Grandi Mostre #24

Page 1

BOTTICELLI/ROVERETO • FOTOGRAFIA ITALIANA/AOSTA

24 BOURSE DE COMMERCE/PARIGI


78

#24

IN APERTURA / BOTTICELLI / ROVERETO

Botticelli e l’arte contemporanea Stefano Castelli otticelli “in carne e ossa” e poi, senza soluzione di continuità, i suoi echi nell’arte e nell’immaginario contemporanei. La mostra Botticelli. Il suo tempo. E il nostro tempo riunisce nella prima parte, dalla struttura distesa e scandita, opere del maestro rinascimentale contestualizzandole con lavori coevi, mentre nella seconda sezione, vulcanica e “panottica”, ne verifica la persistenza odierna.

B

IL RINASCIMENTO DI BOTTICELLI

La prima parte, curata da Alessandro Cecchi, si sviluppa in ordine cronologico e ripercorre “a campione” le varie fasi botticelliane con opere del maestro e di bottega. Si inizia con la fase giovanile, incontrando subito lo sguardo straordinariamente interlocutorio del Ritratto di fanciullo con mazzocchio (147071 circa), primo di sette prestiti dagli Uffizi. Per circostanziare la fase giovanile, il dipinto è accompagnato da esempi della poetica di Filippo Lippi, alla cui bottega Botticelli si formò. Proseguendo, Pallade e il centauro, del 1482 circa, propone già un esempio delle figure femminili botticelliane che rimangono nell’immaginario collettivo odierno, mentre opere come la Flagellazione del 1495-98 mostrano una straordinaria caratterizzazione plastica. Passando per accostamenti con lavori del Pollaiolo e di Andrea del Verrocchio, si giunge a opere come il Compianto sul Cristo morto di inizio Cinquecento in prestito dal Poldi Pezzoli di Milano e alla maestosa coralità dell’Adorazione dei Magi (1509-10 circa), tra le ultime opere eseguite, ancora una volta custodita dagli Uffizi. Ed è la presenza ipnotica a metà percorso della Venere del 149597 proveniente dai Musei Reali di Torino (che fa qui in un certo senso le veci della celeberrima Nascita di Venere) a far cambiare prospettiva e a innescare idealmente, più delle altre opere qui riunite, il confronto con lo sguardo odierno.

DAL PASSATO AL PRESENTE

Terminata la sezione rinascimentale, la sezione contemporanea curata da Denis Isaia esplode in un colpo d’occhio (la maggioranza delle opere sono racchiuse in un’unica, grande sala). Ci s’imbatte subito nella ripresa e nella moltiplicazione delle icone botticelliane: le reinterpretazioni di Giosetta Fioroni e Mario Ceroli adottano canoni cinetico-cinematografici (non a caso i loro lavori dialogano proprio con estratti di film di Visconti, Gilliam, Cuarón, Polanski proiettati su due schermi sospesi al soffitto). La riproducibilità dell’immagine, che sia in forma pittorica oppure scultorea, è il vero

fino al 29 agosto

BOTTICELLI. IL SUO TEMPO. E IL NOSTRO TEMPO

a cura di Alessandro Cecchi e Denis Isaia Catalogo Silvana Editoriale MART Corso Bettini 43 – Rovereto mart.trento.it

in alto: Miles Aldridge, Like A Painting #1 (particolare), 2005. Courtesy of the artist a destra in alto: Vik Muniz, The Birth of Venus, after Botticelli (triptych) (Pictures of Junk), 2008 © Vik Muniz. Courtesy Ben Brown Fine Arts London in basso: © Maurizio Ceccato per Grandi Mostre

tema della citazione dei due artisti: il suo scorrere e frangersi in mille frammenti più tecnologici che umani. Sempre in quota “pop all’italiana” c’è poi il grande dipinto su tessuto imbottito di Cesare Tacchi, mentre la monumentale fantasia bucolica di Renato Guttuso (Primavera, 1985) non appartiene al meglio della sua produzione ma è efficace nel rappresentare il “luogo comune” come consapevole modulo espressivo. La Primavera di Piero Gilardi (uno dei suoi tipici Tappeti natura) è un trionfo dell’artificiale che però finisce per essere maestoso e “realistico”, mentre la celebre Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto rivolge le spalle allo spettatore e gli nega il proprio sguardo, regalandolo invece alla montagna di tessuti d’occasione evocata dal titolo. Stimolante la presenza di John Currin con un'opera del 1996, leggermente precedente al suo stile oggi conosciutissimo, ma che riecheggia e distorce alla perfezione certe caratteristiche dei corpi botticelliani.


IN APERTURA / BOTTICELLI / ROVERETO

#24

79

KITSCH, MODA E FOTOGRAFIA

C’è il kitsch voluto che diventa sublime, ad esempio nella Rebirth of Venus di David LaChapelle, e talvolta quello mal gestito oppure involontario. Nel servizio di Michal Pudelka per Vogue che ritrae Chiara Ferragni agli Uffizi, poi, si verifica una sorta di cortocircuito culturale nel quale l’ambizione da star entra in contatto con la dimensione inconsapevolmente dimessa e maldestra di certe scene da turismo di massa. La moda è rappresentata dalle creazioni pionieristiche di Rosa Genoni e da quelle contemporanee di Valentino, mentre la sezione sulla fotografia risulta tra le più efficaci nel confronto tra ispirazione rinascimentale e declinazione contemporanea. L’apparente accessibilità dell’immagine fotografica crea infatti un accesso diretto al confronto, che negli scatti di Aldridge, Davey, Djikstra, Lux, Teller, Walker diventa una sorta di stimolante discesa agli inferi fatta di ambiguità e consapevolezza, sardonica deviazione dal canone e ricerca di una bellezza possibile anche nel caos del mondo d’oggi. Il dialogo tra antico e contemporaneo instaurato dalla mostra è dunque via via letterale oppure metaforico, citazionista oppure iconoclasta. Con diverse sfumature: l’idea di bellezza femminile botticelliana è talvolta citata in maniera diretta e voluta, altrove in maniera quasi inconscia. Come se ad agire fosse un retropensiero che dimostra come certe immagini, nel loro percorso dal capolavoro assoluto allo stereotipo, siano un istinto “automatico” e imprescindibile della cultura visiva occidentale.

I NUMERI DELLA MOSTRA SEZIONE RINASCIMENTALE (1435-1510)

19 opere 10 prestatori

7 opere dalla collezione degli Uffizi 2 dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia 2 dal Poldi Pezzoli di Milano e 2 dalla Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino 12 opere di Botticelli 4 di Filippo Lippi 1 di Filippino Lippi 1 del Pollaiolo 1 di Andrea del Verrocchio.

SEZIONE MODERNA E CONTEMPORANEA (1922-2021)

34 opere 5 registi 2 stilisti

che vengono “accostati” a Botticelli nel percorso espositivo

INQUIETUDINI A CONFRONTO Tra le varie linee parallele che collegano in mostra i capolavori botticelliani e le loro reinterpretazioni contemporanee, una delle più interessanti è quella che ha a che fare con la dimensione del perturbante. Il punto d’origine di questo percorso giunge alla metà della sezione rinascimentale, con la Venere in prestito da Torino. Le caratteristiche inusitate, se viste con gli occhi di oggi, del corpo raffigurato si ricollegano ad alcune opere contemporanee che smentiscono l’idea di perfezione idealizzata comunemente associata nell’immaginario collettivo alle figure femminili di Botticelli. Opere che aprono a una dimensione del corpo controversa e contrastata, “nordica”, altera e conturbante. Nel dipinto di John Currin, ad esempio, la figura femminile è conforme e difforme, seducente e mortifera: vive in un limbo tra assolutezza idealizzata e velenosa caratterizzazione. La franchezza dello sguardo contende l’attenzione alle linee del corpo, mentre a livello di luce e colori i toni pastello si contraddicono in una generale atmosfera allucinata. Ma è soprattutto nelle opere fotografiche che questa linea si esprime. In Rineke Djikstra la posa del corpo è perfetta nel suo essere sbilenca, fatta di alternanza di pieni e vuoti, mentre la dignità del soggetto poggia proprio su canoni di non conformità. Le fantasie che compenetrano la sfera umana e vegetale di Miles Aldridge presentano un’idea di grazia che viene smentita da uno sguardo spento e da toni taglienti perché surreali; nel ritratto di Kate Moss a opera di Juergen Teller la bellezza viene invece dal disfacimento in nuce, mentre una dimensione propriamente “diabolica” è quella esplorata da Loretta Lux con la sua bambina horror. La Botticelli’s Venus di Joel-Peter Witkin, poi, è androgina, scatologica e mortifera eppure quanto mai libertaria e vitale. Nei canoni di una bellezza che rimane assoluta anche quando è “negativa”, si insinua e trionfa dunque il seme del perturbante e di una diabolica, verosimile realtà/irrealtà.


80

#24

OPINIONI

Ripartire dalla cura per i musei di domani

Il caso della Costa San Giorgio a Firenze

Lorenzo Balbi direttore del MAMbo, Bologna

Antonio Natali storico dell’arte

M

Firenze ci si vanta di un passato le cui stagioni più eminenti hanno davvero pochi paragoni al mondo. E noi fiorentini ci gloriamo d’essere eredi degli uomini che quelle stagioni di secoli trascorsi resero grandi. Sulle loro spalle esercitiamo il nostro orgoglio, e purtroppo anche la nostra presunzione e non di rado la superbia, nella convinzione d’esserne eredi diretti. Un conto però è ricevere in eredità gratuita un patrimonio, altro conto è meritarlo. Si è eredi degni di chi ci ha preceduti solo quando almeno ci si sforzi di coltivare le sue stesse virtù e si sappia nel contempo conservare con cura quanto ci sia pervenuto, avendo peraltro in animo l’aspirazione a trasmetterlo, a nostra volta, a chi verrà dopo di noi. È un monito morale che per naturale conseguenza impone di porsi alcuni quesiti: quali sono i nostri meriti reali nella tutela del ricco patrimonio toccatoci e nel processo storico cui siamo chiamati a essere attivamente partecipi? Cosa facciamo per difendere l’eredità di cui senza fatica siamo venuti in possesso? Davvero si pensa che bastino alcuni restauri (quasi sempre d’opere celebrate) per dire che c’impegniamo nella salvaguardia di quel lascito? Sono domande ch’esigono risposte sincere da parte di tutti; cittadini e amministratori. E l’esigono tanto più oggi, che a Firenze è viva la minaccia d’un intervento pesante su uno dei colli più belli che da vicino le fanno corona. Un intervento ch’è vòlto a ristrutturare antiche e ragguardevoli architetture conventuali per realizzare sulla Costa San Giorgio un albergo con tante stelle, tanti servizi e tanti agi lussuosi.

i sono recentemente imbattuto in un saggio di The Care Collective, dal titolo Manifesto della Cura – Per una politica dell’interdipendenza, che pone al centro della riflessione sulle politiche sociali contemporanee il concetto e il problema della cura. Di fronte al modello capitalista neoliberale corrente, il cui sistema di welfare ha dimostrato numerose falle nel corso dei mesi più duri della crisi pandemica, il collettivo propone “uno stato della cura”, la cui democrazia è orientata ai bisogni collettivi, individuando nel diritto alla cura la principale responsabilità politica. L’aspetto più interessante del testo è l’assunto che non basta uno Stato centrale votato a tali scopi, ma che sia necessario sviluppare la consapevolezza comune dell’interdipendenza che ci lega. La cura promiscua, intesa come relazione tra estranei basata su un mutuo soccorso vicino e prossimo ma non necessariamente familiare, è proposta come un primo passo a quello che mi auguro possa essere un radicale cambiamento sociale e politico.

UNA NUOVA IDEA DI MUSEO

Ma come è possibile portare questi intenti all’interno di un museo d’arte contemporanea? Iniziando a trasformare la nostra idea di museo, da luogo espositivo e di conservazione di patrimoni a centro culturale capace di ingaggiare diversi pubblici, operando in modo attivo alla delineazione di una proposta culturale che mira alla trasformazione sociale. Progetti educativi, programmi di residenza e strutture di formazione di lunga durata possono proporre il museo come un’istituzione orientata alla comunità artistica, che volutamente si rivolge ai suoi bisogni e alla sua crescita. È questo che ha guidato l’idea di istituire uno spazio di produzione permanente all’interno del MAMbo che, sotto il nome di Nuovo Forno del Pane, potesse accogliere e sostenere le artiste e gli artisti della propria città.

Inizialmente nato dalla conversione della Sala delle Ciminiere da spazio espositivo ad area di lavoro condiviso, oggi il progetto si sta instaurando in una propria sede diventando il centro di un nuovo dipartimento del museo, votato alla ricerca e alla formazione.

CURA E CURATELA

Così come il modello di uno “stato della cura” non si può sostenere se non grazie a una pratica radicale di cura reciproca dal basso, allo stesso modo il museo diventa una piattaforma in cui lasciare che diverse entità si incontrino per poi creare spontaneamente alleanze.

La cura è il primo passo per un radicale cambiamento sociale e politico Il problema della cura può inoltre ispirare nuove metodologie curatoriali per creare relazioni di attenzione con il pubblico e metterlo nella posizione di riflettere su possibili contro-azioni alla sempre più frequente perdita di contatto e socialità. Dear you è un progetto che, di fronte alla diffusione della crisi pandemica, ha deciso di invitare sei artisti, da sempre legati alla ricerca sulla parola e alla delineazione di nuove pratiche di cura, amore e lealtà, a concepire un’opera d’arte che fosse recapitata a casa del pubblico via posta. La mostra ha cercato inoltre di infiltrarsi nella vita di ognuno degli iscritti, nascondendosi tra le bollette e le comunicazioni condominiali per arrivare tra le mani del destinatario come un attimo di sorpresa, innescando dinamiche di attenzione più sottili e individuali.

A

UN HOTEL SULLA COSTA SAN GIORGIO?

A uso di coloro che non ne conoscono le vicende si dirà che quel colle è chiamato “poggio delle rovinate” (ch’è come dire delle frane), giacché, per via delle sue caratteristiche idrogeologiche, di frane n’ha viste parecchie

nella sua storia. Memorabile è quella di metà Cinquecento, in cui crollarono interi stabili, compreso il palazzo di Lorenzo Nasi, committente della Madonna del Cardellino di Raffaello, i cui pezzi furono in buona parte recuperati fra le macerie.

Cosa facciamo per difendere l’eredità di cui senza fatica siamo venuti in possesso?

Si dice, a sostegno dell’intervento progettato, che gli antichi edifici religiosi coinvolti sono stati nel corso del tempo manomessi per altri e assai differenti scopi; il che giustificherebbe la nuova manipolazione, gabellata come un’opera di tutela e di valorizzazione (di nuovo leggendo quest’ultima – con buona dose di mistificazione – nella sua accezione economica, che purtroppo ai giorni nostri è quella che santifica ogni impresa). Ne vengono ulteriori domande: è questa la nostra strategia di salvaguardia? È così che tuteliamo l’eredità generosa e gratuita di cui ci vantiamo? Veramente alle generazioni future vogliamo lasciare alberghi e centri commerciali al posto di conventi storici?

LA FRAGILITÀ DEL PATRIMONIO

Non credo sia chiara la gravità dei rischi che corriamo; non solo sul piano della cultura, ma anche – e forse soprattutto – su quello sociale e morale. Incombe su Firenze e i fiorentini il pericolo che si perda il senso della delicatezza del nostro patrimonio; che di sicuro è nobilissimo, ma molto, molto fragile. Sarà bene ne tenga conto chi debba decidere sul destino della Costa San Giorgio. Lo faccia nel rispetto del bene comune e della memoria che lascerà di sé.


OPINIONI

La nuova frontiera delle mostre intangibili

Monumenti e mutamenti

Stefano Monti economista della cultura

Fabrizio Federici storico dell'arte

I

n tutto il clamore mediatico che ha recentemente circondato il cosiddetto hype degli NFT e dell’arte digitale, c’è un elemento che è stato forse un po’ trascurato e che invece potrebbe rappresentare uno degli aspetti più interessanti di tutto il fenomeno: le mostre intangibili. Con la prossima implementazione della tecnologia 5G, e con le release future che già sono allo studio, sarà sempre più diffusa la possibilità di fare interagire il territorio con i nostri device (smartphone, tablet, smartwatch e via dicendo).

Il digitale aiuta a creare percorsi artistici laddove lo spazio fisico lo impedisce Dotando il territorio delle adeguate infrastrutture, sarà possibile abilitare una visione “multilivello” della realtà, come già in parte accade con le audioguide che si attivano automaticamente attraverso il GPS, ma con contenuti sempre più ricchi e sempre più coinvolgenti. Molto infatti si è discusso e si discute sulle nuove frontiere della fruizione del territorio. Meno dibattuta, invece, è l’applicazione di questo tipo di tecnologie nel comparto delle grandi mostre e del settore museale.

LE POTENZIALITÀ DEL DIGITALE

La diffusione di infrastrutture attraverso le quali realizzare delle mostre intangibili ha infatti un potenziale che va ben oltre la semplice dimensione “fruitiva”: è una condizione che potrebbe favorire lo sviluppo di una più diffusa cultura legata all’arte contemporanea, e non solo come contenuti, ma come possibilità del medium. È indubbio, infatti, che per molte delle nostre istituzioni museali l’organizzazione di mostre d’arte contemporanea presenta difficoltà sia in termini di adeguatezza degli spazi, sia in termini di coerenza del percorso

artistico. Sebbene ormai tutti, o quasi, i principali musei italiani abbiano aree adibite alla sezione mostre, è anche vero che sussiste una rilevante distanza che separa il linguaggio contemporaneo dal linguaggio pre-moderno. Ciò si traduce di frequente in un “vincolo” strutturale per il museo e per chi organizza le mostre, spesso superabile soltanto attraverso linee curatoriali che riescano a coniugare per assonanza o per contrapposizione espressioni umane così differenti. In tale contesto, la strutturazione di un percorso digitale permetterebbe di arricchire il livello di realtà, andando a definire dei percorsi artistici in luoghi in cui lo spazio fisico lo impedisce.

MOSTRE ALLA PORTATA DI TUTTI

Si pensi, ad esempio, alle numerose istituzioni culturali circondate da parchi e giardini presenti nella nostra penisola in cui, per ragioni di sicurezza e di ovvia tutela delle opere, si crea una separazione talvolta netta tra la dimensione interna del museo e la dimensione esterna dell’ambiente naturale. In uno scenario del genere, la possibilità di arricchire il percorso museale attraverso grandi mostre digitali, fruibili mediante app per smartphone o grazie all’ausilio prossimo venturo di specifici visori, permetterebbe alle istituzioni museali di “invadere” d’arte gli ambienti esterni al museo e di fornire ai visitatori del parco e/o del museo un prodotto culturale innovativo che, per caratteristiche del medium, meglio si presta a operazioni di coinvolgimento dei visitatori e della cittadinanza in generale. Il nostro mondo potrebbe così dotarsi di una sovrastruttura artistica che si sovrappone alle città, ai parchi, ai musei, con opere site specific e con bassi costi di “riproduzione”. Non è solo un fatto di fruizione. È un modo attraverso il quale poter ridurre quella distanza che ancora divide l’arte viva dall’arte istituzionalizzata.

I

n maniera quasi miracolosa, in un Paese nel quale non si contano i progetti lasciati a metà e i proclami a cui non seguono i fatti, il processo di costruzione della nuova arena del Colosseo prosegue il suo cammino. Come ogni tappa precedente, anche la presentazione del progetto vincitore è stata accolta, oltre che da elogi per la funzionalità della proposta, da accese critiche. In particolare, è stato obiettato che “i monumenti non sono cose da riempire”: il monumento basta a se stesso, e al pubblico, è un’entità assoluta, immutabile, che a un certo punto si cristallizza per sempre e che da questa cristallizzazione trae il suo valore quasi sacrale. Una visione di questo tipo potrebbe essere contestata sotto più punti di vista (per la sua impostazione assolutistica e antidemocratica, innanzitutto; e poi chi stabilisce in quale punto scatta la cristallizzazione e ogni mutamento diventa un delitto?); ma ci si limita qui a considerare la sola questione terminologica, l’ambiguità del termine “monumento”, che può, in parte, essere all’origine di letture come questa.

IL SIGNIFICATO DI MONUMENTO

Con “monumento” si identificano infatti cose molto diverse tra loro. Da un lato abbiamo la statua, il rilievo, la targa commemorativa. E questi monumenti coincidono in tutto con il loro messaggio: li si accetta così come sono, o li si abbatte, come si è visto fare spesso ultimamente. Accanto al monumento-statua c’è il monumento-edificio, la cui funzione è sì quella di essere, etimologicamente, portatore di un ‘ammonimento’, e dunque di rappresentare la testimonianza di un’epoca, di una civiltà artistica, di una società, ma questa non è la sua unica funzione, visto che il monumento-edificio è anche un’architettura, uno spazio incastonato, spesso, nel tessuto vitale delle nostre città, un luogo che può, e anzi deve, essere investito di sempre nuove funzioni e

#24

81

di ulteriori significati, che tuttavia non cancellano quelli precedenti, a cominciare dalla natura di puro e semplice ‘monumento’ del bene. Usi e significati si accumulano e convivono, non si sostituiscono.

Un monumentoedificio può avere nuove funzioni senza cancellare le precedenti IL FUTURO DEL COLOSSEO

Quando una chiesa di eccezionale valore storico-artistico viene usata per le funzioni religiose smette forse di essere anche un monumento? No, e non smette di esserlo neanche quando vi si tengono concerti. E neanche una chiesa sconsacrata riconvertita in biblioteca dismette il suo carattere monumentale. Il Colosseo ‘ripavimentato’, dunque, può divenire luogo di spettacoli, conferenze, concerti, senza per questo smettere di essere anche un monumento. Il sogno, certo, è un altro: che con l’arena restituita torni a essere quello che è stato per secoli, una piazza aperta alla libera circolazione e al libero incontro di chiunque (mentre le strutture in elevato e i sotterranei possono continuare a essere spazi musealizzati, cui si accede con un biglietto). Questo esito rappresenterebbe un grande passo in direzione del reinserimento sociale dell’Antico.


82

#24

FOTOGRAFIA ITALIANA / AOSTA

30 anni di fotografia italiana Angela Madesani

T

he Families of Man è una mostra di grandi dimensioni che descrive la realtà del nostro Paese degli ultimi trent’anni, non solo attraverso un approccio tematico, ma anche grazie a un’analisi linguistica dell’attuale senso della fotografia. Daria Jorioz, storica dell’arte e dirigente delle attività espositive della Regione Valle d’Aosta, afferma nel testo in catalogo: “Spero che le mostre possano tornare a essere per il pubblico esperienze reali più che virtuali. Credo che nulla potrà sostituire l’emozione derivante dalla fruizione di un medium fisico, sia esso una fotografia, una scultura o un dipinto. Forse non è un caso che oggi, nell’era di Instagram e dei social, siano tornate in auge le Polaroid. A questo proposito ricordo le parole di Christopher Anderson, reporter dell’Agenzia Magnum, che nel corso di un’intervista, disse: ‘Un’immagine, in quanto oggetto, dà l’idea che possa resistere di più nel tempo’. Una riflessione aperta sul futuro della fotografia”. Riflessione che segna l’intera rassegna divisa in tre sezioni: la prima trae origine dal 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, la seconda prende il via nel 2001, con la distruzione delle Torri Gemelle, e la terza, quella più attuale, inizia nel 2019, con la pandemia che ha trasformato radicalmente le nostre vite.

FOTOGRAFARE IL CAMBIAMENTO

Nel corso di questi ultimi trent’anni molto è cambiato in Italia. La nostra è diventata una società multietnica dove ancora tanto va compreso e risolto. Il Mediterraneo è una tomba a cielo aperto, l’economia ha preso pieghe diverse, la famiglia è diventata altro da quello che era. Abbiamo affrontato grandi crisi, grandi battaglie, l’Italia ha vissuto e sta vivendo momenti difficili, che la fotografia riesce ancora a raccontare. Così, dalle immagini in bianco e nero dei Dondero, dei Berengo Gardin, degli Scianna si arriva a quelle di Ghirri, di Basilico, di Guidi. E poi a quelle delle generazioni più giovani, dei Francesco Jodice e degli Armin Linke. Da segnalare è anche la presenza di artisti come Jacopo Benassi, che molto ha lavorato sul concetto di gender, The Cool Couple e Lamberto Teotino, per i quali l’immagine fotografica è un punto di partenza verso riflessioni altre. Al pari di quanto accade nelle opere di Silvia Bigi, Alberto Sinigaglia, Pierluigi Fresia, caratterizzate da una forte matrice esistenziale.

I TEMI: DALLA POLITICA ALL’ECONOMIA

Combinando immagini e parole, undici giornalisti, studiosi e scrittori approfondiscono i temi della mostra fra le pagine del catalogo.

Filippo Ceccarelli, ad esempio, introduce così la voce Politica: “Non cadde solo un muro, ‘il teso elastico del secolo’ si spezzò e come in una poesia di Fernando Bandini dedicata al fatale 1989, ‘molti cuori si afflosciarono’. Ma poi, tornando in prosa, quando casca un oggetto, un ordine, un sistema, un ciclo di potere, ecco che spesso si trascina appresso molto altro. Servono anni perché tutto torni a farsi forma, storia, istituzioni, immaginario”.

È una caduta pesante, capace di frantumare, di lì a poco, un’ideologia che aveva costituito per tanti un faro per oltre un secolo. Sono gli anni di Papa Giovanni Paolo II, che molto ha operato in tal senso. Il 1989 è anche l’ultimo anno della presidenza Reagan, la cui “filosofia” di vita muta radicalmente la storia dell’Occidente. In breve anche in Italia il Partito Comunista, eterno secondo, ma forza determinante, si sarebbe sfasciato. In mostra questa sezione è


FOTOGRAFIA ITALIANA / AOSTA accompagnata da una fotografia di Mario Dondero, che ritrae il Muro pochi giorni prima della caduta. Scianna, a colori, immortala un giovane e baldanzoso Berlusconi con un telecomando in mano e le televisioni alle spalle. La saggista Roberta Carlini scrive, invece, all’interno della sezione dedicata all’Economia: “L’89 per l’economia italiana arriva nel ’92. Quando crolla il sistema politico nato dopo la Seconda Guerra Mondiale, quello economico segue a ruota. Ammesso che questa distinzione abbia senso, visto che l’economia non vive e non opera in un mondo separato da quello delle istituzioni e della politica”. I tempi sarebbero mutati, gli anni da bere si sarebbero eclissati definitivamente. La pacchia, se tale era mai stata, era finita. In questo caso le fotografie di Gabriele Basilico, di qualche anno precedenti, ritraggono la Milano fordista al tramonto, mentre Armin Linke racconta il nuovo concetto di fabbrica, in Giappone, alle porte del nuovo millennio. Quelle di Carlo Valsecchi sembrano immagini di fantascienza e invece non sono altro che fabbriche dei nostri anni. Poche o nulle le presenze umane. Michele Borzoni mostra in un’immagine altrettanto fantascientifica una distesa di persone, 1.550, che partecipano a un concorso pubblico per il reclutamento di 40 storici dell’arte. Così vanno i giochi. Non è detto che una risata ci seppellirà, ma l’immagine finale di Lorenzo Vitturi, nella sezione La ripresa, forse lascia qualche speranza.

IDENTIKIT DELLA MOSTRA NEWYORCHESE THE FAMILY OF MAN

MoMA

24 gennaio – 8 maggio 1955

Edward Steichen Curatore

più di 500 fotografie inviate da 69 Paesi

La mostra ha viaggiato per il mondo per 8 anni

più di 9 milioni di visitatori totali

#24

83

INTERVISTA AL CURATORE WALTER GUADAGNINI Nel titolo della mostra c’è un chiaro rimando a The Family of Man, la rassegna ideata nel 1955 da Edward Steichen, allora a capo del dipartimento di fotografia del MoMA. Perché avete scelto questo riferimento? Il riferimento a quella colossale mostra è esplicito. Quanto c’è di comune è la volontà di considerare ancora, nonostante tutto, la fotografia come un mezzo che può servire per conoscere e raccontare il mondo. L’attuale posizionamento della fotografia è, tuttavia, completamente diverso. Un aspetto che oggi si fa fatica a individuare è la parte ideologica di quella

fino al 10 ottobre

THE FAMILIES OF MAN

mostra, un ecumenismo che oggi sarebbe difficile immaginare. Inoltre quella rassegna presumeva di poter raccontare tutto il mondo da una prospettiva unica, quella americana. Oggi tutto questo è impossibile, ecco perché ci siamo concentrati sull’Italia. Questa di Aosta può essere considerata una mostra sull’uomo in senso ampio, una mostra sociale? È una mostra che cerca di leggere e rileggere, in estrema sintesi, oltre trent’anni di società italiana attraverso alcune immagini fotografiche che non sono immagini di cronaca, ma che sono, a loro volta, un’interpretazione, un ripensamento e una riflessione sulla realtà.

a cura di Elio Grazioli e Walter Guadagnini Catalogo Electa MUSEO ARCHEOLOGICO REGIONALE Piazza Roncas 12 – Aosta regione.vda.it

La mostra si colloca in un momento di riapertura, di ritorno alla vita. Non credo sia casuale. Infatti non lo è. La mostra è nata come idea durante la pandemia, a partire da riflessioni legate all’attualità. È una risposta a questa situazione, una reazione.

a sinistra: Lorenzo Vitturi, Manta, Cochinilla Dyed Yarn, Polypropylene Sack, Body in Paracas, 2019 © Lorenzo Vitturi IN BASSO: Luca Campigotto, Honk Kong, 2016 © Luca Campigotto

In base a quali criteri avete scelto gli artisti? Sia io che Elio [Grazioli, N.d.R.] cerchiamo di non fare le squadre, siamo abbastanza curiosi, speriamo abbastanza freschi nella nostra visione. In due abbiamo sommato elementi che non ci sarebbero stati se avessimo organizzato la mostra da soli. Questo è anche l’aspetto divertente della mostra. In alcuni casi abbiamo portato a sintesi delle idee che coincidevano perfettamente, in altri ne abbiamo aggiunte di nuove.


84

#24

OLTRECONFINE / BOURSE DE COMMERCE / PARIGI

La nuova Bourse de Commerce di Parigi Arianna Piccolo

L

a nostra epoca in uno sguardo” è l’espressione-manifesto che annuncia al pubblico l’apertura della Bourse de Commerce-Collection François Pinault. Dopo diversi slittamenti causati dalla pandemia, il 22 maggio ha finalmente inaugurato Ouverture, la mostra concepita negli spazi del terzo sito museale voluto dal magnate francese François Pinault, su progetto dall’architetto Tadao Ando. L’edificio, insieme alle due sedi veneziane di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, ha lo scopo di mostrare e valorizzare le opere appartenenti a uno dei più importanti collezionisti d’arte contemporanea al mondo. Si tratta di una raccolta impressionante, che costituisce un insieme di più di 10mila opere realizzate da circa 350 artisti a partire dagli Anni Sessanta. Una collezione eterogenea, che testimonia un particolare interesse verso le correnti emergenti.

LA MOSTRA E GLI ARTISTI

Per l’esposizione inaugurale, François Pinault ha deciso di presentare le opere che chiariscono gli orientamenti della sua attività di collezionista, riunendo una trentina di artisti: da Urs Fischer a Maurizio Cattelan, da Martial Raysse a Cindy Sherman passando per Bertrand Lavier, Philippe Parreno e Ryan Gander, solo per citarne alcuni. Il titolo Ouverture si riferisce, letteralmente, all’apertura di un nuovo capitolo del progetto della Collezione Pinault, finalizzato ad avvicinare l’arte contemporanea al grande pubblico. I temi dell’impermanenza, della vanità e del tempo che passa occupano un posto centrale nello spazio della Rotonda e sono incarnati dallo spettacolare Untitled di Urs Fischer. L’opera è composta da nove sculture in cera che riproducono a grandezza naturale il Ratto delle Sabine di Giambologna, ma anche l’effige di un amico dell’artista e nove sedie. Autentico monumento all’impermanenza, Untitled durerà giusto il tempo che servirà alle candele per consumarsi, divenendo il simbolo di una distruzione creatrice. Immerso nello spazio estatico della Bourse de Commerce, intriso di luce proveniente dall’esterno, lo spettatore è riportato alla realtà dalla curiosa incursione di un topolino che spunta dalla sua tana, opera di Ryan Gander. Volgendo lo sguardo verso l’alto, i piccioni imbalsamati di Maurizio Cattelan, disseminati un po’ ovunque lungo il perimetro della passerella, spiazzano per la loro naturalezza, smorzando l’atmosfera quasi sacrale della scenografia espositiva.

Anche per quanto riguarda l’allestimento, Pinault ha voluto che non fosse definitivo, ma solamente il primo atto delle presentazioni future, che restituiranno un’immagine via via più nitida della collezione.

L’ARCHITETTURA DELLA BOURSE DE COMMERCE

Situato nei recenti giardini delle Halles, a metà strada tra il museo del Louvre e il Centre Pompidou, l’edificio della Bourse de Commerce è uno dei monumenti emblematici della storia di Parigi. Concentra quattro secoli di stratificazioni architettoniche e di innovazioni tecniche, racchiudendo il primo esempio di colonna monumentale di Parigi, voluta alla fine del XVI secolo da Caterina de’ Medici, e le vestigia di un mercato del grano edificato nel 1767, caratterizzato dall’impressionante struttura circolare e coperto nel 1812 da una cupola in vetro e metallo, la prima in ferro e acciaio di così grandi dimensioni. Nel 1889 l’intero complesso fu trasformato nella Borsa di Commercio, mantenendo tale funzione fino alla fine degli Anni Novanta. Quando Anna Hidalgo, il sindaco di Parigi, ha proposto a François Pinault di interessarsi all’edificio, necessitava di un restauro completo, che fosse in linea con la sua storia secolare e con la nuova funzione museale. Il compito è stato assolto da Tadao Ando, architetto giapponese noto per la sua sensibilità estetica minimalista, che già in precedenza si era occupato dei siti veneziani della collezione. Il cantiere si è svolto tenendo in considerazione gli elementi storici dell’edificio, attraverso un progetto che ha saputo conciliare radicalità e semplicità, basandosi sulla forma geometrica pura di un cerchio. All’interno della rotonda è stato, infatti, inserito un cilindro di 29 metri di diametro, delimitato da un muro in cemento di 9 metri d’altezza, che accoglie uno spazio espositivo al piano terra e un auditorium nel sottosuolo. Le scale assicurano l’accesso alle dieci gallerie espositive, fino al piano più elevato del cilindro, dove si trova una passerella circolare. Gli affreschi della cupola sono il punto culminante di questo susseguirsi di spazi. Secondo un principio caro all’architettura giapponese tradizionale, la struttura della Bourse de Commerce suggerisce al visitatore un percorso che gli lasci il tempo di “purificarsi”, mediante una scenografia circolare ipnotica che lo allontani dai consueti punti di riferimento per trasportarlo nella dimensione del “qui e ora”.

fino al 31 dicembre

OUVERTURE BOURSE DE COMMERCE 2 rue de Viarmes pinaultcollection.com

Bourse de Commerce – Pinault Collection © Tadao Ando Architect & Associates, Niney e Marca Architectes, Agence Pierre-Antoine Gatier. Photo Patrick Tourneboeuf


OLTRECONFINE / BOURSE DE COMMERCE / PARIGI

#24

85

INTERVISTA AL DIRETTORE MARTIN BETHENOD Quale ruolo ha l’imponente architettura della Bourse de Commerce e come interagisce con le opere e le diverse esigenze del museo? Tadao Ando ha utilizzato, parlando del suo intervento a Palazzo Grassi e Punta della Dogana, la bella espressione “trait d’union”. La Bourse de Commerce, quinta tappa della collaborazione iniziata da due decenni tra François Pinault e il grande architetto giapponese, è una nuova versione di questa nozione di “trait d’union”, tra la storia e il presente, tra l’architettura e l’opera d’arte, tra il contesto e gli interni. Il gesto architettonico, in particolare il cilindro di cemento che si inserisce in modo radicale e sottile nella grande sala circolare al centro dell’edificio, permette di disegnare uno spazio espositivo dedicato alla sola contemplazione delle opere, alle quali dà uno sfondo, una scala, una dimensione di astrazione e silenzio, pur lasciando visibile, ma sempre a distanza, il contesto architettonico originale e dunque più antico.

PALAZZO GRASSI

&

Come sarà la programmazione del nuovo museo? Seguirà la logica della programmazione sviluppata dal 2006 a Venezia a Palazzo Grassi, che ho avuto la grande fortuna di dirigere dal 2010 al 2020. La Bourse de Commerce è interamente votata all’arte contemporanea, a partire dalla Collection Pinault e dal suo punto di vista allo stesso tempo unico e impegnato. Come a Venezia, dunque, ma secondo un ritmo differente: da una parte si articola in progetti collettivi o tematici, concepiti guardando alle opere della Collezione (spesso integrate da interventi site-specific o da nuove produzioni) e, dall’altra parte, in progetti monografici ideati intorno agli artisti (il più delle volte insieme agli artisti stessi) con cui la Collezione intrattiene un rapporto forte e duraturo. A questo calendario di esposizioni, che comprenderà dalle 10 alle 15 proposte all’anno, sarà affiancato un programma di incontri, conferenze, ma anche performance, concerti e proiezioni. Uno dei tanti successi di Palazzo BOURSE Grassi, dopo il 2013, è il Teatrino, diventato un DE COMMERCE luogo culturale tra i più attivi di Venezia. L’auditorium della Bourse de Commerce ci permette di andare in questa direzione, senza la quale un museo contemporaneo non avrebbe senso di esistere a pieno.

A CONFRONTO 1748-72 1840 1951

Realizzazione a opera dell’architetto Giorgio Massari

1574-84

La famiglia Grassi vende il palazzo

1763-66

Diventa il Centro internazionale delle arti e del costume

1983

Fiat acquista Palazzo Grassi per allestirvi mostre di arte e archeologia

2005

Comprato da François Pinault

2006

Dopo il restauro a opera di Tadao Ando, nell’aprile 2006 inaugura la mostra Where Are We Going?, con una selezione di opere della raccolta Pinault

1806-13 1885-89 2016

2017-20

Edificata la colonna che è l’ultimo resto del palazzo di Caterina de’ Medici, poi distrutto Nel sito della futura Bourse de Commerce è costruita la Halle au Blé (mercato del grano) La Halle è completata da una poderosa cupola di ferro e ghisa Trasformazione della Halle au Blé nella Bourse de Commerce Il Comune di Parigi dà in concessione per 50 anni a François Pinault la ex Bourse de Commerce Restauro a opera di Tadao Ando Architect & Associates, Niney e Marca Architectes, Agence Pierre-Antoine Gatier

Sia Palazzo Grassi a Venezia che la Bourse de Commerce a Parigi sono edifici storici situati nel cuore della città. Come si crea il legame tra la collezione di arte contemporanea e questi edifici secolari? I musei della Collection Pinault hanno in effetti una identità molto forte di luoghi a dimensione umana, inseriti nel contesto urbano, storico e culturale. Rivendicano questo forte legame con il contesto in cui operano, all’opposto rispetto al “white cube” standardizzato e al dogma dell’autonomia dell’opera d’arte. Gli spazi espositivi riaffermano la loro specificità e il loro carattere eccezionale: a Venezia, le travi, i mattoni, i marmi, le aperture verso il paesaggio lagunare, mentre a Parigi i muri circolari, i decori originali del XIX secolo e le centinaia di aperture verso l’esterno. Questa idea di dialogo con il contesto e di apertura – Ouverture è esattamente il titolo che François Pinault ha voluto dare alla mostra inaugurale del museo parigino – è una grande fonte di ispirazione per gli artisti e di fascino per i visitatori.


86

#24

RECENSIONI

fino al 5 dicembre

fino al 7 novembre

a cura di Marco Scotini Catalogo JRP MUZEUM SUSCH Surpunt 78 - SUSCH muzeumsusch.ch

a cura di Anna Coliva e Mario Codognato Catalogo Marsilio GALLERIA BORGHESE Piazzale Scipione Borghese 5 – ROMA galleriaborghese.beniculturali.it

LAURA GRISI. THE MEASURING OF TIME

Lavorare sulla riscoperta delle artiste donne dimenticate è una delle mission del Muzeum Susch, in Svizzera. Già presente nella prima mostra temporanea A Woman Looking at Men Looking at Women, il lavoro di Laura Grisi, scomparsa nel 2017, viene analizzato accuratamente, in omaggio al processo stesso dell’artista. Nata a Rodi nel 1939 da genitori italiani, Laura Grisi frequenta gli ambienti romani, newyorchesi e parigini. La relazione con il popolare filmmaker di documentari Folco Quilici, che sposerà nel 1957, sarà motivo di continui viaggi. Le numerose esperienze fuori porta le permettono non solo di rapportarsi con culture non occidentali, ma anche di sperimentare la fotografia e soprattutto mettere in crisi il suo utilizzo. L’artista, che gira con una Rolleiflex e una Hasselblad, diviene consapevole di come la macchina fotografica sia uno strumento di cattura. Decide quindi di superare l’attitudine coloniale, abbandonando il mezzo fotografico a favore della pittura. Nascono così, nel 1964, le prime tele, in cui i segni testimoniano dell’artificialità del medium.

nel 1969, alla Galleria Marlborough di Roma, gli Antinebbia: colonne totemiche polimateriche, che grazie all’uso di un neon freddo permettono la riproduzione della nebbia artificiale, vero oggetto dell’installazione. Lo stesso anno, a Caorle, Volume d’aria, una stanza a volume cubico totalmente bianca. L’aria diventa così elemento della femminilizzazione dello spazio. LA MOSTRA IN SVIZZERA Come l’aria che abita ogni spazio, Laura Grisi vivifica ogni elemento. Impossibile non cedere alla bellezza delle sue infinite azioni, volte alla riscoperta dell’impercettibile. L’attenzione verso il micro-cosmo è solo uno dei capitoli della mostra svizzera, che assume le sembianze di un viaggio nelle prime due decadi dell’attività artistica della Grisi. Così le venti fotografie, inedite, esposte qui per la prima volta, sono punto di snodo della rassegna. Il display riprende, non a caso, il progetto epico e sacrale di The Family of Man. L’intera mostra ruota attorno alla ricerca e al riconoscimento del mistero che questa grande donna porta con sé.

DAMIEN HIRST. ARCHAEOLOGY NOW

Dopo la visita alla mostra di Damien Hirst a Venezia nel 2017, nessuno avrebbe potuto immaginare che un’esposizione di quelle dimensioni avrebbe avuto un sequel in grande stile e in una cornice unica al mondo, la Galleria Borghese. Archaeology now non è solo una mostra ma una lettura del presente attraverso lo sguardo scomodo e tagliente di Damien. Se a Venezia Hirst aveva giocato la carta della meraviglia, sconfinando spesso nel territorio del kitsch, a Roma invece punta sul mimetismo, proponendo le sue opere come un ideale prolungamento della collezione Borghese, arrivando in alcune sale del piano terreno (come la Sala Egizia) a una simbiosi perfetta.

di mettere accanto a severi esempi di statuaria romana gli scandalosi dipinti di Caravaggio. IL CONFRONTO CON IL PASSATO Pur con alcuni accostamenti meno riusciti, come i Five Grecian Nudes nella sala di Paolina o la serie dei Five Friends nella sala di Mariano Rossi, la mostra ci mette di fronte ad alcune problematiche sulle quali è opportuno riflettere: l’evoluzione del gusto, i limiti del rapporto tra antico e contemporaneo, la possibilità che un museo d’arte antica possa essere trasformato ipso facto nell’opera di un artista vivente in grado di confrontarsi ad armi pari con la storia dell’arte. In questo caso Hirst ha voluto misurarsi con Scipione sullo stesso piano, quasi per suggerirgli nell’orecchio che si può combattere con il passato se si ha coraggio, visione e consapevolezza.

DALLA PITTURA AL NEON Una sorta di climax caratterizza la pratica di Grisi. Dalla pittura si dedica alla realizzazione di pannelli scorrevoli, combinati e combinanti. Subito dopo l’aggiunta del neon. Nel 1968, invitata al Teatro delle mostre, propone una stanza completamente buia. Solo un ventilatore con 40 nodi di velocità investe lo spettatore. Un anno dopo,

HIRST E LA COLLEZIONE BORGHESE Davvero inquietanti i due esemplari di Skull of Cyclops o il Museum Specimen of Nautilus Shell nella loggia di Lanfranco al primo piano, che ricordano i connubi tra naturalia e artificialia delle Wunderkammer rinascimentali, capaci di stupire gli ospiti dei Gonzaga nel Palazzo Ducale di Mantova, tra coccodrilli impagliati e corna di narvalo, mentre A collection of weapons rimanda alle raccolte d’armi presenti in alcune case museo come il Poldi Pezzoli di Milano. A Hirst non sono sfuggiti nemmeno gli assi prospettici tipici delle dimore secentesche, che ha riproposto collocando Extraordinarily Large Museum Specimen of Giant Clam Shell davanti al Ratto di Proserpina di Bernini, andando incontro al gusto audace e coraggioso di Scipione, che non temeva

Laura Grisi, Antinebbia (Antifog), 1968. Installation view a Roma, 1968 © Laura Grisi Estate

Damien Hirst, Neptune. Collezione privata. Photo A. Novelli © Galleria Borghese – Ministero della Cultura © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved DACS 2021/SIAE 2021

Vittoria Mascellaro

Ludovico Pratesi


Invito per valutazioni gratuite e alla consegna per le nostre aste internazionali. Im Kinsky é una delle maggiori case d‘aste di lingua tedesca presenti in Italia. imkinsky.com

Yves Klein prezzo realizzato: € 142.500

Dott.ssa Pauline Beaufort-Spontin Rappresentante im Kinsky, Italia

Tel: +39 338 270 1034 Mail: beaufort@imkinsky.com

RS A E Y FILTRI INST AG

RAM D'ART

GIULIO ALVIGINI MARA OSCAR CASSIANI

SOFIA BRAGA

FEDERICA DI PIETRANTONIO

CLUSTERDUCK

Ogni due settimane un nuovo filtro Sul profilo Instagram di Artribune GIOVANNI FREDI

KAMILIA KARD

CHIARA PASSA

MARTINA MENEGON

VALERIO VENERUSO

#ARTRIBUNE10

ISTA


24


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.