Grandi Mostre #30

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30 KLEE/LUGANO • POMPEI/BOLOGNA NAUMAN/MILANO • BASQUIAT/VIENNA

I mondi disegnati di Paul Klee

La grandezza di Paul Klee (Münc henbuchsee, 1879 – Muralto, 1940), e di pochi altri artisti come lui, sta nell’a vere ricodificato il mondo secondo un alfa beto personale ma credibile, in qualche modo oggettivo. Il suo segno è sì libero al massimo grado, ma allo stesso tempo risponde a un si stema completo e determinato, che trascrive la realtà trasfigurandola senza per questo tra dirla né scadere nel lirismo o nell’onirismo.

Una dimostrazione efficace di tutto que sto si trova nella mostra che il MASI dedica al grande artista attingendo da una sola, preziosa collezione: quella di Jorge Helft, nato nel 1934 e protagonista di una vita vissuta sotto il segno dell’arte, e della moglie Sylvie, musicista spo sata nel 2002. In mostra, settanta esemplari tra disegni, acquerelli e incisioni offrono una coinvolgente immersione nell’universo sui ge neris creato da Klee.

Circa 70 le opere di Klee presenti nella collezione Helft, tutte in mostra a Lugano

Filone numericamente massiccio e per niente minore, il disegno è parte fondamentale della sua produzione e influenza anche le opere realizzate con altre tecniche. Le sue composi zioni su carta, che hanno la leggerezza e la no bile disinvoltura degli appunti, sono in realtà mondi compiuti e definitivi, condensazioni di piani spaziali e temporali, di descrizione razio nale e di alterazione anarchica delle coordi nate abituali. L’ampiezza della raccolta dei co niugi Helft, che non si concentra solo su Klee ma trova in lui uno dei suoi punti forti, consente una lettura complessiva della sua parabola cre ativa, dal 1914 alla prematura scomparsa. L’al lestimento, ben studiato dalle curatrici France sca Bernasconi e Arianna Quaglio, chiama a una lettura intima dell’opera, riunendo tutti i lavori in un’unica stanza che è fitta ma ariosa – come la poetica che contiene.

I TEMI DELLA MOSTRA DI KLEE A LUGANO

La suddivisione tematica è rigorosa ma ela stica, con poca soluzione di continuità, tanto da far cogliere al primo sguardo come il pro getto di Klee non sia episodico ma “totale” sin dall’inizio e coerente anche quando, negli ul timi anni, la malattia rivoluziona il mondo per sonale dell’artista. Sfilano via via e si interse cano, dunque, le sette sezioni dedicate al tema della natura (descritto come un regno ambi

2 i volumi nei quali Jorge Helft ha raccontato la sua storia di collezionista

guo, accogliente eppure insidioso), al periodo tra le due guerre (con esperienze decisive come quella del Bauhaus), alla figura umana e animale (l’idea di ibrido e di metamorfosi è qui all’ordine del giorno), agli spunti narrativi (accennati, aleatori ma suggestivi e stimo lanti), alle arti performative (esplorate da Klee

a livello “filosofico”, oltre che concreto), al periodo ultimo e alle pubblicazioni d’artista (qui compaiono anche creazioni di altri artisti dello stesso periodo).

Non esistono generi, né categorie, nei fogli di Klee. Una figura come La strega con il pet tine (1922), ad esempio, è assieme ritratto, ca ricatura, astrazione parziale di figura, disegno veloce eppure maestoso e ragionato, defini tivo. La geometria del corpo risente di quella del mondo e allo stesso tempo la influenza: lo stesso avviene anche in un’opera coeva come Giochi d’acqua (sempre del 1922) e, in modo diverso, in un acquerello come Esperienza

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IN APERTURA / PAUL KLEE / LUGANO

crudele del 1933. Qui la temperatura emotiva della situazione accennata risiede nella forma stessa delle linee, nelle direttrici esili eppure as solute del segno.

KLEE AL LAC DI LUGANO: PROSPETTIVE IBRIDE

L’altra stanza dei fantasmi (1925), una delle opere più rappresentative dell’intera mostra, vive dal canto suo di una compenetrazione to tale di aspetti psicologici e concreti, di simbolo e presenza effettiva, di prospettive credibili e mentali. Illustrazione, del 1928, è un ottimo esempio di come il “ricamo” del segno dell’ar tista non punti al realismo ma, anzi, produca accenni di metamorfosi nelle fattezze dei per sonaggi che sono umani e mostruosi, animali e “minerali” (tutto il vivente si manifesta in Klee senza soluzione di continuità, nella sua dimen sione innata e in quella sociale). In un lavoro come Cattiva mami, del 1939, si evidenzia poi come negli ultimi anni la struttura dell’universo delineato dall’artista sia ancor più paradossale e radicale, regolata da un rimescolamento delle direttrici spaziali che corrisponde anche a una libertà assoluta e definitiva.

negativo, in controluce. Qualsiasi spunto è per lui utile a una trasfigurazione dell’esistente, dal corpo (umano e animale) al paesaggio, dall’o rografia alla musica e al teatro: una lettura del mondo utopica al massimo grado ma capace di spazzare via qualunque scetticismo grazie alla massima coerenza interna. Perché la sti lizzazione non riassume l’esistente ma lo am plifica, lo incarna, gli restituisce complessità e profondità.

mascherarne nemmeno gli aspetti grotteschi, tragici, insensati. La sua è un’opera che è anco rata nello spirito della sua epoca (dunque per niente impolitica), e allo stesso tempo lo tra scende – motivo per cui ci parla ancora oggi con un’intensità che pochissimi altri nomi del Novecento possono vantare.

Sono solo alcuni esempi di una mostra non facilmente raccontabile, perché ogni foglio apre prospettive che meriterebbero un’espe rienza prolungata e attenta, impegnativa an che dal punto di vista ottico non solo per le dimensioni ridotte delle opere ma anche per ché l’eloquenza di Klee gioca in sottrazione, in

fino all’8 gennaio 2023

PAUL KLEE LA COLLEZIONE SYLVIE E JORGE HELFT

a cura di Francesca Bernasconi e Arianna Quaglio

Catalogo Casagrande

MASI

Piazza Bernardino Luini 6 – Lugano masilugano.ch

a sinistra: Paul Klee, La strega con il pettine 1922, litografia. Collezione privata © Nicolas Borel

a destra: Paul Klee, L’altra stanza dei fantasmi (nuova versione), 1925, disegno a ricalco a olio e acquerello su carta su cartone.

Collezione privata © Nicolas Borel

IL SENSE OF HUMOUR DI KLEE

Quel che continua a sorprendere in un pro getto così ambizioso come quello di Klee, an che a distanza di decenni, è il fine sense of hu mour che contraddistingue le sue opere – ca ratteristica particolarmente evidente nei fogli esposti al MASI. L’estrema capacità di sintesi strappa un sorriso perché dà vita al paradosso di un mondo intero riassunto in pochi tratti; la consapevolezza amara e divertita della va nità delle ambizioni umane impregna di sé ogni tratto; la capacità di giocare contemporane amente con codici alti e bassi fa il resto. E l’i ronica sintesi permane e diventa in un certo senso “eroica” nell’ul timo periodo, quando Klee affronta il proprio decadimento fisico e le sue opere diventano ancor più crude, quasi primitiviste, ma non smentiscono la volontà di farsi beffe della solen nità del mondo aprendo altre prospettive, più na scoste e più vere.

UNA REALTÀ PIÙ VERA

“L’arte non ripro duce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è” è la citazione più ricor rente di Klee. Una mo stra come quella di Lu gano sottolinea ancora una volta come ciò non vada inteso in senso spiritualista né trascen dentale, né tantomeno poetico-lirico. Riscri vere la realtà significa per Klee rivelarla senza

Con la mostra di Klee il MASI conferma la vali dità delle sue proposte, di alto livello ma dal taglio non scontato. Da non perdere è anche la mostra sulle Poesie industriali di Marcel Broodthaers al lestita fino all’11 novembre, così come la retro spettiva di Pietro Roccasalva nell’adiacente Col lezione Olgiati fino al 18 dicembre.

14 anni di direzione da parte di Jorge Helft della Fundación San Telmo di Buenos Aires, con 97 mostre, 683 concerti, 25 conferenze

160 le mostre ideate o supervisionate sino a oggi da Jorge Helft
20 gli anni di matrimonio tra Jorge e Sylvie Helft, musicista e cantante
2.000 le opere acquistate da Jorge Helft nel corso di sessant’anni
18 gli anni di lavoro di Jorge Helft nell’esportazione dei cereali, prima di dedicarsi all’arte a tempo pieno
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IN APERTURA / PAUL KLEE / LUGANO

U Pompei e la pittura

n solo nome, quello di Lucius, si è tra mandato a rappresentare l’intera ca tegoria dei pittori che per secoli si impegnarono nella decorazione delle case pompeiane. Una firma peraltro apposta vicino a opere mediocri e che allo stato attuale delle ricerche non racconta nient’altro di colui che le realizzò. Questo piccolo mistero è uno dei tanti relativi al vasto apparato pittorico rin venuto nella città vesuviana e giunto fino a noi, e può essere assurto a simbolo di un tema ben più ampio, quello dei pittori di Pompei: a loro il Museo Archeologico di Bologna dedica una mostra allestita con circa un centinaio di dipinti e oggetti (alcuni esposti per la prima volta) pro venienti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e dai suoi depositi.

Parrebbe originale la scelta caduta sulla città felsinea per portare alla fruizione del pub blico gli affreschi di Pompei, Ercolano e Bosco reale, e invece il legame tra i due territori è più stretto di quanto non si immagini. A fare da trait d’union sta infatti la figura di Edoardo Bri zio, primo direttore del museo bolognese: nato in Piemonte, dal 1868 studiò nella Prima Scuola Archeologica Italiana che aveva sede proprio a Pompei. Terminata la permanenza all’ombra del Vesuvio, Brizio giunse a Bologna, assumendo poi l’incarico di riorganizzare scientificamente la sezione archeologica del museo, che venne inaugurato il 25 settembre 1881. Inoltre, pre cisa il curatore Mario Grimaldi in un’intervista rilasciata ad Artribune, Brizio fu presente du rante lo scavo della casa di Gavio Rufo, i cui di pinti sono esposti in mostra:

“È una sorta di cerchio che si chiude. La do mus è un ambiente meraviglioso con tre af freschi che hanno al centro il tema di Apollo in trono e Teseo liberatore. In queste opere si ri conosce benissimo la mano del pittore che, pur usando modelli noti e ripetuti, manifesta caratteristiche ben riconoscibili, come l’atten zione alle nature morte e i mantelli rossi con bordo azzurro”.

UNA NUOVA INTERPRETAZIONE

Ecco allora che, per andare oltre l’interpre tazione della pittura pompeiana in base ai ca nonici quattro “stili”, il progetto cerca di dare possibili risposte a questioni del tipo: chi erano i pittori di Pompei? Quali le loro le personalità, il ruolo sociale, il rapporto con i committenti, il loro status economico? Una missione nient’af fatto facile, visto che le testimonianze sono rare, ma senza dubbio di grande fascino. Natu ralmente non si pretende di rintracciare i nomi veri e propri degli artisti, ma di delineare la loro

identità, di svelarne l’“anima” attraverso uno studio multidisciplinare che tiene in considera zione i dati chimici, i tipi di materiali, lo stile, le condizioni giuridiche ed economiche.

Innanzitutto ci si deve chiedere come mai, in epoca romana, il pittore non utilizzava il suo lavoro come definizione sociale, tanto che la pittura pompeiana viene spesso definita come “arte senza maestri”. Grimaldi spiega: “L’as senza di attestazioni di autodefinizione e di firme (frequenti al contrario tra copisti e scul tores) è legata evidentemente a ciò che Plinio definisce ‘diminutio’ della pittura su parete. Si sono invece tramandati vari nomi di pittori da cavalletto che, sempre sulla base di ciò che scrive Plinio, godevano di maggior dignità. A conferma si aggiunge che non esistono ritratti di pittori al lavoro su pareti, mentre c’è qualche esempio che raffigura dei pittori da cavalletto”.

LA MOSTRA A BOLOGNA

La mostra si apre con un divertente focus sui falsi d’autore realizzati in contemporanea ai primi scavi a Pompei e che documentano la grande fortuna che ebbero da subito gli anti chi dipinti. Ampio spazio viene dedicato ai “re pertori”, come spiega Grimaldi: “Esponiamo

#3078 GRANDI CLASSICI / POMPEI / BOLOGNA
dal 23 settembre al 19 marzo 2023 I PITTORI DI POMPEI a cura di Mario Grimaldi catalogo MondoMostre MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO Via dell’Archiginnasio 2 – Bologna ipittoridipompei.it in alto: Figura femminile, Pompei, VI, 9, 2-13, Casa di Meleagro, tablino (8), parete est, registro superiore, I secolo d.C. – IV stile, stucco, affresco, 178 x 188 cm. MANN, inv. 9595 a destra: Filosofo con Macedonia e Persia, Boscoreale, Villa di Fannio Sinistore, oecus (H), parete ovest, I secolo a.C. – II stile, affresco, 240 x 345 cm. MANN, Inv. s.n. inv. 906

affreschi raffiguranti lo stesso tema ma realiz zati da pittori diversi, in modo da aiutare il visi tatore a comprendere le affinità e le differenze che consentono di attribuire le opere a diversi artefici”. Si indagano inoltre le tematiche di maggior successo nei vari periodi, dalle storie e personaggi tratti dai poemi omerici alle raffigu razioni degli amori tra divinità ed eroi, e poi all’u tilizzo di scenografie architettoniche e all’inse rimento delle nature morte. Ad esempio, pro segue il curatore, “il soggetto di Ercole e Onfale piace moltissimo in età neroniana poiché è em blema dell’eroe vinto dalla musica, dall’amore e da Dioniso. Nel dipinto rinvenuto nella casa di Marco Lucrezio il pittore si supera con un det taglio mai evidenziato: ha messo delle pennel late di bianco sopra ogni foro del flauto vicino all’orecchio di Ercole, in modo da rappresen tare visivamente il suono che scaturisce dallo strumento”. Si portano inoltre all’attenzione dei visitatori i modelli greci, che di frequente si contaminavano con i linguaggi contemporanei e locali, e si approfondisce il rapporto tra dise gni e modelli. Interessantissima pure l’indagine sull’invenzione ellenistica delle figure delle Tre Grazie, che non hanno ancora smesso di espri mere la loro forza estetica ed evocativa.

COME LAVORAVANO I PITTORI A POMPEI

A illustrare le tecniche e i colori si espongono gli strumenti, comprese alcune ciotole colme di pigmenti e delle monete. Oltre a far compren dere come lavoravano i pictores, grazie a questi oggetti emerge la questione economica: i co lori potevano essere pagati dal committente o dal pittore e quest’ultimo, al momento dell’ac quisto, assumeva un certo potere contrattuale e di gestione del denaro. La qualità dei pigmenti, la scelta della tipologia e la varietà cromatica ci dicono molto sulla maggior o minore ricchezza delle città e dei proprietari delle case.

Infine, la sezione dei contesti, forse la più affascinante. La grande sorpresa della mostra bolognese è la ricostruzione di alcuni am bienti che danno l’impressione di trovarsi dav vero all’interno delle ricche domus vesuviane, comprendendo allo stesso tempo la stretta relazione tra architettura e decorazione. Dalla casa di Giasone provengono straordinari af freschi che evidenziano come i dipinti te nessero in considerazione l’illuminazione re ale delle antiche stanze; di particolare rilievo è pure la ricomposizione degli affreschi della casa di Meleagro, che si caratterizzano per un segno innovativo, con i registri superiori costi tuiti da un mix di stucco e pittura.

La storia di Pompei, come è ben noto, ter minò nel 79 d.C., “ma la pittura continuò a vi vere, e per osservare l’evoluzione della deco razione parietale romana dopo la violenta eruzione del Vesuvio, basta recarsi a Ostia o Roma”, conclude Grimaldi, invitandoci a per correre altre tappe della timeline della decora zione parietale antica.

LE TECNICHE DI PITTURA

Per introdurre l’argomento relativo alle modalità operative dei pittori romani, John R. Clarke – professore all’Università del Texas e autore di un testo su questo tema in catalogo – prende in esame un frammento di intonaco della Villa A di Oplontis in cui si notano le linee della qua drettatura in ocra rossa, chiara dimostrazione che i decoratori tracciavano una “griglia” con il filo a piombo e la squadra in modo da poter replicare in scala un modello, probabilmente pro prio quello scelto dal committente. Sullo stesso frammento compaiono anche dei bozzetti architettonici che si ritrovano poi dipinti in altre sale del medesimo edificio. Ma quali potevano essere le fonti di queste immagini, costituite anche da figure o gruppi di figure? Lo studioso ne identifica quattro: una sorta di libro di modelli contenente tutti i dettagli di un particolare di pinto; un libro con i soli contorni di figure e sfondi; o ancora con schizzi di singole figure o sem plici gruppi; infine, a memoria. Quadrettature, bozzetti, sinopie, libri di disegni: tutti fattori che i pittori hanno utilizzato non solo in epoca romana ma fino a tempi assai recenti.

Il prezzo dei pigmenti in età romana, noto grazie alla testimonianza di Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (I secolo d.C.), poteva variare considerevolmente a seconda della loro disponibilità, dei costi di estrazione o produzione, del trasporto e della purezza.

Per un confronto, nello stesso periodo un soldato romano guadagnava circa 10 asses al giorno, mentre mezzo litro di vino costava da 2 a 4,5 asses.

Ocra rossa (rubrica) e giallo ocra (sil/ochra): 6-32 asses

Cinabro (minium): 280 asses (prezzo massimo)

Blu egiziano (caeruleum Aegyptium): 128 asses-176 asses

Varietà economica di blu egiziano (tritum): 5 asses

Porpora (purpurissum, prodotta con murex): 16-480 asses

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Le ossessioni di Bruce Nauman

#3080 DIETRO LE QUINTE / BRUCE NAUMAN / MILANO

Prende il via dagli interventi realizzati alla fine degli Anni Sessanta del secolo scorso la mostra che ripercorre la car riera di Bruce Nauman (Fort Wayne, 1941) in 30 opere, negli ambienti di Pirelli HangarBicocca a Milano. Organizzata insieme alla Tate Modern di Londra e allo Stedelijk Museum di Amster dam, dove ha già fatto tappa, Neons Corridors Rooms include una sezione aggiuntiva, incen trata sui lavori più iconici di Nauman, in prestito da raccolte pubbliche e private internazionali.

Abbiamo chiesto a Roberta Tenconi, cura trice della mostra con Vicente Todolí, Andrea Lissoni, Nicholas Serota, Leontine Coelewij, Martijn van Nieuwenhuyzen e Katy Wandi, di chiarire i temi cardine della maxi retrospettiva milanese, che trova il suo punto di ancoraggio nella ricerca spaziale di Nauman.

Come sono affrontati in mostra i temi chiave della poetica di Nauman?

Il primo lavoro, che apre la mostra e ne è genesi, il video Walk with contrapposto, rea lizzato tra gli Anni Sessanta e Settanta, mette l’accento sul significato di fare arte. Nauman usava se stesso come materia: in un modo di fare ricerca molto attuale, analizzava ciò che faceva in studio approfondendo gesti e azioni apparentemente banali e quotidiani che, gra zie a piccoli interventi su tempo e durata, di ventavano astratti. In questo caso, camminava avanti e indietro in un corridoio di 50 centimetri all’interno del suo studio: lo spazio angusto lo costringe alla posizione del contrapposto, tra sformando il corridoio in una prop.

Il corridoio stesso a un certo punto diventa opera d’arte e non più accessorio del video. Come accade?

Questo accade l’anno successivo alla re alizzazione del video, su invito e suggestione di Marcia Tucker, curatrice che allora lavorava al Whitney e poi ha fondato il New Museum di New York: un passaggio fondamentale, che rap presenta lo scarto tra Nauman come oggetto e come soggetto e passa la palla allo spettatore. Non ci sono indicazioni, il corridoio è voluta mente ambiguo: dato che la struttura è ridotta e claustrofobica, si può a malapena camminare avanti e indietro, ed è l’unica interazione possi bile. Quando si decide di percorrerlo, si diventa soggetto e oggetto dell’opera, dato che si è os servati dagli altri. Con il tempo Nauman porta l’analisi dentro spazi e architetture più com plessi: i corridoi diventano ancora più lunghi e stretti, con forme a cuneo e a v, sono intro dotti elementi che contribuiscono all’intensità, come la luce fluorescente verde e gialla.

Questo rientra nella provocazione e nel disa gio che Nauman cerca di stimolare nello spettatore.

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fino al 26 febbraio 2023 BRUCE NAUMAN NEONS CORRIDORS ROOMS a cura di Roberta Tenconi e Vicente Todolí Catalogo Marsilio PIRELLI HANGARBICOCCA Via Chiese 2 – Milano pirellihangarbicocca.org a sinistra: Bruce Nauman, One Hundred Live and Die, 1984. Collection Benesse Holdings, Inc/ Benesse House Museum, Naoshima © 2022 Bruce Nauman / SIAE. Courtesy Sperone Westwater, New York in alto: Bruce Nauman nel suo studio a Pasadena, California, 1970 ca. Courtesy Museum of Contemporary Art San Diego e Frank J. Thomas Archives. Foto Frank J. Thomas

Sì, sceglie sempre colori e forme disturbanti: con i triangoli crea una diffusa sensazione di op pressione, a cui contribuiscono anche la dicoto mia tra l’esterno e l’interno dei corridoi – fabbri cazione grezza fuori e superfici immacolate e perfette dentro – e lo sdoppiamento dell’imma gine con gli specchi, le registrazioni con video camere a circuito chiuso che hanno un delay o una prospettiva straniante. Nauman introduce cambiamenti nella realtà che mettono a disa gio e sotto stress la percezione, come metodo di riflessione sulla posizione nello spazio, oltre a ragionare sulla privacy e sull’antitesi tra spazio privato e pubblico.

Quali sono le novità introdotte dalla mostra all’HangarBicocca rispetto alle altre mostre dedicate a Nauman?

È la prima volta che sono esposti così tanti corridoi e stanze. Con la ricostruzione dei lavori storici, riusciamo anche a far riemergere il ruolo di Milano, dell’Italia e dell’Europa per Nauman e

il suo lavoro, che qui veniva capito di più in con fronto agli Stati Uniti. E poi per la prima volta abbiamo ricostruito un corridoio presentato alla Galleria Françoise Lambert di Milano nel ‘71, Funnel piece. C’è l’ambizione di dire qualcosa di nuovo, di raccontare in modo compiuto questo aspetto del suo lavoro, meno oggetto di studi in mostre specifiche. Tutto questo è stato reso possibile anche perché l’Hangar ha risorse ma teriali e spazi rari: persino nei nostri 5.500 metri quadrati i corridoi non ci stavano tutti!

A chi vi siete appoggiati per questa grande ricerca?

Dietro la ricostruzione di ogni opera c’è un dialogo lunghissimo, perché va coinvolto lo stu dio di Nauman per non travisare l’opera. È stato fondamentale il lavoro della Panza Collection Initiative che va avanti da dieci anni al Gug genheim. Seguendo tutte le indicazioni, il pro getto dell’Hangar finisce per essere anche con servativo: abbiamo ricostruito ciò che rende

Bruce Nauman, The True Artist Helps the World by Revealing Mystic Truths (Window or Wall Sign), 1967. Kunstmuseum Basel © 2022 Bruce Nauman / SIAE. Courtesy Sperone Westwater, New York
#3082 DIETRO LE QUINTE / BRUCE NAUMAN / MILANO

CAPIRE BRUCE NAUMAN IN 10 DATE

The True Artist Helps the World by Revealing Mystic Truths

I primi grandi neon, forse una risposta alla Pop Art

1969

Il primo corridoio, Performance corridor. Si rafforza il contrasto tra l’esperienza percettiva e quella fisica

I corridoi si evolvono includendo colori inquietanti, specchi e monitor

1983 Musical Chair

Nauman inserisce nelle sue opere i temi dell’esclusione e della violenza

1993 1995

Fa tappa a Madrid, Los Angeles, New York e Zurigo una delle sue mostre più importanti

NAUMAN E IL LINGUAGGIO DELL’ARTE

Mapping the studio II with color shift, flip, flop, & flip/flop Documentazioni-video notturne con al centro il corpo dell’artista

2001

2004

Raw Materials. Un paesaggio sonoro con testi presi da altre opere

Provando in qualche modo a sempli ficare, e chiedendo venia per la metafora, l’arte contemporanea può essere immagi nata come una lingua di non semplice in tuizione, fondata su fonemi e sintassi in continua evoluzione, perché gran parte dei discorsi realizzati nella lingua dell’arte contemporanea sono proprio volti a cam biare i fonemi e le sintassi su cui tale lingua si fonda. In tal senso, quindi, apprendere la lingua dell’arte contemporanea non è limi tarsi a conoscere il linguaggio di un dato artista, o essere presente agli eventi mon dani. Vuol dire confrontarsi ogni volta con dialetti differenti, i quali, una volta appresi, inducono a nuove prospettive che si risol vono in nuove potenziali interpretazioni della propria realtà, umana e sociale.

Nauman rappresenta gli Stati Uniti alla 53. Biennale Arte di Venezia e vince il Leone d’Oro

2009

2018

Allo Schaulager di Basilea inaugura una delle retrospettive più complete su Nauman

La mostra Contrapposto Studies a Punta della Dogana a Venezia

2021

l’opera originale. Fortunatamente, Nauman ha sempre dato molta libertà, poiché i corridoi possono variare in relazione al luogo. Poi, per il catalogo sono stati chiamati studiosi e istitu zioni come la grande Joan Simon, che ha notato come “di fatto lo spazio stesso delle navate diventa un grande corridoio”: questo contri buisce a creare un percorso di mostra insolito che genera un loop nella visita, una “ossessione Nauman” che costringe a rivivere le opere con lo stesso spirito ossessivo che è sotteso a esse.

Come si struttura la mostra?

Le opere non sono esposte in ordine cro nologico ma secondo affinità tematiche e per serie. L’apertura è affidata all’opera-emblema Dream passage with four corridors, nata da un sogno di Nauman di trovarsi in un corridoio a croce con delle porte che danno all’esterno: da questo mutua un aspetto mentale e onirico.

Poi ci sono le serie di opere Tunnel, il calco sini stro del suo corpo in neon e un’opera con il suo nome tutto stirato in verticale, come se fosse scritto sulla Luna. Nauman ha studiato mate matica, musica ed è da sempre interessato al linguaggio, al punto che le opere sono spesso associate a poesie scritte da lui. The True Ar tist Helps the World by Revealing Mystic Truths e Musical chair sono poi tra il giocoso e il se rio, uno dei motivi della grandezza di Nauman. Lo spazio è suddiviso in modo tale che da un lato ci siano i neon che punteggiano la mostra, dall’altro i corridoi e all’esterno siano esposti i Raw Materials, che consistono in un corridoio virtuale con 21 tracce audio (lette dall’artista e attori, performer...): queste riproducono lavori precedenti di Nauman o trascrizioni di testi col legati, il tutto in uno spazio apparentemente vuoto che viene riempito dalle voci. Sicura mente è una mostra molto intensa.

Bisogna tuttavia considerare che, se da un lato l’arte contemporanea indub biamente affascina nella sua concezione astratta, dall’altro risulta respingente per moltissime persone. Come tutte le lingue, però, anche l’arte contemporanea si ap prende: in principio facendone esperienza diretta, poi studiandone la grammatica. È in questo meccanismo che va ricercata la vera ragion d’essere di spazi culturali di ri cerca, che siano in grado di proiettare fisi camente appassionati e neofiti all’interno dei linguaggi degli artisti contemporanei.

Mostre come quella su Nauman al Pi relli HangarBicocca, ad esempio, possono giocare un ruolo centrale nel progressivo avvicinamento tra arte contemporanea e società civile. Un avvicinamento che deve tener conto di molteplici fattori, tra i quali, come una buona parte della storia dell’arte conferma, lo stupore. Nel nostro Paese sono poche le strutture realmente in grado di perseguire anche fisicamente questo obiettivo. Non tutte le città d’Italia hanno un HangarBicocca a propria disposizione.

Spazi e mostre come questi potrebbero agevolare il rapporto tra arte contempora nea e cittadinanza, ma richiedono una con sapevolezza politica che, in molti dei nostri territori, è ancora colposamente assente.

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1967
1970

Vienna riparte da Jean-Michel Basquiat

#3084 OLTRECONFINE / BASQUIAT / VIENNA

Altro che Raffaello, Parmigianino, Rim baud, “geni adolescenti” morti a tren tasette anni! Il mattino del 12 agosto 1988, Jean-Michel Basquiat, artista statuni tense d’origine haitiano-portoricana, entrerà ventisettenne nel regno degli inferi, quell’abisso con cui aveva già familiarizzato in vita, grazie a cocktail micidiali di droghe, abuso d’alcool, ec cessi irrefrenabili da personaggio talentuoso e maudit.

Nato a Brooklyn nel 1960, non proviene da un ambiente familiare povero ed emarginato, ma il suo linguaggio pittorico, apparentemente infantile, è ugualmente in rivolta contro le di scriminazioni razziali e gli odiosi fenomeni di segregazione sociale. C’è anche dell’altro che lo anima rabbiosamente, ed è la smania del suc cesso personale, del riconoscimento, del gua dagno immediato, del sapersi districare nei circoli elitari dei “bianchi”, il Club 57, il Mudd Club. Dotato di un intuito pungente e sottile, il suo momento viene presto, passando dal graf fitismo da “ragazzaccio” di strada, firmato SAMO©, ai dipinti per gallerie e per un pubblico colto e alla moda, con accesso privilegiato alla Factory di Warhol.

BASQUIAT ALL’ALBERTINA

DI VIENNA

Sono una cinquantina le opere in mostra nell’ambito di Basquiat. Of Symbols and Signs per entrare nel mondo incandescente dell’ar tista, in cui non manca uno dei suoi pezzi “da urlo”, un Self-portrait (1983), il proprio viso ri dotto a una maschera nera, una sagoma tri bale con occhi scavati e capelli annodati in aria, i tipici dreadlock da afroamericano. Lui stesso, dunque, si autorappresenta come emblema di una alterità culturale, potenziale vittima di odio razziale e di discriminazione. Invece, in un Un titled (1982), al centro del dipinto c’è un uomo nero con braccia alzate, pronte a protestare o combattere. Il personaggio ha in testa una co rona, uno dei motivi centrali e più simbolici dell’opera di Basquiat. In altri dipinti Basquiat raffigura una delle icone per lui più significa tive, ovvero “il pugile” di etnia afroamericana, un eroe contemporaneo, come Jack Johnson che fu il primo campione mondiale nero dei pesi massimi. Oppure un Muhammad Ali, il più grande di tutti.

PAROLA ALLA CURATRICE ANTONIA HOERSCHELMANN

Questa retrospettiva su Basquiat sembra dare al pubblico le coordinate per comprenderne meglio il talento. Mi riferisco al titolo che cita esplicitamente “simboli e segni”.

Le immagini altamente simboliche di Ba squiat riprendono spesso temi politici, criti cando razzismo, ingiustizia sociale, capita lismo. Le composizioni si contrappongono a gerarchie e convenzioni, traendo invece

ispirazione dai cartoni animati, dai disegni per bambini e dalla pubblicità, e attingendo dalle origini haitiane e portoricane dell’artista. Il quale fa convergere pure miti afroamericani o azte chi con temi classici e con eroi contemporanei, come atleti e musicisti.

L’artista è attivo tra la fine degli Anni Settanta e il 1988, anno della sua morte. In che modo tra duce in opere d’arte il proprio tempo?

Io direi che Basquiat oltrepassa il suo tempo. Data la molteplicità delle fonti d’ispi razione, e l’uso indifferenziato dei singoli ele menti, lui interpreta esemplarmente il modo in cui il Postmoderno tratta la storia e la con temporaneità. Se alla fine degli Anni Settanta, in quei suoi lavori siglati SAMO© insieme all’a mico Al Diaz, talvolta la scrittura sostituisce l’immagine e le singole lettere alfabetiche di ventano il soggetto del quadro, poi, dall’inizio degli Anni Ottanta, resosi autonomo, la rete dei significanti e dei contenuti si infittisce.

In una metropoli come New York, piena di “aspiranti” al successo artistico, ecco emergere Basquiat, giovanissimo, origini afro-carai biche. Qual è, secondo te, il fattore che ha gio cato a suo favore?

La sua ambizione e la spinta alla ricerca del grande successo lo pongono rapidamente a contatto con protagonisti influenti, che incon tra nei luoghi di culto della scena underground, anche musicale. Fa conoscenza di persone im portanti, soprattutto galleristi, come lo svizzero Bruno Bischofberger o Larry Gagosian e Mary Boone.

Tu, avendo toccato letteralmente con mano le sue opere, hai provato un senso di empatia?

Mi ha sedotto la sua capacità di cogliere i fenomeni in modo così rapido e intenso, incre dibile per un giovane della sua età. Trasferisce nella sua tessitura, musica, letteratura, storia dell’arte e della cultura, o anche argomenti di attualità socio-politica.

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fino all’8 gennaio 2023 BASQUIAT OF SYMBOLS AND SIGNS a cura di Dieter Buchhart e Antonia Hoer schelmann catalogo Prestel ALBERTINA MUSEUM Albertinaplatz 1 – Vienna albertina.at Jean-Michel Basquiat, Untitled, 1982. Collection Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam. Photo Studio Tromp © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York

Quindi hai una definizione particolare da dare della sua personalità e del suo stile?

La personalità e lo stile? Più che mai li colgo nella sua straordinaria indipendenza.

L’opera figurativa di Basquiat ci appare un laboratorio di segni. Come evolve negli anni questo suo linguaggio?

Nelle opere “tarde” riduce gli elementi figu rativi, e il colore assume un ruolo dominante. Così, mentre certi elementi cadono nel dimen ticatoio, altri entrano in gioco, ma la sua calli grafia rimane la stessa fino alla morte.

Probabilmente, un grande impulso alla sua notorietà lo ha ricevuto dalla partecipazione alla documenta 7 di Kassel, nel 1982: come ha fatto ad arrivarci?

Nel marzo 1982, ancora ventunenne, Ba squiat ha la sua prima personale in America alla galleria di Annina Nosei, riscuotendo un enorme successo. Molto positive le valutazioni di riviste influenti come Art in America e Flash Art. È probabilmente per questo che Rudi Fu chs, direttore della documenta 7, lo ha scelto, vedendolo rappresentare una posizione pitto rica fuori dalla norma.

L’amicizia con Andy Warhol arriva fino al fatto straordinario di dipingere insieme sulle mede sime tele. Quanto è stato influente questo legame per Basquiat?

Nel 1982, quando Basquiat incontra per la prima volta il suo idolo Andy Warhol, è proprio il pioniere della Pop Art a rimanere colpito dal suo dinamismo, dalla giovinezza esuberante, da quella sua frizzante energia. Warhol ne in coraggiò la rapida ascesa sulla scena artistica newyorkese. Fu poi Bruno Bischofberger ad aver sostenuto il lavoro delle “opere congiunte”, in un primo tempo anche con Francesco Cle mente. A un certo punto Jean-Michel comincia a distaccarsi dal suo mentore; eppure, nel 1987, la morte di Warhol provocò in Basquiat una pro fonda depressione.

Ancora giovanissimo, il crollo. Secondo alcuni commentatori, Basquiat si è rifugiato sempre più nei suoi eccessi di droga e alcool quando ha cominciato ad avere dubbi sulla sua vena creativa.

Il dubbio su se stesso ha accompagnato Ba squiat per tutta la vita.

Oggi, in riferimento al collezionismo, quale considerazione si può fare?

Basquiat è uno dei grandi della storia dell’arte! Dopo gli anni dell’astrazione, del mi nimalismo, dell’arte concettuale, è uno dei pio nieri nel recupero della pittura figurativa. Oggi è, con Jeff Koons, l’artista più costoso del nostro tempo. Nel 2021 con il solo Basquiat le princi pali case d’asta hanno fatturato 267 milioni di dollari. VIENNA

LA STORIA DI BASQUIAT IN 8 DATE

Nasce a Brooklyn il 22 dicembre 1976-77

Incontra Keith Haring e i due diventano amici stretti

1960

Incontra il writer Al Diaz e collabora con lui usando lo pseudonimo SAMO©

1979

1981

Viaggia per la prima volta in Europa e tiene la sua prima personale alla Galleria d’Arte Emilio Mazzoli di Modena

È il più giovane fra i 176 artisti di documenta 7 a Kassel

1982

1983 Partecipa alla mostra Expressive Painting After Picasso alla Fondation Beyeler di Basilea

Finisce sulla copertina del New York Times Magazine

1985

1988 Muore il 12 agosto per overdose

BASQUIAT, KING OF EXHIBITIONS

Il successo lo baciò presto, lui se lo poté godere poco, ma dopo la sua precoce scom parsa hanno continuato a beneficiarne le sue opere, che ancora oggi sono vendute a prezzi stratosferici. La prova che il mito di Jean-Mi chel Basquiat è più inossidabile che mai ci viene anche dal fronte espositivo: mentre l’Albertina gli consacra un’ampia retrospet tiva, sull’altra sponda dell’Atlantico si moltipli cano le rassegne dedicate all’artista.

La Nahmad Contemporary Gallery di Manhattan ha proposto, tra aprile e giugno di quest’anno, Jean-Michel Basquiat: Art and Objecthood, mostra che metteva l’accento sui materiali poco convenzionali (porte, fri goriferi, caschi da football americano) usati come supporti dal pittore. Un vero terremoto ha provocato la mostra Heroes and Monsters dell’Orlando Museum of Art, in Florida: 25 inediti “Basquiat” esposti in quell’occasione sono stati ritenuti dei falsi e sequestrati, lo scorso 24 giugno, dall’FBI; lo scandalo ha quindi portato alle dimissioni dei vertici del museo e alla cancellazione delle altre (discu tibili) mostre in programma.

Opere di sicura autenticità sono invece quelle esposte nella rassegna che si è aperta il 9 aprile allo Starrett-Lehigh Building di Chelsea, a New York: Jean-Michel Basquiat: King Pleasure propone infatti pezzi che

provengono dall’estate dell’artista, assieme a memorabilia di vario genere e a filmati e ri costruzioni che puntano a illuminare la bio grafia di Jean-Michel, prima ancora che la sua produzione artistica. Per molti versi, la rasse gna newyorchese sembra l’esatto opposto di quella in corso a Vienna: basti dire che, se quest’ultima è curata da due studiosi, l’altra è curata… dalle sorelle dell’artista! In ogni caso, King Pleasure è stata generalmente ben ac colta: molti sono i pezzi inediti e preziosa è la possibilità di conoscere meglio il lato umano di Basquiat. Non sono mancate tuttavia le critiche: sulla mancanza di un approccio più “specialistico” alle opere, sulla tendenza a edulcorare la vita familiare di Jean-Michel e a nascondere gli aspetti più bui della sua esi stenza (a cominciare dalla dipendenza dalle droghe, che gli fu fatale); sulla volontà della famiglia di fare soldi con la memoria (anche più intima) dell’artista (sia mediante un im ponente merchandising che con i biglietti non proprio economici, da 35 a 65 dollari).

C’è comunque chi in questo non vede nulla di male, specie se a trarne un vantaggio eco nomico non sono un gallerista o un collezioni sta che magari non hanno mai conosciuto Je an-Michel, ma membri della sua famiglia.

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ARTE PAESAGGIO

Affacciato sul fiume e circondato dal verde, il Do main de Chaumont-sur-Loire, con i suoi castello, bo schi, praterie e giardini, copre oltre 35 ettari nel pae saggio della Valle della Loira, in Francia, area classifi cata patrimonio mondiale dall’UNESCO.

Il Centro di Arte e Natura di Chaumont è un luogo unico per lo scambio culturale tra sfera artistica e progettazione di giardini. Aperto tutto l’anno, con oltre mezzo milione di visitatori, si presenta come un ampio parco in continua evoluzione. Le attività espositive si sviluppano intorno a due grandi eventi: il Festival Internazionale dei Giardini in primavera-e state e le mostre fotografiche di Chaumont-Pho to-sur-Loire che si svolgono in autunno-inverno. Tra i più importanti appuntamenti internazionali per la progettazione di giardini artistici, il festival di prima vera vede ogni anno la realizzazione di una serie di aree verdi ideate da venti autori selezionati con un bando. Oltre a paesaggisti e giardinieri, a entrare in dialogo sono urbanisti, designer, agronomi, sceno grafi, archeo-botanici e biologi.

Le opere valorizzano il bosco e le aree verdi di per tinenza del castello, celebrando l’infinita diversità di forme, materiali e possibilità derivate dalla natura. Il festival si pone come un laboratorio di innovazione per il garden design e di valorizzazione del territorio.

GLI ARTISTI DEL DOMAIN DE CHAUMONT-SUR-LOIRE

Ai giardini d’autore sono affiancate una serie di in stallazioni permanenti nel parco. Tra queste, le scul ture di Giuseppe Penone, che rivelano il suo rapporto ossessivo con alberi e rami; le opere con legni in trecciati di Patrick Dougherty; le sculture dedicate alla memoria del luogo di Anne e Patrick Poirier; l’in stallazione con rami sospesi di Cornelia Konrads; gli interventi di Tadashi Kawamata e quelli di molti al tri autori internazionali. Ogni anno, all’interno del ca stello, vengono inoltre allestite mostre di artisti che si occupano prevalentemente di botanica e am biente. Si possono vedere i capolavori naturali di Marinette Cueco con i suoi erbari; la biblioteca di piante creata dall’artista giapponese Makoto Azuma; le felci oniriche di Isa Barbier; i delicati cristalli di Léa Barbazanges che illuminano gli angoli in ombra delle sale del castello e del Fienile delle Api.

LA NOVITÀ: LE BOIS DES CHAMBRES

Estensione dell’utopia artistica sviluppata negli ul timi quindici anni al Domaine de Chaumont è Le Bois des Chambres Recentemente inaugurato, è un’an tica cascina concepita come un hotel artistico e na turale, in grado di mettere in comunicazione interno ed esterno grazie a visuali aperte. Ideato dallo studio di architettura Construire, l’hotel ospiterà sculture, installazioni e fotografie di artisti internazionali.

DOMAIN DE CHAUMONT-SURLOIRE domaine-chaumont.fr

ASTE E MERCATO

Il parco del Domain de Chaumont-sur-Loire.

Christina Quarles (Chicago, 1985) dipinge corpi, ri tratti di corpi non rappresentati come oggetti da os servare, quanto restituiti nella quantità di vita che li attraversa. “Tanto del mio lavoro riguarda momenti di intimità in cui esistiamo in tutte le nostre con traddizioni e complessità”, afferma l’artista. All’asta The Now di Sotheby’s lo scorso 19 maggio a New York è stata proprio lei la sorpresa e la rivelazione, in una serata che si è distinta per un’attenzione robusta alle artiste più giovani, le cui vendite in aggregato hanno raggiunto un fatturato di 28 milioni di dollari. L’energia in sala era palpabile sin dal primo lotto, Falling Woman (2020), di Anna Weyant. Aggiudicato a 1,6 milioni di dol lari da una stima ben più contenuta di 150mila dollari, è stato il primo di una lunga serie di record d’asta per diverse artiste i cui nomi risuonano negli ultimi mesi dalle sale room alle istituzioni dell’arte internazionali: Simone Leigh, Avery Singer, Jennifer Packer, Lucy Bull. E poi appunto, Christina Quarles, in catalogo da Sotheby’s con Night Fell Upon Us (Up On Us) del 2019.

MERCATO E DIVARIO DI GENERE

In un articolo apparso lo scorso 2 agosto sul Guar dian, Mary Ann Sieghart ha rimesso sotto i riflet tori lo spaventoso divario di genere tra i prezzi rag giunti dagli artisti e dalle artiste: 10 volte superiori quelli degli uomini, dicono i dati. E se qualcosa sta cambiando, come è vero, lo sta facendo lentissima mente, sia nelle sedi espositive – Biennale di Venezia su tutte – che alle aste, con incrementi dei processi di valorizzazione di alcune artiste. Richiestissime dai collezionisti, le loro opere partono in molti casi da stime pre-asta inferiori ai colleghi, ma stanno anche crescendo più rapidamente di quelli.

CHRISTINA QUARLES ALLA BIENNALE DI VENEZIA

In asta con una stima tra i 600 e gli 800mila dollari, Night Fell Upon Us (Up On Us) di Christina Quarles, una coppia intrecciata in un abbraccio sotto la Luna, ha raggiunto la cifra di 4,5 milioni di dollari, polveriz zando il precedente record d’asta di 686mila dollari. L’opera incarna diversi aspetti distintivi della pratica dell’artista, interessata a esplorare e liberare le complessità del corpo umano, dell’identità, della razza, del genere, della sessualità, introducendo al tempo stesso interessanti innovazioni del medium pitto rico con manipolazioni digitali e lacerti di stencil. Scelta da Cecilia Alemani tra le protagoniste de Il latte dei sogni alla Biennale di Venezia 2022 e con mo stre di rilievo istituzionale in curriculum – Museum of Contemporary Art, Chicago; Frye Art Museum, Se attle; South London Gallery; X Museum, Beijing –, l’ar tista di stanza a Los Angeles è anche già in importanti collezioni pubbliche (Centre Pompidou di Parigi, Gug genheim Museum di New York, Hirschhorn Museum a Washington, Museum of Contemporary Art di Los An geles, Tate Modern a Londra) e la sua pittura e le sue fi gure dissonanti, ibride, distorte continuano a sedurre, tra astrazione e rappresentazione.

SOTHEBY’S CHRISTINA QUARLES

Claudia Zanfi Christina Quarles, Night Fell Upon Us (Up On Us), 2019. Courtesy Sotheby’s
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