C'era una volta... Mereto di Tomba

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C'era una volta‌ Mereto di Tomba

C'era una volta‌ Mereto di Tomba Walter Mario Mattiussi con i disegni dei bambini della scuola primaria di Pantianicco

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C'era una volta‌ Mereto di Tomba

Con il patrocinio di

Comune di Mereto di Tomba

Istituto Comprensivo di Basiliano e Sedegliano

E il contributo di Banca di Credito Cooperativo di Basiliano

Proloco di Pantianicco

Cooperativa sociale Itaca

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Ai piccoli abitanti che, leggendo queste storie domani diventeranno orgogliosi cittadini.

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C'era una volta… Mereto di Tomba

Introduzione

Tutti desiderano conoscere le proprie origini e le sue vicende storiche; inoltre è importante essere al corrente della realtà dove uno abita perché, come ha detto Fëdor Dostoevskij, “non si può amare ciò che non si conosce” ed è nell'infanzia che si creano i presupposti perché ciò avvenga. Per questo motivo è importante il progetto "C'era una volta… Mereto di Tomba" che prevede l'inizio, già da piccoli, del percorso dell’ascolto e della lettura della nostra storia locale in modo semplice e spiritoso. Queste pagine, scritte da Walter M. Mattiussi, contribuiscono nell'impresa di scoprire gli eventi centrali della vita del nostro comune dove i principali protagonisti della sua "storia nella Storia" sono uomini e donne - nostri avi- che, con una costante tenacia, danno vita a piccole "favole" raccontate in ogni pagina. Leggendo queste pagine scopriamo contributi preziosi sulla vita straordinaria e unica della nostra gente ed è fondamentale per aumentare la propria cultura che permetterà alle future generazioni di conservare la memoria e comprendere meglio il presente di queste “terre di Mezzo” friulane. il Sindaco Andrea Cecchini

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C'era una volta… Mereto di Tomba

Il Progetto Questa pubblicazione dal titolo “C’era una volta ... Mereto di Tomba” costituisce la testimonianza di un progetto che ha coinvolto tutte le classi della Scuola a Tempo Pieno di Pantianicco nell’anno scolastico 2012-2013. Tale percorso è inserito nel Progetto “Crescere a Tempo Pieno 2”, finanziato dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia con i fondi destinati ai progetti speciali per l’arricchimento dell’offerta formativa delle Istituzioni Scolastiche. Con l’unione degli Istituti di Basiliano e Sedegliano, tale progetto coinvolge anche l’Amministrazione Comunale di Mereto di Tomba, che sostiene e promuove la Scuola Primaria a Tempo Pieno di Pantianicco, una realtà scolastica che giorno dopo giorno mi sta dimostrando di essere attiva, dinamica e disponibile a collaborare in percorsi educativi che arricchiscano le giornate “a tempo pieno” dei bambini che la frequentano. Ed è proprio in questo contesto che è stato accolto il progetto “C’era una volta... Mereto di Tomba”, con l’obiettivo principale di diffondere la cultura, la conoscenza dei personaggi e delle storie di questo comune e dei dintorni, dentro l'ambito scolastico. Agli alunni della scuola primaria sono state raccontate le storie del Comune in modo divertente e con un linguaggio semplice e adatto alle loro età. I disegni realizzati successivamente dai bambini hanno creato un legame unico con la narrazione scritta. Tutte le insegnanti della scuola hanno aderito al progetto, concordando con l'esperto Walter Mario Mattiussi gli argomenti da cui trarre le storie: un modo stimolante per far conoscere il territorio di Mereto di Tomba ai suoi residenti più piccoli. Sono certo che questa pubblicazione sarà un motivo di grande soddisfazione per i 137 alunni che si sentono i veri protagonisti della sua realizzazione, ma anche per le insegnanti della Scuola di Pantianicco, consapevoli di aver offerto ai bambini un’opportunità di conoscere il proprio tessuto culturale. Maurizio Driol Dirigente Scolastico Istituto Comprensivo di Basiliano e Sedegliano 6


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Storie contenute nel libro Introduzione e Progetto Ai giovani lettori La tomba di Mereto Il castelliere I Romani e la mela friulana La cortina di Pantianicco ed i Turchi La Madonna di Sterpo Il sacerdote archeologo La vicinia Stagni e canali Il pozzo I mulini d’acqua Il mondo dei contadini La scuola ai tempi dei bisnonni Il campanile Le processioni in campagna I forni rurali I bachi da seta I gelsi Il primo trattore Le osterie e trattorie Il paese degli infermieri Boscaioli e falegnami Il norcino Sarte, calzolai ed altri mestieri L’alluvione del torrente Corno La fede di Concetta I dondatori di sangue La lotta contro l’irrigazione a pioggia La fabbrica ed i nuovi tempi La Festa della mela Bibliografia, sitografia e autori 7

pag. 4 pag. 6 pag. 9 pag. 12 pag. 15 pag. 18 pag. 22 pag. 25 pag. 27 pag. 30 pag. 34 pag. 38 pag. 41 pag. 45 pag. 49 pag. 53 pag. 55 pag. 57 pag. 59 pag. 61 pag. 63 pag. 65 pag. 68 pag. 71 pag. 73 pag. 76 pag. 79 pag. 81 pag. 83 pag. 86 pag. 88 pag. 91


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Ai giovani lettori C’era una volta… e c’è oggi un Comune, il nostro! Si chiama Mereto di Tomba e si trova nella zona conosciuta come Medio Friuli o Terre di Mezzo nella regione Friuli Venezia Giulia. Pur essendo piccolo, è composto da sei frazioni: Mereto, Pantianicco, Plasencis, San Marco, Savalons e Tomba. Il nome è formato da due parole molto significative: Mereto deriva da Melareto, che indica “luogo dove si coltivano le mele” e Tomba viene da Tùmbare nome con il quale si conosce un antico sepolcro presente nelle nostre campagne.

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Mereto di Tomba è ricco di storie da raccontare e, una volta conosciute, sarebbe bello andare a vedere con i propri occhi i posti dove queste sono accadute, magari con la bicicletta attraverso le strade che si trovano in mezzo ai campi. Eccola lì la Tùmbare , o la chiesa di Sterpo , o a fine settembre la Festa della mela , più in là c’è il castelliere e il Mulin di Marchet e dall’altra parte scorre il torrente Corno e tanto altro ancora. La zona era già abitata in tempi molto antichi dai Celti ed altri popoli; fu colonizzata dai Romani che iniziarono a piantare alberi di mele però dopo arrivarono anche i barbari dell'est che distrussero tutto. Allora il patriarca della città di Aquileia diede l’ordine di ricostruire i villaggi protetti da muraglie chiamate cortine.

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E di nuovo giunsero gli invasori, questa era volta erano i Turchi, che bruciarono tutto. CosÏ questa terra, lavorata da generazioni e generazioni di contadini con tanto sacrificio, divenne molto povera. Non bastava per dare da mangiare ai nativi quindi molti andarono lontano, in altre nazioni, a cercare lavoro. Dopo un secolo arrivarono le fabbriche, i trattori e questa zona diventò ricca e tante famiglie decisero di venire ad abitare qui. Questo è un piccolo riassunto delle storie che si raccontano nelle pagine successive, mi auguro che attraverso la sua lettura riusciate a capire meglio le persone ed i posti dei nostri paesi e ad amarli e rispettarli. Buona lettura!

Walter M. mm 10


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La Tùmbare C’era una volta, una Tùmbare. “Ma che cosa è?”, direte voi. È una costruzione che si trova in campagna vicino al paese di Tomba e sembra una piccola collina alta quasi sette metri, se passi veloce con la macchina forse non la vedi, ma è lì da tantissimo tempo, sebbene prima fosse molto più grande. Sapete, è così importante che è riprodotta sullo stemma del comune. Queste strutture erano tombe sparse in tutta la pianura friulana quando l’uomo ancora non utilizzava la scrittura. Il monumento del nostro comune sembra essere stato costruito da molte persone nel corso di tanti anni. All'inizio era una piattaforma di grossi ciottoli utilizzata anche per rituali. Col tempo anche i Romani decisero di seppellire le ceneri di un personaggio importante.

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Tuttavia il ritrovamento più significativo fu fatto dagli archeologi dell’Università di Udine nel 2008. Una mattina, mentre scavavano e separavano i sassi dalla terra, dopo aver spostato quasi mezza collina, qualcuno scoprì un teschio e subito dopo uno scheletro alto un metro e mezzo. Decisero di battezzarlo “Rovul”, perché il cognome Della Rovere è molto comune nella zona. Il sepolcro di Tomba fu riconosciuto come uno dei più antichi della nostra Regione e dell’Italia. Gli studiosi si resero conto che "Rovul" era vissuto quattro mila anni fa, quando era il capo del suo villaggio. I suoi denti erano consumati perché mangiava grani mal tritati e aveva 17 anni quando morì per una malattia. 12


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Il suo popolo chiuse la sua tomba con argilla e sassi e, nei secoli successivi, come abbiamo detto prima fu costruita la collinetta da tante persone che si recavano sul posto. Oggi, lo scheletro originale si trova a Udine, però una copia si trova nello spazio dedicato dal comune a questa ed altre scoperte realizzate nel territorio. Grazie ad una rampa che gira a chiocciola oggi possiamo salire sulla cima della TÚmbare ed avere cosÏ una visione completa della campagna e delle montagne, magari come era consentito avere alle genti che ci precedettero in questa zona.

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Il Castelliere

Tanto tempo fa quando queste pianure erano fitti boschi, e nel frattempo in Egitto iniziavano a innalzare le piramidi, da queste parti gli uomini abitavano in piccoli villaggi fortificati chiamati "castellieri". I castellieri erano circondati da alte muraglie fatte da terrapieni di ghiaia; avevano anche una palizzata di tronchi alta sei metri ed un fossato. A nord di Savalons, in mezzo ai campi troviamo quello che rimane di uno di loro, cioè i rialzi che oggi riparano campi di mais. In precedenza in quel posto c’erano delle case costruite con una base di sassi e sopra di esse legno. I suoi abitanti 14


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sapevano come lavorare la pietra ed i metalli e riuscivano a fare coltelli, spilloni, spade, aghi e falcetti che usavano per difendersi e cacciare animali selvaggi. Erano anche agricoltori e allevavano mucche, capre, pecore e maiali. Le donne lavoravano l’argilla per creare vasi e pentole usate in cucina per preparare i cibi, mangiare, bere ed anche per conservare gli alimenti. Confezionavano i loro vestiti con delle stoffe tessute in grandi telai costruiti con rami che consentivano di tessere la lana, alla fine venivano completati con la pelle degli animali. Probabilmente, commerciavano e scambiavano prodotti con altri castellieri vicini, come quello di Sedegliano.

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Qualche secolo dopo arrivarono i Celti, una popolazione che già si trovava in altre parti d'Europa e che da noi fu conosciuta con il nome di Carni. Questi si unirono ai popoli locali e insegnarono a fondere e lavorare altri metalli, come l’argento.

D’accordo con la teoria di certi studiosi, i nomi di alcuni paesi nei quali la maggioranza dei suoi abitanti era di origine celtica, in italiano terminano in “icco”, o in friulano in “ìns”, allora forse Pantianicco, fondato dai Romani aveva abitanti Celti? Purtroppo, come successe in altre occasioni, con l’arrivo dei soldati di Roma i castellieri furono abbandonati ma questa sarà la prossima storia. 16


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I Romani e la mela friulana

Col desiderio di ingrandire il vasto territorio i Romani arrivarono in Friuli dove furono costretti a lottare contro i Carni. I quali una volta sconfitti dovettero accettare le leggi di Roma. A quell’epoca la campagna del territorio comunale non era come la vediamo oggi: c’erano tanti boschi attraversati dalle vie che partivano da Roma per raggiungere l’Austria; alcune di loro molto piccole. I Romani divisero i campi in terreni regolari e rettangolari, più o meno come oggi ci é consentito vederli , costruirono pozzi che servivano per portare l’acqua nelle coltivazioni e nei piccoli villaggi che iniziavano a formarsi 17


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grazie all’unione delle popolazioni locali con i coloni venuti da Roma. Questo periodo è molto importante anche perché le tracce di tutto quello che state leggendo vengono spesso scoperte dai contadini mentre arano i campi. Infatti si sono trovati vecchi frammenti di pavimenti, spille, monete, anfore e urne in pietra. I bisnonni raccontavano di un uomo che mentre arava un piccolo pezzo di terra trovò oggetti di valore d'epoca romana e, invece di consegnarli alle autorità per portali in un museo, tornò di notte e li portò via di nascosto; con la sua vendita divenne ricco, poté riparare la sua casa e comprare dei campi. Torniamo ai tempi dei Romani... in quel periodo i villaggi presero i nomi del proprietario in possesso dell’area. Così nacque dal signore Pantilianus, Pantianicco; Plasencis da Placentia; Savalons dalla lingua latina “sabulum”, cioè sabbia e Mereto da “Meleretum” o “Melaretum”, che vuole dire bosco di meli.

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I coloni Romani capirono che il sole, l’aria e la terra da queste parti erano molto favorevoli per l’agricoltura e iniziarono a coltivare diversità di piante, ad esempio gelsi e meli.

Durante l’estate le mele venivano raccolte da tante persone e trasportate con carri fino a Roma dove erano molto apprezzate per la loro qualità. Col passare del tempo, questa frutta iniziò ad essere usata anche in cucina. Così furono creati tanti piatti tipici che tuttora possiamo degustare come le frittelle di mele che durante la Festa della mela di Pantianicco. Dopo il periodo romano il Friuli soffrì diverse invasioni di altri popoli che, al posto di creare e portare benessere, distrussero tutto e la coltivazione della mela quasi scomparse fino a quando, sessanta anni fa, fu riscoperta e oggi abbiamo in Regione 1500 ettari dedicati alla sua coltivazione. 19


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La cortina di Pantianicco ed i Turchi

Questa storia inizia subito dopo che i popoli barbari venuti da est sconfissero i soldati Romani e iniziò un periodo di nuove invasioni in territorio. A quei tempi i nostri paesi alzarono le “cortine” per difendersi dai nemici. Queste costruzioni erano una specie di fortificazione al centro del paese. Le mura erano circondate da alti terrapieni, attorno c’era un profondo e largo fossato dove arrivava l’acqua del torrente Corno. All’interno c’era una piazza, un torrione che serviva per gli avvistamenti del nemico, la chiesa, il cimitero, e i magazzini con i tetti di paglia dove si depositavano i cereali e le stalle per gli animali. 20


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A Mereto la cortina si trovava dove oggi c’è il cimitero e la chiesa di San Daniele e San Agostino. È una zona più alta del resto del paese e ancora é possibile intravedere la traccia del fossato che girava tutto attorno. Purtroppo cinquecento anni fa, il Friuli fu di nuovo devastato, questa volta dall’esercito turco che veniva dalle terre dove oggi si trovano Croazia e Serbia. Avevano dieci mila cavalli e tanti soldati che sconfissero l'esercito che difendeva la zona. Inoltre, tante persone morirono o diventarono schiave dell’invasore.

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I Turchi erano così feroci che distruggevano tutti i paesi che si opponevano. Si lanciarono contro Sedegliano dove morirono in tanti; il parroco tentò di salvare il paese ma fu legato ad un albero e mutilato. A Pantianicco il pericolo era vicino e tutti gli abitanti si rifugiarono al sicuro dentro la “cortina”, ma non riuscirono a salvarsi perché i soldati nemici bruciarono tutto in poco tempo. Si racconta che, mentre i guerrieri saccheggiavano e uccidevano, uno di loro arrivò al galoppo vicino a un magazzino dove c’era un tino di vino. Attirato dal profumo scese dal cavallo ed entrò a bere appoggiandosi sul bordo.

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Una ragazza che si era nascosta proprio lì vicino sbucò e con forza spinse il soldato dentro il vino. Saltò sul cavallo del Turco e fuggì. Fu l’unica che si salvò, il resto della popolazione venne uccisa e 200 giovani e donne furono portati in schiavitù. Per ricordare questa storia all’interno della chiesa di Pantianicco si trova un’antica pietra dove hanno scolpito la ragazza che scappa con il cavallo; inoltre da quel momento la sua famiglia porta il soprannome di “Tinàt”. 23


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La chiesetta di Madonna di Sterpo

Un’antica leggenda racconta che a Mereto, dopo il passaggio dei Turchi e mentre c'era un’epidemia di peste, alcuni contadini trovarono un’immagine della Madonna in un terreno poco distante dalla riva del torrente Corno, verso Sedegliano. La statua fu trasportata in quella che era la chiesa parrocchiale dentro la cortina ma, qualche giorno dopo, scomparve e fu recuperata nel luogo dove era stata trovata. Allora i paesani decisero di edificare in quel sito una chiesetta dedicata a Maria Ausiliatrice. 24


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La chiesetta, prese il nome di “Madonna di Sterpo”, fu meta di processioni soprattutto nei periodi di grande siccità e, si dice, che dopo aver pregato la Madonna incominciava a piovere. Alcuni secoli dopo, quando in paese si erano già costruite altre chiese, questa cappella fu quasi abbandonata perché non si celebrava più messa. La famosa statua della Madonna fu sostituita da una di cartapesta e quella vera fu portata nella grande chiesa parrocchiale. Il parroco, che aveva bisogno di soldi per riparare le altre chiese decise di vendere ad un antiquario le corone d'argento della Madonna e del Bambino Gesù.

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Ai tempi dei genitori dei vostri nonni, durante la Prima guerra mondiale, la chiesa fu occupata dai prigionieri e l'altare scomparve abbandonato in campagna. Una volta finita la guerra la chiesa di Sterpo, ormai rovinata e trascurata nei secoli, fu data in cambio del terreno vicino alla chiesa parrocchiale nella piazza centrale di Mereto.

Oggi, il tetto è crollato e solo i muri di sassi della chiesetta sono visibili per chi percorre la strada verso Coderno o la campagna in direzione Pantianicco… forse qualcuno di voi potrebbe trovare un’altra statua della Madonna lì vicino… chi lo sa? 26


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Il sacerdote archeologo

In tempi lontani, mentre nei Caraibi c’erano i pirati e in Europa si costruivano grandi palazzi, a Mereto nacque Gian Domenico Bertoli. La sua famiglia era una delle più importanti del paese e lui aveva ben tredici fratelli e sorelle. In quegli anni non tutti potevano andare a scuola ma lui ebbe la fortuna di studiare a Venezia e già adulto divenne sacerdote. Da allora la sua vita si divise tra Mereto dove veniva a riposarsi durante l’estate e si godeva la sua biblioteca con libri di storia e archeologia e Aquileia, dove era parroco. Aquileia è una città fondata dai Romani che fu distrutta da Attila, il feroce re del popolo degli Unni che, si disse, bruciò tutti i paesi dalle nostre parti. 27


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Quasi mille anni dopo Gian Domenico raccoglieva le antichità che i contadini ritrovavano nei loro campi vicini ad Aquileia. La canonica della città divenne un piccolo museo dove si trovavano oggetti dell’epoca romana e del medioevo: ci sono monete, pitture, sigilli, vasi, lapidi e tante altre cose. Mentre la sua raccolta di oggetti s'ingrandiva, Gian Domenico iniziò a collaborare con famosi ricercatori con l’intenzione di confrontare le proprie esperienze e ottenere consigli per pubblicare un libro con le sue scoperte. Già anziano, finalmente tornò a vivere a Mereto si dedicò ad assistere persone bisognose e fu nominato membro di diverse Accademie molto prestigiose di tutta Italia. Grazie a lui nonché ai suoi studi oggi conosciamo meglio la storia del Friuli Venezia Giulia.

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La vicinia

Nel Friuli del medioevo, ai tempi dei cavalieri con armature e dei patriarchi di Aquileia, i paesi erano indipendenti l'uno dall'altro o al limite dipendevano da altri signori feudali che affidavano il compito di sorvegliare e amministrare il paese ad una persona chiamata podestà . Qualora si doveva prendere delle decisioni per il bene dell’intera comunitå , il podestà radunava i vicini in piazza davanti alla chiesa e tutti votavano se erano favorevoli o contrari alle misure proposte.

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Queste riunioni chiamate “vicinie” si realizzavano cinque o sei volte l’anno, facevano parte i capifamiglia delle famiglie che abitavano nel paese da tanti anni senza importanza se erano ricchi o poveri. La partecipazione era obbligatoria e quindi chi non era presente veniva multato; soltanto gli anziani e i malati erano giustificati. Le adunanze erano convocate con un suono di campana e i capifamiglia si ritrovavano per discutere diversi temi: la raccolta o la semina di quell’anno, il taglio dei boschi per la legna da ardere, la manutenzione delle strade, il pagamento delle tasse, la scelta del parroco ed altro ancora. Il podestà guidava l’incontro assistito dal vicario e le decisioni erano verbalizzate da un notaio, seduto davanti ad un tavolino, e dovevano essere rispettate da tutti. Era vietato 30


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portare armi o bastoni alla riunione onde evitare battibecchi tra i partecipanti. Molti anni più tardi le vicinie furono annullate dal generale francese Napoleone Bonaparte quando invase il Friuli. In quegli anni fu fondato il comune di Mereto di Tomba che uní tutte le frazioni ed il capoluogo, così come lo conosciamo attualmente e fu eletto un sindaco e un consiglio per la sua amministrazione. La tradizione delle vicinie però rimane viva ancora oggi, però si chiamano "Comitato per la gestione dei Beni Civici" o "Amministrazioni Frazionali". In certe occasioni, i vicini dei singoli paesi continuano a radunarsi per decidere come intraprendere certi temi che riguardano l’intera popolazione. Recentemente, a San Marco, i frazionisti si sono riuniti per decidere cosa fare per tutelare e difendere i campi che appartengono a tutti loro.

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Stagni e canali

Sapete che i primi abitanti di queste terre si fermarono qui perché c'era l'acqua? L’acqua è molto importante per la vita, uomini, animali e piante hanno bisogno di essa. A proposito, qui vicino c’é il torrente Corno che nasce nelle colline vicino a San Daniele e cresce grazie a molti piccoli ruscelli che lo raggiungono nel suo corso verso il mare. I Romani lo chiamavano Tilaventum Minus, ed era il fratello piccolo del fiume Tagliamento. Il Corno a quell'epoca era pieno di pesci e dava da mangiare a tante persone. Purtroppo, nei periodi in cui le piogge erano abbondanti si riempiva più del solito, e l’acqua mise più volte in pericolo diversi paesi... ma questa è un'altra storia.

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Prima dell’arrivo dei Romani, quando il Corno aveva poca acqua la gente doveva camminare fino al Tagliamento per poterne avere. Dopo si costruirono i pozzi e si crearono stagni che contenevano l'acqua piovana o del Corno facendola passare da uno all'altro tramite dei canali collegati. In questo modo sempre c’era dell’acqua da poter usare in qualsiasi momento.

In ogni paese c’erano più stagni, chiamati anche “suèis” in friulano: a Mereto ce n’erano cinque, sette a Pantianicco, cinque anche a Tomba, tre a San Marco, quattro a Plasencis e due a Savalons. 33


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Quando pioveva tutti si davano da fare montando le barriere che servivano a far passare l'acqua dagli stagni piccoli fino a quello grande che, generalmente, si trovava in centro del paese.

Agli stagni si portavano gli animali ad abbeverare e le donne si recavano per lavare i panni. Altri preferivano raccogliere qualche secchio d'acqua due volte al giorno e portarlo a casa. A Pantianicco il "Suèi grant" era profondo e si trovava dove ora sorge il Monumento ai Caduti. Si dice che con la terra tolta per crearlo si costruirono i muri della cortina. Gli stagni furono utilizzati fino quando, piÚ di un secolo fa, con la costruzione del canale Ledra - Tagliamento anche nel nostro territorio fu disponibile l'acqua che serviva per 34


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lavare la biancheria, per l'agricoltura e gli animali. Gli stagni furono lasciati da parte e gli ultimi, ormai prosciugati, furono ricoperti nel corso del riordino dei campi e divennero piazze o terreni coltivati. I nuovi canali alimentavano i mulini ed anche si dividevano in piccoli “ruscelli”, chiamati ledris in friulano, canalini che, passando davanti alle case, davano la possibilità ad ogni famiglia di prendere l'acqua senza allontanarsi troppo come in passato. Con i canali arrivarono anche altri problemi e la gente dovette mettersi d’accordo per i turni per dar l’acqua ai campi. Per quelli che si trovavano tra Mereto e Pantianicco s’inventò un metodo ingegnoso! Si dotò di una sveglia ognuno dei tre canali d’acqua che servivano tutti; queste erano chiuse in tre gabbie di legno con un vetro davanti e segnavano un tempo per bagnare uguale per tutti e così si evitava che i contadini litigassero tra loro.

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Il pozzo

Oggi a casa abbiamo delle comodità che nel passato non si potevano neppure sognare, una di queste è quella di avere l'acqua potabile che esce dai rubinetti. Fino a qualche tempo fa l'acqua veniva estratta dai pozzi che si trovavano nel centro dei paesi o dai canali o stagni. I pozzi che non sono scomparsi possono raccontare tante storie antiche che si sono svolte nella loro vicinanza. Come esempio della sua importanza, essendo una delle anime del paese, la Proloco di Mereto di Tomba usa come logo la Vera del Pozzo. 36


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Il pozzo provvedeva l'acqua fresca per bere e cucinare, mentre per lavare e per gli animali usavano prima gli stagni e dopo i canali. Nella parte superiore di ogni pozzo c’era una struttura di ferro che sosteneva la carrucola, in cui si faceva scorrere la corda con il secchio per prendere l’acqua. Il pozzo inoltre era anche un luogo d'incontro, le donne e ragazzi si ritrovavano per scambiarsi notizie e pettegolezzi. I giovani si davano appuntamento ad ore prestabilite e, se in casa c'era ancora acqua, alcuni la buttavano nel cortile per avere una scusa per andare al pozzo, ritrovarsi e giocare assieme.

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L'avvenimento rivoluzionario fu l'attuale acquedotto, costruito nel 1956, che permise la distribuzione in ogni casa di acqua potabile, questo fatto decretò la chiusura dei pozzi. Un aneddoto spiacevole successo in una frazione, ricorda un “fattaccio”. Un giorno, una signora calò il secchio con la lunga corda e quando lo tirò su vide che l'acqua era sporca e non si poteva bere. La voce si sparse nel paese e arrivarono i carabinieri. Alcuni sostenevano che due gatti che erano vicino al pozzo la sera prima erano caduti dentro, ma un signore che si era calato dentro non li trovò. 38


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I carabinieri iniziarono ad indagare ed il comandante andò a visitare ogni famiglia fino quando scoprÏ i colpevoli che confessarono il loro crimine. Si trattava di un paesano e la moglie che venivano presi in giro dai ragazzi. Come vendetta, da una settimana, scaricavano dentro il pozzo del letame. Dovettero andare via dal paese perchÊ i compaesani arrabbiati, dopo aver fatto disinfettare il pozzo, volevano far pagare il torto.

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I mulini d’acqua

Abbiamo mai pensato come si trasforma il mais in polenta? Per farlo, in passato si utilizzavano i mulini che sfruttavano la forza dell’acqua che, quando scorreva, muoveva una serie d'ingranaggi che attivavano la ruota di pietra che macinava i cereali. Nel nostro comune c'erano quattro mulini che usavano l'acqua dei canali. Il più vecchio veniva chiamato De Cecco e si trovava a Tomba; ma c'era anche il mulino Romano a Pantianicco, poi conosciuto come mulin di Marchet. Dopo arrivò il mulino Bunello sulla strada che da Mereto porta a San Marco e, infine, il mulino Lupieri a Savalons. 40


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Tutte le famiglie andavano da giugno ad agosto nei campi a fare la mietitura del grano, segala, orzo e avena. Poi, con i carri, portavano il raccolto al mulino per la trebbiatura e facevano la fila anche di notte per aspettare il loro turno. Come avete visto, i mulini erano anche un posto di ritrovo dei contadini che scambiavano esperienze sul lavoro nei campi, facevano affari o chiacchieravano. Nei mulini lavoravano diverse famiglie come i fratelli Lupieri nel mulino di Savalons o i Romano, e dopo i Cogoi, che gestivano il mulin di Marchet. Ogni mulino, di fatto, aveva il nome

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della famiglia che lo gestiva. Accanto alle ruote che correvano nell’acqua si trovava una semplice tettoia per i cereali, la casa del mugnaio, un fienile ed un’altra tettoia per il riparo della trebbiatrice, che in quell'epoca era una macchina fissa che funzionava anche grazie all'energia generata dall'acqua.

Col passare del tempo alcuni mulini iniziarono a produrre elettricità, per esempio, il mulino Luperi faceva girare una dinamo che portava la luce per le prime lampadine di Savalons e Plasencis. Quando i vostri nonni erano piccoli arrivarono i primi trattori, la mietitrebbia, i mulini elettrici e tante altre cose che fecero chiudere le porte per sempre ai nostri mulini. Oggi possiamo vederne soltanto uno, il Mulin di Marchet, uno dei tre mulini ancora funzionanti del territorio friulano. Nel suo interno non si macina più, è stato trasformato in una trattoria, ma si possono sbirciare i vecchi attrezzi che usavano i nostri antenati. 42


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Il mondo dei contadini Quando i vostri nonni erano giovani, le persone che abitavano a Mereto di Tomba ed i comuni vicini vivevano esclusivamente dei prodotti della terra e quasi tutti erano contadini. Per alimentarsi principalmente c’era la polenta, il pane, il formaggio, i salumi, le verdure ed il vino che ogni famiglia produceva a casa. A quei tempi la famiglia si riuniva attorno al focolare, fogolâr in friulano, per mangiare, scaldarsi e riferire com’era andata la giornata, e durante i mesi d’inverno anche per raccontare leggende o storie accadute tanto tempo fa.

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Tra vicini ci si dava una mano in tutti i lavori dei campi. La raccolta e la lavorazione del fieno per alimentare gli animali era molto importante, l’erba era tagliata al mattino presto e seccata al sole; il trasporto verso il fienile veniva eseguito con un carro trainato da mucche e asini. Gli attrezzi impiegati dai contadini erano forche e rastrelli, per lo piÚ fatte in legno, e altri come aratri, zappe, vanghe e picconi che erano di metallo. Durante i mesi freddi in cui non lavoravano nei campi i nostri antenati dovevano essere pronti a costruire o riparare tutti questi attrezzi.

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All'epoca dei mulini d'acqua, quando non c'erano i grandi trattori, si usavano le mucche per arare i campi; siccome quasi ogni famiglia ne aveva solo una, si univano due di loro e con le loro bestie si sostenevano a vicenda. Ecco perchĂŠ la mucca era un animale molto importante che, oltre a dare il latte, aiutava il contadino nei lavori della campagna.

Quando, per disgrazia, ne moriva una era come se venisse a mancare un parente, ma la sua carne veniva macellata e distribuita tra molte famiglie. Il latte della mucca era un'importante fonte di risorse per ogni famiglia. Veniva raccolto in un secchio di legno e conservato per lavorarlo e ottenere diversi prodotti. 45


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A quei tempi si crearono le latterie sociali che diedero origine alla solidarietà grazie al coinvolgimento delle famiglie nella lavorazione del latte in un unico stabilimento che si trovava in paese e dove vi si accedeva a turno. Per fare il burro si usavano delle forme dentro le quali si versava la panna sbattuta; per il formaggio il latte veniva bollito in una caldaia di rame e dopo era raccolto in uno stampo di legno e la ricotta, ottenuta dal siero, veniva raccolta in sacchetti di tela. La latteria divenne un’importante istituzione dei nostri paesi e, a volte, il ricavato della lavorazione del latte era offerto per la costruzione della chiesa, per sostenere le spese della banda musicale o altri acquisti comuni. I più poveri potevano avere ogni sera il latte gratis. Ormai tutto questo mondo contadino è finito tanto tempo fa e dobbiamo guardare al futuro valorizzando le cose buone lasciate dai nostri nonni con tanti sacrifici e duro lavoro perché ci aiutano a riscoprire le nostre origini.

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La scuola ai tempi dei bisnonni Una volta andare a scuola non era come oggi, non c’era il pulmino, e tra l’altro, ogni frazione di Mereto di Tomba aveva la sua scuoletta. Erano piccole e, se servivano altre aule, si utilizzavano le stanze vuote delle case di qualche famiglia del paese. Inoltre, in alcune frazioni, c’era anche l’asilo che veniva gestito da suore. I banchi erano di legno, grandi e dipinti di nero, con un foro al centro dove veniva messa una boccetta con l’inchiostro e si scriveva con un pennino; bisognava stare attenti perché si rischiava di lasciare macchie. Non a caso i grembiuli erano neri come l’inchiostro! La maestra aveva la scrivania sopra una cattedra rialzata in modo che tutti la vedessero e lei potesse controllare gli alunni.

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I bisnonni non avevano lo zaino con i disegni dei supereroi ma una cartella di legno, di cartone oppure una cinghia per tenere il quaderno ed il libro in buone condizioni perché dopo sarebbe passato ai fratelli più piccoli. I bambini della prima elementare facevano lezione con quelli della seconda e così anche le altre classi erano assieme; si chiamava “pluriclasse”. A quei tempi il primo anno frequentavano la scuola in tanti, dopo in meno perché i bambini dovevano anche lavorare nei campi o stare a casa a badare ai fratellini e contribuire al mantenimento della famiglia.

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In inverno per riscaldarsi, il primo che arrivava a suola doveva accendere la stufa a legna e gli altri portavano legna per alimentare il fuoco. Le lezioni erano precedute da una preghiera e dall’ispezione che la maestra faceva delle unghie, orecchie e collo. Le materie erano come quelle di oggi però si studiava principalmente matematica ed italiano perchĂŠ i bambini non lo conoscevano e si esprimevano solo in lingua friulana che era quella che si parlava in ogni casa. Le regole erano rigide e le punizioni, quando si disubbidiva, erano severe. Gli alunni potevano finire dietro la lavagna e la maestra usava una bacchetta di legno per colpire le mani; quelli che si comportavano molto male si 49


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inginocchiavano sui sassolini fino a quando si sbucciavano le ginocchia. Il rispetto nei confronti della maestra era essenziale e nessuno osava contestare una sua decisione, anzi, se un bambino tornava a casa con una nota, veniva punito anche dai genitori. A volte si frequentava anche di domenica però per altre attivitĂ . Per esempio, a Pantianicco, le ragazze erano accolte dalle suore dell’asilo che animavano giochi, canti religiosi, villotte e recite.

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Il campanile Il campanile è il simbolo del paese, si trova vicino alla chiesa ed è stato costruito tanto tempo fa con i sassi raccolti nei campi o dal Corno. In passato ha avuto un importante ruolo nella vita della comunità quando erano in pochi ad avere un orologio proprio. Allora il tempo scorreva col ritmo delle campane e del grande orologio che, per funzionare, ogni giorno si doveva salire per ricaricarlo con una manovella. I ragazzi più grandi facevano a gara per salire sul campanile a imparare a "scampanotà" cioè a far suonare le campane a festa.

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Ogni famiglia aveva un punto della casa dal quale si poteva vedere l’ora nel grande orologio del campanile, invece durante la notte ci si regolava con il battito delle campane ogni ora. La campana grande suonava la sveglia all’alba e, a mezzogiorno, avvisava che era l’ora del pranzo; soprattutto per chi lavorava nei campi e sentiva le campane da lontano. Quando calava il sole suonava ancora ed era la fine della giornata. Come oggi esse comunicavano al paese messaggi allegri o tristi, nascite, morte, battesimi, comunioni e matrimoni. Però annunciavano anche l'inizio delle sagre, la fine delle guerre o che il fuoco bruciava una casa o il fienile ed altri eventi importanti. Quando mancava l’acqua per irrigare i campi le campane suonavano per invocare la pioggia o, se arrivava un temporale minaccioso, provavano a dissolvere il pericolo. 52


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Durante la prima guerra mondiale, quando i bisnonni erano piccoli, l'esercito nemico dell’Italia invase il Friuli e anche i paesi di Mereto di Tomba vissero giorni difficili e duri. La gente subì frequenti controlli e i soldati nemici cercarono tutti i materiali utili a loro vantaggio. Un giorno alcuni di loro salirono sui campanili e buttarono giù tutte le campane che, una volta fuse, si trasformarono in cannoni per l'esercito nemico. Tutti erano tristi perché non avrebbero più sentito i loro rintocchi. 53


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I vicini di Pantianicco riuscirono a occultare la piccola campana della chiesa di Sant’Antonio. Una notte, alcuni uomini la nascosero nell’ossario sotto il pavimento della chiesa. I soldati perquisirono l’intero paese cercandola e quando arrivarono davanti alla pietra che chiudeva l'ossario chiesero di vederci dentro.

Allora il prete disse che là dentro c'erano solo ossa di morti; i militari accettarono quella spiegazione e così la campana di Sant’Antonio si salvò. Finita la guerra arrivarono nuove campane e tutti i paesi fecero una grande festa. 54


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Le processioni in campagna Una volta si realizzavano processioni attorno alla campagna per chiedere la protezione di Dio sui raccolti, per tenere lontana la grandine che rovinava tutto o invocare la pioggia per bagnare i campi durante i periodi di caldo. Si chiamavano "Rogazioni" e già si facevano ai tempi dei Romani. Dopo sono state ereditate dai cristiani ed era il sacerdote che le guidava e donne, uomini e bambini lo seguivano. In ogni frazione del comune di Mereto di Tomba, in primavera, si realizzavano tre: una attorno al paese, l’altra per gli orti e la terza in campagna. Si benediva anche l’acqua del pozzo perché, come sappiamo, era una delle cose più preziose nella vita di ogni giorno. In tutti i paesi si seguiva un giro preciso nei posti che la popolazione considerava più importanti.

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I fedeli procedevano lentamente per le stradine di terra battuta che ancora oggi vediamo e nessun campo restava senza la benedizione.

Si partiva alle sei di mattina, uomini e giovani sostenevano le croci e tutti camminavano cantando con entusiasmo, si fermavano negli incroci dove il sacerdote deponeva una crocetta di legno e benediva. Quando il giro era lungo la gente portava con sĂŠ la cesta per la merenda; dopo si rientrava in paese e si celebrava una Messa per pregare che ci fosse sufficiente pioggia e non grandinasse. Oggi, invece di chiedere a Dio che il clima sia generoso, ci affidiamo al meteo della televisione e, invece di fare passeggiate in campagna, le facciamo nel centro commerciale. Forse era piĂš bello ai tempi dei nonni! 56


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I forni rurali

C'era una volta... un Friuli povero dove quasi tutti vivevano dall’agricoltura e il cibo principale delle famiglie era la polenta fatta con il mais che loro stesse coltivavano. Però a volte la farina veniva rovinata da muffe e questo causava una grave malattia chiamata pellagra. Le autorità pensarono ad una serie di soluzioni al problema, costruirono essiccatoi per asciugare il grano appena raccolto ed impedire che la gente mangiasse polenta contaminata. Inoltre si organizzarono forni rurali per sfamare la parte più povera della popolazione. Questi forni, che funzionavano a legna, vendevano pane a basso prezzo e lo anticipavano gratis a chi non poteva pagarlo subito. L’obiettivo era dare la possibilità alla 57


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gente di mangiare altre cose e non solo polenta, così non si sarebbe ammalata. Nel nostro Comune, nel 1887, per iniziativa del signore Giuseppe Someda De Marco, si trasformò un vecchio edificio in un forno rurale che distribuiva pane, carne, minestre e sale ai più poveri. Tante famiglie andavano a Mereto a ritirare i pasti per sé o più persone. Inoltre, un incaricato con un carro faceva il giro per le frazioni a vendere il pane per i malati. Il Comune affidò il compito di sorveglianza al sacerdote che controllava che si vendesse a un prezzo vantaggioso per i poveri. Questo aiuto si prolungò fino alla fine della Seconda guerra mondiale, quando la gente iniziò a vivere meglio e i forni rurali pian piano furono chiusi e la pellagra scomparve per sempre dal Friuli.

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I bachi da seta

C’era un tempo in cui i bachi da seta erano una delle più importanti fonti di guadagno per i contadini, basta pensare che l’Italia occupava il terzo posto, dopo Cina e Giappone nella produzione della seta, un prodotto per creare tessuti molto pregiati. Il compito della cura dei bachi era assegnato alle donne e ai bambini e l’impegno durava 40 giorni dalla fine di aprile ai primi giorni di giugno. Nel nostro comune il lavoro iniziava con la prenotazione delle uova dei bachi all’essiccatoio che c’era a Mereto. Intanto in famiglia si preparava un posto nel calduccio della cucina e si prendevano le foglie dei gelsi che i bachi dovevano mangiare. Tutti quei piccoli animali si mettevano sopra un “letto” di foglie di gelso. Ogni giorno gli uomini andavano a segare rami di gelso poi i bambini raccoglievano le foglie, che dovevano 59


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essere asciutte e tritate finissime perché i bachi mangiavano abbondantemente. Si cambiava anche il loro "letto" di foglie perché i bachi crescevano velocemente, dai pochi millimetri quando nascevano fino ai sette centimetri, ed era necessario fare più spazio per loro. Alla fine bisognava spostarli sul granaio su larghi graticci dove loro passeggiavano e, dopo dieci giorni, erano pronti per fare il bozzolo di seta nel quale si chiudevano per diventare falene.

Allora si raccoglievano i bozzoli prima che uscisse la falena e rompesse il filo di seta di cui erano fatti. Si portavano a vendere all’essiccatoio di Mereto e, se tutto andava bene, era una grande festa perché arrivano i soldini nelle famiglie. Dopo spettava ad un gruppo di signore il compito di immergere i bozzoli in acqua calda e pian piano prendere il filo che serviva ha fare vestiti molto eleganti. 60


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I gelsi

Ai tempi dei Romani da queste parti c’erano immense foreste di querce che pian piano furono abbattute dall’uomo per fare posto ai campi coltivati. A quei tempi anche furono piantati i primi gelsi che, in larghe file, servivano per segnare il confine tra una proprietà e l'altra. Quando nella nostra Regione arrivarono i bachi da seta, più di cento anni fa, i gelsi, chiamati in lingua friulana “morârs”, ebbero un ruolo importante nella loro alimentazione e ne furono piantati tanti nei campi e nei cortili. 61


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Questi alberi, se lasciati selvatici potevano raggiungere i dieci metri ma oggi noi li vediamo bassi e grossi perché potati dai contadini lasciandoli crescere a soli due metri da terra per poter prendere facilmente le loro foglie e le more scure con cui i bambini facevano merenda ai tempi dei nonni. In quegli anni il legno del gelso, se non finiva nel fuoco della cucina delle case, veniva usato anche per costruire carri, mobili e secchi. Fino a qualche mese fa Tomba era uno degli ultimi posti dove i gelsi dividevano i campi. Oggi questi alberi, sui quali già si arrampicavano i vostri nonni si trovano solo in vecchi cortili, in alcuni filari solitari vicino ai tubi dell’irrigazione o nelle vostre scuole grazie ad un gruppo di persone generose che li hanno trapiantati per salvarli. Sono gli ultimi testimoni di un tempo che non torna più e stanno scomparendo per fare spazio a campi più estesi e al lavoro dei trattori moderni.

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Il primo trattore

Nel 1922, dopo aver emigrato e lavorato in un paese lontano chiamato Argentina tornarono da queste parti Galliano e la moglie Lisa. A quei tempi per arare i campi si usavano le mucche ed i cavalli ma Galliano aveva un sogno: possedere un trattore che facesse quel lavoro. Ne acquistò uno proveniente dagli Stati Uniti che, per metterlo in moto, si doveva usare una pesantissima manovella. In paese non si parlava d'altro, non si era mai visto niente di simile e la gente era incuriosita; quando Galliano usciva per i campi i bambini gli correvano dietro. Ma dopo un po’ il trattore iniziò ad avere dei problemi, era quasi sempre fermo perché si rompeva e doveva 63


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rimanere in mezzo ai campi in attesa del meccanico che arrivava da Udine. Inoltre la gente povera non poteva permettersi di contrattare Galliano per arare i campi con il suo trattore e preferiva usare le proprie mucche per quelle mansioni. Alla fine il trattore non si rivelò un buon affare e Galliano fu costretto a venderlo ad un vicino. Poco dopo, deluso decise con la moglie di ripartire per l'Argentina e non tornarono piÚ in Italia. Nel frattempo passarono quasi trent'anni prima che in paese si vedesse un altro trattore. Il futuro stava arrivando e tutto sarebbe cambiato nei campi del comune e del Friuli.

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Le osterie e trattorie

Una volta i punti di raduno dove si scambiavano notizie e c'era una vita in comune con le altre persone erano il pozzo frequentato dalle donne ed i ragazzi o la chiesa, la piazza e il mercato. Per gli uomini invece c’era l’osteria che aveva queste funzioni. All’osteria, davanti a un bicchiere di vino, si discuteva di politica, di affari, si giocava a carte e si commentavano le vicende paesane. Erano anche un posto per chi cercava lavoratori che volessero lavorare in altri paesi. Non tutti sapevano leggere e gli avvenimenti più importanti venivano raccontati da qualcuno che aveva studiato e leggeva il giornale per tutti, questo era il “telegiornale” di quell’epoca. Fino a cento anni fa le osterie paesane erano costituite da un'unica stanza dove si serviva vino conservato nelle botti di legno e grappa fatta in casa. Spesso in un angolo si 65


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vendevano anche pasta, riso, olio, zucchero, caffè e anche sementi e concimi. A Mereto c’era la trattoria “Alla Campana” e a Pantianicco “Al Cacciatore”, tra altre. Furono aperte perché c'era un via vai di persone da fuori dei paesi che volevano fermarsi a mangiare. Sui loro tavoli trovavano baccalà, aringa, frittate, minestre, salame e formaggio. Ai tempi dei nonni, nei primi anni ‘50 del secolo scorso, funzionavano anche come piccoli supermercati e le famiglie non pagavano subito il loro conto che si segnava su un libretto della spesa e poi si cancellava quando si poteva. Alcuni dei vostri genitori e nonni ricordano ancora che dal 1972 al 74, quando si creò la scuola a tempo pieno di Pantianicco e prima che si costruisse la mensa, i pasti venivano preparati nella trattoria “A cacciatore” dove i bambini si recavano a magiare. Ancora oggi forse l’unico punto d’incontro quotidiano dei vicini di alcuni paesi è il bar, dove si prende un caffè o un bicchiere di vino mentre si legge il giornale o si chiacchiera con gli amici, si vendono anche i biglietti per la corriera e le sigarette.

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Il paese degli infermieri

Oggi in Friuli Venezia Giulia si sta bene e nei nostri paesi arrivano tante persone che cercano lavoro ed educazione per i loro figli, ma non fu sempre così. Quando questa era una Regione molto sofferente e le famiglie di contadini erano poverissime, la gente decise di emigrare verso altre nazioni. Quella volta tanti abitanti del comune s'imbarcarono sulle navi per andare lontano. I paesi si trovarono quasi vuoti e, per esempio, quasi la metà dei pantianicchesi andò a cercare lavoro a Buenos Aires, la capitale dell'Argentina. 67


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A quei tempi si diceva che esistevano due Pantianicco, uno vicino al torrente Corno e l’altro prossimo al Rio de la Plata, il fiume che bagna le rive di Buenos Aires. Molti andarono a lavorare negli ospedali argentini ed era tutta una sfida: da contadini ad infermieri! Alcuni iniziavano facendo le pulizie e poi cambiavano incarico o, dopo aver studiato, diventavano infermieri come Otelia Giacomini, che era partita da Tomba e divenne ostetrica. Appena arrivati nella loro nuova nazione tutti si aiutavano tra di loro. Luigi Della Picca, uno dei primi ad emigrare, era diventato un punto di riferimento e molti compaesani che arrivavano lo contattavano per trovare lavoro.

Una volta entrati negli ospedali cercavano di fare qualche risparmio per spedirlo alla famiglia rimasta in Italia e 68


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finanziavano molte iniziative come la costruzione della chiesa. Altri come Adino Mattiussi, che aveva imparato a suonare con la banda di Pantianicco, riuscivano ad avere qualche soldino in più facendo parte di una banda locale a Buenos Aires. Laggiù si aveva anche l’occasione di avere qualche festeggiamento o di incontrare gli amici e compaesani presso l’osteria “Bella Venezia” dove si raccontavano le notizie di Pantianicco arrivate nelle lettere. Oggi, i figli ed i nipoti dei pantianicchesi che risiedono a Buenos Aires continuano a sentirsi parte di una sola comunità anche se la distanza e la divisione dell’oceano Atlantico è molto grande. 69


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Boscaioli e falegnami

Come sapete, già ai tempi dei Celti e dei Romani da queste parti c’erano grandi boschi, che pian piano scomparirono. Ma chi li ha tagliati? È logico pensare che ad affiancare il lavoro del contadino ci fossero anche boscaioli e falegnami. Per costruire qualsiasi oggetto serviva il legno, allora il boscaiolo si recava nel bosco a scegliere gli alberi che doveva tagliare. Loro non effettuavano mai il taglio a casaccio; seguivano le fasi lunari e le stagioni quando la linfa degli alberi era quasi ferma, altrimenti il legno non era utile. Dopo aver abbattuto gli alberi li riunivano per essere trasportati nelle segherie, in certe occasioni in località lontane. Si usavano carri, slitte o attraverso il fiume dove si buttavano i tronchi che galleggiavano fino alla sua destinazione. Quando a Mereto non ci furono più boschi il legname proveniva dalle valli della Carnia. Una volta arrivato il 70


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legno presso la falegnameria, lo si lavorava creando oggetti vari: porte, finestre, travi per i tetti, ma anche armadi, tavoli, cassapanche, posate da cucina ed altro ancora. Oggi le scarpe sono una cosa comune, tutti ne abbiamo diverse paia, ma fino a settanta anni fa si utilizzavano gli zoccoli di pioppo, anche per le occasioni festive ed era proprio il falegname a farli. I laboratori di questo artigiano erano situati in una stanza della casa o in un locale vicino a essa. Vaniglio Della Picca aveva un'attrezzata falegnameria nella quale vi lavoravano altri collaboratori e ragazzi dei paesi vicini che venivano ad imparare il mestiere attraverso l'osservazione attenta e tanto sacrificio. A volte il legno che utilizzavano doveva essere resistente perchĂŠ era impiegato per la costruzione di oggetti a contatto con l'acqua, come i secchi che servivano a dare da bere alle mucche o attrezzi agricoli.

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Anche le bare per i morti e gli inginocchiatoi della chiesa si sono costruiti in questa falegnameria. Gli attrezzi usati erano parecchi, tra pialle, segue, morse, scalpelli, martelli e chiodi che servivano per unire le tavole l'una all'altra. Si spianavano ben bene e si creavano i mobili essenziali della casa che erano quasi tutti in legno perché quelli in metallo costavano troppo. C’erano piatti, scodelle, taglieri ed altro ancora. I mobili realizzati venivano consegnati a domicilio usando la bicicletta o i carri con i cavalli. Questi mobili oggi sono pezzi pregiati e li possiamo vedere a casa dei nonni o nei musei della vita contadina. Oggi noi andiamo a prenderli in negozi che li vendono dentro scatole di cartone ed è il papà che deve montarli. Non sono fatti in legno massiccio, come in passato ma con materiali riciclati e durano meno che quelli che facevano i falegnami dei tempi che furono. 72


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Il norcino C'era un tempo in cui la famiglia contadina per mangiare, in aggiunta a quello che coltivava, aveva animali: polli, conigli, oche, mucche e maiali. In particolare, il maiale era un animale preziosissimo perché si alimentava con gli scarti della famiglia e da lui si ricavavano numerosi alimenti: il prosciutto, il salame, le salsicce, il “muset”, ed altro ancora. Ogni famiglia allevava almeno un maiale durante i mesi caldi in previdenza del cibo per l’inverno e, a novembre si chiamava al norcino, “purcitâr” in friulano, che arrivava per ammazzarlo e lavorare la sua carne.

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Quel giorno era festa ed i preparativi iniziavano presto al mattino allestendo un grande pentolone di acqua bollente che serviva per scuoiare l’animale subito dopo che era stato ucciso e collocato sulla tavola per preparare la carne e trasformarla in salsicce, salame e tante altre buone cose. Si prendevano le budella e si lavavano, servivano per riempirle con la carne del salame e del “muset”, ben tritata. Una volta finiti i prodotti venivano portati in cantina per stagionarli e trovarli pronti tra qualche mese. La giornata si concludeva con una cena tra tutti quelli che avevano collaborato a macellare il maiale. Ancora oggi nel nostro comune esiste questa tradizione, anzi, si realizza anche la festa del “purcit” chiamata Jack day alla quale partecipano norcini arrivati da molti paesi del Friuli che lavorano le carni in modo tradizionale. 74


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Sarte, calzolai ed altri mestieri Una volta, quando non esistevano i grandi centri commerciali, gli armadi delle case erano piccoli e la gente aveva pochi vestiti. In paese la gente faceva cucire l’abbigliamento alla sarta o sarto solo nelle grandi occasioni, per i vestiti di festa, di nozze o, anche per fare una fotografia di famiglia nello studio fotografico di Codroipo. In alcuni paesi le bambine imparavano a cucire e a ricamare presso le suore dell’asilo o dalla sarta e, in questo modo, i vestiti di uso comune si confezionavano in famiglia. Le ragazze iniziavano presto a filare e tessere quello che sarebbe servito al loro corredo da sposa. Si usava la lana delle pecore ed il lino e la canapa, ottenuti dalle relative piante coltivate in campagna. Inoltre si utilizzavano telai artigianali fatti in legno per creare le stoffe dell'arredamento e della biancheria. 75


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Il calzolaio era un artigiano che fabbricava scarpe chiamate "scarpéz" utilizzando stoffa vecchia e pezzi riciclati di copertoni di bicicletta come suola; erano poco costosi, resistenti ed impermeabili all’acqua. Anche riparava scarpe, stivali, scarponi che si erano rotti. Fino a qualche anno fa per i nostri paesi era normale veder passare in bicicletta l’arrotino che affilava coltelli e forbici e riparava ombrelli. Un altro artigiano ambulante era lo stagnino che aggiustava utensili metallici, come il secchio per prendere l’acqua nel pozzo o le pentole. 76


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Lo spazzacamino era un mestiere che veniva realizzato dai bambini che bussavano alle porte delle case per offrire i loro servizi. Loro s'infilavano dentro le canne fumarie e le pulivano grattandole con un ferro curvo. Oggi, invece gli spazzacamini sono dei professionisti con attrezzature sofisticate come le telecamere. Il tagliapietre era un mestiere faticoso, invece, oggi il taglio del marmo e della pietra è semplice grazie ai grandi macchinari. In passato, il mestiere degli scalpellini e dei mosaicisti era molto importante e tanti di loro sono diventanti famosi lavorando in giro per il mondo, dagli Stati Uniti, in Russia, paesi arabi, Africa e in Grecia.

Loro hanno creato o restaurando opere d'arte utilizzando la roccia, il marmo o piccole tessere colorate. Questi sono alcuni dei vecchi mestieri, oltre a quello del contadino, nei quali erano abilissimi i nostri avi. Oggi invece ci sono tanti mestieri nuovi e si lavora negli uffici con il computer o in fabbrica con macchinari molto sofisticati! 77


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L’alluvione del torrente Corno Ai tempi dei genitori dei vostri nonni, nel settembre 1920, il torrente Corno invase con le sue acque diversi paesi, tra cui Pantianicco, Coseano, Beano e le campagne di Rivolto, Passariano, Lonca e Codroipo.

Un pomeriggio apparvero dei nuvoloni e subito dopo arrivò la pioggia che durò tutta la notte. La mattina dopo il Corno era pieno d'acqua che scorreva furiosamente ed uscì dal suo corso. A Pantianicco, per salvarsi dall’acqua che tutto invadeva e che aveva raggiunto il primo piano delle case, tante persone andarono a rifugiarsi sui granai e anche in chiesa perché era la parte più alta del paese portando con sé le mucche, vitelli e galline. Dentro la chiesa si sentiva muggire, belare, cantare, pregare, urlare e piangere, oltre alle voci dei bambini che giocavano e bevevano latte caldo. Sembrava un presepio vivente! 78


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I bambini dormivano sul pavimento ed in alto gli adulti avevano acceso un grande fuoco, sul quale si faceva da mangiare; si cucinava soprattutto patate e qualche gallina annegata, che era stata portata dall'acqua e presa con un bastone. Purtroppo l'acqua invase anche la chiesa, sebbene per poco tempo, ed arrivò fino all’altare. In canonica distrusse importanti documenti antichi. Nei tre giorni che durò l’allagamento del paese non consentì l'intervento dei pompieri. La gente dovette affrontare da sola l'inondazione. Per portare viveri in chiesa e comunicare con le case gli uomini avevano attaccato una grossa corda dalla porta fino ad un portone vicino e da lì 79


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poi si proseguiva verso altre colonne e portoni perché le vie del paese sembravano i canali di Venezia! Alcune famiglie a cui non é stato possibile raggiungere la chiesa rimasero sul granaio delle proprie case e portarono sui fienili gli animali da cortile.

Poi, quando l'acqua incominciò a scendere fu tutto uno scompiglio, le strade erano distrutte, l'acqua del pozzo non era più potabile; diverse case risultarono danneggiate e, tra l'altro, una ne fu trascinata via dalla corrente. Fortunatamente non morì nessuno. I vicini iniziarono ad organizzarsi e poco dopo sistemarono tutto come era prima. Oggi questo non dovrebbe succedere in quanto i nostri paesi sono difesi da un doppio argine e qualora ciò accadesse , l'acqua sarebbe costretta ad uscire per i campi. 80


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La fede di Concetta

Concetta Bertoli era una ragazza molto allegra che nacque a Mereto di Tomba più di cento anni fa. Quando aveva 16 anni subì una grave malattia che non le consentì di muoversi più ed il suo corpo diventò sempre più rigido. Lei non si rassegnava a sentirsi malata e pianse tanto ma il parroco li raccontò come anche Gesù aveva sofferto sulla croce. Allora si rese conto che il suo male era come una croce e pian piano accettò di vivere questa sofferenza costretta immobile a letto per ben 26 anni.

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Non poteva aprire la bocca per parlare e doveva mangiare solo liquidi. Qualche anno dopo diventò cieca ma era sicura che le sue sofferenze aiutavano a trasformare il mondo in un posto migliore ed incoraggiava le persone che la visitavano nella sua umile cameretta. Una volta fu portata in barella in pellegrinaggio e chiese alla Madonna un miracolo che si avverò quindi riuscì ad aprire la bocca per fare la comunione e parlare. Morì a 48 anni e la sua tomba si trova dentro la chiesa di Mereto dove tanta gente va a pregare. Nel 2001 il papa Giovanni Paolo II riconobbe le sue virtù e la dichiarò Venerabile e, sicuramente, presto diventerà anche Santa.

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I donatori di sangue

Tanto tempo fa, i popoli barbari pensavano che il sangue avesse un potere speciale ed alcuni di loro lo bevevano durante i suoi rituali. Non si sbagliavano del tutto, infatti il sangue ha una grande capacità: può salvare la vita di una persona! Dopo tanti studi, nel secolo scorso alcuni scienziati riuscirono a creare un metodo per realizzare le trasfusioni di sangue da una persona ad un’altra. Questo fatto diede origine a diversi centri dove la gente può andare a donare sangue che sarà utilizzato per guarire chi ne ha bisogno. A Udine il centro trasfusionale si creò nel 1950. Nel 1952 il signor Giordano D’Odorico, che abitava a Plasencis, accompagnò sua moglie all’ospedale di Udine perché doveva partorire, ci furono delle complicazioni e fu necessario fare una trasfusione di sangue. Lui, più tardi, dovette trovare due persone che potessero restituire quello che era stato dato alla moglie. 83


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Questo fatto creò in lui la consapevolezza dell’importanza del dono del sangue e di quante persone si possono salvare con questo gesto. Da quel momento, e per lunghi anni, il signor Giordano ha aiutato tutti quelli che avevano bisogno di trasfusioni. Poco dopo pensò di formare un gruppo di persone che potessero offrirsi come volontari qualora ci fosse bisogno e fu così che ogni sera dopo il lavoro partiva in bicicletta a fare il giro delle case di Plasencis, San Marco e Savalons per chiedere chi volesse far parte di quest’idea. In quegli anni, se servivano donatori, l’ospedale li contattava con una lettera ed essi partivano immediatamente per i paesi a chiamare le persone che avevano dato la loro disponibilità e così tutti si recavano a Udine in bicicletta o in motorino. Nel 1958 é stata fondata ufficialmente la Sezione dei Donatori di Sangue di Plasencis e, un po' per volta, i donatori cominciarono ad aumentare poiché arrivavano anche persone dalle altre frazioni del comune. Col tempo molti hanno continuato con il suo legato ed oggi la Sezione dei Donatori di Sangue di Plasencis è aperta a tutti che dimostrino buona volontà e siano desiderosi di fare del bene altrui.

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La lotta contro l’irrigazione a pioggia

Siamo nel 1956 e i canali per bagnare i campi iniziavano ad essere sostituiti da altri metodi più moderni. Nei campi tra Pantianicco e Beano, dove oggi si trovano i vigneti e prima c’erano le mele, volevano sotterrare i tubi per la realizzazione di un impianto di irrigazione a pioggia. Ma non tutti erano d’accordo con i costi dei lavori. Pantianicco ci fu una riunione in piazza per comunicare dove e quando sarebbero stati realizzati i lavori per far passare i tubi dell’acqua. Tutti gli abitanti erano presenti e tanti discutevano con i tecnici che dovevano iniziare le operazioni. 85


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A un certo punto, quando una gran parte degli abitanti era molto arrabbiata, qualcuno suggerì di andare di corsa verso i campi per fermare i camion degli operai che stavano arrivando. Nel frattempo giunsero anche i carabinieri da Basiliano. Nei giorni seguenti ogni volta che i camion accennavano a muoversi, i paesani si buttavano per terra ed impedivano a loro di avanzare. Poi lo scontro diventò più violento; qualcuno gettò dei sassi, un altro insultò, allora i carabinieri lanciarono i gas lacrimogeni e tutti scapparono. Alla fine ci fu persino un ferito portati e alcuni furono in prigione. La vicenda divenne molto importante e la radio ed i giornali parlavano di questi fatti e così, anche i politici, le 86


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organizzazioni dei coltivatori e le autorità iniziarono ad interessarsi del problema. Finalmente i lavori furono portati avanti sotto la protezione dei carabinieri e qualche mese dopo la tubatura principale era già funzionante. Però le autorità avevano deciso che i pantianicchesi non avevano l’obbligo di usare questo sistema per bagnare i campi e, di conseguenza, non dovevano pagare. Questi fatti furono d’aiuto per i contadini di altri posti del Friuli che la pensavano uguale, di fatto da quel momento i costi dei lavori futuri furono sborsati dalla Regione.

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La fabbrica ed i nuovi tempi

C’era una volta un comune dove le famiglie vivevano di sola agricoltura. Avevano appena superato una guerra e tante persone erano partite verso terre lontane a cercare un lavoro. Fino quando arrivarono tempi migliori ed una fabbrica chiamata “Dinamite” decise di stabilirsi nella zona per fabbricare esplosivi. Dentro alla fabbrica i duecento dipendenti avevano tra loro rispetto reciproco, collaborazione e amicizia. Allora il benessere entrò nelle case perché molta gente del posto trovò lavoro in questo stabilimento e la qualità della vita migliorò. Le case si ristrutturarono e furono più comode, arrivarono gli elettrodomestici che fino a poco tempo fa erano un lusso. In poco tempo quasi tutti avevano un’auto e pian piano il lavoro dei campi fu continuato da pochi contadini attrezzati. 88


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Finiva l'epoca del Friuli povero dei secoli scorsi ed incominciava una nuova tappa per la nostra terra. Gli emigranti tornarono nei paesi e, qualche decennio dopo, sarebbe arrivata gente nata in altre parti del mondo. Purtroppo, un giorno, una spaventosa esplosione provocata per una scintilla scoppiò in un settore della fabbrica e, in seguito, in tanti altri. In quel momento operai e operaie che erano al lavoro cercavano di scappare in tutte le direzioni, mentre grossi pezzi di calcinacci e sassi volavano in aria e li colpivano. Molti rimasero feriti e in questa tragedia morirono otto persone. Ci fu profondo dolore in tutti i paesi andarono ai funerali degli operai.

ed in tanti

Per fortuna le famiglie e lo stabilimento, che oggi si chiama "Dipharma" riuscirono a riprendersi dalla tragedia. Attualmente non si fabbricano piĂš esplosivi ma medicinali e, insieme ad altre industrie della zona, da lavoro a tante persone che vivono nei dintorni di Mereto di Tomba.

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La festa regionale della mela

Sessanta anni fa in queste terre molti terreni erano destinati alla coltivazione delle mele. Per valorizzarla, nel lontano 1969, quando i vostri genitori erano appena nati, il signor “Gigi” Molaro, con la collaborazione di un gruppo di amici, ebbe l’idea di creare la “Festa della Mela” a Pantianicco. Si recò dal notaio per costituire il “Comitato per la mostra regionale della mela”; dopodiché sulla piazza della chiesa espose su un banchetto alcune casse di mele per proporre il prodotto tipico coltivato nella zona. I rimi anni furono molto difficili faceva molto freddo e la partecipazione poco significativa. Tuttavia “Gigi” Molaro si mantenne fermo sulle sue idee e continuò a sostenere la festa di anno in anno. 90


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Fu così che diventò più popolare, importante e grande fino a trasformarsi in quella principale della regione Friuli Venezia Giulia. Quindi Pantianicco é diventato i1 centro di raccolta di tanti tipi di mele e ogni anno questo incontro attira tante persone per assaggiare i prodotti realizzati con la mela, le acquistano e conoscono anche agli agricoltori. Purtroppo nel nostro nei quali si continua vediamo alla “Festa Villaorba, Sedegliano, paesi.

comune oggi ci sono pochi campi a coltivare la mela e quelle che della Mela” arrivano da Beano, Lestizza, Codroipo e da tanti altri

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Il dolce tipico della “Festa della Mela” è la “Pomella”, una frittella prodotta in quantità gigantesche che si fa con una ricetta segreta. I festeggiamenti si svolgono nella ex latteria del paese, che dopo un restauro, fu battezzata come “Casa del Sidro” ed è l'unica in Italia. All’interno si trovano tantissime bottiglie di sidro provenienti da tutt'Italia e anche dall'estero, come per esempio dall’Austria, Slovenia, Spagna e persino dall'Argentina. 92


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Bibliografia e sitografia  "Qui Pantianicco", bollettino della parrocchia di Pantianicco, numeri vari dal 1984 al 2012.  "Pantianins… Signora!", Periodico della Proloco di Pantianicco, numeri vari dal 1997 al 2012.  Opuscoli del comune di Mereto di Tomba.  Autori Vari. Tomba di Mereto, monografia storica e artistica. Biblioteca Sandro Ponte. Spilimbergo. 1979  Mattiussi, Walter Mario (a cura). “Benandants, corregionals FVG ator pal mont”. Associazione Due Mondi. Udine, 2010.  Moretti, Luigi. “Dizionario Biografico degli Italiani”. 1967.  Someda De Marco, Pietro. "Mereto di Tomba nella storia e nell'arte". Arti Grafiche Friulane. Udine, 1969.  Sito del comune di Mereto di Tomba, www.comune.mereto-di-tomba.ud.it  Sito della Proloco di Mereto di Tomba, www.prolocomeretoditomba.it  Sito dell'Associazione Paîs di San Marc, www.paisdisanmarc.it

L’autore Walter Mario Mattiussi Nato in Argentina nel 1971, si è laureato nel 1993 in Scienze della Comunicazione e Giornalismo ed ha un master in gestione del non profit ed in didattica. Ha viaggiato per i cinque continenti e lavorato per diversi giornali e riviste, nel Non Profit e come docente. Viaggia in Friuli Venezia Giulia nel 2002, grazie ad una borsa di studio della Comunità Europea; qui si sposa e rimane a Pantianicco, paese dei suoi nonni e dei suoi figli. Opera come educatore sul territorio regionale con progetti che riguardano la multiculturalità. Nel tempo libero collabora con diverse associazioni di volontariato e realtà socio-culturali; si appassiona di storia e tradizioni friulane 93


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Partecipanti al progetto "C'era una volta… Mereto di Tomba" Scuola Primaria di Pantianicco - Anno scolastico 2012/2013 Classe 1°A Adamo Alessandro Benczo Elias Mattia Bertoli Giacomo Bisutti Paola Cucciniello Alessandra Cum Angelica D’antoni Adelaide Dei Negri Eva Fanutti Riccardo Freschi Jarno Galluzzo Diego Giglio Gabriele Vincenzo Matijevic Luca Mattiussi Marco Luciano Nicoletti Sara Persello Chiara Pezzetta Sara Poldelmengo Pietro Roscioli Sara Rostirolla Davide Sgammato Alessandro Stocco Maria Sole Toppano Lorenzo

Classe 2°A Alfano Rebecca Bragato Davide Bunello Veronica Carpi Giovanni De Cecco Jonatha Del Giudice Elisa Dominici Giulia Fiume Soave Nicole Furlani Agata Morassi Linda Okoro Alvin Obinna Pontoni Thomas Romano Davide Uliana Gabriel Urbano Alessio Venir Eleonora Classe 2°B Antonutti Giada Brotto Alessandro Cucciniello Lorenzo Della Savia Giulia Galindo Alan Matteo Linzi Marco Mattiussi Maia Munaretto Manuela Puppat Martina Roscioli Simone Rovere Erika 93


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Sgammato Vincenzo Sguazzin Davide Sina Tabacchi Alhena Tuttino Iacopo Vendramin Margherita Ventola Carlotta

Classe 4°A Adamo Emma Bertolissi Arianna Brandolino Matteo Di Lenarda Luca Fanutti Matilde Goli Emiljana Lombardo Samuele Mozzi Olga Nascimben Simone Pontoni Beatrice Pontoni Eleonora Ranieri Andrea Stocco Tommaso Zanello Alice Zucchiatti Fabio

Classe 3°A Basaldella Linda Benczo Naomi Brandolino Tommaso Castenetti Alex Farina Melissa Gasparini Mathias Giambanco Andrea Lauzana Manuel Marchiol Gloria Martinis Maila Mattiussi Giulia Michelini Yuri Pancino Nicolo’ Pezzetta Giacomo Polesello Kevin Shytani Chiara Tavano Thomas Tomasello Martina Uliana Alex Vlasin Eduard Alex Zecchin Luna Zinutti Cristian

Classe 4°B Bearzi Alex Danelone Aurora Del Giudice Matteo Durì Claudia Feruglio Linda Finati Alessio Fiume Jacopo Galluzzo Mara Kashanpour Maryam Meret Rachele Nawiesniak Karolina Nicoletti Davide Uliana Beatrice Uliana Simone

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Classe 5°A Barbieri Sofia Bellotto Mirko Consentino Chiara Copetti Beatriz Daprà Angelo Del Giudice Manuel Dominici Marco Galluzzo Davide Jablanovic Dajana Nimyy Vadym Notomista Elisa Sguazzin Giovanni T. Toppano Chiara Zamparini Damiano Zanello Alice

Classe 5°B Ambrosini Aaron Barba Valentina Brotto Riccardo Fabbro Sean Linzi Daniele Marchiol Luna Migotti Fabiana Moretuzzo Teresa Pellegrini Stefano Said Ghanem Venier Christian Visentini Enrico Viskovic Giorgia Vlasin Alessia Andrea Zanini Camilla

Le Insegnati della Scuola Primaria di Pantianicco: Ambrosino Rosa, Barbiero Eliana, Bellot Antonella, Coccolo Ave, Collavini Tamara, Del Zotto Giulia, Di Bernardo Giuliana, Di Bin Onorina, Fois Graziella,

Martina Moira, Modeo Gianna, Nadalutti Daniela, Paoloni Meri, Romeo Geneviève, Sarri Emanuela, Zin Dolores, Zorzutti Elisa

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“C’era una volta… Mereto di Tomba” di Walter Mario Mattiussi ha una licenza Creative Commons con attribuzione - Non commerciale Condivisa allo stesso modo 3.0. L’opera, pubblicata dall’Associazione Due Mondi di Mereto di Tomba (UD) – Italia è stata realizzata per finalità illustrative e didattiche senza fini di lucro. Si può scaricare gratis da www.issuu.com/2mondi

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