Artribune #59-60

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#59-60 DIRETTORE Massimiliano Tonelli DIREZIONE Marco Enrico Giacomelli [vice] Santa Nastro [caporedattrice] Arianna Testino [Grandi Mostre] REDAZIONE Irene Fanizza Claudia Giraud Desirée Maida Roberta Pisa Giulia Ronchi Valentina Silvestrini Valentina Tanni Alex Urso Alessandro Ottenga [project manager] PUBBLICITÀ & SPECIAL PROJECT Cristiana Margiacchi / 393 6586637 Rosa Pittau / 339 2882259 adv@artribune.com Arianna Rosica a.rosica@artribune.com EXTRASETTORE downloadPubblicità s.r.l. via Boscovich 17 - Milano via Sardegna 69 - Roma 02 71091866 | 06 42011918 info@downloadadv.it REDAZIONE via Ottavio Gasparri 13/17 - Roma redazione@artribune.com PROGETTO GRAFICO Alessandro Naldi COPERTINA a cura di Tatanka Journal STAMPA CSQ - Centro Stampa Quotidiani via dell’Industria 52 - Erbusco (BS) DIRETTORE RESPONSABILE Marco Enrico Giacomelli EDITORE Artribune s.r.l. Via Ottavio Gasparri 13/17 - Roma Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 184/2011 del 17 giugno 2011 Chiuso in redazione il 29 aprile 2021

MARZO L GIUGNO 2021 www.artribune.com

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COLUMNS 6 L GIRO D’ITALIA Laura Barreca Delfino Sisto Legnani || 12 L Massimiliano Tonelli Da Milano a Roma, impastoiati in ataviche timidezze civiche || 13 L Renato Barilli Quant’è obsoleta la separazione Accademie-Università? || 14 L Claudio Musso Ferite aperte, ferite a parte || 15 L Franco Broccardi 5 proposte fiscali per far ripartire il mercato || 16 L Aldo Premoli I funghi e lo straordinario mondo del wood web wide || 17 L Marcello Faletra L’assalto al cielo || 18 L Fabio Severino Di aperture e Ristori || 19 L Christian Caliandro Fuoriuscita: Carla Lonzi e l’autenticità

NEWS 20 L LA COPERTINA Tatanka Journal Unexpected Energy || 21 L OPERA SEXY Ferruccio Giromini Bernhard Prinz (non il caricaturista) || 22 L TOP 10 (NFT) LOTS Cristina Masturzo || 23 L LABORATORIO ILLUSTRATORI Roberta Vanali Federica Emili e l’arte di emozionare || 24 L TALK SHOW Santa Nastro & Annalisa Trasatti Come insegnare l’arte contemporanea ai bambini? [parte seconda] || 26 L APP.ROPOSITO Simona Caraceni Exit Strategy per opere e artisti / NECROLOGY || 27 L GESTIONALIA Irene Sanesi Alla ricerca della cultura perduta || 30 L LIBRI Marco Enrico Giacomelli & Marco Petroni Pajak, Berger, Storr et al. || 32 L ART MUSIC Claudia Giraud Re-flexio || 33 L SERIAL VIEWER Santa Nastro Fargo: la quarta serie / L.I.P. – LOST IN PROJECTION Giulia Pezzoli American Woman || 34 L DIGITAL MUSEUM Maria Elena Colombo Che lingua parla Palazzo Grassi? || 36 L BIENNALE ARCHITETTURA Valentina Silvestrini || 42 L CONCIERGE Valentina Silvestrini Fermento alberghiero nella capitale || 43 L OSSERVATORIO NON PROFIT Dario Moalli Spazio In Situ || 44 L ARCHUNTER Marta Atzeni Mínimo Común Arquitectura || 45 L DURALEX Raffaella Pellegrino NFT. Nuove frontiere della proprietà intellettuale || 48 L STUDIO VISIT Saverio Verini Stefania Carlotti

STORIES 54 L Arianna Testino (a cura di) I conti col futuro. I drammi della storia e cos’è accaduto dopo (con saggi di Gilberto Corbellini, Robert Storr e Chiara Frugoni)

ENDING 84 L SHORT NOVEL Alex Urso Francesco Cattani 86 L IN FONDO IN FONDO Marco Senaldi Cosmocorismo past-pandemico

QUESTO NUMERO È STATO FATTO DA: Manuela Alessandrini Marta Atzeni Renato Barilli Laura Barreca Paola Boccaletti Franco Broccardi Christian Caliandro Simona Caraceni Gaia Carboni Stefania Carlotti Francesco Cattani Maria Elena Colombo Gilberto Corbellini Ilaria Del Gaudio Matteo de Mayda Federica Emili Marcello Faletra Marta Ferina Chiara Frugoni Marco Enrico Giacomelli Emilia Giorgi Claudia Giraud Ferruccio Giromini Claudia Löffelholz Melania Longo Desirée Maida Cristina Masturzo Alessandro Melis Mínimo Común Arquitectura Dario Moalli Claudio Musso Santa Nastro Raffaella Pellegrino Marco Petroni Giulia Pezzoli Anna Pironti Aldo Premoli Emanuela Pulvirenti Clementina Rizzi Giulia Ronchi Irene Sanesi Maria Elena Santomauro Marco Senaldi Fabio Severino Valentina Silvestrini Delfino Sisto Legnani Spazio InSitu Robert Storr Elena Stradiotto Tatanka Journal Arianna Testino Massimiliano Tonelli Annalisa Trasatti Alex Urso Roberta Vanali Antonella Veracchi Saverio Verini Marco Zanotti

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Palermo LAURA BARRECA [ critica e storica dell’arte ] DELFINO SISTO LEGNANI [ fotografo ]

arrivo per mare è l’approdo più bello, con le montagne sullo sfondo, il Monte Pellegrino che guarda la città e le brutte architetture con i palazzoni alti e tutti diversi, insediamenti post-bellici degli anni poi ribattezzati del sacco di Palermo. Dal mare la città è disomogenea e stratificata: dietro le gru del porto che la separano dall’acqua tra le cupole delle chiese barocche, campeggiano quella più grande del Teatro Massimo, il profilo del Teatro Politeama, i diciotto piani del grattacielo metallico dell’INA, punto di riferimento della città nuova, anche se la grande insegna luminosa Assitalia è stata rimossa qualche anno fa. All’altezza di Porta Felice, con un colpo d’occhio, dal mare si arriva ai piedi della Cattedrale arabo-normanna di Monreale, lungo l’asse che attraversa il Cassaro. Qui si allunga il Foro Italico, con una nuova promenade creata per rinsaldare il legame della città con il mare. La domenica, sul prato verde tra le panchine a pois e i birilli di ceramica progettati da Italo Rota con un curioso profilo di Eleonora d’Aragona, si organizzano partite di calcio e di cricket, si vedono gli aquiloni volare in alto, molti bambini con le magliette delle squadre più blasonate, le navi uscire lentamente dal porto dirette a Civitavecchia, Tunisi, Genova, Barcellona. Un po’ più avanti inizia la Kalsa (al khalisa, in arabo “l’eletta”) che, insieme al Capo, all’Albergheria e alla Vucciria, è uno dei quartieri più antichi di Palermo, con i mercati storici dove si mescolano differenti specie di frequentatori locali: prima della pandemia meta di turisti in cerca delle atmosfere esotiche dei suk mediterranei. Le tracce della città araba, d’altronde, si scorgono nelle decorazioni geometriche delle strombature degli archi a sesto acuto di certe chiese e certi palazzi del centro storico – basta alzare lo sguardo! E infatti anche Cesare Brandi la paragona a Marrakesh, ma anche a Gerusalemme o a Beirut, con le bancarelle di semenza adornate come altarini. In prossimità dei luoghi di preghiera dei musulmani sembra una città nordafricana in Europa, e in effetti ancora in bilico tra le memorie favolose della città degli emiri, la “porta d’Oriente” e quasi asiatica, oppure futuro hub strategico del Mediterraneo, dove nel bacino del porto di Fincantieri si costruiscono le navi passeggeri più grandi al mondo. Panormous “città tutto porto”: eppure nei suoi diciassette chilometri di costa è vietata la balneazione, perché nel contesto greve di una lunga stagione politica in odore di mafia, non troppo tempo fa, detriti contaminati delle demolizioni e materiali di scavo furono qui depositati.

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“Andate a Palermo per mare”, dice Brandi nel libro Sicilia mia pubblicato da Sellerio, perché di fronte al mare, percorrendo la Passeggiata delle Cattive (captivae, vedove siciliane, prigioniere del proprio lutto…), si arriva all’Orto Botanico, bellissimo e gigantesco museo all’aperto con la più vasta collezione di piante e specie vegetali provenienti da quasi tutti i continenti. Addentrandosi a piedi per il quartiere si arriva a Piazza Marina, occupata in parte dal più grande Ficus Macro­ phylla d’Europa, e di fronte a un altro ancora troppo poco conosciuto patrimonio della città: le Carceri dell’Inquisizione, dentro lo Steri, oggi sede del Rettorato universitario, palazzo di città della potentissima famiglia Chiaromonte nel XIV secolo. Al suo interno si trovano i graffiti carcerari del Sant’Uffizio Spagnolo. Uno straordinario repertorio iconografico trascritto da intellettuali, uomini di cultura, geografi, studiosi, letterati, donne, messi a tacere dal Tribunale dell’Inquisizione. È questa la parte di città dove si sta polarizzando un interessante fenomeno di investimenti immobiliari gravitanti attorno a Palazzo Butera, trasformato recentemente in una stupefacente casa-museo con una collezione d’arte di tutti i tempi, degna di una moderna Wunderkammer. E qui, ancora una volta, la città vecchia diventa nuova. Anzi: contemporanea.

GIRO D’ITALIA è una guida sentimentale che esplora la Penisola, dai più piccoli ai maggiori centri abitati. Seguendo la metafora del ciclismo, procede con lentezza, attraverso lo sguardo dei fotografi associato alle parole di autori di varie discipline. Un viaggio in soggettiva, per tracciare una mappa inedita del nostro Paese – un viaggio curato da Emilia Giorgi.

BIO Delfino Sisto Legnani vive a Milano. Dopo la laurea in Architettura, lavora come fotografo per le principali riviste internazionali. Nel 2015 fonda DSL Studio. I suoi lavori sono stati esposti in musei e istituzioni come La Biennale di Venezia, The Victoria & Albert Museum di Londra, La Triennale di Milano, Chicago Architecture Biennale, Manifesta 12, MAXXI. Nel 2016 fonda il project space MEGA con Davide Giannella e Giovanna Silva, nel 2020 lo studio di progettazione NM3 con Nicolò Ornaghi e Francesco Zorzi. dslstudio.it

a destra e seguenti: Delfino Sisto Legnani, Palermo, 2018. Courtesy l'artista




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MASSIMILIANO TONELLI [ direttore ]

DA MILANO A ROMA, IMPASTOIATI IN ATAVICHE TIMIDEZZE CIVICHE

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opo 14 interminabili mesi di emergenza si può ben ammettere che il nostro settore si è pianto addosso. Per carità, in tanti si sono dati da fare, altri hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, ma in linea generale la reazione al disastro non è stata delle più arrembanti. “Il settore dello spettacolo e della cultura è stato il più massacrato dalla crisi”, tuona il Ministro Dario Franceschini durante gli ultimissimi giorni di aprile 2021. Già, ma cosa abbiamo fatto in risposta? Certamente il Governo ha approntato dei Ristori e il Ministero ha fatto in modo che permeassero ovunque, anche le realtà più piccole: qualche soldino è arrivato anche ad aziende di nicchia come Artribune. Bene, ma non era solo un problema di soldi. C’è stato piuttosto un significativo deficit di creatività. E pensare che si era partiti benino. Con tutte quelle attività digitali, con tutti quei contenuti culturali condivisi multipiattaforma, con le istituzioni culturali affannate a stare in connessione col loro target mediante iniziative estemporanee e dirette social. E poi? Poi l’emergenza è terminata ed è rapidamente ripartita, perfino peggio di prima. E la seconda ondata non ci ha trovati affatto pronti a rilanciare: siamo stati lì ad attendere che terminasse, senza aggredirla e senza affrontarla.

C’è una cosa imperdonabile: la debolezza con cui abbiamo affrontato la fine della seconda emergenza. Ma questo può essere anche comprensibile, per fino legittimabile: esausti, impauriti, disperati come eravamo (e neppure più mossi dall’effetto sorpresa), ci siamo ritrovati senza forze. Okkay, perdonati. Ma c’è una cosa imperdonabile: la debolezza con cui abbiamo affrontato la fine della seconda emergenza, ovvero il periodo in cui siamo ora. Misure allentate, vaccini in aumento, bella stagione in arrivo, certezza di una oggettiva difficoltà a contagiarsi all’aperto e ciononostante ancora clamoroso deficit di idee. Poco o nulla. Poco da parte dei privati. Nulla da parte del pubblico. Alessandro Gassmann ha provato a suggerire in un tweet: “Beh ma facciamo spettacoli nei parchi di Roma no!?”. La sindaca della Capitale ha risposto: “Parliamone”. Parliamone!? Parlarne quando la cosa doveva già essere approntata, predisposta e organizzata da settimane? Semplicemente inaccettabile. A Milano? Cinema aperti alle 6 del mattino e pieni di gente non appena si è potuto. Carino, simbolico, ma è abbastanza per una città che reclama una leadership nazionale ed europea e però non riesce a trovare una chiave creativa per garantire al 100% lo svolgimento del Salone del Mobile a settembre? Non c’è niente da fare. Continuiamo ad avere remore illogiche nell’utilizzare lo spazio pubblico, perdendo occasioni e opportunità. E neppure un evento epocale riesce a sciogliere questi nodi e queste ataviche timidezze civiche. Abbiamo tutta l’estate per affrontare un problema che è mentale e politico prima ancora che organizzativo e logistico. Chi è disposto a partire dimostrando che si può fare? Chi finalmente proporrà soluzioni creative a problemi solo apparentemente insormontabili?


RENATO BARILLI [ critico d’arte militante ]

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RETRIBUZIONI DOCENTI UNIVERSITARI 140k

retribuzione annua lorda (13 mensilità)

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DOCENTE DI PRIMA FASCIA (Ordinario- tempo pieno)

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DOCENTE DI SECONDA FASCIA (Associato - tempo pieno)

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fonte: Università di Pisa a seguito della Gazzetta Ufficiale, 31 dicembre 2020

RETRIBUZIONI DOCENTI AFAM – Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica

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retribuzione annua lorda (13 mensilità)

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l mio inguaribile pendolarismo tra arte e letteratura ha origini lontane, fin dalla mia prima giovinezza, negli Anni Cinquanta del secolo scorso, in cui mi sono trovato a frequentare in contemporanea l’Accademia di Belle Arti e la Facoltà di Lettere e Filosofia, entrambe a Bologna, la mia città, diplomandomi in entrambe. In seguito ho optato per l’Università, materie artistiche, in cui ho svolto un lungo servizio fino al pensionamento, ma seguendo sempre con attenzione quanto accadeva nell’altra istituzione, non mancando mai di farmi sostenitore della causa di una loro totale fusione, il che purtroppo non è ancora avvenuto. In questo momento si dà il caso favorevole che in due Accademie di prima forza, proprio quella bolognese e l’altra di Torino, siano alla direzione due persone di cui ho la massima stima, Cristina Francucci e Edoardo Di Mauro, quindi questo mio scritto è rivolto a loro in prima e prioritaria intenzione, al fine di stimolarne un efficace intervento su questo fronte. Mi si potrebbe obiettare che la nobile causa di una simile identificazione è ormai raggiunta, ma purtroppo non è così, sussiste ancora una pur fragile e quasi invisibile parete di distinzione tra l’una e l’altra. È vero che le Accademie di Belle Arti si sono date gli stessi organismi degli Atenei, corsi di laurea, Dipartimenti, moltiplicazione degli insegnamenti, ma certe differenze purtroppo continuano a sussistere. Infatti, per esempio, non esiste l’intercambiabilità nei posti di insegnamento, ovvero un professore di ruolo nelle Accademie non può accedere con pari grado all’insegnamento nelle Università, e viceversa. In un caso e nell’altro, ciascuno di loro figura solo come esperto in materia, suscettibile di ricevere un incarico annuale, e nulla di più, con compensi molto esigui. Il che poi, altro grave fattore discriminante, si riproduce al livello generale delle retribuzioni. Quelle dei docenti delle Accademie restano ancorati a parametri corrispondenti a quelli degli insegnanti delle scuole medie, mentre gli universitari percepiscono stipendi maggiori di almeno un terzo. Non riesco a capire come ciò sia possibile, dato che un fermo principio costituzionale vuole che, a parità di ruoli, i compensi debbano essere di pari valore. Perché i sindacati non intervengono in materia, o come giustificano il sussistere di una simile sperequazione? Questo diaframma separante esiste per colpa dei docenti delle due parti:

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QUANT’È OBSOLETA LA SEPARAZIONE ACCADEMIE – UNIVERSITÀ?

DOCENTE DI PRIMA FASCIA

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quelli delle Accademie temono di finire sotto la dittatura dei colleghi dell’altra sponda, più numerosi e meglio organizzati, e anche meglio retribuiti. Dall’altra parte si teme di imbarcare una schiera di docenti di scarso livello culturale, troppo impegolati nella pratica, nella manualità, ma si sa bene che questa dannosa separazione tra pratica e teoria è un male endemico che colpisce proprio i nostri Atenei, almeno nei rami umanistici, quelli che soffrono di più di una simile separazione. Per loro fortuna, nei Paesi anglosassoni queste brutali separazioni non esistono, là i Departments of Fine Arts amministrano sia gli insegnamenti di carattere operativo, pittura, fotografia eccetera, sia quelli storici e teorici, con ottima integrazione. Pare che uno degli inciampi sulla via di giungere anche da noi a questa perfetta integrazione sia causato dai Conservatori

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fonte: Gazzetta Ufficiale, 20 giugno 2018, supplemento ordinario n. 33

musicali, collegati nel provvedimento legislativo alle Accademie di Belle Arti. In essi, si dice, sarebbe necessario annettere anche il cursus delle scuole medie, dato che chi vuole diventare pianista deve cominciare a esercitarsi fin da ragazzo. Ma questa, di una scelta obbligatoria già nella prima adolescenza, mi sembra un residuo barbarico, medievale, estraneo agli orizzonti che pure nella musica sono stati aperti dalle avanguardie del Novecento. E dunque, cari amici, dateci dentro, adopratevi per far sparir questi residui separatismi che ancora gravano sui vostri corsi. Io naturalmente sono pronto a darvi tutto l’appoggio che posso, quanto meno a livello teorico.

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CLAUDIO MUSSO [ critico d’arte e docente ]

FERITE APERTE, FERITE A PARTE

er chi come me è tormentato da anni dall’arte urbana e dai Visual Studies, il progetto di JR per Palazzo Strozzi non poteva passare inosservato (ammesso che ci sia ancora qualcuno che non sappia di cosa parliamo). Qui però la questione dirimente non è la valutazione qualitativa dell’opera, dell’artista o dell’intenzione curatoriale: La Ferita, così si intitola l’apparato scenico orchestrato dall’artista francese, diventa semmai il pretesto per una riflessione attorno a come vediamo (ne)i musei. Non è alla struttura che si para sul celeberrimo prospetto bugnato che vogliamo fare riferimento, quanto al fatto che l’interpretazione più diffusa che ne è stata data si concentra sull’accessibilità degli spazi espositivi – i musei, su tutti – in epoca di Covid-19. Ma se il punto non fosse questo? Se la serrata dei luoghi dell’arte ci portasse a interrogarci sulle modalità di fruizione, anzi, più precisamente di percezione di quegli stessi ambienti? Cantava Diana Est nel 1983 su testo di Enrico Ruggeri: “Fuori dai musei / Nuovi amici miei / Si distruggerà / La civiltà delle banalità” e oggi in effetti il dibattito è scatenato da un artista che dell’Inside Out (letteralmente rovesciare l’interno all’esterno, o “esternalizzare l’arte”, direbbe Paul Virilio) ha fatto persino un marchio registrato. La battaglia tra il “dentro” e il “fuori” dal museo pare essere quella più avvincente, tanto che basta farsi un giretto sui social per imbattersi, senza particolare fatica, in serie di commenti, botta e risposta, quando non veri e propri dissing di appartenenti alle due fazioni. E allora la facciata del museo non è più solo il fronte prospiciente sulla strada dell’edificio che lo ospita, può diventare metafora della soglia che separa appunto gli eventuali visitatori dal contenuto (le opere) attraverso una sottolineatura del contenitore (che nell’etimologia, oltre a “tenere insieme”, comprende il “tenere fermo”, nel senso di raffrenare, o addirittura reprimere). Da questa accezione estesa è forse più semplice comprendere perché nell’immaginario comune le pareti dei musei, come di altri luoghi deputati a “custodire” la cultura, siano visualizzate come sbarre di una gabbia all’interno della quale sono stati rinchiusi animali selvaggi e pericolosi. In chiave retorica ne consegue che i musei vengano spesso descritti come luoghi “inaccessibili”, spazi elitari di cui il pubblico si doveva “riappropriare” mentre, con la stessa enfasi, la Street Art o l’arte urbana

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JR, La Ferita, 2021, Firenze, Palazzo Strozzi © Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio

Nell’immaginario comune le pareti dei musei, come di altri luoghi deputati a "custodire" la cultura, sono visualizzate come sbarre di una gabbia.

sia indicata come libera, priva di barriere o di filtri. Queste due visioni, già deleterie per i soggetti a cui si riferiscono, sono state poi raccontate come se avessero un rapporto di causa-effetto. È possibile guardare al museo aspettandosi l’immediatezza dell’arte nello spazio urbano? È giusto chiedere alla Street Art di sopravvivere nei nostri occhi (e non solo) ben oltre la durata di uno sguardo? “Tutto ormai è monumentaneo”, chiosava Alessandro Bergonzoni con un geniale neologismo, ormai più di un anno fa.


FRANCO BROCCARDI [ dottore commercialista ]

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FRANCIA 1. Art Bonus "evoluto": detrazione di 5 anni per le aziende che acquistano opere di artisti viventi, a patto che tali opere vengano esposte in un luogo accessibile al pubblico o ai dipendenti. 2. Abbassare le imposte sull’importazione dal 10% al 5%. USA 3. Sospensione dal reddito imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione di opere d’arte se l’importo incassato viene reinvestito in altre opere. UK 4. Obbligo per lo Stato di acquistare le opere "notificate". INEDITA 5. Tassare le vendite tra privati con un’aliquota sulla plusvalenza del 26% che cala ogni anno del 5,2%, arrivando a zero dopo un quinquennio.

“Un buon compositore non imita. Ruba”. Per Stravinskij questa non era una confessione ma una semplice constatazione di un dato di fatto. Qualcosa di molto vicino a quanto teorizzava Walter Benjamin che immaginava l’apice di una carriera nella stesura di un romanzo fatto solo di citazioni. Rubiamo, quindi, dalle norme altrui, adattiamole alle nostre esigenze, miglioriamole dove riteniamo. Quando lo facciamo, quindi, facciamolo bene. Abbiamo rubato alla Francia introducendo nel nostro ordinamento l’Art Bonus. Quello che però non abbiamo fatto, è di rubare anche la norma che prevede che le aziende che acquistano opere originali di artisti viventi possano detrarre dal risultato dell’anno di acquisizione e dei quattro anni successivi una somma pari al prezzo di acquisto, a patto che tali opere vengano esposte in un luogo accessibile al pubblico o ai dipendenti, ad eccezione dei propri uffici, per cinque anni. Se a questo aggiungi, che so, che le opere devono essere di artisti italiani, puoi così sostenere la circolazione di arte nazionale; che devono essere di artisti sotto una certa età, favorisci i giovani; che non devono aver avuto altri proprietari, favorisci la produzione di nuove opere. Possiamo rubare agli USA la norma che fino al 2018 permetteva la sospensione dal

reddito imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione di opere d’arte se l’importo incassato veniva reinvestito in altre opere (una norma nata per il mercato immobiliare e poi estesa ad altri settori e che Trump, immobiliarista, si è riportato a casa). Rubare così ci fa sentire Robin Hood? Allora proseguiamo modificando le norme sulla circolazione dell’arte attingendo dal principale mercato europeo, quello britannico, che obbliga lo Stato all’acquisto per quelle opere che in Italia chiamiamo “notificate”, ossia per cui viga il divieto di esportazione in quanto considerate di interesse nazionale e che qui da noi rimangono al collezionista ma con una significativa perdita di valore a causa della restrizione del mercato (e non parliamo del mercato londinese, oltretutto). Ma in fondo sono sempre i cugini a essere sempre i più amati e odiati. Allora perché non rubare ancora in casa dei francesi (e così ne approfittiamo per non lamentarci più del “furto” della Gioconda)? Quindi: potremmo, senza grande fantasia, abbassare le imposte sull’importazione al loro livello, portandola dal 10 al 5,5%. Esageriamo, pure mezzo punto in meno. Lo Stato porterebbe a casa il 5% di un mercato mica piccolo invece del 10% di quasi nulla e noi porteremmo un po’ di banchi del mercato dalla Costa Azzurra alla Riviera ligure. Fare due conti non guasterebbe. Così come farli pensando a quel tipo che vende le cose da casa sua (ricordate?) e tassare le vendite tra privati. Partendo da un’aliquota sulla plusvalenza del 26% e calando ogni anno del 5,2%, arrivando a zero dopo un quinquennio. Perché farlo? Perché lo Stato ci guadagnerebbe, perché le gallerie eliminerebbero una concorrenza sleale, perché ogni mercato fiorente si basa su norme chiare e facili da applicare e verificare, mentre ogni zona d’ombra fa felici solo quelli che sguazzano nelle paludi. Perché un oggetto diventa parte di una collezione progressivamente e abbassare la tassazione altrettanto progressivamente avrebbe senso e definirebbe chi è collezionista e chi è mercante senza doversi affidare a espedienti talvolta decisamente senza senso, come il considerare il prestito di un’opera a un museo per una pubblica fruizione come operazione commerciale volta all’aumento del valore dell’opera (ah, all’estero questo atteggiamento è, ovviamente, premiato). Fare o non fare, non c’è provare. Facciamolo, quindi.

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mmaginate di essere a Ponte San Ludovico, il confine italo-francese che si affaccia sul mare tra Liguria e Costa Azzurra. Immaginate un mercato di fiori e piante e dei banchi, qualcuno al di qua e qualcuno al di là del confine. E immaginate la gente in una bella giornata a comprare mentre voi, come degli umarell, state lì a guardare le cose che accadono. Vedrete che nei banchi si vendono più o meno le stesse cose, ma sul lato francese le piante esotiche, che sono di gran moda, da un po’ di tempo costano meno. E questo fatto fa sì che ci siano più banchi verso Mentone che non verso Ventimiglia e, ovviamente, più acquirenti. In Italia, poi, c’è un signore nella villetta di fronte che tiene la porta aperta. Il proprietario aveva anche lui un banco al mercato, ma ora fa da casa. Acquista qua e là e continua a vendere qualcuna delle cose che trovi sulle bancarelle, ma lo fa senza pagare le tasse e questo gli permette due strade: venderle a un prezzo più basso o guadagnare di più. O tutte e due le cose. Questa è la situazione delle gallerie italiane. Quella dei banchi del mercato lato Riviera dei Fiori. Quella di operatori che non lavorano sullo stesso piano della concorrenza straniera (e, in un mercato globale, è come avere un banco del mercato di fianco all’altro) e che si devono guardare le spalle da furbetti nostrani, con il risultato che un mercato economico potenzialmente molto florido risulta fiacco e secondario. Un settore in cui tutti (operatori e Stato) avrebbero da guadagnare in prestigio e denaro che non riesce a decollare e rischia di sciupare un’occasione colossale come la Brexit, l’abdicazione di Londra come primo mercato EU. Una occasione che Parigi sta invece sfruttando. E quindi? Quindi serve un serio ragionamento su una riforma complessiva, una semplificazione delle norme, serve concentrarsi su cosa possa permettere agli scambi di moltiplicarsi guadagnando, finalmente, una fetta di torta dell’Art Basel & UBS Report. Cosa non serve. Non serve lamentarsi e, soprattutto, non serve immaginare che la sopravvivenza prima e il rilancio poi si perseguano con battaglie donchisciottesche come ritoccare le aliquote IVA: è un’impresa certamente meno proficua dell’utilizzo proattivo di una fiscalità volta a generare scambi. Non serve neanche inventare, in taluni casi: se certe cose funzionano altrove, perché non dovrebbero funzionare in Italia?

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5 PROPOSTE FISCALI PER FAR RIPARTIRE IL MERCATO

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ALDO PREMOLI [ trend forecaster e saggista ]

I FUNGHI E LO STRAORDINARIO MONDO DEL WOOD WEB WIDE

l musicista John Cage e il suo compagno e coreografo Merce Cunningham, artisti visivi come Carsten Höller e gli AES+F, il regista James Cameron e persino la designer di moda Iris van Herpen. Tutti grandi appassionati di funghi, non necessariamente quelli edibili. Rimane agli atti la partecipazione di Cage come concorrente esperto della materia nel 1959 alla trasmissione Lascia o raddoppia condotta da Mike Bongiorno: vinse tutto quello che c’era da vincere, tranne la comprensione di Mike, che, congedandolo, disse di preferire la sua competenza micologica alla sua musica. In ogni caso, ora è arrivato lo straordinario libro del ricercatore americano Merlin Sheldrake a rendergli giustizia. Non cita mai Cage ma è evidente che ne conosce tanto il pensiero quanto l’opera musicale. Il libro, pubblicato in Italia da Marsilio, pare sia amatissimo anche dalla belga van Herpen, che si è ispirata alle ricerche sulla vita dei funghi per la sua ultima collezione haute couture. Il libro di Sheldrake è una lettura affascinante per almeno tre ragioni, tutte legate a una riflessione filosofico-scientifica parecchio disorientante. Sheldrake innanzitutto spiega come quello che noi riteniamo essere “fungo” sia in realtà il “frutto” del fungo, un micelio costituito da una serie di radichette anarchiche dette ife che si innervano sempre e comunque nel sottosuolo. Poi ci instilla il dubbio che il “fungo” sia davvero un vegetale piuttosto che un’altra forma di vita ancora non classificata. Infine fa a pezzi il nostro linguaggio definitorio antropizzante (e di conseguenza il nostro sistema di pensiero) già duramente messo alla prova dai disastri che stiamo combinando sul pianeta. Ma andiamo con ordine. Alcuni degli eventi più eclatanti accaduti sulla Terra, secondo questo ricercatore dello Smithsonian Tropical Research Institute, sono il risultato dell’attività dei funghi. Le piante uscite dagli oceani sotto forma di alga 500 milioni di anni fa si sono sviluppate solo grazie alla collaborazione dei funghi, che funzionarono come sistemi radicali. Per decine di milioni di anni le cose continuano così, sino a che le piante non sviluppano radici proprie. Ma non basta. Perché, anche attualmente, il 90% delle piante esistenti dipende dalla connessione sotterranea fornita dai funghi “mizorrici”, in grado di connettere tra loro gli alberi in reti comuni che gli scienziati hanno soprannominato wood web wide. Qui avviene lo

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scambio tra zuccheri e lipidi forniti dalle piante (che li ottengono attraverso la fotosintesi) con minerali e acqua che la rete fungina ricava dal decadimento di qualsiasi essere, vivente o meno che sia. È la medesima idea mutuata dal James Cameron di Avatar, che rappresenta un reticolo vivente luminoso e sotterraneo attraverso il quale le piante possono comunicare tra loro.

Il 60% degli enzimi utilizzati nell’industria farmaceutica proviene dai funghi.

Già Charles Darwin nel XX secolo, studiando i licheni (“erbaccia” che costituisce l’8% della superficie terrestre, un’area più grande di quella occupata dalle foreste tropicali pluviali), si rende conto di non essere in presenza di organismi singoli, ma di un’associazione simbiotica. Darwin elabora quindi una teoria battezzata Dual Hypotesis secondo cui il lichene è un’alga (elemento femminile?) colonizzata da un fungo (elemento maschile?). Una coppia di fatto utile alla sopravvivenza di entrambi: nutrimento da una parte, fotosintesi dall’altra: Darwin, che è uomo del suo tempo, non concepisce altra forma di accop­piamento. I ricercatori però di recente si sono convinti che la simbiosi del lichene possa avvenire tra più partner, da duetto trasformarsi in trio e persino in un coro: la Dual Hypotesis è stata dunque aggiornata in una nuovo teoria promiscua battezzata Queer Theory. Come non pensare che sia a questo che fanno riferimento gli AES+F nel loro NFT Psychosis Mushroom Field? Qui un Cantharellus Cibarius (comunemente conosciuto come il galletto) appare invaso da qualcosa di molto simile a una vagina umana. È in ogni caso Sheldrake che ci avvicina a riflessioni davvero poco rassicuranti. Perché i funghi sono dappertutto, fuori e pure dentro di noi: nelle orecchie, negli occhi, sulla pelle. In ogni superficie, cavità, condotto brulichiamo di microbi e

funghi: da cui dipendiamo per la digestione, il benessere o il malessere psichico, che possono difenderci ma anche ucciderci. Per microbi e funghi, il corpo umano è un pianeta in movimento. “Gli esseri umani raramente riflettono su quale è il punto in cui finisce un individuo e ne inizia un altro. Diamo per scontato – almeno nelle moderne società industriali – che noi cominciamo e finiamo dove finisce il nostro corpo. Siamo ecosistemi che travalicano i confini e trascendono le categorie. Il nostro io emerge da un groviglio di relazioni che solo ora cominciano a affiorare”. Il termine individuo è dunque solo una delle categorie del pensiero umano? Eppure la nostra vita quotidiana, i sistemi politici, economici e filosofici si basano su questo concetto. Se l’individuo è un essere simbiotico come lo è un lichene, se la rete di relazione è determinante esattamente come accade per il Wood Web Wide, dove finisce il Noi? E il Loro? L’Io? Il Mio? La linea netta che divide natura e cultura qui sfuma. Sono funghi i lieviti che fanno fermentare lo zucchero dell’alcol e aumentare il volume del pane. Dai funghi ricaviamo inoltre una quantità di farmaci. La ciclosporina è un immunodepressore che rende possibile il trapianto di organi; le statine abbassano il colesterolo, il Taxoll è un potente composto anticancro, il 60% degli enzimi utilizzati nell’industria farmaceutica proviene dai funghi. E poi c’è la psilocibina, il principio attivo presente nei funghi allucinogeni: il suo effetto non è liquidabile come un avvelenamento generico; la capacità di particolari funghi di impossessarsi del sistema nervoso delle formiche è stata individuata come una strategia di disseminazione delle proprie spore. Shelkdrake classifica la psilocibina come una sostanza che consente un ampliamento della mente attraverso allucinazioni visive e uditive, e provoca il senso di perdita del proprio Io. Alludono a questo le esperienze mistiche praticate da migliaia di anni dalle popolazioni andine. Alludono a questo pure le Amanite muscarie appese a testa in giù alla Fondazione Prada. Carsten Höller ha una formazione scientifica e i funghi rosso e bianco proposti in Upside Down Mushroom Room (2000) – ma le sue prime sculture‑ fungo risalgono al 1994 – sono noti per le proprietà allucinogene e sono un’icona del mistero. In effetti, di queste forme di vita così aliene sappiamo ancora poco e niente, e ne ignoriamo ancora più del 90% delle specie.


MARCELLO FALETRA [ saggista ]

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I

Queste torri si vezzeggiano nella certezza della loro inutilità sociale.

La loro megacrescita tecnologica contrasta con il resto delle città, che appaiono come un residuo storico, destinate a ruotare come satellizzate intorno a esse. Lo storico dell’arte Cesare Brandi, nel suo Eliante o dell’Architettura (1955), associava la prima generazione di queste torri ai monumenti megalitici, dove l’autorità è diret­t a verso il cielo. Notava, inoltre, che la loro larghezza è “irrelativa” all’altezza e a sua volta alla strada. Se l’architettura è lo specchio anche ideologico di una società, queste torri

Burj Khalifa 829 m Dubai EMIRATI ARABI UNITI Shanghai Tower 632 m Shangai CINA

One World Trade Center 541,3 m Tianjin CTF New York Finance Centre U.S.A. 530 m Tianjin CINA Lotte World Tower 555,7 m Guangzhou CTF Seul Finance Centre China Zun COREA DEL SUD 530 m 527,7 m Canton Pechino CINA CINA

Ping An Finance 599,1 m Shenzhen CINA Abraj Al Bait 601 m La Mecca ARABIA SAUDITA

rappresentano bene la nostra che si vuole globale: chiusa verso il basso della socialità comune, aperta verso l’alto del potere. Per altri aspetti sono “oggetti singolari”, come li chiama Baudrillard, che sovrastano e iniaturizzano la percezione soggettiva, e per questo sono senza l’altro, sono celibi. Passandovi sotto, all’istante della percezione diretta delle superfici e dei volumi, si ha la sensazione che sfuggano al tempo giornaliero, che si sottraggano all’esperienza quotidiana: non saranno mai vicine. Delegittimano scenograficamente ogni antropologia, deregolamentano la scala delle relazioni umane, per coincidere cinicamente col tempo della speculazione finanziaria. Queste torri si vezzeggiano nella certezza della loro inutilità sociale. La loro attualità sfoggia prepotentemente un’isteria di autoreferenzialità, danno a vedere il narcisismo senza limiti di una élite. Tutto ciò fa pensare al racconto biblico della Torre di Babele con la conseguente confusione delle lingue per via di un gesto arrogante: “Supponendo di poter raggiungere il cielo”, si chiedeva in proposito Roger Caillois, “non è detto che si raggiunga Dio”. Taipei 101 509,2 m Taipei TAIWAN

L EDITORIALI L

l Burj Khalifa di Dubai è il grattacielo più alto del mondo con i suoi 829 metri. La Shanghai Tower è alta 632 metri. L’Abraj Al Bait a La Mecca è alto 601 metri. A Jedda (Arabia Saudita) nel 2019 è iniziata la costruzione della torre che sarà alta 1.008 metri. Il sogno di Frank Lloyd Wright, di una torre alta un miglio, si sta realizzando. Ma Wright osservava pure: “Tutti i bei valori architettonici sono valori umani, oppure non hanno valore”. Cerchiamo di essere più chiari: l’architettura, nella grandiosa concezione di Wright, guardava alla democrazia, ma queste hypertorri, il cui eccesso verticale si configura come un assalto al cielo, sono “democratiche”? È come se certi architetti cercassero di edificare degli alter ego immortali, fuori dalla gravità della storia. Nella loro virile elevazione – il manhat­ tismo di cui sono affette – appaiono scenograficamente sincere. Cioè spudorate. Queste torri, affiancate le une alle altre, fanno subire all’architettura un’inversione di significato che Rem Koolhaas chiama “incubo semantico”: illeggibile come significato sociale, ma decisamente cinematografico come effetto speciale.

MARZO L GIUGNO 2021

L’ASSALTO AL CIELO

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L EDITORIALI L 18

FABIO SEVERINO [ economista della cultura ]

DI APERTURE E RISTORI

S

L’APRI-E-CHIUDI DEI LUOGHI DELLA CULTURA IN 13 PROVVEDIMENTI

D.L. 23 FEBBRAIO 2020, N. 6 (L. 13/2020) Prevedeva la possibilità di sospensione, con DPCM, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale. DPCM 9 MARZO 2020 Sospensione sull’intero territorio nazionale di eventi e spettacoli di qualsiasi natura e chiusura dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura. D.L. 25 MARZO 2020, n. 19 (L. 35/2020) [e successivi DPCM] Prevedeva, con possibilità di modularne l’applicazione in aumento, ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del virus, la limitazione o sospensione di eventi e di ogni altra forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, la chiusura di cinema, teatri, sale da concerto, centri culturali, nonché la limitazione o sospensione dei servizi di apertura al pubblico o la chiusura di istituti e luoghi della cultura. D.L. 16 MAGGIO 2020, n. 33 Disponeva che gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura con la presenza di pubblico, compresi quelli di carattere culturale, si svolgessero, ove ritenuto possibile sulla base dell’andamento dei dati epidemiologici, con modalità definite con DPCM. DPCM 17 MAGGIO 2020 Consentita la riapertura al pubblico di musei e altri istituti e luoghi della cultura, a determinate condizioni volte a garantire la sicurezza. DPCM 11 GIUGNO 2020 Consentito il riavvio degli spettacoli nonché il riavvio delle attività dei centri culturali, a determinate condizioni volte a garantire la sicurezza. DPCM 24 OTTOBRE 2020 Sospensione degli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali sia al chiuso che all’aperto.

DPCM 3 NOVEMBRE 2020 Sospensione delle mostre e dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura.

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embra proprio che si brancoli nel buio. Aperture o meno dei servizi alla persona sono troppo genericamente agganciate a limitare le opportunità di assembramento. Come al solito in Italia, ognuno dice la sua, siamo tutti esperti di tutto, probabilmente pochi si sono fatti un’idea su basi oggettive. Siamo da un anno nel limbo. Come qualcuno inizia a dire, soprattutto personaggi dello spettacolo – ovvero persone intelligenti, non condizionabili e dal grande seguito mediatico –, il divieto indiscriminato a tutto e tutti è stato ammissibile ed è stato accettabile all’inizio. La pandemia ha colto il mondo di sorpresa. Ma adesso? Non mi soffermo sulla velocità e i criteri delle vaccinazioni. Non è questa la sede. Ma sul funzionamento dell’economa sì. Che senso ha continuare a fermare il mondo? È politica essere legittimati a distribuire prebende (oggi Ristori)? O smarrimento? Non sanno che fare? Veniamo al nostro piccolo mondo, l’offerta culturale. Tenere chiuso lo spettacolo, al di là di eliminare opportunità per uscire, è veramente senza senso. Per vedere uno spettacolo si sta seduti, fermi, a lungo. Ci si può mettere uno sì uno no, ogni due, ogni tre. Tanto l’offerta di spettacolo è comunque un settore in perdita, che vive di sovvenzioni. Ovvero non è che i biglietti coprano il costo di produzione e generino dei guadagni. Quindi che si apra per pochi (i soliti aficionados) o pochissimi (quelli ammessi in questa circostanza) economicamente non cambia nulla. Mentre grande sarebbe il senso di civiltà, responsabilità ed educazione trasmesso e diffuso. La cultura c’è. La comunità c’è. Anche nei confronti del mondo. Ci vantiamo della grandezza della cultura italiana, del suo essere millenaria e avanguardista sempre. Allora si riapra contingentato lo spettacolo, si trascurino gli interessi delle lobby – maliziosamente non riesco a pensare ad altro – che puntano ai Ristori (da una parte) e anche a quel compiangersi continuo di cui questo settore, hélas, è affetto. Lo stesso potrebbe dirsi per l’offerta espositiva. Sono quattro gatti quelli che vanno in un museo. In spazi sterminati, dove non c’è cosa più facile e gradita che starsene per i fatti propri. Si vede che i nostri politici ai musei non ci vanno mai, altrimenti lo saprebbero anch’essi. E perché tutti questi ragionamenti possono apparire discutibili, discrezionali o di parte? Perché per prendere decisioni non ci si affida mai a studi, raccolte dati e

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DPCM 14 GENNAIO 2021 Consentito il riavvio, nelle Regioni caratterizzate da rischio moderato (zone gialle), dal lunedì al venerdì, del servizio di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura, nonché delle mostre. DPCM 2 MARZO 2021 A decorrere dal 27 marzo 2021 e nelle zone gialle, apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura, nonché delle mostre, anche il sabato e i giorni festivi; consentiti gli spet­tacoli in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, live-club e in altri locali o spazi anche all’aperto. D.L. 13 MARZO 2021, n. 30 Dal 15 marzo al 2 aprile 2021 e nella giornata del 6 aprile, nei territori in zona gialla si applicavano le misure stabilite per la zona arancione; nei giorni 3, 4 e 5 aprile, sull’intero territorio nazionale, a eccezione della zona bianca, si applicavano le misure stabilite per la zona rossa. D.L. 1o APRILE 2021, n. 44 Dal 7 al 30 aprile 2021: nei territori in zona gialla si applicano le misure stabilite per la zona arancione; continuano ad applicarsi le disposizioni recate dal DPCM 2 marzo 2021, che però non riguardano il settore culturale. D.L. 22 APRILE 2021, n. 52 Dal 26 aprile 2021 in zona gialla riaprono al pubblico i musei e gli altri istituti e luoghi della cultura, nonché le mostre, previa prenotazione online e telefonica il sabato e nei giorni festivi; consentiti gli spettacoli in sale teatrali, da concerto, cinematografiche, live-club e in altri locali o spazi anche all’aperto, con la capienza massima del 50% e massimo 1.000 spettatori all’aperto e 500 al chiuso.

fonte: Camera dei deputati – Documentazione parlamentare, aggiornato al 26 aprile 2021

Sono quattro gatti quelli che vanno in un museo. In spazi sterminati, dove non c’è cosa più facile e gradita che starsene per i fatti propri.

analisi. Si brancola nel buio, per l’appunto. Ci piace parlare di big data – che io chiamerei smart più che big, perché il loro valore non sta nella mole bensì nella spontaneità – piuttosto che di survey. L’importante è sempre usare parole esotiche. Ma poi qual è l’uso che se ne fa di questa conoscenza? Alcuno. Le decisioni non si prendono sulla base dell’interpretazione dei dati. Si consulta solo il bollettino di contagi e morti, come se fosse chiarificatore. A me sembra solo cautelativo e legittimante, al solito, a non fare.


CHRISTIAN CALIANDRO [ storico e critico d’arte ]

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N

disillusione. E della fine dell’amicizia nel 1973 con Carla Accardi, che non aveva voluto rinunciare al suo ruolo di artista e alla sua identificazione con esso. Contro le relazioni gerarchiche e inautentiche che legano artista e spettatore/ spettatrice, Lonzi comincia a immaginare una modalità creativa che sia realmente in grado di costruire e far vivere relazioni orizzontali. L’autenticità da recuperare e ricostruire si identifica sempre più con il rapporto paritario, in cui nessuno dei soggetti è subordinato all’altro e costretto a riflettersi e a identificarsi in un “protagonista”, ma tutti sono ugualmente impegnati nella propria liberazione e ricerca identitaria: “La mia delusione con gli artisti è stata questa, che non mi hanno ricambiato, che mi hanno lasciata spettatrice. Io li avevo capiti e sostenuti quando nessuno, o quasi, li ascoltava. Li ho ascoltati pregustando di riuscire

Mentre all’inizio la coercizione era identificata nel linguaggio della critica, in seguito viene riconosciuta nel rapporto che l’opera e il suo autore stabiliscono con lo "spettatore".

a sbocciare io stessa nella reciprocità invece nessuno me l’ha confermata, ho dato forza a loro e tutto è finito lì” (in Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978). Il momento dell’autenticità è quello in cui si instaura il dialogo, la dimensione collettiva, e gli Anni Settanta rappresentano la consapevolezza che l’artista, nella sua singolarità irriducibile e nella sua indisponibilità a rinunciare al potere, al prestigio, al privilegio e al riconoscimento. non rappresenta più la figura di riferimento in questo senso. Alla base di questa comprensione c’è il tema del rifiuto della competizione, del successo e dell’efficienza – per approdare all’improduttività (il “niente”) come condizione fondamentale –, tema che era comparso per la prima volta proprio nel primo Manifesto di Rivolta Femminile: “Detestiamo i meccanismi della competitività e il ricatto che viene esercitato nel mondo dalla egemonia dell’efficienza. Noi vogliamo mettere la nostra capacità lavorativa a disposizione di una società che ne sia immunizzata. […] Riesaminiamo gli apporti creativi della donna alla comunità e sfatiamo il mito della sua laboriosità sussidiaria. Dare alto valore ai momenti ‘improduttivi’ è un’estensione di vita proposta dalla donna” (Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974).

L EDITORIALI L

ella riflessione che Carla Lonzi porta avanti per tutti gli Anni Settanta, a partire dall’esperienza di Autoritratto (1969) e dalla “frattura” (solo apparente) del 1970 segnata dal suo abbandono della critica d’arte, l’aspetto centrale è il profondo ripensamento e il ribaltamento del punto di vista sull’artista e sul critico. Se in Autoritratto, infatti, l’autrice si era identificata con l’artista e con la sua creatività, nel periodo successivo riflette dolorosamente sulla finzione di questo processo di liberazione, parallelamente all’approfondirsi e all’ampliarsi del proprio femminismo. Riconosciamo l’evoluzione del suo pensiero nei testi diaristici, sempre ricavati da registrazioni, di Taci, anzi parla. Diario di una femminista (1978) e Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra (1980). Mentre all’inizio, dunque, la coercizione era identificata nel linguaggio della critica, in seguito essa viene riconosciuta stabilmente nel rapporto che l’opera e il suo autore stabiliscono, una volta per tutte, con lo “spettatore”, che viene costretto in un ruolo e in una posizione che per loro natura escludono la verità e l’autenticità di un rapporto. Carla Lonzi aveva individuato molto chiaramente la frattura fondamentale che riguarda il modo in cui l’opera d’arte assoggetta il pubblico e il suo sguardo nel sistema artistico: il suo femminismo non è dunque un movimento successivo all’abbandono della critica d’arte, ma è il momento dell’elaborazione di uno sguardo nuovo, e di una nuova idea dell’arte che coincide con quello sguardo, di un’esigenza e di una richiesta che riguardano un’opera capace di costruire un rapporto paritario, di essere quel rapporto.

MARZO L GIUGNO 2021

FUORIUSCITA: CARLA LONZI E L’AUTENTICITÀ

CARLA LONZI IN 10 DATE

1931

1956

1960

1969

Nasce a Firenze

Si laurea con Roberto Longhi

Cura la sua prima mostra a Torino

Pubblica Autoritratto

1970

1971

1973

Fonda il gruppo Rivolta femminile con Carla Accardi ed Elvira Banotti e pubblica Sputiamo su Hegel

Pubblica La donna clitoridea e la donna vaginale

Rompe con Carla Accardi e lascia Rivolta femminile

LLL L’artista e l’opera istituiscono rapporti asimmetrici e squilibrati, all’interno dei quali lo spettatore/la spettatrice assiste impotente alla liberazione del soggetto che si esprime, ma rimane ingabbiato nel ruolo che gli è stato assegnato; questo schema dunque impedisce per la sua stessa natura a chi guarda di liberarsi, di costituirsi e costruirsi cioè in quanto soggetto. Attraverso l’esplorazione della prospettiva e dell’autocoscienza femminista, Carla Lonzi scopre nella “rispondenza” la chiave, l’esperienza e la pratica centrale per portare avanti quella diserzione dei ruoli che era stato l’obiettivo ultimo, e mancato, di Autoritratto – l’origine vera della sua

1978

1980

1982

Pubblica Taci, anzi parla. Diario di una femminista

Pubblica Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra

Muore a Milano

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MARZO L GIUGNO 2021

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LA COPERTINA TATANKA JOURNAL

L NEWS L

UNEXPECTED ENERGY Ogni grande catastrofe si sprigiona come un movimento, un’esplosione, un moto che genera un cambiamento drastico e radicale in tutto ciò che rimane dopo. Unexpected Energy è una copertina dedicata a questa energia inaspettata e difficilmente decifrabile che spesso apre nuovi spazi e offre nuove possibilità alla Storia.

Tatanka è uno studio indipendente di progettazione grafica, fondato da Sara Ceradini, Francesco Fadani e Jacopo Undari, con sede a Bologna. Lo studio si occupa di editoria, comunicazione visiva e didattica in diversi ambiti artistici e culturali, con particolare attenzione alla materia stampata, all’autoproduzione e alle tecniche di stampa. Tutti i progetti nascono all’interno di processi collaborativi e condivisi, in cui conoscenze, discipline e tecniche differenti si incontrano e si contaminano. Dal 2018 collabora con artisti e curatori in progetti di ricerca e sperimentazione e dal 2020 porta sulle copertine di Artribune il proprio sguardo sul mondo e sul contemporaneo. TATANKA è un progetto di SARA CERADINI, FRANCESCO FADANI, JACOPO UNDARI

tatankajournal.com tatankajournal@gmail.com tatanka_journal

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Alice in Doomedland, il nuovo percorso immersivo e surreale a Palazzo Bonvicini di Venezia GIULIA RONCHI L Il celebre romanzo Alice nel Paese delle Meraviglie, scritto da Lewis Carroll nel 1865, in epoca vittoriana, è il punto di partenza della prossima esposizione di Palazzo Bonvicini, nel cuore di Venezia. In programma dal 22 maggio al 27 febbraio 2022, la mostra collettiva Alice in Doomedland, organizzata da Fondation Valmont, vede confrontarsi quattro artisti su questa fiaba intramontabile, che nei secoli è stata fonte di ispirazione di fotografi, pittori, registi e creativi di ogni tipo. L’evento rappresenta il terzo appuntamento di un ciclo tematico di mostre svolte prendendo come riferimento una fiaba della tradizione. Alice in Doomedland, curata da Francesca Giubilei e Luca Berta, è una mostra pensata come un percorso surreale e immersivo che riunisce le opere di Didier Guillon, la coppia di artisti Isao & Stephanie Blake e Silvano Rubino. Ognuno ha prodotto per la mostra un’installazione site specific per Palazzo Bonvicini: dall’installazione video e musicale di Silvano Rubino alla rappresentazione in scala gigante di Alice realizzata da Isao & Stephanie Blake, alla misteriosa The Room of Tears di Didier Guillon. Oltre alle opere singole è poi presente un grande lavoro collettivo realizzato dagli artisti. Quest’ultimo ambiente è intitolato The Garden Dreamers ed è il punto di accesso nel mondo di Alice in Doomedland. Al percorso creato dai quattro artisti invitati si aggiungono di due spazi extra. Si tratta di The Mad Tea Party, l’installazione e l’illustrazione realizzate dagli studenti di Publicolor e patrocinate da Fondation Valmont assieme alla stessa Publicolor, che raffigura l’iconica scena in cui Alice è l’invitata d’onore al tè con il Cappellaio Matto. Parallelamente, in un’altra sala del Palazzo, viene proiettato il capolavoro di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio (1968), considerato analogo per alcune tematiche con la vicenda di Alice, per la dimensione mitica e per la capacità di nutrire l’immaginario contemporaneo di più generazioni nel tempo. fondationvalmont.com

Seta: al Museo Salvatore Ferragamo di Firenze una mostra sui foulard della maison DESIRÉE MAIDA L Riapre finalmente Seta, la grande mostra in corso fino al 18 aprile 2022 al Museo Salvatore Ferragamo di Firenze. L’esposizione, a cura di Stefania Ricci, racconta il percorso che ha condotto Fulvia Ferragamo a creare i primi foulard della maison, facendo della stampa su seta la cifra stilistica di questo accessorio. I foulard di seta, nei primi Anni Sessanta, erano acquistati da Ferragamo da aziende esterne, tranne un foulard del 1961 disegnato, su commissione diretta di Ferragamo, dall’artista Alvaro Monnini. Un primo esperimento creativo che sicuramente ha dato il “la” a una produzione che coniuga estro e materiali pregiati, eleganza e gusto per l’esotico, e a cogliere queste suggestioni è proprio Fulvia, che a partire dagli Anni Settanta avvia una produzione continuativa di accessori in seta da donna e da uomo, caratterizzati da disegni esclusivi realizzati a Como da Ravasi, Butti e Ostinelli, Ghioldi, Canepa, Ratti e Mantero. Wanda Ferragamo sceglieva i foulard che sarebbero andati in vendita; in quegli anni il fornitore di riferimento era il produttore milanese Fiorio, che proponeva stagionalmente una selezione dei suoi disegni, spesso non in esclusiva. Presto però Fulvia matura l’idea di produrre i foulard in proprio, con disegni personalizzati e riconoscibili. In qualità di direttore creativo, è Fulvia a dare gli input creativi agli illustratori, dando presto vita a un’iconografia fatta di motivi ispirati al mondo floreale e animale, alla fauna marina, alla giungla, ai soggetti di caccia, alle calzature create da Salvatore Ferragamo nei primi decenni del Novecento. La mostra presenta inoltre l’installazione site specific degli artisti cinesi Sun Yuan & Peng Yu dal titolo Were creatures born celestial?. L’installazione e il foulard che gli artisti hanno realizzato per Ferragamo rappresentano la Via della Seta come importante punto di incontro e scambi tra Oriente e Occidente. In mostra anche il cortometraggio di Irene Montini e Rocco Gurrieri Look Back Anouk, che trae ispirazione dal mondo dei foulard creati da Fulvia Ferragamo e dai film di animazione del regista cecoslovacco Jiří Trnka. ferragamo.com


Omaggio a Niki de Saint Phalle e al suo Giardino dei Tarocchi

Il parco di sculture ispirate ai 22 Arcani Maggiori, ideato dall’artista franco-statunitense su una superficie di circa due ettari nella Maremma Toscana, è il fulcro di un percorso espositivo che coinvolge due luoghi nel borgo antico di Capalbio: Palazzo Collacchioni e la Galleria Il Frantoio. Il luogo dei sogni. Il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle – questo il titolo della mostra diffusa sul territorio del comune toscano – è in programma dal 9 luglio al 3 novembre. ilgiardinodeitarocchi.it

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Via Collacchioni – Capalbio (GR)

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GALLERIA IL FRANTOIO Qui vengono esposti alcuni lavori storici, tra cui gli assemblage degli Anni Sessanta, maquette in creta cruda preliminari alla realizzazione del Giardino, suo capolavoro finale, e inediti video d’archivio. Sono inoltre esposte sculture delle Carte dei Tarocchi, accompagnate da litografie, disegni e citazioni. Via Renato Fucini 10 – Capalbio (GR)

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GIARDINO DEI TAROCCHI La sua creazione ha impegnato Niki de Saint Phalle per oltre diciassette anni e ha visto all’opera grandi artisti contemporanei, tra cui anche Jean Tinguely, suo marito, e uno dei suoi più grandi sostenitori. Passeggiare in questo parco significa attraversare 22 sculture costruite in acciaio e ricoperte da cemento con vetri, specchi e ceramiche di vivacissimi colori che rappresentano altrettante Carte dei Tarocchi, grazie alle quali intraprendere un viaggio iniziatico. Strada Garavicchio 2 Pescia Fiorentina (GR)

FERRUCCIO GIROMINI [ storico dell'immagine ]

BERNHARD PRINZ (NON IL CARICATURISTA)

Bernhard Prinz, Sarah, 2005

Ha studiato a fondo storia dell’arte ed è affascinato dal passato, dall’Italia, dal Manierismo e dal Barocco e pure dall’architettura del periodo fascista, che ha avuto modo di conoscere e studiare in particolare nel 1994, quando ha vinto una residenza di un anno a Villa Massimo, a Roma. Lo scultore e fotografo Bernhard Prinz, nato nel 1953 a Fürth, oggi vive ad Amburgo, ma ha qualche altro trascorso italico, avendo esposto tra il 1993 e il 1995 per Franz Paludetto nella sua galleria torinese e al Castello di Rivara. Quale ultima nota introduttiva, si può aggiungere che spesso viene scambiato per un noto caricaturista suo esatto e scomodo omonimo. Venendo al dunque, scultore Prinz lo è stato a inizi carriera, ma oggi è essenzialmente fotografo; e in passato ha prodotto una serie di scatti, lontana dalle sue scelte consuete, che può suscitare l’interesse degli erotologi (e/o erotofili). Si tratta di una sequela di ritratti di giovani ambosessi (e/o omnisessi) ripresi frontalmente, sguardo fisso in camera, vestiti ma con alcune porzioni del corpo scoperte. Ebbene, lì per lì non si direbbe, ma in tali immagini l’indice di erotismo, di richiamo erotico, monta alto. Vi è molto poca nudità esposta, infatti, e però vi è molta nudità promessa. Ora, al di là della venustà delle figure femminili ritratte, e della efebicità dei giovani fotografati, è proprio la posa generale

a suggerire e instaurare una tensione attrattiva. Una attrazione che viene da pensare reciproca: certamente da parte loro, nei nostri confronti che li guardiamo; e, a sorpresa, si direbbe pure da parte nostra, su di loro che ci guardano senza vederci. Galeotto è l’obiettivo del fotografo: filtro, filtro d’amore, in questo caso. La comunicazione avviene dunque tramite lo sguardo, lo scambio di sguardi. Non banalmente spudorati, o assassini; ma intensi, perforanti. E intorno, quale corolla di quei pistilli promettenti, altra promessa è la postura: eretta, sicura, totalmente esposta, a volte impercettibilmente protesa. Aggiungici il gesto leggero dello svelamento: la camicia aperta, i pantaloni un po’ abbassati, la gonna che si solleva fino all’inguine, il seno che si espone, un qualunque lembo che si scosta. Ma la nudità promessa, di cui si diceva, è meno fisica che psicologica. Tutte queste figure di bei giovani, lì esposti in pittorica teoria, carezzati dai colori che li vestono e li svestono, testimoniano anzitutto disponibilità. Disponibilità a esserci, probabilmente a darsi, e forse a prendere. Leggibile anche, se non di più, nei volti acqua e sapone. Ed è proprio l’emozione nel riconoscere la disponibilità a subito accendere la fiammella di Cupido. E dire che poi Bernhard Prinz è tornato a fotografare architetture squadrate e freddi paesaggi nordici. Peccato.

L NEWS L

PALAZZO COLLACCHIONI In questo edificio, nel borgo antico di Capalbio, si ripercorre la storia del Giardino dei Tarocchi, dall’inizio della sua costruzione nel 1979 fino ad oggi, attraverso foto, video, sculture, maquette, collage che aiutano a comprendere il modo di lavorare e il vero spirito dell’artista. “Il Giardino dei Tarocchi era il mio sposo, il mio amore, era tutto per me”, ha detto una volta Niki. “Nessun sacrificio era troppo grande per lui”.

59-60 MARZO L GIUGNO 2021

CLAUDIA GIRAUD

OPERA SEXY

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TOP 10 (NFT) LOTS

59-60 MARZO L GIUGNO 2021

CRISTINA MASTURZO [ esperta di mercato ]

L NEWS L

Beeple, Everydays: The First 5000 Days, 2021. Courtesy the artist & Christie’s Images Ltd

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Beeple, Everydays: The First 5000 Days, 2021 $ 69,300,000 Christie’s marzo 2021

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Beeple, Crossroads, 2021 $ 6,600,000 Nifty Gateway febbraio 2021

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Mad Dog Jones, Replicator, 2021 $ 4,100,000 Phillips aprile 2021

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Pak, The Switch, 2021 $ 1,400,000 Sotheby’s via Nifty Gateway aprile 2021

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Pak, The Pixel, 2021 $ 1,400,000 Sotheby’s via Nifty Gateway aprile 2021

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Kevin Abosch, Forever Rose, 2018 $ 1,000,000 GIFTO febbraio 2018

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Pak, Metarift, 2021 $ 904,400 Market marzo 2021

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Steve Aoki & Antoni Tudisco, Hairy, 2021 $ 888,900 Nifty Gateway marzo 2021

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Pak, Finite, 2021 $ 809,800 Foundation marzo 2021

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Beeple, The Complete MF Collection, 2020 $ 777,800 Nifty Gateway dicembre 2020

SANTA NASTRO L È in corso fino al 27 giugno a Ginevra, alla Maison Tavel/Musée d’Art et d’Histoire, la mostra La ragione nelle mani, ideata dall’artista Stefano Boccalini con la collaborazione di quattro artigiani della Valle Camonica. Il progetto, che vede coinvolte una rete di istituzioni in Svizzera, Albania, Italia (Bergamo, Biella, Bologna, Gallarate), è vincitore del bando Italian Council, promosso dalla Comunità Montana di Valle Camonica in collaborazione con Art for the World Europe ed è curato da Adelina von Fürstenberg. Nell’opera di Boccalini, che sarà acquisita al termine del percorso dalla GAMeC, l’arte contemporanea dialoga con i saperi dell’artigianato, in un progetto partecipato che ha coinvolto i maestri locali, ma anche otto allievi selezionati attraverso bando pubblico. Infine, i bambini del paese di Monno, in provincia di Brescia. La tessitura dei pezzotti, l’intreccio, il ricamo e l’intaglio del legno, tutte pratiche antiche della tradizione camuna, hanno quindi incontrato il linguaggio: i bambini hanno scelto venti parole intraducibili in altre lingue che raccontano il rapporto tra uomo e natura e tra gli esseri umani, nove delle quali sono state poi trasformate in manufatti artistici. Tra queste Anshim, in coreano, che significa essere in armonia con se stessi e il mondo; Dariddi, che nel linguaggio degli aborigeni australiani è l’ascolto profondo della natura; Gurfa, che in arabo è l’acqua che si riesce a tenere nel palmo della mano, evocando dunque qualcosa di prezioso; Ubuntu, che nell’Africa meridionale significa “sono chi sono in virtù di ciò che tutti siamo”. Le opere in mostra, tra ricami, intagli in legno e molto altro ancora, raccontano queste e altre storie, nel segno dell’ecosostenibilità della comunità che rappresentano. institutions.ville-geneve.ch | artfortheworld.net

La fermata Duomo della metropolitana di Napoli progettata da Massimiliano Fuksas

fonte: Artnet

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Arte e tradizione della Valle Camonica in mostra a Ginevra con l’artista Stefano Boccalini

GIULIA RONCHI L Aprirà a luglio la fermata Duomo della metropolitana di Napoli, sulla linea 1. Il progetto, firmato dall’archistar Massimiliano Fuksas assieme alla moglie Doriana Mandrelli, fu presentato già nel 2004, prima di trovare a otto metri di profondità il basamento di un tempio dei giochi Isolimpici che anticamente si svolgevano proprio nella città partenopea, risalente al I sec. d.C. ed edificato dall’imperatore Augusto: una scoperta che ha stravolto radicalmente il piano iniziale. Anche dopo l’apertura della metropolitana, continueranno i lavori di recupero dell’antico monumento, che sarà visibile anche da fuori grazie alla speciale cupola trasparente collocata in Piazza Nicola Amore. Il concetto di fondo è “una passeggiata da astronauta”, come l’ha definita Fuksas: chi accederà alla struttura potrà scendere nel sottosuolo – le banchine della metropolitana saranno a 40 metri di profondità – vivendo un viaggio particolare attraverso una serie di suggestivi pannelli in acciaio retroilluminati e intagliati che cambiano colore. La pavimentazione e le scale sono in travertino, mentre la scala di uscita è in pietra lavica. Un’occasione perfetta, non appena si potrà, per visitare anche le altre decine di incredibili stazioni della metro di Napoli sulle linee urbane e su quelle extraurbane. Un unicum mondiale che, dopo decenni, continua a stupire cittadini e turisti. metropolitanadinapoli.it


LABORATORIO ILLUSTRATORI FEDERICA EMILI E L'ARTE DI EMOZIONARE Federica Emili nasce nel 1997 ad Ancona, dove vive e opera. Innumerevoli sono i campi d’azione dell’illustratrice, che si muove tra videomaking, pittura, grafica e scrittura. Con l’obiettivo di recuperare ricordi creduti perduti, sottrarli all’oblio e fissarli nella memoria, riportando a galla le stesse emozioni vissute.

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ROBERTA VANALI [ critica d’arte e curatrice ]

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Descriviti con tre aggettivi Espansiva, determinata, affidabile.

Quali gli artisti a cui guardi? Sono appassionata a Dalí, Picasso e de Chirico, trovo che siano artisti completi, che vivono un amore incondizionato verso l’arte e la sviluppano in tutte le sue forme. Tra gli artisti più contemporanei, trovo stimolante l’approccio, sempre pungente, di Cattelan, il modo visionario con cui ha sviluppato l’arte Banksy e (ma la lista potrebbe essere ancora lunga) Jeff Koons. Lui è una icona dello stile neo-pop e riesce a coniugare banalità, eccesso e lotta al consumismo. Descrivi il processo creativo delle tue illustrazioni. Nascono dalla volontà di ricordare un momento e incanalare un’emozione in un disegno. Con l’avvento degli odierni dispositivi, tendiamo a fotografare ogni cosa. Ciò ha comportato l’avere ricordi solo in formato digitale: abitudini come stampare le foto dopo un viaggio si sono perse. Questo è ciò è che ispira e mette in moto il mio processo creativo: la volontà di sviluppare un ricordo, risvegliando un’emozione e riuscendo a imprimerla. Qual è il tuo concetto di bellezza? Il mio concetto di bellezza è, forse banalmente, tutto ciò che riesce a far emozionare. Studiando arte mi ritengo fortunata, in quanto tutto ciò può essere considerato bello: un quadro, un poster, una installazione, una mostra. Queste nascono dalla volontà di trasmettere qualcosa, per far sì che vi sia una reazione nell’osservatore. Questo per me è il concetto di bellezza: creare un’emozione. Il tuo sogno nel cassetto? Riuscire a far felici le persone, a farle star bene grazie a una mia illustrazione o una mia grafica. Aspiro a creare/costruire sempre qualcosa di nuovo, per poter stupire e far star bene il mio interlocutore. Vorrei riuscire a creare un’arte in cui le persone si possano sentire a proprio agio, capite e protette. Il mio sogno più profondo è quello che, grazie a un mio disegno/quadro/mostra, una persona pensi: “Non sono solo”. L’arte ha la capacità di mettere insieme mondi diversi, lingue e culture differenti, con la sola potenza della trasmissione di emozioni.

© Federica Emili per Artribune Magazine

Sono diversi gli ambiti in cui operi: ce ne parli? Sono sempre stata curiosa, riuscendo così ad avere conoscenze e competenze in vari ambiti. Ho intrapreso questo percorso in quanto sentivo che l’Università mi potesse dare tante conoscenze in campo teorico, ma ben scarse a livello pratico. In Accademia riesco a operare in ambiti come l’illustrazione, la grafica, il videomaking e, per passione personale, la scrittura. L’illustrazione e la grafica si sono sviluppate in questi anni, mentre il montaggio video e la creazione di brevi animazioni digitali sono nate durante il secondo lockdown. Grazie al tempo a disposizione avuto nel primo lockdown, mi sono messa a leggere molto di più e, da questo, ho iniziato anche a scrivere dei brevi racconti.

L NEWS L

Qual è la tua formazione? Nel luglio del 2019 mi sono laureata in Informazione, Media e Pubblicità presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Durante tale percorso ho partecipato al programma Erasmus, studiando presso l’Universidad Europea de Madrid. Attualmente sto svolgendo la laurea di secondo livello all’Accademia di Belle Arti di Macerata, indirizzo Graphic Design.

La richiesta più singolare che hai ricevuto. Quando mi venne chiesto di realizzare una illustrazione a colori, ma con le sensazioni da bianco e nero. Raccontaci come stai affrontando il lockdown. Il momento storico in cui viviamo è complicato per tutti. Per affrontarlo al meglio mi sto dedicando a ciò che mi piace e che mi fa stare bene. Ho ricominciato a dipingere e iniziato a scrivere racconti. Ritengo che l’immaginazione e la fantasia siano il modo migliore per riuscire a superare un periodo così unico e, alle volte, molto triste. Appena ne ho la possibilità, mi piace passeggiare all’aperto. Occupo il tempo con le attività che più mi piacciono: disegnare, scrivere, leggere, allenarmi e, appena si può, uscire e vedermi con i miei affetti. Ci anticipi i progetti futuri? Attualmente sono al secondo anno magistrale al’Accademia di Macerata e il mio progetto è sicuramente conseguire la laurea. Avrei dovuto svolgere il progetto Erasmus ma è stato annullato causa Covid. Per questo motivo vorrei svolgere il traineeship post-laurea, così da poter accrescere le mie capacità linguistiche, approcciarmi a una nuova realtà e sviluppare sempre nuove competenze.

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COME INSEGNARE L'ARTE CONTEMPORANEA AI BAMBINI? [parte seconda] ANNALISA TRASATTI [ esperta di didattica museale ] SANTA NASTRO [ caporedattrice ]

In questi lunghi mesi di isolamento, il tema della didattica ha ricoperto un ruolo fondamentale. Artribune ha invitato 24 esperti di pedagogia, didattica museale e operatori del settore a una riflessione sul dialogo tra arte e infanzia. I primi tredici li avete letti sul numero #59, ora la parola passa ai restanti undici.

L TALK SHOW L

MANUELA ALESSANDRINI MUSEO TATTILE STATALE OMERO – ANCONA Al Museo Tattile Statale Omero i bambini hanno la fortuna di poter “sentire” e accarezzare l’arte contemporanea. Le piccole dita sfiorano i materiali più vari. Poi passano alla scoperta delle forme: strani corpi, volti insoliti, perimetri sconosciuti incuriosiscono le mani e gli occhi. Quindi diventano loro i veri protagonisti del racconto dell’opera: incentiviamo la partecipazione attiva, lasciando spunti, pensieri e suggestioni. Siamo convinti che la narrazione di un’opera d’arte sia il modo migliore per far comprendere cosa gli artisti desiderano trasmetterci. Per i bambini l’incontro con l’arte contemporanea è sempre pieno di stupore e meraviglia.

CLAUDIA LÖFFELHOLZ FMAV – MODENA È una domanda centrale per Fondazione Modena Arti Visive, che nel 2018 ha dato vita a un Dipartimento educativo. Grazie alla consulenza di Cristina Francucci, direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, abbiamo progettato nuovi percorsi didattici, con lo scopo di educare alla cultura delle immagini e di far conoscere l’arte contemporanea fuori e dentro FMAV. In questo contesto, i linguaggi e i materiali dell’arte si trasformano da oggetto privilegiato a pretesto, permettendo l’attivazione di un percorso che sensibilizza i bambini verso la realtà che

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li circonda, stimolando un’esperienza creativa. Un percorso attraverso il quale il bambino crea nuove e personali interpretazioni della realtà e costruisce la sua identità personale. Il nostro Dipartimento presta molta attenzione alle attività per le scuole, poiché è qui che riesce a raggiungere e tutti i bambini e a restituire il proprio lavoro alla cittadinanza. Convinti che l’educazione all’arte sia fondamentale nel percorso di crescita di ogni persona, FMAV garantisce la piena gratuità di tutte le attività educative.

ANTONELLA VERACCHI PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI – ROMA Dissacrare, sorprendere, risvegliare i sensi, decostruire i codici, offrire una visione unica e personale: è la forza che caratterizza i linguaggi dell’arte contemporanea. Per questo è necessario non tanto insegnare, quanto accompagnare bambine e bambini nell’andare oltre una realtà assodata, nel soffermarsi e interrompere il flusso di immagini che ci colpiscono, nel porre e porsi domande per non assimilare risposte univoche. L’obiettivo è sviluppare uno sguardo critico e attento alla realtà, a dettagli apparentemente insignificanti, cercando una bellezza non fine a se stessa, ma che possa migliorare la qualità della vita personale e collettiva. Come fare tutto ciò? Attraverso un incontro con l’opera che non sia nozionistico, ma di esperienza vera, attraverso laboratori che non mirino a insegnare una tecnica ma a emozionare, a sperimentare la meraviglia di un fare che può trasformare e reinventare il mondo. Attraverso una cura degli spazi e dei materiali, e ancora attraverso la mediazione dell’albo illustrato, oggetto d’arte familiare e democratico, primo approccio di educazione al visivo e guida all’incontro con l’opera d’arte.

ELENA STRADIOTTO FSRR – TORINO Credo che il segreto del nostro mestiere sia quello di non disgiungere mai l’azione dal pensiero, la teoria dalla pratica, il come dal perché. Potrei citare per sintetizzare le celebri parole di Rodari: “Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”. Per allenare lo sguardo, il pensiero critico, la libertà del corpo e dare voce alle emozioni. Per fare esperienza dell’arte nel mondo e leggere il mondo di oggi attraverso l’arte. Come? Il mio preferito è semplicemente incontrarla, abitare con il corpo il suo stesso spazio – reale o virtuale –, lasciar emergere domande e ipotesi, indirizzando l’esplorazione verbale e non verbale. Esplorazione, ricerca, esperienza sono parole che la pedagogia attiva e l’arte contemporanea condividono nella costruzione di un glossario comune.

MARTA FERINA PAC – MILANO Penso che il segreto per spiegare l’arte contemporanea ai bambini sia quello di riuscire a trasmettere il punto di vista dell’artista, mettendosi nei loro panni. Parlo della capacità empatica di immedesimarsi, prima nei panni dell’artista, e poi in quelli del bambino, provando a guardare il mondo con i suoi occhi. Il nostro è un lavoro di traduzione, sintesi e mediazione tra l’artista-opera e il suo fruitore. Con i bambini è fonda-


bisogno di fare esperienze di senso e svelare il non senso. Un’educazione al patrimonio che, a partire dai minori, favorisca la crescita individuale e collettiva, in una società a forte rischio di disgregazione, necessita dell’alleanza con la scuola e le realtà attive sul territorio. Il KitEdu900 racconta ai bambini delle primarie una selezione di opere del Novecento, e la call Museo chiama Scuola vuole coinvolgerli nella creazione di un percorso under10 nelle sale del museo.

che cognitivi, per favorire lo sviluppo integrale della persona. Soprattutto nell’attuale momento storico, intendiamo offrire nuove prospettive e lo spunto per un diverso atteggiamento nei confronti della vita e dell’ambiente naturale, sentendoci parte della grande comunità globale dei viventi.

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mentale capire le cose essenziali che l’artista vuole comunicare e riportarle al loro vissuto quotidiano, nel loro mondo, provando a parlare la loro lingua. Una cosa di cui sono convinta è che, quando riesci a spiegare concetti difficili a un bambino, vuol dire che li hai capiti, li hai fatti tuoi, quindi potresti spiegarli a tutti. Penso che comunque l’arte contemporanea andrebbe spiegata nello stesso modo a bambini e adulti: con passione.

MELANIA LONGO MEDIATRICE DEL PATRIMONIO CULTURALE PAOLA BOCCALETTI FONDAZIONE ARNALDO POMODORO – MILANO

Quando i miei figli erano piccoli li ho sempre portati nei musei delle città che visitavo, inclusi quelli di arte contemporanea. Per loro i dipinti formati da macchie o le installazioni composte da oggetti vari non erano molto diversi da una tela barocca o da un polittico medievale. Erano cose da esplorare allo stesso modo, con curiosità. Penso che, se si porgesse ai bambini l’arte contemporanea come qualsiasi altra forma d’arte, senza lasciar passare l’idea che sia difficile da capire, già il grosso del lavoro sarebbe fatto. Tra l’altro, permette ai bambini di mettersi alla prova usando quello stesso linguaggio. Insomma, l’arte contemporanea, contrariamente al pensiero comune, può essere la porta principale per far entrare i più piccoli nel mondo dell’arte.

ILARIA DEL GAUDIO SENZA TITOLO – EDUCATORE MUSEALE

ANNA PIRONTI CASTELLO DI RIVOLI

MARIA ELENA SANTOMAURO MUSEO DEL NOVECENTO – MILANO Penso che l’arte tutta si possa spiegare e capire fino a un certo punto, per addentrarsi serve una disposizione, un’intelligenza emotiva che i bambini possiedono e sempre ci sorprendono con il loro sguardo limpido e domande fondamentali, a volte spiazzanti. Accolti, coinvolti, ascoltati e presi sul serio, ci insegnano a trovare la giusta misura della narrazione che meglio risuona con il loro

Attraverso l’arte, la sua mediazione e sperimentazione diretta, possiamo accogliere la realtà e la sua complessità e, così facendo, possiamo cambiare i paradigmi dell’educazione estetica, affinché questa ci sproni, sin da piccolissimi, a non cercare una sola risposta alle nostre domande. I bambini sono serbatoi di meraviglia, hanno il coraggio di avventurarsi nella dimensione dell’ignoto. Affinché, dunque, l’arte sia vissuta come una rappresentazione che arricchisce il rapporto dei bambini con la realtà, noi educatori non dovremmo mai sottrarci ad alcuni compiti: alimentare la curiosità, nutrire menti creative, favorire il processo di interpretazione e di attribuzione di senso, valorizzare il fare/ creare, ognuno con i suoi tempi e i suoi talenti, offrire la possibilità di incorrere nell’errore.

L TALK SHOW L

Un bambino può cucinare usando foglie, legnetti e sassi, cura un taglietto con un bacino; va a dormire con un dinosauro che lo difenderà dai mostri o gioca alla mamma cullando un bambolotto. Questo pensiero magico è l’espediente cognitivo che i bambini hanno a disposizione per riuscire a vivere in un mondo troppo diverso, troppo grande, troppo incomprensibile per loro (Daniele Novara, Organizzati e felici). L’esercizio dell’immaginazione appartiene ai bambini e viene coltivato con metodo dagli artisti. Ciò che noi adulti possiamo fare è insegnare loro a utilizzare al meglio gli strumenti di interpretazione del mondo che li circonda; spingerli a farsi delle domande senza temere che queste lascino risposte aperte; mostrare loro la diversità e la complessità affinché possano elaborare i collegamenti necessari alla comprensione di ciò che stanno guardando. L’arte contemporanea ha la possibilità di offrire ai bambini un’incredibile quantità di input liberi da sovrastrutture, quindi la si può insegnare soltanto attraverso l’esperienza.

EMANUELA PULVIRENTI BLOGGER – DIDATTICARTE

Educare all’arte con l’arte è il motto che da oltre trent’anni contraddistingue l’impianto concettuale e operativo del Dipartimento Educazione Castello di Rivoli. Traduciamo la conoscenza dell’arte in esperienza di vita individuale e collettiva a partire dalla prima infanzia, con proposte coinvolgenti e diversificate sempre in relazione all’età e al contesto. Intendiamo l’incontro con l’arte come un piacevole viaggio di scoperta da condividere con piccoli e grandi, per questo abbiamo scelto di chiamarci Artenaute. Si tratta di vivere insieme un’esperienza estetica e sinestetica che mette in campo gli apparati sensoriali, visivi ed emotivi oltre

Uno dei compiti dell’educazione museale è quello di proporre chiavi di lettura e suggestioni che permettano di tracciare legami e connessioni tra il patrimonio artistico e il vissuto personale dei fruitori. In questa prospettiva l’arte contemporanea diventa parte di un processo che conduce chi vi è coinvolto a una rielaborazione personale e a una consapevole “ri-generazione” culturale sia a livello individuale che collettivo. Il primo passo è guardare, con curiosità e senza pregiudizi, concedendosi il tempo per farlo. L’arte contemporanea, infatti, allena il nostro sguardo e soprattutto la nostra capacità di sentire e di comprendere l’“altro”: ci induce a mettere in discussione stereotipi e certezze per farci trovare nuovi strumenti di interpretazione e narrazione della realtà, ma anche della nostra identità.

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APP.ROPOSITO

SIMONA CARACENI [ docente di virtual environment ]

EXIT STRATEGY PER OPERE E ARTISTI FORGETTER

Un collettivo di artisti affiancato dall’azienda hi-tech Mindjob si è interrogato sulle vite di grandi artisti del passato, partendo dal presupposto che abbiano avuto una vita turbolenta. Premessa a parte, che può essere discutibile, il gioco presenta numerose vite di artisti scelti ad hoc, ponendo al pubblico la domanda se sia lecito ricucire la loro vita traumatica, liberandoli dalla sofferenza forgetter_thegame ma anche privando il mondo della loro arte, free in early access o lasciando ai giocatori la decisione di Steam per Windows, supporto VR lasciar scorrere il tempo senza interferire. Nei panni del 114esimo “Forgetter”, il giocatore entra in un vero e proprio paesaggio mentale, uno per ogni artista presentato, per esplorare le menti creative o distruggere letteralmente tutto ciò che riguarda i loro ricordi traumatici e le loro opere d’arte e in un certo qual modo “liberandoli”.

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STORIES FROM STORAGE

Il Cleveland Art Museum ha scelto una meravigliosa strategia per avvicinare il pubblico alla propria collezione: ha lanciato una serie di audioguide liberamente scaricabili, creando un percorso museale del tutto inedito, partendo dalle opere che non sono esposte ma fanno parte del deposito, e l’ha chiamata Stories from Storage. I percorsi sono stati ideati da Nadia Fellah, curatrice associata interna al museo, che ha preso clevelandart.org ispirazione dal parallelismo fra le persone free chiuse in casa e le opere chiuse nel deposito iOS, Android e che, per le ragioni che conosciamo, non trovano degna esposizione nelle gallerie museali. Il percorso virtuale è suddiviso in sale e ciascuna di esse racconta una storia differente, che potrete ascoltare mentre visitate l’esposizione sull’app del museo.

L ZUZEUM ART PREVIEW

Inaugurato a settembre 2020, il centro d’arte Zuzeum di Riga ospita una collezione privata di oltre 20mila opere d’arte lettoni. Quando il lockdown ha costretto a chiudere i battenti, Zuzeum ha collaborato con una delle principali app di food delivery, Wolt, per creare uno speciale profilo di “ristorante”: Zuzeum Art Preview. Le opere sono suddivise in antipasti, piatti e dessert, mentre gli utenti che decidono di “ordinare” si vedono consegnare a domicilio guide turistiche, zuzeum.com insieme ai biglietti per visitare il museo free quando sarà nuovamente aperto. “Dopo un iOS, Android anno di chiusura, musei e gallerie sono ancora alla ricerca di modi per raggiungere le persone”, ha spiegato Ieva Zībārte, responsabile delle mostre allo Zuzeum. “Le collezioni dei musei devono essere in luoghi in cui le persone si incontrano. In passato, l’arte spesso irruppe nell’ambiente urbano. Ora tendiamo a vivere nelle nostre città digitali e c’è posto per l’arte in questo nuovo regno”.

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NECROLOGY SOPHIE 17 settembre 1986 – 30 gennaio 2021 L BRUNO CONTE 1939 – 2 febbraio 2021 L CESARE LEONARDI 3 giugno 1935 – 4 febbraio 2021 L MARCELLO PECCHIOLI 22 gennaio 1954 – 5 febbraio 2021 L GIUSEPPE ROTUNNO 19 marzo 1923 – 7 febbraio 2021 L MARCO ROMANELLI 11 maggio 1958 – 10 febbraio 2021 L MILES COOPER SEATON 23 ottobre 1979 – 19 febbraio 2021 L HORIKI KATSUTOMI 18 febbraio 1929 – 24 febbraio 2021 L JACOPO GARDELLA 27 aprile 1935 – 25 febbraio 2021 L ELEONORA FIORANI 25 marzo 1942 – 10 marzo 2021 L FRANCESCO TRABUCCO 14 novembre 1944 – 14 marzo 2021 L YASUO OTSUKA 11 luglio 1931 – 15 marzo 2021 L ARMANDO DE STEFANO 27 novembre 1926 – 16 marzo 2021 L TURI SIMETI 15 agosto 1929 – 16 marzo 2021 L JEAN DUPUY 22 novembre 1925 – 4 aprile 2021 L GENE YOUNGBLOOD 30 maggio 1942 - 6 aprile 2021 L ISMAEL IVO 17 gennaio 1955 – 9 aprile 2021 L ADELE CAPPELLI 22 dicembre 1967 – 10 aprile 2021 L FIORELLA MANCINI 1943 – 10 aprile 2021 L MILVA 17 luglio 1939 – 23 aprile 2021 L ALBER ELBAZ 12 giugno 1961 – 24 aprile 2021


GESTIONALIA

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ALLA RICERCA DELLA CULTURA PERDUTA

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L’acronimo ESG sta per Environmental, Social, Governance e rappresenta, in ambito economico/finanziario, le attività legate all’investimento responsabile di quelle imprese che, oltre al profitto, integrano obiettivi, strumenti e azioni della cosiddetta responsabilità sociale (l’immancabile sigla: CRS – Corporate Social Responsibility). ESG è una sorta di trivio contemporaneo che sta diventando (per fortuna!) una tendenza. I dati (a proposito di “the trend is your best friend”) raccontano che le aziende che hanno tenuto in seria considerazione gli indicatori di natura ambientale, sociale e di governance stanno crescendo a ritmi sostenuti, così come i fondi di investimento che stanno spiazzando i competitor con risultati e minore volatilità. È certamente superato e considerato come riduzionista l’approccio squisitamente economico, finanziario e patrimoniale anche nel mondo for profit (oggi felicemente contaminato dall’introduzione nel nostro ordinamento – primi in Europa – delle società benefit) con una accelerazione legata alla crisi pandemica e alla spinta dei Millenials, che si sono affacciati non solo ormai sul lato della domanda ma anche di una leadership sostenibile. Non c’è necessità di un occhio attento per rendersi conto che ai fattori di rendicontazione non finanziaria manca la C di Cultural (per un nuovo quadrivio), né d’altronde si può considerare il fattore culturale (e creativo) all’interno del tema sociale o ambientale. Gli strumenti che raccontano in chiave consuntiva (accountability) e prospettica (business plan e forecast) un’impresa hanno bisogno, oggi più che mai, di una chiave di lettura che sia anche culturale. Dove l’accezione culturale abbraccia una molteplicità di significati: dal tema del patrimonio tangibile dei nostri beni come memoria di un passato che non può derubricarsi a nostalgico stereotipo o a paesaggio da cartolina (il nostro museo diffuso), al patrimonio intangibile quale patrimonio di conoscenze e competenze (anche in azienda) irradiazione del primo e capacità unica di generare immaginario (in fondo, come sosteneva magistralmente lo storico Carlo Cipolla, cos’è il made in Italy se non le cose belle che piacciono al mondo). E ancora: la cultura come capacità di produzione contemporanea, come supporto per qualunque digitalizzazione che non sia una mera protesi. Ci piace quindi immaginare (con sano pragmatismo), in quella contaminazione che rappresenta una delle più significative sfide di senso del nostro futuro, che i criteri ESG vengano presto contaminati dalla C mancante, in una visione olivettiana che non soltanto considera l’impresa un organismo dentro un ecosistema, quanto l’agente del cambiamento capace di essere l’innovatore che guida gli imitatori nel solco di una via italiana. Nella terra che ha generato il felice connubio tra scienze esatte e soft skill, non possiamo lasciare le humanities fuori dalla porta.

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IRENE SANESI [ dottore commercialista ]

© Federica Emili per Artribune Magazine

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ruby onyinyechi amanze

HOW TO BE ENOUGH dal 21febbraio al 25 luglio 2021

giovedì – domenica via Fratelli Cervi 66 42124 Reggio Emilia +39 0522 382484 info@collezionemaramotti.org collezionemaramotti.org


L LIBRI L

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MARCO ENRICO GIACOMELLI [ vicedirettore ]

UN MANIFESTO INCERTO

ROBERT STORR CRITICO PER CASO

Il raffinato editore romano L’orma ha dato alle stampe il secondo capitolo del Manifesto incerto che, nella sua lingua originale, il francese, ha visto la conclusione al nono tomo. L’autore è Frédéric Pajak e la prima caratteristica di quest’opus magnum è l’intreccio fra testo e disegno, quest’ultimo rigorosamente in bianco e nero. In occasione dell’uscita del primo volume scrivevamo che non si tratta di un rapporto ancillare, né in un senso (il testo non descrive i disegni) né nell’altro (i disegni non illustrano il testo). Testo e immagine s’incontrano in un punto infinito, in un orizzonte (di senso) lontano, evocativo più che connotativo. Questa connotazione resta valida, ma ora l’orizzonte si è spinto ancora più in lontananza, come quando, nel capitolo dedicato ai parigini, a un certo punto i disegni diventano ritratti di specie canine – sia chiaro: senza alcun intento caricaturale; o come quando, assai saggiamente, Pajak non accompagna con alcun disegno le pagine su Hopper. Parigi, dicevamo. In effetti, il sottotitolo è Sotto il cielo di Parigi con Nadja, André Breton, Walter Benjamin. Quest’ultimo è il fil rouge con il primo volume, ma il fuoco è pure la capitale francese e l’anno 1926 – sebbene il libro inizi con Ezra Pound a Venezia. Lo si capisce presto: qui di fili rossi ce ne sono moltissimi, e son fatti più per perdersi che per ritrovarsi. D’altro canto, a Parigi nel 1926 c’erano tali e tanti personaggi che ci si potrebbe scrivere non uno ma dieci libri; anche e soprattutto andando a pescare i meno noti, come lo svizzero tedesco Ludwig Hohl (“finirà i suoi giorni in uno scantinato di Ginevra”) e la stessa Nadja, che non è solo il titolo di un romanzo di Breton ma innanzitutto una persona, che il papa (senz’accento) del Surrealismo letteralmente esaurisce e poi, quando lei viene internata al manicomio Perray-Vaucluse, “non andrà mai a trovarla”. Personaggi talmente innumerevoli e umbratili che potrebbero popolare il capolavoro incompiuto di Benjamin, I “passages” di Parigi. Il libro si chiude con amara ironia: “Il 9 marzo 1938 Walter Benjamin inoltra un sollecito al ministro della Giustizia per il rilascio della cittadinanza francese. La giustizia non gli risponderà mai”. Sappiamo come la storia tragicamente finì, ma trepidiamo comunque nell’attesa del terzo volume.

Non ci si inalberi per il titolo: è lo stesso Robert Storr (1949) a intitolare The Accidental Critic le pagine con le quali introduce i propri Scritti sull’arte. Anche se l’introduzione propriamente detta la scrive Francesca Pietropaolo, curatrice del volume, che esordisce definendo la scrittura di Storr “terse, elegant, inquisitive, witty, poetic, contrarian, and at times animated by a vernacular verve all its own”. Caratteristiche che trovate, splendidamente riunite benché tradotte in italiano, nel saggio che Storr ha scritto per questo numero di Artribune Magazine. A maggior ragione emergono in lingua originale in questa raccolta, monumentale nel numero di pagine ma contenuta nella sua oggettualità libresca. Curioso che il primo testo sia una breve recensione di due mostre, rispettivamente dei Poirier e di Aldo Rossi; pur nella brevità, Storr trova lo spazio (di pensiero) per chiudere il suo testo con una notazione che dà da pensare: “L’arte romantica è una forma di volo. Solletica l’assolutismo o si trasforma in cliché solo quando diventa un sistema”.

Frédéric Pajak – Manifesto incerto (vol. II) Pagg. 224, € 28 L’orma lormaeditore.it

LIBRI

PER SAPERE TUTTO SU...

LIDIA CURTI 30

Docente di Letteratura inglese all’Orientale di Napoli, Lidia Curti è scomparsa il 22 aprile. Basilare il suo contributo nel campo della teoria femminista e postcoloniale, con incursioni altrettanto stimolanti nell’ambito del teatro e della narrativa. Le rendiamo omaggio con una selezione di libri che ha scritto e curato.

Robert Storr – Writings on Art 1980-2005 Pagg. 672, £ 35 Heni henipublishing.com

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Cosa può fare una bambina di 11 anni che vive nell’America rurale dell’Ottocento circondata da sei fratelli? Se il suo sogno è diventare una naturalista, la vita non sarà facile. Il graphic novel tratto dal romanzo di formazione di Jacqueline Kelly che ha fatto incetta di premi.

Che la musica sia (stata) influenzata dalla matematica lo sanno tutti: basti pensare a compositori come Bach e Stockhausen. Questo libro ribalta la prospettiva e parte dalla domanda: quanto la musica ha influenzato la matematica? La risposta vi sorprenderà.

Kelly & Collignon L’evoluzione di Calpurnia Pagg. 176, € 18 Mondadori mondadori.it

Eli Maor Music by the Numbers Pagg. 156, $ 17,95 Princeton U.P. press.princeton.edu

SHAKESPEARE Inesausto l’interesse per Shakespeare: da uno dei suoi primi libri alla cura del volume su Amleto (1994), all’indagine su Shakespeare in India (2010).

SEMINARIO In questa polifonica "analisi comparata tra scienze storico-sociali, letterarie, linguistiche e figurative", un affondo su Scrittura, corpo, proprietà.

Peter Brook e Shakespeare Pagg. 167, f.c. Istituto Universitario Orientale, 1984, unior.it

Donne e proprietà 2 voll., pagg. 350+377, f.c. Istituto Universitario Orientale, 1996-97, unior.it


MARCO PETRONI [ teorico e critico del design ]

Laureato con una tesi su Mattia Preti, pubblicò saggi sulla scultura lignea del Trecento e su Michelangelo, curò una mostra su Antonello da Messina allestita da Carlo Scarpa, scrisse un libro sul Serpotta. Anche grazie a questa formazione inattuale, Giovanni Carandente (1920-2009) poté guardare all’arte contemporanea con un approccio nient’affatto ideologico. Magari non è il nome più noto ai giovani curatori, ma fu lui a ideare l’evento di caratura internazionale Sculture nella città, trasformando Pistoia in una Münster ante litteram. Fu lui a curare la retrospettiva di Calder a Torino nel 1983, con l’allestimento di Renzo Piano; fu lui a dirigere la Biennale di Venezia nel 1988. A colmare questa dimenticanza ci pensa questo volume che – introdotto da tre saggi di Marco Tonelli, Antonella Pesola e Assunta Porciani – raccoglie trenta scritti di Carandente, con focus monografici (da Brancusi a Ceroli, da Consagra a Panamarenko), senza dimenticare le pagine vergate in occasioni come quella pistoiese che citavamo all’inizio.

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È un viaggio nella storia delle controculture Accelerazione. Correnti utopiche da Dada alla CCRU di Edmund Berger. L’attivista e critico culturale ci porta a spasso nei meandri del pensiero estremo attraverso dettagliati incontri con luoghi, persone, opere, esperimenti ed eventi che hanno segnato il XX secolo. Un attraversamento sentito e vissuto per esperienza diretta o come personale indagine. Infatti, Berger ha frequentato molte forme culturali underground: dall’Internazionale Situazionista al punk, dal Settantasette italiano agli Autonomen tedeschi, dall’attivismo hacker al cyberfemminismo, dalla cultura rave a quello straordinario esperimento “viscerale e dissolutivo della modernità” che è stata la CCRU – Cybernetic Culture Research Unit. È lo spazio urbano che va sempre più integrandosi con la Rete, con la sfera digitale, la cornice in cui si muovono i protagonisti di una rivoluzione esplosiva e sotterranea, da Hugo Ball a Guy Debord fino alle derive punk e accelerazioniste di cui il progetto cileno Cybersyn di Salvador Allende (1971/73) è probabilmente la miccia ma anche l’ultimo programma socialista della modernità prima della nascita del neoliberismo. There is no alternative è il moloch tardocapitalista da demolire e Berger pungola la storia delle utopie ravvivandole. È la rivolta, il conflitto, la consapevolezza di essere migliori – più intelligenti, più inclusivi e debordanti – a muovere il dispositivo narrativo. Noi umani alla deriva senza cinture di sicurezza. Restituisce questa dimensione la descrizione della nascita del mitico Group Center a New York a metà degli Anni Sessanta grazie alla determinazione del ribelle di Syracuse Aldo Tambellini. Il Group guarda a un futuro alternativo scommettendo sulla multimedialità come linguaggio e tecnica capace di affermare una visione positiva del socialismo cibernetico che inizia a dipanarsi grazie anche al supporto della science fiction. È in seno al movimentismo italiano degli Anni Settanta che troviamo la nascita di A/traverso, un gruppo riunito attorno alla figura di Franco “Bifo” Berardi, che decide di indagare la dimensione mediale dando vita a Radio Alice, leva tecnologica e comunitaria per dare forma a un approccio maodadaista. Sono i fermenti e le fibrillazioni utopiche che ci conducono all’oggi, che Berger vede come un mondo dove la distruzione delle controculture è divenuta un’arma fra le tante che il neoliberismo sfrutta nella guerra del tutti contro tutti. Il fallimento delle spinte utopiche novecentesche non è dovuto a un destino già segnato che limita le loro potenzialità, ma a un nemico sfuggente che sfrutta tutto ciò che si muove nell’underground per limitare il disegno di altri mondi possibili. Il saggio di Edmund Berger alimenta un desiderio di possibile per evitare il soffocamento.

Uscito nel 1974, è uno sguardo precoce e preveggente sulla postmodernità – e quanto ne abbia compresa l’essenza sta già nel sottotitolo, che parla di “due ipotesi”, basate sui modelli dell’assenza (McLuhan, Marcuse) e della presenza (Derrida, Foucault, Deleuze). Un viaggio tra filosofia, arte e letteratura.

Una raccolta di saggi che esplorano il rapporto fra arte e colore in una prospettiva storica e geo-culturale: dall’Africa alla Cina, dall’Islam alla pittura bizantina, dal Medio Evo al Quattrocento, e poi l’Ottocento e Matisse e – con Angela Vettese – il secondo dopoguerra.

Renato Barilli Tra presenza e assenza Pagg. 344, € 24 Mimesis mimesisedizioni.it

AA.VV. Il colore nell’arte Pagg. 260, € 50 Jaca Book jacabook.it

POSTCOLONIALE Curato insieme a Iain Chambers, riflette su "cieli comuni, orizzonti divisi", quando ancora, in Italia, si parlava assai poco di postcolonialismo.

VOCI ALTRE Una straordinaria cavalcata letteraria e politica attraverso "scritture ibride tra femminismo e postcoloniale". Ristampato nel 2018, il suo capolavoro.

METACRITICA Curato con Iain Chambers e Michaela Quadraro, è una ambiziosa metacritica che si propone di rinnovare gli strumenti linguistici della critica stessa.

FEMMINISMI L’ultimo libro curato da Lidia Curti: una raccolta di studi che, fra "teorie, poetiche, fabulazioni", traccia un quadro del femminismo nel XXI secolo.

La questione postcoloniale Pagg. 332, f.c. Liguori, 1997 liguori.it

La voce dell’altra Pagg. 238, € 18 Meltemi, 2006 meltemieditore.it

Ritorni critici Pagg. 248, € 20 Meltemi, 2018 meltemieditore.it

Femminismi futuri Pagg. 215, € 18 Iacobelli, 2019 iacobellieditore.it

L LIBRI L

AA.VV. – Giovanni Carandente e la scultura moderna Pagg. 280, € 25 Magonza magonzaeditore.it

Cosmogonie controculturali

MARZO L GIUGNO 2021

GIOVANNI CARANDENTE E LA SCULTURA

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Edmund Berger – Accelerazione. Correnti utopiche da Dada alla CCRU Nero Editions, Roma 2021 Pagg. 368, € 19 neroeditions.com

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MARZO L GIUGNO 2021

59-60

ART MUSIC

CLAUDIA GIRAUD [ caporedattrice musica ]

RE-FLEXIO

marcozanotti.bandcamp.com

Due mostre alla GAM di Torino, tra arte contemporanea e buone cause Si svolge fino al 3 ottobre, presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, la mostra Sul principio di contraddizione, a cura di Elena Volpato. L’esposizione, che coinvolge gli artisti Francesco Barocco, Riccardo Baruzzi, Luca Bertolo, Flavio Favelli e Diego Perrone, unisce cinque modi di fare arte nel senso della possibilità, del dualismo, mettendo insieme accordi e disaccordi. Non è un tema a guidare questi artisti, quanto le antinomie che si creano all’interno dello spazio del lavoro. La GAM ospita anche, dal 5 maggio al 21 settembre, la mostra Viaggio Controcorrente, dedicata a 25 anni di storia dal 1920 al 1945, un periodo che vede l’Italia prima a cavallo tra due guerre e poi coinvolta nel secondo conflitto mondiale. 130 opere scelte dalle collezioni dei Musei Reali e dalla Collezione dell’avvocato Giuseppe Iannaccone sono curate da Annamaria Bava, Riccardo Passoni e Rischa Paterlini. L’evento è per una buona causa: è infatti a favore della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus in occasione dei suoi 35 anni di attività. In mostra le opere di Ottone Rosai, Filippo De Pisis, Mario Mafai, Scipione, Antonietta Raphaël, Fausto Pirandello, Guttuso, Alberto Ziveri, tra gli altri. Non mancano i Sei di Torino (Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico Paulucci) né i pittori e scultori di Corrente. gamtorino.it

L NEWS L

Roma: l’Area Sacra di Largo Argentina aprirà al pubblico grazie al finanziamento di Bulgari

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Il potere della riflessione, fisica e mentale, è il leitmotiv di un lavoro discografico che non solo si abbina a opere d’arte originali, ma che ne è parte integrante. Si tratta di Re-flexio, un doppio vinile 10” in edizione limitata, con packaging e artwork strettamente organici all’intera operazione: quella che vede la musica di Marco Zanotti fondersi con le micro-incisioni su lastre d’alluminio di scarto di Gaia Carboni. “Si può dire che l’idea stessa di ‘Re-flexio’ sia scaturita da un’opera di Gaia, ‘Residuo-phos’, che mi colpiva ogni volta che la guardavo. Appesa alla parete, appariva ogni volta diversa a seconda del sole che entrava dalla finestra”, ci racconta Zanotti, fondatore e direttore della Classica Orchestra Afrobeat che ha approfittato di questi mesi di sosta forzata per “riflettere” su vecchi materiali e realizzarne di nuovi, in una chiave più intima e informale, nel suo primo disco solista. “Grazie all’osservazione di quel lavoro, che poi Gaia ha ripreso nelle opere di ‘Re-flexio’, ho colto la ragione d’essere dei brani che stavo imbastendo. Un viaggio, un incontro, un’esperienza che si arricchiscono con il tempo, grazie alla loro riflessione sul presente”. Ogni copia dell’album è, dunque, affiancata da una delle 64 opere originali realizzate dall’artista torinese cresciuta a Chiesuola di Russi, lo stesso paese in provincia di Ravenna di Zanotti, grande disegnatrice di metamorfosi naturali: lastre d’alluminio recuperate all’interno di isole ecologiche e sulla cui superficie, corrosa dal tempo, l’artista è intervenuta con microincisioni per far emergere le figure, immaginarie o immaginate, che vi vedeva. Come per Zanotti, un lavoro ispirato al sedimentarsi dei ricordi e alla loro comprensione più profonda. “Nel mio particolare modo di pensare, ogni opera d’arte ha una sua musica che le corrisponde, come una perpetua colonna sonora emanata dall’interno e quando realizzai ‘Residuo-Phos’ nel 2012 erano proprio le atmosfere eteree date dall’elettronica che immaginavo potessero accompagnarla nella sua esistenza”, conclude Carboni. “‘Residuo-Phos’ dunque risponde al suono cogliendo proprio quelle riverberazioni che, percepite come espansione di uno spazio mentale, si sovrappongono a quelle luminose delle mie incisioni”.

GIULIA RONCHI L Al via i lavori – che dureranno circa un anno – per rendere accessibile e visitabile per la prima volta l’Area Sacra di Largo Argentina, uno dei più importanti e antichi complessi archeologici di Roma. L’intervento è reso possibile grazie alla donazione della maison Bulgari di circa un milione di euro. Il cantiere è stato affidato dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali all’Impresa Biagioli s.r.l., aggiudicataria dell’appalto. Per rendere concretamente accessibile l’Area Sacra di Largo Argentina, saranno realizzati dei camminamenti in quota che permetteranno ai visitatori di “immergersi” tra gli antichi resti romani in tutta sicurezza. Le strutture saranno poi illuminate di notte con luci LED colorate, così da creare un effetto suggestivo. La realizzazione del percorso dell’Area Sacra di Largo Argentina permetterà di valorizzare un sito su cui sorgono quattro templi di età repubblicana. In questo luogo è custodito anche il basamento di tufo della Curia di Pompeo, luogo dell’assassinio di Giulio Cesare nelle Idi di marzo del 44 a.C., come riportato dalle fonti antiche. L’Area Sacra conserva infine le stratificazioni architettoniche di varie epoche, come le fasi imperiali dei templi o le strutture di età medievale. La visita partirà dalla Torre del Papito, che ospiterà i servizi di biglietteria e uno spazio espositivo nel portico esterno; proseguirà poi attraverso un sistema di percorsi verticali e orizzontali interni all’area archeologica, che permetteranno la visione ravvicinata dei templi e dei numerosi reperti rinvenuti dal 1926, tra iscrizioni, frammenti di decorazioni architettoniche, terrecotte e resti di statue. Sarà allestita anche un’area espositiva coperta in corrispondenza del portico orientale dell’Area Sacra. sovraintendenzaroma.it | bulgari.com


SERIAL VIEWER

GIULIA PEZZOLI [ registrar ]

AMERICAN WOMAN

Per chi aveva amato le precedenti stagioni di questa serie tv prodotta dai Fratelli Coen, dal cui iconico film prende il nome, il quarto “episodio” di Fargo, creato da Noah Hawley per FX, potrebbe essere un colpo al cuore. Addio alle atmosfere fredde e dimenticate della provincia americana, addio al Minnesota, addio anche ai tempi moderni. Ci spostiamo a Kansas City, ma siamo negli Anni Cinquanta. Anche Fargo risente dei grandi movimenti di idee MeToo e Black Lives Matter, raccontando, attraverso una trama sui generis, lo scontro tra famiglie criminali nella città del Missouri: quella italiana, quella irlandese e, infine, quella afroamericana. Fra i tre litiganti il quarto gode, si dice, e in questa guerra senza esclusione di colpi alla fine vincono le donne, depositarie dei valori umani, della saggezza, ma anche del desiderio di vendetta. Non sarà l’allontanamento dalla “tradizione” a sconvolgere i fedelissimi di Fargo, che potrebbero rimpiangere con nostalgia le vicende e il personaggio di Gloria Burgle, protagonista di quello che è tuttora forse il più bello, coinvolgente, romantico episodio di Fargo (il terzo), quanto la sovrapposizione di generi (scelta però tipica per questo prodotto che attraversa la black comedy come il genere crime), stili, storie rilette in una chiave tuttavia contemporanea. Non mancano i grandi personaggi, come l’infermiera psicopatica Oraetta Mayflower, interpretata da Jessie Buckley (da fare quasi invidia alla Ratched di Netflix), oppure la giovanissima (vera protagonista) Ethelrida Pearl Smutny, che fa da narratrice e filo conduttore dell’intera vicenda, legante tra le epoche e tra i personaggi fino alla conclusione. Né mancano le sorprese, come una buona parte di cast che attinge dalla televisione, dal cinema e dalle serie italiane: qualche fan di Gomorra riconoscerà infatti Salvatore Esposito aka Genny Savastano, qui nei panni del gangster Gaetano Fadda appena arrivato dall’Italia. E non solo lui.

Nella desolata provincia della Pennsylvania rurale, la vita della giovane e ribelle Debra Callahan viene scossa dall’improvvisa scomparsa della figlia adolescente Bridget, da poco diventata mamma. Mentre affronta il trauma della perdita, le interminabili indagini e il processo, la donna, aiutata dalla sorella e dalla madre, cresce il nipote nell’attesa di una verità che arriverà solo molti anni dopo. A quasi dieci anni da Welcome to the Rileys, Jake Scott torna con un’altra opera sul dolore della perdita e ci racconta, con grande intensità, la fragilità di un’esistenza smarrita e l’indomita forza interiore necessaria per cambiarla. Ispirato a fatti realmente accaduti, American Woman dipinge, attraverso una finestra narrativa che copre circa un decennio, uno spaccato realistico e sconfortante della quotidianità della classe operaia nelle zone rurali dell’America contemporanea. Sulla scia di Tre Manifesti a Ebbing (2017) e di Manchester by the Sea (2016), il regista britannico mette in scena, con eleganza e sobrietà, un dramma lucido e brutale. Attraverso una fotografia capace di cogliere il vuoto e la solitudine di un’esistenza difficile, una sceneggiatura semplice e ben dosata e una colonna sonora che, con la necessaria discrezione, si snoda efficacemente lungo tutta la narrazione, American Woman ritrae il dolore senza mai metterlo in scena. La tragedia che colpisce Debra, interpretata da un’incredibile Sienna Miller, è narrata quasi esclusivamente attraverso il corpo e il volto dell’attrice, che riesce a incarnare la complessità e la ricchezza di un universo femminile smarrito, violato, infranto, ma, allo stesso tempo, tenacemente irriducibile nei suoi molteplici (e accavallati) ruoli di nonna, madre, sorella e figlia. Gli squallidi interni della piccola abitazione di periferia, i “vuoti” e i silenzi che circondano la protagonista diventano potenti metafore di abissi emotivi reali, definitivi e incolmabili. Quello di American Woman è un viaggio interiore che colpisce per brutalità e coerenza: un duello senza tregua tra il destino e un libero arbitrio che non si accontenta di trovare vittoria nella mera sopravvivenza, ma che chiede a gran voce speranza e cerca disperatamente un futuro migliore.

USA, 2020 | SOGGETTO: Noah Hawley GENERE: black comedy, crime | CAST: Chris Rock, Jessie Buckley, Jason Schwartzman, Ben Whishaw, Jack Huston STAGIONE: IV | EPISODI: 11 DURATA: 40’-70’ a episodio

USA-UK, 2018 | REGIA: Jake Scott GENERE: drammatico | SCENEGGIATURA: Brad Ingelsby CAST: Sienna Miller, Christina Hendricks, Aaron Paul, Amy Madigan, Will Sasso, Alex Neustaedter, Macon Blair, Sky Ferreira DURATA: 111’

L NEWS L

FARGO: LA QUARTA SERIE

59-60 MARZO L GIUGNO 2021

SANTA NASTRO [ caporedattrice ]

LIP - LOST IN PROJECTON

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MARZO L GIUGNO 2021

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DIGITAL MUSEUM

MARIA ELENA COLOMBO [ museum & media specialist ]

CHE LINGUA PARLA PALAZZO GRASSI? palazzograssi.it

Dagli States di Stanford e Harvard, torniamo in Italia e precisamente a Venezia. Per incontrare Clementina Rizzi, responsabile comunicazione di Palazzo Grassi | Punta della Dogana, il distaccamento lagunare della Collezione Pinault.

immagini di Henri Cartier-Bresson; infine, le guide di Instagram realizzate in occasione delle celebrazioni dei 1600 anni di Venezia nell’ambito del progetto Dorsoduro Museum Mile, cui partecipiamo insieme alla altre istituzioni del Sestiere: Gallerie dell’Accademia, Collezione Peggy Guggenheim e Palazzo Cini La Galleria.

L NEWS L

Quando conta la comunicazione digitale in un museo per te? Riusciresti a immaginare oggi un museo che non abbia una sua “voce” digitale? Ovviamente no. Ma andiamo oltre la provocazione. Ho vissuto in prima persona lo sviluppo del digitale nei musei: la trasformazione è stata radicale. Il digitale può contenere infiniti mondi e modi, linguaggi e usi, esattamente come tutti gli altri strumenti di comunicazione. L’unico criterio utile da seguire è la coerenza. Anche in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo, durante i quali abbiamo visto le istituzioni culturali attivarsi per essere presenti sul digitale – generando anche molto rumore –, quello che rimane è la consapevolezza (finalmente!) che il digitale non è solo utile per narrare le attività dell’istituzione ma è un dispositivo che può produrre contenuti fruibili sempre e da ovunque. È anche il mezzo migliore per alimentare la dialettica tra visitatore e museo. Non solo il dialogo, ma proprio la dialettica: i musei sempre più si candidano a essere palcoscenico attivo della società in cui operano, un luogo di connessioni e quindi anche di contraddizioni. Quali sono stati i vostri progetti digitali durante il lockdown? Abbiamo ideato un format digitale inedito che sapesse entrare in contatto con l’intera comunità, digitale e reale: nascono così gli Open Lab con Olimpia Zagnoli, Emiliano Ponzi, studio saòr, Erik Kessels, Marco Cappelletti, Giulio Iacchetti e Ryoko Sekiguchi. Il progetto è stato lanciato nell’ambito di #palazzograssiatyours, il palinsesto offerto dai nostri canali digitali che comprende diversi contenuti: da PalazzograssiTeens al Masterset Stories, “racconti in tre righe” dedicato a Henri Cartier-Bresson, all’Alfabeto di Palazzo Grassi, tra gli altri. Il successo dell’iniziativa ci ha spinto a continuare, riservando quei canali a temi e momenti dedicati, come quello realizzato con Livia Satriano (curatrice del progetto digitale @libribelli­ books) e altri in programma per il futuro.

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Online e offline sono due mondi o uno solo? Uniti nella strategia che li deve accomunare, ma distinti nel processo di produzione e quindi nella modalità di fruizione. Bisogna saper capitalizzare quello che si è compreso in modo più diffuso nell’ultimo periodo. Sapremo rompere il tabù dell’arte che si sostiene senza svendersi? Una visita virtuale delle mostre starà al museo come un film sulla TV on demand sta a una sala cinema?

Quanto la digitalizzazione delle risorse influisce sull’efficacia della comunicazione digital e social? Ribalterei il punto di vista, chiedendomi se le risorse, una volta digitalizzate, non siano utili ad altri fini. Ancor più se la digitalizzazione stringe una valida alleanza con la dimensione reale. Per fare un esempio, cito l’ultimo dei nostri progetti in tal senso, Archive for the Future, il ciclo di interviste Zoom con artisti, storici dell’arte, compositori e performer internazionali dedicate alla mostra di Bruce Nauman a Punta della Dogana e incentrate sull’influenza che l’artista americano ha avuto sul loro lavoro. La risorsa in questo caso è stata “tradotta” in digitale, permettendo di approfondire i temi della mostra prima o dopo la visita. Cosa significa svolgere un’attività “rele­ vant” sul digitale? Da tempo percorriamo una strada che vede coinvolti più soggetti nell’ideazione di progetti dal contenuto inedito che sia complementare all’attività che si svolge nelle sedi: penso al progetto con Futura del Corriere della Sera in occasione della mostra Dancing With Myself, con un questionario proustiano sul tema delle identità per il pubblico digitale; oppure ancora Masterset Stories, il progetto su Instagram con i racconti in tre righe firmati dalle scrittrici italiane pubblicate da Marsilio, ispirati alle

Come possiamo valutare le attività sui social media? Le mettete in relazione diretta con l’afflusso fisico dei pubblici? Sì, certo: nei dati che abbiamo, soprattutto quelli acquisiti ultimamente, in occasione delle poche giornate di apertura, abbiamo visto crescere i pubblici in modo proporzionale. Siamo sempre consapevoli che entrambi i valori crescano e decrescano in ragione di un insieme di elementi di interesse per le attività online e offline. Ma quando inizieremo ad aggiungere nuovi parametri e quindi nuovi risultati? Parli di ricaduta? La qualità dei progetti di comunicazione digitale in ambito culturale sta cambiando rapidamente, ancor più dopo la sbornia degli ultimi tempi, ora si è capito che non c’è ressa che tenga: raggiungere livelli di qualità nella proposta digitale non è automatico neanche per le istituzioni più note. È l’ora delle scelte, delle reti e delle interconnessioni. Mi aspetto ora che il pubblico non si chieda quanti follower hanno gli account di un museo, ma quanto sia stimolante seguirlo o visitarlo. Un libro da consigliare ai colleghi. A parte quello a firma tua? [Musei e cultura digitale, Editrice Bibliografica, Milano 2020, N.d.R.] Mi fa piacere citare il libro Che Sbaglio di Erik Kessels edito da Phaidon, perché ci insegna che sbagliare è utile e nel suo caso lo fa proprio attraverso le immagini della nostra vita che noi tutti condividiamo sulle diverse piattaforme digitali. Non è esattamente come ora?


per me un grande piacere e un onore presentarvi la programmazione speciale dell’Ufficio di cultura e scienza dell’Ambasciata di Spagna in Italia che accompagnerà la Biennale di Architettura di Venezia di quest’anno. Teatro, danza, letteratura, cinema, fotografia e i programmi online (i “Programas Ventana” grazie ai quali lo scorso anno sono stati affrontati importanti temi quali diplomazia culturale, scienza o Agenda 2030 raggiungendo il vasto pubblico del web) saranno le nostre principali attività previste per il 2021. Tutti eventi che hanno in comune un fondamentale obiettivo, quello di promuovere gli intercambi professionali del settore culturale tra i paesi. Il loro favorevole riscontro in termini mediatici e di pubblico ha reso possibile che abbiano anche nel 2021 la continuità sperata. Mi auguro che possiate appassionarvi a questa programmazione tanto quanto gli artisti che l’hanno realizzata! GUZMÁN PALACIOS FERNÁNDEZ Direttore Relazioni Culturali e Scientifiche AECID SPAGNA: Uncertainty COMMISSARI: Ministerio de Transportes, Movilidad y Agenda Urbana (MITMA), Agencia Española de Cooperación Internacional para el Desarrollo (AECID), Acción Cultural Española (AC/E). CURATORI: Domingo Jacobo González Galván, Sofía Piñero Rivero, Andrzej Gwizdala, Fernando Herrera Pérez. SEDE: Giardini.

La compagnia di danza contemporanea Metamorphosis Dance, formata dalla coreografa e ballerina Iratxe Ansa e dal ballerino e creatore italiano Igor Bacovich, è stata invitata dalla Biennale di Danza di Venezia ad esibirsi il 26 luglio con il suo spettacolo “Al desnudo”.

Il dizionario biografico “VISLUMBRES” sarà presentato a Venezia il 17 giugno in presenza di importanti intellettuali spagnoli e dell’Ambasciatore di Spagna in Italia Alfonso Dastis.

Foto: @Danilo Moroni y Juan Carlos Toledo.

Il Festival di cinema spagnolo avrà un’anteprima il 18 giugno in occasione dell’evento organizzato dall’Ambasciata di Spagna in Italia per celebrare i 1600 anni dalla nascita di Venezia. L’evento speciale avrà come protagonista Gustavo Salmerón, attore e regista che accompagnerà la proiezione del suo acclamato film “Muchos hijos, un mono y un castillo” (2018). Saranno presenti i direttori del festival Iris Martín Peralta e Federico Sartori. Foto: Romero de Luque

La compagnia teatrale “Agrupación Señor Serrano” è stata invece selezionata per partecipare alla Biennale di Teatro di Venezia con il suo spettacolo “The Mountain”. Lo spettacolo è una riflessione su “ciò che è vero in tempi di post verità”. La compagnia di Barcellona, premiata nel 2015 con il Leone d’Argento, scommette sempre sul mixaggio del mondo virtuale con le performance dal vivo.

Foto: @Jordi Soler

Anche per il 2021 l’Ufficio culturale dell’Ambasciata di Spagna in Italia continuerà ad organizzare i “Programas Ventana”, una serie di programmi online conclusisi nel 2020 con il dibattito “Hidden Histories dialogues” di Sara Alberani. Verrà ripreso il programma “Conversazioni - dialoghi tra istituzioni culturali italiane e spagnole” ideato e prodotto da Eva Basteiro-Bertolí di Le Bestevem con nuovi appuntamenti come quello tra la piattaforma Filmin e Groenlandia Group. Anche l’associazione culturale “Dosintres Cultura” continuerà ad organizzare dibattiti online che nel corso del 2020 hanno ospitato personaggi di spicco della cultura e della scienza italiana quali Enrico Giovanni, Stefano Fantoni, Giacomo Marramao, Luca Bergamo, Teresa Sapey o Gianluca Marziani. Per il 2021, la sua manager culturale Patricia Pascual Pérez-Zamora sta progettando un dibattito presenziale moderato da Daniel Verdú, corrispondente a Roma del prestigioso giornale spagnolo El País, sulla contaminazione tra fiction e realtà trattando fictions come Gomorra, Fariña o Romanzo Criminale. Il Direttore Artistico Cristiano Leone ha già ideato e progettato “Radix II”, creato appositamente come strumento di diplomazia culturale.

Per maggiori informazioni su tutti gli eventi vi invitiamo a visitare

www.PiazzadisPagna.es

Buona visione!


L BIENNALE ARCHITETTURA 2021 L

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RITORNO A VENEZIA VALENTINA SILVESTRINI [ caporedattrice architettura ]

“Non pensate che i tempi morti siano inutili. I tempi morti sono molto importanti se servono a comprendere che cosa dovevamo fare, che cosa dovremo fare e quali sono gli obiettivi del nostro agire”. Ufficializzando le date della sua prima Biennale di Architettura come presidente dell’istituzione lagunare, Roberto Cicutto ha citato il regista Ermanno Olmi e invitato a ragionare attorno al concetto di tempo. Un modo per ricomporre il quadro della 17. Mostra Internazionale di Architettura dopo il forzato slittamento dal 2020 al 2021, svoltosi nel segno della fedeltà alla propria identità e allo storico formato. Una “resistenza” che vari osservatori nel corso degli ultimi dodici mesi avevano messo in discussione, interrogandosi sulle potenziali evoluzioni del progetto espositivo e culturale in attesa di dati certi. Ora che la comunità architettonica internazionale, affrancatasi dal bulimico ricorso ai soli strumenti digitali, può fare ritorno a Venezia, adeguandosi al protocollo di sicurezza redatto dalle autorità competenti, non resta che chiedersi quale architettura sia materia di questa ritrovata analisi de visu, dell’indagine individuale e del confronto pubblico. La mostra How will we live together?, diretta da Hashim Sarkis, non passerà alla storia solo perché il suo svolgimento coincide con una fase storica ancora segnata dalle ombre lunghe della pandemia. Con 112 partecipanti, provenienti da 46 Paesi, si candida piuttosto a essere ricordata per la più cospicua rappresentanza di sempre di progettisti attivi in Africa, America Latina e Asia. Oppure per aver offerto il proprio contribuito nel percorso di demolizione dell’ormai superato stereotipo di una disciplina a trazione maschile: uomini e donne sono infatti presenti in egual misura, mentre il Leone d’Oro speciale alla memoria è stato conferito a Lina Bo Bardi. Certo, si tratt di una mostra in presenza nel senso più proprio del termine: è nella dimensione fisica dell’Arsenale e del Padiglione Centrale che prendono forma le cinque sezioni o “scale” tematiche – Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, Across Borders e As One Planet. Eppure le estensioni non mancano, sia legate all’ormai imprescindibile ibridazione con il digitale, sia di natura interdisciplinare: si va dalla collaborazione con la Biennale Danza – in programma dal 23 luglio al 1° agosto – al programma di incontri Meetings on Architecture, fino all’attesa “mostra nella mostra” Future Assembly, provocatoria collettiva coordinata dallo Studio Other

Lina Bo Bardi & Edson Elito, Teatro Oficina, São Paulo, 1984. Photo Leonardo Finotti (part.)

Non resta che chiedersi quale architettura sia materia di questa ritrovata analisi de visu.

Spaces (SOS) – fondato dall’artista Olafur Eliasson e dall’architetto Sebastian Behmann – con sei co-designer. Nella Biennale più diversificata di sempre, almeno sotto il profilo geografico dei partecipanti, il tema del gioco viene analizzato dall’installazione urbana How will we play together?, allestita a Forte Marghera e

aperta a tutti. Diciassette gli eventi collaterali ammessi dal curatore, destinati a insediarsi nell’intero tessuto veneziano, in parte occupato anche da alcune delle 63 partecipazioni nazionali di questa edizione. Nell’anno del debutto di Grenada, Iraq, Uzbekistan e Azerbaijan, la Sale d’Armi A dell’Arsenale si conferma la sede del progetto sviluppato con il Victoria and Albert Museum di Londra. Giunto al quinto anno, con la curatela dell’autore e architetto Shahed Saleem, esamina le storie di tre (singolari) spazi adibiti a moschee nella capitale inglese con la mostra Three British Mosques.

FOTOGRAFA IL QR PER LEGGERE TUTTI GLI ARTICOLI SULLA 17. BIENNALE DI ARCHITETTURA


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SANTA CROCE

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CANNAREGIO

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GIUDECCA 15

SAN POLO

CASTELLO

SAN MARCO

DORSODURO

I 17 EVENTI COLLATERALI DELLA BIENNALE ARCHITETTURA 2021

Autore di articoli e libri, fra cui il recente The World as an Architectural Project (2020), scritto con i colleghi Roi Salgueiro Barrio e Gabriel Kozlowski, presentando nel luglio 2019 per la prima volta il tema How will we live together? aveva invitato gli architetti a “immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme”, per rispondere al “bisogno di un nuovo contratto spaziale” in uno scenario segnato da “divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti”. Più di recente, esaminando il quesito e attualizzandolo alle forme di isolamento imposte dalla crisi sanitaria, ha ribadito che molte delle ragioni che lo avevano ispirato, fra cui, “l’intensificarsi della crisi climatica, i massicci spostamenti di popolazione, le instabilità politiche in tutto il mondo e le crescenti disuguaglianze razziali, sociali ed economiche, ci hanno portato a questa pandemia e sono diventate ancora più rilevanti”.

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AIR/ARIA/AIRE_CATALONIA IN VENICE Cantieri Navali, Castello, 40

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REVIVE THE SPIRIT OF MOSUL UNESCO’s Regional Office, Palazzo Zorzi, Castello, 4390

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"CHARLOTTE PERRIAND AND I". CONVERGING DESIGNS BY FRANK GEHRY AND CHARLOTTE PERRIAND Espace Louis Vuitton, San Marco, 1353

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SALON SUISSE 2021: BODILY ENCOUNTERS Palazzo Trevisan degli Ulivi, Dorsoduro, 810

CONNECTIVITIES: LIVING BEYOND THE BOUNDARIES - MACAO AND THE GREATER BAY AREA Arsenale, Castello, 2126/A

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HAKKA EARTHEN HOUSES ON VARIATION-CO-OPERATIVE LIVING, ART AND MIGRATION ARCHITECTURE IN CHINA Forte Marghera, padiglione 30

SKIRTING THE CENTER: SVETLANA KANA RADEVIĆ ON THE PERIPHERY OF POSTWAR ARCHITECTURE Palazzo Malvasia Palumbo Fossati, San Marco, 2597

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THE MAJLIS Abbazia di San Giorgio Maggiore

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TROPICALIA – ARCHITECTURE, MATERIALS, INNOVATIVE SYSTEMS Squero Castello, Castello, 369

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WITHOUT LAND / POMERIUM SENZA TERRA/ POMERIO Isola di San Servolo

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LIANGHEKOU Palazzo Zen, Cannaregio, 4924

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MUTUALITIES Spazio Ravà, San Polo, 1100

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NOT VITAL. SCARCH Abbazia di San Giorgio Maggiore

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PRIMITIVE MIGRATION FROM/TO TAIWAN Palazzo delle Prigioni, Castello, 4209

YOUNG EUROPEAN ARCHITECTS CA’ASI, Palazzo Santa Maria Nova, Cannaregio, 6024

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YOUNG TALENT ARCHITECTURE AWARD 2021. EDUCATING TOGETHER Palazzo Mora, Cannaregio, 3659

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REDISTRIBUTION: LAND, PEOPLE & ENVIRONMENT Arsenale, Castello, 2126

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Nominato direttore della 17. Mostra di Architettura di Venezia a dicembre 2018 dall’allora presidente della Biennale Paolo Baratta, che lo definì “particolarmente sensibile ai temi e alle urgenze che la società, nelle diverse e contrastanti realtà, pone per il nostro abitare”, Hashim Sarkis è architetto, docente, ricercatore. Classe 1964, originario di Beirut, si è laureato in Architettura e in Belle Arti; alla Harvard University ha conseguito un master e un dottorato in Architettura. Titolare dal 1998 del pluripremiato studio Hashim Sarkis Studios (HSS), con sedi a Boston e Beirut, dal 2015 presiede la School of Architecture and Planning del Massachussetts Institute of Technology.

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CHI È IL DIRETTORE HASHIM SARKIS

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CYBERPUNK E COMUNITARIO

ALESSANDRO MELIS RACCONTA IL PADIGLIONE ITALIA VALENTINA SILVESTRINI [ caporedattrice architettura ] Concepito come un’opera collettiva, Comunità Resilienti affronta il cambiamento climatico ponendosi all’ascolto del “rumore di fondo” e delle esperienze marginali, oltre i vincoli dell’architettura canonica. E ricorda che “mantenere lo status quo non è un’opzione”. Comunità Resilienti è una piattaforma-mostra-laboratorio: riunisce una pluralità di voci e 14 macro-progetti. Nello sviluppo del concept, ti affianca il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani. Perché? È fra i massimi esperti di Stephen Jay Gould, il biologo statunitense che ha contribuito alla rivoluzione tassonomica della biologia dell’evoluzione, avvenuta fra gli Anni Sessanta e gli Anni Zero. Pievani si occupa proprio di quella disciplina, lavora nella transdisciplinarietà – fra i temi cruciali del progetto – ed è un ottimo divulgatore. È interessato a quel lavoro di comunicazione che portiamo avanti con il Padiglione, al cui interno presentiamo le novità della ricerca scientifica, puntando a renderli accessibili anche attraverso fumetti, gaming, arte. Anche il graphic design sembra avere un ruolo centrale, a partire dal logo. Partiamo da una premessa: nella cultura anglosassone l’impatto di una ricerca è considerato un valore ed è importante oltrepassare il livello di audience strettamente scientifico. Le arti hanno un potenziale comunica­tivo fortissimo: sono uno strumento di sintesi e comprensione, non implicano la semplificazione. Nei mass media generalisti, la semplicità diventa semplificazione; le arti, invece, mantengono il livello di complessità. Il nostro logo possiede più scale di lettura ed è un esempio di questa visione [la sua evoluzione è nell’immagine, N.d.R.]. Rimanda all’attivismo e ai diritti civili – in particolare al gesto di Smith e Carlos alle Olimpiadi del 1968. Riunisce, nella parte alta, un “modello di città” (sintetizzato nella planimetria dell’allestimento del padiglione curato da Milovan Farronato, che abbiamo recuperato e riutilizzato) e, sotto, un cefalopode. Indica che per noi, dunque, per uscire dalla crisi occorre siglare un nuovo patto

tra mondo costruito e Natura, che non rappresentiamo con un albero o un fiore. In Comunità Resilienti non c’è nessun richiamo all’Arcadia: anzi, nei colori e nelle installazioni come Spandrel, un prototipo a metà tra un’architettura e un organismo vivente, rimandiamo a un’estetica dichiaratamente cyberpunk.

l’accento sulle comunità resilienti, ovvero le unità di relazioni con un proprio riflesso fisico. Gli studi più recenti che stiamo conducendo con il Cluster of Sustainable Cities riguardano Algeri e Città del Messico: ci confermano che a essere davvero rilevante è come le comunità sono organizzate nelle strutture urbane, non queste ultime di per sé.

A proposito di ambiente costruito, una sezione si focalizza sulla città media e sulla rigenerazione; un’altra, Laborato­ rio Peccioli, individua nel centro pisano un modello di sviluppo virtuoso. Per Comu­ nità Resilienti, la terza via tra megalopoli e borghi è da rintracciare nella provincia italiana? Come ricorda anche Jay Gould, la Natura funziona per complessità, non per idee binarie. La polarizzazione – città vs borghi – è sbagliata in partenza: esclude una complessità che è tipica della realtà. Proprio per questo, anziché sulle città resilienti, poniamo

Hai concepito il padiglione stesso come una comunità resiliente, formata da 14 “sotto comunità”, intese come laboratori operativi. A livello di metodo, come hai operato? Il collettivo che ha lavorato al progetto non vuole richiamare l’hippismo Anni Sessanta. Il Padiglione Italia funziona come una rivista scientifica anglosassone: sezioni e persone sono parte di un sistema di condivisione etica e di controllo incrociato fra pari, proprio come avviene nella peer review. comunitaresilienti.com


COMUNITÀ RESILIENTI: 14 SEZIONI TEMATICHE

A cura di: Emilia Giorgi, Guido Incerti, Alessandro Gaiani Resilienza e rischio sismico in Italia si intrecciano in questa “mostra nella mostra”, che punta sulla potenza del linguaggio fotografico.

DECOLONIZING THE BUILT ENVINONMENT

DESIGN(ING): DAL CUCCHIAIO ALLA CITTÀ

A cura di: RebelArchitette e Alessandro Melis Ascolto delle diversità, inclusività, consapevolezza del contributo delle donne nella professione: la sezione illustra le ineguaglianze nell’architettura, a partire dalla questione di genere, e riunisce oltre 100 studi di eccellenza a trazione femminile. Fra volti noti ed emergenti.

A cura di: Paolo di Nardo e Francesca Tosi Media cities, design, maestri di resilienza e rigenerazione sono al centro di questa sezione. Si rileggono le lezioni di Michelucci, Giorgini, Pettena e Pico Ciamarra e si esamina, in chiave contemporanea, quel “concentrato di conoscenza” tipico della città media italiana.

UNIVERSITÀ. AGENZIE DI RESILIENZA

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STORIA DI UN MINUTO

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A cura di: Maurizio Carta e Paolo Di Nardo La resilienza? È parte della formazione avanzata, come rivelano gli esempi forniti da 26 università e le possibili alleanze con le rispettive comunità territoriali.

ARCHITETTURA COME CAREGIVER

GIARDINO DELLE VERGINI A cura di: Dario Pedrabissi Con opere di Gianni Pettena e del collettivo Orizzontale, fra gli altri, la sezione raccoglie eterogenee strategie di intervento nello spazio pubblico. Con un’attenzione per l’uso consapevole dei materiali.

ARTI CREATIVE ED INDUSTRIALI A cura di: Benedetta Medas, Monica Battistoni, Dana Hamdan e Jose Antonio Lara- Hernandez Riccardo Burchielli e Giacomo Costa dialogano con l’intero Padiglione, per rafforzare la volontà del team curatoriale di far interagire l’architettura con il fumetto, il cinema e altre forme espressive e creative.

SUD GLOBALE A cura di: Paola Ruotolo Viene presentato il contributo degli studi italiani attivi al fianco delle comunità esposte al cambiamento climatico (e ai suoi riflessi sociali). Fra gli esempi, la Wanka Tower di Arturo Vittori, commissionata dal Padiglione Italia.

ARCHITECTURAL EXAPTATION A cura di: Alessandro Melis, Benedetta Medas, Paola Corrias e Alice Maccan Leitmotiv dell’intera mostra, l’Architectural Exaptation è introdotto a inizio percorso per sottolineare come diversità, variabilità, ridondanza e disomogeneità siano gli attributi della resilienza, con riferimento al principio della Niche Construction.

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A cura di: Antonino Di Raimo e Maria Perbellini Con i lavori di professionisti come Valentina Soana, Crilo e Oren Lieberman si esplora il ruolo dell’architettura al servizio del benessere e della salute.

ITALIAN BEST PRACTICE A cura di: Gian Luigi Melis, Margherita Baldocchi e Benedetta Medas La resilienza come “rapporto con lo spazio esistente, valorizzazione dei legami con il territorio e restituzione degli spazi alle comunità” è il fil rouge delle opere degli architetti italiani qui esposte.

ECOLOGIA TACITA

RESILIENZA, PAESAGGIO E ARTE

LABORATORIO PECCIOLI

A cura di: Annacaterina Piras ed Emanuele Montibeller Da Arte Sella all’Asinara, un itinerario fra comunità virtuose in cui l’arte diviene sinonimo di resilienza dei luoghi ed esaltazione del contesto naturale.

A cura di: Ilaria Fruzze, Laura Luperi e Nico Panizzi Dalla provincia pisana, il caso-studio Peccioli approda alla Biennale offrendo una concreta testimonianza di come i centri storici minori possano diventare modelli di sviluppo e contesti chiave per la sperimentazione contemporanea.

A cura di: Ingrid Paoletti I prototipi presentati in forma di installazione offrono una “lettura resiliente” del rapporto tra tecnologia e biodiversità. Fra questi, Genoma, una “macchina architettonica” con all’interno organismi viventi.

DOLOMITI CARE A cura di: Gianluca D’Inca Levis Dal disastro del Vajont alla tempesta Vaia, un’analisi specifica del cambiamento climatico e un quesito aperto a una pluralità di risposte: come può l’architettura mitigare le conseguenze di questi eventi?

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IL MONDO IN 10 PADIGLIONI VALENTINA SILVESTRINI [ caporedattrice architettura ] Fra le 63 partecipazioni nazionali della 17. Mostra Internazionale di Architettura, che includono i debutti di Grenada, Iraq, Uzbekistan e Azerbaijan, ne abbiamo selezionato dieci da tenere d’occhio e includere nei vostri itinerari fra Giardini, Arsenale ed edifici di Venezia.

USA – AMERICAN FRAMING

Il sistema di costruzione più comune negli USA, il wood framing, approda a Venezia con un’installazione monumentale che dialoga con l’architettura neoclassica del padiglione. Un modo per ripercorrere la storia delle strutture in legno, tra foto e modelli, e indagarne le potenzialità in ottica contemporanea. Curatori: Paul Andersen e Paul Preissner Giardini

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ISRAELE – LAND OF MILK AND HONEY: THE CONSTRUCTION OF PLENITUDE

Ristabilire un nuovo patto tra uomo, animali e ambiente è il messaggio della mostra proposta da Israele. Vengono analizzate le conseguenze sull’ambiente di fenomeni come l’urbanizzazione, l’agricoltura meccanizzata e la costruzione delle infrastrutture, con esempi fra agronomia, ingegneria e architettura e un focus sull’industria lattiero-casearia.

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Curatori: Dan Hasson, Iddo Ginat, Rachel Gottesman, Yonatan Cohen, Tamar Novick Giardini

Curatore: Hae-Won Shin Giardini

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LIBANO – A ROOF FOR SILENCE

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Esito della collaborazione fra l’architetta Hala Wardé e la poetessa-artista Etel Adnan, il progetto esamina il tema della convivenza ponendo l’accento sul concetto di vuoto, inteso come condizione necessaria all’architettura, così come alla musica e alle arti visive. Il risultato promette di essere “uno spazio di emozione e silenzio”, fra tronchi di ulivi millenari del Libano. Curatore: Hala Wardé Magazzino del Sale 5

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EMIRATI ARABI UNITI – WETLAND Dopo la suggestiva esperienza di Vértigo Horizontal, l’Argentina torna alla Biennale Architettura con un focus sulla tipica dimora argentina, così definita: “Non puoi entrare nella casa infinita. Sei sempre dentro la casa infinita. È così grande che non puoi andartene. È aperta e ampia, semplice e discreta. Appartiene a tutti”.

Si stima che la produzione di cemento tradizionale generi l’8% delle emissioni mondiali di CO2; l’acqua residua dei processi di desalinizzazione industriale, riversata negli oceani, impatta sugli ecosistemi marini. Come intervenire su entrambi i fronti? Alla decima partecipazione, gli UAE presentano una ricerca su un’alternativa di cemento ecocompatibile ispirata alle saline (sabkhas) locali.

Curatore: Gerardo Caballero Arsenale

Curatori: Wael Al Awar e Kenichi Teramoto Arsenale

ARGENTINA – LA CASA INFINITA

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UZBEKISTAN MAHALLA: URBAN RURAL LIVING

All’esordio, il padiglione uzbeko ricostruisce nella Quarta Tesa una tipica mahalla. Nel Paese si contano oltre 9mila esemplari di questi “potenti centri culturali ed efficaci enti di autogoverno”, oggi progressivamente sostituiti da soluzioni abitative che rispondono alle mutate esigenze demografiche e sociali. Curatori: Emanuel Christ e Christoph Gantenbein Arsenale

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COREA DEL SUD – FUTURE SCHOOL

Per la prima volta diretto da una curatrice, il padiglione coreano punta su un’ampia partecipazione di architetti e designer per esaminare i sistemi scolastici alternativi e urgenze diffuse: dal cambiamento climatico allo spopolamento dei centri minori. Ad affiancarlo, una piattaforma online arricchita con i contributi di esperti internazionali.

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GIAPPONE – CO-OWNERSHIP OF ACTION: TRAJECTORIES OF ELEMENTS

Contando sul contributo di architetti noti oltre i confini nipponici, come Jo Nagasaka di Schemata Architects, il padiglione analizza limiti e potenzialità della casa giapponese tradizionale in legno. Una viene ricostruita in Laguna, ma i singoli elementi identificativi non necessariamente conservano forme e funzioni originali. Curatore: Kozo Kadowaki Giardini

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CINA – YUAN-ER, A COURTYARD-OLOGY: FROM THE MEGA TO THE MICRO

Considerata la “molecola di base” di tutti i tessuti urbani e sociali tradizionali della Cina – dalla mega-scala della Città Proibita alla micro-scala degli hutong –, il padiglione indaga l’essenza del “Yuan-er”. Cercando, nelle memorie architettoniche storiche, possibili orizzonti per tornare a vivere insieme. Curatore: Zhang Li Arsenale

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SINGAPORE TO GATHER: THE ARCHITECTURE OF RELATIONSHIPS

Raccontati in quattro sezioni, i sedici progetti presentati da Singapore offrono uno spaccato delle eterogenee modalità, anche spontanee, con cui gli abitanti della città-stato asiatica, nota per la sua densità abitativa, condividono e popolano lo spazio pubblico. Fra parchi, giardini pensili e moderne infrastrutture.

Curatori: Puay-peng Ho, Thomas K. Kong, Simone Shu-Yeng Chung, Tomohisa Miyauchi, Sarah Mineko Ichioka 10 Arsenale


L’EUROPA IN 10 PADIGLIONI

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Mentre l’Italia punta sul progetto corale Comunità Resilienti, mettendo al centro le esperienze marginali per superare la crisi ambientale e lo status quo, come rispondono al quesito How will we live together? alcuni fra i principali Paesi europei?

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SPAGNA – UNCERTAINTY

I tempi sono incerti? Eppure dall’incertezza c’è sempre da apprendere. A cinque anni dal Leone d’Oro vinto per Unfinished di Carnicero + Quintans, la Spagna presenta un progetto che interpreta questa peculiare condizione della contemporaneità come un “cabinet of curiosities”, composto da oggetti esotici che sfuggono alle convenzioni dell’architettura.

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Su incarico del Flanders Architecture Institute, Dirk Somers (Bovenbouw Architectuur) abita il padiglione del Belgio con le riproduzioni in scala 1:15 di 50 progetti chiave degli ultimi vent’anni. Un paesaggio urbano immaginario, in cui convergono stili, funzioni e tipologie diverse, dimostrazione del rapporto unico che la città informale fiamminga ha sviluppato con la propria architettura.

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SVIZZERA – ORAE EXPERIENCES ON THE BORDER

Dopo il successo del 2018, quando Svizzera 240: House Tour ottenne il Leone d’Oro, la Fondazione Pro Helvetia si affida a un gruppo multidisciplinare per esplorare il tema dei confini nella loro dimensione politica, sociale e spaziale. Il padiglione espone gli esiti del progetto Oræ – Experiences on the Border con cui gli architetti Mounir Ayoub e Vanessa Lacaille, il cineasta Fabrice Aragno e lo scultore Pierre Szczepski hanno dato voce agli abitanti della frontiera, coinvolti in processi partecipativi per dare vita a conoscenze condivise e mettere in discussione i luoghi comuni sui confini, i limiti e la loro permeabilità. Curatori: Fabrice Aragno, Mounir Ayoub, Vanessa Lacaille, Pierre Szczepski Giardini

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LITUANIA – PLANET OF PEOPLE

REGNO UNITO THE GARDEN OF PRIVATISED DELIGHTS

Alle potenzialità di uno spazio pubblico inclusivo, in contrasto con la rapida ascesa della sua privatizzazione, guarda The Garden of Privatised Delights. Per farlo, le fondatrici di Unscene Architecture trasformano il padiglione del Regno Unito, con la collaborazione di altri cinque studi britannici, in una serie di spazi immersivi, ciascuno dedicato a una specifica tipologia di spazio pubblico privatizzato. Curatrici: Manijeh Verghese e Madeleine Kessler Giardini

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GERMANIA – 2030

Accompagnato dall’immancabile countdown online, l’anno 2030 è finalmente arrivato. L’umanità ha dominato le grandi crisi e si è messa alle spalle i disastri ecologici, sociali ed economici globali degli Anni Venti del XXI secolo. Com’è cambiato lo spazio? Tra escapismo e visionarietà, il padiglione tedesco ci conduce in un altrove temporale al quale siamo approdati anche grazie agli architetti. Curatore: 2038 Giardini

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Curatore: Jan Boelen Chiesa di Santa Maria dei Derelitti

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ESTONIA SQUARE! POSITIVELY SHRINKING

Ricordare che “lo spazio urbano di qualità ha un ruolo chiave” è il dichiarato obiettivo della partecipazione estone, che indaga il fenomeno del “city shrinkage” o restringimento delle città. Particolarmente impattante nell’Europa orientale post-socialista, genera vuoti urbani e aree dismesse sui quali puntare per rivitalizzare le città. Proprio come avviene con il piano estone Great Publich Spaces. Curatori: Jiri Tintera, Kalle Vellevoog, Garri Raagmaa, Martin Pedanik, Paulina Pähn Arsenale

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FINLANDIA – NEW STANDARDS

Nel padiglione-gioiello progettato da Alvar Aalto, Laura Berger, Philip Tidwell e Kristo Vesikansa ripercorrono storia ed eredità di Puutalo Oy, pionieristico consorzio del legno che fra il 1940 e il 1955 realizzò abitazioni prefabbricate per oltre 420mila sfollati. Un modello di produzione che ha contribuito a modernizzare l’industria finlandese delle costruzioni, espandendosi poi in tutti i continenti.

RUSSIA – OPEN!

Dopo quasi un anno di attività online, la piattaforma digitale Open! prosegue la riflessione sul ruolo delle istituzioni a cavallo fra spazio reale e digitale, trasformando l’architettura stessa del padiglione russo. A firmare l’intervento, il giovane studio KASA Architects, selezionato dal curatore Ippolito Pestellini Laparelli fra oltre 100 candidature. Curatore: Ippolito Pestellini Laparelli Giardini

Alla seconda partecipazione nazionale, la Lituania mette in scena la ricerca dell’artista Julijonas Urbonas e della sua Lithuanian Space Agency. Fulcro di Planet of People, una macchina per una fuga dalla Terra che “catapulterà” i visitatori nello spazio, fondendoli in un pianeta alternativo. Una nuova possibile era spaziale che “restituisce potere alle persone, sottraendolo alla colonizzazione nazionale e commerciale dello spazio”, ha dichiarato il curatore Jan Boelen.

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BELGIO – COMPOSITE PRESENCE

Curatore: Bovenbouw Architectuur Giardini

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Cinque casi studio da tutto il mondo per raccontare (in primis agli architetti?) il ruolo centrale delle comunità, spesso in grado di attivarsi e di agire con perspicacia negli spazi anche senza gli schemi formali o teorici sviluppati da professionisti. Il risultato? Proprio le comunità sembrano essere le risorse più rilevanti per trasformare l’ambiente. Curatore: Christophe Hutin Giardini

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curatori: Domingo Jacobo González Galván, Sofía Piñero Rivero, Andrzej Gwizdala, Fernando Herrera Pérez. 1 Giardini

FRANCIA COMMUNITIES AT WORK

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VALENTINA SILVESTRINI [ caporedattrice architettura ] MARTA ATZENI [ dottoranda in architettura ]

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Curatore: Laura Berger, Philip Tidwell e Kristo Vesikansa Giardini

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Grandi mostre che riaprono

CONCIERGE

VALENTINA SILVESTRINI [ caporedattrice architettura ]

FERMENTO ALBERGHIERO NELLA CAPITALE

CLAUDIA GIRAUD

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3 The Hoxton, Rome © The Hoxton

A chi è di base a Roma non saranno sfuggiti i tanti cantieri attivi in città sul fronte alberghiero. Dal centro storico ai quartieri residenziali, prestigiose società stanno scommettendo sulla Capitale, contribuendo ad accrescerne l’offerta ricettiva anche nel target lusso. Obiettivo 2023 per Rosewood Rome, che disporrà di 157 sistemazioni – 44 le suite –, un bistrot italiano contemporaneo, una caffetteria e una terrazza-bar nel complesso architettonico di inizio Novecento che include l’ex sede della Banca Nazionale del Lavoro. Originariamente concepita da Marcello Piacentini e affacciata su Via Veneto, la struttura gode di una posizione privilegiata; proporrà servizi esclusivi, come l’esperienza termale nel caveau dell’istituto bancario, i trattamenti benessere nella panoramica spa e spazi per eventi privati. All’apertura entro la fine del 2023 mira il gruppo The Student Hotel, pronto al debutto capitolino con TSH San Lorenzo. Dopo Bologna e Firenze, in cui TSH sta triplicando la presenza, il format del gruppo fondato da Charlie MacGregor approda a Roma con un investimento di circa 90 milioni di euro. La nascente struttura, ibrida per vocazione, accoglierà 444 stanze (non solo) per studenti, spazi per co-working ed eventi, aree verdi e per lo sport accessibili a tutti. Punta già al 2022 (e sull’attrattività del cuore della Capitale) il Bvlgari Hotel Roma

di Piazza Augusto Imperatore, per il quale lo studio Citterio-Viel sta curando la ristrutturazione dello stabile progettato negli Anni Trenta da Vittorio Ballio Morpurgo, con vista sull’Ara Pacis e sul restaurato Mausoleo di Augusto. Stessa data per il Six Senses Rome, che segna l'esordio dell’omonima catena di hotel di lusso in Italia, insediandosi nello storico Palazzo Salviati Cesi Mellini, sulla centralissima Piazza San Marcello; a co­ordinare l’intervento è l’architetta Patricia Urquiola. Da maggio 2021 entra in attività The Hoxton, Rome: primo hotel italiano dell’azienda inglese Ennismore – a capo del brand The Hoxton –, è dotato di 192 camere dal sapore vintage ricavate in un edificio risalente agli Anni Settanta nel quartiere Parioli, completamente rinnovato. Progettato come luogo aperto alla città, l’hotel si caratterizza per lo spazio The Apartment, declinato in cinque sale per riunioni ed eventi privati, per il ristorante votato alla formula “farm to table”, la terrazza coperta e la promettente caffetteria-bar Cugino: aperta da mattina a sera, con proposte per ogni fascia oraria, è sviluppata dalla micro-bakery romana Marigold. Finito qui? No: sono in cantiere tantissimi altri progetti tra cui SohoHouse (me ve l’abbiamo già anticipato sul sito tempo fa), Edition, W, Leggiero, Corinthia...

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VAN GOGH CENTRO SAN GAETANO PADOVA Van Gogh, i colori della vita riunisce un centinaio di opere dell’olandese, con prestiti di assoluta eccezione da decine di musei e in particolarissimo modo dal Van Gogh Museum di Amsterdam e dal Kröller-Müller Museum di Otterlo. È la mostra che rappresenta il traguardo dei 25 anni di attività di Linea d’ombra e del suo fondatore, Marco Goldin. altinatesangaetano.it DANTE MUSEI SAN DOMENICO – FORLÌ Frutto di un sodalizio di lunga data tra la Fondazione romagnola e le Gallerie degli Uffizi, la mostra presenta alcuni capolavori di Andrea del Castagno, Michelangelo, Pontormo, Zuccari a sfondo dantesco. mostradante.it CARAVAGGIO MUSEI CAPITOLINI – ROMA I Musei Capitolini riaprono le porte con l’esposizione del famoso Ragazzo morso da un ramarro del Caravaggio e oltre quaranta dipinti degli artisti che nel secolo XVII hanno subìto in varia misura l’influsso dalla sua rivoluzione figurativa. museicapitolini.org CAPA IN COLOR MUSEI REALI – TORINO Per la prima volta in Italia, i Musei Reali presentano una raccolta di oltre 150 immagini a colori di Robert Capa nei reportage realizzati tra il 1941 e il 1954, anno della morte. museireali.beniculturali.it LISETTE MODEL E HORST P. HORST – CAMERA – TORINO Il Centro Italiano per la Fotografia di Torino riapre con due nuove mostre. Quella dedicata a Lisette Model, mentore di nomi celebri del Novecento, come Diane Arbus e Larry Fink, è la prima antologica realizzata in Italia. Il percorso espositivo dedicato a Horst P. Horst, curato da Giangavino Pazzola, si sviluppa in maniera cronologica fino a presentare la proficua e duratura collaborazione con Vogue, rivista per la quale il fotografo ha firmato decine di copertine. camera.to


OSSERVATORIO NON PROFIT SPAZIO IN SITU Ð ROMA spazioinsitu.it

Dalla fondazione nel 2016, Spazio In Situ ha cercato, attraverso la sua programmazione, di diventare uno specchio della quotidianità contemporanea. Man mano ha creato una propria identità, trasmettendo – grazie alle opere esposte e alle linee guida delle sue mostre – una filosofia ideologica concreta, focalizzata sull’equilibrio tra il medium e il messaggio, sul giusto mezzo tra forma e contenuto. La sua struttura è composta da 11 studi più uno spazio espositivo. Gli artisti che vi lavorano sono in perpetuo dialogo tra loro, ma ciò che emerge dalle esposizioni non è soltanto la sintonia delle diverse personalità, quanto le affinità concettuali che hanno le opere esposte. Nel corso degli anni sono stati portati avanti con sfrontatezza e decisione dei concetti, soltanto all’apparenza banali,che proprio attraverso la loro ovvietà hanno spiazzato e disorientato la comfort zone dei canoni estetici della piazza romana.Una visione incentrata sulla contemporaneità non come significante, ma come soggetto da ritrarre. Sfruttando il suo white cube, Spazio In Situ decontestualizza frammenti della realtà odierna con lo scopo di interrogare il pubblico sulla propria quotidianità, cercando – attraverso una programmazione variegata – di rappresentare tutto quello che oggi compone la nostra società, senza giudizi o discriminazioni. A In Situ ogni soggetto merita attenzione, ogni stimolo proveniente dalla nostra contemporaneità va approfondito, al fine di svelarne i potenziali estetici, tecnici e concettuali. L’obiettivo è quello di porsi delle domande e di porle agli spettatori: questo è il profondo intento di ogni esposizione presentata da In Situ. Forse è nella sua interpretazione del ruolo dell’arte che la realtà romana s’identifica e si distacca dalle altre, non cercando mai una risposta, ma aumentando le interrogazioni e le incertezze. La sua posizione periferica, da un lato per l’aspetto geografico e dall’altro per l’aspetto ideologico nei confronti del sistema dell’arte, è stata indubbiamente determinante. Ha portato ad assumere

un’estetica più vicina alle realtà universali, e a interfacciarsi con persone che non si intendono di arte, ma che si rivedono nei materiali e negli oggetti esposti nello spazio di Tor Bella Monaca. I soggetti ripresi dalla banalità contemporanea, insieme a un pubblico non per forza abituato all’arte e alla sua storia, instaurano un dialogo immediato, proprio perché veicolato da un linguaggio a primo acchito semplice. Un radicalismo formale che trasmette una quantità infinita di domande che lo spettatore man mano è portato a sviscerare, secondo le sue conoscenze e il suo vissuto. Che siano concrete o metaforiche, Spazio In Situ lavora sulle interazioni. Da un lato sono oggetto di approfondimento da parte degli artisti, dall’altro sono essenziali nel rapporto tra lo spettatore e l’opera, e infine sono fondamentali per creare un’ampia rete con tutto il territorio nazionale ed europeo, ovviamente tramite una programmazione schedulata a lungo termine. Dando priorità a iniziative indipendenti, editoriali, espositive o curatoriali, Spazio In Situ cerca di tessere legami tra artisti di ogni provenienza e nazionalità, con l’intento di creare un dialogo duraturo tra la scena emergente romana e il resto dell’Europa. Infatti, la programmazione di questa stagione prevede Opératrice de Réseaux temporaires, una mostra presentata a Roma, e Made in Italy, con la presentazione di artisti romani a Losanna. Queste due mostre sono il risultato di uno scambio culturale e artistico tra i membri di Spazio In Situ e quelli della realtà elvetica TILT. Verrà inoltre presentato, durante il mese di maggio, ISIT Magazine, una rivista indipendente che ha deciso di rappresentare la propria identità sotto forma di una mostra in mutazione, invitando una serie di artisti, selezionati nell’ultimo numero dell’editoriale, a intervenire sull’esposizione in divenire, il tutto ripartito in quattro appuntamenti. L’ultimo capitolo della stagione sarà Voyage / Voyage, una mostra che fa interagire artisti romani e stranieri sulla tematica romantica del Grand Tour.

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<=/SPAC3. Installation view at Spazio In Situ, Roma 2020. Photo Marco De Rosa

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a cura di DARIO MOALLI [ critico d’arte ]

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MARZO L GIUGNO 2021

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MARTA ATZENI [ dottoranda in architettura ]

MêNIMO COMòN ARQUITECTURA minimocomun.arq

Ripartono i festival in Italia: 4 appuntamenti CLAUDIA GIRAUD

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Oficinas Nordeste Curuguaty, Curuguaty, Paraguay. Photo © Daniel Ojeda

Dal Regno Unito alla Cina, passando per la Colombia, sono sempre più i giovani progettisti che stanno ridefinendo l’architettura come pratica collettiva. Non fa eccezione il Paraguay, dove Mínimo Común Arquitectura fa del dialogo il suo strumento di azione: “Il nostro lavoro si basa su un continuo scambio: parliamo con i clienti e con i nostri insegnanti – mastri muratori, idraulici, elettricisti; parliamo con il sito – analizzando il sole, le ombre, i materiali presenti – e con l’ambiente circostante – fornitori, venditori, trasporti. E così in un numero infinito di andirivieni ci avviciniamo a ogni progetto”. Un paziente esercizio di ascolto che Solanito Benítez, Sergei Jermolieff e Verónica Villate traducono poi in soluzioni innovative, economiche e replicabili, nel rispetto dell’ambiente e dei suoi abitanti. Come nella casa María Emilia, in cui pannelli prefabbricati in situ e lasciati a vista tagliano tempi e costi di costruzione. O nelle Oficinas Nordeste, dove originali tessiture di mattoni definiscono l’impianto dell’edificio e creano inaspettati giochi di ombre e luci. Ma è negli uffici recentemente ultimati in un’area agricola a 350 chilometri da Asunción che la pratica di Mínimo Común trova piena espressione. In assenza di vie di accesso per mezzi e materiali pesanti, l’intera struttura è realizzata con mattoni in terra, fabbricati sul posto con una pressa. A schermare dal vento le aree di lavoro, una celosia

di giunti in malta cementizia; a coprirle, una leggera tensostruttura in cavi d’acciaio e lamiera, la cui curvatura permette di raccogliere l’acqua piovana per raffreddare le superfici cotte dal sole. Una perfetta sintesi fra i vincoli del sito e le sue risorse che, dopo soli quattro anni di attività, porta il trio di trentenni a essere incluso fra le Best Young Practices di Archdaily e shortlisted al Moira Gemmill Prize 2021. Oggi Mínimo Común prosegue con entusiasmo le sue sperimentazioni, come racconta ad Artribune: “Stiamo per consegnare la nostra prima casa in terra battuta, tecnica finora non molto diffusa in Paraguay ma che possiede vantaggi molto interessanti. Al momento stiamo traendo conclusioni sul sistema costruttivo: la nostra pratica si basa su un costante apprendimento, per questo ci piace pensare che stiamo sempre lavorando al prossimo progetto, pur non sapendo cosa sarà!”. Un costante processo di ricerca, per raggiungere un elevato impatto sociale: “Da anni il mondo affronta diverse crisi, da quella climatica a quella economica, a quella sanitaria. Il nostro settore è fra i più predatori e inquinanti, ma offre anche grandi opportunità: crediamo che ci sia una crisi dell’immaginazione, che non permette di vedere oltre il vantaggio personale. Perciò”, conclude lo studio, “continueremo a lavorare per fornire una visione alternativa, costruendo un’architettura che sia per tutti”.

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FILM DELLA VILLA – ROMA È il nuovo festival di Accademia di Francia – Villa Medici dedicato agli artisti e ai cineasti che esplorano le pratiche contemporanee dell’immagine in movimento. La prima edizione si terrà dal 15 al 19 settembre negli spazi dell’istituzione con due sale interne, un cinema all’aperto, delle installazioni e dei luoghi d’incontro, per fare di questo sito straordinario della Capitale una vetrina dedicata al cinema. villamedici.it RIAPERTURE PHOTOFESTIVAL FERRARA Giunto alla quinta edizione, ha quest’anno per tema Ideale. Tante le novità, a partire dal periodo di apertura – anziché a primavera, sarà occasionalmente dal 10 settembre al 3 ottobre –, come anche l’inedita Edizione OFF e il consueto concorso fotografico, pur mantenendo la sua mission, ovvero quella di scoprire una Ferrara diversa attraverso la promozione e l’indagine del linguaggio fotografico contemporaneo. riaperture.com CHARTA: A PHOTOBOOK FESTIVAL – ROMA Si svolgerà dal 17 al 25 luglio il nuovo evento dedicato alla fotografia contemporanea, al libro fotografico e all’editoria indipendente. Scenario di questa prima edizione sarà il quartiere di San Lorenzo di Roma, punto di riferimento della creatività capitolina e Art District. chartafestival.com SANTARCANGELO FESTIVAL La prossima edizione, dal titolo Futuro Fantastico (II movimento). Festival mutaforme di meduse, cyborg e specie compagne, sarà l’ultimo atto del suo 50esimo anniversario, con cui si conclude la direzione artistica di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò di Motus. Dall’8 al 18 luglio, il festival tornerà ad accogliere le proposte della scena artistica internazionale, oltre ai progetti che non è stato possibile realizzare nel 2020: dieci giorni di intensa programmazione per un’opera corale con una forte apertura a processi partecipativi che sconfinano nell’invasione degli spazi pubblici. santarcangelofestival.com


DURALEX

NFT. NUOVE FRONTIERE DELLA PROPRIETË INTELLETTUALE

L NEWS L

Nella cronaca di queste seterano tipicamente riproducibitimane si legge di vendite all’ali senza limiti e senza che tale sta di opere artistiche e altri moltiplicazione in copie incicontenuti in forma di NFT (Non desse sul loro valore artistico o Fungible Tocken), con prezzi di economico. Un quadro, ad aggiudicazione che destano esempio, è tutelato come opera scalpore. dell’ingegno in esemplare uniL’opera digitale Everydays: co; un’opera musicale, così come un’opera digitale, non The First 5000 Days dell’artista Beeple è stata venduta all’asta sono opere in esemplare unico come NFT da Christie’s per 69,3 e possono essere riprodotte milioni di dollari. Il primo tweet infinite volte, nei limiti consendi Jack Dorsey (“just setting up titi dalla legge, senza perdere di my twttr” del 21 marzo 2006) è valore. Grazie all’uso degli NFT, © Federica Emili per Artribune Magazine stato venduto all’asta come NFT anche le opere digitali e quelle per 2,9 milioni di dollari. In Italia l’artista Morgan ha venduto all’anon in esemplare unico possono diventare opere uniche, o in edista l’opera musicale inedita Premessa della Premessa in forma di zione limitata e certificata, e acquisire un nuovo valore, soprattutto economico. NFT per circa 21mila dollari; nel prezzo è compreso anche un incontro con l’artista e le stampe originali autografate del testo del brano. Uno dei possibili risvolti legali è che chi acquista l’opera in forIn questi casi le opere sono state vendute come NFT, cioè come ma NFT non acquista anche tutti i diritti di utilizzazione econobene intangibile con certificato digitale di autenticità e unicità. Il mica, con la conseguenza, ad esempio, che l’acquirente non potrà valore del bene venduto sembra dettato più che dal valore artistico riprodurre o utilizzare in altro modo l’opera figurativa digitale o musicale. Fermo restando che l’eventuale stampa per usi privati e creativo – la creatività del tweet e la sua tutelabilità come opera letteraria sarebbe tutta da dimostrare – dall’uso in sé degli NFT. sarebbe comunque una copia e non più qualcosa di unico. L’uso degli NFT permette di sostituire beni, opere, diritti e altro Sul piano della possibile violazione dei diritti (morali e patrimoin un corrispondente asset digitale unico, infungibile, non modifiniali) degli autori, all’ormai classico problema della digitalizzazione cabile, idoneo alla circolazione. illecita dell’opera si affianca quello della tokenizzazione non autoSul piano legale, l’uso degli NFT pone numerosi interrogativi, rizzata dall’autore, fatta a sua insaputa. Si veda il caso dell’artista diversi a seconda del settore e della normativa che si prende in conrusso Weird Undead, che ha visto all’asta su OpenSea una sua opera siderazione. Dal punto di vista della tutela dell’acquirente consumain NFT, ovviamente senza il suo consenso. tore, ad esempio, la complessità delle tecnologie utilizzate pone Sembra poi che gli NFT possano essere utilizzati per una gestioqualche dubbio sull’effettiva informazione circa il servizio o prodotne innovativa dei diritti patrimoniali d’autore. E infatti il 24 marzo la SIAE ha annunciato che utilizzerà la tecnologia NFT e il sistema to acquistato, con conseguenze importanti sulla validità e sulla tenuta dei relativi contratti di compravendita. di blockchain per implementare la gestione dei diritti del proprio Dal punto di vista della normativa sul diritto d’autore, sembra repertorio. emergere una nuova categoria di opere, ovvero le opere dell’ingeA questo punto non resta che seguire gli ulteriori sviluppi e appligno digitali in esemplare unico o in edizione limitata, aventi un cazioni di questa nuova tecnologia e vedere se si rivelerà lo strumendeterminato valore proprio in virtù dell’unicità e autenticità. Fino to per una bolla speculativa o se ci saranno delle evoluzioni utili ed efficienti. a oggi, invece, alle condizioni stabilite dalla legge, le opere digitali

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RAFFAELLA PELLEGRINO [ avvocato esperto in proprietà intellettuale ]

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Europa


ADORO LA MIA COLLEZIONE E SO QUANTO VALE Grazie agli strumenti di supporto decisionale di Artprice (cifre chiave e tendenze del mercato degli artisti, statistiche e grafici), posso comprendere il mercato e analizzare le performance degli artisti, conoscere l’indice dei prezzi, il fatturato, la distribuzione geografica, le classifiche e il tasso di invenduti. Ho tutte le carte in mano per prendere una decisione di acquisto obiettiva.

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SAVERIO VERINI [ curatore ]

Stefania Carlotti e opere di Stefania Carlotti si collocano in uno strano punto d’incontro tra realtà e finzione. Hanno la concretezza di un modellino architettonico e tradiscono l’impostura della cartapesta; manifestano il piacere per il dettaglio e la sfocatura del ricordo; esibiscono la familiarità di oggetti d’uso quotidiano e il carattere weird di qualcosa che si trova irriducibilmente fuori contesto. Soprattutto, sono percorse da una strana atmosfera, che prefigura un collasso avvenuto o imminente: un’atmosfera onirica che può mutare improvvisamente in visione inquietante, se non addirittura in incubo. Osservando la sua produzione più recente, si direbbe che è attratta dalle ricostruzioni di ambienti e oggetti, plasmati alla maniera di set cinematografici in miniatura. Mi piace pensare che le eventuali pellicole girate al loro interno possano somigliare a un film d’exploitation, un po’ western all’italiana e un po’ Dal tramonto all’alba di Robert Rodriguez. Ma al di là degli accostamenti cinematografici, le opere di Stefania Carlotti somigliano alla materializzazione di qualcosa di difficilmente esprimibile a parole, capace di tenere insieme vitalità e nostalgia, stati di agitazione e languore, cinismo e tenerezza.

L STUDIO VISIT L

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Cominciamo dalle maquette, in particolare quelle dei bar, che mi sembrano una tua ossessione. L’apparenza tutto sommato familiare di questi luoghi è contraddetta dal colore grondante e vischioso che ricopre i modellini in cartapesta, oltre che dal gran casino all’interno, come se si fosse consumata una rissa o la furia degli elementi avesse investito lo spazio. Anche l’inclinazione dei piedistalli e dei supporti tradisce una certa instabilità. Come nascono queste architetture così strambe? Le maquette partono dalle immagini dei luoghi che frequento abitualmente, da ricordi personali e stereotipi. La memoria ha un ruolo essenziale. Uso un colore che ho visto da qualche parte e che si imprime nei miei ricordi, ricoprendo ogni cosa. Lo stesso con la cartapesta: trovo sia il materiale “finto” per eccellenza, lo utilizzo come una patina che riveste l’ambiente.

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Ma perché proprio i bar? Da un po’ di tempo il bar, luogo d’incontro ed evasione legato al fine-giornata, è al centro della mia attenzione. Spesso le mie maquette sono locali dagli interni abbandonati e sottosopra, sorretti da supporti storti e instabili, ubriachi. Mi piace pensarle come ambienti congelati nel tempo dopo un evento sconvolgente, o come possibili set per eventi futuri. Trovo davvero pertinente l’accostamento ai film d’exploitation: adoro Dal tramonto all’alba! Penso che sia proprio il loro essere “sottogeneri” a renderli incredibilmente interessanti, svincolandoli dall’aspettativa generale per concedergli maggiore libertà d’espressione. Effettivamente si tratta di pellicole dal budget ridotto. Mi sembra che anche nei tuoi lavori ci sia una specie di economia di mezzi, che corrisponde a una dichiarazione di poetica: penso all’utilizzo di un materiale povero come la cartapesta, ma anche alle dimensioni contenute. I miei lavori hanno spesso un’estetica low-tech e artigianale. Sono oggetti di piccola scala, simili alle cianfrusaglie che si possono trovare nei negozi dell’usato, sculture dall’aria consumata, video con effetti semplici che evidenziano la finzione al loro interno, animazioni dalle atmosfere infantili. In Untitled (work in progress), per esempio, ho photoshoppato le mie ceramiche inserendo sullo sfondo le esplosioni del finale di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. In questa serie di fotomontaggi, le dimensioni degli oggetti e la loro materialità sono ambigue. Sono stati davanti alla macchina fotografica o esistono solo come immagini generate dal computer? Queste ceramiche non sono mai state realmente mostrate, e probabilmente non lo saranno mai, chissà. Ho come l’impressione che i tuoi lavori nascano in contesti domestici. Finora la mia camera è stata il mio studio, e ciò ha influito sulla realizzazione delle opere. A volte mi appoggiavo ad atelier delle scuole che frequentavo o di amici; l’anno scorso, invece, anche se solo per otto mesi, ho avuto la possibilità di avere uno studio da CASTRO, a Roma. Adesso ho un atelier in una

Stefania Carlotti è nata a Carpi nel 1994. Dopo essersi laureata in Pittura e Arti Visive alla NABA di Milano, nel 2019 ha conseguito il Master Visual Art European Art Ensemble presso l’École Cantonale d’Art di Losanna (ECAL), città dove vive. Tra le mostre più recenti: Lemaniana. Reflections on other scenes, Centre d’Art Contemporain, Ginevra; The Kiefer Hablitzel | Göhner Kunstpreis, Kunsthaus Langenthal (2021); Grand Miniature, Sentiment, Zurigo; DEDICHE, Sonnestube e Lumpen Station, Lugano; Luna crescente, La Fornace, Spino d’Adda (2020); Garantie, Wishing Well, Losanna (2019). Nel 2019 ha partecipato come borsista al Programma di Studio CASTRO, a Roma. All’inizio del 2021 fonda, con Margaux Dewarrat, 13 Vitrine, una bacheca utilizzata come spazio espositivo a Renens, in Svizzera. Fa parte di SCALA (Société Coopérative d’Artistes - Lausanne et Alentours), cooperativa nata nel 2020 con l’obiettivo di localizzare spazi inutilizzati, riconvertendoli in studi per artisti.

BIO


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Stefania Carlotti, I want a Reckless Life, 2020, dettaglio, cartapesta, cartone, vernice, 85,5x53x30 cm. Courtesy l’artista

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Stefania Carlotti, Untitled (work in progress), 2020, serie di sei fotomontaggi, ceramica, vernice, immagine digitale. Courtesy l’artista

vecchia fabbrica elettrica, grazie a SCALA (Société Coopérative d’Artistes - Lausanne et Alentours), cooperativa della quale faccio parte, nata nel 2020 con l’obiettivo di localizzare spazi inutilizzati e riconvertirli in studi. Ora vivi appunto a Losanna, dove hai frequentato la scuola d’arte ECAL. Trovo che nella tua poetica coesistano una dimensione “di provincia” (i piccoli bar che rappresenti, ma anche le minuscole sculture in ceramica) e una più internazionale (penso a una certa estetica lo-fi e vagamente distopica). Un piede in Emilia, dove sei nata, e l’altro nell’“aggiornatissima” Svizzera. La dimensione “di provincia” di cui parli mi ha sempre affascinata e spaventata allo stesso tempo. A dire la verità, penso che Losanna abbia addirittura meno abitanti di Modena! Sicuramente il continuo passaggio di artisti e designer, alimentato anche da una “diaspora italiana”, mantiene la città viva. L’ECAL, riconosciuta soprattutto per la grafica e il design, ha lasciato una grande impronta sul rigetto che ho per l’eccesso di rigore e precisione: una presa di distanza da un universo che non mi apparteneva e che in seguito ho trasformato in un punto di riferimento, distorcendolo ed enfatizzandone il carattere inquietante.

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La dimensione "di provincia" mi ha sempre affascinata e spaventata allo stesso tempo. A dire la verità, penso che Losanna abbia addirittura meno abitanti di Modena!

in loop. Sullo sfondo, un camino simulato arde incessantemente. Di tanto in tanto appare il disegno animato di un braccio che alimenta il fuoco gettando una ciambella, una scarpa, un ferro da stiro e ancora altri oggetti. LIES LIES LIES è invece il primo episodio di una serie di animazioni che vede protagonisti i prodotti del marchio svizzero low-budget Prix Garantie. I disegni dei prodotti sono gli abitanti di questo mondo immaginario e per sopravvivere devono seguire una sola regola: non smettere mai di sorridere. Ciò porterà a tragiche conse‑ guenze. Tutti i personaggi delle mie animazioni sono mossi da un’inerzia o da una forza inspiegabile, costretti in un loop a cui non possono sfuggire.

Sculture in cartapesta e ceramica, installazioni, immagini digitali: mi sembri decisamente eclettica, come spinta da un nomadismo che ti porta da un medium all’altro. Anche nella produzione video ritrovo quella combinazione di cinismo e ironia che caratterizza le altre opere. L’animazione è un mezzo decisamente appropriato per esprimere questa combinazione di cui parli. Uno dei miei ultimi lavori è They said they were hot stuff and that’s what they have been reduced to, un video di un’ora,

Hai un progetto non realizzato che vorresti prendesse forma? Ne ho un’infinità. Uno di questi è un cortometraggio in collaborazione con Alessandro Polo e Marco Rigoni. La storia è già delineata: decisamente apocalittica, vedrà un susseguirsi di incendi distruttivi e salti nel tempo, tra passati psichedelici e futuri liquidi. I protagonisti saranno cumuli di oggetti di scarto. Il cortometraggio sarà girato in timelapse e con riprese in soggettiva. Non ci saranno dialoghi.


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Stefania Carlotti, They said they were hot stuff and that’s what they have been reduced to, 2021, video-animazione, loop, 60’. Courtesy l’artista

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Stefania Carlotti, Malibu, 2020, ceramica, vernice, 50x45x17 cm. Courtesy l’artista. Photo Iacopo Spini

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L STORIES L EMERGENZE E RESILIENZE L

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I CONTI COL FUTURO. I DRAMMI DELLA STORIA E COS’È ACCADUTO DOPO


© Federica Emili per Artribune Magazine

Le analisi dello storico della medicina Gilberto Corbellini, della medievista Chiara Frugoni, dell’artista, critico e curatore Robert Storr, invitati a riflettere sui grandi “e poi?” delle vicende umane, mescolano secoli, discipline e linguaggi, nel tentativo di far stillare lucidità e consapevolezza da un tempo in cui la morte ha spezzato le catene dei tabù, tornando a farsi corpo, malattia, dolore. Pestilenze, guerre, attentati terroristici, crisi economiche hanno mandato in pezzi le scansioni cronologiche del “pre”, gettando ombre lunghe – e nuove sfide – su un “dopo” necessariamente intonso. La detonazione innescata dalla pandemia risuona ancora in questo 2021, cresciuto nel punto cieco del famigerato anno appena trascorso, eppure quella linea di demarcazione sta mettendo radici, come è ovvio che sia. Restare saldi sul limite, facendo tesoro delle evidenze della Storia e sfruttando a proprio favore i passi falsi di ieri, può essere un antidoto efficace alla mutevolezza di un qui e ora spaventoso, sfibrante, cupo. Non coprirsi gli occhi al cospetto del passato è l’unico mezzo per legittimare il presente e scrollarsi di dosso quella rassegnazione al futuro che sembra aver impregnato i nostri giorni, insieme al vocabolario monocorde del confinamento. Il domani è ineluttabile, per fortuna. Cerchiamo di renderlo un buon posto in cui abitare.

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Non coprirsi gli occhi al cospetto del passato è l’unico mezzo per legittimare il presente.

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a linea di demarcazione tra il prima e il dopo è un dato di fatto, tangibile se osservato a posteriori, inimmaginabile se ipotizzato a priori, confuso e mutevole se vissuto nel mentre. Oggi, nel cuore di una emergenza sanitaria che ha frantumato le zone di comfort dell’Occidente e decenni di noncurante benessere, ci troviamo in equilibrio su quella sottile linea di confine tra un “pre” ormai archiviato e un “post” di cui si è incapaci di calcolare i contorni. Ma se è vero che rileggere il passato aiuta a navigare nel presente e a maneggiare il futuro, attraversare in diacronia gli eventi che hanno inciso la pelle della Storia può contribuire a progettare un dopo.

ARIANNA TESTINO

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omandarsi come sarà il mondo al termine della pandemia, quali traiettorie prenderà, a partire dal momento in cui saranno in parte o del tutto abbandonate le misure anti-Coronavirus, è un esercizio di immaginazione largamente speculativo. Troppe informazioni mancano e troppe variabili, localmente e globalmente, cambieranno nei prossimi mesi/anni, per fare previsioni dotate di qualche base probabilistica. Si sente spesso dire che prima o poi si tornerà alla normalità, ma la normalità è un autoinganno perché la condizione umana è cambiamento, e la pandemia definirà nuovi confini per una “normalità” che sarà diversa dal passato.

Ogni epidemia o pandemia è diversa: gli agenti patogeni hanno modi diversi di danneggiare le popolazioni.

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Vo’ (Padova), maggio 2020 - Alberto Sarto, 6 anni, sottoposto a tampone nasale presso la scuola elementare durante uno screening su tutta la popolazione di Vo’. Photo credit © Matteo de Mayda

GILBERTO CORBELLINI [ storico della medicina ]

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IL MONDO DOPO. RITORNO AL FUTURO

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Almeno dalla transizione agricola la nostra specie affronta, con frequenze crescenti, periodiche epidemie e pandemie, ricorrendo a una psicologia, individuale e sociale, che grosso modo è rimasta la stessa per capacità emotive e intuitive di rispondere a minacce e disastri. Tuttavia, il contesto circostante nei secoli è drammaticamente cambiato sotto ogni profilo, cognitivo, sociale, economico, culturale ecc. Nell’età moderna l’economia di libero mercato, la scienza e la democrazia liberale hanno generato un sistema articolato, efficace ma anche precario, di approccio alle incertezze, che ha dimostrato una capacità, mai esistita prima, di mettere sotto controllo la realtà circostante: di questa novità storica, da cui sono scaturite tecnologie meccaniche, energetiche,

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Lazzaretto nuovo, in Antonio Visentini, Isolario Veneto, Venezia, Giuseppe Battaggia, post-1840, acquaforte. Courtesy Fondazione Querini Stampalia, Venezia

alimentari, mediche, informatiche ecc., e di quel che via via ha significato sul piano del controllo delle epidemie, si deve tener conto. Così come del fatto che le epidemie possono danneggiare i presupposti sociali ed economici di un mondo fondato sulla conoscenza e la mobilità. Ogni epidemia o pandemia è diversa, in quanto gli agenti patogeni hanno modi diversi di danneggiare le popolazioni che colpiscono, ovvero la capacità di un parassita di circolare dipende da un insieme di condizioni ecologiche che cambiano anch’esse nel tempo.

Profondi cambiamenti istituzionali derivarono dallo shock della peste.

PANDEMIA, LAVORO E STANDARD DI VITA

Le epidemie e pandemie causavano nel passato il crollo della fertilità e avevano un impatto economico più grave sulle fasce più vulnerabili (biologicamente e socialmente/ cognitivamente) e povere della società. Anche in assenza di misure di controllo, le epidemie (insieme a guerre e rivolte) erano fattori di livellamento economico-sociale. Le malattie con morbilità e mortalità elevate riducevano il bacino di lavoratori e liberavano beni immobili, per cui aumentava nell’immediato il potere contrattuale di chi forniva lavoro, riducendo le diseguaglianze e, a causa

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del decesso dei proprietari, venivano rimessi in circolazione capitali immateriali (abitazioni, terreni ecc.). L’aumento dei salari reali che seguì la comparsa della peste nera è ritenuto uno dei motori del declino del feudalesimo, un momento chiave nell’ascesa dei Paesi dell’Europa settentrionale culminata nella Rivoluzione industriale e nella transizione verso famiglie nucleari e persone che lavoravano in cambio di salari. I salari più alti, che generavano competizione per

migliorare le abilità, e la perdita di affittuari, resero più difficile per i signori feudali mantenere il sistema in Inghilterra, mentre nel resto d’Europa i tempi del declino del feudalesimo variavano: le conseguenze della peste dipendevano dal contesto in cui si verificavano. Le epidemie ricorrenti più spesso laceravano il tessuto dell’economia, spingendo la popolazione al di sotto del livello che consente gli scambi e l’organizzazione economica: si perdevano i benefici dell’agglomerazione e la conseguenza era un calo degli standard di vita. Le pestilenze nelle città tedesche del XVI secolo resero più facile per i riformatori espandere il ruolo dei governi urbani nel fornire scuole e servizi sociali. Profondi cambiamenti istituzionali derivarono dallo shock della peste, come la creazione di burocrazie preposte alla riorganizzazione legislativa del consorzio civile e alla vigilanza sui rischi sanitari, che favorivano il reclutamento di tecnici nelle amministrazioni. Non c’è molto altro di positivo da raccontare sulle conseguenze delle epidemie. L’enorme numero di vittime – si pensi che la popolazione europea recuperò la perdita demo­grafica solo intorno al 1600 e che nel nuovo mondo, nei due secoli successivi alla conquista, scomparve il 90%


CRISI E PIL

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Dal 1973 al 1995 tasso di crescita in percentuale media annua del 2,21% Dal 1953 al 1973 tasso di crescita in percentuale media annua del 5,1%

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Dal 2007 al 2019 tasso di crescita in percentuale media annua dello 0,17%

Dal 1995 al 2007 tasso di crescita in percentuale media annua dell’1,33%

Dal 1946 al 1953 tasso di crescita in percentuale media annua dell’8,5%

1939

%

6,7

1900

2000

-5,4%

4%

7%

2001

della popolazione indigena – e il disagio economico e sociale che infliggevano, hanno reso più facile la colonizzazione e il ricorso agli schiavi africani per fornire manodopera. Alcune epidemie in età industriale erano seguite da stagnazione produttiva e inflazione, che erano superate solo quando proprietà e capitale tornavano a circolare. Alcuni studiosi ritengono che dopo gli shock pandemici le persone abbiano anche una maggiore propensione a spendere e ad assumere rischi. Se sia i salari sia la competizione per il lavoro aumentarono nel passato, nel caso di Covid-19 i decessi riguardano principalmente una fascia della popolazione che non è più attiva. Al limite si può parlare di una diminuzione dei costi del welfare. Il lavoro da remoto potrebbe costituire una nuova modalità per riorganizzare diverse attività nell’ambito del settore terziario.

-19

-8,9%

8%

7%

-2,

-4,

-5,3%

-7,

-5,

1973-1975

,3%

shock petrolifero Guerra del Kippur

1867

Terza Guerra d’Indipendenza

2007-2009

1914-15

crisi finanziaria: tra il 2008 e il 2014 il PIL scende del 12,8% (dell’1,9% è la riduzione media annua nel periodo)

inizio Prima Guerra Mondiale

1919-21

post Prima Guerra Mondiale Fine epidemia di Spagnola

1930-31

effetti della crisi del ’29 negli Stati Uniti

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34,9%

1940 L’Italia entra in guerra

1945

per effetto della Seconda Guerra Mondiale il PIL pro capite è il 54% di quello del 1939

IL COVID-19 E LA SPAGNOLA

previsioni per il 2021/22 4,1% 4,2% fonti: Banca d’Italia, Ufficio Studi Confcommercio su dati ISTAT SEC 2010 e Baffigi (2015), Centro Studi Confindustria su dati ISTAT

-8,9%

2020

La pandemia del passato più spesso confrontata con il Covid-19 è l’influenza detta Spagnola. Il virus della Spagnola infettò circa un terzo della popolazione mondiale (500 milioni di persone almeno) e causò un numero di morti stimato tra circa 25 e 80milioni

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20

22

2020

pandemia Covid-19

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27 dicembre 2020 - Vaccine-Day al Covid Hospital di Schiavonia (Padova), lo stesso ospedale dove è mancata la prima persona di Vo' (e in Europa). Photo credit © Matteo de Mayda

L STORIES L EMERGENZE E RESILIENZE L

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STATI UNITI 26,52%

228.661.408

CINA 224.901.000

% N.P.

INDIA 1,58% 139.185.173 GRAN BRETAGNA 18,93%

46.253.754

BRASILE 5,32%

38.027.113

15 I PRIMI

TURCHIA 21.130.963

9,67% INDONESIA 2,55%

18.570.974

RUSSIA 4,7% 18.152.707

PAESI AL MONDO (UE ESCLUSA)

16.410.034 CILE

32,99%

14.131.492

CANADA 2,75%

12.045.041

ISRAELE 56,48% 10.401.437 EMIRATI ARABI UNITI 39,84% 10.215.846 MAROCCO 11,71%

8.941.120

ARABIA SAUDITA % N.P. 8.235.166 GERMANIA 7,19%

25.446.941 FRANCIA

8,22%

19.535.141 17.751.562

SPAGNA 8,27% 14.266.251 POLONIA 6,79%

10.343.967

UNGHERIA 17,04%

5.268.968

PAESI BASSI 5,47%

5.128.167

ROMANIA 9,21%

4.832.203

PAESI EUROPEI

BELGIO 6,56%

15 I PRIMI

3.431.848

PORTOGALLO 8,01% 3.018.383 GRECIA 7,62%

2.821.625

REPUBBLICA CECA 8,90% 2.822.491

AUSTRIA 8,84%

2.827.613

SVEZIA 6,98%

2.796.778

SVIZZERA 9,64% percentuali di popolazione vaccinata

2.273.981 dosi somministrate

Fonti: coronavirus.jhu.edu; lab.gedidigital.it (dati aggiornati al 26 aprile 2021)

ITALIA 8,63%

Non è chiaro come si rimetterà in moto la circolazione delle persone e tornerà a livelli efficienti quella delle merci. Il paragone con la pandemia in corso deve considerare che la pandemia influenzale del 1918-19 si verificò prima che la transizione epidemiologica moderna fosse completata, ovvero quando morbilità e mortalità erano ancora alte e le epidemie di malattie infettive comuni. Inoltre, quella pandemia era dovuta a un virus diverso, che usava per diffondersi le vie di trasporto pubblico ed era particolarmente letale nei Paesi in via di sviluppo, con sistemi sanitari pubblici inadeguati: probabilmente l’India ebbe il bilancio delle vittime più alto al mondo. Gli uomini erano colpiti più delle donne e la malattia era particolarmente fatale, oltre che per neonati e anziani come di consuetudine, per la fascia di età 20-40. L’uso di interventi di sanità pubblica non farmacologici (misure di blocco, mascherine e sostanze ritenute igienizzanti) variava in modo significativo nel mondo e all’interno dei Paesi, ma nessuno fu così lungo o esteso come quelli attuali. Se introdotte con i tempi appropriati, le chiusure riducevano la trasmissione e la mortalità.

L STORIES L EMERGENZE E RESILIENZE L

MESSICO 4,62%

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(2,64 milioni di morti in Europa). In realtà, per decenni si è pensato che l’impatto fosse stato ben sopportato, al punto che la Spagnola è chiamata anche l’epidemia “dimenticata”. Per quanto riguarda alcune conseguenze documentate da diversi studi condotti dopo il 1970 sulla popolazione nordamericana, la Spagnola risultò importante nel dimostrare la capacità organizzativa delle donne nella gestione dell’emergenza, soprattutto in ambito sanitario, provocò un drastico crollo delle nascite che tardarono a tornare ai livelli precedenti per il fatto che era morta propria la parte della popolazione attiva e fertile, ci fu una perdita sul piano della formazione scolastica a causa della chiusura delle scuole e questo comportò una riduzione dei salari medi per quelle coorti di giovani. In Svezia la paura del contagio danneggiò l’attività delle cooperative di consumo e in alcune regioni della Germania, dove era più intensa la radicalizzazione politica, l’adesione al nazionalsocialismo correla con il maggior impatto della pandemia. È stato studiato anche l’impatto sulle coorti in utero durante la pandemia, che pagarono ridotti risultati educativi, tassi aumentati di disabilità, minor reddito, più basso status socio-economico e maggiori sussidi pubblici ricevuti rispetto alle altre coorti di nascita.

VACCINAZIONI ANTI COVID

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SPAGNOLA: DATI ED EFFETTI

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MORTI E TASSO DI MORTALITÀ Prima ondata marzo - agosto 1918

Seconda ondata agosto - dicembre 1918

ITALIA

390.000

1,7%

FRANCIA

240.000

0,73%

INGHILTERRA

200.000

0,58%

GERMANIA

225.000

0,38%

CINA

4/9.5 MILIONI

0,84% / 2,01%

MONDO

50/100 MILIONI

0,25% / 0,5%

POPOLAZIONE MONDIALE NEL 1918 CA. 2 MILIARDI fonte: Fondazione Feltrinelli

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si stanno ancora trascinando nelle campagne di vaccinazione con più o meno efficienza, o se alcuni Paesi ne usciranno prima. È più probabile il secondo scenario, e chi ne uscirà prima avrà dei vantaggi strategici sul piano economico, ma forse anche di sollievo sociale e per la psicologia delle persone. Ergo i Paesi che rimarranno più indietro si troveranno a subire anche un vortice di declino dagli incerti sbocchi politici.

In quale misura le conquiste sul piano dei diritti fondamentali persisteranno se le pressioni esercitate dal virus premieranno le società o le scelte meno liberali? VIRUS E LIBERTÀ

In quale misura le conquiste sul piano dei diritti fondamentali persisteranno se le pressioni esercitate dal virus premieranno le società o le scelte meno liberali? È forse la domanda più importante. In quale misura le libertà che i governi hanno sottratto saranno interamente restituite? Sull’onda dell’emergenza quasi tutti i Paesi, ma ovviamente con meno problemi in quelli tradizionalmente illiberali, hanno limitato le libertà di movimento, fatto incursioni nelle vite private, usato in modo opaco dati e informazioni, sottomessa l'educazione alla censura ideologica, ecc. Purtroppo, per larga parte della storia, le libertà personali non sono state la norma, cioè non erano previste e le epidemie giustificavano le restrizioni in assenza di altre misure. L’auspicio è che la nuova normalità conquistata progressivamente torni a essere tale, perché il paradosso di questo ultimo anno è che si è fatto credere che il virus si trasmetta a causa di troppa libertà. Che sia così non è provato, mentre è provato che le risorse medico-scientifiche ed economiche per metterlo sotto controllo sono il prodotto storico della libertà di pensiero, di espressione e d’impresa.

L STORIES L EMERGENZE E RESILIENZE L

Non sappiamo come finirà. Il virus è in grado di adottare diverse strategie adattative a fronte delle misure di controllo. Non è improbabile che diventi uno dei circa 200 ceppi di virus che causano solo raffreddore, ovvero potrebbe differenziarsi in varianti che per un certo tempo richiederanno periodiche vaccinazioni. Non sappiamo in quali tempi saranno concluse le vaccinazioni, quale estensione geografica riusciranno ad avere e quanto durerà la protezione immunitaria. Senza dimenticare le incertezze dovute al numero di persone che sceglieranno di non vaccinarsi o non riusciranno a vaccinarsi e così manterranno persistente il rischio di trasmissione. In pratica non è chiaro come si rimetterà in moto la circolazione delle persone e tornerà a livelli efficien‑ ti quella delle merci. Il Coronavirus ha impattato diversamente, per morbilità e mortalità, sui diversi Paesi in ragione sia di effetti dovuti alle caratteristiche genetiche del patogeno sia di differenti ecologie geografiche, demografiche, psicologiche e politiche. Le comunità più isolate geograficamente e meno popolate hanno avuto più facilità a controllare l’impatto della malattia, così come Paesi con culture più collettiviste e istituzioni non liberali. In teoria, l’impatto economico e politico di una pandemia dovrebbe essere tanto meno grave in funzione della ricchezza e del grado di avanzamento tecnologico di un Paese, ma il virus ha colpito soprattutto i Paesi occidentali più avanzati, favorendo l’instabilità sociale quando la fase paternalista della gestione non sarà più giustificata o sostenibile. L’impatto del virus si è avuto soprattutto per la congestione dei sistemi sanitari, in particolare per il fatto che esiste dal 1953 la terapia intensiva, dove si è concentrata quella percentuale più bassa di pazienti a rischio di effetti letali. Praticamente tutta la sanità è stata dirottata per gestire l’emergenza Covid-19 e gli esperti stimano che quando questa terminerà si cominceranno a contare i decessi di pazienti oncologici e cardiovascolari che non hanno potuto ricevere i necessari trattamenti. Nonché si dovrà far fronte all’aumento drammatico di disturbi mentali dovuti all’isolamento, alle tensioni familiari in regime di lockdown, alla perdita di lavoro ecc. Ci si chiede se l’emergenza sanitaria terminerà in modo uniforme per quei Paesi che, a differenza del mondo asiatico dove a parte l’India il virus è stato controllato,

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IL POST CORONAVIRUS

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ROBERT STORR [ artista, critico e curatore ]

Kader Attia, Untitled (violence), 2016, scultura, light box, vetro colorato. Courtesy l'artista e Galleria Continua. Photo © Axel Schneider

La "storia" raramente, se non mai, cambia direzione in un attimo.

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L

a “storia” raramente, se non mai, cambia direzione in un attimo. La ricerca di una rottura definitiva e di una radicale ripartenza, così fondamentale per il mito modernista, e così sistematicamente confutata dall’arte moderna nel suo effettivo dispiegarsi, ha fatto il proprio tempo. Così come la cosiddetta “dialettica” che ha incoraggiato gli artisti e i teorici a pensare di poter predire o, con la forza di volontà, di determinare cosa sarebbe avvenuto, al di là del fatto che il loro scenario fosse utopico o distopico. In quest’ultimo caso, diventato sempre più comune negli ultimi decenni, sembra che alcuni trovino conforto nella stravaganza del proprio pessimismo. Non vale per me, sebbene possa godere della cupa creatività di tali fantasie. Preferisco pensare a me stesso come a un realista e, in proporzione, prendere seriamente le visioni apocalittiche, come se potessero realmente accadere.

MARZO L GIUGNO 2021

CONTROINTUIZIONI PER LA FINE DEL MONDO

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“History is a nightmare from which I am trying to awake” [“La storia è un incubo dal quale sto cercando di svegliarmi”, Ulisse (1922), cap. 2], disse l’innovatore letterario per eccellenza dell’era moderna esprimendosi in lingua inglese – scegliete qualsiasi altra lingua e troverete un’alternativa plausibile. Con “storia” Joyce intendeva chiaramente “il passato”, anche se avrebbe potuto descrivere come un incubo pure la folle corsa al “fare la storia”, perché per la maggior

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Kader Attia, The Repair from Occident to Extra-Occidental Cultures, 2012, materiali vari, dimensioni variabili. Exhibition view at dOCUMENTA (13), Kassel 2012. Courtesy Galleria

parte delle Avanguardie fu così. In alcuni casi, quando queste riuscirono con successo a mettere le mani sulle vere leve del potere – in Italia, in Russia durante gli Anni Venti e Trenta – diventarono ufficialmente parte del problema e non della soluzione, contribuendo così a rendere un inferno la vita degli altri.

L’INSENSATEZZA DEL FARE PRONOSTICI

Come prodotto dell’America di metà Novecento che è diventato maggiorenne all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, sotto la minaccia dell’estinzione nucleare dettata dalla Guerra Fredda e nel contesto della complicità coatta nelle guerre all’estero e della repressione armata in patria, ho velocemente sviluppato una consapevolezza bifronte – alla maniera di Giano –, come se avessi sempre lo sguardo rivolto in avanti e all’indietro nello stesso tempo, così da non essere mai preso alla sprovvista. Soprattutto, ero orgoglioso di me stesso per la capacità di guardare dietro gli angoli, e di conseguenza

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Avevo ancora la capacità precauzionale di pensare l’impensabile.

per saper individuare la difficoltà in arrivo anche nei miei punti ciechi. Non più tardi del 2016, avevo ancora la capacità precauzionale di pensare l’impensabile – il che è un eufemismo per il peggio assoluto. Durante il Drumpfzeit – Drumpf è l’originario nome tedesco della famiglia del “nostro” 45esimo Presidente – è stato un vantaggio, dal momento che il peggio era esattamente il suo pezzo forte. Questo mio riflesso spontaneo era così affidabile che, alla vigilia delle elezioni presidenziali di quell’anno, mi trovai a scommettere contro i miei stessi migliori interessi quando fui sfidato da un amico democratico, convinto che Hillary Clinton fosse la vincitrice annunciata. Ero visceralmente certo che si sbagliasse e puntai cento dollari su quel presentimento. Con mio grande rammarico “vinsi” la scommessa. Il denaro lo donai all’American Civil Liberties Union, prevedendo con accuratezza l’assalto su ogni fronte alle regole che disciplinano l’esercizio del potere pubblico. In breve, ho riciclato sporco Drumpfgeld


INFODEMIA

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Frequenza di ricerca nel tempo 8—14/3 100 Coronavirus

23—29/2

80

1—7

60 40 26/1—1/2

20 0

5/1/20

26/4/20

16/8/20

6/12/20 fonte: Google Trends

Percezione dei contagi tra la popolazione italiana dal 6 aprile all’8 luglio 2020 60 50 40 30

sottostima

20 congrua 10 0

Continua. Photo © Ela Bialkowska

sovrastima 6/4/20

27/4/20

18/5/20

8/6/20

29/6/20

Fonte principale di informazione sulla diffusione dei contagi QUOTIDIANI ONLINE

50%

SITI INTERNET ISTITUZIONALI

QUOTIDIANI, RIVISTE CARTACEE

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SITI INTERNET ALTERNATIVI

TELEVISIONE

SOCIAL MEDIA

RADIO

AMICI E FAMILIARI

ALTRE FONTI

fonte: Fondazione Feltrinelli

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© Michael Stipe, Caroline Wallner, Lucille Reback

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Germania – aveva avvertito quando dipinse il suo piccolo capolavoro September (2005), in cui commemora l’attacco a uno dei pochissimi Paesi al mondo che, a memoria d’uomo, non aveva mai subito l’invasione dei propri territori. Dopo aver sentito il suono dei bombardieri polverizzare la sua nativa Dresda dalle campagne sassoni dove la sua famiglia si era rifugiata allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e poi dopo aver camminato tra le macerie di quella città mentre frequentava l’Accademia durante l’Occupazione, sfortuna volle che Richter stesse volando verso Manhattan l’11 settembre 2001. Di conseguenza, la sua testimonianza incrociata di questi due eventi è stata a suo modo determinata dal caso, ma nient’affatto gratuita o superficiale. È stata invece profondamente significativa. Dunque, pensate a quanto saremmo stati impotenti nella lotta per avere la meglio sul nostro aspirante dittatore se non avessimo avuto tale risonante ironia come arma di difesa.

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Saremmo impotenti nella lotta senza l'arma dell'ironia.

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[denaro di Drumpf, N.d.T.] e a quel punto ho messo i suoi soldi dove stavano i miei presentimenti. Prima di allora, l’insensatezza del fare pronostici è sopraggiunta durante una riunione dello staff curatoriale senior del MoMA poco dopo la distruzione delle Torri Gemelle. In seguito a quella calamità, uno dei miei colleghi irrimediabilmente alla moda e futilmente previdente dichiarò la morte dell’ironia. Eppure l’evento in sé era pieno zeppo di quelle amare ironie che Gerhard Richter – il quale era stato testimone dei bombardamenti degli Alleati sulla

DA TRUMP A OGGI

Ma durante i quattro anni di malgoverno di Herr Drumpf ho perso l’abilità di avere ragione. E il desiderio. Ho iniziato a preoccuparmi meno di indovinare la direzione che prenderà la “storia” – o, più precisamente, quella in cui sarà trascinata – rispetto a quanto mi preoccupi di affrontare qualunque cosa possa accaderci con i miei valori esistenziali intatti. Voglio dire che il mio modo di affrontare le cose brutte che accadono conta di più per me rispetto a giocare con le probabilità di

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@realDonaldTrump

Dalla elezione nel novembre 2016 al 3 novembre 2020, Trump ha prodotto circa 23mila tweet (senza contare i retweet), 2.252 riferimenti specifici e individuali agli altri Paesi. 92 Paesi sono stati nominati almeno una volta.

CINA 19% RUSSIA 16% COREA DEL NORD 8%

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MESSICO 7% UCRAINA 4%

LA MAPPA DEI TWEET DI TRUMP 8 NOVEMBRE 2016-FINE 2017 FATTI RUSSIA 89 COREA DEL NORD 57 CINA 47 PORTO RICO 33 55 PAESI NOMINATI IN TOTALE

Indagini sui legami fra Trump e il governo russo. Gli uragani Irma e Maria colpiscono duramente il Porto Rico, che è un territorio non incorporato degli Stati Uniti. Gli aiuti da parte degli USA arrivano con grande lentezza.

2018 RUSSIA 155 CINA 82 COREA DEL NORD 80 MESSICO 48 CANADA 31 56 PAESI NOMINATI IN TOTALE

70

FATTI Continuano le indagini sui legami Trump-governo russo. Cina, Messico e Canada: questioni di tariffe legate alla guerra commerciale. Corea del Nord: summit Kim Jong-un e Trump a Singapore nel 2018.

fonte: worldmapper.org fonte: worldmapper.org


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2019

CINA 168 RUSSIA 85 MESSICO 77 UCRAINA 71 54 PAESI NOMINATI IN TOTALE

Escalation della guerra commerciale con la Cina. A marzo 2019 terminano le indagini sui legami Trump-Russia. Autunno 2019: Ucrainagate, richiesta di Trump al presidente Volodymyr Zelensky di investigare su Joe Biden e suo figlio.

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FATTI

2020

CINA 139 RUSSIA 38 IRAN 18 UCRAINA 12 MESSICO 10

Perlopiù questioni politiche interne ai fini delle elezioni.

56 PAESI NOMINATI IN TOTALE

evitarle o, se mi perdonate il gioco di parole, di battere le leggi del caso [“trump the laws of chance” nella versione originale, N.d.T.]. In questo contesto, al pari della mia superstiziosa mentore Louise Bourgeois, ho imparato a fare sempre più affidamento sui “buoni consigli”. In breve, vecchi detti, aforismi stringati, saggezza popolare, buon senso e decenza [“common sense and common decency”, nella versione originale, N.d.T.], nessuno dei quali, aggiungo, ormai è comune, se mai lo è stato. Inoltre, sono diventato ipersensibile alla stupidità di tutto quanto viene considerato saggezza metropolitana, per non parlare della certezza di poter misurare scientificamente le variabili sociali. Prendete il concetto radicato nel “business” secondo cui non si deve mai scendere a compromessi durante una negoziazione. È dimostrato che sia un gioco a somma zero, vincere tutto conduce alla rovina, e invece gli affaristi usano quel concetto per giustificare negoziazioni al termine delle quali chi sa contrattare meglio ottiene più di quanto possa immaginare, senza sapere cosa farci, mentre i perdenti finiscono con l’avere meno del necessario per sopravvivere. Dunque, come motto su cui riflettere prima di uscire nel mondo ogni giorno, ho posizionato un text piece di Jim Hodges ai piedi delle scale che conducono alla mia porta di casa. C’è scritto: “Dai più di quanto prendi”. La mia cinica intelligenza

dello spazio privato –, è posizionata una cartolina di legno di Jenny Holzer che recita: “L’inizio della guerra sarà segreto”.

Quando non sa che altro fare, l'arte va dove ci sono i soldi.

coglie immediatamente la natura donchisciottesca di questo monito e ne ride. Tuttavia, la mia percezione di ciò che dovremo fare per riprenderci dalla catastrofe che ci ha colpito, per non parlare di prevenire quelle molto peggiori che ci perseguitano a livello globale, mi dice che non fare la cosa giusta in questo senso equivale a essere fregati. A sua volta, sottolinea la patetica futilità delle scommesse su questioni minori, come i movimenti, i discorsi, gli stili e le star di domani. Un’opera concettuale analoga, che ho strategicamente posizionato lungo il mio percorso, è un cartoncino da schedario che Lawrence Weiner ha timbrato con il motto “L’arte è noi, non me”. Inoltre, visibile solo dall’esterno attraverso la finestra – vale a dire quando ho lasciato la sicurezza

LE RIPERCUSSIONI SULL’ARTE

Detto ciò, un disagio implacabile nelle ossa mi dice che la guerra segreta è già in corso. Le sue implicazioni per l’arte sono impossibili da prevedere ma, considerando fino a che punto la “cultura industriale” del dopoguerra è stata cooptata da nuovi tipi di opportunismo economico, i presagi non sono buoni. La speculazione ha sempre rivestito un ruolo nel mercato dell’arte – è sufficiente analizzare gli esordi del “collezionismo” come passatempo borghese, come gioco di potere sociale e come mossa finanziaria per realizzare che l’allarmismo degli Anni Ottanta e Novanta era basato sia sulla ignoranza del passato sia su un volontario oblio delle esigenze economiche di vecchia data e degli schemi di adattamento a esse. Una regola generale: l’arte va dove ci sono i soldi quando non sa che altro fare. La speculazione odierna e i malcelati movimenti di grandi capitali attorno alle barriere che le restrizioni valutarie e la tassazione normalmente impongono sono diventati il motivo principale per cui liquidità in eccedenza si accumula in luoghi remoti privi di un pubblico evoluto e di infrastrutture per l’arte. Luoghi che controllano virtualmente tutte le grandi transazioni che elettrizzano la stampa.

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FATTI

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Basti pensare alle chincaglierie che Jeff Koons e Damien Hirst hanno confezionato negli ultimi dieci anni per capire che il “discorso sull’arte” ha poco a che fare con la loro fama, se non nella misura in cui promuove questi beni alle persone che possono permetterseli. Come presagio di eventi che stavano per accadere, ricordo la serata inaugurale della retrospettiva dei Kabakov a Mosca nel 2008. Gli artisti in precedenza tenuti alla larga, Ilya e la sua collaboratrice Emilia, erano celebrati da una folla di oligarchi che ingurgitava Moët & Chandon e che improvvisamente ha abbandonato la coppia del momento e ha furiosamente cominciato a fare offerte al telefono per l’asta di Damien Hirst che si teneva a Londra quella stessa sera. Una frenesia alimentare che si verificava a nemmeno 24 ore dal collasso della venerabile società di brokeraggio di Wall Street Lehman Brothers – e dal conseguente (quasi)

Abbiamo inventato altri strumenti intrinsecamente inutili, come gli NFT.

crollo dei mercati finanziari mondiali. Abbiamo schivato quel proiettile solo per inventare altri strumenti intrinsecamente inutili, se non repellenti, per guadagni illeciti. Il più recente è quello degli NFT e la prova di ciò che affermo sta nella vacuità visiva e semiotica dell’altrettanto insensata “opera”

digitale che è stata recentemente venduta all’asta a New York per 69 milioni di dollari. Innegabilmente il valore contabile di questo tipo di arte è salito grazie a tale marea, ma è probabile che si sia arenato su prezzi che non si vedranno più, lasciando alcune fra le migliori opere di arte moderna e contemporanea in luoghi privi di un contesto vitale per loro – ad esempio, musei simili a isole deserte nel Golfo Persico –, mentre alcuni dei peggiori lavori degli old master dell’arte hanno raggiunto quotazioni e notorietà che sono merito soltanto di bizzarri eventi nella storia economica.

E DOMANI?

Dobbiamo ancora esaminare a fondo (e farci i conti) le tensioni geopolitiche degli ultimi vent’anni – solo negli Stati Uniti, il governo della nazione teoricamente più stabile al mondo è stato quasi rovesciato da un


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I 10 lotti più costosi aggiudicati durante il 2020-21 1

92.184.000 $

Sandro Botticelli, Ritratto di giovane con medaglione 1470-80 circa Christie’s, 28 gennaio 2021

2

84.550.000 $

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TOP LOT E PANDEMIA

Francis Bacon, Triptych Inspired by the Oresteia of Aeschylus, 1981 Sotheby’s, 30 giugno 2020

“colpo di stato” organizzato dal presidente in carica! –, sebbene si preannuncino guerre per procura e scontri a tutto campo fra poteri mondiali in ascesa e in caduta, come non se ne sono visti per svariate generazioni. E, oh sì!, c’è l’incombente catastrofe ambientale. Ma ho detto di aver perso fiducia nelle mie capacità di predire il futuro. Quindi, dopo essermi rifatto alla cartolina di Jenny Holzer ed esser stato testimone dell’amara ironia dei Kabakov e di altri meritevoli talenti rimasti intrappolati nel tritacarne del “tardo capitalismo” – e, comunque, quanto è davvero tardi se il virus continua a mutare con un’efficienza così letale? –, rinnegherò il ruolo di veggente e resterò fedele ai miei codici morali e mi comporterò il più onorevolmente possibile essendo alla fine del mondo, o almeno la fine del mondo che ho conosciuto e amato.

75.436.800 $

4

69.000.000 $

5

46.242.500 $

6

41.800.000 $

Wu Bin, Ten Views of a Lingbi Rock, 1610 Poly Auction, 18 ottobre 2020

Beeple, Everydays: The First 5000 Days Christie’s, 11 marzo 2021

Roy Lichtenstein, Nude With Joyous Painting, 1994 Christie’s, 10 luglio 2020

Jean-Michel Basquiat, Warrior, 1982 Christie’s, 23 marzo 2021

7

41.067.500 $

8

39.553.800 $

David Hockney, Nichols Canyon, 1980 Phillips, 7 dicembre 2020

L STORIES L EMERGENZE E RESILIENZE L

Napoli, 1943. Basilica di Santa Chiara, navata centrale. Fotografia tratta dal Fondo della Direzione generale antichità e belle arti del Ministero della pubblica istruzione, conservato presso l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione - ICCD

3

Ren Renfa, Five Inebriated Princes Riding Home fine XIII-inizio XIV sec. Sotheby’s, 8 ottobre 2020

9

38.685.000 $

10

33.333.200 $

Cy Twombly, Untitled (Bolsena), 1969 Christie’s, 6 ottobre 2020

Sanyu, Quatre Nus, Anni Cinquanta del ‘900 Sotheby’s, 8 luglio 2020 Tutti i prezzi indicati includono il buyer’s premium. Dati aggiornati al 24 aprile 2021

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STORIES


MARZO L GIUGNO 2021

EPIDEMIE NEL MEDIOEVO E OGGI. UN CONFRONTO

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I

l notaio piacentino Gaetano Mussi ricevette certamente da un suo concittadino commerciante notizie di prima mano su come era cominciata l’epidemia nel 1348 a Caffa in Crimea, dove per l’appunto approdavano anche imbarcazioni di piacentini. La città era assediata dai Tatari (più noti come Tartari perché per la loro violenza e crudeltà vennero assimilati ai diavoli del Tartaro, dell’inferno). E i Tatari si erano ammalati di peste, portata da mercanti mongoli. Atterriti e scoraggiati per le tante morti decisero di fuggire, ma per vendetta catapultarono i cadaveri dentro le mura di Caffa rendendo l’aria irrespirabile. I commercianti italiani, vista la situazione, decisero di fuggire a loro volta, non sapendo che sulle navi erano saliti anche i ratti ammalati di peste.

A ogni approdo, marinai e commercianti diffondevano il morbo.

L STORIES L EMERGENZE E RESILIENZE L

Johannes de Ketham, Fasciculus Medicinae, Venezia, Giovanni e Gregorio de’ Gregori, 1494, 2o. Courtesy Fondazione Querini Stampalia, Venezia

CHIARA FRUGONI [ medievista ]

A ogni approdo marinai e commercianti diffondevano il morbo. Così scrive Gaetano Mussi dando voce ai marinai: “Parenti e amici e vicini da ogni parte ci venivano incontro per accoglierci. Ma ahimè, noi portavamo i dardi della morte. Durante i baci e gli abbracci, mentre parlavamo, inevitabilmente versavamo il veleno. Allo stesso modo loro, tornando a casa, ben presto avvelenavano tutti i loro familiari; e nello spazio di tre giorni, dopo che la loro famiglia era stata colpita, soggiacevano al dardo della morte”. Allora nessuno aveva capito il reale meccanismo del contagio (è una pulce che abbia morso un ratto ammalato che inocula il batterio nell’uomo), ma si erano accorti che la prossimità fra le persone era fatale.

75


1353 1352 1351 1350 1349 1348

1347 1346 dati non disponibili

L STORIES L EMERGENZE E RESILIENZE L

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fonte: D. Cesana, O.J. Benedictow, R. Bianucci, The origin and early spread of the Black Death in Italy: first evidence of plague victims from 14th-century Liguria (northern Italy), in "Anthropological Science", gennaio 2017

fonte: ourworldindata.org

MORTE NERA E SARS-CoV-2 A CONFRONTO

22/01/20

76

25/01/20

31/01/20

24/02/20 29/02/20

8/03/20

15/03/20

20/03/20 08/04/20

01/05/20


Ruota degli Umori. Johannes de Ketham, Fasciculus Medicinae, Venezia, Giovanni e Gregorio de’ Gregori, 1494, 2o. Courtesy Fondazione Querini Stampalia, Venezia

59-60 MARZO L GIUGNO 2021

LA PESTE, LA FUGA E IL CASTIGO DI DIO

Nel Medioevo la gente cercava la salvezza abbandonando la città e così non faceva altro che aumentare la diffusione della malattia. La fuga fu duramente biasimata dal Boccaccio nel Prologo del Decamerone. Alcuni erano “di più crudel sentimento, come che per avventura più fosse sicuro, dicendo niun’altra medicina essere contro alle pestilenze migliore né così buona, come il fuggire loro [i cadaveri] davanti, e da questo argomento mossi, non curando d’alcuna cosa se non di sé, assai e uomini e donne abbandonarono la loro propria città, le proprie case, i loro luoghi i lor parenti e le lor cose, e cercarono l’altrui o

Quando il Covid-19 si diffuse un anno fa, anche noi non conoscevamo nulla di questo virus.

almeno il lor contado, quasi l’ira di Dio a punire le iniquità degli uomini con quella pestilenza non dove fossero procedesse, ma solamente a coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor città si trovassero”. Lo stesso espediente è adottato ancora oggi da molti che accorrono a riaprire le seconde case delle vacanze, facendo aumentare il tasso di mortalità. Il Boccaccio, a differenza dei cronisti suoi contemporanei, non credette che i decessi fossero soltanto la risposta irata di Dio per i troppi peccati degli uomini o che fossero dovuti alla congiunzione negativa degli astri, perché ritenne che molti malati sarebbero sopravvissuti, se fossero stati soccorsi. “Che più si può dire, lasciando stare il contado e alla città ritornando, se non che tanta e tal fu la crudeltà del Cielo, e forse in parte quella degli uomini, che in fra ’l marzo e il prossimo luglio vegnente, tra per la forza della pestifera infermità e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati ne’ lor bisogni per la paura ch’aveano i sani, oltre a cento milia creature umane si crede per certo dentro alle mura della città essere stati di vita tolti”.

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Quando il Covid-19 si diffuse un anno fa, anche noi non conoscevamo nulla di questo virus e proprio come nel Medioevo non avevamo medicine per combatterlo. (In effetti ancora oggi non c’è un farmaco specifico, an­che se per fortuna stanno arrivando i vaccini [il saggio è datato 31 marzo 2021, N.d.R.]).

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Oggi molti medici riconoscono gli errori compiuti, certo in buona fede, di fronte a un male sconosciuto. Ma si sono commessi altri sbagli che si sarebbero assolutamente potuti evitare, come far ospitare nelle case di riposo i malati di Covid-19. Una direttiva che comportò una falcidia altissima degli anziani e del personale sanitario: di medici e infermieri che si occupavano, spesso non adeguatamente protetti, sia dei degenti ricoverati sia dei malati contagiati. Notava ancora il Boccaccio che, mentre alcuni dei concittadini avevano deciso di vivere in modo cauto e moderato, altri invece “affermavano il bere assai e il godere e l’andar cantando attorno e sollazzando e il soddisfare d’ogni cosa allo appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi essere medicina certissima a tanto male”.

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I picchi di mortalità risalgono e sembra che questo tunnel da cui dovremmo uscire si allunghi sempre.

C’erano anche persone che finito il contagio non si erano affatto ravvedute – per cui, “dimenticando le cose passate come state non fossono, si dierono a ppiù sconcia e disonesta vita che prima non avieno usata. Però che vacando in ozio usarono dissolutamente il peccato della gola, i conviti, taverne e dilizie con dilicate vivande, e giuochi”: lo nota con stizza Matteo Villani, il quale continuò la Cronaca di Firenze là dove l’aveva lasciata interrotta il fratello Giovanni, morto anch’esso di peste nel 1348.

DAL MEDIOEVO AI GIORNI NOSTRI

Oggi, dopo un anno di pandemia, le persone sono provate per i tanti sacrifici e per i disagi patiti per la prolungata clausura. Eppure, anche se i contagi sono ancora


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BASILICA DELLA MADONNA DELLA SALUTE A PUNTA DELLA DOGANA Ex voto per liberazione dalla peste del 1630 Progetto di Baldassarre Longhena

altissimi, molti sostengono: “Basta, basta restrizioni, bisogna potere vivere!”. Oppure altri sono convinti che per gioventù o prestanza fisica non si ammaleranno. Ed ecco i continui assembramenti, i ragazzi stretti intorno a un tavolo al bar, senza mascherina, le strade affollatissime. I picchi di mortalità dopo poco risalgono e sembra che questo tunnel da cui dovremmo uscire si allunghi sempre. Ricordiamo un anno fa le scritte luminose sui palazzi di Bergamo: “Bergamo non molla mai!”. Povera città così duramente colpita poi dal dilagare della pandemia! Tutti noi abbiamo presenti le file di camion che portavano via le bare che i cimiteri non potevano più ricevere e il silenzio nelle strade perché, per non scoraggiare ulteriormente la popolazione, le autoambulanze correvano senza sirene e le

BASILICA DEDICATA AL CRISTO REDENTORE SULL’ISOLA DELLA GIUDECCA Progetto affidato ad Andrea Palladio Prima pietra posata il 3 maggio 1577 il contagio inizia a diminuire 13 luglio 1577 a Venezia la pestilenza è finita 20 luglio 1577 processione dei fedeli su un ponte di barche per raggiungere il luogo in cui sorgerà la chiesa Da allora la terza domenica del mese di luglio si celebra la Festa del Redentore, che ha assunto via via connotazioni più laiche

Nel Medioevo furono gli ebrei che nel 1348 vennero accusati di diffondere l’epidemia.

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Gabriel Bella, La notte del Redentore, ante 1782, olio su tela. Courtesy Fondazione Querini Stampalia, Venezia

Dal 1631, il 21 novembre di ogni anno, pellegrinaggio dei veneziani alla Madonna della Salute, grazie anche a un ponte provvisorio che unisce le due rive del Canal Grande. Questa festa, nonostante tradizioni culinarie e conviviali, ha mantenuto il suo carattere devozionale

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CHIESE E FESTE VENEZIANE CONTRO IL MORBO

campane tacevano. Una situazione analoga a quella medievale. Scrive il cronista senese Agnolo di Tura del Grasso, che non era più possibile seppellire i morti degnamente e con una cerimonia religiosa in chiesa: i defunti erano portati “alla fossa senza prete, né uffitio alcuno, né si sonava campana; e in molti luoghi in Siena si fe’ grandi fosse e cupe per la moltitudine de’ morti e morivano a centinaia il dì e la notte e ognuno [si] gittava in quelle fosse e cuprivano a suolo a suolo, e così tanto che s’empivano le dette fosse, e poi facevano più fosse”. Lo ribadisce il cronista fiorentino Marchionne di Coppo Stefani: “Costava le panche, che si pongono a morti, uno sfolgoro, e ancora non bastava tutte le panche ch’erano il centesimo. Lo sonare delle campane non si potevano li preti contentare; di che si fece

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Kader Attia, The Repair from Occident to Extra-Occidental Cultures, 2012, materiali vari, dimensioni variabili. Exhibition view at dOCUMENTA (13), Kassel 2012.

ordine tra per lo sbigottimento del sonare delle campane e per lo vendere le panche e raffrenare le spese, che a niuno corpo si sonasse, né si ponesse panche, né si bandisse, perocché l’udivano gli ammalati, sbigottivano li sani, nonché i malati”.

CAPRI ESPIATORI E COMPLOTTI

Ma oltre al castigo divino c’era anche qualcuno che contribuiva al diffondersi della pandemia? Certamente sì, pensavano e pensano in molti. Nel Medioevo furono gli ebrei che nel 1348 vennero accusati di diffondere l’epidemia. Già nel luglio del 1348 a Vizille, non lontano da Grenoble, un gruppo di ebrei era stato processato perché accusato di avere avvelenato con polveri le fontane, i pozzi e i cibi dei cristiani. Il 6 luglio e di nuovo il 16 ottobre papa Clemente VI intervenne con

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Anche oggi c’è chi è convinto dell’esistenza di un complotto.

decisione contro la tesi del complotto, ricordando che anche gli ebrei morivano di peste e che l’epidemia si era propagata in regioni dove erano assenti. Ma l’ondata di violenza non si placò, anzi si allargò all’intera Europa e l’isteria collettiva massacrò, torturò, mandò al rogo migliaia di ebrei, nella speranza di arrestare il contagio. Anche oggi c’è chi è convinto dell’esistenza di un complotto. Ad esempio, c’è chi sostiene che il virus sia stato creato apposta nei laboratori e sia un’arma per la guerra batteriologica cinese; cambiando continente, al contrario, c’è chi è convinto che i laboratori siano negli Stati Uniti con biologi al lavoro per colpire la Cina attraverso un’arma assai più micidiale di dazi e tariffe, oppure ancora che le case farmaceutiche si siano messe d’accordo per diffondere il virus per poi guadagnare miliardi con i rimedi. Naturalmente


PANDEMIE E RIMEDI

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Peste di Giustiniano (area mediterranea) Bagni caldi per liberare il corpo dagli “umori” dannosi

MEDIOEVO

Lebbra Confinamento dei malati nei lebbrosari

FINE TRECENTO

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Peste Come narrato da Boccaccio nel Decamerone, chi ne aveva i mezzi abbandonò la città, cercando l'isolamento lontano dal contagio

Quarantena Nel 1423 a Venezia una intera isola fu destinata alla quarantena, in origine per i membri degli equipaggi contagiati. Fu istituito il Lazzaretto

1575

Epidemia di peste a Venezia Pimpinella, chiodi di garofano tabacco, incensi, teriaca (antidoto composto da carne essiccata di vipera) usati come strumento contro il morbo

1630

L'abito del medico della peste Messo a punto da Charles de Lorme nel 1619, l'abito, in uso a Venezia dopo la peste del 1630, è composto da una veste cerata, un cappello, un paio di guanti, una maschera con occhi di cristallo, oppure occhiali, un naso a forma di becco riempito di profumi e una lunga bacchetta

1796

Immunità e vaccini Edward Jenner avvia studi e ricerche con gli esperimenti sul vaiolo

Courtesy Galleria Continua. Photo © Ela Bialkowska

non mancano diete miracolose a base di origano o di aglio. Il complotto è un grande sollievo per una società impaurita perché la ricompatta, offrendo una strategia e una soluzione. Una volta individuato il capro espiatorio, lo si deve combattere e distruggere e certamente tutto il male si allontanerà. Oggi nessuno pensa più che le epidemie siano un castigo di Dio, ma un’eccezione c’è. Si tratta di un pastore della Florida, Rick Wiles, secondo il quale gli ebrei si ammalano di Covid-19 perché Dio li castiga per non avere riconosciuto in Cristo il Messia. La cosa grave non è tanto che questa sia la convinzione del predicatore, ma che i fedeli lo ascoltino, convinti. Come rimediare? Leggere, leggere, essere un po’ più colti ed esercitare il senso critico, ma costa fatica e invece è così facile e consolante credere alle fake news!

1918-20

Influenza spagnola Uso della mascherina, accurata pulizia personale, in particolare della bocca e del naso, lavaggio delle mani, vietati gli assembramenti, chiusura delle scuole, dei cinema e dei locali pubblici

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1423

1948

WHO Nasce a Ginevra la World Health Organization

1953

Terapia intensiva A Copenaghen inaugura il primo reparto di terapia intensiva in risposta all’epidemia di poliomielite. Lo ha istituito il medico Bjorn Aage Ibsen

Contact tracing Già in uso nell’Ottocento, si è evoluto via via con le nuove tecnologie, fino al PC e alle recenti app

fonti: CNR, Fondazione Querini Stampalia, Venezia, Fondazione Corriere della Sera

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Giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze in mostra a Vicchio

22.05 - 10.07.2021

Un’idea della Consulta degli Studenti

Inaugurazione Online ore 17.00

A cura di Cristian Biasci e Giandomenico Semeraro

Sedi espositive: Casa Giotto Casa Cellini Spazio Corso del Popolo Vicchio (FI)

Per maggiori informazioni consultare: bit.ly/VieDellaForma

Con il contributo di

RS A E Y FILTRI INST AG

RAM D'ART

GIULIO ALVIGINI MARA OSCAR CASSIANI

SOFIA BRAGA

FEDERICA DI PIETRANTONIO

CLUSTERDUCK

Sul profilo Instagram di Artribune a partire da maggio 2021 GIOVANNI FREDI

KAMILIA KARD

CHIARA PASSA

MARTINA MENEGON

VALERIO VENERUSO

#ARTRIBUNE10

ISTA


Green Deal for Cultural and Creative Industries Il contributo delle imprese culturali e creative europee allo sviluppo sostenibile Martedì 11 maggio 2021 dalle 9:30 alle 12:30 Registrazioni su www.europacreativa-media.it Il quadro finanziario pluriennale europeo 2021-2027 ha fissato un traguardo ambizioso per l’integrazione della crisi climatica in tutti i programmi dell’UE, stabilendo di dedicare il 25% della spesa dell’UE a sostegno degli obiettivi in materia di clima. Anche il Programma Europa Creativa contribuisce al raggiungimento di questo traguardo. D’altra parte la Cultura e l’Audiovisivo vanno intesi come agenti del cambiamento sociale e quindi anche delle problematiche legate all’ambiente, al cambiamento climatico, come pure al benessere delle collettività ad essi correlato. Il Creative Europe Desk Italy con la Provincia Autonoma di Bolzano organizza questo incontro con l’obiettivo di condividere le migliori pratiche esistenti nei due settori e mettere a punto strumenti comuni e standard green sul territorio.

AUTONOME PROVINZ BOZEN SÜDTIROL

PROVINCI A AUTONOMA DI BOLZANO ALTO ADIGE

PROVINZIA AUTONOMA DE BULSAN SÜDTIROL



ALEX URSO [ artista e curatore ]

A tre anni dal graphic novel Luna del mattino, Francesco Cattani (Bologna, 1980) torna in libreria con un’antologia di storie taglienti che conferma il talento di uno dei più grandi autori italiani. Cosa vuol dire per te essere fumettista? Da piccolo facevo l’attore, poi ho fatto il facchino ma volevo fare lo scultore. Ho iniziato a fare i fumetti per caso, credo sia colpa di un mio compagno di classe che stava in fissa con Dragon Ball. A quei tempi fare il fumettista non era così figo come ora, però mi sembrava la forma d’arte più nuova e potente.

L’illustrazione qui di fianco è tratta dal libro, giusto? Mi faceva ridere l’idea di un personaggio mitologico, tipo divinità con testa di animale, che usa i gesti della cultura pop contemporanea. Questo del pollice alzato, però, forse è un gesto da boomer… A tre anni da Luna del mattino (vincitore del Premio Micheluzzi come miglior libro), dov’è nato il bisogno di ripescare questi fumetti, e a quando risalgono? Sono fumetti nati per delle riviste uscite in edicola intorno agli Anni Dieci. Un anno fa sfogliavo quelle tavole con il mio amico Alessio Trabacchini e con Ratigher, e abbiamo capito che serviva pubblicarle tutte insieme. Notte Rosa è il reportage di uno stato di furia interiore.

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Da qualche mese sei in libreria con Notte Rosa: una raccolta di vecchie storie popolate da personaggi grotteschi, riferimenti alla cultura pop, alla società consumista e al mito. Me lo racconti? In queste storie il mondo razionale e l’inconscio sono mescolati seguendo una logica apparentemente illogica, un’intuizione di pancia. Un individuo può essere ispirato contemporaneamente da Goya, Walt Disney, Bach e Fabri Fibra? È come quando ti svegli e hai fatto un sogno incredibile, luminoso, e poi hai l’appuntamento dal commercialista!

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Francesco Cattani

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Il libro è una sorta di grande déjà-vu, e non solo per la carica onirica. Nelle storie sembrano comparire, seppure in maniera assai primordiale, accenni a temi e personaggi che avresti ritrovato nei tuoi libri successivi. Maschere e mostri sono i modi in cui ho interpretato alcune esperienze traumatiche. Ad esempio la sensazione di non avere il controllo della vettura in cui ti trovi durante un incidente l’ho immaginata come un bambino gigante, divino, che gioca con le automobiline, con la vita delle persone. In passato mi sono capitati incidenti grotteschi che mi hanno portato a vedere da vicino la morte. E quando tocchi la morte, si dice, diventi pazzo. Il disegno per me è una sorta di terapia. A volte un un po’ spaventa, ma è il canale più sincero con quello che ho dentro. In quasi vent’anni di cose ne sono cambiate. Dal punto di vista professionale quant’è stato utile il dialogo con il Francesco Cattani dell’epoca? E, più in generale, cosa innesca un tipo di confronto di questo genere? Generalmente non rileggo le mie cose ma sono contento di aver fatto quei disegni, è stato bello rivederli da spettatore. Crescendo le attitudini e i punti di vista si evolvono, ma ho dentro ancora tantissimi mostri e non vedo l’ora di disegnarli! francesco_cattani

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Labor Day Parade, New York City, 14 settembre 1918. Photo International Film Service

el suo semidimenticato saggio War and America, scritto nel 1914, a ridosso della Prima Guerra Mondiale, il più celebre psicologo d’America, Hugo Münsterberg, espone coraggiosamente le sue idee pacifiste. “Da parte mia vedo una sola possibilità”, dice, “la guerra potrebbe essere fermata solo se le sue condizioni fondamentali fossero volontariamente cambiate. Le guerre fra nazioni sono state lotte per conquistare territori o per privare altre nazioni del loro territorio. Le guerre internazionali scomparirebbero solo se le nazioni non possedessero i propri territori”. La sua presa di posizione è chiara, ma anche assai problematica poiché lui stesso, benché trasferitosi negli USA da vent’anni, era (e restava) un tedesco, legato alla sua cultura e alla sua patria d’origine. Ma proprio la sua situazione di intellettuale “de-territorializzato” è quella che gli permette di formulare un autentico “internazionalismo pacifista” a cui lui dà il nome di cosmocorismo. Per capire di cosa si tratti basta confrontarlo col cosmopolitismo kantiano: per Kant i confini esistono, e ciò che si invoca è il diritto di oltrepassarli liberamente; per Münsterberg il cosmocorismo significa la fusione totale dei territori e la scomparsa di tutti i confini, che, semplicemente, devono cessare di esistere. In altri termini, mentre per Kant l’uomo coincide con la propria azione morale, per lo psicologo esso è anche il prodotto dinamico delle idee che crea o subisce; se l’uomo dunque si liberasse dall’idea di essere definito dal suolo su cui è nato, le guerre scomparirebbero.

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Certo, in quei frangenti storici, pochissimi erano disposti a sostenere simili posizioni – tranne un artista francese, anch’egli “apolide”, che, pochi mesi dopo, nel 1915, su un quotidiano americano a grande tiratura afferma di ammirare quelli che combattono le guerre “con le braccia conserte”. Quell’artista pacifista era Marcel Duchamp. Non sappiamo se Duchamp e Münsterberg si siano mai conosciuti, eppure molte circostanze sembrano avvicinare questi due personaggi tanto diversi e tanto simili, tra cui il fatto che il termine “ready-made”, prima che Duchamp se ne appropriasse, era stato impiegato ripetutamente da Münsterberg in molti suoi libri. Ma c’è anche un altro elemento che avvicina Duchamp allo psicologo tedesco-statunitense, cioè la radicale dis-appartenenza culturale. Tra le tante avventure duchampiane, ce n'è una, meno nota, che va proprio in questo senso. Nel gennaio 1917, Marcel, con l’attivista Gertrude Drick, il pittore John Sloane e altri, salì nottetempo sulla sommità del Washington Arch, nell’omonima piazza a Manhattan, per proclamare la Repubblica Libera e Indipendente del Greenwich Village. Il gesto potrebbe passare per una mera goliardata, ma se si pensa che ebbe luogo appena prima dell’entrata in guerra degli USA (nell’aprile dello stesso anno), sembra piuttosto una sorta di “Not In My Name” ante litteram. Non solo. Nell’insurrezione “poetica” di Duchamp e soci si percepisce il riverbero dell’idea “cosmocorista” di Münsterberg: infatti, dichiarando l’“indipendenza” del Village dal resto degli States, i cospiratori della

Repubblica di Greenwich esprimevano il non senso di ogni appartenenza territoriale, e quindi il non senso di ogni conflitto nazionalista. Piccola nota: quando, nel 1964, Ugo Mulas si reca a New York e incontra anche Duchamp, quest'ultimo, con nonchalance, si fa immortalare con alle spalle proprio l'Arco di Washington. Se si pensa che da quella leggendaria nottata è passato più di un secolo, si resta quasi senza parole nel dover constatare quanto poco ci siamo distaccati dalla obsoleta idea di “territorio nazionale” a cui gli Stati, ancora in pieno XXI secolo, sono ancorati, o per meglio dire asserviti. Nel pieno dell’attuale pandemia tutto ciò a cui riusciamo a pensare è di chiudere dogane, confini, frontiere, e istituire visti, passaporti, permessi, come se non sapessimo che il virus, con ogni evidenza, se ne fa beffe. Ci troviamo così in un curioso paradosso: abbiamo edificato una civiltà planetaria basata sulla ripartizione dello spazio (terra, proprietà, Stato) solo per poi trovarci davanti a un nemico universale contro cui quella stessa suddivisione non può nulla. E se fosse giunto il momento di ripensare a un nuovo cosmocorismo?

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COSMOCORISMO POST-PANDEMICO testo di

MARCO SENALDI [ filosofo ] L




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