscimenti tra cui il Grand Prix du Design de la Ville de Paris nel 2008, il Prix du Public alla Villa Noailles Design Parade nel 2009, il titolo di Designer of the Year al Salon Maison et Objet e l’Audi Talents Awards nel 2010. All’inizio della sua carriera, la designer ha collaborato con il coreografo e ballerino francese Angelin Preljocaj, esperienza che le ha permesso di lavorare a stretto contatto con la luce che era già un elemento fondamentale della sua ricerca creativa. Il suo lavoro tende a un equilibrio tra ergonomia, delicatezza e immaginazione e i suoi oggetti sono tentativi di esplorare il movimento attraverso la leggerezza e la sorpresa. Alcuni progetti iconici sono la lampada Cape per Moustache, la sospensione Vertigo, ampia e leggera, lo specchio e i tavoli della serie Francis e il divano Nubilo per Petite Friture. È proprio con il brand francese dal design audace e scanzonato e con Vertigo che Constance Guisset muove i primi passi verso il successo. La lampada a sospensione, progetto di laurea della designer, è giudicata troppo ambiziosa da diverse case editrici. Ma Amélie du Passage, la fondatrice di Petite Friture, se ne innamora e decide di rischiare pubblicando questo progetto. Una scelta vincente, alla quale segue l’entusiasmo di Rossana Orlandi che fin da subito lo espone nella sua galleria contribuendo alla nascita di un’icona. Dieci anni dopo, Guisset realizza Vertigo Nova, una mutazione della lampada originale che dispiega la sua struttura avvolgente per formare uno spazio intimo. Nova nasce dal desiderio della designer di lavorare con la luce per ammorbidirla e graduarla. La funzione della lampada viene sublimata per rivelare solo l’essenziale, come fosse un tessuto volante trafitto da una luce immateriale. Sempre per Petite Friture, la designer realizza Francis (2012), uno specchio con un decoro colorato che evoca il processo di ossidazione al quale sono sottoposti gli oggetti antichi ma in realtà è frutto del movimento dei pigmenti, fatti scivolare sull’acqua in un disegno circolare. La collezione poi si allarga con l’arrivo di specchi extra-large, nel 2019, e con una collezione di tavoli creata allineando lo specchio all’orizzonte e trasformandolo in un ripiano. La mostra non presenta soltanto gli oggetti ma anche il processo creativo che ha portato alla loro realizzazione. In un percorso fantastico pieno di colori, i visitatori sono incoraggiati a toccare gli oggetti e a provarli prima di raggiungere un’alcova immersa nell’oscurità dove sono mostrati i progetti di architettura, le scenografie e gli allestimenti curato dal Constance Guisset Studio, fondato a Parigi nel 2009.

GIORGIA LOSIO

Palazzo delle Stelline corso Magenta 63 institufrancais.it

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OSSERVATORIO SALONE

ISOLA

A cura di SILVIA DONNINI

GREEN ISLAND

tere sulle pericolose condizioni in cui versa il nostro pianeta. L’opera, oltre a inserirsi perfettamente nel contesto dell’Isola Design Festival di quest’anno, è anche itinerante: può essere collocata in vari contesti, raggiungendo così un pubblico più vasto. L’installazione, realizzata in filo di ferro, carta di riso e grafite, rappresenta l’ultima di una serie di recenti opere di Ascari dalla forte connotazione politica, come NoWar, contro la guerra, e Non dimenticarmi, in memoria delle vittime della strategia della tensione.

Pensata per l’atrio della stazione di Porta Garibaldi, l’installazione proposta da Green Island è un chiosco molto particolare, a metà tra una cucina e un pop-up. Realizzato dal designer di Zurigo Antonio Scarponi, Kiosk, così si chiama, è un piccolo centro dedicato all’eco-design, alla botanica e alle erbe aromatiche. Un lavoro che esprime i concetti di base del progetto ideato e curato da Claudia Zanfi: la valorizzazione del verde, la sostenibilità e il design. Il chiosco, se di giorno è un interessante luogo di incontro tra musica, fiori e performance olfattive, di sera diventa un palcoscenico che ospita varie attività. L’intenzione di Scarponi è quella di dare vita a una forma di “design immateriale”, un viaggio sensoriale tra erbe aromatiche e antiche ricette capaci di evocare ricordi del passato.

piazza Sigmund Freud, 1 amaze.it

via Federico Confalonieri, 36 ferruccioascari.it

Rigenerazione è la parola chiave del distretto Isola e l’atelier della ceramica Bota Fogo ha voluto celebrarla attraverso il progetto Águas de março, un titolo che riprende quello di un noto brano di bossa nova. Nuovi modelli, nuova arte, nuova vita: le artiste Clara Holt, Francesca Gastone, Lavinia Fagiuoli e Sonia Diab, in collaborazione con la ceramista Isabella Secchi, hanno accolto il messaggio lanciato da Isola Design Week e hanno scelto di reinterpretare le forme e i colori di un classico oggetto sudamericano in argilla donandogli un nuovo aspetto. Si tratta di una particolare fontana domestica che permette di purificare l’acqua tramite un filtro resistente ed ecologico in ceramica.

via Farini, 36 botafogoceramica.com

IL BESTIARIO DI KEEP LIFE

stra itinerante Bestiario: una raccolta di sedici elementi di design realizzati in Keep Life, un materiale innovativo composito, a natura lignea, ottenuto dai gusci della frutta secca con l'aggiunta di un legante privo di sostanze nocive, solventi o formaldeide. Tutte le opere esposte hanno una forma molto particolare: ogni scultura è stata pensata e creata per ricordare un animale diverso. Una scelta che, ovviamente, non è casuale: l'intento è denunciare la minaccia alla sopravvivenza di alcune specie animali determinata sia dal cambiamento climatico sia dalla distruzione degli habitat da parte dell'uomo. Dietro le opere di Bestiario si cela il talento di alcuni eccellenti designer, tra cui Matali Crasset, Marialaura Irvine, Marta Laudani, Giulio Iacchetti e tantissimi altri.

via Spalato, 11 keeplife.it

Antonio Scarponi per Green Island, Kiosk , rendering. Courtesy Green Island

Ferruccio Ascari, La Sedia Parlante , courtesy Isola Design District

Atelier Bota Fogo, Águas de Março, courtesy Isola Design District

Pietro Petrillo per Keep Life, Giraffa , courtesy Pietro Petrillo

“Non è tempo di stare seduti, questa Terra non ne può più”: La Sedia Parlante di Ferruccio Ascari nasce per lanciare un messaggio provocatorio e invitare lo spettatore a riflet-

“Dal letame nascono i fiori”, cantava Fabrizio De André. Ma anche dal guscio di una nocciola o una mandorla può nascere un'opera d'arte. È ciò che accade nella mo-

Via Carlo Farini 36 GARIBALDI

ISOLA

Via Spalato 11

Via Federico Confalonieri 36

Piazza Sigmund Freud 1

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LA SEDIA PARLANTE BOTA FOGO
OSSERVATORIO SALONE
CITY OASIS di Piero Fogliati Un progetto di Tempesta Gallery in collaborazione con Riva1920, Reading Room e Mirabilia Coffee 18/04-22/04 11.00/19.00 Foro Buonaparte 68, MI Milano 17–23 aprile 2023 www.breradesignweek.it #BreraDesignWeek

TORTONA

slancio creativo, un grande playground espositivo, interattivo e sensoriale in cui esplorare i diversi materiali, in combinazione con momenti di ricerca più razionale e specifica, con talk di confronto tra industrie e esperti del settore. Il tema della meraviglia apre al pubblico una prospettiva più dinamica verso la scoperta di materiali con il “superpotere” di stupire, nella loro versatilità e diversità.

portano il pubblico a oltrepassare la realtà tangibile spostandosi in quella virtuale aumentata.

R-EVOLUTION: BENVENUTI IN

Il titolo di questa sezione di Superdesign Show, la rassegna di Superstudio, ci richiama all’incalzare del tempo, portando nell’oggi sfide e situazioni di domani. Qui vengono proposti al pubblico i contributi di soggetti in prima linea per quanto riguarda il progresso tecnologico, alla ricerca di risposte alle necessità di un futuro già attuale: Samsung, attraverso la sua casa del futuro, illustra come la connessione digitale e la sostenibilità possono e devono interagire e collaborare; Lexus presenta Shaped by Air, installazione di Suchy Reddy dove il modello elettrico del brand, realizzato qui in materiali di recupero e modellato dalla luce, esprime metaforicamente, attraverso la presenza di piccole foglie vibranti, l’idea di una svolta green. A parlare di elettrico interviene anche YouPower – The Energy Company, proponendo una barra di ricarica intelligente per auto elettriche.

via Tortona 27 lexus.eu

MATERIALI MERAVIGLIOSI

via Tortona 27 materially.eu

Parlare di futuro alla luce di una prospettiva più sostenibile implica necessariamente un dialogo sui materiali, tra chi li produce e chi sta cercando soluzioni alternative a metodi già adottati. Materially porta negli spazi di Superstudio Wonder Matter(s),la meraviglia come

Il futuro è di chi lo abita, il futuro è di chi lo crea: ospite a Superstudio Più il progetto dell’Istituto Marangoni, intitolato The Sense of Touch, in cui gli studenti del programma di master in Product and Furniture Design propongono il risultato di ricerche e sperimentazioni nel campo delle tecnologie emergenti. I nove progetti integrano in differenti proposte il dispositivo TouchDIVER sviluppato da Weart, in grado di trasferire le esperienze tattili nella realtà virtuale aumentata, arrivando ad avvicinare la fruizione digitale a quella fisica nell’esperienza del pubblico. Gli oggetti proposti

Importante è la presenza di aziende e designer asiatici nella sezione Asian R-evolution: un incontro armonico tra tradizione e innovazione, Occidente e Oriente, nell’obiettivo comune di un design innovativo e dinamico. All’ingresso, GPJ X YUTAKA accoglie il pubblico con tre grandi oggetti scultorei e curvilinei, Fabric Light Andon, in cui luce, alluminio e tessuto sono i protagonisti. Il Tokyo Creative Salon promuove in una mostra omonima il grande festival di moda e design ancora poco conosciuto in Europa. La partecipazione cinese vede Grado Design proporre arredi dalle linee morbide e dal minimalismo ricercato. Presenti per mostrare il loro design sono anche l’Indonesian Contemporary Art and Design e le rappresentanze delle città di Jakarta e Seoul.

via Tortona 27 superdesignshow.com

34

TOCCARE IL FUTURO CON UN DITO Via Bergognone Via Tortona 27 PORTA GENOVA

a sinistra

colonna 1: Lexus, Shaped by Air , rendering, courtesy Superdesign

ShowSuperstudio Più RespiGard™ by Polypore, dell’azienda giapponese Asahi Kasei, è una membrana impermeabile e traspirante in polipropilene che può essere usata per l’abbigliamento sportivo

colonna 2: Guillermo Martinez, Calmo , courtesy Istituto Marangoni

colonna 3: Qualy, Cacvase , courtesy Slowhand Design Thailand by DITP

in alto: La designer Sanne Visser in azione, courtesy BASE

VISIONI AL FEMMINILE DA BASE

Le istanze di genere sono al centro delle proposte delle cinque designer e artiste internazionali invitate a casaBASE e chiamate a interagire con il pubblico della design week

Un grande laboratorio sperimentale, con la partecipazione di designer da tutto il mondo, in prevalenza giovani, scuole e istituzioni, tutti raccolti ancora una volta intorno al manifesto programmatico We Will Design (che è anche il titolo dell’evento) e ai valori sintetizzati dall’acronimo I.D.E.A. – Inclusione, Diversità, Equità, Accessibilità. È la design week di BASE, che si svolge come ogni anno in concomitanza con il Salone del Mobile ma punta a non esaurirsi nell’evento. “Abbiamo un’IDEA di mondo”, spiega la direttrice artistica Linda di Pietro, “Un mondo inclusivo dentro dinamiche che escludono, che si occupa delle differenze dove la globalizzazione normalizza, un mondo equo dal punto di vista delle risorse e accessibile per tutte e tutti dove il design si presta come strumento abilitatore”. A testimonianza di questa volontà di inscriversi nella durata, una delle iniziative di We Will Design è un programma di residenze d’artista sui generis. In Temporary home, format già sperimentato con successo nelle passate edizioni, cinque designer e artiste donne provenienti da diversi paesi Europei – Francia, Inghilterra, Olanda, Grecia e Germania – investono casaBASE, la guesthouse del centro polifunzionale, e la trasformano in un luogo di esposizione e sperimentazione. Artista e arteterapeuta, Adi Hollander indaga la possibilità di tradurre le opere d’arte in modo da renderle fruibili con sensi diversi dalla vista con la sua iniziativa The OtherAbilities, basata ad Amsterdam. Con Andreas Tegnander e Ildikó Horváth presenta Haptic Room Study #2: Traveling Tactile Concert: un’installazione sonora e un concerto itinerante in cui i visitatori possono “ascoltare” la musica di compositori famosi con il proprio corpo, sedendosi o sdraiandosi su superfici aptiche. La media artist greca Maria Varela propone Butterflies of the Beautiful, installazione in cui i report delle Nazioni Unite sull’uguaglianza di genere diventano farfalle generate da un algoritmo, centrando così la battaglia tra estetica e praticità nel contesto femminile contemporaneo globale. Lo spunto nasce dalla lettura di un racconto del 1844 di Nathaniel Hawthorne, L’artista del Bello. Come spiega la stessa autrice, però, “la battaglia della farfalla per uscire dal suo bozzolo è anche un’allegoria che rappresenta la lotta senza fine delle donne per raggiungere una piena parità di genere”. Locally Grown è il progetto della designer di materiali Sanne Visser, da tempo impegnata in un lavoro di ricerca sul potenziale utilizzo dei capelli umani come risorsa sostenibile. A casaBASE, Visser lavora con i parrucchieri, attraverso dei tagli di capelli eseguiti dal vivo su una sedia ridisegnata, coinvolgendo il pubblico in un’installazione interattiva per mostrare come quello che solitamente consideriamo uno scarto – e trattiamo come tale – possa portare benefici a diversi ecosistemi. Con Queering School/s, la designer e attivista Emma Sfez esplora il mondo dell’educazione decostruendo i linguaggi e le rappresentazioni di genere attraverso il gioco. Nel progetto Botanical Role Play di Louisa Wolf studi di genere, femminismo e BDSM si intersecano con la botanica e il giardinaggio attraverso una varietà di strumenti, outfit e oggetti.

GIANLUCA FERRIERO

via Bergognone 34 base.milano.it

15
OSSERVATORIO SALONE

ALCOVA

L’UNGHERIA CONTEMPORANEA IN BUDAPEST SELECT

Uno spaccato espositivo sulla scena contemporanea ungherese, attraverso lo sguardo innovativo di 37 designers, per un progetto voluto dall’Hungarian Fashion & Design Agency. Memore delle tradizioni locali e della carica sempre attuale del suo patrimonio culturale, l’Ungheria porta al pubblico milanese storie di materia e di radici, di creatività e di attività vicine alla tradizione artigianale per una sua rilettura dinamica e rivolta al futuro. Sei capitoli concettuali, terra, vento, fuoco, racconto, scrittura, astrazione nei quali il design si tramuta in racconti espressivi, nuove possibilità per il contemporaneo in cui le risorse sono nelle radici. Un racconto plurale, in cui la sostenibilità e nuovi materiali si fanno protagonisti, come nelle ceramiche di Julia Nema, nei progetti di Demeter Fogarasi, o ancora nelle visioni di DEGA Design.

viale Molise, 62 hfda.hu

ECOCENRICO:

RITORNO AL NATURALE

provenienti dalle diverse sedi IED nel mondo, nell’intendo di creare uno spazio di dialogo orizzontale per laboratori sensoriali gestiti dagli stessi studenti: la collaborazione con Giacimenti Urbani, associazione che si occupa di economia circolare e sprechi di risorse, ha garantito il materiale per una yurta geodetica in cui allestire un’esposizione di materiale visuale e per una seconda yurta, da costruire nel corso della settimana attraverso workshop aperti al pubblico. Il tema del recupero delle risorse in cui il design costituisce parte attiva e potenziale è quindi al centro del progetto.

viale Molise, 62

Nel progetto multidisciplinare proposto dall’Istituto Europeo di Design c’è l’invito alla riflessione sul mutamento del paesaggio urbano e sulla memoria storica dei luoghi, all’interno della cornice, precisa, dell’ex macello di Porta Vittoria. Ecocentrico coinvolge personaggi internazionali,

Stories of Italy, il brand milanese nato dalla visionaria poetica di Dario Buratto, propone, in rapporto diretto con gli spazi vuoti dell’ex Macello di Porta Vittoria, l’installazione luminosa Broken Charm. Un’operazione che potremmo definire di oreficeria luminosa: ottone e vetro di Murano vengono combinati in un monile audace, fuori scala e massimalista, che racconta la potenza del design italiano e il suo radicamento nelle pratiche artigiane dell’oreficeria e del vetro soffiato. Broken Charm è un lampadario-gioiello, modulare e unico, concepito dal designer e affidato poi al gusto del fruitore, che può customizzarla combinando i charms colorati. Il progetto ricuce con delicatezza ed eleganza lo strappo tra le manifatture del passato e le forme estetiche del presente.

viale Molise, 62 storiesofitaly.com

New entry nel palinsesto proposto è l’Alcova Project Space, una selezione specifica e accurata di pezzi per avvicinare il pubblico ai pezzi e ai linguaggi progettuali di maggior forza e impatto del momento. Un focus che mette in luce non solo creatori contemporanei ma anche la sensibilità dei curatori dietro il progetto di Alcova. Alcova Project Space è un progetto sviluppato con la collaborazione di Older, poliedrico design duo italo/danese per la definizione di un concept store in cui verranno proposti pezzi sviluppati in esclusiva per la settimana del design. Un altro duo da non perdere è quello greco rappresentato da Objects of Common Interest, presente ad Alcova con un’installazione site-specific negli spazi liminali dell’ex Macello di Porta Vittoria; insieme a quest’ultima anche un’installazione dello studio francese POLCHA.

viale Molise, 62 alcova.xyz

Budapest Select , allestimento ad Alcova, courtesy HFDA

Ecocentrico , rendering, courtesy IED

Stories of Italy, Broken Charm , still life. Courtesy Stories of Italy

Hannah Lim, Enchanted Ornaments , courtesy Hannah Lim

ied.it
LA RINASCITA DEL VETRO SOFFIATO ALCOVA PROJECT SPACE, IL PUNTO DI VISTA DEI CURATORI

PORTA VENEZIA

ALLA SCOPERTA DELL’INFRA-ORDINARIO

Lo studio turco NOHLAB, fondato nel 2011 da Candas Sisman e Deniz Kader, costruisce esperienze immersive che superano i limiti della percezione umana indagando fenomeni fisici (per esempio il movimento dei fotoni nello spazio, oggetto dell’installazione Journey che ha sbancato il Festival d’Arte Immersiva di Parigi nel 2019) e dilemmi metafisici. Il centro di cultura digitale MEET, impegnato da anni in un lavoro pionieristico di riflessione sui temi legati al digitale, porta per la prima volta in Italia il suo lavoro. In 12 minuti e mezzo, Everything (2021) apre una serie di interrogativi sulla parte dell’esperienza quotidiana che sfugge alla nostra comprensione. Il meccanismo che intende stimolare è socratico: prendere atto della quantità di cose che non sappiamo, per poter osservare il mondo – e la tecnologia – senza pregiudizi.

viale Vittorio Veneto 2 meetcenter.it

VISONI DEL FUTURO DA

SINGAPORE

luce, quest’ultima location ospita gli esiti delle ricerche di sei designer e studi di Singapore, paese ad alto tasso di innovazione. La mostra Future Impact, commissionata dal Design Singapore Council e a cura di Tony Chambers e Maria Cristina Didero, raccoglie una serie di progetti ottimisti e visionari. Wallflower, per esempio, proposto dallo studio multidisciplinare Forest & Whale, reinventa i codici del giardinaggio con un poster raccogli-semi e un’edizione limitata di vasi da stampare in 3D on demand usando un filamento a base di argilla.

bastioni di Porta Venezia designsingapore.org

ESTETICHE SOMMERSE

L’INCANTO DEL VETRO

WonderGlass torna all’Istituto dei Ciechi con una collettiva dal titolo Abrakadabra, la parola magica per eccellenza che qui evoca la magia della creazione e la capacità del vetro di trasformarsi, cambiando aspetto e consistenza, grazie a una

Il quartiere di Porta Venezia si prepara ad accogliere una nuova realtà espositiva: il nuovo Museo dell’Arte Digitale diretto da Ilaria Bonacossa, che dal 2025 occuperà lo spazio ipogeo dell’ex Albergo Diurno e e il casello ovest dei Bastioni. Nell’attesa che il progetto veda la

Cara Judd e Davide Gramatica si sono incontrati sui banchi dello IED di Milano e non si sono più lasciati. Sudafricana lei, italiano lui, con il loro studio Cara/Davide alternano collaborazioni con aziende e progetti di ricerca autonomi. Uno di questi, rimasto a lungo nel cassetto e basato sulla valorizzazione estetica e funzionale di elementi di risulta, ha visto la luce con l’aiuto di Park Associati. I designer hanno lavorato con due diversi scarti di produzione: chip e schede elettroniche difettosi, recuperati da un produttore di elettrodomestici e integrati in una interpretazione contemporanea del pavimento a terrazzo veneziano, e “materozze” di alluminio, rifiuti di fonderia che diventano le gambe di tre tavolini e sedute scultorei.

Park Hub, via Garofalo 31 caradavide.com

serie di lavorazioni artigianali. Per esplorare le tre tecniche principali (soffiatura, fusione e colatura), Maurizio e Christian Mussati hanno fatto appello a otto progettisti internazionali di fama: John Pawson, Tom Dixon, Bethan Laura Wood, Paul Cocksedge, Dan Yeffe, studiopluz, Elisa Ossino ed Elena Salmistraro. I loro lavori, presentati in un allestimento suggestivo, celebrano la versatilità del materiale e la perizia dei maestri veneziani.

via Vivaio 7 wonderglass.com

Nohlab, Everything , courtesy MEET

Forest & Whale, Wallflower , courtesy Forest & Whale

Cara/Davide con Park Associati, Tile e Materozze , photo Nicola Colella

Bethan Laura Wood per Wonderglass, Chain Side Table , courtesy Wonderglass

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OSSERVATORIO SALONE
Viale Vittorio Veneto 2 Via Vivaio 7 Bastioni di Porta Venezia Via Garofalo 31 PORTA VENEZIA

Il principio alla base dell’antica arte giapponese dell’origami è semplicissimo: trasformare un foglio di carta in un oggetto tridimensionale attraverso una serie di piegature strategiche. Ricavare una terza dimensione laddove ce ne sarebbero solo due, scommettendo sulla memoria delle fibre tessili e sulla programmazione digitale, è sempre stata anche una delle ossessioni di Issey Miyake. A partire dagli anni Ottanta, lo stilista morto ad agosto 2022 ha sfruttato tutte le risorse possibili, artistiche e tecnologiche, per spingere la lavorazione dei tessuti oltre i limiti tradizionali. Le sue creazioni sono caratterizzate da plissettature tanto delicate quanto indistruttibili, trasformano l’acquirente in designer permettendogli di “ritagliare” il proprio indumento seguendo le cuciture impresse in un tessuto tubolare, o ancora emergono, come per magia, da quadrati di tessuto apparentemente anonimi sottoposti al calore di un semplice ferro da stiro, rivelando pattern geometrici e volumi.

Dalla moda all’architettura e al design d’interni, il passo può essere breve, soprattutto se si è in grado di attivare collaborazioni creative con esperti cresciuti all’interno di altri ambiti disciplinari e si può contare sull’aiuto di algoritmi potenti e ben programmati. Ne è convinto Yoshiyuki Miyamae, che dopo aver lavorato per molti anni a stretto contatto con Miyake guida il team di ricerca e sviluppo di A-POC ABLE, la costola di A-POC votata alla

YOSHIYUKI MIYAMAE DOVE OSANO

I TESSUTI

Il designer giapponese, al timone del progetto A-POC ABLE di Issey Miyake, ci racconta la collaborazione con Nature

Architects e i suoi frutti. Una serie di prototipi di oggetti d’arredo ottenuti a partire da un unico pezzo di tessuto, con una tecnica innovativa che tiene insieme gli origami e i meta-materiali.

sperimentazione e alla multidisciplinarietà, e presenta al pubblico della design week milanese una serie di prototipi avveniristici –una giacca, un abito e diversi elementi di arredo e lampade – sviluppati insieme agli ingegneri di Nature Architects. Ci ha parlato di questo lavoro e delle sue possibili applicazioni in un freddo pomeriggio di febbraio.

Partiamo dal principio. Quando e come nasce “A Piece of Cloth”?

Quando parliamo di A-POC quasi tutti hanno in mente un momento ben preciso: la sfilata Primavera/Estate 1999, a Parigi, quando un lunghissimo tessuto tubolare rosso fiammante venne indossato contemporaneamente da decine di modelle creando una sorta di catena umana. Fu una proposta molto innovativa perché fino a quel momento si era dato più o meno per scontato che i vestiti dovessero essere fatti tagliando diversi pezzi di stoffa e cucendoli tra loro. Qui, invece, venivano creati senza usare la macchina da cucire, impartendo istruzioni digitali al filo durante la tessitura. Il concept si è poi sviluppato nel tempo in declinazioni sempre nuove. Con la tecnologia Steam Stretch, per esempio, grazie a un filato particolare che reagisce alle alte temperature in maniera controllata, contraendosi e arricciandosi, abbiamo potuto realizzare pieghe più complesse: quadrate, triangolari, o con diverse forme in rilievo.

Un po’ come degli origami di tessuto… Esatto. La tecnica dell’origami è strettamente correlata al nostro design e alla nostra realizzazione. Spesso facciamo origami prima di realizzare i capi, ci sono d’aiuto quando consideriamo la creazione di una complessa forma tridimensionale partendo da un singolo pezzo di stoffa. Ci sono in corso molte ricerche sull’applicazione dei principi dell’origami a diverse scale, dai nanorobots ai pan nelli solari. L’edizione americana della rivista National Geographic pena dedicato loro un bell’appro fondimento.

Che cosa vi ha spinto ad an dare oltre il vostro ambito tradizionale, la moda, per esplorare altre strade?

Ci siamo chiesti: visto che a partire da un pezzo di carta si può creare qualunque forma, perché non dovrebbe essere possibile fare la stessa cosa con il tessuto? Abbiamo collabo rato con Taisuke Ohshima Suto di Nature Architects studio legato all’Univer sità di Tokyo. Al cen tro del loro lavoro c’è

a sinistra: Uno scatto della sfilata Primavera/Estate

1999 di Issey Miyake, courtesy Issey Miyake

in alto: Making of dei prototipi Type V in collaborazione con Nature Architects, courtesy Issey Miyake

in basso: Ritratto di Yoshiyuki Miyamae, courtesy Issey Miyake

lo sviluppo di funzionalità che vanno oltre quelle di norma appartenenti ai prodotti convenzionali, usando materiali ricreati in laboratorio. Hanno studiato le proprietà del nostro tessuto trasformabile Steam Stretch e il modo in cui il filo si contrae quando viene sottoposto al calore, e hanno sviluppato un algoritmo in grado di generare automaticamente un motivo tessile. Così facendo, abbiamo potuto creare diverse forme tridimensionali: la prima, che ci è costata molta fatica, è stata una sfera.

Perché avete scelto di presentare queste ricerche proprio a Milano e proprio durante il Salone del Mobile?

Il progetto guarda al mondo del design fin dall’inizio. Nel 2001 per esempio, abbiamo esposto le ricerche legate a A-POC al Vitra Design Museum, mentre nel 2003 abbiamo organizzato una mostra dal titolo Nannano APOC? (“Che cos’è APOC?”) all’Axis Gallery di Tokyo, in uno spazio solitamente dedicato all’architettura. Nel 2006 abbiamo partecipato per la prima volta alla design week in collaborazione con Moroso: Issey Miyake ha realizzato per la Ripple Chair del suo grande amico Ron Arad una fodera che poteva essere indossata come una giacca.

A quali applicazioni pensate?

Per questa esposizione abbiamo preparato una giacca, un abito e diversi elementi di arredo e lampade, ma le applicazioni possibili sono tantissime perché il tessile è ovunque, in ogni ambito nella nostra vita

GIULIA MARANI

Thinking Design, Making Design: Type-V Nature Architects project Issey Miyake flagship store Via Bagutta 12

19 WHO'S WHO

In Italia, circa 13 milioni di persone soffrono di dolore cronico. Nella vita di tutti i giorni è difficile accorgersene, spesso infatti non è più identificabile la causa che ha scaturito la sensazione dolorosa, poiché con il passare del tempo perde la sua funzione di avvertimento. I pazienti non riescono a definirla a parole. L’artista Johannes Willi (Basilea, 1983), tra le altre cose cofondatore della fiera di editoria artistica I Never Read, Art Book Fair Basel, coinvolge i pazienti in un atto performativo, durante il quale le sue sculture-gong antropomorfe vengono “fatte parlare” attraverso carezze, colpi, graffi. Si tratta di una vera terapia in grado di trasferire sulla scultura la sensazione tattile del dolore e restituendo così la forma, e il suono, di un’esperienza tanto personale quanto intima. Abbiamo chiesto all’artista di raccontarci l’origine di questo progetto e gli esiti di un lavoro di lungo periodo con i pazienti affetti da dolore cronico.

Come è nato questo progetto?

Tutto è cominciato presso l’Istituto di Etica Biomedica e Storia della Medicina dell’Università di Zurigo e nella Clinica del Dolore del Centro svizzero per paraplegici di Nottwil, vicino a Lucerna, dove per un lungo periodo ho partecipato a sessioni di terapia con pazienti affetti da dolore in qualità di artista in residenza. Ho potuto osservare quanto fosse importante la comunicazione non verbale

JOHANNES WILLI “SENTIRE” IL DOLORE CRONICO

Va in scena durante la Design

Week la Chronic Pain Orchestra, una performance con cui l’artista svizzero cerca di dare voce a una sofferenza troppo spesso

silenziosa. Ci siamo fatti spiegare il suo approccio

157.000 il numero atteso di pazienti con dolore cronico in Italia

56% 44%

Durata del dolore stimabile in una media di 7,7 anni

per i pazienti. Da questa esperienza è nata la Chronic Pain Orchestra. Il punto di partenza del lavoro è il mio coinvolgimento con le persone che soffrono di dolore cronico e la mia osservazione che i pazienti hanno difficoltà a esprimere il dolore attraverso il linguaggio.

La seconda versione del progetto affronta diverse situazioni performative.

Com’è stata l’esperienza con i ricercatori, i medici e i pazienti?

L’esperienza con le persone coinvolte è stata molto intensa. I medici avevano in molti casi aspettative specifiche su di me come artista e idee molto chiare su quali obiettivi dovesse raggiungere l’arte in quel contesto, e questo ha probabilmente influito sulla loro valutazione del mio lavoro. Penso che l’ospedale come istituzione abbia un bias negativo nei confronti della sofferenza non acuta e, più in generale, della salute dell’anima. I pazienti si sono sempre dimostrati molto aperti alle mie proposte. Il tempo e l’attenzione individuale che ho potuto dare loro in un a fase del progetto hanno permesso a tutti noi, se non di trovare una cura, quantomeno di vivere un’esperienza stimolante.

Cosa ti ha spinto a utilizzare la musica rispetto ad altri mezzi artistici per realizzare il tuo progetto?

Come artista, non sono particolarmente interessato alla musica o ai suoni che le opere possono produrre. Sono stati, più che altro, un ottimo mezzo per creare un’esperienza condivisa in modo informale e giocoso. Mi sembra che sia stata

a sinistra: Chronic Pain Orchestra , photo credit Katalin Deér

in basso: Ritratto di Johannes Willi, photo credit Katalin Deér

proprio l’immediata risonanza delle opere a permettere a molti di immergersi in questo lavoro e a incoraggiarli a credere nell’arte come mezzo di comunicazione.

Come funziona esattamente questa orchestra? C’è un direttore d’orchestra?

L’orchestra si dirige da sola. A differenza di un’orchestra tradizionale, in cui le gerarchie sono molto rigide, la Chronic Pain Orchestra deve trovare se stessa e, poiché in questo gioco non esistono giusto o sbagliato, saranno soprattutto i musicisti a doversi impegnare per trovare un linguaggio comune.

Come hanno reagito i pazienti del centro? Hanno apprezzato il mio lavoro. O per lo meno così mi hanno detto.

Il tuo progetto sarà ulteriormente sviluppato per aiutare la ricerca medica a individuare cure per il dolore cronico?

Il progetto è open source e potrà essere sviluppato ulteriormente in ogni caso. Quando, come, con chi e soprattutto per chi non posso ancora dirlo.

Come immagini l’interazione con i visitatori?

Ci sono molti parametri aperti, cose che non ho potuto sviluppare con precisione in anticipo. Questo rende tutto più emozionante, vedremo solo in loco come si svilupperanno le opere e che cosa i visitatori potranno trarne.

GIORGIA LOSIO

via Cesare Correnti, 14 5vie.it

DATI
Norvegia 30% Polonia 27% Italia 26% 45% artrite osteoartrite 100% 100% 100% 100% 12% ernia/deterioramento dei dischi intervertebrali 100% 10% cause traumatiche 2% allo specialista del dolore (circa 3000 persone) 100% 98% si rivolge al medico generico
SUL DOLORE CRONICO fonte: Istituto Superiore di Sanità. Indagine condotta nel 2006 su 46.000 persone di 15 paesi europei
Il
19% della popolazione adulta europea soffre di dolore cronico
21 WHO'S WHO

Invitato da LiveinSlums – ONG che opera in territori con forti criticità, dove compie un lavoro di rigenerazione urbana di grande valore, fornendo ai ragazzi i mezzi necessari al loro reinserimento scolastico e lavorativo – il designer-falegname Giacomo Moor si è recato a Mathare, uno degli slum più grandi di Nairobi, per realizzare i prototipi degli arredi destinati al refettorio e al dormitorio della Why Not Academy, scuola locale con 300 bambini. La realizzazione delle panche, dei tavoli e dei letti si è svolta insieme ai ragazzi, dando loro la possibilità di imparare nuove tecniche ed essere pagati per il lavoro fatto, creando arredi di alta qualità frutto di un design consapevole: l’associazione, infatti, mette il coinvolgimento degli abitanti al primo posto, garantendo loro una “crescita umana durevole”, ma soprattutto l’autonomia necessaria a portare avanti nuovi progetti. Grazie a una logica progettuale basata sulla “semplificazione produttiva” (in cui non occorrono macchinari complessi, ma scalpello, squadra, matita e poco più) sono stati prodotti arredi simbolo di una vita comunitaria attiva e flessibile. Questa comunità è raccontata dalle immagini dei fotografi Francesco Giusti, Filippo Romano, Mattia Zoppellaro e Alessandro Treves, realizzate durante il progetto School of Curiosity, scuola di fotografia nata per dare voce agli autori locali e formare nuovi talenti. Nato a Milano nel 1981, dopo essersi laureato

GIACOMO MOOR L’UTOPIA DI UN DESIGN NECESSARIO

Fino al 26 maggio gli spazi di Assab One ospitano Design for Communities, a cura di Davide

Fabio Colaci e Federica Sala.

In mostra ci sono gli arredi progettati dal designer per una scuola di Mathare, in Kenya, e una serie di scatti d’autore

in Design con una tesi sui difetti del legno, Giacomo Moor fonda il suo studio a Milano nel 2009. La capacità di coniugare competenze tecniche ed estetiche, conciliando il rigore del progetto con la sensibilità manuale, sono elementi costanti del suo metodo di lavoro. Insieme al suo team multidisciplinare, composto da falegnami e designer, progetta prodotti per aziende, crea edizioni limitate per gallerie di design e produce pezzi unici per clienti privati, supervisionando l’intero processo creativo. Ha partecipato a diverse mostre – a Parigi, Londra, New York, Singapore, Porto – vinto numerosi premi e vanta clienti come Acerbis, Desalto, Galleria Luisa delle Piane, Giustini/Stagetti, Memphis, Spotti Milano, Triennale di Milano, Wallpaper e Yoox. Gli abbiamo fatto qualche domanda a proposito di questo progetto.

Raccontaci meglio cosa hai realizzato con gli studenti e cos’è per te la “semplificazione produttiva”.

La richiesta precisa di non limitarmi al disegno degli arredi, ma di realizzare i prototipi sul posto insieme ai ragazzi della scuola, rendendoli totalmente autonomi per la successiva produzione, ha innescato una logica progettuale basata sulla semplificazione del processo. Il sistema costruttivo applicato garantisce stabilità strutturale grazie a incastri in sequenza tra i componenti. Ogni elemento è strettamente necessario, in una sintesi formale basata sulla sottrazione. I piani di appoggio orizzontali hanno la funzione di lucchetto e, avvitati ai traversi longitudinali, chiudono un sistema a secco e quindi reversibile, dando la possibilità di sostituire singoli pezzi eventualmente danneggiati. La geometria degli incastri su legno massello, secca e ortogonale, permette la lavorazione a mano senza macchinari. Così il tema dell’incastro, solitamente e a buon diritto associato a tecniche complesse di ebanisteria, viene reinterpretato, conservando da una parte il suo carattere di preziosità e diventando dall’altra semplice e immediato da realizzare.

Tre parole per descrivere in sintesi questo progetto.

Totalizzante, essenziale e replicabile. La collaborazione con LiveinSlums è stata un’esperienza unica e complessa che è andata ben oltre l’aspetto progettuale, dandomi la possibilità di lavorare secondo criteri inconsueti e liberi da sovrastrutture. Essenziale come il segno che caratterizza il disegno di questi pezzi, in cui mi interessava indagare un

a destra: Uno scatto da Made in Slums - Mathare Nairobi , reportage fotografico di Filippo Romano in basso: Giacomo Moor al lavoro con gli abitanti di Mathare, photo Simon Onyango

principio costruttivo replicabile e applicabile ad altre tipologie di arredo e in scale diverse.

Che cosa hai riportato a Milano della tua esperienza a Mathare?

Senza falsa retorica, mi sono portato a casa una serie di sensazioni ed emozioni difficili da descrivere per la loro intensità. Lo stupore e il trasporto con cui i ragazzi della scuola hanno affrontato ogni singola fase del processo di realizzazione, dal taglio, all’assemblaggio fino al montaggio, mi ha spinto a rivalutare l’enorme potenziale del lavoro del progettista.

In che modo questa esperienza ha influito sul tuo lavoro, sui tuoi obiettivi, sul tuo modo di vedere il design?

Credo che la variabile, per nulla scontata, che ha reso unica questa esperienza sia stata la necessità. Gli arredi che abbiamo progettato avevano un fine preciso: permettere agli studenti di sedersi, mangiare, dormire. Questo obiettivo, semplice eppure molto distante dalle finalità con cui disegniamo l’ennesima sedia per un mercato sempre più saturo, ha indubbiamente influenzato l’approccio al progetto riaccendendo, anche solo per un momento, l’utopia di un design “necessario”. Riuscire a sintetizzare questo bisogno reale con un principio costruttivo razionale e un segno riconoscibile è stato l’aspetto più difficile da affrontare.

via Privata Assab, 1 giacomomoor.com liveinslums.org

23 WHO'S WHO
GIULIA MURA

EUROLUCE È LA NUOVA MISURA DELLA FIERA

Il gruppo di progettazione di Lombardini22, studio di architettura e ingegneria di Milano ed incaricato di curare il layout della manifestazione per il 2023, coordinato dall’architetto Cristian Catania, si è messo in ascolto per riportare il visitatore al centro dell’esperienza in fiera. Dopo mesi di tavole rotonde con aziende, studenti, visitatori del settore e non, il team composto da Viola Cambié, R+D Computational Engineer DDLab Team, Federica Sanchez, Architect + Neuroscience Researcher Consultant, e  Lorenzo Cavallero, Architect and Building Engineer - BIM Specialist, è stato in grado di rileggere la morfologia dei padiglioni 9-11 e 13-15 centrando la progettazione sulla percezione.

Studiando un modello che descrive i movimenti dei visitatori come se essi fluissero all’interno di un contesto urbano, i progettisti sono arrivati alla conclusione che il primo retaggio a dover cadere era il tradizionale set-up fieristico a maglia ortogonale, con ampi boulevard e “vicoli” intensivi. Il nuovo schema di ispirazione urbana avvicina Euroluce alla forma urbis della città che lo ospita, Milano. Una nuova matrice ad anelli irregolari immette i visitatori in un loop che bilancia esposizione, momenti di sosta e amplia-

Il nuovo allestimento di Euroluce, alla sua 31esima edizione e alla prima post-pandemica, riporta
l’esperienza di visita a una dimensione umana. Ecco come, con l’aiuto degli algoritmi e delle teorie dei flussi

menti di visione grazie a mostre ed attività culturali. La luce? Sarà quella “in mostra” negli stand, riportando il prodotto al centro e lavorando sulle suggestioni per evitare inquinamento luminoso e disorientamento. Il nucleo verso cui converge l’intero percorso è la piazza, posta nel padiglione 13 e progettata dallo studio Formafantasma: Aurore. Una grande arena animata di ospiti selezionati a cura di Annalisa Rosso, tra cui: Shigeru Ban, Nao Tamura, Kjetil Trædal Thorsen e Marius Myking di Snøhetta, Andrea D’Antrassi di MAD, in dibattito con giornalisti internazionali con i quali si interrogheranno su come l’innovazione nel campo dell’illuminazione migliorerà il nostro vivere di domani. Quando non ospita i talk, la piazza di Aurore si trasforma in un luogo meditativo: un’installazione audio e video che rimanda alla scala cosmologica e gioca con i sensi sposta percettivamente, e non solo, l’accento sull’imprescindibile rilevanza della luce negli equilibri naturali quanto nel nostro bioritmo.

Numerose altre piazze si aprono tra i vicoli della polis di Euroluce e ferventi sono le attività culturali curate per l’occasione da Beppe Finessi sotto il cappello concettuale The City of Lights: 5 mostre, la grande installazione site-specific Si può immaginare il contrario/ You can imagine the opposite curata da Maurizio Nannucci e 12 intermezzi architettonici, Costellazioni, che vedono nuovamente coinvolti Andrea Trimarchi e Simone Farresin (Formafantasma) con la curatela dello stesso Finessi, in cui le plurime voci coinvolte esprimono attraverso progetti, fotografie e parole, la centralità del ruolo della luce.

Potranno gli studi neuroscientifici e le teorie dei flussi di Ben Hiller e Space Syntax disegnare un nuovo modo di vivere l’esperienza fieristica? Sarà quest’edizione di Euroluce a rispondere a questo quesito, ma sicuramente la curiosità è alta, almeno quanto le aspettative create in questi mesi.

FLAVIA CHIAVAROLI

UNIVERSO SATELLITE: IL FUTURO IN FORMAZIONE

Dal Padiglione 13 vi invitiamo a proseguire fino al 15 attraverso il percorso privilegiato nella fucina della creatività under 35: il SaloneSatellite. Per la sua ventiquattresima edizione Design Schools – Universities / BUILDING THE (IM)POSSIBLE Process, Progress, Practice è stato chiesto ai 550 talenti selezionati da 27 Scuole di design/Università in 16 paesi, di rispondere alla domanda “Design: DOVE VAI?”.

L’obiettivo? Creare una mappa che connetta le differenti visioni e risposte dei graduated-to-be. Due esempi? L’eterogeneità tecnica del collettivo selezionato, per la sua quindicesima partecipazione, da Belgium Is Design, e la sperimentazione degli studenti dell’ISIA di Faenza che lavorano sul concetto di limine e sulle sue declinazioni materiche tra acqua e terra. ECOTONO - metamorfosi dei confini, il titolo di quest’ultima rassegna, fa riferimento all’ambiente di transizione tra due ecosistemi limitrofi, carico di biodiversità. I progetti – eterogenei, in ceramica avanzata e tradizionale, e portatori di varie funzioni – esplorano la dimensione naturale delle zone liminali tra terra e acqua, su tutte la spiaggia, tenendo conto delle alterazioni provocate dai cambiamenti climatici. Un dissalatore, per esempio, può funzionare anche come una spazio di aggregazione sociale, mentre dune artificiali e sassi con luminescenze servono la convivialità di giorno e di notte. Posizionato lungo il percorso di Euroluce, questo brano della manifestazione culmina con la mostra Sate-light. 1998-2022 SaloneSatellite young designers, allestita simbolicamente sul confine fra i due nuclei tematici, per presentare una selezione di lampade progettate dai suoi partecipanti nel corso degli ultimi 24 anni e successivamente entrate in produzione. L’ospite d’onore della rassegna sarà Gaetano Pesce, maestro trasversale ed eclettico invitato a condividere la propria esperienza con le future generazioni. Un osservatorio che, come ogni anno, vale la pena esplorare.

a sinistra: Euroluce, Lombardini22, Concept layout

a destra: Alessandra Barnaba, EXAGONE , moduli esagonali che hanno la funzione inglobare e farsi colonizzare da muschi e licheni

25 APPROFONDIMENTI
Flavia Chiavaroli Rho Fiera Milano salonemilano.it

DI DROOG DESIGN ALLA TRIENNALE

La Triennale di Milano lancia durante i giorni del Salone una mostra tributo a Droog Design. L’occasione, a trent’anni di distanza dalla consacrazione, per guardare al lascito del movimento olandese attraverso i commenti di quanti ne sono stati influenzati

Forte e chiaro come un buon Martini”. A Paola Antonelli sono bastate una manciata di parole per inquadrare lo spirito di Droog Design, il collettivo olandese fondato nel 1993 da Renny Ramakers e Gijs Bakker sotto l’egida di un progetto concettuale, ironico, dritto al punto – un progetto “secco”, che è poi il significato della parola “droog”. Di epiteti per inquadrare il fenomeno Droog, del resto, ne saranno coniati tanti, come “Spirito degli anni ‘90”, “Less + More”, “Design in context”: tutte frasi folgoranti che restituiscono il senso della virata, per lo più inaspettata, impressa da questo ennesimo gruppo di scapigliati alla storia del design. A trent’anni di distanza dalla nascita di Droog, una mostra della Triennale di Milano – Droog30. Design or Not Design, in collaborazione con il Nieuwe Instituut di Rotterdam – prova a restituire la temperatura di quella stagione, rievocandone l’attitudine ed esplorando l’eredità che il movimento ha lasciato tanto tra i protagonisti che tra coloro che gli sono succeduti.

“La mostra non vuole essere un’antologica, quanto un tributo in occasione dei 30 anni dal lancio internazionale di Droog Design a Milano. Fu infatti l’esposizione allo showroom di Pastoe al Fuorisalone a lanciare il movimento noto fino a quel momento solo in un ristretto ambito locale, aprendogli le porte del riconoscimento di tutta la comunità del design”, ci racconta Maria Cristina Didero, curatrice dell’esposizione insieme a Richard Hutten, che di Droog fu uno dei più celebri membri.

“Per capire cosa è Droog oggi, e per conoscere il pensiero dei diretti interessati, abbiamo iniziato a fare un cloud sourcing di opinioni attraverso i social network. I commenti raccolti sono stati trasformati in un wallpaper che avvolge tutta la sala, configurando un ambiente immersivo – una parola spesso abusata, ma in questo caso, credo, calzante – costruito attraverso gli spunti raccolti”.

I 30 ANNI DEGLI OLANDESI
sopra: Richard Hutten and Maria Cristina Didero. Photo credit@ Richard Hutten in alto a destra: Hest of Drawers by Tejo Remy. Photography by Ernst Moritz in basso a destra: Table-chair by Richard Hutten

Del resto, è proprio l’impal pabilità del confine tra marchio, collettivo, e ma nifesto a fare di Droog un fenomeno che si apre al commento e alla pluralità dei riscontri. In un mondo ancora senza Internet e dove la logica della serialità industriale ri mane schiacciante, Droog sarà l’antesi gnana della limited edi tion, con numerosi pezzi autoprodotti che subordine ranno la standardizzazione agli azzardi della produzione – come nel caso della Rag Chair di Tejo Remy, la celebre poltrona fatta di stracci. L’autoproduzione e la rivalorizzazione dell’artigianato, spesso reinventato con pratiche low-tech, non saranno però esclusive, e andranno di pari passo con progetti seriali e democratici. E questo perché il collettivo – una qualità che sembra delineare una delle sue caratteristiche più interessanti – dimostra fin dai suoi esordi la capacità di racchiudere senza conflittualità tutta una serie di apparenti contraddizioni. Con Droog, decoro e minimalismo conviveranno senza interferenze come espressione della visione concettuale del proprio autore. Il riuso farà capolino tra le pratiche del possibile, ma senza incarnare un desiderio di austerità, bensì come una necessità di produrre oggetti più consapevoli, oltre che come una celebrazione del quotidiano e dei suoi aspetti se si vuole più intimisti, banali o nascosti, come racconta la predilezione per i materiali poveri. Anche l’ironia sarà manifesta: pensiamo alla Do It Chair di Marijn Van der Poll, la poltrona in laminato d’acciaio da scolpire a colpi di mazza per scaricare la propria rabbia. Allo stesso tempo, Droog non trasformerà i propri oggetti in totem, e respingerà l’estetizzazione mitologica e misterica tipica, ad esempio, della stagione radicale italiana, instaurando il primato del processo sulla forma. Infine, seppure operando in una nicchia, Droog non contrapporrà il design d’avanguardia alla possibilità di un successo commerciale, e anzi traccerà una terza via per una loro possibile convivenza.

Oltre alla carta da parati, per sondare questo spettro di opinioni la mostra in Triennale chiama in causa anche lo strumento filmico. Interviste ai protagonisti dell’epoca, le Dry Interviews (a cura di Didero con Francesca Molteni, che ne cura anche la regia) testimoniano il punto di vista dei protagonisti, in primis gli stessi Ramakers e Bakker, esplorandone una sorta di lascito. Il quale sarà reso tangibile anche sotto la forma di nuove idee.

1991 Rag Chair, Tejo Remy, Chest of Drawers “You can’t lay down your memories”

Richard Hutten, “Table Chair” and “Table-on-table bar stool”

1993 febbraio aprile

85 lamps, Rody Grausmans

Fondazione del movimento e mostra al club Paradiso di Amsterdam

Prima apparizione al Fuori Salone di Milano presso lo showroom di Pastoe in via Cerva.

1996 Knotted Chair, Marcel Wanders

Droog Design partecipa alla collettiva “Thresholds. Contemporary Design from the Netherlands” al MOMANY

1997 Eggshell vase, Marcel Wanders Fountain, Hella Jongerius

Il Centraal Museum di Utrecht acquista l’intera collezione 1993-1996 di Droog Design

1998 Droog Design riceve il premio Dedalus per il Design Europeo.

2001 Retrospettiva sull’opera di Droog Design presso Villa Noailles, Hyères

2009 Gijs Bakker lascia Droog Design

2012 Hôtel Droog apre ad Amsterdam

2015 Ultima presentazione di Droog al Salone del Mobile di Milano

Una speciale bacheca dove lasciare le proprie proposte per Droog, chiamata Bring Your Own Droog, viene infatti messa a disposizione del pubblico. Un modo originale per esplorare l’eco di Droog attraverso l’individuazione di nuovi possibili prodotti. Oltre le parole, e con uno spiraglio aperto verso il futuro.

via Alemagna 6 triennale.org

27 APPROFONDIMENTI

C’è l’Italia dei maestri del design, eterno riferimento per ogni generazione. E c’è la Danimarca degli interior desiderabili al primo sguardo, accoglienti e in larga parte ispirati all’onnipresente concetto di hygge. E poi? Entrambi i Paesi possiedono un ben più stratificato patrimonio di competenze in termini di progettazione, con risorse aziendali e individuali impossibili da circoscrivere nel perimetro delle definizioni univoche, comprese quelle entrate nel pensiero comune. L’occasione per intraprendere – letteralmente – un’esplorazione nel design danese, provando a spostarsi dalle rotte più battute per approdare a una visione articolata e aggiornata, è la mostra This is Denmark.

ALLA RICERCA DEI VALORI DANESI

Promosso dalla Reale Ambasciata di Danimarca, in collaborazione con The Confederation of Danish Industry e Creative Denmark, e curato dalle giornaliste di design Elena Cattaneo e Laura Traldi, il progetto espositivo è l’esito di un “doppio iter di selezione”. Per arrivare a definire i quindici prodotti esposti, rappresentativi di altrettante aziende del paese nordico, è stato infatti avviato un percorso alla ricerca delle realtà locali che considerano irrinunciabili i valori danesi di semplicità, qualità e craftmanship Nella successiva fase, il duo curatoriale ha

PASSAGGIO IN DANIMARCA

Curata da due giornaliste esperte di design e allestita negli spazi di Alcova, la mostra This is Denmark, a design playlist vuole restituire l’autentica essenza della progettualità e dell’heritage danesi. Con un’installazionepaesaggio, in cui la dimensione uditiva si fonde a quella narrativa.

ascoltato le storie di ciascuna, lavorando con i rispettivi referenti per designare un solo oggetto identitario. “Abbiamo sfruttato la nostra esperienza di giornaliste per essenzializzare la comunicazione. C’è stato un grande sforzo in questo senso. Siamo contro la bulimia comunicativa che c’è alla Milano Design Week”, raccontano le curatrici. Un processo tuttavia non facile, specie alla luce dell’eterogeneità delle aziende in mostra, che variano per dimensioni, storia, fama e, non da ultima, ampiezza del catalogo.

GRANDI E PICCOLE STORIE DI DESIGN

Il risultato finale, svelato nell’installazionepaesaggio progettata da Matteo Ragni Studio, accende i riflettori su un tessuto produttivo che, al pari di quello italiano, accanto a marchi storici e dalla solida reputazione, è reso fertile da un’energica rete di brand piccoli oppure a trazione familiare. L’itinerario proposto include quindi big come Kvadrat, House of Finn Juhl o Royal Copenhagen e nuovi progetti. È il caso dell’azienda fondata nel 2020 dall’ingegnere Morten Mernøe e dai suoi due figli, in cui le capacità artigianali locali si sposano con le innovazioni tecnologiche per l’illuminazione. O, ancora, del brand MyTrash, nato cinque anni fa in seno a Houe, che impiegando la plastica della discarica produce arredi outdoor. Una pluralità di temi e traiettorie che, se sul piano concettuale risulta unificata dalla condivisione di una comune rete di valori, nell’allestimento si è tradotta in un impianto evocativo di una peculiare condizione del territorio danese: il rapporto fra acqua e terra.

UN’ESCURSIONE NEL PAESAGGIO DANESE (FISICO E SONORO)

I visitatori di This is Denmark sono invitati a sperimentarlo, attraversando una passerella in lastre laminate sospesa sull’acqua. “Riproduce i celebri dock danesi”, spiegano Cattaneo e Traldi ed è il punto di osservazione dei prodotti che “emergono tutt’intorno, come fossero isole”. Alla base di questa struttura, che culmina in una maxi parete specchiate fornita da Abet Laminati, c’è la volontà di ricreare un’esperienza tipica nel Paese. “Quando visiti la Danimarca, è naturale trovarsi di fronte ai tanti moli e ponti. È un Paese che ha un forte rapporto con la natura, con il mare, e che usa il design per migliorare la qualità della vita ovunque, nelle case ma anche negli spazi pubblici”, prosegue il duo. Un arcipelago temporaneo, dunque, volutamente distante dalla dimensione del set domestico spesso usato per i prodotti danesi, in cui ai quindici protagonisti viene attribuita una voce. Oltre all’acqua, co-protagonista di This is Denmark è infatti il suono: il passaggio individuale determina l’accensione di una luce sull’og-

a sinistra: Kay Bojesen, Grand Prix cutlery

in alto: Kvadrat Really, Textile Tabletop Office , Benjamin Lund

getto e l’attivazione di una didascalia sonora di 40 secondi. Ad accompagnare quest’ultima è la colonna sonora in sottofondo, appositamente composta da Alessandro Pedretti, sound artist che nel suo lavoro adotta suoni provenienti dal mondo organico e dalle lavorazioni industriali e artigianali. Un apporto speciale, che contribuisce a celebrare l’attitudine danese al saper fare e saper produrre in modo consapevole e prediligendo i materiali naturali. Completa This is Denmark l’area lounge curata da Sissi Valassina, dove rilassarsi ascoltando l’intera playlist e, grazie al corto del video artista Silvano Richini, sognare ad occhi aperti la Danimarca.

VALENTINA SILVESTRINI

Alcova

viale Molise 62

@thisis.denmark

Per approfondire

Italia – Danimarca: andate e ritorni. Pubblicato nel 2022 da Humboldt Book e scritto da Marco Sammicheli, Danish Diaries sonda le rotte dei personaggi che, dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, hanno ridotto le distanze fra i due paesi. Un itinerario intrecciato alla vicenda biografica del direttore del Museo del Design Italiano di Triennale Milano, a sua volta legato a doppio filo al popolo e al territorio danese.

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APPROFONDIMENTI

IN MOSTRA IL NUOVO GIOVANE DESIGN ITALIANO

All’ADI Design Museum la rassegna a cura di Angela

La celebre mostra Italy. The New Domestic Landscape, tenutasi al MoMA di New York nel 1972, portò alla ribalta il design italiano nel mondo, segnando uno dei momenti più alti della storia del Made in Italy. 51 anni dopo, l’ADI Design Museum propone un’interessante rilettura di quell’indimenticabile evento, puntando a sua volta i riflettori su una nuova generazione di progettisti. L’esposizione, il cui titolo volutamente omaggia e rievoca quella ideata da Emilio Ambasz, sposta però il focus dalla realtà domestica, luogo della sperimentazione sociale ed estetica che fu, alle inevitabili sfide poste dal momento globale e da una situazione di emergenza che muove dal cambiamento climatico a quello sociale. Domestic non può quindi che diventare Collective, in riferimento ad un gruppo di progettisti under 35 le cui riflessioni non appartengono più alla manifestazione culturale di quella controriforma che si interrogava sull’abitare e sulla produzione, ma si trasformano in azione alla luce di una rinnovata libertà radicale e di una responsabilità civica collettiva che abbraccia l’ambiente e la società. Selezionati tra i 329 candidati alla open call, i giovani protagonisti di Italy: A New Collective Landscape immaginano, attraverso progetti, prodotti e nuove pratiche, come le trasformazioni della realtà esterna possano avere un impatto sull’abitare estendibile allo spazio urbano e non urbano, alle relazioni sociali, alle alleanze simbiotiche e a nuovi comportamenti. L’intento di ADI Design Museum è dunque quello di presentare una visione d’insieme del contesto creativo

Tra i progetti in mostra c’è il concept grafico di UNCOVER, una pubblicazione legata all’Aiap Women in Design Award che indaga a tutto tondo il graphic design al femminile, valorizzando figure storiche e lavori recenti. Lo hanno sviluppato tre exstudentesse dell’ISIA di Urbino, oggi attive all’interno dell’associazione: Costanza De Luca, Greta Rolando e Greta Valotto.

italiano ed esaltare la qualità del lavoro dei singoli designer contemporanei che, grazie a nuovi strumenti progettuali, contribuiscono ogni giorno a ridefinire il ruolo del design e la sua utilità sociale. La mostra, curata da Angela Rui con Elisabetta Donati de Conti e Matilde Losi, e allestita dallo studio Parasite 2.0. con il progetto grafico di Alice Zani e Paola Bombelli, si sviluppa all’interno di uno spazio fluido in cui prendono vita oggetti, materiali di indagine, ricerca e prototipazione. Le tre sezioni principali sono dedicate rispettivamente al progetto rigenerativo, incentrato su materiali innovativi e sistemi sostenibili in termini ambientali ed ecologici; al progetto relazionale, inteso come strumento sociale o pratica partecipativa in grado di favorire la comunità; e al progetto sistemico, riferito a sistemi di relazioni, risorse e processi alternativi capaci di ridurre l’impatto ambientale. “La scelta di riprendere il titolo della mostra del 1972 indica un superamento epistemologico della nostalgia e la volontà di abbracciare l’idea che il panorama del design italiano sia cambiato”, ci spiega Angela Rui. “La presenza di numerosi progetti editoriali, in particolare, mostra l’impegno che questi giovani professionisti – ricordiamo che nel resto del mondo un trentacinquenne non è un ragazzo ma un professionista – mettono nella scrittura di una nuova narrazione”.

Fino al 10 settembre piazza Compasso d’Oro 1 adidesignmuseum.org

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APPROFONDIMENTI
Rui dedicata ai designer under 35 e al loro desiderio di cogliere le sfide del momento globale guarda tanto alla creatività quanto al suo potenziale più collettivo.
C. Ferrara, L. Moretti, C. Palladino (a cura di), Uncover , Premio internazionale design della comunicazione AWDA 3, 4. Milano: AIAP, 2022
18 / 23 April | Superstudio Più, via Tortona 27 Milan | superdesignshow.com
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