Il Giallo e il nero

Page 1

1 - Il Giallo e il nero – di Cesare Placida 1) Santa Prassede: una di quelle borgate dove il cemento l’ha fatta da padrone. L’antico colore della campagna romana è andato perduto e anche una luminosa giornata di sole è uguale al grigiore della monotonia della pioggia di un giorno autunnale. È quello che in genere viene definito un quartiere dormitorio. Tornavo in borgata dopo dieci anni; tanti n'erano trascorsi dal giorno del congedo dal mio servizio militare. Fu il ritrovamento quasi casuale di un vecchio ritaglio di giornale a riportarmi laggiù. Era un quotidiano della sera che dava ampio spazio a quella che in gergo giornalistico si usa definire “ la nera”. L’articolo, infatti, parlava di un omicidio di cui dirò più avanti nel corso del dipanarsi della storia. Una storia dove, oltre all’omicidio, aleggiavano, quali inquietanti presenze, strane e misteriose credenze popolari fatte lievitare con il più superstizioso e profondo terrore del mondo infero… E proprio per questo la storia diventa intrigante tanto da sentire il bisogno di scriverla nonostante che, dall’epoca dei fatti, siano ormai trascorsi cinquant’anni. Sì, mezzo secolo! Una vita! _____________________________ 2) Ero soldato. Avevo vent’anni. Prestavo servizio a Roma. Era il mese d’aprile e, almeno ai tempi della mia gioventù, Roma era bella durante il mese d’aprile. La mia caserma sorgeva sulla sinistra del finire di un lungo viale adornato, sia a destra che a sinistra, da due file di oleandri. Dopo la porta d’ingresso della caserma, il viale diventava un viottolo e, continuando, tra l’edera e la borragine, rapidamente assumeva l’aspetto di un sentiero. Poi dopo un Tabernacolo con dentro dipinta l'immagine di una Madonnina col Bambino, piuttosto bisognosa di un’amorevole operazione di restauro, anche il viottolo spariva tra il muschio e i fiori di campo. Insomma, per farla breve, si entrava nella campagna romana con il volto verso il tramontar del sole e, usando un po’ di fantasia, si poteva percepire lo sciabordio del mare. Una domenica, al momento della libera uscita, mi separai dai miei commilitoni e respirando a pieni polmoni, immergendomi in quella luce azzurra calda di sole, mi inoltrai lungo il viottolo. Raggiunsi il Tabernacolo e mi segnai con un rapido segno di croce. Un ramarro, forse allarmato dalla mia presenza, saltò da una siepe di rose selvatiche sparendo tra i cardi. Sentii un rumore nel cielo: un aereo di linea, volando in senso trasversale a me, veniva dalla parte del mare. Mi guardai intorno. Ero completamente solo. Un senso di inquietudine s’impadronì delle mie viscere. Avvertivo un timore, un senso di paura per un pericolo ignoto ma tuttavia presente. Lo percepivo come pronto a colpirmi a tradimento, alle spalle, per stendermi definitivamente a terra.


2 Di questo groviglio di sensazioni non riuscii a comprenderne il significato. Forse l’età non mi forniva i giusti strumenti di valutazione. È adesso, mentre stendo queste note, che ne comprendo appieno il significato. E concordo con uno scrittore dell’ottocento, di cui ora mi sfugge il nome, e con lui asserisco come quel groviglio di sensazioni, provocato dalla solitudine della campagna romana, simboleggi nella mente del viaggiatore la paura della morte. Morte che in quei luoghi, così pieni di luce e di sole, aveva, almeno in quel momento, la caratteristica dell’atipicità se non dell’assurdo e del grottesco. Continuai ad avanzare in mezzo a quella prateria. Il sole era sempre più caldo. Sudavo e mi sbottonai il giubbetto. Avevo sete. Più in là avrei trovato lo stabilimento d’imbottigliamento di una già allora celebre acqua minerale dove avrei potuto bere. Giunsi davanti ad un vecchio Casino. Era, tanto per onor di cronaca, una residenza estiva, una di quelle residenze o padiglioni di caccia i cui proprietari appartenevano a quella nobiltà che a Roma, così come nel Lazio, era indicata come nobiltà nera: ossia era il patriziato dello Stato Pontificio. Ma credo che sia il caso di tornare alla storia che mi ha messo in mano la penna e lasciar perdere questi fronzoli di pura erudizione buoni soli ad allungar la pagina. Davanti al vecchio Casino mi soffermai ad osservare il robusto portone. Doveva essere di noce. I pesanti portali recavano, direttamente scolpite sulla tavola originale, delle formelle raffiguranti delle scene agresti in stile neoclassico. In alto, sopra l’architrave che stimai realizzato in travertino tiburtino, un fine lavoro di scalpello aveva inciso una data: 1768. Ma quello, ad onor del vero, non rappresentava una sorpresa. La vera sorpresa arrivò dopo. Arrivò quando, svoltato l’angolo destro della facciata principale, mi si parò davanti una lapide, un epitaffio funebre. - Qui donna Aldisia di Roccalimonda, contessa Montarani,diletta sposa di Liutprando signore di queste terre, strappata agli affetti più cari da una misteriosa mano assassina, riposa. Anno Domini 1825.3) I resti mortali della contessa – supposi – non erano ovviamente murati nella parete ma certamente dovevano aver trovato ricetto alla stessa profondità delle fondamenta, magari un po’ più giù del pavimento. Tuttavia, considerato che il Casino era chiuso, non ebbi modo di verificare questa mia supposizione. Non potevo verificare nulla, quindi nemmeno l’esistenza di una cappella all’interno della costruzione. Si trattava, però, di particolari di dettaglio. La vera sorpresa era che lì dentro, all’interno di quelle rispettabili mura, era stato consumato un omicidio ai tempi del Papa re. “ Una misteriosa mano assassina” diceva la lapide. Ma diceva la verità? Magari il conte Liutprando, dopo aver scoperto una tresca adulterina della sua diletta Aldisia, consumato dalla gelosia aveva affondato l’affilata lama di un pugnale nel cuore della donna. La storia appena accennata dall’epitaffio mi stava prendendo la fantasia, però, avrei mai potuto conoscere la verità? L’attuale mia condizione non mi permetteva escursioni in biblioteche o archivi storici, avrei dovuto attendere tempi migliori. Lih, Morello! Lih! e l’uomo, un anziano contadino, tirò le briglie ma il mulo, anche se molto rallentato, continuava ad avanzare. L’uomo saltò giù dal carro. Lih, Morello! Lih! - e diede uno strappo alla martinicca. Morello ragliò verso il cielo e si fermò.


3 E allora soldato! perché non te vai in città? Roma è bella a quest’ora. – e dalla bocca sgangherata e quasi del tutto priva di denti risuonò una sonora risata. – Simpatico il vecchio – pensai. Smise di ridere. Dirai che sono un impiccione, vero? Be’…non proprio…direi che… Che sono un rompicoglioni… non dirmi che non lo pensi…- E giù di nuovo una sonora risata con quella bocca sgangherata. La cosa cominciava a seccarmi. Non riuscivo a capire cosa diavolo quel tizio volesse da me. E quel mulo imbecille! mi guardava con quei suoi occhi enormi quasi volesse trapassarmi, mentre con le orecchie dritte e con la coda intenta a scacciar le mosche lanciava un raglio festoso verso il cielo ad ogni risata del suo padrone. Di chi è questo Casino? – Chiesi al carrettiere. Che te ne importa, lascia perdere, vattene in città. Lo sai o no!, ribattei con una punta di stizza. Non scaldarti soldato, mica volevo offenderti. Qui si apre una volta all’anno, il giorno della trebbiatura, poi… E perché mai, eppure è un bel posto. Un bel posto, dici soldato!? Certo è bello e maledetto tanto che nessuno, dopo il calar del sole, tanto per fare un esempio, osa sostare vicino a quella lapide. Perciò ti dico di andare altrove…Qui si ascolta solo il silenzio della morte. Nemmeno la civetta e l’assiolo,quando la notte si fa più nera, fanno qui sentire il loro verso. E adesso voglio raccontarti una storia, tanto il tempo c’è e il sole è ancora alto, ma intanto camminiamo. Arri ah! Arri ha! Morello.- E fece schioccare la frusta. 4) Si racconta – cominciò col dire – che subito dopo la tumulazione di donna Aldisia, nonostante quel mese di maggio del 1825 fosse bellissimo, si ebbe una notte completamente senza stelle e senza luna. – Ritenni opportuno, a questo punto, interrompere per un attimo il mio interlocutore: Hai detto si racconta e mi parli di un bellissimo mese di maggio; da allora è passato più di un secolo, tu come fai a sapere queste cose? L’uomo questa volta non si lasciò andare nella sua solita risata. Accennò soltanto ad un rapido sorriso mentre dal taschino della camicia cavò fuori un pacchetto di sigarette marca Esportazione. Vuoi fumare? Be’, grazie, accetto volentieri. Fece una lunga tirata. Si riempì i polmoni di fumo che poi, pieno di soddisfazione, soffiò dentro le orecchie del mulo. Devi sapere – riprese mentre osservava la brace della sigaretta – che quanto ti sto raccontando lo seppi da mio nonno, il quale,a sua volta, l’aveva saputo da suo padre e adesso, per favore, non interrompermi più. Aveva ragione. Sempre fumando avanzammo lentamente e Morello tirava pigramente il carro. Dunque, ti dicevo, quella notte fu una notte senza stelle e senza luna. Buio di un buio pesto da potersi tagliare col coltello. Intorno era tutto un latrar di cani. Da laggiù, verso la marina, faceva eco l'ulular dei lupi. Le bestie nelle stalle erano come impazzite. In preda al terrore un cavallo saltò dallo stazzo e, come il vento, fuggì nel bosco.


4 La povera bestia fu ritrovata al mattino successivo con le prime luci dell’alba. Aveva il collo straziato da orribili morsi. Fu svuotata di tutto il suo sangue. Giaceva sulla spiaggia completamente asciutta per l’assenza dell’alta marea. E come furono spiegati quegli avvenimenti? Opera del diavolo, dissero, e rapidamente segnandosi evitavano di parlarne. La paura era tanta e quella buona gente, forse, aveva ragione. Così, almeno mi raccontava mio nonno. Era l’ora del tramonto e seguendo il mulo eravamo giunti nei pressi di una vecchia barriera daziaria. Più in là, dove la strada si allargava creando una specie di piazzetta, un’insegna di lamiera verniciata di rosso diceva: “ Da Gigi ar dazio, bar e trattoria”. Manco a dirlo il mulo, perfetto conoscitore dei luoghi e delle abitudini del suo padrone, filò dritto verso quel locale di infimo ordine. Entriamo. Mi disse il mio compagno di viaggio. Andiamo a berci una birra. Offro io! Sì! ma pago io. Senti – e, di botto, il suo volto si fece cupo. Mio figlio Alberto è alpino su nel Friuli e se qualcuno gli usasse qualche gentilezza a me non dispiacerebbe. Diavolo di un carrettiere! Aveva colpito giusto. Entrammo. Il locale, in realtà, era una vecchia osteria. Alcuni avventori, raccolti intorno a un tavolo unto e bisunto, giocavano un combattuto tressette. Finirono la mano e cominciarono i commenti. “ Dovevi calare l’asso di spade” – disse uno. “ Gli facevo in mano il tre” – rispose l’altro. “ No! il tre l’aveva lui ed era piombo mentre il due era in mano mia”. Gigi, due birre! Subito Arsenio! Subito! E trotterellando Gigi venne al nostro tavolo. Sembrava una figura saltata fuori da un vecchio almanacco. Statura media, una discreta pinguedine, due occhietti troppo vicini alla radice del naso, una testa ormai calva. E, per finire, quell'insieme carnoso era montato su una giacca che molti anni fa, ma proprio molti anni fa, doveva aver conosciuto il colore bianco ma lasciamo perdere. Comunque grazie a Gigi finalmente avevo saputo il nome del mio compagno di viaggio. Bevemmo avidamente il primo bicchiere. Avevamo sete. Era l’effetto del primo caldo e della lunga passeggiata. Avrai certamente incontrato il vecchio Tabernacolo? Mi chiese quasi a bruciapelo Arsenio mentre armeggiavo col pacchetto delle sigarette. Sì, l’ho incontrato. È piuttosto malandato, quasi cadente e non si capisce più a chi sia dedicato. Sei un ottimo osservatore e devi sapere che anche quell’affare malandato e quasi cadente – come l’hai appena definito – è legato alla morte della contessa Aldisia. Il curato di allora, la chiesa parrocchiale era un po’ più giù di dove ci troviamo adesso, al fine di porre termine ai terrori dei suoi fedeli fece erigere quell’altarino alla Vergine col Bambino ma fu tutto inutile: al calar del sole e subito dopo i rintocchi dell’Avemaria in queste terre calava un lugubre silenzio rotto solo dal feroce ringhiar dei cani… Ma se vuoi saperne di più vai da don Giovanni Guiducci giù a Santa Prassede e digli che ti mando io, Arsenio Tittoni della Confraternita del Santissimo Sacramento.


5 5) E il raglio di Morello pose fine alla nostra conversazione. Ma il fattaccio arrivò dopo. Era trascorsa una settimana e, spinto dalla curiosità, anche quella domenica ripercorsi quei luoghi cercando di saperne di più: m'illudevo. Della storia della nobile Aldisia e del suo gentil consorte, il Conte Liutprando, ne sapevo pochissimo. Decisi, quindi, di portarmi in Santa Prassede e chiedere di don Guiducci. Trovai il sacerdote che sotto l’ombra di un platano breviario tra le mani, recitava l’ufficio. Fu molto amichevole, accogliente, e nel sentire nominare Arsenio Tittoni si lasciò scappare un mezzo sorriso. Anche tu con questa storia, vedo che il buon Arsenio ha fatto un’altra vittima – e alzandosi dal sedile di pietra mi fece cenno di seguirlo. Vedi – mi disse sempre con il sorriso sulle labbra – prima d’infilarti dentro la storia di donna Aldisia e del Conte Liutprando è bene che tu prenda un caffè. Rimasi come interdetto e don Guiducci se ne accorse. No! niente di preoccupante! ma sei molto giovane e potresti rischiare di essere fuorviato dal mito che, facendo da pedana a quell’oscuro episodio di un secolo fa, potrebbe trasportarti, e qui sta la forza della superstizione, nel più nero profondo del mondo infero. Argia! Argia! Sono qua reverendo! sono in cucina! Bene Argia! bene! prepara un buon caffè, per me e per il nostro ospite. E così dicendo don Guiducci, m’introdusse in uno studiolo privato. L’ambiente era arredato in stile fratino. Ci accomodammo davanti una scrivania. Don Guiducci aprì un armadio e, salmodiando giaculatorie, ne trasse fuori un fascicolo dalla copertina arancione. Entrò Argia, la perpetua, una donnetta dalla testa canuta, lo sguardo sfuggente e molto avanti negli anni: i padri conciliari tridentini non avrebbero di certo potuto obiettare alcunché, la donna da un pezzo aveva superato l’età sinodale. Ecco il caffè – e posò sulla scrivania un vassoio con sopra una fumante caffettiera, due tazzine, i cucchiaini e la zuccheriera. L’aroma del caffè riempì lo studiolo. Era come tornare a sentire l’odore di casa e per un attimo i miei pensieri divagarono un po’ qua e un po’ là. Quanto zucchero? – La voce di Argia mi riportò a terra. Due cucchiaini, grazie.- Poi gli occhi della vecchia caddero sul fascicolo di donna Aldisio e il Conte Liutprando. Che Dio ci scampi! Nel nome del Padre… e biascicando litanie fuggì come inorridita. Ma, tutto sommato, era meglio sorvolare sulle paturnie della vecchia perpetua e infilare il naso dentro quelle antiche carte. 6) Donna Aldisia di Roccalimonda, nipote di Gottifredo boiardo dell’Illiria, sposa del Conte Liutprando Montarani, signore di queste terre e capitano della Guardia Nobile di Sua Santità, fu donna avida di lussuriosi e carnali piaceri tanto da essere raggiunta dall’ angelo della morte, che, come ladro nella notte, improvvisamente la raggiunse ponendo fine al suo precipitare nel melmoso pelago della lussuria. Morì tra gli stenti e atroci sofferenze, stati stuporosi e urla blasfeme, tanto che in molti pensarono ad un potente quanto sconosciuto veleno.


6 Il Conte Liutprando fu della sua morte sospettato e sottoposto ad esame dagli eminenti inquisitori ma la sua specchiata vita e la continuità nelle sante pratiche stornarono da lui ogni sospetto. Ma la morte di quella donna, adusa a navigar tra gli impetuosi flutti delle procellose acque del peccato, fu causa di persecuzione diabolica per le genti di questa contrada. Molte vite, come fiamme di candele al soffiar del vento, d’incanto e misteriosamente, improvvisamente si spensero. E il terrore del vampiro si diffuse per le campagne. Bisognava evitare il disordine, il caos diabolico, e don Remigio, curato in questa pieve di Santa Prassede, interessò la congregazione del Santo Uffizio. Fu aperto il sepolcro di quell’anima trista. Il cadavere, nonostante il fluire del tempo, non presentava segni di decomposizione. Teologi e archiatri insigni l’esaminarono. Unanime fu il responso: “ incantamento diabolico” e detto fatto, recitato l’ufficio dei morti, venne, sopra quei macabri resti, un Crocifisso di legno pregiato quale baluardo contro le forze del male. Nell’aria si diffuse un acre odore di zolfo. La gente cominciò a tremare. Il sacerdote asperse il tumulo con l’acqua santa. Si udì come un lamento e la polvere ridusse in polvere ciò che restava di quell’esecrando corpo. Più tardi fu cantato un Te Deum. Sarò sincero: mi scappò una piccola risata. Don Guiducci si compiacque della mia allegria e mi disse: Dunque tu non credi all’esistenza dell’Inferno e nei poteri del Demonio. Per crederci ci credo ma, mi scusi, non credo in certe cose… E fai bene, credere a certe cose è come bestemmiare. Sì, però la sua perpetua… Argia? Sì, lei. È in buona fede; è una povera ignorante, del resto, la storia l’hai appena letta, perché allora intervenne il Santo Uffizio con tutto il suo apparato? È vero, quel cadavere esposto all’azione dell’aria si sarebbe decomposto in ogni caso. Vedo che hai capito e adesso scusami ma è l’ora di recitare il vespro. 7) Il sole filava a precipizio verso il mare. Tornavo, rimuginando quanto avevo appena appreso, verso il vecchio Casino. Volevo saperne di più e,rigirando e giocherellando con i miei pensieri, speravo di trovare un modo qualsiasi per penetrare dentro quelle misteriose mura. Quella storia di vampiri si faceva sempre più intrigante. Era a dir poco affascinante, dotata di valenza magnetica quanto il ragionare a lume di candela, quando fuori più forte fischia la bufera, dell’esistenza o meno del principe delle tenebre; e così ragionando compresi che mi sarebbe piaciuto incontrare di nuovo il vecchio Arsenio. Ne ero sicuro, lui aveva la possibilità di entrare lì dentro ed inoltre, secondo me, non mi aveva detto tutto. Arsenio ne sapeva molto di più del fascicolo di don Guiducci. E in quelle antiche carte non c’era accenno alcuno al vecchio Tabernacolo mentre lui, Arsenio, anche se per sommi capi, ne conosceva l’origine. E il Santo Uffizio, nonostante tutto il suo suggestivo apparato liturgico, non riuscì a fugare il terrore dall’anima popolare. Cosa, quindi, al di là delle notizie del fascicolo arancione, era accaduto in quelle contrade? Arsenio doveva senz’altro esserne a conoscenza. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco, oppure, visto l’argomento, alle volte il diavolo ci mette la coda. Lo spazio antistante il vecchio Casino, generalmente deserto, era tutto un formicolar di persone. Era tutto un mormorio, un bisbiglio, un parlar sottovoce e tutt’intorno era un pullular di poliziotti.


7 È tornata! È tornata! È tornata dopo più di un secolo! Andava in giro esclamando un vecchio contadino. Una donna sui quarantacinque, ancora portatrice di una superba bellezza popolana, gesticolando con forza indicava l’ingresso della misteriosa costruzione. Guardai oltre quella folla scomposta, meravigliata, timorosa e sbigottita e vidi il portone principale che, come le fauci di un terrificante mostro di un fantastico bestiario, si spalancava avido quasi a voler ingoiare dell’umanità sconcertata. Mi feci avanti. Superai la folla. Una mano mi afferrò per una spalla. Fui costretto a fermarmi. Mi voltai: un tizio in borghese, in compagnia di un brigadiere di Pubblica Sicurezza, sorridendo ironicamente e con uno sguardo sornione mi squadrava da capo a piedi. Si qualificò. Era un commissario di polizia. Dove crede di andare soldato? Mi chiese con tono affabile. Vorrei vedere cos’è successo – risposi piuttosto intimidito. Lasci perdere e continui la sua passeggiata, ma, a proposito, come mai si trova qui? Vengo da Santa Prassede dove ho letto un’antica storia relativa a questo luogo…quindi volevo… Il commissario e il brigadiere sorrisero. Glielo ripeto, lasci perdere. Qui c’è stato un omicidio e per il momento nessuno può passare. Vada altrove e chiudiamola qui. Confuso e anche un pochino umiliato tornai sui miei passi. Un omicidio! che strano, veramente quello era un luogo pieno di misteri. Il giorno dopo, il lunedì, intorno alle venti, acquistai un quotidiano della sera. Era un giornale molto versato nella cronaca nera. Presi a sfogliarlo con avidità. La notizia era in quarta pagina. Giovane donna uccisa in circostanze misteriose. La Polizia indaga a tutto campo. - Un vampiro nella campagna romana Ieri, fuori città, in contrada…e verso la via del mare una giovane donna, più o meno dell’età di venticinque anni, è stata rinvenuta cadavere nell’aia del Casino Montarani. La sventurata, identificata quale Armida Piolini, esercitava il mestiere della sarta in Santa Prassede dove viveva con l’anziana madre. La gente del posto, forse ancora prigioniera di antiche superstizioni e ancestrali paure, parla di strani ritorni facendo rivivere l’antico mito del vampiro…La vittima è stata trovata distesa a terra con un piccolo foro sul collo all’altezza della carotide e, stando alla diagnosi a caldo del medico legale, quasi priva di sangue. Sorrisi. Che strana storia! e nella mia mente prese a risuonare il refrain di una canzonetta di quel periodo: “ Dracula, Dracula, Dra, cha1 cha! cha! cha! Vampiro dal nero mantello. Ripiegai il giornale e mi avviai verso la più vicina stazione della Metropolitana.


8 8) Cemento, asfalto e ancora cemento. Un agglomerato di palazzoni. Asfalto, ancora asfalto e cemento. Un gruppo di condomini dal colore grigio. Panni stesi ai balconi. Nugoli di ragazzini urlanti giù nei cortili. Questa, dopo un decennio, era Santa Prassede. Una borgata dove il mattone, il cemento e l’asfalto l’avevano fatta da padroni e del colore di un tempo poco o nulla più rimaneva. Solo l’antica barriera daziaria aveva resistito all’avanzare del cosiddetto progresso. Il bar Da Gigi ar dazio, almeno esteriormente, era, forse, di quel tempo, l’inconsapevole testimone. La sensazione che ne ebbi tornando lì fu quella dello sbriciolamento della memoria Entrai nel locale. Tutto era stato rinnovato e da sopra i tavolini era sparito quell’unto e bisunto che accompagnava quelle animate partite di tressette. Al bancone una bionda platinata sui trentacinque completava la scena. Dava il tocco finale aq quel senso di artificiale, oppure dei artificioso, che accompagnava nel suo itinere selvaggio quella forma di progresso basato sull’apparire degli uomini e delle cose. Buongiorno! e la bionda platinata, con quegli occhi pesantemente truccati, rispose, quasi annoiata, al mio saluto. Mi avvicinai al banco e ordinai un cappuccino e una ciambella. Il profumo della ciambella raggiungendo il cervello passando per le narici, mi evocava un senso di goloso piacere. Addentai la ciambella. La bionda, intanto, sfaccendava tra le tazzine e la macchina degli espressi e, risciacquando bicchieri e cucchiaini, approfittava per trafiggermi, dimostrando quasi un malcelato interesse, con le sue occhiate di navigata professionista della lusinga. Finii di sorseggiare il cappuccino. Addentai l’ultimo pezzetto della ciambella. Guardai l’orologio: le undici. Mi accesi una sigaretta. La bionda platinata approfittò del momento per chiedermi del fuoco: le passai l’accendino. Fumava con avidità. E attraverso l’azzurrognolo delle volute di fumo le sue pupille, quasi punte di spillo, continuavamo a trapassarmi curiose. Entrarono tre giovani borgatari. Vennero al banco rumorosamente muovendosi con un’aria svagata, piena di noia e di strafottenza. A Marì dacci tre bire disse il più intraprendente dei tre mentre la sua mano destra tentava di accarezzare il viso della donna. Secco, come l’esplodere del tuono, lo schiocco di una sonora sberla riempì il locale. Il giovane borgataro, massaggiandosi la guancia, sorprese e umiliato si allontanò dal banco senza spiccicare una parola. Fu la donna a parlare: Eccovi le birre, bevetele,poi filate via e ringraziate Iddio che non lo dica ar Gatto… Entrò Er Gatto. Un metro e novantacinque di muscoli montati su una massa di centoventi chili di peso. Naso da pugile e un grosso polipo nero tatuato sul dorso della mano sinistra. Ammazza che callaccia oggi Marì! e di botto si aprì il davanti della camicia. Una croce, una bara e una folla intorno al tumulo comparvero sul petto dell’uomo. Quest’altro tatuaggio non lasciava dubbi. Er Gatto era stato un ospite delle patrie galere. I tre borgatari alla vista di quel semovente umano se la squagliarono all’inglese. Nel locale rimanemmo in tre ma Mister Muscolo sembrava non far caso alla mia presenza. Girò dietro il banco. Maria faceva l’indifferente. Er Gatto si asciugò il sudore col dorso della mano destra. A Marì che callaccia! e rapido come un fulmine la cinse alla vita, le rovesciò la testa e appiccicò la sua bocca su quella di lei. La donna fingeva di schernirsi: Sta bbono Rena! Sta bbono a Renà! Ma che te pija? Renato si staccò da Marita e ridendo di gusto si servì una bibita fresca. Meglio andar via. Non mi andava di reggere il moccolo.


9 9) Tornai fuori. Faceva molto caldo. Er Gatto aveva ragione. Ciondolando, ciondolando arrivai sul sagrato della chiesa. Santa Prassede non aveva subito “ le amorevoli cure dell’uomo” e, nel complesso, tranne qualche piccolo intervento di manutenzione, era rimasta come allora. In alto, sulla facciata, proprio sopra il portale d’ingresso, era stato aggiunto un mosaico raffigurante la Santa in piena estasi mistica. E mentre riflettevo circa lo stile dell’opera vidi la sagoma di un prete, ormai abbastanza avanti negli anni, che, andando in su e in giù per il sagrato della chiesa, dava l’impressione di passeggiare distrattamente oppure assorto in qualche suo recondito pensiero. Mi avvicinai. La figura in abito talare muoveva le labbra. Le muoveva silenziosamente. Stava pregando. Mi feci più da presso e riconobbi don Guiducci. Buongiorno don Guiducci! – Dissi con tono rispettoso ma, nel contempo, allegro. Il sacerdote mi guradò interdetto. La sua memoria stava lavorando. Mi ricercava in un remoto scomparto di quell’archivio cerebrale che gli psicanalisti chiamano inconscio. Si avvicinò. Era completamente incanutito. Continuò ad avvicinarsi. Si fermò a due passi da me e inforcò gli occhiali. Ma non mi dica! Lei! Sì, io e dopo dieci anni da quella domenica. E cos’è che l’ha ricondotta qui in borgata? Non sarà mica ancora la storia di donna Aldisia e del conte Liutprando? Be’, in un certo senso, sì! la cosa è collegata. Cioè? Ecco…don Guiducci, vorrei sapere come andò a finire quella storia… l’omicidio di quella sartina… l’Armida Piolini…” Già, quella poverina! E perché lei ha tanto interesse a quel fattaccio? Mi aspettavo quella domanda e, al posto di don Guiducci, anch’io avrei usato la stessa cautela e sarei stato altrettanto prudente. Vede don Guiducci… quel fattaccio… come giustamente è stato definito da lei… accadde lo stesso giorno, la stessa domenica, della nostra conoscenza. Ma, a proposito, allora lei mi dava del tu, può continuare a farlo, a me farebbe piacere. Allora era un giovane soldatino, oggi è un uomo e questo suo interesse non è lo stesso interesse di dieci anni fa. Era abile il reverendo, sapeva porre le questioni sul tappeto ed io dovevo uscire da quella sorta d’anonimato in cui mi ero cacciato. Ha ragione, è vero, quello di oggi è un interesse professionale ed inoltre credo che quella povera donna non abbia avuto giustizia; e forse, in qualche modo, io, anche se postuma e di nessuna utilità, potrei fargliela ottenere. Caro don Guiducci quel soldatino di dieci anni fa oggi è un giornalista di provincia e si occupa di cronaca nera ed ha il vizio di scrivere di casi rimasti irrisolti… E adesso… decida lei… E quindi cerca lo scoop. Sarei un bugiardo se negassi questa verità. Il soldatino è diventato un uomo, un uomo anche abile, che, tuttavia, io credo profondamente onesto ma entriamo in casa e diamo inizio a questa inchiesta.


10 10 ) Don Guiducci, pur offrendomi tutta la sua collaborazione, m’aveva messo di fronte ad un caso di coscienza. Il caso della sartina andava trattato, riesumato, la verità cercata, però doveva essere evitata ogni tentazione scandalistica, il che significava evitare ogni tono piccante, ogni “ registro a luci rosse”. Entrammo nella casa canonica. Ci accomodammo nel solito studiolo. Don Guiducci si allontanò con un pretesto. Passarono alcuni minuti e il soave aroma del caffè invase l’ambiente. Di lì a poco, oltre all’aroma, arrivò anche il caffè. Fu lo stesso don Guiducci a servirlo e la cosa, in verità, mi sorprese un poco. E Argia, la perpetua! Non è più alle sue dipendenze? Argia, la buona Argia, ormai farà la perpetua ai Serafini…è morta due anni fa. Rispose don Guiducci dopo aver recitato una giaculatoria. Ammutolii mi ritrovai a riflettere sulla relatività della vita. ……………….. Oggi lei è mio ospite e resterà a pranzo da me. Cercai, forse senza troppa convinzione, di declinare l’invito. Oh, no don Guiducci! Mi sembrerebbe di approfittare! Non le recherò troppo disturbo? Non sia sciocco, Andiamo! Io vivo da solo e rompere questa monotonia da vecchio barbagianni non può che farmi piacere… Proprio perché è solo non vorrei esserle di peso. Suonarono alla porta. Don Guiducci si recò ad aprire. Ci fu uno scambio di saluti e qualcuno, accompagnato dal prete, filò spedito verso la cucina. Silenzio…Poi di nuovo uno scambio di saluti e il rumore del chiudersi dell’uscio. Don Guiducci fu di nuovo in mia presenza. Era raggiante e, anche se celato da un bonario sorriso, sul suo viso vi era stampato un sottile velo d’ironia. Il pranzo è già qui. Tra un po’ andremo a tavola. Intanto dia un’occhiata a questo. E dall’armadio a me già noto tirò fuori un grosso quaderno tutto pieno di ritagli di giornale. Legga! Legga! È la cronaca del fattaccio e per la sua inchiesta potrà essere molto utile. Quell’uomo, oltre alla vocazione sacerdotale, aveva la passione dello storico. Aprii il quaderno. Cominciai ad esaminare la serie degli articoli. Erano articoli di testate diverse ma una cosa li univa tutti: la leggenda del vampiro. Sotto certi aspetti l’omicidio della povera Armida Piolini passava in secondo piano rispetto a quella nota di folklore nero. Io stesso ricordavo certi commenti a caldo. È tornata! È tornata! – Diceva la gente, lì, al casino Montarani, nell’immediatezza del fatto. Un articolo parlava, tanto per rimanere nel “900, del ritorno del Convento di Satana e del Crowlay, il suo fondatore. Un altro ancora, più calato nel folklore e nelle antichità romane, parlava del fallimento della dea Carma che, avendo permesso l’ingresso in città dei vampiri, piangeva disperata per non essere più in grado di proteggere i bambini dalla sete di sangue di questi mostri. Per costoro, insomma, si era in pieno satanismo. E dell’indagine giudiziaria? Nemmeno una riga.


11 Soltanto un oscuro cronista di un giornale della sera accennò alla vittima, al dolore della madre, la signora Rosaria Minturni. Parlò, con cautela, con molta cautela, ad un possibile sospetto: un certo Eros Cortali già noto agli organi inquirenti. Ma don Guiducci interruppe le mie indagini cartacee. Mio caro amico andiamo a pranzo, sono le dodici e trenta. Su, andiamo! Interruppi la lettura e seguii il mio anfitrione. Entrammo in un sobrio soggiorno. Il desinare era già in tavola. Don Guiducci si segnò. Si mise a recitare il Pater noster. Mi unii alla sua preghiera. Fu lui ad iniziare il discorso. Avrà notato quanto la stampa fu avara di notizie. Disse. L’ho notato, come ho notato quel voler a tutti i costi scavare sulle superstizioni della gente senza tenere in nessuna considerazione la vittima e i suoi familiari. Soltanto un cronista ha fatto cenno ad un possibile sospetto e del dolore della signora Rosaria Minturni, la madre della povera Sartina. Don Guiducci mi guardò sornione continuando ad attaccare la pasta al forno. Quell’uomo decisamente riusciva a sorprendermi. Si servì da bere. Mi passò la bottiglia. Si serva tranquillamente. Non aspetti me. Io non sono il tipo che fa cerimonie a tavola. Sorrisi. Mi versai il vino. Era un frizzantino dei Castelli. Era un vino buono con la pasta, ottimo per accompagnare gli arrosti con buona pace dei manuali della buona cucina e del saper bere… E finalmente arrivammo all’amaro. Questo è un amaro dell’Abbazia di* , il frate erborista è un mio amico e ogni anno me ne regala una bottiglia…quando vado lassù per i santi esercizi… E porgendomi un astuccio di legno laccato mi offrì un sigaro di cui ora mi sfugge la marca.


12 11 ) L’aroma del tabacco si diffuse nel soggiorno. Don Guiducci era soddisfatto e mi guardava sorridendo mentre anelli di fumo azzurrognolo volteggiavano nel soggiorno. Sai che giorno è oggi? È il ventitré di giugno! Risposi piuttosto stupito. Appunto, quindi domani è San Giovanni e questa sera, in questa contrada, si accenderanno i falò. È un modo come un altro per ringraziare il Signore…Anche quest’anno la mietitura è stata abbondante. Ah, prima che mi dimentichi, lei dormirà nella stanza di sopra… Accettai di buon grado. Trovare una camera d’albergo mi avrebbe fatto allontanare dal luogo delle mie ricerche. Vedrà il falò del Casino Montarani… come al solito sarà il più bello, sarà il più grande. Il falò al Casino Montarani? Non si meravigli ma quel luogo, grazie al signor Rodani, un lontanissimo discendente del Conte Liutprando, sta tornando agli antichi splendori; quelle terre stanno tornando a produrre. C’è un solo punto nero… E don Guiducci, sbuffando il fumo del sigaro, s’interruppe un attimo. Sembrò incupirsi, poi riprese: L’ombra di quell’antica superstizione, nonostante il passare degli anni, è ancora presente nelle menti dei contadini. – Mi fissò intensamente e tacque. Non capisco – risposi. Ne parleremo più tardi e adesso – aggiunse – mi scusi ma devo ritirarmi… sa, l’ufficio… Di nuovo nello studiolo tornai alle mie carte. Mi soffermai a riflettere su quel tale… accidenti… come si chiamava! Ripescai l’articolo di quell’oscuro cronista. Sì, eccolo! Era un oscuro impiegato di un Ente Pubblico. Una figura scialba. Diceva il cronista: “ Eros Cortali, ragioniere, di anni ventinove, impiegato di gruppo C di un Ente Pubblico con sede in Via…, ebbe, tempo addietro, una relazione sentimentale con la vittima. Stando alle indiscrezioni di alcuni vicini di casa la relazione andò avanti, tra alti e bassi, per circa un paio d’anni, poi, alla luce della loro incompatibilità di carattere, i due misero fine al rapporto amoroso.” Il Cortali, quindi, avrebbe potuto avare un movente: la gelosia, la spinta passionale. No! qualcosa non quadrava, le modalità di quell’omicidio parlavano della follia di un maniaco. Un maniaco sessuale? Potrebbe essere possibile, ma bisognerebbe comprendere l’agire della pulsione sessuale, nonché il suo modo di eccitarsi ed esaurirsi, nell’ambito di una particolare follia maniacale assassina. L’indiziato, però, dimostrò di avere un alibi. Due suoi amici testimoniarono che Eros Castaldi, quella domenica, era in loro compagnia durante una gita ad Assisi. Si trattava di una gita organizzata da un piccolo circolo ricreativo: Il ritrovo per te era il nome. Il Pullman era stato alla Caravan Viaggi e Turismo S.p.A. L’alibi si dimostrò attendibile e sempre lo stesso articolista mesi dopo scriveva: “ Eros Cortali è innocente. È ancora sconosciuto l’assassino di Armida Piolini. Gli inquirenti di nuovo nel buio”. Tirai le somme: un indiziato con un possibile movente. Due testimoni e una gita sociale ad Assisi. Decisamente quello era un caso complicato. Eros Cortali andava senz’altro rintracciato. Era un elemento utile per il mio lavoro, quindi dovevo intervistarlo. Mi mancava però il suo indirizzo. Le cronache giornalistiche non né facevano menzione. Forse la madre della vittima, la signora Rosaria Minturni, avrebbe saputo dirmi come rintracciare l’uomo. Dovevo parlarne con don Guiducci. Il sacerdote, del resto, aveva il mio stesso interesse, tanto che con certosina pazienza aveva raccolto quanto sul caso era stato scritto. ………………………..


13 E fu sera. L’autovettura di don Guiducci lungo una strada a me sconosciuta. La striscia d’asfalto si snodava tra due filari di pioppi. Lateralmente strisce di giallo colpite dalla luce della luna mostravano tutta l’ampiezza dei campi di stoppie. Il grano era stato mietuto da poco. Girammo sulla destra. Un vasto piazzale si aprì davanti a noi. L’auto varcò un cancello. Don Guiducci posteggiò di fianco ad un silos. Spense il motore. Scendemmo: eravamo nell’aia del Casino Montarani. Qui, dieci anni prima, era stato rinvenuto il cadavere di Armida Piolini. Il signor Rodani, con aria festosa, corse incontro a don Guiducci. I due si strinsero la mano. Venga don Guiducci, venga al tavolo dei panini, abbiamo dell’ottimo salame e dell’ottimo prosciutto…tutto di nostra produzione. Don Guiducci accetto l’invito con un gesto del capo. Poi, come per arrestare la valanga di parole del padrone di casa disse: Mi permetta, signor Rodani, di presentarle un mio amico, il signor…è un giornalista… Ma con piacere! Con piacere! E immediatamente mi tese la mano. Qua e là, intanto, brillavano, dove pallidi, dove vividi e crepitanti, i fuochi di San Giovanni. Subito dopo tra scintille barbagli e prepotenti lingue di fuoco si alzò al cielo l’imponente falò del Casino Montarani. Furono distribuiti i panini e cominciò a girare il fiasco. Le note di un organetto, moltiplicando l’allegria, si librarono nell’aria. Una voce di donna intonò uno stornello mentre alcune coppie, giovani e meno giovani, si esibivano in una tarantella. E così dovrà tenersi lontana, disse una voce dietro di me. Aldisia di Roccalimonda non potrà più nuocere, rispose un’altra voce. Feci per voltarmi ma la mano di don Guiducci mi costrinse, stringendomi il braccio, a restare immobile. Ricordati il fascicolo arancione e il Santo Uffizio, mi sussurrò con un filo di voce. Il falò crepitava e le sue fiamme salivano sempre più su, mentre alcuni uomini provvedevano al suo governo. L’aia, ormai gremita di ballerini, si era come animata nell’esecuzione di un travolgente saltarello. Il fiasco, intanto, continuava a girare. Seguivo l’evoluzione dei danzatori e seguivo il girare del fiasco, ma, in realtà, la mia mente divagava. Quelle voci che avevo udito dietro di me mi facevano pensare ad un possibile scenario dell’omicidio. Tuttavia la mia era un’ipotesi azzardata; tendeva all’assurdo e, tra l’altro, priva di un qualsiasi riscontro: tanto sul piano teorico che su quello pratico. Fu don Guiducci a scuotermi da queste riflessioni. Si era fatto tardi e bisognava rientrare. Eravamo di nuovo in macchina. Intorno a noi, al di qua e al di là della strada era tutto un risplendere di falò, era tutto un turbinar di scintille. La luna era alta nel cielo e i pipistrelli intrecciavano disordinati arabeschi tra il profondo blu della notte e il rosseggiar delle fiamme dei fuochi.


14 12 ) La macchina avanzava nella quiete notturna. Il viale alberato era quasi giunto alla fine. Tra un po’ ci avrebbe ingoiato il traffico della provinciale. Fui io a rompere il silenzio. Non ricordavo dell’usanza dei fuochi di San Giovanni dissi mentre l’ultima serie di pioppi filava via veloce. Infatti non è un’usanza del luogo. A San Giovanni, qui da noi, si mangiano le lumache e non si accendono i falò. E allora? È stato il signor Rodani ad introdurre la tradizione. L’ha fatto a ragion veduta vista la paura della gente a tornare su quell’aia. Del resto ha sentito quelle frasi. Con questi falò i vampiri si terranno alla larga dal Casino Montarani e dalle terre della tenuta e tutti potranno lavorare in tranquillità. Non dimentichi mai il potere coartante della superstizione. Ho capito cosa intende dirmi don Guiducci, ma da dove spunta fuori l’idea del fuoco? È una tradizione dei popoli slavi e balcanici innestata su un antico culto solare. Il sole è la luce e la festa di San Giovanni è nel pieno del solstizio d’estate. Il sole s’avvicina alla terra e trasmette, tramite la sua luce per l’appunto, la sua forza vitale, la sua energia e il vampiro è una creatura infernale e quindi notturna. Teme il sole e la sua energia. Donna Aldisia aveva le sue origini nelle terre dell’Illiria e il signor Rodani, di conseguenza, ha pensato bene di combattere una tanto orrida superstizione con le medesime armi della tradizione ma, e qui l’uomo ha mostrato la sua intelligenza, aggiungendovi l’impronta della fede. Già, l’acqua santa fa paura al diavolo, vero? È vero ma, come ha avuto modo di constatare, non basta. Eravamo di fronte all’ingresso della chiesa. Scendemmo dall’auto. La notte era calda e la borgata era avvolta nel silenzio. Fuori si stava bene. Ci concedemmo una sigaretta al chiaro di luna. …………………………… 13 ) L’abitazione di Eros Cortali, un appartamento al quarto piano in un anonimo grigio condominio, era avvolta nella più completa penombra. Le tapparelle abbassate e le tende alle finestre impedivano alla luce del sole di entrare dentro quelle mura. Lui, Eros Cortali, con il viso non rasato da almeno tre giorni ci si presentò davanti spettinato e vestito in modo molto sommario. Nell’insieme dava al visitatore un senso di sporco, di trascuratezza, di abbandono e di nessuna cura della propria persona. Insomma, per farla breve, si poteva definire una persona sgradevole. Si trascinava tra una poltrona sdrucita e un tavolo sul quale, quasi fossero oggetti di culto, giacevano una bottiglia di cognac e un bicchiere. Alcune mosche, rimaste forse imprigionate entro quella specie di cripta, svolazzavano intorno ronzando. E ronzando fastidiose planavano a turno sui residui alcolici depositati sul fondo del bicchiere. L’odore di chiuso e quello ancora più acido del sigaro completavano l’ambiente. Ciao Eros!, don Guiducci accompagnò il saluto con un cenno della mano. Ciao e chi è questo signore? Non ti preoccupare è un mio amico; vuole conoscerti; vuole parlarti. Eros si rivolse verso di me e con un tono di voce piuttosto pigolante mi chiese: C’è nebbia fuori? Il piede di don Guiducci colpì leggermente la mia caviglia sinistra. Avevo capito, dovevo stare al gioco. Be’, sì, c’è nebbia ma credo che tra poco si alzerà. .. Ci penserà il sole. Il sole non c’è più, è partito, è andato via…, ma tu cosa vuoi da me? Scambiai un’occhiata d’intesa con don Guiducci. Mi trovavo di fronte ad un dissociato e sarebbe stato complicato l’intervistarlo.


15 La nebbia e il sole sembravano essere le sue idee fisse. L’oscurità e la luce erano le sue ossessioni che, con tutta probabilità, lo separavano dal mondo, quello vero, per esiliarlo in un mondo irreale e impossibile esistente soltanto nella sua mente. Poteva costui aver compiuto un omicidio? Non sapevo rispondermi ed inoltre c’era la testimonianza dei suoi amici. Ma qualcosa mi diceva di continuare per quella strada. E il mio amico sacerdote mi diede una mano. Ti ricordi, Eros, di Armida, Armida Piolini? Armida, Armida, è partita Armida. È partita e non torna più. Io le voglio bene mentre lei non me ne vuole… Tacque di colpo fissando la parete di fronte. Segui quello sguardo e fui attratto da una pila di libri sul pavimento a ridosso del muro. C’erano libri d'anatomia, medicina e chirurgia insieme a volumi sulle religioni, il demonio e il vampirismo. Interessante. Forse nella mia mente si stava delineando un altro possibile scenario. L’omicidio di Armida Piolini non era un omicidio immotivato. Il suo movente era un qualcosa di subdolo e di sottile maturato nella mente di uno psicolabile spinto da una pulsione sessuale deviante. Quindi Armida è partita, dissi, sì, è partita ma io non volevo che partisse. Io le volevo bene. In sostanza Eros Cortali, tra il conscio e l’inconscio, aveva confessato il suo delitto. Adesso si trattava di trovare il modo di far rimettere in moto l’ingranaggio della giustizia. Bisognava, però, aggiungere al mosaico qualche altra tessera. Quella tessera andava cercata fuori di lì. Feci un cenno a don Guiducci. Prendemmo congedo dal padrone di casa e fummo sulle scale. ……………………… 14 ) Lei ha un’idea ben precisa!, e don Guiducci mi lanciò un’occhiata di fuoco. Aveva ragione. Avevo tradito la sua cortesia e la sua disponibilità. Non gli avevo palesato i miei pensieri. Ha ragione, ma ho agito in perfetta buonafede ed ora mi ascolti e, se può, senza interrompermi. Alla buonora! avanti, mi dica! Dunque, don Guiducci, il caso della sartina, come lei sa, fu archiviato. La formula fu quella di rito: omicidio a carico d’ignoti. Saltata l’imputazione di Eros Cortali gli inquirenti si ritrovarono con un pugno di mosche in mano. Essi non furono in grado di entrare nella psicologia di quel delitto e, per logica conseguenza, in quella dell’assassino. A questo punto, nonostante la mia raccomandazione, don Guiducci, con un cenno della mano, mi interruppe. Ma lei come fa a dire tutto questo e come c’è arrivato. Non volendo il prete mi aveva offerto il modo per prendere una scorciatoia. Non ho difficoltà ad ammettere, don Guiducci, che lei mi ha fornito un notevole aiuto e spunti di riflessione. Io! Come e quando? Ma con il farmi assistere ai fuochi di San Giovanni ed a farmi riflettere come sia difficile scardinare dalla testa della gente una superstizione. Eros Cortali fa parte di questa stessa gente e non ci vuole uno psichiatra oppure uno psicanalista per capire la sua psicolabilità Quell’uomo è un depresso melanconico e in quanto tale facilmente influenzabile. Un ottimo terreno per seminare l’idea del vampiro.


16 Ricorderà che la vittima fu trovata quasi dissanguata e con un forellino alla carotide e, inoltre, bisogna ammettere che l’autopsia fu condotta in maniera molto superficiale. Una personalità come quella del Cortali, prescindendo dallo stato di frustrazione in cui versa ora, è capacissima di manipolare i fatti e le situazioni, fino ad ottenere una testimonianza favorevole, magari anche usando qualche forma di violenza o di ricatto. Poco fa ha confessato il suo delitto. Delitto che nella sua mente è sospeso tra l’esistere e il non esistere, non è nel tempo e non è nello spazio. Lui l’amava, amava Armida e voleva fermarla, ma lei, al contrario, ha preferito andarsene, ha preferito partire e lasciarlo solo con i suoi incubi che lo inducono costantemente a interrogarsi sulla sua effettiva capacità di amare. Feci una pausa e presi una sigaretta. Don Guiducci ne approfittò e dotato com’era di senso pratico mi chiese ragguagli circa la scena del crimine. È chiaro, iniziai, per me non ha agito da solo e i due testi compiacenti sono i suoi complici. La donna è stata uccisa altrove e trasportata sull’aia del Casino Montarani. Avrà notato i libri accatastati sul pavimento. Ha visto testi di medicina, anatomia, sul demonio e sul vampirismo. Il suo male era da tempo giacente nel suo cervello e la rottura del fidanzamento fu il momento scatenante. Tirarle via il sangue è stato l’appagamento del suo appetito sessuale mentre una credenza falsa e bugiarda fu il condimento di tutta la tragedia. Ora dobbiamo verificare per quanto ci sarà possibile questa mia teoria ed inoltre trovare un particolare oggetto nell’appartamento di Eros Cortali… Ho capito! basta così! adesso pensiamo allo stomaco… Il riposo pomeridiano fu rotto dall’ululato delle sirene. Sul sagrato della chiesa era un rincorrersi di voci…Cos’è successo?. Chiese don Guiducci affacciandosi dalla finestra. Si è impiccato Eros Cortali!, rispose una voce di donna. Bingo!, esclamai sottovoce.


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.