La Rivoluzione Bolivariana in Venezuela: storia e prospettive

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UniversitĂ di Cagliari FacoltĂ di Scienze Politiche Corso di laurea triennale in Scienze Politiche

RELAZIONE FINALE La Rivoluzione Bolivariana in Venezuela: storia e prospettive

Candidato: Diego Soru

Relatore: Cecilia Novelli

A.A. 2011/2012



INDICE PARTE I. INTRODUZIONE: IL VENEZUELA NEL '900    

Dalla Rivoluzione Restauratrice alla transizione democratica...................... 1 La nuova Costituzione e la guerriglia............................................................... 2 Puntofijismo, crescita e crisi economica............................................................ 2 Una nazione semi-coloniale alla ribalta della storia........................................ 3

PARTE II. LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA                

Il MBR-200 ed il tentato putsch del 4 febbraio '92.......................................... 4 Una società in fermento...................................................................................... 5 Le elezioni del 1998............................................................................................. 6 1999-2000: la Revolucion Bolívariana pacifica................................................. 7 Prime misure socio-economiche........................................................................ 8 Organismi di base e partecipazione popolare.................................................10 La reazione dell'oligarchia e dell'imperialismo: il colpo di stato del 2002...10 Dalla nascita dell'UNT al referendum revocatorio.........................................12 Misiónes sociales................................................................................................14 Integrazione latinoamericana: una nuova “ALBA”.......................................17 Verso il “Socialismo del XXI secolo”................................................................18 Elezioni parlamentari e presidenziali (2005-2006).........................................20 Il caso RCTV e il referendum per la riforma della Costituzione..................21 Nasce il PSUV, il partito della Rivoluzione......................................................22 Nuove nazionalizzazioni e risalita elettorale del “centro-destra”.................23 Gli ultimi mesi di Chávez: malattia, rielezione e morte.................................25

PARTE III. CONCLUSIONI  Indipendenza sostanziale: unica via per i Paesi dipendenti...........................27  La Rivoluzione venezuelana e la sinistra internazionale...............................30  L'Europa mediterranea di oggi come l'America Latina?..............................31



PARTE I. INTRODUZIONE: IL VENEZUELA NEL '900 Dalla Rivoluzione Restauratrice alla transizione democratica Il Ventesimo secolo inizia per il Venezuela con la presidenza di Cipriano Castro, che arriva a Caracas alla testa di un gruppo di sessanta uomini e si impadronisce del potere nel 1899, ponendo fine ad un periodo di instabilità politica: è la “Rivoluzione Restauratrice”. Nel 1904, attraverso una modifica della Costituzione, viene nominato Presidente fino al 1911. Tuttavia nel 1908 il vice Juán Vicente Gómez (uno dei generali che lo avevano affiancato nell'ascesa al potere), approfittando dell'assenza di Castro dal Venezuela, lo depone e da inizio ad una dittatura che sarebbe finita ventisette anni dopo con la sua morte. Il governo di Gómez è caratterizzato, da un punto di vista economico, dall'inizio dello sfruttamento del petrolio: da subito le imprese straniere fiutano il buon affare ed investono in questo settore, mentre molti contadini emigrano dalle campagne alle città (una classica dinamica dei processi di industrializzazione, processo che in Venezuela resterà sempre incompiuto). Vengono favorite le inversioni straniere, soprattutto nel campo petrolifero, e il debito estero che teneva sotto scacco l'economia viene pagato1. Sotto l'aspetto politico, la dittatura di Gómez reprime tutte le opposizioni: in particolare nel 1928 gran parte degli studenti dell'Università Centrale, guidati dai líder Jóvito Villalba e Rómulo Betancourt, insorgono e vengono duramente repressi dall'apparato militare. La morte del dittatore (1935) segna la fine di un'epoca, il Caudillismo2, iniziato un secolo prima. Inizia una transizione verso un sistema politico-elettorale democratico e liberale, che sarà tuttavia difficile e sanguinoso. È il 1936 e le elezioni vedono la vittoria del Generale Eleazar López Contreras. Questi dovrebbe restare al potere per altri sette anni ma su propria sollecitazione la Costituzione viene modificata, con il periodo che diventa di cinque anni. Nel 1941 a Contreras succede Isaia Medina Angarita. Il neo-presidente rafforza l'alleanza con Stati Uniti e Gran Bretagna e da inizio ad una serie di riforme civili, politiche e sociali: imposta sul reddito, suffragio universale per l'elezione dei deputati, legalizzazione dei partiti fino ad allora considerati “insurrezionali”, riforma del codice civile, primi passi verso un sistema di stato sociale, lotta all'analfabetismo 3. Tuttavia i risultati sono scarsi, le masse popolari insoddisfatte e quattro anni dopo l'ascesa al potere c'è un nuovo cambio di fronte, con Medina Angarita che viene deposto da Rómulo Betancourt (aiutato da diversi ufficiali dell'esercito), di area socialdemocratica: il nuovo governo avvia una serie di riforme liberali.

1 Venezuela Tuya – Storia del Venezuela (2a parte), http://www.venezuelatuya.com/historia/resum2ita.htm, consultata il 16/03/2013. 2 Dal termine caudillo, stante ad indicare un leader politico-militare a capo di un regime autoritario. Figura tipica dell'America Latina nell'800 e -meno frequentemente- nel '900. 3 Venezuela Tuya – Storia del Venezuela (3a parte), http://www.venezuelatuya.com/historia/resum3ita.htm, consultata il 16/03/2013.

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La nuova Costituzione e la guerriglia Dopo un breve periodo di transizione, il partito di Betancourt, Acciòn Democratica (AD), ottiene la maggioranza in un'Assemblea Costituente. Primo compito dell'assemblea è di promulgare la nuova Costituzione del Venezuela, approvata nel 1946, e di organizzare le elezioni, che si svolgono nello stesso anno: viene eletto Presidente Rómulo Gallegos, candidato di AD, ma la stabilità non dura molto. Infatti nel 1948 un nuovo golpe capeggiato da Carlo Delgado Chalbaud depone Gallegos, che due anni dopo viene sequestrato ed assassinato: sale al potere Germán Suárez Flamerich. Nel 1952 si tengono nuove elezioni ed a vincerle è Jovito Villalba (prima all'opposizione): tuttavia con un altro colpo di stato prende il potere il Colonnello Marcos Pérez Jimenez. Durante la sua Presidenza arrivano nel Paese oltre un milione di europei (circa un quarto dei quali dall'Italia) 4, che cambiano significativamente la struttura socio-economica del Venezuela, andando ad occupare posti di lavoro nelle grandi città (nell'industria e nei servizi in particolare) e fondando o dirigendo importanti imprese. Prendendo ad esempio gli emigrati italiani, basti pensare che ad oggi circa un terzo delle industrie del Venezuela non collegate al settore petrolifero è in mano ad imprenditori italiani o a loro discendenti5. A metà degli anni '60 il paese cambia la sua denominazione ufficiale: da Stati Uniti del Venezuela a Repubblica del Venezuela6. Nel 1958, dopo il rovesciamento di Marcos Pérez Jimenez, vengono convocate nuove elezioni e ad essere eletto è Betancourt. Al centro della politica di quest'ultimo c'è un tentativo di rinnovamento del settore agricolo e di quello industriale, osteggiato dai proprietari terrieri e dai loro partiti politici. Nasce la cosiddetta Quarta Repubblica. Sono intanto attivi gruppi guerriglieri di ispirazione castrista-guevarista: sono gli anni della Rivoluzione cubana culminati con la proclamazione di una Cuba socialista. E sono gli anni del "fochismo" teorizzato da Ernesto Guevara, il "Che". Tuttavia le condizioni particolari che a Cuba avevano permesso il trionfo della guerriglia non si ripetono negli altri Paesi e fra questi il Venezuela, dove i combattenti non incontrano i favori decisi né dei contadini, né delle classi lavoratrici urbane, né delle organizzazioni storiche che organizzano questi settori. Tutto ciò condannerà la guerriglia alla sterilità.

4 Vittorio Briani, Il lavoro italiano oltremare, Roma, Ministero degli affari esteri Ed., 1975, pag. 127 consultato tramite internet il 16/03/2013. 5 idem 6 Il Venezuela era ed è tuttora una Repubblica federale.

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Puntofijismo, crescita, crisi economica Nel 1964 viene eletto Raúl Leoni (sempre di AD) che da vita ad un governo ampio di coalizione. Quattro anni dopo vincono i centristi (democristiani) del Comitato di Organizzazione Politica Elettorale Indipendente (COPEI): ha inizio l'era politica che prende il nome di puntofijismo (da Punto Fijo, nome della località dove viene siglato un patto tra i due partiti e le forze dirigenti del Paese), con AD e COPEI che si alternano al potere per anni. Nel 1973 l'embargo petrolifero decretato dai paesi arabi in seguito alla Guerra dei sei giorni aumenta il prezzo del petrolio: questo ha naturalmente sviluppi favorevoli anche sull'industria venezuelana, col Paese che vede le proprie casse rimpinguarsi copiosamente7. Nonostante la matrice ideologica democratica-cristiana, il COPEI al governo avvia una politica di nazionalizzazioni nel settore petrolifero ed intanto raggiunge una tregua con le forze ribelli della guerriglia. Il successivo governo, con AD al timone, si riavvicina da un punto di vista diplomatico alla Cuba socialista di Fidel Castro, approfondisce l'esproprio dell'industra petrolifera e nazionalizza anche quella del ferro. La politica estera del Paese subisce un'altra brusca svolta quando nel 1978 vince ancora il COPEI, che riallaccia i rapporti con gli USA e deteriora quelli con Cuba e col Nicaragua (dove sono al potere i sandinisti8). La nazione venezuelana per diversi anni è attraversata da una relativa crescita economica, col prezzo del petrolio che raggiunge quasi 17 dollari al barile sotto la Presidenza di Luís Herrera Campins 9. Crescita che si interrompe bruscamente nel 1983, allorquando in un domino senza fine aumenta l'inflazione, inizia una fuga di capitali verso l'estero e la moneta nazionale, il bolívar, comincia a svalutarsi pesantemente. Le redini del governo in quel momento sono in mano a Jaime Lusinchi, al quale succede Carlos Andrés Pérez (già Presidente diversi anni prima). In una situazione di drammatica recessione per l'economia nazionale, con un debito estero in costante crescita, Pérez promette una serie di dure misure di austerità (tra le quali l'aumento del prezzo dei carburanti, la fine dei sussidi economici e la fine del regime di cambio differenziale per il bolívar), basate su un prestito di 4 miliardi e mezzo dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e su privatizzazioni di beni ed aziende pubblici. Le masse, già provate da anni di malgoverno, scendono per strada e per diverse giornate si verificano violenti scontri: sono i giorni della rivolta conosciuta come Caracazo10. Se si vuole trovare l'evento che in un certo senso partorisce quello che conosciamo come Rivoluzione Bolivariana, è proprio quest'ultimo sopra menzionato.

7 Venezuela Tuya – Storia del Venezuela (3a parte), http://www.venezuelatuya.com/historia/resum3ita.htm, consultata il 16/03/2013. 8 Ovvero il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, movimento rivoluzionario al potere in Nicaragua dal 1979 al 1990. 9 Statistiche da: OPEC annual statistic bulletin 2004 e OPEC annual statistic bulletin 2010/2011, da http://www.opec.org/opec_web/static_files_project/media/downloads/publications/ASB2004.pdf http://www.opec.org/opec_web/static_files_project/media/downloads/publications/ASB2010_2011.pd f 10 La rivolta scoppia nella capitale Caracas, quando i pendolari degli autobus prima di recarsi a lavoro scoprono che i prezzi dei biglietti sono fortemente aumentati in seguito all'aumento del costo della benzina.

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Una nazione semi-coloniale alla ribalta della Storia La storia novecentesca del Venezuela consegna al nuovo Secolo una nazione segnata da una violenta evoluzione capitalistica tipica dei Paesi semi-coloniali. Una evoluzione che ha portato la popolazione rurale dal 70% del 1920 al 14% attuale 11 e di conseguenza ad una urbanizzazione massiccia il cui simbolo sono le favelas, periferie abitate dagli strati proletari, semiproletari e sottoproletari della popolazione. Le contraddizioni lentamente accumulatesi in seno al popolo venezuelano nel corso della sua storia stanno oggi deflagrando. Pur essendosi inizialmente espresse in una dinamica classica in America Latina, vale a dire con una parte dell'esercito e degli ufficiali che destituisce il vecchio esecutivo, la particolarità del processo sta nel fatto che questo ha avuto inizio quando nel mondo il bipolarismo della Guerra Fredda ha cessato di esistere ed il capitale internazionale ha cominciato a conquistare virulentemente nuovi mercati. Quando nell'89 si celebrava la “fine della storia”, un popolo quasi sconosciuto (in “Occidente”) anticipava dinamiche che la globalizzazione sta lentamente riproponendo ovunque: in questo senso il Venezuela è un “laboratorio” assolutamente interessante per chi vuole analizzare le linee dell'evoluzione sociopolitica odierna.

11 Elena Pisani, Il contributo della ruralità allo sviluppo. Il Cile quale laboratorio applicativo, 2009, pag. 199. Consultato tramite Google Books.

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PARTE II. LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA Il MBR-200 ed il tentato putsch12 del 4 febbraio '92 Il Caracazo (che inizia esattamente lunedì 27 febbraio 1989) è una gigantesca esplosione di rabbia sociale e l'esercito la reprime duramente: nella sola capitale Caracas si contano duemila morti e migliaia di feriti. Tra le forze armate è arruolato anche un trentaquatrenne, il comandante Hugo Rafael Chávez Frías, membro del clandestino Movimiento Bolivariano Revolucionario-200 (MBR-200)13, organizzazione progressista interna all'esercito stesso e facente riferimento agli ideali patriottici e al panamericanismo del Libertador Simón Bolívar14. Quel giorno Hugo Chávez dovrebbe prestare servizio al palazzo presidenziale di Miraflores, ma viene rimandato a casa in quanto malato di rosolia. Tuttavia, a seguito della rivolta, un discreto numero di membri dell'esercito (costretti a sparare su uomini e donne della loro stessa estrazione sociale) si rivolge a Chávez ed al suo Movimiento. Le alte sfere delle forze armate sanno dell'esistenza del MBR-200 nonché delle sue tendenze cospiratorie, tuttavia non possono procedere sotto l'aspetto giudiziario non avendo prove in questo senso15: scelgono dunque di isolare fisicamente i líder dell'organizzazione, spostandoli in diversi punti del Paese. In realtà Chávez viene fatto rimanere a Caracas (studiando nel frattempo per laurearsi in Scienze Politiche), mentre nel 1991 gli si ordina di spostarsi a Maracay (centro abbastanza vicino alla capitale), dove sarà tenente colonnello di un battaglione di paracadutisti, denominato “Antonio Nicolás Briceño”16. Proprio quel battaglione tra il 3 e il 4 febbraio 1992 si dirige verso Caracas per conquistare (insieme ad altri battaglioni) la città ed in particolare i centri del potere politico e militare, col piano di catturare il Presidente Carlos Andrés Pérez: è la notte del putsch organizzato dal Movimento e che coinvolge diverse migliaia di militari in diverse zone del Venezuela. Il tentativo non ha successo e vengono arrestati circa mille ribelli, anche se le perdite da una parte e dall'altra sono contenute se relazionate alle forze messe in campo17. Nella fattispecie gli uomini guidati direttamente da Chávez occupano il Museo storico militare: secondo i piani dovrebbero tenere prigioniero là il Presidente Pérez, tuttavia il commando che dovrebbe catturarlo all'aeroporto fallisce la sua missione. Per la verità, il giorno prima del putsch qualcosa sul piano probabilmente era trapelato, in quanto il Ministro della difesa Fernando Ochoa Antich fa organizzare per la mattina del 4 un nutrito presidio militare della Guardia Nacional all'aeroporto stesso. 12 Alcuni commentatori, storici ed osservatori politici utilizzano il termine putsch per designare un colpo di stato con tratti progressivi e rivoluzionari. Nella mia relazione mi adeguerò a questa “corrente”. 13 Il numero 200 indica il duecentesimo anniversario della nascita di Simón Bolívar (il MBR era stato fondato nel 1983). 14 Generale e rivoluzionario venezuelano, partecipò alle vittoriose guerre d'Indipendenza di Venezuela, Perù, Ecuador, Panama e Bolivia. Fu Presidente della Grande Colombia, federazione che si estendeva sui territori di Panama, Colombia, Venezuela ed Ecuador. 15 Gli alti ufficiali, in generale, tollerano idee sovversive e/o di sinistra all'interno delle forze armate (che considerano quasi inevitabili), confidando che siano passeggere. Vedi Roberto Massari, Hugo Chávez. Tra Bolívar e Porto Alegre, 2005, pagg. 24-25. 16 Antonio Nicolás Briceño. Protagonista della guerra venezuelana d'Indipendenza, nel 1811 firmò l'Atto di Dichiarazione d'Indipendenza. 17 Roberto Massari, Hugo Chávez. Tra Bolívar e Porto Alegre, 2005, pagg. 35-36-37.

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Ad ogni modo, alle 9 circa del mattino Chávez e i suoi dichiarano la resa. Lo stesso líder del MBR chiede ed ottiene di fare un discorso pubblico per via televisiva, annunciando appunto che i suoi si sarebbero arresi e intimando quei compagni che avevano conquistato diversi punti strategici di gettare le armi.

Una società in fermento La tensione sociale e politica nella nazione sudamericana è palpabile. Il putsch “bolivariano” ne è una manifestazione e lo è altrettanto un nuovo putsch militare, che stavolta avviene a fine novembre (il 27) guidato dall'ammiraglio Hernán Grüber Odremán: questo nuovo tentativo vede protagonisti, come principali ideologi e dirigenti, uomini appartenenti a sfere medio-alte della Marina e dell'Aeronautica in alleanza con il partito politico La Causa Radical (LCR)18, tutti uniti sotto il nome di Movimiento 5 de julio19. Anche stavolta le forze insorte vengono sconfitte e si vocifera, tra le altre cose, che lo stesso Chávez potrebbe essere tra gli organizzatori diretti di queste. Effettivamente il tenente colonnello in carcere (viene rinchiuso prima a San Carlos poi a San Francisco de Yare) gode di una discreta libertà e questo è dovuto alla sua posizione nelle gerarchie militari: soprattutto continua a mantenere i legami politici con l'esterno. Tuttavia un suo coinvolgimento diretto nei fatti di novembre non è mai stato dimostrato: nel gruppo dei nuovi “cospiratori” c'erano sì membri del MBR-200 (sfuggiti alla cattura a febbraio), ma gli ipotetici intrecci sembrano fermarsi qui. Nel giugno del 1993 la presidenza di Pérez decade in seguito all'accusa di corruzione, a dicembre si svolgono le elezioni presidenziali con i seguenti risultati: Convergencia+movimenti e partiti di sinistra 30% circa (candidato Rafael Caldera); AD 23,60% (Claudio Fermín); COPEI 22,73% (Oswaldo Álvarez Paz), LCR 21,95% (Andrés Velásquez). L'astensione si attesta al 40% degli aventi diritto al voto (era prevista inferiore di 10-20 punti da vari osservatori) e le elezioni si svolgono in un clima teso, con un imponente spiegamento di forze armate che vigilano sulle operazioni20. Il voto iper-frazionato (coi vecchi partiti dell'alternanza che perdono colpi), l'alta astensione e le voci di un possibile golpe in caso di vittoria di uno dei candidati di sinistra sono indice inconfondibile di instabilità sociale e dunque politica21. In particolare è la sinistra venezuelana ad essere in fermento. Il nuovo presidente Caldera (leader di Convergencia, formazione social-cristiana) aveva vinto le elezioni alleato principalmente con il Movimiento al Socialismo (MAS) ed il Partido Comunista de Venezuela (PCV). Quattro mesi dopo la vittoria nelle urne apre nuovamente a sinistra, concedendo l'amnistia a tutti i prigionieri detenuti a causa dei putsch di due anni prima.

18 Partito politico di ispirazione marxista, nato nel 1971 da una scissione del Partito Comunista del Venezuela. Sarà sempre esterno al governo Chávez, prima da solo poi all'interno dell'alleanza con i partiti dell'opposizione di centro-destra. 19 Dalla data della prima dichiarazione di indipendenza del Venezuela, 5 luglio 1811. 20 Archivio Adnkronos – Venezuela: elezioni presidenziali, http://www.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1993/12/04/Esteri/VENEZUELA-ELEZIONIPRESIDENZIALI_132200.php 21 idem

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Le elezioni del 1998 Come accennato, in prigione il vecchio líder del MBR-200 Chávez non aveva abbandonato affatto i suoi contatti e progetti politici ed anzi, grazie all'intervento in TV dopo il putsch e ad altre interviste successive in radio, è nel frattempo diventato un'icona nei quartieri popolari della nazione, che vedono nella sua figura carismatica la possibilità di scrivere per loro stessi una nuova pagina di storia. La sua popolarità arriva anche nei Caraibi, a Cuba. Nel 1994 Fidel Castro lo invita a L'Avana ponendo le basi di quella che sarà poi la futura alleanza delle sinistre “subcontinentali” in chiave anti-imperialista22. Anche i gruppi della sinistra venezuelana colgono presto il potenziale politico e carismatico di Chávez e dal '94 iniziano gli incontri in vista di una possibile e probabile alleanza per le elezioni presidenziali del 1998. Queste forze politiche sono: Patria Para Todos (PPT), scissione di LCR; il MAS; il PCV; vari raggruppamenti minori di estrema sinistra, escluse alcune piccole organizzazioni. Il Movimiento Bolivariano Revolucionario è attraversato al suo interno da un profondo dibattito sulla propria natura. Innanzitutto si trasforma presto in un'organizzazione aperta anche ai civili. È chiaro però che il nome ereditato dalla vecchia struttura clandestina, basata sul progetto della cospirazione, non è adatta al nuovo compito tattico che aspetta i “chavisti della prima ora”: perciò, riunitisi a congresso nel gennaio del 1997, la decisione è quella di partecipare alla tornata elettorale sotto il nome di Movimiento Quinta República (MVR, dove V sta per il numero ordinale “quinta”). L'alleanza nella quale correrà il MVR con le organizzazioni prima citate si chiama Polo Patriótico ed il suo programma si intitola “La propuesta para transformar a Venezuela. Una revolución democrática”, un programma di stampo democratico-progressista: propone una nuova Assemblea Nazionale Costituente, più Stato nel campo sanitario, lotta alla corruzione, riequilibrio dei poteri nello Stato, ecc. Non c'è un attacco diretto alla proprietà privata dei mezzi di produzione (anche se si promette di lottare strenuamente contro la privatizzazione dei settori strategici dell'economia), né alle inversioni straniere (per le quali semplicemente si propone di migliorare lo sfondo giuridico su cui si svolgono)23. Le presidenziali si svolgono il 6 dicembre del 1998 ed a sfidarsi sono principalmente tre candidati: Irene Sáez, con una propria lista creata “ad hoc” (solo in un primo momento appoggiata dal COPEI); Henrique Salas Rӧmer, conservatore di ferro appoggiato sia dal COPEI che da AD; Hugo Rafael Chávez Frías per il Polo Patriótico. Interessante l'evoluzione pre-elettorale per i vari schieramenti e partiti. I due partiti storici del Venezuela si dimostrano indecisi fino all'ultimo e temono l'ascesa del candidato del Polo come il gatto teme il cane. Ed è così che le iniziali candidature decise da entrambi convergono alla fine su un unico candidato, nel tentativo disperato di salvare il salvabile. Ma il dado ormai è tratto ed i risultati sono assai significativi: il Polo Patriótico ottiene il 56,20% dei voti, Salas Rӧmer si ferma al 39%, la lista IRENE della Sáez al 4%: è un trionfo in particolare per il MVR, che da solo porta in dote oltre due milioni e mezzo di preferenze, per una percentuale del 40,17. La vittoria è schiacciante e la parentesi apertasi col Caracazo si chiude ora con il declino dei partiti tradizionali, travolti dalla spirale economica recessiva ed incapaci di cambiare rotta affrancandosi dall'influenza sempre più pesante degli oligarchi locali e 22 Hugo Chávez en Cuba 1994, http://www.youtube.com/watch?v=c9Pb12l_Lt4, visto il 20/03/2013. 23 La propuesta de Hugo Chávez, http://www.analitica.com/bitblioteca/hchavez/programa.asp, consultata il 20/03/2013.

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degli imperialismi statunitensi e spagnolo.

1999-2000: la Revolucion Bolívariana pacifica Il 2 febbraio 1999 si insedia ufficialmente il nuovo governo. Proprio il 1999 è un anno ricco di partecipazione popolare basata sulle votazioni. Il centro di tutto è essenzialmente il progetto di nuova Assemblea Costituente, che in effetti era un pilastro del programma chavista. Il primo passo è un referendum convocato per chiedere al popolo di acconsentire appunto alla stesura della Costituzione stessa. Si vota il 25 aprile ed gli aventi diritto che si esprimono favorevolmente alla Costituente sono l'88% dei votanti, anche se si registra un'astensione a dir poco alta (del 62,35%), che gli oppositori sfruttano subito come argomento di delegittimazione. A luglio è quindi la volta di eleggere i delegati per la Costituente: le forze chaviste ottengono la stragrande maggioranza dei seggi, 119 contro 12 (91%). I lavori dell'Assemblea iniziano e proseguono alacremente, arrivando a novembre a “partorire” un documento costituzionale di nove titoli che contiene significative novità. Centrale è ad esempio il passaggio che vieta la privatizzazione dell'industria petrolifera oltre che il monopolio statale e/o l'impossibilità di privatizzare idrocarburi (gas escluso), servizi idrici, energia elettrica, servizi elettromagnetici, telecomunicazioni (laddove non siano già private). Nella nuova Carta si sancisce il passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella diretta ed a questo proposito si istituisce la possibilità di un referendum revocatorio per tutte le cariche elettive ed a partire dalla seconda metà del mandato in questione. L'articolo riguarda anche la presidenza della Repubblica, che inoltre può essere eletto per un massimo di due volte consecutive con mandato di sei anni (prima era di cinque), passaggio particolarmente criticato dalle forze oppositrici. La Repubblica prende il nome di “Repubblica Bolivariana del Venezuela”. Manca però un ulteriore passaggio, ovvero l'approvazione della Costituzione ancora per via referendaria. È il 15 dicembre ed il 72% dei voti va a favore del nuovo testo fondamentale della nazione, contro il 28% che si dichiara contrario. Proprio il giorno successivo alla votazione referendaria il Paese sperimenta, suo malgrado, la sapienza organizzativa del nuovo Presidente. Fitte piogge iniziate giorni prima provocano infatti un gigantesco alluvione: straripano diversi fiumi e di conseguenza interi pezzi di colline crollano sotto il peso delle centinaia di abitazioni costruite un po' ovunque senza alcun criterio. I soccorsi non si fanno attendere, con le oltre duecentomila persone rimaste senza abitazione accolte nelle caserme e l'importante aiuto di professionisti (oltre che di medicinali) provenienti da Cuba. Viene subito pianificata anche la ricostruzione delle infrastrutture produttive, in accordo con gli imprenditori locali. Il bilancio dell'alluvione è comunque tragico: le vittime sono tra le 25 e le 30.00024. Il ciclo di votazioni (denominato dallo stesso líder venezuelano “Rivoluzione Bolivariana Pacifica”) si chiude per la verità nel luglio del 2000, quando gli elettori si recano ancora una volta alle urne per rieleggere il Parlamento (Assemblea Nazionale) 24 Archivio storico corriere.it – Venezuela, 200 mila senza tetto nel fango. L'alluvione piega il Paese, centinaia di cadaveri in mare. Dall'Italia un miliardo per la ricostruzione, http://archiviostorico.corriere.it/1999/dicembre/20/Venezuela_200_mila_senza_tetto_co_0_99122011 387.shtml, consultata il 20/03/2013.

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ma anche il Presidente della Repubblica e le varie autorità locali. Altra vittoria per il Polo Patriótico, con quasi 3.000.000 di preferenze (56,27%) contro le quasi 2.000.000 dell'opposizione e del suo candidato Francisco Arias Cárdenas (36,29%), sostenuto dal grosso della Confindustria venezuelana (e dalle sue reti televisive), dai media statunitensi e dai gruppi anti-castristi di Miami, oltre che dalle alte sfere della Chiesa. Nel frattempo, il '99 era stato anche anno di svolta diplomatica per la Repubblica. Da ottobre a novembre Chávez visita la Cina, Cuba (ancora una volta dopo il 94'), Iraq, Libia e Iran (questi ultimi tre non a caso Paesi produttori di petrolio). Sono visite che suscitano scalpore a livello internazionale, anche perché prima ancora il governo bolivariano aveva negato agli Stati Uniti l'autorizzazione a sorvolare i cieli del Venezuela con i propri aerei militari.

Prime misure socio-economiche Inizialmente le masse che si schierano con il Polo Patriótico sono conquistate dalle capacità oratorie ed empatiche del suo líder: i poveri, gli esclusi si identificano in lui. Questo però non basta, la concretezza ed i fatti si dimostrano più importanti, alla lunga. Ed in effetti il governo inizia da subito a studiare e poi mettere in atto programmi di stato sociale a lungo archiviati non solo in Venezuela ma sostanzialmente in tutto il “subcontinente”. Il Paese arriva alla fine del XX secolo con una percentuale di popolazione povera del 70% (mentre il 35% vive nella povertà estrema), con un 14% di indigenti e con un PIL pro capite di circa 8 dollari25. La rendita petrolifera inoltre nel '99 è il 16% del PIL. Proprio l'oro nero è al centro della strategia chavista e l'obiettivo è quello di aumentare le entrate dalla sua vendita per poi reinvestire in sanità, istruzione, programmi di inclusione sociale26. L'azienda nazionale è la PDVSA (Petróleos de Venezuela, Sociedad Anónima): è una società pubblica ma l'enorme diffusione della corruzione al suo interno ha consentito per decenni di essere alla mercé degli acquirenti stranieri. Il Ministero dell'Energia e delle Miniere (con a capo Ali Rodríguez Araque 27) riduce dunque i finanziamenti pubblici all'azienda e contemporaneamente riavvicina il Venezuela all'OPEC, dal quale i precedenti governi si erano divincolati. Proprio all'interno del cartello dei produttori si decide poi per la diminuzione della produzione per far sì che aumenti il prezzo del singolo barile, per poi stabilire invece un prezzo di oscillazione che consenta ai singoli Stati di aumentare o diminuire la produzione in base alle esigenze del momento. Altra misura nel settore è l'aumento delle tasse per sette compagnie straniere dall'1 al 16,66%. Per il Venezuela è pressoché immediato l'aumento del prezzo del barile tra il '99 e il 2000 e si può dare inizio alle prime riforme sociali. Per fare questo si utilizzano inoltre come “leve” fondamentali il Fondo único social (fondo centralizzato destinato appunto al welfare) e il Banco del Pueblo.

25 Index Mundi – Dati storici, http://www.indexmundi.com/g/g.aspx?v=21&c=ve&l=it, consultata il 17/03/2013. 26 Il Venezuela possiede la più grande riserva di petrolio conosciuta al mondo. 27 Ex guerrigliero degli anni '60.

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SALARI DEL SETTORE PUBBLICO. È una delle prime misure dirette del governo, datata febbraio 1999: l'aumento del 20% degli stipendi nel settore pubblico. Per coprire l'operazione Chávez e i suoi studiano un'imposta sul debito bancario. Nel frattempo diminuiscono i fondi destinati alla protezione dei politici di spicco (meno scorte ma anche meno automobili). PLAN BOLĺVAR 2000. Con questo piano si cerca di contrastare problemi urgenti del territorio venezuelano con l'intervento di squadre dell'esercito impiegate in compiti civili al fianco della popolazione (riparazione di strade e reti fognarie, cure mediche per i poveri, mense per gli indigenti, ecc.). Primo passo è la richiesta del Presidente Chávez di un contributo economico da ogni singolo cittadino, proporzionalmente alle opportunità di ciascuno, da aggiungere ai 26 milioni già stanziati dal governo. Oltre ad un contributo monetario è utile ed auspicabile un aiuto volontario diretto da parte dei singoli: se ad esempio c'è da trasportare materiale per riparare i tetti di una scuola di Caracas, i camionisti si offrono volontari e collaborano quando hanno tempo, nel frattempo i militari coordinano i lavori, controllano che tutto fili liscio e collaborano in prima persona. LEY DE TIERRAS E LEY DE PESCA. La Ley de tierras è un tassello verso l'autonomia del settore primario. Nel dicembre del 2000 Chávez dichiara, nella trasmissione radiofonica “Alò Presidente”, che combatterà le oligarchie latifondiste ed abolirà il latifondo. In effetti al 1998 il 20% della popolazione possiede il 70% della terra coltivabile, mentre il 75% ne possiede il 6%. La legge viene varata nel 2001 e stabilisce che i terreni sopra i 5.000 ettari, se incolti, possono essere espropriati ed assegnati a cooperative o contadini con poche o nessuna terra, in contemporanea sostenendo le nuove attività con crediti e capitale tecnologico. I singoli contadini potranno possedere la terra ed ottenerne il diritto di proprietà dopo averla lavorata per tre anni, dopodiché potranno lasciarla in eredità ma non venderla28. I latifondisti, nonché le associazioni degli allevatori e degli imprenditori agricoli, contestano da subito la legge ricorrendo alla corte suprema per farla abrogare, vedendosi respinto il ricorso nel complesso ma ottenendo comunque la cancellazione di tre articoli29. In generale la redistribuzione delle terre non da subito grossi risultati e per questo nel 2003 viene avviato il Plan Zamora30, che semplicemente ha come obiettivo quello di accelerare ed incrementare le redistribuzioni iniziate dalla Ley de Tierras: grazie al piano la situazione migliora anche se non senza intoppi. Altro provvedimento di natura “sovranista”31 è la legge sulla pesca: questa aumenta il limite oltre il quale si può praticare la pesca a strascico (da 6 a 9 miglia dalla costa), 28 Nel corso dei decenni in Venezuela sono stati palesi l'abbandono e la disaffezione rispetto ai campi, con grandi masse di popolazione rurale che sono migrati nelle città. La norma serve appunto a ripopolare i campi evitando che la terra una volta ottenuta sia rivenduta a grossi proprietari terrieri. 29 Articolo 89: assegnazione dei titoli terrieri ai contadini che coltivavano da anni terre occupate; articolo 90: possibilità di un risarcimento del latifondo, nel caso in cui le terre fossero state richieste con documenti falsi; articolo 211: divieto di ipotecare le terre appartenenti a cooperative, nel caso in cui fossero coltivate. 30 Ezequiel Zamora fu un politico e militare venezuelano vissuto nell'800 che partecipò alla Guerra Federale, guerra civile che dal 1859 al 1863 vide opposti conservatori e liberali. Propugnava una radicale riforma agraria a favore dei contadini. 31 Il termine “sovranismo” è relativamente nuovo nel dizionario politico nostrano (sardo in particolare). Lo utilizzo qui per indicare quelle tendenze e scelte politiche che si inscrivono nel campo dell'indipendenza sostanziale e dell'affrancamento da rapporti di tipo coloniale o semi-coloniale.

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puntando in questo modo a tutelare sia le coste che i piccoli pescatori contro la pesca predatoria delle grandi compagnie del settore. Dal '99 al 2001 l'economia cresce del 3% e l'inflazione diminuisce, nonostante una fuga di capitali stimata intorno ai 30 miliardi di dollari.

Organismi di base e partecipazione popolare Nell'aprile 2001 nascono i primi Circoli Bolivariani, organismi locali di base nati per garantire un'ampia partecipazione popolare: si formano sia a livello territoriale (quartiere, vicinato, ecc.), sia a livello di settore sociale (fabbrica, campo, ecc.) ed affrontano tematiche concrete e problematiche sociali di vario tipo. Composti generalmente da un numero di persone che va da sette a undici, fanno anche attività culturale, discussione e formazione politica: sono le cellule fondamentali del processo rivoluzionario ed organizzano la mobilitazione della base quando è necessario (elezioni, referendum e così via); a livello nazionale non solo si scambiano reciprocamente le proprie esperienze ma eleggono periodicamente anche i propri coordinatori centrali. Da questa esperienza nascono quindi i Consigli Locali di Pianificazione Pubblica (attraverso decreto del 6 giugno 2002), veri e propri organi locali di potere popolare deputati a pianificare il bilancio locale, creando se necessario associazioni, cooperative e comitati municipali che fungano da mezzi pratici dello sviluppo locale. I consigli sono formati da sindaco, consiglieri, presidenti delle giunte di quartiere, rappresentanti delle organizzazioni di vicinato e delle popolazioni indigene. I CLPP non funzionano però a dovere (a causa di una diffusione non capillare e -generalmente- della volontà dei sindaci di non cedere quote del loro potere) e dal 2006 vengono sostituiti dai Consejos Comunales: la differenza è che questi ultimi non sono vincolati ai finanziamenti municipali. Altri organismi di democrazia diretta sono i Comitati di Terra Urbana (CTU), introdotti dal decreto n.1666. Questi comitati hanno come compito quello di registrare (censire) la situazione demografica, sanitaria ed abitativa dei rispettivi quartieri: questo per decidere poi, in collaborazione con lo Stato, di apportare miglioramenti nel quartiere e per chiedere il riconoscimento dei diritti di proprietà sulle terre abitate. Il decreto stesso sancisce che le donne debbano avere maggiore facilità di ottenimento di tale diritto sulla propria terra. Successivamente nascono i Centri di Partecipazione per la Trasformazione Abitazionale (CPTH), formati dall'unione di più CTU e finalizzati a progettare un'urbanizzazione di qualità (con accesso ad acqua, luce, gas e così via), ma su scala più ampia rispetto ai singoli quartieri.

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La reazione dell'oligarchia e dell'imperialismo: colpo di stato del 2002 La serie di riforme sociali ed economiche che il governo bolivariano mette in atto dal '99 al 2001 preoccupa diversi settori della società venezuelana e non. Sono soprattutto larghe fette di classe media; la borghesia riunita nella Federación de cámaras de producción y comercio (Federcámaras) e tramite questa la stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione; i vecchi rottami politici spazzati via dalla “tempesta” di fine '98; alcuni militari di alto grado; la gerarchia ecclesiastica; il gruppo dirigente del sindacato Confederación de Trabajadores de Venezuela (CTV). Tutti questi gruppi sociali avevano vantaggi sicuri fino a quando il Paese era pesantemente dipendente dal mercato estero in tutti i settori principali della vita economica: le misure del governo non cancellano da un giorno all'altro questa dipendenza, ma la mettono in seria discussione, al contempo mobilitando strati di popolazione in precedenza pressoché invisibili che le classi medio-alte considerano con disprezzo. All'estero è chiaro che ad essere ostili al processo venezuelano sono gli Stati Uniti ed i suoi satelliti latinoamericani, Colombia in testa, che dallo scambio diseguale traevano vantaggi economici (profitti straordinari per le multinazionali del petrolio e dell'alimentazione) e geo-politici (controllo più o meno diretto dei governi, controllo militare dell'America Latina). Anche la Spagna ha forti interessi, in particolare bancari e petroliferi. Da inizio 2001 questi settori serrano le fila e tentano una carta non nuova nel continente e nel Paese stesso: quella del colpo di stato. Le operazioni cospirative partono con la regia decisiva della CIA, che ricorre ad infiltrazioni ed alla corruzione in tutti i ruoli e settori determinanti del campo statale32. A livello mediatico inoltre TV e giornali vicini all'opposizione (o per essere più precisi di proprietà di uomini dell'oligarchia) preparano il terreno, dipingendo un Venezuela oppresso da una dittatura cripto-comunista e filo-cubana che mette in pericolo la proprietà privata. Il 5 marzo si tiene un incontro tra la CTV e Federcámaras, ospitate nella sede della Conferenza Episcopale. L'incontro produce un documento in cui le parti, autodichiaratesi “società civile”, fanno appello all'unità “tra lavoratori e imprenditori”, si dicono preoccupate per il Paese e propongono dieci punti per farlo ripartire attraverso un governo transitorio: questi dieci punti, sottratti al fumo della retorica, battono sulle necessità di cambiare radicalmente la Costituzione Bolivariana, di investimenti esteri ed in generale di un ritorno deciso a politiche neo-liberiste33. Il 6 e 7 aprile l'offensiva dell'opposizione si fa più esplicita e decisa: viene infatti proclamato uno “sciopero nazionale” (ma “serrata padronale” sarebbe una definizione più corretta). Per l'11 aprile è invece prevista, a Caracas, una marcia organizzata dalle forze di opposizione per chiedere le dimissioni del governo. L'aria è però pesante già dalla notte prima: a quanto pare i dipendenti dell'Ambasciata statunitense avvisano amici e parenti che il giorno dopo sarebbe successo qualcosa di grosso e li esortano a non correre rischi per le strade34. Ad ogni modo nel primo pomeriggio dell'11 l'opposizione scende in strada, per una marcia definita “pacifica”. Buona parte dei manifestanti non sa però che tutto è già stato programmato da un numero di persone decisamente inferiore a quello della gente che scende in marcia. La manifestazione dovrebbe in teoria fermarsi nella zona di Chuao (vicino alla sede della PDVSA) ed in un primo momento è così, se non fosse che dal palco gli organizzatori incitano la folla a recarsi verso Miraflores per intimare a gran 32 Renzo Amenta, La guerra al colonialismo di Hugo Chávez, 2007, pag. 83. 33 Renzo Amenta, La guerra al colonialismo di Hugo Chávez, 2007, pagg. 94-95. 34 Renzo Amenta, La guerra al colonialismo di Hugo Chávez, 2007, pag. 108.

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voce all'Esecutivo di dimettersi. Lo spostamento verso il Palazzo del Governo è chiaramente una follia, dato che anche i sostenitori del chavismo sono in decine di migliaia proprio davanti al Palazzo (per sostenere il governo stesso) e i manifestanti dell'opposizione li incrocerebbero di certo. E così è: ad un certo punto il corteo dell'opposizione è vicino a quello dei chavisti, divisi solo da uno schieramento (seppur relativamente folto) della Guardia Nacional. Si sentono degli spari e si nota poi che alcuni manifestanti dell'opposizione sono stati colpiti, alcuni a morte: è una parte cruciale del piano golpista. Subito si grida allo scandalo, si sparge la voce che a sparare siano stati uomini della folla filo-chavista ed in effetti le immagini diffuse dalle TV private sembrerebbero confermare questa versione. In realtà a sparare sui manifestanti erano stati componenti della Polizia Metropolitana (PM), corpo armato particolarmente reazionario coinvolto a piene mani nel tentato golpe, e diversi cecchini posti in punti strategici; mentre i manifestanti filo-governativi stavano semplicemente rispondendo al fuoco di questi ultimi e saranno successive immagini -con un campo di ripresa allargato- a confermarlo35. La mattina del 12 aprile i gravi fatti accorsi servono da (finto e programmato) “casus belli” e permettono ai capi dell'opposizione di ottenere l'arresto di Chávez legittimandolo alla luce dei morti, provocati a loro dire dal governo bolivariano. Un gruppo di generali dell'esercito appare in TV leggendo un messaggio (preparato ore prima)36 in cui disconoscono il governo in carica, nel frattempo i golpisti sciolgono il Parlamento e un nuovo governo (definito “di transizione”) si insedia, con Pedro Carmona Estanga (massimo dirigente della Federcámaras) Presidente della Repubblica: il nuovo Esecutivo è riconosciuto immediatamente dal Salvador, dalla Spagna di Aznar e dagli Stati Uniti di George W. Bush. L'oligarchia esulta, i giochi sembrano fatti. Tuttavia una combinazione non nuova nel corso del processo rivoluzionario scombina i piani golpisti: buona parte dell'esercito è ancora fedele a Chávez ed alla Rivoluzione; inoltre le masse bolivariane invadono le strade della capitale e circondano Miraflores. Il Presidente è tenuto prigioniero a Fuerte Tiuna, il più importante complesso militare del Paese, ma riesce in qualche modo a far pervenire un biglietto (firmato) in cui ha scritto di non essersi dimesso, come invece volevano far credere le forze del “centrodestra”. Forti di questa notizia, le masse in strada tengono duro e il 13 aprile i golpisti non possono far altro che propendere per il rilascio di Chávez: nel frattempo infatti le guardie armate di Miraflores riprendono il controllo dell'edificio arrestando parte dei vertici golpisti e costringendo altri (tra cui Carmona Estanga) alla fuga frettolosa; inoltre la pressione popolare è massiccia. Le menzogne diffuse dai media complici del colpo di stato non hanno avuto l'effetto di delegittimazione sperato e il 13 aprile tutto torna come prima (almeno in superficie, dato che questi avvenimenti segneranno in qualche modo un punto di non ritorno): Chávez è ancora il Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, le macchinazioni dell'oligarchia e degli Stati Uniti sono state sconfitte con il contributo fondamentale del popolo lavoratore e povero.

35 Documentario La rivoluzione non sarà teletrasmessa, 2002. Nello stesso documentario si fa notare come il possesso di armi da fuoco sia piuttosto comune in Venezuela. 36 Renzo Amenta, La guerra al colonialismo di Hugo Chávez, 2007, pag. 125.

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Dalla nascita dell'UNT al referendum revocatorio Una volta ripresa la sua carica37, Chávez fa appello al popolo bolivariano perché torni nelle proprie case, in quanto “la tranquillità è stata ristabilita”. Nel campo della burocrazia statale (in particolare all'interno dell'azienda petrolifera nazionale) inizia un processo contraddittorio di “pulizia”: buona parte di dirigenti (e dipendenti) che hanno appoggiato il colpo di stato vengono rimossi. Tuttavia le sfere più alte dei cospiratori vengono assolte dai tribunali e l'atteggiamento generale del governo è di riconciliazione e non di repressione verso i golpisti: questa strategia non viene capita da gran parte della base che sostiene la Rivoluzione, che al contrario si radicalizza e chiede -sostanzialmente invano- dure punizioni per i cospiratori ed i loro complici. Nel periodo che segue il 13 aprile l'atmosfera resta comunque tesa, con l'opposizione che non sembra affatto intenerita dai toni soft del governo. In particolare nella seconda parte del 2002 si susseguono diverse manifestazioni organizzate dal blocco antichavista, affiancate spesso da serrate di industrie, uffici pubblici, negozi. La serrata più pesante è quella dell'industria petrolifera (paro petroleo) di dicembre: organizzazioni padronali e CTV vanno a braccetto bloccando la produzione nel settore decisivo dell'economia venezuelana e i danni sono ingenti. Proprio a partire da questa serrata, combattuta per un certo periodo dai lavoratori stessi con il controllo operaio sulla produzione, si produce uno strappo sindacale di portata storica: nell'agosto 2003 la CTV, ormai palesemente corrotta ed integrata dalla borghesia da decenni, subisce una scissione maggioritaria e nasce, con l'appoggio di tutto il movimento bolivariano, la Unión Nacional de Trabajadores de Venezuela (UNT) che diviene così il primo sindacato venezuelano per numero di iscritti. Le continue manifestazioni degli escualidos (appellativo con cui vengono chiamati i sostenitori dell'opposizione dai simpatizzanti della Rivoluzione) e i paros sono fermati dalla mediazione degli Stati Uniti, nella persona di Jimmy Carter 38, con l'opposizione che promette però di raccogliere le firme per far indire un referendum di destituzione nei confronti di Chávez, come previsto dall'articolo 72 della giovane Costituzione (articolo rispetto al quale nel '99 i conservatori si erano però detti contrari). Proprio in vista di questo referendum si consuma lo scontro politico di un anno intero: l'opposizione raccoglie le firme necessarie e si va al voto il 15 agosto 2004. Da una parte c'è il comitato promotore, che invita a votare “Sì” alla revoca del mandato, dall'altra i sostenitori del governo e quindi del “No”. La mobilitazione del popolo bolivariano anche in questo caso è oceanica, sia prima, sia durante, sia dopo la consultazione: vengono messi in piedi “battaglioni” di propaganda che coprono piuttosto uniformemente il Paese e si invitano i lavoratori, i disoccupati, il popolo dei barrios a recarsi alle urne mettendo un segno sul “No”. I sondaggi più autorevoli danno il “No” in netto vantaggio, mentre i media dell'oligarchia parlano di risultato incerto: due quotidiani della capitale (tra quelli che parlavano appunto di elettorato diviso pressoché equamente) ammettono di aver pubblicato dei sondaggi pilotati39. Il “No” alla fine vince con quasi il 59% dei voti, il “Si” si ferma a meno del 42%, con i conservatori sedicenti “democratici” che si rifiutano però di riconoscere la regolarità del 37 Nel frattempo aveva giurato come Presidente Diosdado Cabello (fino ad allora vice-Presidente). 38 Trentanovesimo Presidente degli Stati Uniti dal 1977 al 1981. Nell'82 da vita al Centro Carter, associazione che afferma di sostenere la crescita della democrazia e della libertà a livello internazionale. 39 Alan Woods, La rivoluzione venezuelana. Una prospettiva marxista, 2005, pag. 178.

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risultato e questo nonostante il voto fosse monitorato da un comitato di osservatori esterni, tra cui figuravano il Centro Carter e l'OEA (Organización de los Estados Americanos)40, di certo non imputabili di filo-chavismo. La partecipazione al voto ha dello straordinario (e non solo relativamente all'America Latina): 90% di affluenza alle urne, in particolare con file chilometriche nei seggi dei quartieri operai. Quegli stessi quartieri operai dove in serata esplode la gioia per la vittoria conseguita, con musica e clacson a tutto volume a fare da contraltare alla tristezza prevalente nelle zone borghesi della nazione. Per la Rivoluzione Bolivariana questa vittoria è cruciale e le da uno slancio importante, un rinnovato e più forte protagonismo della base che in particolare Chávez dimostrerà di saper accompagnare e spingere ulteriormente in avanti.

Misiónes sociales Nel frattempo però ci sono da affrontare i problemi quotidiani delle masse: in questo senso un punto centrale della politica economica e sociale del chavismo sono certamente le misiónes, ovvero progetti tematici che si propongono, settore per settore, di eradicare i gravi problemi strutturali che affliggono il popolo venezuelano. Partono dopo il 2003, vale a dire dopo che la situazione economica si stabilizza in seguito alle serrate ed al golpe. Le misiónes prevedono la partecipazione diretta delle organizzazioni sociali di base e della popolazione e questo consente di evitare o per lo meno limitare le vecchie lungaggini dell'apparato amministrativo41. MISIÓN MERCAL. La Rivoluzione Bolivariana cerca di marciare in direzione dell'autosufficienza alimentare (oltre che con la legge sulla terra) e parte con la creazione di un mercato statale degli alimenti, attraverso negozi presenti nei quartieri poveri e nelle zone di campagna che vendono prodotti ad un costo mediamente inferiore del 40% rispetto al resto dei rivenditori: questo è possibile grazie all'assenza di intermediari, con lo Stato che compra dai produttori locali o dall'estero e rivende direttamente sul territorio. I punti vendita sono decine di migliaia e circa 15 milioni di persone acquistano presso i punti vendita. Accanto alla “missione” nasce il programma ProAl (Programma per gli Alimenti strategici) che si propone di costruire una filiera alimentare che vada dal produttore al consumatore senza intermediari ed a prezzi popolari: questo consente non solo alle classi popolari di accedere al mercato alimentare ma anche ai piccoli produttori nazionali di essere inseriti organicamente in un mercato interno diffuso. Grazie a questi programmi un primo risultato viene raggiunto nel 2004, con l'importazione di alimenti che scende, da un precedente 70%, al 50% 42; inoltre dal 2003 era invece stato introdotto il controllo sui prezzi dei prodotti -un centinaio- ritenuti di prima necessità.

40 L'Organizzazione degli Stati Americani nasce alla fine degli anni '40 e raggruppa i 35 Stati delle “due Americhe”. 41 Dario Azzellini, Il Venezuela di Chávez. Una rivoluzione del XXI secolo?, 2006, pag. 104. 42 Dario Azzellini, Il Venezuela di Chávez. Una rivoluzione del XXI secolo?, 2006, pag. 121.

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MISIÓN ROBINSON. Parte del PAN, Piano Nazionale d'Alfabetizzazione diretto dal Ministero dello Sport e dell'Educazione, si propone di alfabetizzare 1,5 milioni di persone sopra i dieci anni di età. La “missione” è basata sul metodo implementato dall'educatrice cubana Leonela Relys, che fa partire lo studente da nozioni basilari e già conosciute (i numeri) per passare poi alle lettere. Le scuole si diffondono subito in tutto il Venezuela, che nell'ottobre 2005 si dichiara Paese libero dall'analfabetismo43: quasi un milione e mezzo di persone sono ora in grado di leggere e scrivere. C'è poi la misión Robinson II, mirata a far completare gli studi elementari agli adulti che non l'avessero ancora fatto, grazie al programma “Yo sì puedo seguir” (“Sì, io posso continuare”): quasi tutti i venezuelani che avevano partecipato alla Robinson I partecipano a questa seconda parte del progetto, seguiti da 90.000 insegnanti. MISIÓN RIBAS. È rivolta a chiunque voglia conseguire un diploma di scuola media inferiore, inizia nel novembre 2003 e nel 2005 raggiunge 902.675 iscritti. Come gli altri programmi legati all'istruzione si basa su unità didattiche supportate da testi didattici e video e impiega oltre 30.000 professori in quasi 8.000 luoghi del Venezuela. Gli allievi imparano matematica, scienze naturali, geografia, studi sociali, informatica ed inglese44. MISIÓN SUCRE. Si promette di rendere più accessibili gli studi universitari a tutti i venezuelani che non possono permetterselo (nel 1998 solo il 17% dei diplomati superiori riusciva ad accedervi). La “missione” si appoggia all'Università Bolivariana del Venezuela (fondata nel 2003) ed ai suoi docenti, che supervisionano e sostengono l'attività didattica che si svolge -in particolare- nei quartieri poveri. Prima di cominciare il percorso di studi, i nuovi studenti sono tenuti a frequentare un corso di recupero nel quale vengono ripassati i pilastri delle principali materie scolastiche, mentre una volta iniziati gli studi universitari veri e propri devono svolgere compiti di utilità sociale: questo al fine di formare professionisti capaci ma anche devoti alla comunità e lontani dall'idea “occidentale” di professione individuale. Dal 2003 al 2005, dei 255.000 studenti che hanno accesso all'università 79.000 ottengono una borsa di studio45. MISIÓN BARRIO ADENTRO (“Dentro il quartiere”). Mira alla diffusione della sanità e più in generale della salute nei quartieri disagiati, grazie a finanziamenti messi a disposizione dal Ministero della Salute, dal Ministero dell'Edilizia abitativa e dalla PDVSA. Diecimila medici “prestati” da Cuba, Paese all'avanguardia nel campo sanitario (e non solo a livello continentale), sono al centro di questa misión; vengono inviati nei nuovi consultori e ambulatori popolari (fino a qualche tempo prima gli studi professionali dei medici erano in gran parte privati e molto costosi, oltre che lontani dalle favelas). L'attenzione del progetto si concentra non solo sulle cure mediche fondamentali, ma anche su tutti quegli accorgimenti che possono migliorare salute e tenore di vita degli individui, dunque sport, educazione alimentare e così via. 43 Secondo i criteri dell'Unesco. 44 Dario Azzellini, Il Venezuela di Chávez. Una rivoluzione del XXI secolo?, 2006, pag. 111. 45 Dario Azzellini, Il Venezuela di Chávez. Una rivoluzione del XXI secolo?, 2006, pagg. 112-113.

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Tra il 2003 e il 2005 vengono costruiti 8.500 tra Consultorios Populares e Casas de la Salud y la Vida, edifici che comprendono non solo l'ambulatorio stesso ma anche un appartamento per il medico di base, che così è sempre “a portata di mano”. Gli ambulatori sono gestiti dai medici stessi in coordinamento coi Comitati di Salute Locali. I medici cubani vengono pagati dal loro Stato che viene poi rimborsato dal Venezuela con accordi particolari, ad esempio con forniture di petrolio a prezzi molto vantaggiosi. I farmaci possono essere forniti gratuitamente oppure acquistati presso le “farmacie popolari”, che li forniscono a prezzi pari al 15% dei prezzi di mercato 46. I venezuelani meno abbienti hanno ora a disposizione gratuitamente centotrenta medicinali, tra cui i farmaci retro-virali per i portatori di HIV. Dall'assistenza primaria si passa a quella secondaria con il progetto Barrio Adentro II, dedicato alla medicina specialistica (terapie di riabilitazione, assistenza medica intensiva, ecc.), attraverso la costruzione di oltre 1.200 centri specializzati; ancora più avanzata Barrio Adentro III, rivolta alla cura di tumori, malattie coronarie, problemi renali, AIDS. Per queste due misiónes vengono stanziati 5 miliardi di dollari47. MISIÓN MILAGRO. Finalizzata a sottoporre i venezuelani che ne hanno bisogno ad operazioni chirurgiche per il recupero della vista, ne usufruiscono centinaia di migliaia di persone. Anche in questo caso centrale la cooperazione con Cuba, che accoglie ed opera i pazienti nelle sue strutture. Il programma viene allargato, nel 2005, all'intera America Latina ed ai Caraibi. MISIÓN VUELVAN CARAS. Si riferisce in particolare ai disoccupati e fornisce competenze tecniche e nozioni gestionali nei campi dell'agricoltura, dell'edilizia e del turismo: l'obiettivo è creare le basi di un'economia produttiva diffusa che sappia così svincolarsi dalla morsa delle multinazionali predominanti. MISIÓN IDENTIDAD. Non tutti in Venezuela hanno regolari documenti di identità, né i cittadini del Paese né gli stranieri residenti. La misión Identidad mira a dare un'identità ufficiale (e quindi diritti politici, civili e sociali) a questo popolo di “invisibili”. Il programma parte nel 2003 e ad agosto 2005 sono quasi 13 milioni i benefeciari, di cui oltre 600.000 non avevano mai avuto una “identità giuridica” in precedenza; sono invece 40.000 gli stranieri residenti che ottengono la cittadinanza nel febbraio 200448. MISIÓN GUAICAIPURO. Parte nel 2004 e si occupa dei diritti e delle specificità dei popoli indigeni del Venezuela. Oltre a demarcare i territori indigeni, aiuta questi ultimi a sviluppare una loro economia (in particolare la produzione agricola), a partire dalle loro tradizioni e convinzioni etiche 46 Dario Azzellini, Il Venezuela di Chávez. Una rivoluzione del XXI secolo?, 2006, pag. 107. Le “farmacie popolari” sono inoltre legate alla misión Mercal. 47 Dario Azzellini, Il Venezuela di Chávez. Una rivoluzione del XXI secolo?, 2006, pag. 108. 48 Per ottenere la cittadinanza venezuelana, bisogna dimostrare di vivere nel Paese da oltre cinque anni se si proviene dall'America Latina, dai Caraibi, dal Portogallo, dalla Spagna, dall'Italia o comunque se si è sposati con un/a cittadino/a del Venezuela; nel caso non si abbia uno di questi requisiti il periodo minimo di residenza è di dieci anni.

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e morali. Gli strumenti usati per la riuscita della “missione” sono strutture collettive locali finanziate dallo Stato e da corsi di formazione di varia natura. Gli indigeni costituiscono circa il 2% della popolazione49, ma nonostante questo la Rivoluzione attribuisce loro una specificità piena e riconosciuta anche nella Costituzione50. Queste sono solo alcune delle misiónes, che vengono in realtà istituite di anno in anno e riguardano ora praticamente ogni aspetto della vita sociale e dell'economia del Paese e che, secondo dati del 2012, hanno riguardato fino ad oggi 20 milioni di persone51. Da rimarcare anche in questo caso il ruolo dell'esercito, sempre protagonista attivo in base all'idea tipicamente chavista di integrazione civico-militare.

Integrazione latinoamericana: una nuova “ALBA” La politica socio-economica bolivariana si confronta sin dall'inizio anche a livello internazionale. A cavallo tra gli anni '90 e l'inizio del XXI secolo si affaccia nelle Americhe un progetto di libero scambio tra stati del Nord (Canada e Stati Uniti) e stati del Centro-sud (Cuba esclusa): è l'ALCA, Area di Libero Commercio delle Americhe. Tra i rappresentanti dei Paesi interessati si susseguono gli accordi, ma diversi Stati del Sud America non sembrano particolarmente entusiasti e temono che la libera competizione delle grandi aziende statunitensi strangoli ulteriormente le proprie economie. Tra questi Paesi c'è il Venezuela, che a dire il vero si mette subito alla loro testa partorendo tramite Chávez l'idea di dare vita, in alternativa all'ALCA, l'ALBA (Alleanza Bolivariana per l'America)52. Si tratta di un vero e proprio progetto di integrazione tra Paesi dell'America Latina e dei Caraibi: gli aderenti sono inizialmente Antigua e Barbuda, Bolivia, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, Honduras, Nicaragua, Saint Vincent e Grenadine, Venezuela. L'accordo base dell'ALBA è il Trattato di Commercio dei Popoli (TCP), che viene firmato a dicembre del 2004 e mette al centro gli scambi commerciali solidali tra gli stati aderenti (un esempio è lo scambio di petrolio e medici tra Venezuela e Cuba) e si pone l'obiettivo di difendere e sviluppare le produzioni autoctone, in particolare quelle agricole, sottolineando costantemente il ruolo necessario dei popoli nel processo di integrazione. In seguito alla firma dell'accordo quadro, diversi accordi particolari vengono alla luce, di cui i principali sono i seguenti. Petroamerica. Accordo sul settore energetico, settore che fa la fortuna di diversi Paesi latinoamericani e caraibici (in particolare Venezuela col petrolio e Bolivia col gas) ma che è debole in altri. L'obiettivo è -attraverso la sintesi dei precedenti accordi subregionali Petrocaribe, Petrosur e Petroandina- armonizzare e pianificare le politiche 49 Discover Venezuela – Popolazione del Venezuela, http://www.discovervenezuela.net/it/info/popolazione.asp, consultata il 3/04/2013. 50 Capitolo VIII della Costituzione bolivariana: “Dei diritti dei popoli indigeni”. Nelle nuove scuole fondate grazie alle “missioni” dedicate all'istruzione, si pratica il bilinguismo laddove è necessario. 51 Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela negli USA – Economia y desarrollo social, http://venezuela-us.org/es/economia-y-desarrollo-social/, consultata il 3/04/2013. 52 Hugo Chávez, Aleida Guevara, Chávez. Il Venezuela e la nuova America Latina, 2005, pag. 133.

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energetiche degli Stati aderenti, attraverso il coordinamento permanente degli enti energetici statali53. Banco del Sur. Banca di sviluppo che nasce con le firme di Argentina, Bolivia, Brasile, Ecuador, Paraguay ed Uruguay. Il capitale iniziale è di 20.000 milioni di dollari cui contribuiranno a seconda delle possibilità i paesi membri ed è rivolto all'intrapresa di progetti produttivi e infrastrutturali. Il proposito è anche quello di far rientrare le riserve internazionali della regione depositate nelle banche private internazionali54. TeleSUR. Canale televisivo pubblico che nasce nel 2005 per trasmettere in America Latina, nei Caraibi, ma anche negli Stati Uniti, nella penisola iberica e nel nord Africa. I contenuti però sono centrati in gran parte su ciò che accade nel Sud America. La proprietà è divisa in parti diverse tra i vari Paesi ma la sede centrale della rete si trova a Caracas.

Verso il “Socialismo del XXI secolo” Nel 2005, dal 26 al 31 gennaio, si tiene a Porto Alegre il quinto Forum Sociale Mondiale. Tra gli interventi della sessione di chiusura si registra quello di Hugo Chávez, il cui passaggio cruciale è il seguente: «Mi convinco ogni giorno di più, non ho più alcun dubbio nella mia mente, e come molti intellettuali hanno detto: bisogna andare oltre il capitalismo. Tuttavia, il capitalismo non può essere superato nel quadro del capitalismo stesso, ma per mezzo del socialismo, il vero socialismo, con l'uguaglianza e la giustizia. Sono convinto che questo si può realizzare in modo democratico, ma non con il genere di democrazia imposta da Washington»55.

L'ex tenente colonnello era apertamente convinto, all'inizio della sua avventura politica, che la soluzione ai problemi sociali, economici e politici per il Venezuela potesse essere una sorta di “terza via” di ispirazione blairiana56, che aprisse la strada alla formazione di una coerente borghesia nazionale e con essa all'indipendenza sostanziale. I risultati nei primi anni di governo sono concreti anche se non eccezionali in tutti i campi: il tasso di crescita reale del PIL nel 2004 è del 16,8% dopo i primi anni di “montagne russe”; il tasso di alfabetizzazione è prossimo al 100%; il tasso di mortalità infantile (anche grazie al nuovo sistema sanitario) diminuisce costantemente dal '99 così come aumenta la speranza di vita; la popolazione sotto la soglia di povertà è del 38% circa a fronte del 67% del '97; la forza lavoro occupata è cresciuta da quasi 10 ('99) a 12 milioni ('04) anche se la disoccupazione è ancora alta (17% circa), il debito pubblico è il 43% del PIL (niente rispetto a debiti elefantiaci 57); il tasso di crescita di produzione industriale è nel 2004 al 12,3%; sempre nel 2004, il debito estero è di 33,29 miliardi di 53 Osservatorio di politica internazionale del Parlamento Italiano, I processi di integrazione in America Latina – giugno 2010, pag. 11, consultato dal sito parlamento.it il 8/04/2013. 54 idem 55 Alan Woods, La rivoluzione venezuelana. Una prospettiva marxista, 2005, pag. 202. 56 Da Tony Blair. Primo ministro britannico dal '97 al 2007, sostenitore di una “socialdemocrazia moderna”, cioè una via di compromesso tra lo stato sociale ed il liberismo. 57 In realtà in campo economico la questione in sé del debito pubblico è tutt'altro che risolta. Se infatti da una parte vi è chi indica il rigore ed il pareggio di bilancio come assolutamente necessari per evitare e/o risolvere crisi periodiche, dall'altra fioriscono sempre più scuole “monetariste” (generalmente di ispirazione neo-keynesiana) che criticano radicalmente questa dottrina.

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dollari58. Lo stesso Chávez afferma che va ora costruito il “Socialismo del XXI secolo” e che questo è un progetto originale e dinamico, lontano da schematismi dogmatici e ossificati: la specificazione “del XXI secolo”, in effetti, sembra voler sottolineare una evoluzione dialettica rispetto alle esperienze del cosiddetto “socialismo reale” (e più in generale del marxismo) nel corso del Novecento. Nei fatti il sistema economico venezuelano risulta un misto di proprietà statale, cooperative e piccole-medie imprese, votato nel medio-lungo periodo alla prevalenza delle forme di proprietà pubblica e socializzata59. A questo proposito, la Costituzione Bolivariana prevede l'esproprio per utilità sociale, ma fino al 2005 questa opportunità non viene praticamente mai sfruttata su larga scala. La Rivoluzione ed una rediviva classe operaia intraprendono questa strada nel solco del progetto strategico socialista. A gennaio del 2005 viene nazionalizzata la Venepal (denominata in seguito Invepal), azienda produttrice di carta andata fallita diversi mesi prima. Il Presidente dichiara allo stesso tempo che tutte le aziende chiuse e fallite verranno nazionalizzate ed in effetti il governo ha in mano una lista di oltre un migliaio di imprese passibili di esproprio. La fabbrica CNV (Constructora Nacional de Válvulas), in cui si producono valvole per l'industria petrolifera (dunque di grande interesse in quanto legata alla principale industria venezuelana), viene espropriata nell'aprile dello stesso anno. Prende il nome di Inveval. A settembre è la volta della Sidororca (industria petrolifera) e della fabbrica per la lavorazione dello zucchero di Cumanacoa, in seguito all'occupazione degli stabilimenti da parte degli operai. La prima era ferma da diversi anni; la seconda aveva ridotto gradualmente e drasticamente la propria capacità produttiva e teneva i propri dipendenti in condizioni di lavoro pessime. Sempre nel mese di settembre, in seguito ad un appello del Ministro del Lavoro (María Cristina Iglesias) che esorta i lavoratori a prendere possesso delle industrie in via di chiusura o già fallite, la UNT dichiara di voler occupare ottocento imprese chiuse. In particolare, gli operai occupano la Promabrasa, azienda di lavorazione del mais e dopo un testa a testa con l'azienda il governatore dello stato federale di Barinas60 la espropria dietro indennizzo per poi affidarla qualche mese dopo agli operai che la guideranno secondo un modello di tipo cogestionale. Viene occupata dai lavoratori anche la Alimentos Heinz (famosa azienda produttrice -tra le altre cose- di ketchup), per poi venire nazionalizzata in seguito ad un contenzioso in cui lo Stato dimostra che nel 1996 l'azienda fu acquistata illegalmente dai proprietari. Una volta espropriate -dicevo- le fabbriche funzionano sulla base del modello detto di cogestione, adottato già ad inizio 2005 in diverse imprese pubbliche. Il 51% della proprietà è in mano allo Stato, il restante 49% a cooperative di lavoratori, che all'interno dell'impresa hanno un certo margine di decisione sulla produzione, responsabilità 58 Index Mundi – Dati storici, da http://www.indexmundi.com/g/, consultato il 5/04/2013. 59 Il 4 febbraio 2012 il Ministro delle Finanze della Rebubblica Bolivariana nonché ideologo del nuovo percorso politico del Venezuela, dichiara che il socialismo bolivariano è “Un sistema misto. Nel nostro ultimo piano abbiamo previsto uno spazio per l'economia privata: per quella produttiva, non speculativa. Da noi il settore privato è un settore parassitario, che negli ultimi trent'anni ha mantenuto un livello produttivo che non supera il 10%. Per questa fase di transizione al socialismo, vorremmo mantenere un certo equilibrio fra l'investimento privato -nella piccola e media impresa e nelle cooperative-, la proprietà di Stato e quella comunale. Vorremmo che quest'ultima, in tendenza, crescesse fino a ridurre e sostituire le altre due. Nel frattempo, cerchiamo di favorire un'alleanza virtuosa fra lo Stato e i piccoli imprenditori che intendono investire nel Paese. In una prospettiva gramsciana”. Da http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2012/2/4/19464-jorde-giordani-gli-usanon-possono-permettere-il-nostro/ consultato il 9/04/2013 60 Il governatore di Barinas è, in questo periodo, Hugo de los Reyes Chávez, padre del Presidente.

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amministrative e partecipano alla divisione degli introiti. Il 10% dei profitti aziendali viene poi destinato a fondi locali per lo sviluppo delle comunità di riferimento. In alcuni casi però lo Stato ed il governo non agiscono espropriando direttamente le aziende, bensì finanziando a tassi vantaggiosi cooperative che manifestano l'intenzione di tenere aperta un'azienda in crisi61, a patto che queste aziende adottino poi il modello di cogestione. Esperienza decisamente avanzata quella della ALCASA, importante fabbrica di alluminio dipendente dal Ministero delle Industrie. Qui i lavoratori eleggono (in assemblea) i propri rappresentanti ad ogni livello, potendoli rimuovere in qualsiasi momento ed elargendo loro uno stipendio identico a quello operaio. La direzione è composta da quattro operai, due rappresentanti governativi e due rappresentanti della comunità locale (l'industria si trova nello stato di Bolívar). Si tratta insomma di una struttura classica di democrazia operaia, potremmo dire di stampo “comunardo”62. Nel 2006 si forma il Frente Revolucionario de Trabajadores de Empresas en Cogestión y Ocupadas (FRETECO), il coordinamento nazionale delle fabbriche occupate e cogestite, con l'obiettivo di estendere a macchia d'olio questo tipo di esperienza, spingendo per l'esproprio sotto controllo operaio di tutte le fabbriche in crisi ma anche per il perfezionamento della democrazia operaia nelle industrie già nazionalizzate, processo spesso frenato da settori di burocrazia. La cogestione apre infatti una questione concreta: non sono rari i casi di scontro tra lavoratori favorevoli ad un'ampia e partecipata cogestione e pezzi di burocrazia statale contrari a questa prospettiva. Su questa contrapposizione decisiva, nelle fabbriche e non, tornerò più avanti.

Elezioni parlamentari e presidenziali (2005-2006) L'adesione della Rivoluzione ad una prospettiva socialista vede un primo banco di prova elettorale nel 2005, coi venezuelani che devono eleggere i nuovi deputati dell'Assemblea Nazionale. In realtà è una vittoria molto agevole, visto che l'opposizione non presenta candidati nel tentativo di delegittimare le elezioni e l'assemblea che ne verrà fuori: il “Blocco del cambiamento” (è questo il nome assunto dalla coalizione chavista) conquista tutta l'Assemblea Nazionale, anche se un'ulteriore pretesto di polemica delle forze conservatrici è ora la scarsissima affluenza alle urne, solo del 25%. Le elezioni viste come le più importanti sono però quelle per la presidenza della Repubblica, che si svolgono nel 2006 (a dicembre). Il candidato per il polo bolivariano è ovviamente Hugo Chávez, mentre l'opposizione candida allo scranno presidenziale Manuel Rosales, 54enne governatore da due anni dello Stato di Zulia e fra i protagonisti del colpo di stato del 2002, quando (a nome dei governatori statali) aveva firmato il documento che dichiarava Carmona Estanga nuovo presidente. Il percorso che porta alle elezioni è abbastanza scontato: il blocco anti-chavista stigmatizza ogni minimo errore del governo attraverso i media privati, che sono ancora la vera arma dell'opposizione. Tuttavia la tattica di Rosales e dei suoi non è di scontro frontale duro e puro come nel 2005 (probabilmente anche perché si teme un'ulteriore radicalizzazione delle masse), tanto che il candidato dichiara tra le altre cose che una volta al governo la sua coalizione non avrebbe messo in discussione i progressi socio61 I tassi delle banche private sono circa del 26% annuo, quelli concessi dal governo del 4%. 62 Dalla Comune di Parigi, prima esperienza di governo operaio della storia (1871).

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economici ottenuti dal popolo nei precedenti anni di governo Chávez. È una dichiarazione che fa intendere la presa d'atto, da parte del “centro-destra”, della popolarità raggiunta dal Presidente. Durante la campagna elettorale lo stesso Chávez sottolinea più volte che un voto dato al Blocco sarà un voto dato al socialismo, sistema che va costruito giorno per giorno. A fine novembre il Fronte Contadino Nazionale “Ezequiel Zamora” organizza una manifestazione a sostegno del candidato bolivariano, partecipata da circa 20.000 tra braccianti e contadini. La tornata si svolge il 3 dicembre: votano 11.790.397 di persone, con Chávez che ottiene il 62,84% dei consensi contro il 36,90% di Rosales. Ma più che la vittoria elettorale, il dato politico che inizia ad emergere in questa fase nel “Blocco del Cambiamento” è che esiste una forte spinta dal basso all'unità, anche in funzione anti-burocratica (diversi gruppi dirigenti dei partiti ma soprattutto degli apparati statali frustrano costantemente il protagonismo popolare cercando di controllare in prima persona il processo rivoluzionario). Sempre lui, l'ex tenente colonnello dei paracadutisti, dimostra una volta di più di sapersi connettere al popolo di Bolívar e il 16 dicembre, in un lungo discorso, parla apertamente della necessità di un partito unico della Rivoluzione. Fa appello a non imitare il modello di partito stalinista, che avrebbe favorito in Unione Sovietica la crescita di un sistema elitario, ed a costruire perciò un partito che parta dal basso verso l'alto e non viceversa.

Il caso RCTV e il referendum per la riforma costituzionale Sempre a fine 2006 si apre un contenzioso tra il governo ed i proprietari del canale televisivo privato RCTV. Viene annunciato infatti, che non sarebbe stata rinnovata la licenza d'uso delle frequenze radioelettriche pubbliche a fine contratto, che sarebbe scaduto a maggio del 2007. RCTV è una delle componenti di quel fronte mediatico che nel 2002 sostenne ed avallò il colpo di stato, preparando il terreno dell'opinione pubblica e nascondendolo poi dietro presunte “dimissioni” di Chávez ed oscurando finanche il reinsediamento del Presidente legittimo della Repubblica. Tra il 2002 ed il 2003 RCTV ha inoltre sostenuto le serrate e le manifestazioni dell'opposizione. In seguito alla decisione del governo di non rinnovare il contratto e quindi le frequenze, non si è fatta attendere la risposta politica e mediatica di RCTV, affiancata dalle altre televisioni private e più in generale dai media in mano all'oligarchia (e chiaramente dalle appendici politiche di quest'ultima). Ma l'obiettivo centrale della strategia dei media privati è, questa volta, quello di dare una forte eco internazionale alla vicenda. Viene affidata la campagna di protesta ad un'agenzia di comunicazione statunitense e si ottiene l'appoggio dell'Organizzazione degli Stati Americani, di Reporters sans frontières63, nonché in Europa della spagnola Fundacion para el Análisis y los Estudios Sociales (FAES), della Fondazione Adenauer e della Fondazione Robert Schuman, tutte e tre vicinissime al Partito Popolare Europeo. Subito in tutto il mondo “occidentale” la “vicenda RCTV” ha una grande risonanza: gli stessi quotidiani italiani “Repubblica” e “Corriere della sera” si scagliano contro la decisione del governo venezuelano. 63 A quanto sembra, l'organizzazione sarebbe stata e sarebbe finanziata dalla statunitense Fondazione Nazionale per la Democrazia, associazione che dipende dal Dipartimento di Stato nordamericano.

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Nel frattempo in Venezuela la campagna culmina in diverse manifestazioni di piazza, soprattutto di studenti universitari (di università private in particolare)64. Tuttavia il 27 maggio 2007 RCTV non si vede rinnovata la licenza per continuare a trasmettere via etere, anche se ciò non toglie che potrà ancora trasmettere via cavo o via satellite. Il provvedimento non va inteso solo come una mera vendetta nei confronti di una rete televisiva che cinque anni prima aveva contribuito al (temporaneo) rovesciamento dell'esecutivo, il problema è infatti più ampio. In Venezuela quattro gruppi privati (RCTV-1BC, Venevision, Globovision, Televen) controllano non solo le emittenti televisive, ma in generale la stragrande maggioranza dei canali informativi del Paese e questo provvedimento -assieme al fiorire di nuovi giornali, riviste, radio e TV comunitarie- è da intendersi come un primo passo verso la democratizzazione dell'informazione, strappandola all'oligopolio cui è sottoposta. Sull'onda di questa battaglia, ma forte anche dello slancio dato dalla rielezione del 2006 e dell'entusiasmo suscitato dalla “via socialista”, il blocco bolivariano propone una riforma costituzionale. La proposta ha come pilastri la cancellazione del limite di candidature consecutive alla Presidenza della Repubblica, l'aumento di un anno di legislatura per la stessa carica presidenziale, le sei ore lavorative giornaliere e trentaquattro settimanali, la “costituzionalizzazione” degli organismi di base di potere popolare, l'abolizione del latifondo e la sua sostituzione con la produzione cooperativa. La votazione è fissata ancora una volta per dicembre e precisamente il 2 ed ancora una volta ci si arriva tra tensioni varie65. Stavolta però ad essere diverso è il risultato: è il “No” (quindi l'alleanza anti-chavista che si oppone alla riforma) a vincere con circa il 51% dei consensi contro il 49%: una vittoria sul filo di lana che però è anche la prima sconfitta del blocco bolivariano proveniente dalle urne; ancora piuttosto alta l'astensione, che tocca il 44%. L'oligarchia e le classi possidenti esultano e nei quartieri residenziali delle città esplode la festa: dopo anni di frustrazioni, gli escualidos possono dire per una volta di aver vinto e di averlo fatto nelle urne.

Nasce il PSUV, il partito della Rivoluzione Tuttavia il percorso di costruzione del partito della Rivoluzione annunciato da Chávez continua, con discussioni nei luoghi di lavoro, di studio e nei barrios, in una mobilitazione permanente avente come base soprattutto i battaglioni elettorali (Battallones Socialistas) che avevano accompagnato la campagna presidenziale di dicembre 2006. Il nuovo partito, denominato Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV), viene fondato ufficialmente il 14 marzo 2008 (ma nei fatti era attivo già da diversi mesi coi “battaglioni” elettorali e con l'apertura delle richieste di iscrizione); al congresso, che si tiene al Teatro Municipale di Caracas, sono presenti 1.681 delegati in rappresentanza di quasi sei milioni di aspiranti iscritti tra cui un milione e mezzo di attivisti militanti66. 64 Dal documentario Hugo Chávez - La minaccia, di Silvia Luzi e Luca Bellino. 65 In particolare il 7 novembre a San Cristobal una manifestazione dell'opposizione contro la riforma si conclude con l'assalto ad una sede del PCV; sempre nello stesso giorno nell'Università Centrale del Venezuela, a Caracas, c'è un'irruzione di presunti sostenitori del “No” (ma molto probabilmente provocatori al soldo di qualcuno) armati che distruggono bagni e porte di aule. 66 PSUV, http://www.psuv.org.ve/psuv/, consultato il 5/04/2013

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Tante le formazioni politiche che convergono nel nuovo progetto. Tra quelle che scelgono di restare fuori va citato il PCV, in via ufficiale perché non era chiaro -a dire dei dirigenti comunisti- il profilo politico e sociale del nuovo soggetto politico: Chávez attacca duramente questa decisione, arrivando a definire il PCV “traditore e controrivoluzionario” e dichiarando che in futuro sarebbe sparito67. Ad ogni modo, il nuovo partito elegge i suoi dirigenti nazionali e si definisce nei suoi documenti democratico, anti-capitalista ed anti-imperialista nonché uno strumento per democratizzare il potere e accelerare sul cammino della Rivoluzione. Il PSUV afferma -appena nato- di svolgere un ruolo centripeto, accogliendo nelle sue fila militanti di diverse provenienze politiche, ideologiche (“Guerriglieri e militari, giovani e veterani, comunisti e cristiani, rivoluzionari e riformisti [...]”) ma anche sociali (“[...] lavoratori di tutti i settori, contadini, giovani, professionisti e piccoli produttori di campagna e città [...]”): naturalmente si sottolinea che questi settori convergono verso un unico progetto, quello della Rivoluzione socialista. L'organizzazione di base è inizialmente fondata su sezioni territoriali (patrullas territoriales), ma a questo si affianca man mano la divisione per luoghi di lavoro, per permettere un miglior intervento sociale e sindacale (patrullas sectoriales). Nasce anche la sezione giovanile del Partito, la Juventud del PSUV (JPSUV). La formazione interna si svolgerà tramite il Sistema de Formación Socialista Simón Rodríguez68, la cui nascita viene decisa il 6 agosto 2009. Dal 21 novembre 2009 al 25 aprile 2010 si svolge il I Congresso Straordinario del Partito, con 772 delegati presenti. Questo congresso produce tre documenti fondamentali: dichiarazione di principi, basi programmatiche e statuto. Nel primo documento in particolare si fa riferimento a nove pilastri dell'analisi politica generale del neonato soggetto: denuncia del ruolo dell'imperialismo (in particolare di quello statunitense); natura della crisi del capitalismo mondiale (le cui contraddizioni si sarebbero acutizzate nella sua fase neo-liberale); necessità di superare il capitalismo e di costruire il socialismo bolivariano; necessità di rimpiazzare lo Stato borghese con lo Stato socialista (attraverso la crescita ed il consolidamento degli organismi di democrazia diretta); internazionalismo (a partire dalla “Patria grande” latinoamericana); difesa della Rivoluzione; unità popolare rivoluzionaria (che il partito promuove rispettando comunque le diversità); originalità e creatività; costruzione del socialismo bolivariano come unico sbocco concreto della democrazia (e come unica soluzione strategica ai problemi fondamentali delle masse)69. In sostanza il PSUV riprende e rilancia con forza la teoria e la prassi che, tappa dopo tappa, hanno scandito la storia della Rivoluzione Bolivariana dal suo inizio fino alla seconda metà degli anni duemila.

67 Aporrea.org – Los comunistas venezolanos responden a Hugo Chávez, http://www.aporrea.org/ideologia/n122179.html 68 Simón Rodríguez. Pedagogista, filosofo e insegnante, fu precettore di Bolívar. 69 I Congreso Extraordinario del Partido Socialista Unido de Venezuela – Declaración de principios, da http://www.psuv.org.ve/psuv/declaracion-principios/, consultato il 5/04/2013.

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Nuove nazionalizzazioni e risalita elettorale del “centro-destra” È invece tra aprile e settembre del 2008 che il governo espropria la Sidor (acciaieria situata nello Stato di Bolívar) e il Banco de Venezuela. La prima viene nazionalizzata per questioni sindacali: da oltre un anno i lavoratori dell'azienda lottavano per l'assunzione diretta da parte della proprietà dei novemila lavoratori impiegati nelle aziende in subappalto, per l'aumento generale dei salari e per migliori condizioni di lavoro. Le trattative tra la Techint (la multinazionale italo-argentina azionista di maggioranza dell'industria), il sindacato ed il governo (rappresentato dal vice-Presidente Ramón Carrizales) si chiudono quando la proprietà rifiuta le richieste sindacali. Il governo allora si alza dal tavolo delle trattative e annuncia poco dopo che l'azienda sarà nazionalizzata, o meglio rinazionalizzata dato che era stata privatizzata nel 1997 sotto il governo Caldera. A luglio viene invece annunciata la nazionalizzazione del Banco de Venezuela, che viene poi ufficializzata a settembre. Il Banco de Venezuela è una grande banca di proprietà dello spagnolo Gruppo Santander (che la acquistò dallo Stato nel 1996) è il terzo gruppo bancario del Paese ed ha un grosso giro di affari, che nei primi sei mesi del 2008 si esprime in un ricavato di 170 milioni di dollari70. Il governo bolivariano viene a sapere che tra i proprietari spagnoli ed un gruppo bancario privato nazionale c'è una trattativa in corso per la vendita del Banco; a quel punto il governo stesso si inserisce come aspirante acquirente della banca, ricevendo inizialmente un netto “no” dei proprietari. Tuttavia Chávez rilancia e dichiara che avrebbe pagato il prezzo di mercato per l'acquisto, precisando allo stesso tempo che i conti correnti sarebbero stati rispettati ed i posti di lavoro salvaguardati. E così è: il Banco de Venezuela (ri)diventa a tutti gli effetti statale, potendo mettere a disposizione le proprie risorse per le politiche economiche e sociali con quei milioni di bolívar che in precedenza -nelle parole dello stesso Presidente- andavano in gran parte a finire all'estero71. Il 23 novembre 2008 si tengono le elezioni amministrative. Dovrebbero appunto essere “tranquille” elezioni amministrative ma dal '98 in poi ogni appuntamento elettorale ha un significato profondamente sociale oltre che politico. Alla fine degli scrutini i risultati sorridono all'Alleanza Patriottica (nuova denominazione del fronte bolivariano, ormai incentrato essenzialmente intorno al PSUV e secondariamente al PCV), che dei 22 stati venezuelani ne conquista 17 e vince anche in gran parte dei comuni. Ma non è tutto oro quel che luccica: le destre tengono negli stati loro roccaforti (Nueva Esparta e Zulia), ne conquistano di nuovi (Miranda, Tachira e Carabobo) e soprattutto avanzano in diverse importanti città, in particolare a Caracas dove vincono non solo alle elezioni comunali ma anche in diverse circoscrizioni. Dopo la sconfitta del referendum costituzionale, vi sono altri segnali che l'opposizione sta lentamente rialzando la testa. Tuttavia si tratta ugualmente di una vittoria per i bolivariani e l'Alleanza Patriottica è pronta a sfruttarla, lanciando nuovamente un referendum costituzionale: stavolta al centro di tutto una sola proposta di emendamento, vale a dire la cancellazione del limite di mandati per la candidatura a tutte le cariche pubbliche. Nelle città e nei centri rurali le masse bolivariane si organizzano nel “Fronte per il Sì”, 70 Giù le mani dal Venezuela – La nazionalizzazione della Banca del Venezuela (di Alan Woods), http://www.giulemanidalvenezuela.net/index.php? option=com_content&task=view&id=89&Itemid=1, consultato il 6/04/2013 71 idem

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nelle aziende è presente il “Fronte dei Lavoratori per il Sì”. Si aprono le urne domenica 15 febbraio 2009 ed a vincere è stavolta il bolivarismo, con il 54,36% di preferenze per il “Sì”. Tuttavia il “No” ottiene 4 milioni di voti ed è la prima volta che l'opposizione supera questa soglia tra referendum ed elezioni politiche ed amministrative: un altro segnale di graduale ma non trascurabile riscossa delle forze controrivoluzionarie. Questa riscossa potrebbe essere il risultato della difficile situazione economica del Venezuela. Se da un lato infatti l'accesso allo stato sociale è molto ampio, la povertà è ancora piuttosto diffusa e la dipendenza dal mercato mondiale del petrolio non aiuta, dato che negli ultimi mesi il prezzo per barile è sceso a 40 dollari rispetto ai 147 precedenti. Il tasso di inflazione a fine 2008 era del 32% circa, uno dei più alti al mondo: anche questo aspetto si ricollega alla dipendenza dalle importazioni di beni in vari settori (specie in quello alimentare)72. E su questo chiaramente specula il grosso della borghesia venezuelana che, sorda agli appelli del governo ad investire, aumenta i prezzi e poi diminuisce la produzione e la vendita una volta che il governo cerca di controllarli. Il legame tra il basso livello degli investimenti privati, il conseguente investimento pubblico e il successivo aumento della domanda è la chiave principale dell'inflazione: o arrivano miracolosamente questi investimenti o la Rivoluzione dovrà approfondire la statalizzazione e socializzazione di ampi settori produttivi per liberarli dalla speculazione dell'oligarchia. A settembre 2010 si tengono ad ogni modo le nuove elezioni parlamentari. I risultati dicono che il blocco bolivariano ottiene 98 seggi, l'opposizione (raccolta sotto la sigla MUD -Mesa de Unidad Democrática-) 62; l'affluenza alle urne è del 67%. Subito l'opposizione polemizza affermando di aver in realtà ottenuto la maggioranza dei consensi ma di essere stata sfavorita dal sistema uninominale. In realtà il numero di voti assoluti è dalla parte delle forze chaviste, anche se non con un grande distacco (52%48%). I seggi parlamentari si calcolano con i voti presi stato per stato e si nota che in diversi stati chiave (molto popolati ed economicamente floridi) le destre avanzano ancora, mentre negli stati tradizionalmente chavisti le vittorie non sono nette oppure ci sono clamorose sconfitte per il fronte della Rivoluzione (come ad Anzoategui, il cui governatore è bolivariano)73. La vittoria c'è, ma per la Rivoluzione non è abbastanza, considerando l'obiettivo prefissato in campagna elettorale: ottenere 2/3 dell'Assemblea Nazionale per poter legiferare senza problemi, in particolare di poter promulgare leggi costituzionali. Questa “vittoria di Pirro” si può spiegare probabilmente in un modo: l'astio di ampie parti di elettorato bolivariano nei confronti dei gruppi dirigenti e burocratici della rivoluzione. Basti guardare ad esempio il caso Anzoategui, il cui governatore si era continuamente schierato, mesi prima, contro gli operai che avevano occupato diverse fabbriche automobilistiche dello stato (le principali erano Vivex, Mitsubishi e Macusa)74. Così, dove i lavoratori e le masse vedono corruzione e addirittura ostruzionismo nei confronti delle loro iniziative, i candidati del PSUV e dei loro alleati 72 Index Mundi – Dati storici, http://www.indexmundi.com/g/g.aspx?v=89&c=ve&l=it, consultata il 6/04/2013. 73 Marxist.com – Venezuela, il PSUV ottiene la maggioranza ma l'opposizione guadagna terreno, da http://www.comitatobolivariano.info/index.php?option=com_content&view=article&id=461:psuvottiene-maggioranza-ma-opposizione-guadagna-terreno&catid=38:politica&Itemid=2, consultata il 7/04/2013. 74 idem

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vengono puniti, spesso con un'alta astensione 75. Uniti alle problematiche economiche e sociali (inflazione, mercato nero, ma anche criminalità, ecc.) questi aspetti diventano decisivi. Un altro settore di popolazione che in questa fase volta le spalle ai candidati bolivariani sembra essere quello dei piccoli commercianti ed imprenditori. Non sono mai stati la principale base sociale della Rivoluzione, a dire il vero, ma lo sono ancora meno ora che la banca centrale ha posticipato diversi crediti costretta dall'urgenza di finanziare nuovi programmi alimentari (in seguito alla già citata scarsità di alimenti).

Gli ultimi mesi di Chávez: malattia, rielezione e morte A luglio 2011 una notizia inizia a preoccupare il popolo bolivariano: da quasi un mese il loro líder Hugo Chávez soffre di cancro nella regione pelvica. Subito cominciano le speculazioni mediatiche a livello internazionale su quanto resisterà il Presidente, che nel frattempo si fa ricoverare a Cuba e le cui condizioni sono a quanto pare critiche. Intanto il Parlamento emana un decreto d'urgenza per permettergli di mantenere i suoi poteri anche dall'estero anziché trasferirli temporaneamente al vice-Presidente. Si fa operare e sembra che l'operazione riesca. A febbraio 2012 si ripresenta un nuovo tumore nella zona pelvica e il Comandante vola nuovamente all'Avana per farsi operare, tornando poi in patria qualche settimana dopo. A giugno 2012 annuncia di essere guarito e che parteciperà alle nuove elezioni presidenziali di ottobre: lo fa al termine di una grande manifestazione tenutasi a Caracas, suscitando l'entusiasmo dei suoi sostenitori. Fonti internazionali affermano che usi antidolorifici e che in realtà nasconda le sue reali condizioni di salute, dichiarando in pubblico di essere in buone condizioni quando in realtà non sarebbe così76; c'è addirittura chi parla di un tumore ormai estesosi prima fino al colon e poi ai linfonodi ed al midollo spinale77. Nel corso della campagna elettorale il líder è sempre presente al suo “posto di combattimento” in Venezuela. Campagna elettorale che si basa fortemente sulla sua figura, anche nello slogan principale “Chávez corazón de mi patria” (“Chávez cuore della mia patria”). L'affluenza alle urne supera l'80% (un risultato storico per il Venezuela), con Chávez che vince anche se con un distacco di un milione di voti circa: 54,2% contro il 45% circa del candidato della MUD Henrique Capriles Radonski, democristiano che in campagna elettorale aveva strizzato l'occhio all'elettorato chavista più moderato e filo-riformista dicendo di ispirarsi all'ex Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva78. Come suo solito, dopo la vittoria (quarto mandato per lui), Chávez festeggia col suo popolo affacciandosi dal palazzo presidenziale con in mano la spada di Simón Bolívar e scandendo slogan di giubilo. 75 Ad esempio a Petare, uno dei quartieri più poveri di Caracas, i candidati bolivariani hanno ottenuto meno voti dell'opposizione e l'astensione è stata piuttosto alta. 76 ABC (quotidiano spagnolo) di sabato 2 giugno 2012: “Chávez sopravvive con un oppiaceo cento volte più forte della morfina”. 77 GQItalia.com – Chávez operato a Cuba per tumore: secondo Wikileaks morirà nel 2013 per il cancro, http://www.gqitalia.it/viral-news/articles/2012/febbraio/chavez-operato-a-cuba-per-tumore-secondowikileaks-morira-nel-2013-per-il-cancro#?refresh_ce, consultato il 7/04/2013. 78 Ex operaio e sindacalista, Presidente della Repubblica del Brasile dal 2003 al 2011 a guida del Partito dei Lavoratori (PT).

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Soltanto un mese dopo però, la situazione personale dell'ex tenente colonnello cambia nuovamente: risulta assente ad un vertice del Mercosur79 e questo da adito alle voci più disparate. A dicembre si scopre che è di nuovo ricoverato, sempre a Cuba, sempre per il cancro che lo minaccia nuovamente. Viene operato ancora con successo 80, ma in seguito le condizioni di salute si aggravano rapidamente, come annunciato il 4 gennaio 2013 dal ministro delle Comunicazioni e dell'Informazione, che ammonisce allo stesso tempo i media internazionali accusandoli di voler destabilizzare il Venezuela81. Il Presidente del Venezuela, líder della Rivoluzione Socialista Bolivariana, muore il 5 marzo 2013, con il “colpo di grazia” dato da un infarto cardiaco. Il vice-Presidente Nicolás Maduro dichiara sette giorni di lutto nazionale, accusando al contempo gli Stati Uniti di avere loro stessi provocato il cancro dell'ormai defunto Presidente (tramite l'esposizione a raggi radioattivi) o di avergli inoculato una malattia che ne ostacolasse la guarigione82. Al di là di questa ipotesi, in questo scritto (e forse in generale) difficilmente dimostrabile, quel che è certamente registrabile è l'enorme commozione suscitata da questo avvenimento nelle masse popolari che lo avevano sostenuto in tutto il suo percorso politico. Al funerale di Hugo Rafael Chávez Frías, che si celebra l'8 marzo, milioni di persone invadono la capitale Caracas circondando il feretro in cui è trasportato il corpo. La Rivoluzione Bolivariana oggi è a un bivio fondamentale e dovrà reagire alla scomparsa di quello che, assieme al popolo, ne è stato indiscutibilmente motore. Nuove elezioni presidenziali si svolgeranno il 14 aprile, con candidati Maduro da una parte e di nuovo Capriles dall'altra.

79 Mercato Comune del Sud, organizzazione cooperativa nata nel 1991 su accordo tra stati del Sud America. 80 ANSA.it – Chávez combatte il cancro: “Un successo l'operazione”, http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/daassociare/2012/12/09/VENEZUELA-RICADUTACHAVEZ-HA-TUMORE-SARA-OPERATO-CUBA_7925225.html, consultata il 7/04/2013. 81 CorriereInformazione.it – Si aggravano le condizioni di Chávez, http://www.corriereinformazione.it/2013010423443/cronaca/si-aggravano-le-condizioni-dichavez.html, consultato il 7/04/2013. 82 Ilmondo.it – Venezuela/ Maduro: cancro Chávez inoculato da nemici del Paese, http://www.ilmondo.it/esteri/2013-03-22/venezuela-maduro-cancro-chavez-inoculato-nemici-delpaese_223709.shtml, consultato il 7/04/2013.

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PARTE III. CONCLUSIONI Indipendenza sostanziale: unica via per i Paesi dipendenti Nel 1811 Il Venezuela divenne un Paese formalmente sovrano, primo dell'America Latina, dopo oltre due secoli di dominazione della monarchia spagnola. In realtà venne conquistato nuovamente dalla Spagna per poi dichiarare ancora l'indipendenza nel 1821, unendosi a Colombia, Panama ed Ecuador nella Repubblica di Gran Colombia e separandosene nel 1830. La Spagna (assieme al Portogallo) aveva sottomesso la nazione venezuelana e l'America Latina tutta , sfruttandola per ricavarne materie prime e soprattutto per estrarre oro ed argento. Il dominio spagnolo, tuttavia, non fu mai completamente estirpato. Innanzitutto i discendenti dei coloni rimasero i veri dominatori dell'economia del Paese, in particolare i latifondisti; in secondo luogo, le risorse venezuelane venivano ancora depredate nella cornice di un rapporto neo-coloniale. Una nuova potenza mondiale si affacciava però sul “subcontinente” tra Ottocento e Novecento: gli Stati Uniti d'America. La “dottrina Monroe”, elaborata dal governo statunitense nel 1823 in opposizione alle potenze europee che non accettavano le dichiarazioni di indipendenza delle “loro” colonie, venne utilizzata come arma ideologica per conquistare pezzo dopo pezzo l'egemonia sull'America Latina: prima con l'annessione del Texas nel 1845, poi all'inizio del XX secolo (sotto la presidenza di Theodore Roosevelt) con la politica del “grosso bastone” (che giustificava le ingerenze nei Paesi latinoamericani e l'assunzione del ruolo di potenza marittima), per arrivare più recentemente agli interventi politici e militari nell'epoca della Guerra Fredda. Gli Stati Uniti puntarono in maniera decisa al petrolio venezuelano, il cui sfruttamento cominciò proprio all'inizio del Novecento, ma in generale potevano contare sulla possibilità di influenzare ed indirizzare l'economia del Paese grazie alle loro potenti istituzioni finanziarie ed ai monopoli (erano gli albori dell'imperialismo -cioè appunto del capitalismo finanziario e monopolista-). Tutto questo faceva (e in realtà oggettivamente fa ancora -anche se su basi politiche radicalmente diverse-) del Venezuela una semi-colonia dell'imperialismo mondiale, con alla testa Stati Uniti e Spagna83. Le élite locali (borghesia compradora) erano mediatrici di questo rapporto subordinato, finalizzato ad uno sviluppo delle forze produttive orientato in larga misura alla soddisfazione degli appetiti delle multinazionali del petrolio, dell'alimentazione e così via. Tra gli anni ottanta e novanta del XX si assisteva ad un'offensiva a tutto campo delle politiche dette neo-liberali (inaugurata a livello mondiale da Margaret Thatcher e Ronald Reagan84), con FMI e Banca Mondiale che finanziavano gli stati in difficoltà economica in cambio di privatizzazioni e tagli ai salari ed ai servizi sociali. La crisi politica del Venezuela si inseriva esattamente in questa tendenza e, come detto all'inizio della relazione, la peculiarità del suo sviluppo risiedeva nell'andare 83 Nella teoria marxista in particolare, una semi-colonia è un Paese formalmente sovrano che risulta però essere dominato da uno o più Paesi imperialisti. Il cuore della dominazione è di natura economica (scambio diseguale e dominio tecnologico), ma le influenze si estendono a politica, aspetti militari, cultura, ecc. 84 Rispettivamente Primo Ministro britannico e Presidente degli Stati Uniti negli anni ottanta.

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controcorrente rispetto all'offensiva imperialista sotto le bandiere del neo-liberismo. La scelta di incrementare le entrate dalla vendita del petrolio è stato un primo passo, non scontato: dal 1984 in poi il prezzo al barile era gradualmente sceso per arrivare ai 3 dollari del 1998. Le necessità di esportare petrolio e di importare diversi altri prodotti hanno spinto il Venezuela a puntare su una politica monetaria particolare. Dal 2005 fino all'inizio del 2010 il bolívar era infatti cambiato col dollaro ad un tasso fisso di 2,15 bolívares85, in seguito (dato soprattutto il dimezzamento del prezzo del petrolio rispetto a due anni prima) si è scelto di adeguare la moneta a seconda delle necessità: moneta forte per le importazioni, moneta debole per le esportazioni, coi valori rispettivamente di 2,60 bolívares per 1 dollaro e 4,30 bolívares per 1 dollaro. La conseguenza è stata dunque il raddoppio dei bolívares in ingresso. Questo avrebbe dovuto avere come conseguenza l'aumento dei prezzi (la speculazione dei rivenditori in Venezuela è fortissima), tuttavia proprio grazie alle nuove risorse incamerate sono stati aumentati i punti vendita (non solo di alimenti ma anche di elettrodomestici, ecc.) controllati dallo stato e con prezzi bloccati: questo ha spinto i commercianti privati ad abbassare a loro volta i prezzi al pubblico86. Tutto ciò rende comunque chiaro che la Repubblica Bolivariana dipende ancora oggi in grande misura dall'esportazione del petrolio nonché dall'importazione di svariati prodotti e questo è un limite rispetto alla necessità strategica di un'economia realmente produttiva e con un certo grado di autosufficienza; inoltre si può (retoricamente ma realisticamente) affermare che le vie della speculazione monetaria e finanziaria sono infinite e che le armi impugnate da uno stato sovrano possono essergli rivoltate contro a seconda del momento. Una soluzione plausibile potrebbe essere in questo senso il monopolio del commercio estero, misura che chiaramente andrebbe ad incidere soprattutto sulle importazioni (dato che le esportazioni sono in particolare petrolifere)87. La relazione fa inoltre riferimento più volte alla questione agricola ed alimentare. Le aziende multinazionali del settore sono molto potenti ed il loro potere difficile da scalfire. Il Venezuela è stato ed è perfetto per gli affari di queste ultime, data la graduale diminuzione dei campi coltivati e degli stessi addetti all'agricoltura nel corso del Novecento. I vari interventi legislativi in questo senso si collocano a mio avviso nel giusto solco: riequilibrare i rapporti tra città (sovrappopolata) e campagna (spopolata), anzi eliminare gradualmente il dominio della città sulla campagna. Nonostante gli sforzi in campo agricolo però molto resta ancora da fare, probabilmente anche a livello culturale. Infatti anche se gli apologeti di un certo capitalismo (quello del terziario dominante, della finanza, del sogno di un facile imborghesimento collettivo) hanno affossato questo concetto, è palese che il settore primario è imprescindibile per lo sviluppo di qualsiasi economia; mentre al contrario la marginalizzazione di questo settore porta direttamente ad un altro sviluppo, quello dell'economia parassitaria, clientelare, subordinata, in una parola coloniale. 85 Normalmente il cambio fisso col dollaro o la dollarizzazione hanno causato forti sconquassi economici (debito estero) in diversi Paesi dell'America Latina. Tuttavia la particolarità del Venezuela è che risulta essere creditore netto nei confronti dell'estero e degli Stati Uniti in particolar modo, potendo contare così un afflusso continuo di dollari. 86 Attilio Folliero e Cecilia Laya, La nuova politica monetaria del Venezuela, 29/03/2010, da http://www.folliero.it/02_articoli_attilio_folliero/2010/2010_03_29_politica_monetaria_venezuela.ht m, consultata il 12/4/2013. 87 Tale proposta è stata avanzata di recente anche dal PCV, da http://seigneuriage.blogspot.it/2013/03/venezuela-misure-per-creare-una-nuova.html, consultata il 12/4/2013.

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Chiaramente anche la questione industriale è cruciale, ma una vera e produttiva industria nazionale deve collegarsi in maniera virtuosa all'agricoltura e all'allevamento e più in generale alle materie prime disponibili innanzitutto in loco. Gli investimenti in questo campo potrebbero essere affrontati da una borghesia produttiva nazionale diffusa, che però non sembra esistere (esiste invece una borghesia speculatrice e subordinata all'imperialismo); è quindi lo Stato, insieme a lavoratori e disoccupati, a doversi prendere anche questa responsabilità. Le fabbriche autogestite e le cooperative sono passi importanti in questo senso, tuttavia la necessità sarebbe quella di stilare un progetto di piano industriale nazionale. Ci sono poi i problemi del credito e, si accennava prima, della rendita privata basata sulla speculazione monetaria. Questi aspetti possono essere affrontati solamente dando vita ad un'unica banca centrale pubblica che fornisca esclusivamente credito commerciale sulla base di progetti economici studiati dettagliatamente. Il dogma liberista del mercato come allocatore iper-efficiente è già di per sé tutto da dimostrare, ma la sua falsità è evidente quando si parla di credito bancario e di moneta: guadagnare sul denaro è semplicemente una conseguenza della necessità tutta intrinseca al capitalismo di estrarre valore da qualunque cosa e di “abbandonarla” quando non garantisce più profitto. Al di là di questi aspetti, va segnalato che i principali dati macroeconomici danno ad oggi ragione alla Rivoluzione: il PIL nel 2012 è cresciuto del 4,7%, la disoccupazione è stimata all'8% (valore stabile negli ultimi anni), la bilancia commerciale con l'estero è positiva (il Paese è creditore netto e questo gli garantisce al momento risorse “fesche” da reinvestire) e soprattutto sono i dati sulla mortalità (5,2 per mille nel 2012) e sulla diffusione della povertà estrema (attorno al 6% nel 2012) a far registrare grandi passi avanti88. I discorsi prevalentemente economici fin qui fatti si iscrivono pienamente in un percorso generale che riguarda non solo il Venezuela, ma tutti i popoli in qualche modo oppressi o dipendenti: questo percorso è il diritto di autodeterminazione delle nazioni. Lungi dall'essere un discorso retrogrado e superato o una questione accademica di diritto internazionale, è uno dei fulcri dell'emancipazione dell'umanità da ormai oltre due secoli. Ma mentre prima si trattava di un processo parallelo alla formazione delle borghesie moderne, oggi rappresenta la sollevazione di ampi strati popolari contro la degenerazione storica della stessa borghesia, divenuta essenzialmente classe parassitaria. E rappresenta, nella fattispecie latinoamericana, la riscossa dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, Paesi che stanno lentamente ma inesorabilmente sciogliendo la contraddizione tra ampia disponibilità di forza-lavoro e di risorse da una parte e sviluppo storicamente monco, parziale e dipendente dall'altra, promettendo di andare verso una seconda indipendenza sostanziale e non più soltanto formale.

88 Fonti: FMI, World economic outlook – april 2012, da http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2012/01/pdf/text.pdf, consultata il 12/4/2013. Gobierno en línea (Gobierno Bolivariano de Venezuela) - Venezuela rompió piso duro de pobreza extrema al cerrar en 6% en 2012, 20/3/2013, da http://www.gobiernoenlinea.ve/home/temas_detalle.dot, consultata il 12/4/2013.

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La Rivoluzione e la sinistra internazionale Il dibattito economico nello schieramento filo-bolivariano è in pieno svolgimento, così come quello politico più generale. E questo non solo in Venezuela ma anche a livello internazionale. Quali sono dunque gli atteggiamenti delle diverse anime della sinistra mondiale nei confronti della Rivoluzione Bolivariana? OPPOSIZIONE “DA SINISTRA”. Una parte della sinistra internazionale si schiera in modo decisamente critico nei confronti della Rivoluzione ed in particolare del governo Chávez. Da notare che troviamo in questa categoria sia correnti che si rifanno al riformismo, sia altre che si rifanno al marxismo e al leninismo. Per quanto riguarda il campo riformista, troviamo tendenze largamente maggioritarie nel Partito del Socialismo Europeo, rappresentato fra gli altri in Francia dal Partito Socialista (PS), nel Regno Unito dal Partito Laburista, in Germania dal Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD): queste organizzazioni accusavano Chávez di essere un dittatore, un nuovo caudillo, di non tenere in dovuta considerazione le libertà democratiche e civili. Dall'altra abbiamo le tendenze che si richiamano a posizioni rivoluzionarie, all'abbattimento del capitalismo come prospettiva strategica. Vengono dalla galassia del marxismo rivoluzionario (altrimenti detto “trotskismo”), ma anche da quella delle forze che si richiamano al marxismo-leninismo ed al maoismo (forze che si rifanno appunto al vecchio modello cinese ma anche a quello stalinista sovietico) 89. Tutte queste organizzazioni fondamentalmente accusano il chavismo di essere inconseguente rispetto alle sue posizioni anti-capitaliste, di fare una politica di welfare redistributivo senza intaccare le basi produttive del sistema. Nello stesso Venezuela l'adesione della sinistra al movimento bolivariano è ampissima ma non totale. In particolare va citato l'esempio di due piccoli partiti, LCR (cui già ho accennato) e Bandera Roja: quest'ultimo ha sempre attaccato Chávez in maniera implacabile, ha inoltre partecipato alle manifestazioni dell'11 aprile 2002 e come LCR fa parte a tutti gli effetti del blocco di opposizione. Ci sono poi vari gruppi di ispirazione trotskista che non sono però alleati coi vecchi partiti di derivazione democristiana e socialdemocratica90. APPOGGIO CRITICO. Altre tendenze, soprattutto (anche in questo caso) quelle che si richiamano al “trotskismo”, danno alla Rivoluzione ed al suo governo un appoggio critico. Sostengono tutti i provvedimenti che colpiscono l'oligarchia e l'imperialismo (in una logica di Fronte Unico Anti-imperialista91), ma allo stesso tempo invitano i gruppi dirigenti a fare 89 Il “trotskismo” si sviluppa a partire dalla merà degli anni '30 attorno a Lev Trotsky, dirigente della Rivoluzione d'Ottobre, in opposizione alla leadership di Joseph Stalin nell'URSS e nella Terza Internazionale. Il maoismo prende invece forma negli anni '60 rifacendosi alle teorie di Mao Tse-tung ed alla sua “Rivoluzione culturale” e criticando fortemente la politica sovietica di Krusciov, definita “revisionista”. In Venezuela il partito anti-chavista Bandera Roja si rifà a questa corrente. 90 Tra queste ci sono piccoli gruppi che fanno riferimento, a livello internazionale, alla LIT (Liga Internacional de los Trabajadores) ed alla FT (Fracción Trotskista), due tra le tante organizzazioni che si propongono di rifondare la Quarta Internazionale, nata nel 1938 su impulso di Trotsky. 91 Politica ispirata a quella della Terza Internazionale nei Paesi coloniali e semi-coloniali, basata su alleanze tattiche coi fronti democratici di liberazione nazionale.

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passi avanti nell'espropriazione della borghesia e nell'avanzamento concreto verso un'economia socialista, chiamando le masse alla mobilitazione permanente. Tra queste organizzazioni cito la Tendenza Marxista Internazionale, particolarmente impegnata nella polemica verso le posizioni settarie dell'estrema sinistra di cui parlavo prima e presente, in forma organizzata, anche nel PSUV92. APPOGGIO TOTALE. Un appoggio sine conditio al processo bolivariano ed in particolare alla direzione politica di questo arriva da quei partiti che, con le dovute differenze nazionali, derivano dall'onda lunga della Rivoluzione d'Ottobre e dell'esperienza sovietica: in Francia il Partito Comunista Francese (PCF), in Italia i Comunisti Italiani (PdCI) e Rifondazione Comunista (PRC) con alla testa la sua corrente “Essere Comunisti” 93, il KKE (Partito Comunista di Grecia), i vari Partiti Comunisti latinoamericani e così via. Questi partiti sostengono che nelle attuali condizioni di sviluppo del Venezuela e in generale dei Paesi semi-coloniali un'alleanza tattica con parte della borghesia è possibile e necessaria o che al limite è necessario “crearla”, questa borghesia, mettendo eventualmente in atto misure di libero mercato che vadano in quella direzione. La differenza fondamentale tra questo “schieramento” e quello precedentemente descritto è che i sostenitori dell'appoggio critico considerano possibile già da oggi avanzare concretamente verso il socialismo (approfondendo e generalizzando le nazionalizzazioni e cambiando il volto dell'apparato statale), mentre i sostenitori tout court del chavismo sostengono che le basi del socialismo vanno prima create e che ci sarà bisogno di un periodo relativamente lungo di convivenza tra economia privata ed economia statale: è il ritorno, in sostanza, della vecchia disputa tra rivoluzione permamente e rivoluzione a tappe94. L'approccio delle sinistre a ciò che è accaduto e sta accadendo in Venezuela da quindici anni a questa parte è decisivo per capire quale ruolo vorranno giocare queste forze politiche nelle sfide politiche future che il mondo le riserva, sfide che si preannunciano epocali.

92 Nel PSUV i militanti della TMI sono raggruppati attorno alla rivista “Lucha de clases”. 93 Corrente interna al PRC, si colloca nel solco della storia del PCI e delle esperienze del “socialismo reale”. 94 Rivoluzione permanente: teoria trotskiana, sostiene che data la natura parassitaria e servile delle borghesie dei Paesi dipendenti, la rivoluzione democratica (Assemblea Costituente, abolizione del latifondo, emancipazione rispetto alla dominazione straniera) possa essere svolta solo dal proletariato in alleanza con i contadini e gli strati poveri della popolazione, iniziando ad intaccare in contemporanea le basi stesse del capitalismo. Rivoluzione a tappe: teoria che ritiene necessaria un'alleanza tattica con la borghesia democratica e progressista per costruire prima una sovranità su basi capitaliste e solo in seguito porre la questione del socialismo.

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L'Europa mediterranea di oggi come l'America Latina? L'appoggio (critico o meno) da sinistra alla Rivoluzione nell'America Latina e nei Caraibi è pressoché totale, il chavismo rappresenta per le masse e per le sinistre quello che negli anni sessanta rappresentava il castrismo. Più in generale anche nelle altre aree geografiche del mondo “sottosviluppate” o in via di sviluppo Chávez era visto positivamente da buona parte delle masse e dei loro referenti politici, anche perché il blocco di alleanze internazionali del Venezuela è esattamente quello rappresentato da questi Paesi. Non è lo stesso nel Vecchio Continente: probabilmente decenni di crescita economica e di relativo “imborghesimento” generale hanno spostato gli interessi e la sensibilità delle masse su un piano post-materialista. La situazione oggettiva sembra però cambiata negli ultimi anni: lo sviluppo del capitalismo “occidentale” viaggiava in realtà col freno a mano tirato già da metà degli anni settanta ed approfondendo le sue stesse contraddizioni ha portato oggi (dopo due decenni di privatizzazioni e deregulation) allo scoppio di una crisi economica di portata storica. Le prime vittime sacrificali di questa nuova recessione del capitalismo sembrano essere i Paesi del Mediterraneo, con l'aggiunta dell'Irlanda. Senza voler forzare la mano, sembra di riscontrare diverse analogie tra questa situazione e le crisi latinoamericane degli anni novanta e duemila: stesse politiche industriali (privatizzazioni in ogni settore), stesse politiche sociali (ridimensionamento dello stato sociale), stesse politiche finanziarie-monetarie. In particolare questo ultimo aspetto meriterebbe di essere approfondito: a partire dalle “locomotive” Argentina e Brasile diversi Stati dell'America Latina nel tempo ancorarono la propria valuta al dollaro o addirittura introdussero il dollaro come moneta legale al proprio interno (dollarizzazione95), questo assieme alle politiche neo-liberiste ed all'esplosione del debito estero espose il “sub-continente” ad una nuova fase storica di rapina costante delle proprie risorse e portò a profonde crisi politiche. Questo processo sembra essere almeno parzialmente simile nell'area mediterranea: le politiche dell'Unione Europea, introduzione della moneta unica inclusa, hanno momentaneamente favorito quei Paesi con una struttura industriale più concentrata e che nel frattempo hanno puntato su politiche interne di deflazione salariale ed attacco alle pensioni, sfavorendo gli altri che si sono così ritrovati fra le mani una valuta “straniera” che non possono controllare. La conseguenza di tutto ciò è il graduale ridimensionamento del tessuto produttivo dei Paesi dell'Europa del Sud, in una dinamica di generale pauperizzazione, terziarizzazione e semi-colonizzazione. Ebbene sì, con la dovuta prudenza e con le dovute proporzioni (cautele che il tempo confermerà o spazzerà via), si può affermare che quest'area vada verso quelle particolari condizioni socio-economiche che ho descritto riferendomi al Venezuela: produzione di servizi e di forza-lavoro per i centri europei dell'industria (beninteso, anche questi non sono immuni dagli effetti della generale recessione 96), con possibili conseguenti flussi migratori di massa verso queste aree, in un rapporto di subordinazione centro-periferia. Naturalmente tutto ciò dovrà essere messo alla prova dalla realtà materiale, ma sarebbe 95 Il termine viene utilizzato generalmente per l'ancoraggio a qualunque moneta straniera, non solo al dollaro. Oggi inizia però a diffondersi anche il termine “eurizzazione”. 96 Ad esempio nel 2012 il PIL della Germania è cresciuto dello 0,7% contro il +3% di dodici mesi prima; quello francese è invece rimasto fermo. Da http://www.lastampa.it/2013/02/14/economia/crisi-giu-ilpil-di-francia-e-germania-aaXrtDaNGyRo7B1rg1JWSO/pagina.html e http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-09275955-eee3-4f32-9676-0a742aefdf24.html

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utile iniziare a ragionare in un'ottica di prospettiva, per cominciare giĂ da ora a parlare di soluzioni assieme politiche, economiche e sociali. L'esperienza venezuelana potrĂ in qualche modo essere di aiuto ed ispirazione in questo senso?

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BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

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