GRANDI MOSTRE #31

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31 ERNST/MILANO • CANOVA/BASSANO DEL GRAPPA PISANELLO/MANTOVA • PASOLINI/FRIULI • PICASSO-CHANEL/MADRID

L’arte umanista di Max Ernst

Èuna mostra che restituisce Max Ernst in quanto umanista”, ha proclamato con orgoglio Jürgen Pech presentando l’antologica sul grande artista tedesco al Pa lazzo Reale, da lui curata con Martina Mazzotta. Potrebbe sembrare una definizione generica, ma è invece pregnante: sia perché il nobile con cetto di intellettuale umanista è oggi ingiusta mente inutilizzato e svilito, sia perché questa definizione rende bene l’idea dell’ampiezza del pensiero e non solo dell’opera di Ernst.

L’esposizione dimostra infatti, ripercor rendo tutte le fasi della sua carriera con dovi zia di particolari in senso sia cronologico sia tematico, come Max Ernst (Brühl, 1891 – Pa rigi, 1976) sia stato uno dei grandi intellettuali a tutto campo del Novecento, attraversando in denne, quasi sempre da protagonista, correnti e mutamenti nello spirito del tempo – e soprat

tutto fungendo da elemento federatore per al tri artisti, letterati e uomini di cultura di vario genere.

Tramite l’esplorazione di una figura così eclettica e duratura, si delinea poi anche il ri tratto di un’epoca – il tanto vituperato Nove cento che oggi stiamo iniziando finalmente a leggere in chiave retrospettiva – nella quale all’i dea di “dibattito intellettuale” veniva ancora at tribuito tutto il suo nobile senso, coniugando pensieri (elaborazione teorica a priori ed ex post) e atti (le opere) e costruendo una comu nità intellettuale la più ampia possibile.

ERNST IN MOSTRA A MILANO

Ma andiamo con ordine: la buona notizia è che si tratta di una “vera” mostra su Ernst – ov vero non una rassegna con pochi capolavori e molte lacune, come troppo spesso avviene nelle rassegne dedicate ai grandi nomi, ma un’antologica esaustiva con diversi capola-

vori, prestiti illustri e una qualità generale senza cali di tensione. La scansione della mostra, di stribuita in dieci sezioni, è efficace, acuta ed esplicativa.

Va però detto che, secondo quello che sem bra un tic ricorrente nelle mostre di Palazzo Reale (complice anche la difficoltà intrinseca dello spazio), le opere in ogni sala sono mol tissime e allestite in maniera molto fitta – una struttura forse più adatta a un libro che a una mostra; il catalogo, d'altronde, è molto docu mentato e approfondito. È vero che la vulca nicità e la compresenza di stimoli sono carat teristiche tipiche di Ernst, ma in questo modo si riduce l’impatto di ogni singolo lavoro – ogni opera dell’artista è un mondo a sé che ha biso gno di spazio fisico e mentale.

L’esposizione rimane comunque da non perdere, anche per completezza. Appena en trati ci si trova al cospetto di un pezzo impor tante e di grande impatto, che ben funziona

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Stefano Castelli
IN APERTURA / MAX ERNST / MILANO

come “manifesto” di ciò che seguirà: l’Edipo re del 1922 è infatti uno straordinario esempio di Metafisica, ma allo stesso tempo dimostra l’al terità, l’incongruità di Ernst anche quando si “adatta” a correnti e stili.

Inizia poi il percorso cronologico, con le opere giovanili – una sorta di Ernst prima di Ernst – e con le opere influenzate da de Chirico (una “rivoluzione copernicana”, come recita il titolo di questa prima sezione). Altro esempio della fedele infedeltà della quale si parlava a proposito dell’Edipo re è Giustizia o macellaio (1919) che sembra presagire già l’atmosfera successiva. Fatta di misteri ancora più inson dabili e scabrosi di quelli analizzati dalla Meta fisica e dallo stesso de Chirico.

DALL’ECLETTISMO ALL’EROS

La sezione successiva, All’interno della vi sione, introduce a un’altra caratteristica fonda mentale dell’artista, ovvero la sua volontà e ca pacità di mettere a punto o addirittura inventare la tecnica più adatta per esprimersi. Il suo ecletti smo è infatti non solo diacronico, attraversando Dadaismo, Surrealismo e molte altre correnti, ma anche sincronico: ogni singola opera è as soluta perché incenerisce qualunque modalità espressiva preesistente, concedendosi senza paura al rischio dell’artigianalità – ogni volta vin cendo questo rischio e sublimando questa di mensione. E la sezione è anche un primo tuffo nello stile più conosciuto, con i montaggi di im magini che perseguono il metodo delle asso ciazioni (più o meno) istintive. Su questo punto Ernst è ancora una volta pioniere: già negli Anni Venti analizza lo status stesso dell’immagine, la sua sussistenza e la sua decadenza che diven terà palese nella società di massa.

La sezione Eros e metamorfosi è poi un per turbante viaggio nelle ibridazioni proprie dell’ar tista. Non solo l’immagine ma anche l’essere umano è soggetto a una messa in discussione radicale, dovuta tanto agli stravolgimenti della Storia che a peculiari motivi di stampo esisten ziale e psicoanalitico. Conturbanti al massimo grado eppure non privi di ironia, i corpi multi

fino al 26 febbraio 2023

MAX ERNST

a cura di Martina Mazzotta e Jürgen Pech catalogo Electa

PALAZZO REALE

Piazza del Duomo 12 – Milano maxernstmilano.it La festa a Seillans 1964, olio su tela, 130x170 cm. Centre Pompidou, Paris

Musee national d’art moderne / Centre de creation industrielle © 2022. RMN-Grand Palais / Photo Georges Meguerditchian © Max Ernst by SIAE 2022

Nasce a Brühl, in Germania

Inizia a sperimentare la tecnica del frottage

1891

1921 Prima mostra personale a Parigi

1925-26

1931 Prima mostra negli Stati Uniti

1934-35 Realizza le prime sculture in gesso

1937 Conosce Leonora Carrington e le sue opere rientrano nella mostra nazista sull’arte degenerata

1941 Arrivo a New York e matrimonio con Peggy Guggenheim

1946Trasferimento in Arizona e matrimonio con Dorothea Tanning

1953Ritorno in Francia

1954 Riceve il gran premio per la pittura della XVII Biennale di Venezia

1961Retrospettiva al MoMA di New York

1966 Grande mostra a Palazzo Grassi a Venezia

1970Pubblica i suoi scritti

1975 Retrospettive al Solomon R. Guggenheim Museum di New York e al Grand Palais di Parigi

Muore a Parigi 1976

pli di questi lavori sono una dimostrazione di come il Surrealismo dell’artista tedesco non fosse preda di una visione puramente onirica, ma costituito da una mediazione perfetta tra sogno e discorso razionale (ed ecco perché Ernst si può considerare immune da certe de rive del tardo Surrealismo).

E poi il rapporto con la natura, nella sezione I quattro elementi, un rapporto allo stesso tempo panico e razionale, totalizzante e in quadrato in un sistema di pensiero aperto ma senza falle. Esplode qui un altro suo noto pro cedimento tecnico, il frottage, che arriva a in fluenzare anche le opere più puramente pit toriche, e ci si trova davanti paesaggi magma tici difficili da descrivere e figure celebri come quelle del Monumento agli uccelli (1927).

LA RICERCA DI MAX ERNST

Con l’imponente dipinto Un tessuto di men zogne (1959), un inaspettatamente luminoso intrico di figure umane e animali al quale viene riservata una “nicchia” a parte nel percorso espositivo, si apre la parte della mostra che fa scoprire opere e stili meno conosciuti, quelli del secondo dopoguerra. Ci sono paesaggi al teri eppure a loro modo accoglienti degli Anni Trenta, prove semiastratte come Il meteoro logo del 1951, episodi anomali come la libera composizione geometrica di volti intitolata

La festa a Sellians (1964), lavori che si avvici nano (anche se pur sempre in modo persona lissimo) alla temperie informale imperante negli Anni Cinquanta. Fino alle opere “cosmi che” degli Anni Sessanta e Settanta, estrema mente incongrue se analizzate secondo il gu sto odierno, ma “esatte” se contestualizzate nel progetto via via sempre più totalizzante di riappropriazione del mondo e della realtà da parte dell’artista.

Al percorso cronologico si affiancano come detto affondi tematici. Ecco che in settori come quello intitolato Memoria e meraviglia si trova un sunto delle espressioni più famose dell’artista, con opere quanto mai rappresenta tive. Basti citare Pietà o La rivoluzione la notte (1923), altro esempio di Metafisica sui gene ris, L’angelo del focolare (1937), dove i mostri e gli incubi diventano anche testimonianza e denuncia politica sugli avvenimenti che rende vano incombente la Seconda Guerra Mondiale, e L’antipapa (1941), esempio di uno dei periodi stilistici più fecondi.

Ernst umanista, si diceva all’inizio: il che va inteso, alla luce dell’ampio percorso della mo stra, anche nel senso di “ricercatore” inesau sto, mai soddisfatto dei risultati e delle conclu sioni a cui è giunto. Ma che nondimeno costrui sce via via un progetto coerente e granitico pur nella sua estrema apertura e variabilità.

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Canova leggendario

CANOVA DA SCULTORE UFFICIALE A “IMBALLATORE”

“Sono stato delle notti senza dormire, e dei giorni molti senza desinare, e sempre, sempre all’estremo convulso”: ma a cosa si doveva tal drammatico stato di Antonio Canova? Lo scultore nel 1815 fu nominato Commissario straordinario da papa Pio VII e incaricato di una missione assai de licata: doveva recarsi a Parigi per convin cere i francesi a restituire il bottino di opere d’arte illecitamente trafugato durante le guerre napoleoniche e ospitato in gran parte nell’allora Musée Napoléon (oggi Lou vre). L’impresa non fu semplice: Canova in contrò l’ostilità di Luigi XVIII e di molta parte dei francesi, che cominciarono a chiamarlo “l’imballatore” e solo grazie all’appoggio de gli inglesi lo scultore/commissario riuscì a far tornare in patria 249 opere (su 506) ca ricandole su 41 carri trainati da 200 cavalli. Tra queste a Bassano sono esposti una straordinaria Deposizione di Paolo Vero nese, il gesso del Laocoonte dai Musei Va ticani, La Fortuna di Guido Reni, ma il pre zioso carico trasportava pure l’Apollo del Belvedere, la Deposizione di Caravaggio e centinaia di altri capolavori.

terracotta documentano la genesi dei lavori, dall’idea al marmo. Per la prima volta è esposta anche una selezione di opere della collezione privata di Canova: sono tele di Moretto da Bre scia, di Valentin Lefévre, ma più di tutti lo scul tore cercava di accaparrarsi degli autografi di Giambattista Tiepolo, una scelta quasi incredi bile per un maestro del Neoclassicismo. Al cen tro della sala si erge una “selva” affollata di gessi, tra cui quelli della Venere Italica e di Ebe, poi busti di divinità antiche e ritratti di personaggi dell’epoca.

Dagli Anni Ottanta del Settecento l’ate lier romano di Antonio Canova (Pos sagno, 1757 – Venezia, 1822) divenne una meta irrinunciabile per i tanti viaggiatori in ternazionali del Grand Tour che percorrevano l’Italia in lungo e in largo. Lo scultore nato a po chi chilometri da Bassano del Grappa era già al lora una celebrità. E non si risparmiava nell’ac coglienza di chi voleva conoscere da vicino il processo creativo grazie al quale realizzava le sue sculture “classiche”, candide ed eleganti. Lo studio di via delle Colonnette aveva una parte

“pubblica” e una privata, riservata solo agli amici più intimi e in cui erano ospitate la collezione d’arte e la biblioteca; qui l’artista disegnava e ideava le opere. Se ci siamo dilungati sull’atelier di Canova è perché la mostra Io, Canova. Genio europeo in corso al Museo Civico di Bassano comincia proprio con una ricostruzione ideale di quel “luogo unico sulla terra”, come lo definì Stendhal. Canova si stabilì a Roma dopo aver vi sitato Ferrara, Bologna, Firenze, Roma e Napoli. Nella Città Eterna frequentò l’Accademia Ca pitolina e le lezioni di Pompeo Batoni: i disegni esposti testimoniano l’intenso studio sui modelli antichi, mentre gessi, schizzi, modellini in

CANOVA DESIDERATO IN TUTTA EUROPA

Accanto alla prima sezione si dipanano gli altri due capitoli del progetto espositivo che può vantare, oltre a circa 140 opere, anche un alle stimento tanto leggero quanto suggestivo. “Ca nova e l’Europa” si addentra negli intensi rap porti tra lo scultore e i suoi committenti. Tutti aspiravano a possedere un’opera del più grande artista vivente, che riscuoteva un successo straordinario soprattutto nel Regno Unito. E se si parla di “tutti”, si comprende anche il re Gior gio IV – possiamo vedere il suo ritratto dipinto

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Marta Santacatterina

da Thomas Lawrence –, che gli commissionò numerosi capolavori come Venere e Marte. Ma non fu da meno il ricco banchiere Alexander Ba ring – un altro ritratto di Lawrence ne svela le fattezze –, che riuscì a procurarsi ben cinque marmi di Canova. Il dialogo tra committenti e opere è assai intenso, come nel caso della prin cipessa Leopoldina Esterházy Liechtenstein, di cui si espone il monumentale marmo che la raffigura intenta a dipingere e a fianco una sua gouache con un paesaggio fluviale. O an cora, nel caso del Monumento funerario di Cle mente XIII, evocato dal ritratto del papa di Anton Raphaël Mengs, dalla terracotta per La religione cattolica, con relativo gesso, e da vari disegni: il monumento non si può certo spostare dalla ba silica di San Pietro in Vaticano, ma la “ricostru zione” lo rende perfettamente comprensibile.

LUCI E OMBRE SU NAPOLEONE

L’affascinante gioco di rimandi continua nella parte intitolata “Canova nella storia”. Vi si incon tra in primo luogo lui, Napoleone Bonaparte (il bel ritratto è di François Gérard), che ebbe un ruolo cruciale nella fortuna di Canova, nonostante lo scultore si dimostrasse spesso riluttante ad ac cettarne le committenze e ne contestasse sia le mire imperialistiche sia le gravi spoliazioni di opere d’arte italiane. L’artista si recò dal futuro imperatore già nel 1802: qualche anno dopo in viò a Parigi la grande scultura Napoleone come Marte pacificatore, che peraltro non fu parti colarmente apprezzata. Canova fu chiamato di nuovo nella capitale francese nel 1810: ci si recò, ma rifiutò di risiedere a corte, rifiutò la Legion d’Onore e accettò invece le richieste di alcuni tra i più ferventi oppositori del regime. In mo stra fanno capolino le effigi di numerosi espo nenti dell’entourage napoleonico: con l’impera trice Joséphine de Beauharnais, Canova instaurò un rapporto affettuoso e la sovrana, tra le altre opere, gli commissionò le celebri Grazie. Un ul timo viaggio a Parigi si data al 1815, dopo Water loo: con non poche difficoltà riuscì a riportare in patria molte delle opere sottratte dai francesi un aspetto poco noto, ma che completa il profilo di un uomo che non fu solo scultore.

Un’ultima nota. A Bassano manca qualcosa: dall’Ermitage di San Pietroburgo dovevano giungere alcuni importantissimi marmi, men tre dal Museo Nazionale di Kiev era stato con cesso il prestito della Pace. “Allo scoppio del conflitto russo-ucraino, la rinuncia a tali pre stiti è stata inevitabile e convinta. La speranza e l’augurio di tutti è che le opere di Canova dalla Russia e dall’Ucraina possano essere espo ste nuovamente assieme, a testimonianza di nuovi tempi di serenità, di pace e di dialogo”, di chiarano con sincera partecipazione i curatori.

INFO fino al 26 febbraio 2023 IO, CANOVA. GENIO EUROPEO

a cura di Giuseppe Pavanello e Mario Guderzo catalogo Silvana Editoriale MUSEO CIVICO

Piazza Garibaldi 34 – Bassano del Grappa museibassano.it

18 19

18 22 18 28

Da un modello preesistente viene ricavato il gesso della Maddalena giacente (oggi a Possagno)

Il marmo viene finito da Canova e acquistato da Robert Banks Jenkinson, conte di Liverpool e primo ministro del Regno Unito Antonio Canova muore a Venezia

Lord Liverpool muore e le sue proprietà, compresa la Maddalena, vengono ereditate dal fratello Charles

18 52

in basso: Antonio Canova, Maddalena giacente, 181922, marmo, 75x176x84,5 cm. United Kingdom, c/o Francis Outred Ltd. Collezione privata

a sinistra: Antonio Canova, Autoritratto, 1812. Gesso, 74x50x35,5 cm. Museo Civico, Bassano del Grappa

All’asta di Christie’s è prima acquistata dal collezionista Lord Ward e poi da Sir Herbert Smith

19 37 Un grave incendio distrugge la dimora di Smith

19 38

19 59

La scultura, descritta come “Figura classica” e senza autore, passa a Violet van Der Elst, imprenditrice e attivista, che la pone nel suo giardino a Kensington

Le proprietà di Violet van Der Elst vengono vendute e della Maddalena si perdono le tracce

LE AVVENTURE

20 02

L’attuale proprietario la acquista da Garden Statuary and Architectural Items come scultura da giardino per poco più di 5mila sterline

20 22 Marzo. Si diffonde la notizia che quella Maddalena è opera di Antonio Canova

7 luglio. Viene battuta in asta da Christie’s, ma rimane invenduta

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GRANDI

Il Museo delle Civiltà di Roma si racconta

un nuovo inizio, che pur tiene conto della storicità delle collezioni in dote, a scandire il futuro del Museo delle Civiltà sullo scacchiere delle istituzioni cultu rali italiane. Il direttore Andrea Viliani ci spiega come e perché.

Che cosa conserva e quali storie racconta il Museo delle Civiltà?

Racconta le storie degli esseri umani su questo pianeta, dalle prime forme di vita a oggi, dal divenire biologico dei viventi nelle epoche definite “preistoriche” al formarsi di molteplici civiltà, restituendoci l’intreccio fra sistemi di pensiero, forme di spiritualità, invenzioni cul turali, organizzazioni economiche e sociali che, nel loro complesso, disegnano la mappa in co stante divenire della storia umana, a sua volta strettamente connessa con quella di tutte le altre specie. È un museo bellissimo, che ci per

mette di conoscere e comprendere meglio il mondo in cui viviamo.

Il Museo delle Civiltà è museo recente, ma con una storia antica. Quando è stato istituito?

Come museo nazionale nasce nel 2016 con l’accorpamento delle collezioni di diverse istituzioni: Museo Preistorico Etnografico “Lu igi Pigorini”, Museo d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”, Museo dell’Alto Medioevo, Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, ex Museo Coloniale di Roma e, in arrivo in comodato a lungo termine, le collezioni dell’ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. È dotato di autonomia speciale e dipende dalla Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, che ne supporta e ispira il lavoro, come è accaduto fin dal primo giorno del mio incarico grazie all’interlocuzione diretta e continua con il Di rettore Generale Musei Prof. Massimo Osanna.

Il Museo delle Civiltà conserva un’incredibile articolazione di opere e documenti di epoche e provenienze diverse. Un’enorme potenzia lità e insieme una responsabilità, anche nella necessaria ottica di superare i confini del pen siero positivista e della matrice in alcuni casi coloniale che sono all’origine della collezione. Come opererete in questo contesto?

Come tutti i musei, non solo i musei antro pologici – che hanno una responsabilità sto rica e quindi una necessità attuale di rigore e scrupolo maggiori rispetto agli altri, per le mo dalità con cui in molti casi le loro opere sono state prelevate o sottratte dai contesti originari per essere “musealizzate” –, anche il Museo delle Civiltà è chiamato a condividere e met tere in pratica azioni precise in materia di rico struzione del contesto originario e successiva de-contestualizzazione di quanto è presente nelle sue collezioni. Una ricostruzione a 360°

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È MUSEO DELLE CIVILTÀ / ROMA

delle “biografie” degli oggetti che deve riser vare la massima attenzione ai cosiddetti “studi sulla provenienza”. Si tratta di un delicato la voro preparatorio che il Museo delle Civiltà sta conducendo da anni attraverso una riflessione compartecipata anche con comunità locali di provenienza degli oggetti, e che ora è integrato anche da 6 nuove Research Fellowship affidate ad artisti contemporanei internazionali già at tivi su questi temi. Solo in base a questo lavoro congiunto e comparato sarà possibile adottare pratiche responsabili nei processi di prestito, esposizione e, nei casi in cui ne emergesse il profilo, restituzione.

In questo senso – e in particolare in rela zione alle collezioni dell’ex Museo Coloniale di Roma confluite nelle nostre collezioni nel 2017 – il Museo delle Civiltà sta contribuendo a de lineare e segue le indicazioni fornite anche dal “Gruppo di lavoro per lo studio delle temati che relative alle collezioni coloniali, presso il Comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali”, istituito per decreto ministeriale nel 2021 e che, dal 2022, vede appunto anche la partecipazione del nostro museo. Va altresì precisato che non spetta però ai musei deci dere su eventuali restituzioni, responsabilità e compito di pertinenza della sfera politica: i mu sei possono e devono preparare nel modo più dettagliato e circostanziato possibile le docu mentazioni inerenti, e sviluppare progetti di ri cerca, espositivi, editoriali che ricostruiscano storie e diano voce ai loro protagonisti, ovvero fare quel lavoro propedeutico e contestuale ad azioni finali e fattuali che non possono che es sere demandate ai nostri referenti politici.

Il Museo delle Civiltà ambisce a diventare un museo antropologico contemporaneo. In

quale maniera? Un museo come questo può aiutarci a interpretare la difficile congiuntura che stiamo vivendo e ad affrontare le sfide del futuro?

È stato avviato un processo di aggiorna mento anche metodologico che ridefinisce il museo come un laboratorio di ricerca in corso, uno spazio-tempo discorsivo e plurale, critico e autocritico, in cui condividere la riflessione, in nescata dalle nostre collezioni, su tematiche e prospettive fra le più necessarie e urgenti del nostro tempo.

Nell’aggiornamento dei criteri di ricerca e dei metodi di allestimento anche la terminologia proveniente dagli archivi sarà aggiornata, e se sì in che modo?

I musei fanno parte del mondo che li cir conda ed è lì che i linguaggi, come le società, cambiano. Il museo è chiamato a intercettare i cambiamenti se vuole continuare a comuni care. Negli archivi ritroviamo termini storica mente connotati e divenuti estranei alla sensi bilità contemporanea: non si tratta di dismet terli, ma di ragionarci su, insieme.

A quali pubblici vuole rivolgersi il Museo delle Civiltà? E come si evolverà per incarnare pie namente la sua funzione pubblica?

Un museo nazionale è pubblico e quindi si rivolge a tutti. Ma l’obiettivo è duplice: l’au mento dei visitatori e della qualità della visita. Non esiste del resto un pubblico generico, ogni visitatore è unico e il museo deve mettersi in ascolto di chi già lo frequenta, ma anche co municare con chi ancora non lo frequenta. An che per questo un museo deve essere disposto a cambiare, adattarsi, essere più accessibile e comprensibile, e quindi più inclusivo.

LA PROGRAMMAZIONE DEL MUSEO DELLE CIVILTÀ

Il prossimo quadriennio del Museo delle Civiltà sarà scandito da una programma zione inedita, fondata sul processo di radi cale revisione delle metodologie di ricerca e pedagogiche che caratterizza la nuova vita dell’istituto nel ruolo di museo antropologico contemporaneo. Preistoria? Storia dell’An tropocene è il titolo del percorso espositivo che ripensa l’allestimento delle cospicue col lezioni preistoriche del museo per tracciare un racconto dell’Antropocene, tra passato, presente e futuro, contando anche sull’inter vento di artisti contemporanei (a partire dal libanese Ali Cherri e dalla statunitense Elizabeth A. Povinelli).

In parallelo prende slancio un programma pluriennale di Research Fellowship, che in vita sei artisti a esplorare archivi e collezioni del museo per sviluppare autonomi progetti di ricerca utili a ripensare alcune vetrine di slocate lungo il percorso. Intanto, fino al 5 marzo 2023, si visita la mostra di Georges Senga (Lubumbashi, 1983) Comment un pe tit chasseur païen devient prêtre catholique (Come un piccolo cacciatore pagano diventa prete cattolico), a cura di Lucrezia Cippitelli. Il cacciatore pagano in questione è Bonaven ture Salumu, la cui storia ha influenzato la ricerca artistica di Senga, in mostra con un progetto che fa convergere finzione e dati storici per illuminare la complessità della sto ria globale ed esplorare le relazioni pre-colo niali e post-coloniali tra Europa e Africa. Affini sono le intenzioni del gruppo di ricerca inter nazionale istituito per studiare le collezioni di provenienza coloniale confluite in pas sato nel catalogo del museo. Il progetto darà forma, già nel corso del 2023, a un intervento inedito dell’artista Francis Offman (Butare, 1987), installato in via permanente.

MUSEO DELLE CIVILTÀ

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Piazza Guglielmo Marconi 14 – Roma EUR museocivilta.cultura.gov.it nella pagina a fianco: Affreschi del Palazzo delle Arti Tradizioni Popolari (EUR, Roma). Courtesy Museo delle Civiltà, Roma. Photo © Corrado Bonora a sinistra: Panoramica dall’alto di Piazza Guglielmo Marconi (EUR, Roma). Courtesy Museo delle Civiltà, Roma. Photo © Andrea Ricci

Pisanello da riscoprire

AMantova, nelle sale di Palazzo Ducale, si apre un nuovo e definitivo capitolo che contribuisce a dare ri salto a una realizzazione ar tistica travagliata, conside rata dispersa e dimenticata per secoli, e riportata alla luce con esiti sorprendenti ed emozionanti. Si tratta del riallestimento di uno dei cicli pittorici più estesi e importanti della storia dell’arte in Italia, risalente al periodo tardo-gotico e recuperato grazie all’intu izione e alla perseveranza di quello studioso sensibile e determinato che fu il so vrintendente Giovanni Pac cagnini. Il grandioso ciclo di pitture murali di soggetto cavalleresco che Antonio di Puccio, detto Pisanello, eseguì per i signori di Man tova intorno al 1430 fu uno dei ritrovamenti più cla morosi e insperati nell’am bito del nostro patrimonio artistico.

Erano gli Anni Sessanta quando affiorarono le prime tracce; lunghi interventi furono neces sari per liberare questo capolavoro dalle diverse intonacature e ridipinture che si susseguirono nel corso dei secoli e per metterlo in sicurezza, staccandolo dalle pareti e stabilizzandolo su grandi pannellature poi ricollocate sul posto. Nel 1972 Paccagnini poté finalmente, con una me morabile mostra, dare pubblica visione dei risul tati di questa operazione.

MANTOVA CELEBRA PISANELLO

Per celebrare il 50esimo anniversario dell’avvenimento, Mantova dedica a Pisanello una grande esposizione che, prendendo le mosse dal salone del ciclo murale e dall’attigua Sala dei Papi dove campeggiano le sinopie ri trovate sotto le parti affrescate e a loro volta ri posizionate, si snoda poi nel piano sottostante. Con il significativo sottotitolo Il tumulto del mondo, la mostra può contare su un vasto ap parato di disegni e di medaglie di mano dell’ar tista, oltre che di sculture e dipinti coevi che contribuiscono a fare nuova luce sull’ambiente e le vicende di una figura che lavorò per molti anni e in diversi soggiorni alla corte di Mantova

Partiamo allora dalle meraviglie del salone principale, dove ci troviamo circondati da uno spettacolo che, pur tra lacune e cancellature, tra abrasioni e intaccature, appare favoloso e violento, prezioso e brutale: lance che si spez zano, cavalieri caduti che rantolano per terra con le armature infrante, belve che affiorano dalla vegetazione, dame algide e altere che si

GLI ALLESTIMENTI

Concepito per consentire una lettura più comoda e soddisfacente delle pitture murali, il riallestimento del Salone del Pisa nello a Palazzo Ducale può contare su un nuovo sistema di illuminazione e sulla pre senza di una pedana sopraelevata che per la prima volta pone il visitatore a distanza ravvicinata dalle pareti (fino a oggi il pavi mento si trovava a una quota più bassa di ben 110 cm rispetto a quando l’opera fu realizzata). Curioso il fatto che la pedana sia rivestita di bambù: come spiega il cu ratore Stefano L’Occaso, direttore di Pa lazzo Ducale, “il bambù è tanto scelta este tica quanto funzionale, per la sua elevata termotrasmittenza”.

L’intervento permanente nella sala del Pisanello si avvale del supporto alla proget tazione del Politecnico di Milano, polo ter ritoriale di Mantova, con la supervisione di Eduardo Souto de Moura.

affacciano dai padiglioni… Di fronte a questa visione veramente tumultuosa, è impossibile per noi stabilire un centro della narrazione e a stento riusciamo a delinearne lo svolgimento. Sono scene da assaporare con lentezza, da co gliere passo per passo, per potersi soffermare sulla magia dei particolari. Il rapimento che ac compagna la contemplazione dei singoli epi sodi si mescola al rimpianto per le porzioni an date perdute, per le parti scolorite, per le dora ture, le lamine metalliche e i rilievi “a pastiglia” di cui restano solo labili segni.

IL TALENTO DI PISANELLO

Dopo il tumulto e lo spettacolo in piena luce, proseguendo il percorso che scende alle instal lazioni temporanee, ci inoltriamo in ambienti più raccolti, avvolti in una morbida penombra, dove incontriamo altre meraviglie, questa volta isolate e contenute in nicchie.

Dello stesso Pisanello, in prestito dal Museo di Castelvecchio di Verona, possiamo ammi rare la Madonna della quaglia (1420 ca.), un’o pera giovanile, la cui ottima conservazione ci permette di gustare tutta l’abilità decorativa dell’artista nelle bulinature e dorature rilevate, nonché la sua capacità di osservazione scien tifica nel ritrarre piante e uccelli. E poi un al tro suo capolavoro, proveniente dalla National Gallery di Londra, la Madonna con Bambino e i santi Antonio e Giorgio (1440 ca.), ritornata per la prima volta in Italia da quando, nel 1862, venne alienata e prese la strada dell’Inghilterra.

#3184 DIETRO LE QUINTE / PISANELLO / MANTOVA
Alberto Mugnaini fino all’8 gennaio 2023 PISANELLO IL TUMULTO DEL MONDO a cura di Stefano L’Occaso catalogo Electa PALAZZO DUCALE Piazza Sordello 40 – Mantova mantovaducale.beniculturali.it Antonio di Puccio, detto Pisanello, Testa di donna, 1430-35, dipinto murale staccato, 24x17 cm. Roma, VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia ma che conserva ancora per noi diversi aspetti misteriosi.

Pier Paolo Pasolini e la fotografia

PIER PAOLO PASOLINI. LE INIZIATIVE A ROMA

La Capitale omaggia la figura di Paso lini attraverso esposizioni e appuntamenti che chiudono l’anno delle celebrazioni nel centenario della sua nascita. Pier Paolo Pa solini. Tutto è santo è il progetto tripartito nato dalla collaborazione tra l’Azienda Spe ciale Palaexpo di Roma, le Gallerie Nazionali di Arte Antica e il MAXXI.

Il titolo è tratto dall’omonima frase pro nunciata dal saggio Chirone nel film Medea del 1969 ed esplora, attraverso differenti capitoli, la “nuova sacralità” all’interno della società secondo Pasolini, che nelle sue opere celebra il mondo del sottoproleta rio in conflitto con l’uomo del mondo bor ghese, razionale e neo-capitalista. La “san tità del reale” è infatti al centro de Il corpo poetico, a cura di Giuseppe Garrera, Cesare Pietroiusti, Clara Tosi Pamphili e Olivier Sail lard, allestita fino al 26 febbraio al Palazzo delle Esposizioni: un percorso ritmato da oltre 700 pezzi tra documenti, fotografie vintage, giornali, prime edizioni di libri, fil mati, dischi, nastri e abiti di scena.

L’immaginario artistico e cinematogra fico dell’intellettuale, invece, viene esplo rato ne Il corpo veggente, a cura di Michele Di Monte, fino al 12 febbraio a Palazzo Bar berini, sede delle Gallerie Nazionali di Arte Antica: il risultato è una sorta di “montag gio” visuale di circa 140 dipinti, sculture, fotografie e libri, tra i temi del sacro e del profano, della storia e della realtà. Infine, al MAXXI, va in scena Il corpo politico, a cura di Giulia Ferracci, Hou Hanru e Bartolomeo Pietromarchi, fino al 12 marzo: i lavori de gli artisti contemporanei rileggono i nodi del pensiero pasoliniano, tra analisi delle di namiche del potere, la genuinità del volgo, l’entrata dei mass media nella società e il ruolo dell’artista come cantore e profeta.

Èstato con tutta probabilità l’intellet tuale più fotografato del Novecento. Figura inafferrabile, amata e odiata, accolta e fraintesa, spesso osteggiata e non di rado strumentalizzata, è ancora ampio il ter reno da sondare rispetto alla vita intensa e all’ar ticolata produzione di Pier Paolo Pasolini (Bolo gna, 1922 – Lido di Ostia, 1975), poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo.

In Friuli Venezia Giulia, una mostra diffusa in due sedi lo fa partendo dal rapporto di Pasolini con la propria immagine, e dall’uso consape vole che fece della fotografia come narrazione polifonica della propria personalità, impossibile da afferrare e definire. Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo presenta il risultato di un’at tenta ricerca filologica, durata anni, della cura trice spagnola Silvia Martín Gutiérrez insieme al comitato scientifico composto da Marco Anto nio Bazzocchi, Davide Luglio e Claudio Marra, il

cui intento è stato quello di scavare nei mondi che ognuna di queste fotografie rappresenta: “Il rischio era quello di rendere Pasolini un’i cona, un’immagine vuota. Questa mostra, in vece, non vuole solo presentare delle ‘belle fo tografie’, bensì indagare i tanti aspetti che an cora non sappiamo di lui”, spiega la curatrice, che ha recuperato le storie di questi tra gli ar chivi, riscoprendo fotografi a volte dimenticati o non ancora adeguatamente valorizzati. Richard Avedon, Herbert List, Henri Cartier-Bresson,

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Giulia Ronchi

Jerry Bauer, Jonas Mekas, Lütfi Özkök, Erika Ra bau, Duane Michals, Philippe Koudjina, Marli Shamir: sono solo alcuni degli autori che hanno immortalato Pasolini nei momenti più significa tivi della sua vita privata e professionale e in giro per il mondo, assieme ai tanti miti del tempo, come Oriana Fallaci, Dacia Maraini, Anna Ma gnani, Maria Callas, Alberto Moravia, Bernardo Bertolucci, Jean-Luc Godard e persino Man Ray, quando gli propose di disegnare il manifesto di Salò. La mostra, promossa da ERPAC – Ente Re gionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Ve nezia Giulia con il contributo di Cinemazero in occasione del centenario della nascita di Paso lini, è ospitata a Villa Manin a Passariano di Co droipo, in provincia di Udine, che per la prima volta apre uno spazio espositivo separato dal percorso della dimora ottocentesca.

PASOLINI DAVANTI ALL’OBIETTIVO

Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo procede nella vicina Casarsa della De lizia, in provincia di Pordenone, in un luogo quanto mai significativo per la vita dell’intellet tuale: ovvero nel Centro Studi che sorge a Casa Colussi, nella casa natale della madre Susanna Pasolini, dove trascorse le sue estati d’infan zia. Ad accogliere il visitatore è il rinnovato al lestimento che racconta il lato più personale dell’autore, nonché l’importanza che il territorio friulano ebbe nella sua formazione artistica. Si va dalle radici famigliari, con fotografie d’epoca, alla sua passione per il calcio – Pasolini era in fatti un tifoso del Bologna –, passando per la produzione poetica in dialetto friulano e quella artistica, grazie alla mostra permanente di di segni e dipinti da lui realizzati in gioventù. All’ul timo piano della casa, invece, prosegue il per corso fotografico, questa volta incentrato sulle case romane di Pasolini, quella di via Fonteiana 86, nel quartiere di Monteverde, quella in via Giacinto Carini 45, da cui nel 1963 si mosse per

stabilirsi nella casa di via Eufrate 9 nel quartiere EUR. Questa volta viene fotografato da Marisa Rastellini, Elio Sorci, Pietro Pascuttini e Jerry Bauer, che ne colgono il lato più domestico e intimo: a fianco alla macchina da scrivere, cir condato da lettere e carte nel suo studio, colto nell’atto di parlare, pensare, posare assieme a sua madre e ai suoi amici più stretti. Pasolini, che nel corso della sua vita non ha quasi mai trattato di fotografia, ne dà la sua personale de finizione proprio nel rapporto con essa: si sot topone costantemente all’obiettivo per rac contarsi, ma allo stesso tempo offre così tante versioni della propria immagine da rischiare di scomparire. Si identifica continuamente con quell’“altro da sé”, in una perpetua fuga da se stesso.

VENEZIA GIULIA

LE MOSTRE CELEBRAZIONE E LA POLITICA CULTURALE

Le mostre celebrative giocano, tenden zialmente, un ruolo cruciale all’interno di ciò che potremmo definire come la narra zione culturale del nostro Paese. Si tratta infatti di una delle componenti attraverso le quali si intende mantenere viva la me moria nazionale relativa a specifici ele menti del nostro passato. Implicitamente, quindi, tali attività sono legate a ciò che si ritiene debba essere percepito come va lore identitario per i cittadini. Una legge del 1997 ha istituito, al riguardo, una Consulta, avente la finalità di individuare le celebra zioni o le manifestazioni culturali di parti colare rilevanza nonché le edizioni nazio nali da realizzare.

Nel dettaglio, i comitati nazionali hanno il compito di promuovere e realiz zare eventi e manifestazioni che ricor dino i grandi protagonisti e avvenimenti della storia e della cultura italiana, mentre le edizioni nazionali rispondono alla esi genza scientifica di garantire la tutela, la valorizzazione e la fruizione del patrimo nio letterario e di pensiero costituito dagli scritti degli autori: tali iniziative assicurano la pubblicazione dell’opera omnia di un au tore (o, in alcuni casi, le principali opere di un gruppo di autori) in edizioni fondate sulla ricognizione e trascrizione critica di tutti i manoscritti.

Si tratta, pertanto, di un tema centrale per la cultura italiana, che spesso non viene debitamente percepito dai cittadini. Se gli operatori sono ben consapevoli dei flussi di finanziamenti legati a tali celebrazioni, spesso i cittadini non sono ben consape voli che l’improvvisa presenza di docu mentari, cartoni animati, mostre, conve gni, spettacoli legati a un tema o a un per sonaggio sia una scelta pubblica. Sarebbe invece importante ribadirne la natura: sce gliendo di finanziare le manifestazioni le gate a un artista, l’Italia ne rivendica l’im portanza nella propria storia, nel proprio tessuto identitario.

Un elemento così importante non do vrebbe restare nel perimetro degli iter bu rocratici. Si tratta, in fondo, di ciò che il no stro Stato dichiara essere importante per la Storia d’Italia. Si dà tanta attenzione allo storytelling e poi, quando c’è davvero una narrazione, la si tiene chiusa in cantina.

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fino all’8 gennaio 2023 PIER PAOLO PASOLINI SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO a cura di Silvia Martín Gutiérrez catalogo Contrasto VILLA MANIN Piazzale Manin 10 Passariano di Codroipo (UD) CENTRO STUDI PIER PAOLO PASOLINI Via G Pasolini 4 – Casarsa Della Delizia (PN) villamanin.it centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it
in alto: Pier Paolo Pasolini alla 23a edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia per il film Mamma Roma, 1962 © Giancolombo-Archivio Giancolombo a sinistra: Pier Paolo Pasolini nella casa di via Eufrate, Roma, 1963 © Gideon Bachmann / Cinemazero

Picasso incontra Chanel a Madrid

del dramma teatrale Antigone di Cocteau, nel 1922, e nel balletto-operetta Le Train Bleu di Sergej Diaghilev (con musiche di Darius Milhaud) due anni dopo, nel 1924. Entrambi respirarono il clima culturale della Parigi delle Avanguardie e dei Ballets Russes, dove non esi stevano confini tra arti visive e moda, teatro, danza e musica ed era lecito sperimentare. Di questo, e di molto altro, racconta la mostra Pi casso-Chanel, allestita al Museo Nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid, uno dei primi grandi eventi inclusi nelle celebrazioni per i cin quant’anni dalla morte dell’artista di Malaga.

L’esposizione è un viaggio nell’estetica de gli Anni Venti, alla scoperta delle influenze tra la pittura di Picasso e la moda di Chanel. A Ma drid sono esposti una trentina di abiti e una cin quantina di tele, disegni e fotografie di Picasso provenienti da musei e fondazioni private di tutt’Europa. Come i due piccoli ma eccezio nali capolavori prestati dal Musée Picasso di Parigi: la gouache su legno Due donne che cor rono sulla spiaggia (la gara) del 1922 – imma gine che Diaghilev volle impressa sul telone di fondo de Le Train Bleu – e Le bagnanti, dipinto nel 1918 e del quale Picasso non si privò mai in vita. Quest’ultimo olio su tela è quasi un sim bolo della mostra, perché ritrae un gruppo di bagnanti in costume con lo stesso stile pratico e sportivo con cui Chanel concepisce, sei anni più tardi, i figurini per il balletto di Diaghilev.

LA MOSTRA SU PICASSO E CHANEL

Gabrielle Chanel (Saumur, 1883 – Parigi, 1971) e Pablo Picasso (Malaga, 1881 –Mougins, 1973) furono praticamente coetanei, vissero entrambi nella Parigi dei folli Anni Venti ed entrambi contribuirono alla na scita dell’estetica moderna. “Chanel sta alla moda come Picasso sta alla pittura”, sintetizzò in maniera efficace il poeta e drammaturgo Jean Cocteau, punto di contatto fra i due. Non si sa se Coco Chanel e Picasso fossero amici nel senso più intimo e profondo del ter mine. Senza dubbio si frequentarono e stima rono reciprocamente, ma soprattutto colla borarono in due occasioni: la messa in scena

Nella prima sezione della mostra, le creazioni di Coco Chanel degli Anni Venti sono accostate a una serie di opere della fase cubista di Picasso. Cappotti a trapezio, cappe senza bottoni e abiti, da giorno e da sera, dalle linee architettoniche fluide e dai toni scuri: bianco e nero, beige, ci pria, marrone o tonalità terrose sono i colori che dominano anche nella tavolozza cubista dell’e poca. Lo stile di Chanel consiste nella scioltezza dei tagli, nell’uso di tessuti “umili”, come il co tone e la maglia di lana prestati dal guardaroba intimo maschile. La stoffa a stampe è al mas simo bicolore, con semplici motivi geometrici o floreali, gli ornamenti in pizzo o i ricami sono essenziali, quasi sempre ton sur ton. Interes sante anche il raffronto visivo fra il collage cubi sta e l’assemblaggio di tessuti e trame negli abiti: il guardaroba si arricchisce di inserti minimali e raffinati, talvolta anche di pelle o di pellicce meno pregiate su colli, balze o polsini, con tocchi di assoluta modernità.

DUE PERSONALITÀ DETERMINATE

Pablo e Coco ebbero entrambi una perso nalità forte, instancabili lavoratori e determi nati nel raggiungere il successo. Si conobbero

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Federica Lonati fino al 15 gennaio 2023 PICASSO/CHANEL a cura di Paula Luengo MUSEO NACIONAL THYSSEN-BORNEMISZA Paseo del Prado 8 – Madrid museothyssen.org in alto: Pablo Picasso Arlecchino con specchio 1923, olio su tela, 100x81 cm. Museo Nacional ThyssenBornemisza, Madrid © Succession Pablo Picasso, VEGAP, Madrid, 2022 a destra: Picasso/Chanel, exhibition view at Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid 2022. Courtesy Museo Nacional Thyssen-Bornemisza

nella primavera del 1917, all’epoca del balletto Parade, quasi sicuramente grazie a Cocteau e alla pianista russa Misia Sert. Con loro, un’altra figura fondamentale di quest’affascinate sto ria è Olga Khokhlova, ballerina dei Ballets Rus ses e prima moglie di Picasso. Olga è bella ed elegante, veste Chanel perché ama lo stile mo derno della modista, comodo e versatile. Pablo dipinge Olga senza filtri, rispettando la sua classe naturale e il suo chic informale. Bernard Ruiz-Picasso, nipote dell’artista, ha prestato, per la seconda sezione dedicata alla nonna Olga – madre di suo padre Paulo, primogenito del pittore – alcuni ritratti, tanti disegni, bellis sime foto e un inedito paravento che Picasso dipinse nel 1922 e che compare più volte nelle immagini degli interni di rue La Boétie, a Parigi.

La tappa dell’Antigone coincise per Picasso

con la passione per le antichità greche e ro mane, il ritorno al classicismo e la presenza di grandi corpi che campeggiano sulla tela, spesso donne monumentali seminude av volte in pepli bianchi. Anche Chanel si ispirò al mondo greco arcaico per i costumi (oggi pur troppo perduti) della tragedia di Cocteau, dise gnando per l’occasione i suoi primi gioielli. Pos siamo solo farci un’idea dello stile neoclassico delle sue creazioni attraverso i vestiti di colle zione della medesima epoca, dalle linee squa drate e con inserti metallici.

L’ultima sezione, dedicata allo spettacolo Le Train Bleu, è un ritorno parziale alle cromie in tense, solari, tipiche della Provenza, la regione dove si svolge l’azione: gli abiti di scena sono pura modernità fatta guardaroba, antesignani dello sportswear che non passerà mai di moda.

GLI ABITI DELLA FONDAZIONE TIRELLI TRAPPETTI

I capi firmati Coco Chanel sono l’autentica attrattiva della mostra al Museo Thyssen-Bor nemisza di Madrid, senza nulla togliere all’arte immortale di Picasso. Appartengono perlopiù alla prima fase creativa della modista francese, che tra il 1910 e il 1915 aveva già aperto bou tique a Parigi, Deauville e Biarritz, quest’ultima località frequentata durante la Prima Guerra Mondiale anche dai coniugi Picasso.

“Solo in tempi re centi i capi di moda vintage, del pas sato, si conside rano come pezzi da museo”, spiega Dino Trappetti, pre sidente della Fon dazione romana Ti relli Trappetti, che ha prestato al Thys sen ben dieci ve stiti. “Uno dei no stri abiti presenti in mostra, il vestito nero in crêpe di lana, con cannette e perline”, racconta Trappetti, “fu in dossato nel 1976 dall’attrice Anita Bartolucci in ‘Tutto per bene’ di Pirandello, spettacolo di Romolo Valli. Oggi sarebbe impensabile, considerando il valore inestimabile di questi capi, che tra l’altro necessi tano di una conservazione speciale”.

La Fondazione Tirelli Trappetti nasce per iniziativa di Umberto Tirelli, titolare della celebre sar toria teatrale e cinematografica romana nata nel 1964. Alla morte di Umberto, nel 1990, l’amico e collaboratore di sempre Dino Trappetti ne raccoglie il testimone. Dalla ricca collezione romana, composta da 15mila capi, dal 1750 agli Anni Ottanta del secolo scorso, provengono alcuni dei più raffinati esposti a Madrid. Come il fresco abito a fiori di chiffon con perline bianche o il cap potto ispirato all’Arlecchino di Picasso, in pelle rossa con collo alla coreana e gonna a scacchi rosso-neri. “Appartenevano alla principessa Emilia Altieri”, conclude Trappetti, “nobildonna ro mana elegante e sportiva, che era solita frequentare i ricevimenti alla corte dei Savoia indos sando capi firmati Chanel. Come il bellissimo vestito da sera in garza e filo d’oro, del 1922-24, con lunga coda e delicati ricami a fiori, donato dalla nipote principessa Domietta del Drago”. tirellicostumi.com

TUTTO UN ANNO NEL SEGNO DI PICASSO

In virtù dei recenti accordi bilaterali, Pablo Picasso oggi avrebbe senz’altro il doppio passaporto: quello spagnolo di na scita e quello francese d’adozione (o di re sidenza). Non è un caso che per celebrare il 50esimo anniversario della morte del grande artista sia nata per la prima volta una commissione bi-nazionale, formata da esperti di entrambi gli Stati, guidati dai rispettivi Ministeri della Cultura.

Una task force culturale senza pre cedenti è al lavoro dal 2021 per organiz zare un programma lungo un anno, ricco di eventi in tutta Europa e negli Stati Uniti. Sono 42 finora le mostre in calendario e due i congressi internazionali: sedici le mostre in Spagna, dodici in Francia, sette negli Stati Uniti, due in Germania, due in Svizzera, una nel Principato di Monaco, in Romania e in Belgio. Tra i musei coinvolti nelle celebrazioni ci sono il Prado, il Thys sen-Bornemisza e il Reina Sofía di Madrid, il Guggenheim di Bilbao e quello di New York, il Centre Pompidou e il Musée du Luxem bourg a Parigi, il Metropolitan, l’Hispanic So ciety e il Brooklyn Museum a New York, il Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles e il MARe di Bucarest. Da non di menticare la partecipazione attiva del Mu sée national Picasso-Paris, che per l’occa sione si è impegnato a fornire più di 500 prestiti, insieme al Museo Picasso, Málaga (città natale) e al Museu Picasso Barcelona, voluto dallo stesso artista e sede perma nente della serie de Las Meninas

Per scelta dell’organizzazione nessuna delle esposizioni in programma è di carattere monografico o retrospettivo. Cia scuna esplora un tema specifico, appro fondisce un aspetto inedito riguardante la vasta produzione di Picasso, l’influenza dei grandi maestri del passato. Altre mostre indagano nelle pieghe della biografia di Pi casso e soprattutto gli incontri con le per sonalità della sua epoca e le tante relazioni controverse con le donne.

Il Musée national Picasso-Paris, infine, celebra l’anniversario con due iniziative speciali: in primavera un riordino, ludico e allegro, della collezione permanente fir mato dallo stilista Paul Smith, in autunno un intervento site specific di Sophie Calle, artista concettuale francese che dialo gherà con l’opera di Picasso e con gli spazi dell’Hôtel Salé.

culture.gouv.fr culturaydeporte.gob.es

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RUBRICHE

ARTE E PAESAGGIO

Nel Borgo di Santo Pietro, ai piedi della collina di Cal tagirone in Sicilia, è nato un coraggioso progetto di recupero del territorio. Bosco Colto, ideato dallo stu dio di architettura Marco Navarra, mette in dialogo arte, architettura, scrittura, agricoltura, gastronomia, eco-design e formazione. Il programma si sviluppa a partire dall’idea del Campus territoriale Rasoterra. Imparare dalla selva, che coinvolge oltre cinquanta partecipanti da varie università italiane e costituisce la prima azione del progetto Bosco Colto.

GLI INTENTI DI BOSCO COLTO

Ecologismo, cultura del giardino, rigenerazione dei luoghi sono attività promosse sperimentando idee e materiali diversi, attraverso la pratica dell’autoco struzione. Luogo d’eccezione per queste pratiche e per gli incontri collettivi è la Stazione Sperimentale di Granicoltura, a Borgo Santo Pietro, piccolo centro agrario raccolto intorno ad architetture degli Anni Trenta. Qui si trovano la più importante sughereta d’Europa, ora in stato di semi-abbandono, campi con coltivazioni di grani antichi e specie dimenticate, uli veti e ampie distese di alberi di fichi d’India. In questo luogo convivono due componenti apparentemente distanti: il domestico e il selvatico È la capacità di “coltivare” con uno sguardo nuovo, con l’idea di “prendersi cura” dei luoghi, di creare contaminazioni e dialoghi a tratteggiare la visione che sta alla base di Bosco Colto.

I PROTAGONISTI DI BOSCO COLTO

Il Campus, in forma di Summer School, vede coin volta un’ampia rete di realtà e di associazioni locali, operative su tematiche socio-territoriali e sulla va lorizzazione di risorse dimenticate. Tra queste, luo ghi come l’orto-giardino dell’ex Educandato San Luigi sono stati restituiti alla città attraverso una sapiente operazione di ricucitura e un’apertura visiva (a cura del gruppo Analogique). Così come il progetto di ri pristino di un vecchio vivaio nel cuore del bosco (a cura di Antonio Scarponi Studio Conceptual Devi ces); il recupero di postazioni in disuso per cavalli (a cura di ErranteArchitetture); la lunga tavola per l’im pasto collettivo del pane (ideata da Marco Navarra); le sperimentazioni culinarie del giovane chef Marco Falcone con le farine della stazione di granicoltura; i racconti di LetteraVentidue sono tutte azioni che riportano in primo piano vocazioni rimosse e tra smissione dei saperi. Il bosco di querce da sughero è il luogo del sacro, ma anche del lavoro, delle econo mie, della conoscenza e della socialità. Recuperare il senso dell’insieme, nei frammenti di questo paesag gio complesso e stratificato, è forse la sfida più strin gente dell’intero progetto.

IL MUSEO NASCOSTO

La Fondazione Leonardo Sinisgalli – istituita nel di cembre 2008, a cento anni dalla nascita del poeta lu cano – è frutto di un dialogo tra il Comune di Monte murro, la provincia di Potenza, la Regione Basilicata e la Fondazione Banco di Napoli, indirizzato a un pro cesso di concreta valorizzazione di quella cosmo gonia di storie, intrecci, interessi, studi e ambiti di ri cerca che hanno contraddistinto l’epopea di questo intellettuale radicale del Novecento, nato a Monte murro nel 1908 e morto a Roma nel 1981. Cinque anni dopo un periodo di intenso impegno, na sce la Casa delle Muse, lo spazio in cui convivono dia letticamente tutti i mondi di quello che è stato definito un “Leonardo del Novecento”: dalla poesia alla mate matica, dalla grafica pubblicitaria alla radio, dalla critica d’arte al disegno, dall’architettura al cinema, tutto ciò è in questo spazio che periodicamente ospita progetti, incontri e momenti di riflessione condivisa.

IL MUSEO ISPIRATO A SINISGALLI

Il percorso museale è strutturato in temi e sale con specifici argomenti, mentre un ambiente dedicato alla memoria del padre dell’intellettuale è destinato a mostre temporanee. In quella che era la casa di fami glia – acquistata dal padre di Sinisgalli nel 1920 al ri entro dall’America – è possibile così immergersi in un ambiente denso, che accoglie anche le opere dei suoi amici artisti: da Giulio Turcato a Domenico Cantatore, da Franco Gentilini a Lorenzo Guerrini e Bruno Caruso. C’è poi il Focolare degli affetti, un’altra sezione, intima, capace di esplicitare le connessioni umane attraverso testi poetici, fotografie d’epoca, oggetti e finanche utensili domestici; si prosegue con la biblioteca, oltre 4mila volumi in grado di tracciare le fondamenta degli interessi culturali e artistici di Sinisgalli.

SINISGALLI E L’ARTE

La programmazione è intensa, anzitutto grazie a co stanti visite guidate per scolaresche, turisti, cittadini, offerte gratuitamente dalla Fondazione grazie al per sonale interno, che rende questo spazio una piatta forma di divulgazione attorno al pensiero di Sinisgalli, il quale fu anche un raffinato critico d’arte, parte in tegrante di una linea della poesia italiana che ha fatto i conti con le arti visive (nel suo caso occupandosi di Antonio Donghi, Scipione e tantissimi altri, su rivi ste e giornali). A tal proposito lo storico dell’arte Giu seppe Appella, che gli fu amico, ha scritto che la cri tica d’arte di Sinisgalli oscillava tra “l’elogio violento e la stroncatura sottile”. Sono tante le mostre che si sono susseguite in questo luogo, all’insegna di quella pluralità che Civiltà delle macchine – la rivista fondata da Sinisgalli nel 1953 – ha sempre assicurato ai suoi lettori. E poi c’è Acamm, il sistema dei musei di Aliano, Castronuovo di Sant’Andrea, Moliterno e Montemurro, un consorzio di musei del territorio, con cui in anni re centi sono state organizzate mostre di Guido Strazza, Mario Cresci, Fausto Melotti, Kengiro Azuma, Anto nietta Raphaël Mafai, Assadour.

Corso Leonardo Sinisgalli 44 fondazionesinisgalli.eu

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Claudia Zanfi
MONTEMURRO CASA DELLE MUSE DI LEONARDO SINISGALLI
BORGO DI SANTO PIETRO CALTAGIRONE BOSCO COLTO boscocolto.org
Casa delle MuseBosco Colto. Photo Claudia Zanfi

ASTE E MERCATO

And the Bridegroom di Lucian Freud (Berlino, 1922 –Londra, 2011) è una delle opere che di certo resta più impressa nello sguardo di chi ha la fortuna di attra versare le sale della National Gallery di Londra, dove fino al 22 gennaio 2023 è in corso New Perspecti ves, prima grande retrospettiva dedicata negli ultimi dieci anni al pittore tedesco naturalizzato britannico.

LA MOSTRA SU FREUD A LONDRA

A non molti giorni di distanza dall’opening della Na tional Gallery e sempre a Londra, un frammento di quella stessa opera, di non minor fascino, è stato tra i lotti più contesi nella sale room di Sotheby’s in New Bond Street durante la Contemporary Art Evening Sale del 14 ottobre. Da una stima tra i 700mila e il mi lione di sterline, And the Bridegroom (first version, fragment) del 1993 ha trovato un nuovo proprieta rio per quasi 2 milioni di sterline Organizzata dalla National Gallery in collaborazione con il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, dove la mostra si sposterà dopo la prima tappa inglese, New Perspectives raccoglie oltre sessanta opere realiz zate da Lucian Freud in più di settant’anni di carriera. E di completa adesione e dedizione alla pittura. Dai lavori degli esordi alle più note, enormi tele in cui a essere ritratto è stato l’intero mondo che intorno a Freud gravitava. Personaggi pubblici, dell’arte e non, si sono sempre alternati nelle sue rappresentazioni, con quella resa della carne e dell’umanità dei sog getti che ha conferito all’artista il posto che gli spetta nella storia dell’arte.

LA PITTURA DI FREUD

And the Bridegroom, anche in frammento, ne è solo una delle tante testimonianze. Protagonisti di questa prima versione di un tema più che ricorrente nella produzione di Freud sono Leigh Bowery e Nicola Ba teman, ritratti per anni dal pittore. L’opera prende il titolo da un componimento di Housman, Epithala mium. Un epitalamio, ovvero un canto nuziale che nel mondo antico greco e poi romano celebrava l’u nione degli sposi e la loro futura felicità. La sorte non è stata così generosa invece con Bowery, che morì di AIDS a pochi mesi dal matrimonio con Nicola Bate man nel maggio del 1994. Resta quest’opera, con le altre, a dimostrazione di un legame di amicizia profondo, oltre che testamento di Freud sul valore della pittura che per lui fu sempre quello di “un’intensifi cazione della realtà”.

SOTHEBY’S LUCIAN FREUD

IL LIBRO

Lucian Freud, And the Bridegroom (first version, fragment), part., 1993. Courtesy of Sotheby’s

Manifesto of Fragility è il tema della 16esima Biennale di Lione (fino al 31 dicembre), curata dalla coppia com posta da Sam Bardaouil e Till Fellrath, direttori della Hamburger Bahnhof di Berlino nonché commissari del Padiglione Francia alla Biennale di Venezia 2022.

Due i termini chiave: “fragilità”, intesa non “come un segno di debolezza, bensì come un fondamento dell’emancipazione”; e “manifesto”, che denota un approccio proattivo e performativo nei confronti dei temi trattati e non soltanto di lettura passiva dello status quo. Questo nodo si declina in tre cerchi con centrici: il primo è individuale, incarnato dalla figura di Louise Brunet, donna realmente esistita che di venta simbolo di uno status che si ripropone lungo i secoli e i continenti; grazie alla sua microstoria emerge il legame tra Lione e Beirut, e ciò dà luogo al secondo cerchio, in cui la fragilità si declina nel rac conto di uno specifico periodo della capitale liba nese; infine, il cerchio più ampio assume una dimen sione globale, in cui il tema si relaziona con la pro messa di futuro, con la speranza, con la resilienza.

LA MOSTRA AL MAC DI LIONE

La mostra Beirut and the Golden Sixties, al MAC –Musée d’Art Contemporain, racconta il modernismo della capitale libanese nel periodo compreso tra il 1958, anno della crisi, e il 1975, quando scoppia la guerra civile. Con 230 opere di 34 artisti e oltre 300 documenti d’archivio, si narra come la scena artistica di Beirut fosse “un microcosmo rivelatore di tensioni transregionali più ampie”. Una mostra museale di grande livello, non foss’altro per la quantità e qualità di ricerca che ha necessitato. Disorienta tuttavia un fo cus geo-storico di questo genere, in sé concluso, nel quadro di una biennale d’arte contemporanea. Che si tratti di un trait d’union stimolante e funzionale nel progetto generale dei curatori è chiaro, ma la verti calità dell’approfondimento pare eccessiva. A con fermare questa sensazione di “mostra autonoma”, il fatto che provenga dal Gropius Bau di Berlino (dove è stata allestita fino allo scorso giugno, e Berlino non è così distante da Lione) e che, nel 2023, sarà montata al Mathaf di Doha (dal 19 marzo al 5 agosto).

IL CATALOGO DELLA MOSTRA

A ulteriore avallo dell’autoconclusività di Beirut and the Golden Sixties c’è l’ottimo catalogo pubblicato da Sil vana Editoriale – che firma l’intera produzione edito riale di questa Biennale di Lione. Ricco di immagini, an che dell’allestimento firmato da Andreas Lechthaler e Leendert De Vos, il libro contiene in particolare un sag gio di Natasha Gasparian dedicato a The Trouble with Sex: Surrealism as Style in 1970s Beirut. Fra i tantissimi artisti presi in esame, invece, consigliamo di approfon dire la conoscenza di Huguette Caland (1931-2019), consacrata nell’anno della sua morte da una retrospet tiva alla Tate St Ives ma con grandi potenzialità ancora inespresse, ad esempio, a livello di mercato.

BEIRUT AND THE GOLDEN SIXTIES

a cura di Sam Bardaouil & Till Fellrath

Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2022 Pagg. 272, € 38 ISBN 9788836652945

silvanaeditoriale.it

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Cristina Masturzo
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