Il fenomeno del megalitismo dolmenico nei territori di Valencina de la Concepcion

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

L ETTERE

E

F ILOSOFIA

___________________________

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEI BENI CULTURALI

IL FENOMENO DEL MEGALITISMO DOLMENICO NEI TERRITORI DI VALENCINA DE LA CONCEPCIÓN

Relatore: PROF. ALBERTO MORAVETTI

Tesi di Laurea di: DANIELA MUSU

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



Indice

Introduzione

Introduzione al megalitismo nella Penisola Iberica 1. Le indagini sul megalitismo nella Penisola Iberica 2.Le sepolture megalitiche

La distribuzione dei monumenti nel territorio Iberico 1. Il Portogallo 2. Il Nord della Penisola Iberica 3.La Meseta 4. La regione Catalana 5.Andalusia. In particolare i dolmen del sud-ovest della Penisola Iberica. 6. Habitat preistorico

Il sito preistorico di Valencina de la Concepción 1. Ipotesi sull’introduzione dei Tholoi nel sud-ovest della Spagna 2. L’insediamento preistorico e il suo contesto spaziale 3.Strutture dell’abitato preistorico 4. I dolmen del territorio di Valencina de la Concepción 5.Dolmen La Pastora

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6.Dolmen di Matarrubilla 7. Dolmen Ontiveros 8. Alcuni aspetti della cultura materiale 9. Aspetti socio – economici delle sepolture

Appendice

Conclusioni

Bibliografia

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INTRODUZIONE Megalitismo è una parola composta dalla giustapposizione di due parole di origine greca: mega che significa grande e litos che significa pietra, a partire da questa definizione capiamo che si tratta di strutture costruite con grandi pietre, esiste però un numero elevato di complessi architettonici che rispondono correttamente alle caratteristiche di questo termine, però quando parliamo di Megalitismo intendiamo costruzioni monumentali elevate da società preistoriche, in un epoca chiave, dove si avvertono i primi cambiamenti della grande rivoluzione neolitica e l’introduzione di un economia di produzione. I dolmen sono megaliti, costituiti da due o più massi infissi verticalmente nel suolo e sormontati da una lastra orizzontale e possono essere provvisti o meno di un corridoio o di un vestibolo di accesso, la loro destinazione funeraria non sempre è chiara, molti di essi non hanno infatti restituito tracce umane. Nonostante le varie interpretazioni proposte dagli studiosi nel corso della storia, a parte la funzione funeraria è difficile dare una risposta riguardo al loro significato. Un ipotesi che ha avuto molto seguito, connette il cambio economico alla necessità di controllo stabile del territorio e quindi renderlo riconoscibile con dei segni duraturi. Quando pensiamo ai dolmen è impossibile non fare riferimento alle grandi strutture bretoni (il loro nome è di origine bretone taol, tavola e

men pietra) tra le più antiche d’Europa, alle

imponenti costruzioni del Carnac e della costa Armonica. Il più

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spettacolare è il grande tumulo di Barnenez con le sue 11 strutture dolmeniche all’interno, diverse per piante e dimensioni, è tra i monumenti più antichi della Bretagna, fu costruito in varie fasi e risale alla metà circa del V millennio a. C. In questo lavoro mi sono occupata soprattutto di dolmen, ho ritenuto essenziale dare ai lettori un inquadramento storicoculturale purtroppo limitato alla Penisola Iberica, per poi affrontare nello specifico la descrizione di un sito archeologico di notevole importanza durante l’età del Rame, nel quale ho avuto il piacere di contribuire al suo studio nel corso di uno scavo archeologico di investigazione limitato ad una zona di confine tra l’area attribuita alle necropoli e quella destinata al settore abitativo.

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Introduzione al fenomeno megalitico nella Penisola Iberica

1. Le indagini sul megalitismo nella Penisola Iberica

Gli studi sul fenomeno del megalitismo nella penisola iberica contano una lunga tradizione che rimonta al XIX secolo con l’arrivo nella penisola dei fratelli Siret nel dolmen chiamato Cuevas de Almanzora (Almeria) nel 1880, che servirà come punto di partenza agli studi dei siti Los Millares

o del

Almizaraque, insieme ai lavori di Cartahilac di Les Ages Prehistoriques

de L’ Espagne et du Portugal (1886),

prematuramente richiamano l’attenzione sulla tematica, della quale fanno l’eco alcune grandi personalità iberiche come Estacio de Veiga o posteriormente Gomez Moreno interessati rispettivamente alle manifestazioni dolmeniche dell’Algarve e della zona di Antequera. A partire da allora si sviluppa nella penisola Iberica una febbrile attività, non ancora interrotta, che ha come principale oggetto di investigazione far conoscere e inventariare i monumenti delle distinte regioni Iberiche. Nel 1923 si legge la tesi del professor Pericolt sui sepolcri megalitici della Catalunya, in seguito completata da un eccellente lavoro di Serrá Vilaró (1926). Nei Paesi

Baschi

Barandirán

prospettano

instancabilmente

Aranzadi,

e Euguren, realizzando una moltitudine di

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ritrovamenti che finiranno essere ricopiati in un grande catalogo da Elósegui (1953). Gli appunti dedicati nel 1919 da Vega del Sella al Dolmen de la Capilla sono i primi scritti scientifici su questo fenomeno nelle Asturie, il cui lavoro verrà ripreso negli anni 40 da Uria Riu e concluso nel 1973 da un inventario di J. M. Gonzalez nel, nel 1973, con la pubblicazione di un Recuento de los Tumulos Megaliticos Asturianos. Maggior eco ebbero le investigazioni archeologiche in Galizia, da quando nel 1888 Murguia affermava che quasi ogni spazio di terra senza coltivo contenesse una “mamoa”, il primo lavoro prettamente scientifico nella regione risale agli anni 20 con F. Lopez Cuevilla, che riuscì a distaccare l’affinità delle manifestazioni dolmeniche del Nord Est da quelle portoghesi, affannosamente studiate allora da Alves, Botelho, Correia o Leite de Vasconcellos. Per ultima l’Andalusia che vede il colossale lavoro sul campo di Siret e le indagini sporadiche di grandi sapienti come H. Obermaier, gli sforzi per raggruppare tutti i monumenti megalitici in un unico corpus terminano nel 1943 con la pubblicazione da parte dei coniugi Leisner del primo tomo del monumentale lavoro Megalithgräber der Iberischen Halbinsel, poco dopo appariranno i volumi corrispondenti al Portogallo, che costituiscono indiscutibilmente la opera maggiore riguardo al megalitismo peninsulare. Nonostante questa prima tappa dello studio del megalitismo ebbe una orientazione puramente descrittiva, ne risulta un utilissimo fondo di dati che permetteva la comparazione di architetture e corredi anche in zone distanti, si avvertono in questa ricerca alcuni intenti di sintesi, che in una epoca segnata dal diffusionismo si polarizzano intorno alla questione sull’origine del fenomeno megalitico e sussidiariamente nello 8


studio delle vie di espansione seguite per terminare arrivando a ricoprire la ampia estensione che conobbe. Anche se alcuni studiosi, come Bosh Gimpera, difendevano il megalitismo come una manifestazione sorta tra i gruppi mesolitici portoghesi, la ipotesi diffusionista proposta da Goldon Childe si mantenne vigente fino agli anni 70. Considerava il megalitismo come un fenomeno uniforme che rifletteva un nuovo corpo di credenze, si ammetteva che era il risultato di coloni provenienti dall’Egeo, alla ricerca di metalli, che si stabilirono nel sud est della Penisola Iberica e sulla foce del fiume Tago, costruendo i primi villaggi fortificati (Los Millares) introducendo la metallurgia e nuovi culti funerari insieme alla sua espressione architettonica il Tholos, che successivamente

si

traducevano

in

forme

autoctone

ortostatiche. La spiegazione erronea e irremovibile che qualsiasi novità culturale provenisse dall’Oriente trascino anche Siret, convinto sostenitore di una ipotetica colonizzazione micenea nella Penisola Iberica, teorie contestate prontamente da Cartahilac e Aobeg,

successivamente

Bosh

Gimpera

considerava

le

manifestazioni megalitiche come semplici esponenti di gruppi neolitici locali. Il seme della polemica era già stato seminato e tutta la preoccupazione della scienza preistorica era interessata alla tematica, fino agli anni 60 si riunirà intorno all’analisi ossessiva degli

aspetti

cronologici

intentando

adattare

i

nuovi

ritrovamenti alle tesi favorevoli o contrarie alla spiegazione orientalista. Solo negli anni 70 faticosamente la questione risulta conclusa grazie alle datazione assolute ottenute con il metodo del Carbonio 14 e della termoluminescenza, le quali hanno messo 9


in rilievo la scarsa credibilità delle tesi orientaliste, la manifesta anteriorità dei monumenti della costa atlantica rispetto a quelle di altri territori, dove gli studiosi di preistoria si sono preoccupati di ricercare il significato di tutti gli aspetti del fenomeno come la importanza del componente autoctono nelle sepolture megalitiche, la loro struttura sociale, il loro modo di vita e lo studio del territorio circostante. A partire da questa data è stato chiarito che il megalitismo è un fenomeno occidentale, rimangono però dei dubbi riguardo alla sua origine, al suo significato e alle cause.

2. Le sepolture megalitiche

Sebbene si continui ad usare il termine di Megalitismo, abbandonati già da tempo quelli di “razza megalitica” o “civilizzazione megalitica”, questa denominazione allude a costruzioni differenti, a uno spazio cronologico ampio, e sicuramente a funzioni rituali mutate nel tempo. I monumenti funerari sono molto differenziati in quanto a forme, misure e tecniche costruttive. La maggior parte di essi è arrivato ai nostri giorni allo scoperto e ha catturato l’interesse per la sua architettura, però un buon numero di essi, se non tutti, era ricoperto da tumuli di terra o pietre che nascondevano la struttura ad eccezione dell’entrata. Il paesaggio era quindi differente e quello che risaltava era la maggiore monumentalità della struttura tumulare. Nel tempo però i primi studiosi, davano maggior importanza al suo scheletro, la struttura ortostatica, perdendo un gran numero di informazioni conservate nel tumulo. 10


Le architetture che diedero luogo al termine di megalitismo sono

quelle

ortostatiche

che

limitano

le

soluzioni

architettoniche alla pianta dell’edificio, dolmen a camere rettangolari e poligonali, sepolcri di corridoio o con corridoio distinto dalla camera, gallerie coperte o camere senza corridoio, mentre la copertura è quasi sempre architravata. Si includono anche le costruzioni con tecnica a muro a secco e camere con copertura aggettante le cosiddette tholoi, la cui denominazione ricorda le camere circolari del Bronzo Egeo, e alle quali durante tanto tempo si è pensato si inspiravano come ho già detto. Queste tombe si utilizzarono per sepolture multiple “collettive”, nel senso di successive, il numero varia da una decina fino ad arrivare a centinaia di individui, e non necessariamente il numero è relazionato alle dimensioni della struttura. Quando si conservano i resti ossei, il fatto che non hanno corrispondenza anatomica e appaiono mischiati, ha fatto supporre che si tratti di sepolture secondarie, ma l’ipotesi più probabile è che sia il risultato di continui lavori di pulizia e riorganizzazione degli spazi per dar luogo ad altre inumazioni. Indipendentemente dal carattere collettivo, però, non tutti i membri della comunità possedevano il diritto di essere sepolti al suo interno. Una delle difficoltà riguarda la fissazione dei limiti cronologici, alcuni studiosi portoghesi considerano Neolitica la prima fase delle costruzioni, molti altri invece già situano le sepolture nel periodo Calcolitico. Il metodo più usato lo studio dei corredi funerari che considera la evoluzione tipologica e la loro attribuzione ad una fase culturale la cui cronologia è già stata stabilita, il problema di questo metodo è la sicurezza delle informazioni perché molte di queste tombe sono state oggetto di visite già da tempi antichi; è quindi logico pensare che è sparita parte dell’informazione, d’altro canto anche quando i 11


corredi appaiono intatti è difficile capire se i corredi appartengono alla fase del suo primo uso. Molti sepolcri furono oggetto di riutilizzazioni successive, che per far spazio a nuove sepolture possono aver eliminato parte dei corredi funerari. L’attribuzione

Neolitica

alle

costruzioni

portoghesi

era

connessa alle cronologie bretoni, anche se di poco posteriore, il che venne confermato dalle prime datazioni al radiocarbonio che situavano le costruzioni più antiche alla fine del quarto millennio a. C. I sepolcri delle costruzioni catalane si datarono alla fine del quarto millennio. Le prime costruzioni megalitiche nella Penisola Iberica si situano quindi nel Neolitico, però sia il rituale collettivo che le tombe monumentali sono un aspetto tipico del Calcolitico, in alcune aree è stato dimostrato il loro uso anche durante l’Età del Bronzo, con riuso o edificazione di nuovi sepolcri che ripetono la tipologia. La distribuzione geografica delle costruzioni megalitiche permette differenziare uno spazio quasi ininterrotto dal settentrione, centro-ovest e occidente con una continuità in tutta l’Andalusia, nel quale si distacca un nucleo nel Nord Est vincolato alle costruzioni pirenee, mentre si registra una totale assenza nelle aree centrali della Meseta orientale e Levante (1998, M. A. del Rincon).

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2. La distribuzione dei monumenti nel territorio Iberico

1. Il Portogallo

È una delle zone con maggior concentrazione di monumenti megalitici dall’epoca di G. e V. Leisner le investigazioni si sono rivolte alle zone di Beiras, Estremadura, Alentejo e Algarve.

Confermata

l’origine

Neolitica

dei

sepolcri

Portoghesi, Recentemente il professor Tavares da Silva ha proposto una sequenza cronologica dei monumenti della zona dell’ Alentejo. Secondo i suoi studi, l’evoluzione procede in due

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zone in modo autonomo secondo modelli distinti. Nell’area costiera, più precisamente nel territorio che va da Melidea a Santigo do Cacém, la fase iniziale (fase I) intorno al Neolitico Medio fine IV millennio a. C., la sepoltura è di tipo “protomegalitico” costituita in maniera semplice da un dolmen a camera chiusa e senza corridoio, ricoperto da una struttura tumulare semplice. Le sepolture contenute nella camera sono individuali, mentre in un secondo momento contengono un numero ridotto di individui, con scarso corredo funerario, lamine trapezoidali e poche parti di collane discoidali. Nella seconda fase, ben documentata dal Dolmen di Palhota, si assiste alla evoluzione della forma dolmenica, con camera subrettangolare e presenza di un corridoio ben differenziato dalla camera, il dolmen viene ricoperto da un tumulo di terra, e intorno vengono costruite due corone di pietre concentriche. Il corredo è vario e costituito da punte di freccia con peduncolo, parti di collana in forma discoidale, placche di scisto senza decorazioni e ceramiche con superficie liscia e ocre. Le datazioni ottenute nell’Alentejo litorale risalgono al Neolitico Recente alla seconda metà del IV millennio a. C. a Paço da Gateira e Gorginos ottenute con termoluminescenza sono rispettivamente 4510 ± 360 a. C. e 4440 ± 360 a. C. L’apogeo (fase III) del megalitismo nell’Alentejo è situato alla fine del Neolitico inizio Calcolitico, e trova la forma più espressiva nel dolmen Pedra Branca, si tratta di sepolture a camera poligonali e corridoi differenziati, noti con il nome di antas. Nel sud sono di solito con camera a pianta ovoidale allungata, senza corridoio differenziato. Il numero delle sepolture aumenta in modo considerevole (minimo 65 inumazioni) e come tale aumenta anche il corredo funerario depositato all’interno della struttura: punte di freccia a base 14


concava, abbondanti lamine ritoccate, e parti di collane in scisto discoidali (1147), placche in scisto con motivi geometrici incisi, e le forme ceramiche carenate e dal bordo ingrossato. Le datazioni ottenute con la termoluminescenza 3235 ± 310 a. C. proveniente da Comenda da Ingreja, mentre l’anta da Bola de Cera si è ottenuta una datazione al radiocarbonio di 4360 ± 50 a. C. L’ultima fase, pienamente Calcolitico, contempla l’apparizione del Tholoi (fase IV) con camera coperta da falsa cupola e corridoio ben differenziato e rettilineo composto da bassi ortostati. Apogeo dei villaggi fortificati, uso del rame. Le datazioni ottenute con la termoluminescenza datano

a

Farisôa un anta 2405 ± 260 coperta dallo stesso tumulo di un Tholos datato 2675 ± 270, probabilmente riflette il riuso del sepolcro in epoca posteriore. Infine il Tholoi Dos Tassos è datato al secondo millennio a. C. quindi già in Età del Bronzo (1985, Carlos Tavares da Silva).

Anta de Candieira (Alentejo) Portogallo

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Anta Panedo da Moura, Alentejo

Anta da Bota (Alentejo, Portogallo)

Pi첫 a Nord nella regione compresa tra fiume Tago e il fiume

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Duero i megaliti sono sempre molto numerosi, ma il contesto culturale è differente, i villaggi preistorici sono quasi sconosciuti e i corredi non possiedono quelli elementi caratteristici del sud come le placche di scisto incise e altri elementi simbolici. La regione ha una superficie di circa 27.000 km2 non ha una uniformità geografica ed è composta da rispettivamente da quattro bacini idrografici (fiumi Tago, Monduero, Vouga, Duero); due aree climatiche distinte (clima continentale, clima atlantico) e differenti formazioni geologiche (terreni arenosi, calcarei, scistosi e granitici). In questa regione si segnala la presenza di oltre 900 monumenti megalitici tra antas e “mamoa” dei quali però solo il 3% è stato studiato in modo esaustivo, e circa 57 monumenti sono noti pero in forma incompleta. Con il poco materiale a disposizione degli studiosi è perciò estremamente difficile risalire alle connessioni storicoculturali e cronologiche dei monumenti. All’interno della regione, il distretto del Castelo Branco è separato dal fiume Tago dalla regione dell’Alentejo, qui gli studiosi Georg e Vera Leisner localizzarono più di 200 monumenti

megalitici

(1965,

Vera

e

Georg

Leisner),

attualmente in tutto il distretto conosciamo appena le piante di sette monumenti, tra i quali quelli meglio conosciuti tre appartengono al tipo camera divisa dal corridoio ricordiamo l’Anta Grande da Granja São Pedro, scavato nel 1969 da Fernando de Almeida e Octávio da Veira Ferreiral che pubblicarono la pianta e i ritrovamenti di alcune punte di freccia, un ascia pulimentata e frammenti di ceramica decorata, Anta da Urgeira, Portela da Lameira. Mentre Anta Grande de Medelin pare fosse un grande monumento a camera poligonale e corridoio, riusato durante l’epoca romana come dimostrano i 17


frammenti di ceramica sigillata ritrovati nel corridoio. Sono presenti anche monumenti a camera trapezoidale senza corridoio dei quali non si conosce la pianta.

Anta Grande da Zambujeiro

Procedendo verso Nord, più lontano dall’area dell’Alentejo il numero dei monumenti è minore se ne contano solo 30 nell’area della provincia di Coimbra. La maggior parte sono dolmen di grandi dimensioni con camera a pianta poligonale, quasi circolare, con corridoio, il numero dei monumenti di piccole dimensioni è piuttosto ridotto. L’informazione relativa a questi dolmen si deve a da Antonio dos Santos Rocha che nel 1888 esplorò i monumenti e raccolse i dati conservandoli nel museo Figueras da Foz. Anche nella provincia di Guarda si trovano Dolmen di grandi dimensioni, e il loro numero è piuttosto ridotto. Nel XIX secolo Martins Sermento pubblica una relazione riguardo una spedizione scientifica

a Serra de Estrela, contenente la

descrizione di tre monumenti: Anta de Fontão, Anta do Aljão, Anta de Pêra do Moço (1985, Philine Kalb). 18


Orca di Cunha Baixa, Beira Alta

Orca Rio Torto (Guarda)

Circa 300 monumenti del distretto del Viseu e i 120 del distretto di Aveiro, formano delle vere e proprie zone megalitiche. La cultura megalitica del Nord del Portogallo di dissocia notevolmente da quella del centro-sud, vengono a mancare

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determinati tipi di costruzioni i Tholoi ad esempio, e nella cultura materiale sono del tutto assenti gli idoli placca, mancano il materiale tipico della cultura delle Tholoi. Cronologicamente i Monumenti megalitici del Nord del Portogallo sono inquadrati in un periodo compreso tra la seconda metà del IV millennio a. C. e la prima metà del II millennio a. C. La conoscenza di questi monumenti è piuttosto frammentata, molte aree nord-portoghesi non sono state oggetto di prospezioni, solo a partire dagli anni 1978 le mamoas furono scavate e analizzate in modo dettagliato. I tumuli di terra e pietre integrano strutture funerarie di diverso tipo e posso essere: -

Fossa: unico caso conosciuto Chã de Santinhos, mamoa n. 2, il tumulo racchiude una struttura a pozzo, anche se a causa dell’assenza di materiale archeologico è difficile attribuire in modo certo

la destinazione funeraria della

struttura. -

Cista: sono strutture estremamente fragili, delle quali si possiedono poche referenze, appartengono a questo gruppo la Chã de Arefe, Durrães, ciste inserite in un recinto di grossi blocchi granitici e interiormente rivestite da un manto di pietre, dai materiali rinvenuti vengono datate all’età del Bronzo.

-

Cista megalitica: come l’antela Portalegem e la cista di S. Bento das Peras entrambe racchiuse in una mamoa, composte da una camera rettangolare .

-

Dolmen semplici: aperti o chiusi, dalle dimensioni e piante varie e formano una pianta poligonale, allungata e aumentano lo spazio funerario creando celle secondarie. Nella necropoli di Abobreira abbiamo due esempi di questo tipo: Outeiro de Ante e Mina do Simão. 20


-

Dolmen con vestibolo: l’ingresso del dolmen presenta due lastre architravate ben separate dalla camera, generalmente chiamato vestibolo perché non è un corridoio vero e proprio. Ad esempio Fonte Coberta e Zedes entrambi situati a Tràs-os-Montes.

-

Dolmen con corridoio: si distinguono due tipi, uno con corridoio ben differenziato dalla camera, mentre un secondo tipo in cui tra camera e corridoio non esiste alcuna differenza.

La diversità tipologica viene interpretata secondo termini cronologici, ossia la forma più semplice è quella più antica, come confermerebbero le datazioni ottenute nella necropoli di Aboboreira Outeiro de Gregos risalirebbero agli inizi del IV

Dolmen di Outeiro

millennio a. C., a partire da un determinato momento la distribuzione geografica differente di strutture semplici e complesse può riflettere sistemi economici e sociali differenti. I dolmen di Outeiro de Gregos, 21

Chã de Santinhos, Pena


Mosqueira, Ch達 de Parada sono sepolture contemporanee, costruzioni semplici e complesse e convivono nella stessa necropoli (1985, V. O. Jorge).

Tipologie di dolmen nord Portoghesi: Outeiro de Ante, Minha do Sim達o, Vilarinho da Castanheira, Ch達 das Arcas

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Ch達 da Parada, Fonte Coberta da Ch達, Zedes, Lamoso, Barrosa, Santa Maria.

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2. Nord della Penisola Iberica

Dolmen Berdoyas, la Coruña

Il paesaggio megalitico offerto dalle costruzioni della costa Nord-Ovest è tutt’altro che omogeneo. Nel versante estremo occidentale troviamo la regione della Galizia, cui tipologie costruttive ricordano quelle nord portoghesi, come anche le cronologie. Una prima tappa 43004000 a. C. costituita da semplici camere aperte o chiuse con pianta generalmente poligonale (Chan da Cruz), coerenti alle altre datazioni ottenute nei tumuli Llaguna de Nievares, Peña Oviedo, Larrate. La seconda generazione di costruzioni risale al 4000-3700 a. C. si aumenta il numero delle sepolture a camera semplice e si introduce il corridoio, queste ultime confermano la loro posteriorità dai corredi funerari già calcolitici. Se però i due tipi di costruzione convivono nello stesso periodo, la differenza

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tipologica potrebbe rispondere a questioni di natura gerarchica o semplicemente a meglio sfruttamento dei terreni fertili. Più ad est (a partire dalla foce del fiume Nalon) il paesaggio megalitico è sorprendentemente deserto lungo il litorale cantabrico, contrariamente a quanto accade in epoca Paleolitica dove resti di lavorazione d’utensili in pietra testimoniano la precoce presenza dell’uomo e lo sfruttamento delle risorse marine. In epoca calcolitica gli insediamenti si spostano verso l’interno occupando zone ad altitudini più elevate, come l’insieme dei tumuli di Boal a più di 10 km in linea d’aria dalla costa ad 600 metri sul livello del mare. Le aree più elevate furono preferite dagli abitanti di queste regioni forse a causa di un cambiamento dell’economia, sfruttando nelle diverse epoche dell’anno i prodotti offerti dalle valli e dalle aree montagnose. L’area costiera sarebbe parsa inadatta allo sviluppo delle prime pratiche agricole (1978, C. De Blas et alii). A partire dalla zona di Villaviciosa, sempre nella costa cantabrica, il panorama è opposto, presso il mare si ritrovano i gruppi più numerosi di dolmen. Dei tumuli presenti nella regione quelli che si estendono lungo l’area di Serra Plana e Borbolla scavati nel 1931, vengono divisi in diverse tipologie costruttive: piccoli dolmen ortostatici, piccoli dolmen a cista, tumuli privi di camera che ricoprono una fossa nella roccia madre chiusa da una lastra (1981, M. A. Blas).

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Dolmen di Aizkomendi, Alava, Paese Basco

L’arrivo delle sepolture megalitiche nei Paesi Baschi è piuttosto discusso, la vicinanza sia al Portogallo che all’area francese ha alimentato la questione. Convivono nel territorio due tipologie costruttive: dolmen semplici (chiamati “di montagna”) e dolmen a corridoio (chiamati dolmen “di valle”). Questa differenza potrebbe essere il risultato di due diverse economie rispettivamente

una

seminomade, una stabile di pastorizia, questa ipotesi potrebbe essere avvalorata dalla contemporaneità cronologica delle sepolture. Bosh Gimpera riferendosi ad una cultura “pirenea” riconosceva un arrivo esterno di coloni, che trapiantarono la cultura dei megaliti, arrivati via mare dal Portogallo (1923, P. Bosh-Gimpera). Pericolt (1950), dopo la recente acquisizione dei dolmen a corridoio, fa provenire questi dal Portogallo e i più semplici dalla Catalunia attraverso i Pirenei. Il tumulo di Trikuaizti, che racchiude una camera composta da 26


una grande lastre di basalto piantata verticalmente, un poco inclinata coperta da varie lastre di calce, il complesso forma una camera, ha restituito datazioni calibrate contemporanee alle portoghesi, facendo supporre una probabile nascita locale del fenomeno (Angel Armendáriz, 1985). Lo studio della densità dei monumenti e il loro corredo funerario portarono la studiosa Teresa Andrés Rupérez a individuare 4 aree alle quali corrispondono diverse tipologie di costruzioni: -

Area Atlantica, e le colline a medie altitudini che costituiscono una zona intermedia tra quella atlantica e quella mediterranea dove predominano dolmen a camera semplice ( Sierra Aralar, Altzania, Aitzkorri, Urbasa, Entzia), le condizioni naturali favoriscono attività di pastorizia a insediamenti di piccoli gruppi.

-

Altitudini medie dell’area mediterranea e zone prossime al fiume Ebro si documenta una serie minore di ritrovamenti, pero di maggiori dimensioni, alcuni di essi allungati a formare gallerie coperte come Portillo de Enériz, La Mina e Faragontea in Navarra, dove una lastra perforata stabilisce la separazione tra camera e corridoio. Nella piana alavesa Chabola de la Hechicera, El Sotillo e San Martin si riallacciano alle tipologie della zona riojana.

Più a sud nell’area di Rioja, nel municipio di Nelda, è stato scoperto un interessante nucleo di strutture tumulari funerarie, tra le quali Peña Guerra I con camera e corridoio differenziati, Peña Guerra II, dolmen a corridoio con due camere, ha restituito vari livelli di inuazioni, la più antica datata al 2690 a. C. e la più recente in seguito ad un riutilizzo della struttura in epoca Campaniforme, datata 1460 a. C. Peña Guerra I, risultò essere profanata in epoche recenti, durante il suo scavo si 27


ritrovò la camera sepolcrale praticamente intatta, i corredi ritrovati al suo interno erano frammenti di periodo Enolitico e ceramiche campaniformi (1985, Carlos Perez Arrondo). Più a sud, nel territorio di Viguera si trovarono un insieme sepolture denominate Collado Portillo e de Los Ladrones Palomero, si tratta di tumuli che contengono sepolture protette rispettivamente da lastre di pietra o scavate nella roccia madre, presentano evidenze di epoca Calcolitica e Campaniforme. Nessuno dei dolmen riojani e baschi presenta copertura conservata né in situ né nelle immediate vicinanze, facendo pensare che si tratti di coperture fatte con materiali deperibili (vegetali o legno) o non ci fosse nessuna copertura sul dolmen che lo dividesse dal tumulo soprastante.

3. La Meseta

L’interesse scientifico delle sepolture megalitiche nella zona centro-settentrionale della Penisola Iberica ha sofferto un vuoto investigativo,

indipendentemente

da

qualche

sporadica

pubblicazione, è solo a partire dagli anni 30, quando P. Moran presentò alla Junta Superior de Excavaciones y de Tesoro Artistico, risultato di ritrovamenti megalitici nelle provincie di Salamanca e Zamora (1931, C. Moran). Anni dopo, l’identificazione di un altro fuoco megalitico nei territori Baschi ha dato il via ad un susseguirsi di indagini per ricercare il nesso intermediario tra il Portogallo e i Paesi Baschi. La comprensione del fenomeno megalitico nella Meseta, si ha visto favorita in questi ultimi anni dai lavori del professor Delibes, che da un lato hanno evidenziato la presenza di 28


sepolture neolitiche su grotte, che rilevano la presenza di un occupazione precedente a quella calcolitica, rompendo la precedente ipotesi di una colonizzazione calcolitica su un territorio praticamente inabitato. D’altra parte, scavi e prospezioni hanno ampliato notevolmente la conoscenza della diffusione del megalitismo, la conoscenza di nuove tipologie di strutture, disporre di alcune datazioni e cultura materiale, permettono inoltre stabilire parallelismi tra le diverse regioni e avere un quadro complessivo del fenomeno più chiaro. La distribuzione delle sepolture in quest’area non è uniforme a livello tipologico, le strutture individuate nelle provincie di Salamanca e Zamora sono connesse ai gruppi del Nord del Portogallo, mentre più a Nord a Burgos e Valladolid si riscontra una continuità dall’area basca. Il tipo costruttivo più frequente è quello con camera poligonale e corridoio, integrato in grande tumulo, a volte la tecnica costruttiva della camera sepolcrale ha fatto supporre la presenza di una falsa cupola (Tholos), ma a causa della mancanza di una copertura è difficile da stabilire se invece si tratti di coperture da vegetali non conservate. Le datazioni ottenute dai materiali conservati rimontano le costruzioni di Burgos non molto distanti dalle datazioni portoghesi: a Ciella, in un sepolcro con corridoio è stato datato alla fine del V millennio a. C., come El Moreco nel territorio di Huidrobo è stato datato agli inizi del IV millennio a. C. (1998, M. A. del Rincon) Nel 1983, nel corso di uno scavo nella provincia di Valladolid, nei territori del municipio Villanueva de los Caballeros, si è portata alla luce una singolare struttura funeraria che conteneva i resti di diversi individui inumati, non si tratta di una struttura megalitica propriamente detta, il tumulo ricopre uno spazio 29


circolare, delimitato da massi, dove ha avuto luogo una sepoltura collettiva, la rilevanza della struttura denominata El Miradero, sta nella testimonianza del cambiamento del rituale funerario collettivo tipico del fenomeno Megalitico, in prossimità dei defunti, furono collocati i corredi funerari anch’essi ricordano le tipologie note alle sepolture di cui ci stiamo occupando. Purtroppo non si hanno tracce nel territorio circostante di sepolture dello stesso genere, risulta però contemporaneo a dolmen a corridoio, il che ha fatto ipotizzare si tratti di una forma aberrante locale dei megaliti, secondo altri autori il deficit della struttura portante sarebbe da ricercarsi nella assenza di materiale utile da costruzione. Sempre nella provincia di Valladolid si trova il Dolmen di Zumacales, si tratta di un sepolcro con corridoio e camera sepolcrale a pianta poligonale di cinque metri di diametro, la tecnica costruttiva è piuttosto singolare, i muri della camera sono costruiti da file di parallelepipedi di roccia calcarea. Purtoppo la struttura è stata ritrovata in avanzato stato di degrado, nonostante ciò conservava i resti di 25 individui inumati con rispettivi corredi funerari. Anche il Dolmen Las Arnillas fu rinvenuto in condizioni particolari, il che non ha impedito il ritrovamento eccezionale di circa 50 inumati con corredo funerario. La tipologia del corredo e della tecnica costruttiva riallaccia il monumento a quelli già descritti del territorio della Rioja (Peña Guerra) e del sud dei Paesi Baschi. I due dolmen sono datati rispettivamente all’inizi del IV millennio a. C. Le provincie di Salamanca e Zamora, possiedono il numero maggiore di monumenti, la loro collocazione nel territorio risente delle caratteristiche fisiche, determinando nelle valli fluviali una maggiore concentrazione dei monumenti. 30


Le costruzioni si inseriscono, con poche eccezioni, nel prototipo di sepolcro con corridoio, per quanto riguarda la pianta, visto che nella maggior parte dei casi non si conserva la parte superiore o si trova ancora sotterrata dal tumulo che ricopre le strutture. Omogeneità basica che in realtà nasconde una grande varietà tipologica di dimensioni, strutture secondare che ampliano la principale, anelli periferici etc. le camere, più che circolari, sono irregolari angolose e con tendenza ovale, la maggior regolarità della circonferenza della camera dipende dal numero di ortostati utilizzati, si avverte in questo senso una maggior regolarità presso li affioramenti di roccia usata. I pochi monumenti conosciuti nel dettaglio Galisancho, La Veguilla e Aldeavieja illustrano chiaramente la complessità di queste costruzioni e la ampia gamma di ricorsi messi in pratica dai loro costruttori. I corredi funerari abbondanti a loro interno suggerisce che il periodo d’uso dei sepolcri abborda un periodo relativamente lungo,

purtroppo la informazione stratigrafica è molto

lacunosa, le conclusioni che è possibile avanzare a causa della dispersione dei frammenti all’interno delle strutture son per maggior parte di indole tipologica, che separano i materiali di epoca campaniforme da restanti materiali che si considerano megalitici.

31


4. La regione Catalana.

Il fenomeno megalitico catalano è praticamente isolato dal resto della Penisola Iberica, infatti più a sud di Tarragona fino all’Almeria non vi è traccia di ritrovamenti, e verso ovest le costruzioni sono piuttosto scarse, però si esiste una connessione dall’altro lato dei Pirenei, nel sud est della Francia, con le costruzioni di Rosellón, Cobiéres e Aude il che pare introdurre una

problematica

all’introduzione

comune

delle

alle

tipologie

due

regioni

concrete

di

riguardo

monumenti

connesse con il fenomeno megalitico Atlantico. Le costruzioni più frequenti in Catalunya sono: - i sepolcri con camera e corridoio, il quale a volte viene costruito con tecnica a muro. Esistono delle varianti riguardo alla pianta della camera, che può essere sub-circolare, poligonale e con anticamera, e quadrangolare. - i dolmen a galleria (non sono alée couvert in quanto la camera si differenzia dal corridoio) chiamate pseudo gallerie o gallerie catalane. A loro volta si differenziano in grandi, fino a 10 metri di longitudine, e piccole, dai 3 a 5 metri di lunghezza; - dolmen o camere semplici, chiamate “camere pirenaiche“, per la loro diffusione geografica, possono essere di pianta rettangolare, composte da una serie di 4 o più lastre laterali sulla quale si adagiava la copertura (Cabaña del Moro de Bescaran), oppure a camera sub circolare

costituiti da più

ortostati verticali molto separati tra di loro. - ciste megalitiche in pianta rettangolare o quadrangolare di un metro di longitudine;

32


- semidolmen, fosse sepolcrali coperte da una lastra di roccia e tumulo. Saccheggiati da tempi remoti, i dolmen restituivano labili tracce del passato, lo studio dei frammenti ritrovati al loro interno ha spesso indotto gli studiosi a considerarli come già Calcolitici e dell’Età del Bronzo (1944, Bosh Gimpera). A partire dagli anni sessanta M. Cura ha proposto una differenziazione cronologica e tipologica che datava i primi monumenti al Neolitico Catalano e che è stata confermata dalle prime datazioni al radiocarbonio ottenute nei sepolcri dell’Alto Ampurdán, che confermano l’apparizione a partire dalla metà del III millennio a.C. nonostante non si conosce nelle costruzioni materiale archeologico così antico, solo in modo episodico e solo nelle strutture tumulari. Secondo questa classificazione tipologica, le sepolture che presentano le tracce di cultura materiale più antiche sono i dolmen a corridoio. M. Cura (1977, M. Cura-Castels), nelle sue datazioni si riferiva alla presenza di ceramica di tipo campaniforme marittima datata al 2200-2000, lo studio attuale del materiale archeologico allega a questa datazione indizi di maggior antichità, come le collane di “calaita” rinvenute in un sepolcro a corridoio di Font de la Roure sito nell’Alto Ampurdán, proprio della cultura del Neolitico Medio Catalano datato al 3500-2500 a. C. insieme a una serie di asce levigate proprie di questo periodo, rinvenute in un altro dolmen a corridoio di Sierra de la Roda, sempre nella zona dell’Alto Ampurdán. La prima fase megalitica si documenta quindi nelle regioni costiere dell’Ampurdán e nella Albera con i primi sepolcri a corridoio con camera quasi circolare e corridoio e pareti laterali a muro, in epoca successiva la camera assume una forma poligonale e il corridoio è con tecnica a muro o 33


rivestito da lastre verticali. Le datazioni provenienti da Arreganyats situano i monumenti nel periodo Neolitico Medio Catalano metà del III millennio a. C. Le gallerie catalane compaiono a partire dal Neolitico Finale Catalano o Veraciense, datate 2700-2100 a.C. connesse al ritrovamento di frammenti ceramici decorati con grandi triangoli incisi dopo la cottura, questa ceramica si relaziona al gruppo di Treilles che appare nel sud-est francese nella zona di Causses e si estende fino alle grotte di Labeil, St. Etienne de Bourges e Serpents. Questa ceramica è datata tra 2700 e 2300 a. C. (1976, Guilaine Roudil). La presenza di questa ceramica del gruppo di Treilles in due gallerie catalane fornisce indicazioni cronologiche utili a situare ne tempo questi Dolmen in una tappa compresa tra 2500-2000 a. C in linea con lo schema ipotetico di M. Cura. La distribuzione delle gallerie catalane segue la linea della costa, a partire dall’Alto Ampurdán, verso sud attraversa Maresme, e nell’interno oltrepassa la frontiera di Cardoner nei territori di Bagés e Solsona. Le camere semplici e le ciste megalitiche vengono datate al 2000-1500, non contengono materiale più antico di questa data, la diffusione di questi tipi di dolmen si limita ai territori interni della Catalunya. Le camere semplici sembrano essere connesso con le costruzioni francesi della zona chiamata Causses, la ceramica campaniforme pirenaico li data al Calcolitico. Durante l’epoca del Bronzo i sepolcri vengono riusati. In realtà è giusto sottolineare che la divisione cronologica sopra descritta si basa su criteri archeologici tanto deboli come la presenza di determinati stili di cultura materiale, soprattutto la ceramica campaniforme. Il ritrovamento di tipologie ceramiche più remote nei dolmen a corridoio, li considera abitualmente più antichi, mentre il ritrovamento di ceramica incisale nelle 34


camere semplici conferma la posteriorità cronologica delle stesse. L’impossibilità di datare con certezza i diversi stili ceramici invalida l’uso degli stessi come indicatori cronologici precisi (1998, M. A. del Rincón). La teoria interessante sulla loro distribuzione è stata proposta da J. Tarrús (1985, J. Tarrús) si basa sulla osservazione della diffusione delle tipologie di dolmen non omogenee nella regione, mentre infatti i dolmen a corridoio e le gallerie catalane sono altamente dimostrati nella zona costiera, più raggiungibile attraverso diverse vie, non sono invece ancora attestati dei casi nell’interno del territorio, diviso dalla costa dal Sistema Litorale Catalano, che appare più isolato e dove il fenomeno megalitico si sviluppa più tardi e con forme differenti. Le camere semplici e le ciste megalitiche abbondano e sono scarsamente riscontrate nella zona costiera.

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36


Sezione, pianta e foto Dolmen a corridoio La Creu D’en Corbetella

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Pianta e sezione dolmen galleria catalana Barracas de Lladre (Agullana)

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Tipologia camere semplici Caba単a del Moro

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Semidolmen Catalani.

5.

Andalusia. In particolare i dolmen del sud-ovest della

Penisola Iberica.

In generale nel sud della Spagna sono presenti molteplici tipologie di sepolcri megalitici: sepolcri con corridoio d’accesso, sepolcri a galleria, sepolcri coperti da falsa cupola, con o senza corridoio e infine grotte artificiali con o senza corridoio d’accesso. Un analisi più particolare distingue i sepolcri a corridoio, da un lato quelli costruiti con grandi lastre di roccia che stabiliscono il perimetro della struttura e quelli dove la tecnica impiegata per costruire le pareti perimetrali è

40


quella del muro a secco. Generalmente i corridoio sono prolungamenti della camera e sono simmetrici al suo asse. La tendenza

formale

delle

camere

è

piuttosto

amplia

(quadrangolari, poligonali, circolari, rettangolari etc.) questa varietà contrasta con la uniformità che pare apprezzarsi nelle gallerie cui tendenza è rettangolare o trapezoidale. Le ciste megalitiche e le camere semplici sono poco documentate all’interno del territorio in esame. Le peculiarità culturali sono riflesse dall’inesistenza di comportamenti uniformi nelle necropoli, nelle quali convivono diversi modelli architettonici senza trovare l’esistenza di necropoli che solo presentano uno stile. Dalla provincia di Huelva a quella di Almeria si identificano costruzioni megalitiche che rispecchiano quella ampia diversità di forme e disegni architettonici già descritta precedentemente ma

allo

stesso

tempo

includono

elementi

materiali

rappresentativi. I dolmen di Montefrio nell’area di Granada, hanno forme piuttosto semplici anche se sono costruiti con lastre di grandi dimensioni, una caratteristica comune

che

l’accesso avviene sempre attraverso lastre perforate. In provincia di Cordoba El Minguillo, è un tipico dolmen poligonale a corridoio aperto ad est, ricoperto da un tumulo subcircolare con un contenimento di lastre verticali. Uno dei raggruppamenti megalitici più importanti della Spagna Meridionale si trova ad Antequera, a 40 chilometri a nord di Malaga. Il più massiccio è

quello della Cueva de Manga,

incluso in un tumulo di 50 metri di diametro raggiunge i 6.5 metri di larghezza e 24,50 metri di lunghezza, ricoperto da enormi lastre, di cui una poteva pesare 180 tonnellate. Per sostenere le enormi lastre era provvisto di pilastri centrali. In prossimità di questo primo monumento si trova la Cueva de 41


Veira, provvisto di corridoio di circa 25 metri di ortostati paralleli che sostengono le lastre di copertura, terminante in una piccola cella di 2 metri per 2, alla quale si accede attraverso una lastra perforata. Un'altra lastra perforata si trova all’ingresso del dolmen. La Cueva del Romeral è un caratteristico monumento a poca distanza dai sopracitati dolmen. Il tumulo che lo sovrasta ha un diametro di circa 90 metri e un altezza di 9 metri. La lunghezza complessiva della struttura interna è di circa 30 metri. La prima camera circolare ha un diametro di circa quattro metri e mezzo ed è rivestita completamente da muratura a secco, la sua volta ad aggetto è chiusa in alto da una lastra. Al termine di questa camera sullo stesso asse del corridoio si apre un altro ambiente più piccolo anch’esso circolare. Il livello pavimentale di questo secondo ambiente è rialzato di circa 50 centimetri rispetto al primo (Cipolloni Sampò, 2001).

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Foto, pianta e sezione Dolmen Montefrio (Granada).

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Cueva Menga (Malaga)

Cueva Veira (Antequera, Malaga)

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Pianta e sezione Cueva de Veira (Malaga)

Pianta e sezione dolmen Romeral (Antequera, Malaga)

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Tholos Romeral, Antequera (Malaga)

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Presso il villaggio di Santa Fe de Mondrujar a 20 km da Almeria è situato il sito de Los Millares, protetto da muri di cinta rinforzati da torri e bastioni, appartenenti a diverse epoche testimoniano la lunga occupazione dell’abitato che va da metà IV millennio a. C. I primi scavi furono condotti nel 1892 da L. Sivet, che riconobbe associata all’abitato una necropoli che conteneva centinaia di dolmen con copertura ad aggetto. Questi compaiono poi nell’inventario di G. e V. Leisner, ma è nel periodo che va dal 1953 al 1957 che gli scavi moderni dell’ Università di Granada, diretti dai professori M. Almagro e A. Arribas, vedono rinnovata la conoscenza di questo eccezionale sito. Los Millares presenta circa 80 sepolture generalmente ben conservate, e con grande varietà di forme, cui predominano le tombe circolari con 3 metri di diametro e copertura aggettante, delimitate da grandi lastre verticali e ricoperte da tumuli. Il più delle volte sono precedute da corridoio. Le pareti interne del dolmen mostrano tracce di un rivestimento probabilmente decorativo del quale solo si conserva qualche traccia. Le vestigia umane sono piuttosto numerose, arrivano ai 100 scheletri della Tomba 40, ma la media è dai 10 ai 50 scheletri, spesso le ossa sono dissociate e contenute in ossari, fenomeno frequente nei monumenti riutilizzati. Nella visione complessiva il corredo funerario è ben diversificato, ceramiche decorate e lisce, strumenti litici in silice, l’apparizione dei metalli lo rende un centro di rilevanza maggiore del Calcolitico mediterraneo, la presenza di muri 48


difensivi associati alle sepolture si relaziona a una nuova ricchezza che doveva essere difesa. Le datazioni al radiocarbonio certificano una occupazione piuttosto recente del sito 2430 ± 120 a. C. proveniente da una sepoltura e quasi contemporaneo al muro di cinta datato 2345 ± 85 a.C., si nota che i Tholoi de Los Millares sono dunque molto più recenti che quelli del mondo Atlantico settentrionale come Bougon o Barnenerz (Briard J., 1995).

Ricostruzione tholos Los Millares

La provincia di Huelva è una delle provincie spagnole con la maggior ricchezza e diversità dei monumenti megalitici. La loro distribuzione geografica è piuttosto irregolare con zone di alta densità come la regione di Andévalo e della Sierra de Huelva, e zone a bassa densità o completa assenza come la zona costiera. Tra le concentrazioni dolmeniche meglio conosciute si distacca quella de El Pozuelo ( nel territorio di Zalamena Real) 49


e la Zarcita ( Santa Barbara de Casa). Un altro monumento molto importante è il Dolmen di Soto. La necropoli megalitica di El Pozuelo fu scoperta e scavata negli anni quaranta da Carlos Cerdan, la particolarità di queste sepolture è nella sua forma costruttiva che possiede un disegno a camere multiple, infatti invece di avere un corridoio terminante con una camera come succede nella maggior parte delle strutture megalitiche andaluse, i dolmen di El Pozuelo possiedono camere multiple alle quali si accede attraverso un unico corridoio, queste camere sono coperte da tumuli di terra che arrivano fino a 20 metri di diametro, e che si adeguano alle irregolarità del terreno. In queste sepolture sono stati ritrovati un centinaio di oggetti votivi che furono depositati presso i defunti. Gli oggetti più frequenti sono gli attrezzi di pietra coltelli, punte di freccia, e asce pulimentate, e oggetti relazionati alle credenze religiose dei quali si sono identificati due classi distinte di idoli, i denominati “cruciformi” che presentano una forma umana stilizzata, testa tronco e arti appena accennati e l’altra classe i cosiddetti a idoli placca, elaborati a partire da una piccola lastra di ardesia o scisto, sopra la quale si intagliano o dipingono motivi geometrici o occasionalmente parti anatomiche come capelli o occhi. Un

oggetto

particolarmente

interessante

è

denominato

“Baculo” trovato nel sepolcro 3 del Pozuelo, si tratta di un oggetto di pietra allungato con un estremo incurvato, piuttosto frequente nelle tombe megalitiche portoghesi, raro in Spagna, è stato interpretato spesso come un oggetto di prestigio o di potere, anche se recentemente è stato proposto che potrebbero essere repliche di armi in legno. Qualunque delle due ipotesi, questi artefatti sono indizi della dimensione sociale del megalitismo. 50


In varie delle tombe del Pozuelo si ritrovano tracce di pittura sugli ortostati e resti di ocre, concretamente nella tomba chiamata Martín Gil il pavimento e le pareti potrebbero essere stati originariamente coperti da ocre rossa, l’uso di questo materiale è largamente attestato nelle costruzioni megalitiche andaluse (Cerdán, G. e V. Leisner, 1975). Anche i quattro sepolcri che integrano la necropoli megalitica della Zarcita (Santa Barbara de Casa) furono esplorati per la prima volta da C. Cerdan negli anni 1940, e successivamente studiati da Leisner.. Le quattro camere funerarie furono erette mediante la tecnica della falsa cupola. Nonostante Cerdan ritrovò le strutture altamente degradate a causa del riuso da parte degli agricoltori dei blocchi di pietra, poté comunque documentare alcuni corredi funerari di una costruzione preistorica, anche se non si trovarono resti umani, lo studioso stimò che approssimatamente ogni camera avrebbe dovuto contenere centinaia di oggetti. Nella zona più intatta infatti si conservavano piatti ceramici ordinatamente riposti, punte di freccia in silice, quarzo ialino lavorato e un ascia di bronzo (unico artefatto metallico). Verso il centro della camera si identificarono resti di fuoco. Posteriormente verso gli anni 1980 il professor F. Piñon scavò la zona dell’abitato (chiamato Cabezo de los Vientos) che occupò la comunità umana che edificò quei monumenti, fu datato al III millennio a. C., e si stabilì che in un momento avanzato la popolazione fortificò l’abitato forse a causa di tensioni territoriali con le comunità vicine.

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Piante dolmen necropoli El Pozuelo.

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Dolmen El Pozuelo

Tholos Los Millares, interno restaurato.

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Piante tholoi La Zarcita

Il dolmen di Soto prende il nome del Signor Armando Soto proprietario del terreno dov’è situato il monumento, nell’anno 54


1923 il signor

Soto dedicò otto mesi allo scavo in forma

rudimentale del monumento preistorico, che sarà studiato e pubblicato l’anno dopo da H. Obermaier, all’epoca titolare della cattedra di Storia Primitiva dell’Uomo della Università di Madrid. Con 21 metri di longitudine, alto fino a 4 metri e con ortostati dal peso di 4 tonnellate circa ( secondo Obermaier le lastre di granito furono trasportate da una distanza di 40 chilometri circa), il Dolmen di Soto costituisce una formidabile opera di ingegneria preistorica. Il tumulo che la ricopre ha circa 75 metri di diametro e 4 metri d’altezza, costruito con terra di colore bianco, che a giudizio degli scavatori è stata anch’essa trasportata da lontano considerando che non è propria del terreno dove è situato il dolmen. Il dolmen di Soto ritrovato praticamente intatto e senza evidenze di saccheggio ha restituito una alta varietà di elementi relazionati alle credenze religiose. Al suo interno si ritrovarono otto corpi, tutti in posizione fetale, i quali furono probabilmente depositati avvolti da sudari o tele, tutti i defunti provvisti di corredi funerari, attrezzi di pietra, ceramiche e altri oggetti tra cui un braccialetto in osso, diversi resti di fauna animale (uccelli, cinghiali, bue, cavallo e molluschi marini). I caratteri rituali del dolmen di Soto sono costituiti dalla presenza di un “tavolo” basso fatto con piccole pietre che Obermaier interpretò come un piccolo altare. Altro aspetto peculiare è costituito dai segni incisi e dipinti nei 21 ortostati, una sorta di arte megalitica unica in Andalusia. Tra i segni identificati si trovano motivi geometrici (circoli, forme rettangolari e coniche ) e motivi antropomorfi. Incisa in un ortostato, troviamo una rappresentazione antropomorfa in posizione invertita che Obermaier interpretò come divinità vista la sua somiglianza ad alcune rappresentazioni incise in steli e 55


menhir. Come suppose al suo tempo Obermaier e piĂš avanti E. Shee Twohing , autrice di un corpus sul tema dell’arte megalitica (Shee Twohing, 1981), è possibile che si tratti di una stele riusata nel dolmen (Obermaier, 1924). P

Pianta e sezione dolmen di Soto

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Dolmen Soto, Trigueros, Huelva.

Verso l’interno, più ad est della provincia di Huelva, si trova la provincia di Siviglia, ricca anch’essa di costruzioni megalitiche, un inventario pubblicato recentemente dall’ Instituto Andaluz del Patrimonio Histórico eleva a 65 il numero dei megaliti sivigliani attualmente identificati, anche se meno di quelli registrati in Huelva, è una cifra alta se si considera che ampie zone della provincia non sono state oggetto di esplorazioni archeologiche sistematiche. Le costruzioni megalitiche meglio conosciute nella provincia di Siviglia sono quelle di Valencina de la Concepción, El Gandul

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(nel municipio di Alcalá de Guadaíra), Castillo de la Guardas, Almadèn de la Plata o Morrón de la Frontera. Dal punto di vista morfologico si distinguono due tipi principali: dolmen a galleria e dolmen a Tholoi. I dolmen a galleria costruiti con grandi ortostati allineati in posizione verticale, delimitando uno spazio rettangolare in pianta (non esiste nessuna distinzione tra corridoio e camera sepolcrale ). Il tetto veniva coperto collocando lastre di pietra in posizione orizzontale, a volte questa semplice struttura veniva integrata da un secondo corridoio formando una pianta a “L” (Los Molares) o a “T” (Dolmen de la Valle). Le dimensioni di questi dolmen variano, di solito tra i 3 e gli 8 metri di longitudine. Tra gli aggruppamenti con camera a galleria ricordiamo quelli di Almadèn de la Plata e Castillo de Guardas al nord della provincia, Morón de la Frontera al sud, sfortunatamente però in nessun caso è stato possibile risalire a una datazione in quanto nessuno di essi è stato trovato in buono stato di conservazione. Nel sito archeologico denominato Palacio III ( Almadèn de la Plata) nel 2001 si scavò un dolmen a galleria piuttosto degradato e oggetto di saccheggi e spoliazioni. Questa galleria megalitica ha circa 5 metri di longitudine, forma parte di un monumento tumulare di circa 20 metri di diametro massimo, anche se non si conosce nessun elemento del deposito funerario che è stato completamente saccheggiato il suo interesse è la relativa vicinanza a una costruzione di tipo Tholoi che si trova a circa 5 metri dall’ingresso. Anche il sepolcro Hoyo Gigante ( Morrón de la Frontera ) si trovava in cattivo stato quando nel 1984 poté essere scavato. Da un punto di vista architettonico è formato da una galleria trapezoidale di circa 5,40 metri di longitudine, gli ortostati 58


costruiti con rocce calcaree locali, si conserva qualche pietra di quella che doveva essere la copertura. Il tumulo era di circa 12 metri di diametro formato per un miscuglio di terra e pietre era delimitato per un circolo di pietre. Gli oggetti del corredo si riducono a alcuni utensili litici e nessun resto antropologico. Maggior fortuna hanno avuto invece i monumenti megalitici di tipo Tholoi, che nella provincia di Siviglia oltre che ad essere abbondanti sono diversificati. Generalmente sono strutture scavate in terre di una certa consistenza, le pareti del corridoio sono formate dalla terra rivestita da lastre di pietra o muri formati da pietre disposte a file, la copertura invece è composta da ortostati disposti in forma orizzontale, che poggiano direttamente nella terra naturale o sopra i muri di rivestimento. Le pareti laterali delle camere non sono molto differenti dai corridoi, possono essere spoglie o rivestite da lastre o muri a secco. Solitamente l’inclinazione della falsacupola, inizia già a partire della base, mantenendo la tendenza alla chiusura nell’estremo superiore della cupola. Se le pareti della camera sono spoglie (non rivestite) o rivestite da lastre la cupola si appoggia sul terreno naturale. A questo schema costruttivo generale c’è da aggiungere altri elementi secondo i casi, come la presenza di atri e vestiboli all’entrata,

porte divisorie lungo il corridoio, camere

secondarie collegate a quella principale. I tumuli coprivano l’intera struttura con terra formando un monticciolo. Fino a poco tempo fa, si riteneva che i Tholoi si incontravano unicamente nella valle del Guadalquivir, venivano associati a comunità agrarie che sfruttavano i ricchi suoli. Recenti investigazioni hanno permesso di scavare un Tholoi connesso ad una galleria nell’area di Palacio III a Almadèn de la Plata, e le 4 strutture funerarie a Tholoi nelle zone montagnose della 59


provincia di Huelva nella necropoli La Zarcita. I gruppi megalitici di Tholoi più importanti, nel territorio sivigliano si trovano nei municipi di Valencina de la Concepción e El Gandul (Alcalá de Guadaíra e Mairena del Alcor), entrambi i casi sono situati in altopiani, in posizione dominante e le necropoli circondano gli abitati. I due siti hanno una durata che va dalla prima metà del III millennio a. C. fino alla metà del II millennio a. C. , in entrambi i casi le investigazioni

archeologiche

sono

iniziate

piuttosto

precocemente, agli inizi del XX secolo, anche se più recentemente si hanno ampliato le conoscenze con nuove investigazioni archeologiche. Valencina de la Concepción si trova uno dei maggiori siti dell’età del Rame con una estensione che, secondo stime recenti, gira intorno ai 400 ettari. Giudicando la quantità e la grandezza delle costruzioni megalitiche che gli abitanti elevarono, questo abitato doveva avere una enorme rilevanza sociale ed economica in tutta la valle del Basso Guadalquivir. Stime recenti hanno stabilito che più di venti costruzioni funerarie fiancheggiano questo abitato. Le più impressionanti sono senza dubbio La Pastora, Matarrubilla, e Ontiveros. Nel 1998 si scavò in parte il corridoio di un altro monumento chiamato Montelirio e ritrovato apparentemente intatto. Del quale si è potuto conoscere solo il lungo corridoio di 36 metri di longitudine. Il monumento megalitico La Pastora fu scoperto nel 1860 quando si stavano compiendo dei lavori agricoli, nel terreno chiamato “Divina Pastora”. Nel 1968 F. M. Tubino realizzò la prima descrizione archeologica del monumento, più tardi specialisti come H. Obermaier, M. Almagro Basch e J. De Mata Carriazo, si sono occupati da allora del monumento, 60


esistono però diversi aspetti del monumento che tutt’ora non sono del tutto chiari, probabilmente mai lo saranno in quanto sfortunatamente La Pastora è stata oggetto di saccheggi nei secoli e non fu esplorata in forma scientifica. In termini architettonici la Pastora presenta le pareti costruite con la tecnica muraria con pietre di ardesia, pavimento è formato da lastre di pietra, e tre trami del lungo corridoio sono provvisti di porte. Il tetto del corridoio era coperto da lastre di pietre calcare e granito, portava a una grande camera di 2,5 metri di diametro e 3 metri di altezza coperta da una falsacupola. Distante appena un chilometro in linea d’aria da La Pastora, troviamo il dolmen di Matarrubilla che fu scoperto più di un secolo dopo nel 1917,

fortunatamente fu rinvenuto in un

periodo di istituzionalizzazione della scienza archeologica, e l’anno successivo il professor H. Obermaier ebbe l’opportunità di scavare una parte di questo monumento. Nel corso di questo scavo Obermaier scoprì la camera sepolcrale e 10 metri del corridoio, però supponendo erroneamente che era arrivato alla fine del corridoio terminò la campagna di scavo, lasciando gli ulteriori 12 metri a Juan de Mata e Carriazo che continuarono gli scavi nell’agosto del 1955. La struttura funeraria ha una longitudine totale di 32 metri, approssimandosi al Dolmen di La Pastora per magnificenza, anche se si differenzia per avere un corridoio più largo, il cui corridoio era provvisto di pilastri di legno per sorreggere le grandi lastre orizzontali. Un elemento molto interessante è costituito da un grande blocco di pietra scolpito, situato nella camera sepolcrale, la cui funzione doveva essere quella di altare o tavolo riservato a doni votivi. Senza dubbio si tratta di un elemento rituale di enorme rilevanza. 61


Il deposito funerario era abbastanza scarso. Nella camera già depredata solo si identificarono resti frammentati di ceramiche, e alcune ossa umane. Nel corridoio Carriazo ha potuto riconoscere strumenti di pietra, una grande quantità di piccole lamine d’oro e alcuni oggetti in avorio, compreso un incisivo d’elefante senza lavorare. A metà circa del corridoio in posizione fetale fu ritrovato uno scheletro completo. La quantità relativamente bassa di sepolture e corredi funerari connessi, la presenza dell’altare votivo, fa supporre che un monumento come Matarrubilla può aver ricoperto la funzione di tempio a parte quella di sepolcro. Le necropoli di Gandul contengono monumenti funerari tumulari che coprono un dilatatissimo spazio temporale, dal III millennio a. C. fino all’epoca romana, testimoniando l’esito ottenuto dalla copertura aggettante capace di dare solennità e monumentalità ai luoghi di riposo degli ante passati. La maggior parte di queste tombe furono scavate agli inizi del secolo XX dallo studioso britannico G. Bonsor. Dichiarate nel 1931 Monumento Nazionale con il nome di: “Necrópolis dolmènica Los Alcores – Gandul”. La Cueva del Vaquero è un Tholoi situato nella necropoli del Gandul, fu scavato nel 1902 da Bonsor. Possiede un corridoio di 16,05 metri di longitudine per 0,85 metri di larghezza che termina nella camera sepolcrale aggettante collegata a una camera di dimensioni minori. Lo scavo in estensione effettuato nel Tholoi Canteras, permise studiare nel dettaglio il monumento, che era inglobato in un tumulo di 18 metri di diametro e contenuto in un fossato di 1,30 metri di profondità. Praticamente quasi distrutto, aveva un corridoio e una camera sepolcrale ed era orientato in direzione NW – SE. 62


Tholos El Vaquero

El Vaquero particolare corridoio

63


El Vaquero camera principale.

64


Il corridoio aveva 5,40 metri di longitudine e 0,80 metri di larghezza salvo il tramo iniziale che fungeva da vestibolo e si allargava in pianta trapezoidale, arrivando a 1,50 metri. Le pareti si conformavano parzialmente per la stessa roccia naturale, completate da muretti a secco e rivestite da lastre di ardesia, anche la copertura era formata dallo stesso materiale. Nel centro del corridoio si ritrovò una pietra collocata trasversalmente e di sezione ovale bloccava l’accesso alla seconda parte. La camera di 2 metri di diametro era ricoperta da lastre di ardesia e coperta da una falsacupola. All’interno del dolmen non furono ritrovati resti umani, solo quello che rimaneva dei corredi abituali, precedentemente spogliati, composto da frammenti di ceramica campaniforme il che indica una costruzione delle tombe a partire all’età del Rame o una sua riutilizzazione in quel momento. Tra le necropoli del Gandul sono presenti anche dolmen a galleria come ad esempio la Tumba de La Casilla, che si trova presso la Cueva del Vaquero. È datata alla fine del III millennio a. C. (Hurtado Perez, 1984) Il numero di costruzioni megalitiche identificate nella provincia di Cadice è notevolmente minore rispetto a Siviglia e Huelva. Anche se non si è pubblicato nessun inventario che tenga in conto i dati più recenti, è possibile che il numero di dolmen presente nella provincia gaditana non superi le 40 unità attualmente conosciute, situate nella Sierra Subbetica (Alcalá del Valle e Villamartín) e a Tarifa. Un aspetto generate che caratterizza il megalitismo gaditano è l’assenza di sepolture di tipo Tholoi. Questa apparente inferiorità in quanto a numero dei monumenti megalitici, è compensata dalla presenza del dolmen meglio investigato di tutta l’Andalusia il Dolmen di Alberite 65


(nel territorio municipale di Villamartín). La galleria del dolmen fu scavata nel 1993 da un équipe di professori dell’Università di Cadice diretti da J. Ramos Muñoz e F. Giles Pacheco, l’informazione ottenuta dallo scavo fu in seguito oggetto di un importante analisi multidisciplinare, per prima volta un monumento megalitico relativamente ben conservato era oggetto di uno studio con tutto l’arsenale di metodi scientifici allora disponibili. Il contributo di questa investigazione allo studio del megalitismo nel sud della Penisola Iberica

è stato molto rilevante, non solo per

l’eccellente metodologia applicata, ma anche per il ritrovamenti e corredi funerari, per esempio la splendida serie di rappresentazioni incise e dipinte che adornavano gli ortostati. Alberite è un dolmen di tipo galleria con pianta trapezoidale e longitudine di 20 metri con una larghezza variabile dai 1 a 4 metri con copertura. I primi 10 metri della galleria non possiedono deposito funerario a partire da li e verso la zona più profonda e più larga, nello spazio più ampio si trovò un monocristallo di quarzo di dimensioni pari a 30 centimetri di lunghezza

e frammenti osteologici in cattivo stato di

conservazione (questa parte del dolmen era stata affetta da lavori agricoli) che potevano essere assegnati a individui di età adulta, uno di sesso femminile l’altro maschile, provvisti di rispettivi corredi. Tutta la galleria del dolmen è ricoperta da uno strato di ocre rossa. L’aspetto che rende più eccezionale questo monumento è la presenza di “arte megalitica”, dipinta o incisa, che ne decora le pareti, e sono state studiate da P. Bueno e R. Balbín. queste rappresentazioni includono un alto repertorio di motivi geometrici, un serpentiforme e una panoplia di un guerriero 66


(scudo, ascia e coltello). In questo si assomiglia molto al Dolmen di Soto come esempi di programmi iconografici. L’ortostrato numero 40 mostra una serie di immagini antropomorfe e armi, interpretate come una sorta di divinità protettrice del defunto. Il deposito funerario conteneva gli abituali attrezzi relazionati alle attività produttive della comunità che l’edificò, quali utensili litici, frammenti ceramici, asce, oggetti ornamentali (collane, ossa e conchiglie), e infine oggetti religiosi, un idolo di tipo betilo. Dei restanti monumenti gaditani, pochi sono stati oggetti di scavi archeologici. Nel 1959 J. De Mata Carriazo poté ispezionare il dolmen di Hidalgo, nel territorio di Sanlúcar de Barrameda , che purtroppo apparve durante dei lavori agricoli e ne fu distrutto quasi completamente. Il monumento includeva una grande pietra di forma sferica e quasi un metro di diametro davvero sorprendente. Nel 1987 si scavo in Alcalá del Valle una piccola struttura funeraria collettiva di tipo a ciste chiamata il Carnerín, nella quale furono depositati 8 individui accompagnati da oggetti ceramici, due braccialetti e un anello d’argento. Il Carnerín è piuttosto interessante in quanto la cronologia suggerita dal corredo data il II millennio a. C.(2003, J. Fernandez Caro)

6. Habitat preistorico

La grotta continua la sua funzione abitativa anche in epoca Calcolitica, nella maggior parte delle aree abitate nel Neolitico, è il caso della grotta di Santiago Chica de Cazalla, Dehesilla (Cadice), Parralejo (Cadice), Nerja, Carigüela etc, per quanto 67


riguarda l’Andalusia, lo stesso avviene nella zona nord-est come ad esempio la grotta del Frare (Matadepedra)e di Font de Molinot (Potons), nell’area basca la grotta di Husos e Santinamiñe, nella meseta la grotta de La Vaquera (Segovia). In un momento avanzato del Neolitico, alcune comunità iniziano ad abbandonare gli habitat nelle grotte si stabiliscono all’area aperta, i villaggi all’aria aperta sono generalmente più estesi e indicano una certa stabilità. Nel sud ovest della Penisola Iberica se ne conoscono alcuni con periodo di occupazione cha abbraccia vari secoli, come Peña de los Gitanos abitato dal Neolitico Finale, e altri che solo furono occupati durante il Calcolitico, come El Malagón. I lavori di prospezione hanno documentato l’abbondanza di villaggi, che superano di gran lunga quelli connessi alla prima tappa dell’introduzione dell’agricoltura. Nei villaggi non vi è nessuna planimetria prestabilita, le capanne si dispongono irregolarmente nel recinto, la pianta generalmente è circolare o ovale, con alcune rare eccezioni di pianta rettangolare o absidale tipiche del orizzonte campaniforme avanzato di Almizaraque (Almeria). La capanna si costruiva talvolta con uno zoccolo di pietre, le pareti di argilla compattata con paglia, e il tetto di forma conica, era sorretto da un palo centrale. Nel sud-ovest villaggi ancora in fase di studio si moltiplicano nella zona del Marismas del Guadalquivir, dove si riconobbero una ventina, tra i quali Evora, Cerro de las Vacas, Lebrija, Chillar, e più a nord Estacion de Guadajoz. Un esempio è il villaggio di Papa Uvas in provincia di Huelva, con fondi di capanne, a tendenza circolare, che arrivano a 1,50 metri di profondità e sono analoghi alle costruzioni di Valencina de la Concepción. Recentemente, nei pressi di Jaén, si localizzarono villaggi 68


anche siti in zone elevate come Cerro de San Marcos (Alcala la Real) Huerto Berenguer con capanne in terra compattata e paglia. Il villaggio

di Tres Cabezos (Cuevas de Almanzora) si

caratterizza per avere capanne a pianta irregolare scavate nel suolo e delimitate da pietre corrisponde al periodo Calcolitico Pieno. Il villaggio di Castillejos de Montefrio, vicino a Granada è di origine al Neolitica recente, ha diversi livelli di occupazione, nella cui fase III Calcolitica, le capanne sono costruite con vegetali mentre nella fase IV possiedono uno zoccolo di pietra e terra, sulle quali si sovrappongono nella fase V altre strutture abitative sempre provviste di zoccolo, costituito da massi di maggiori

dimensioni

con

pietre

più

piccole,

queste

corrispondono a un periodo di transizione all’età del Bronzo 1865 ± 65 a. C. I villaggi fortificati hanno una lunga durata, e sono costituiti da strutture abitative più solide e da una manifesta preoccupazione difensiva, documentata dalla scelta di luoghi adatti alla costruzioni di mura di cinta che proteggono l’intero villaggio, o la sua parte più vulnerabile, spesso rinforzata da bastioni e torri circolari, la necessità difensiva è testimoniata dalla presenza di numerose punte di freccia in silice, tanto nel villaggio, quanto nei corredi funerari. Tanto nel Los Millares, quanto nel villaggio fortificato di Zambujal, si registrano piccole aperture nel muro di cinta. In questi due villaggi si è potuto notare come durante l’occupazione variano la struttura dell’insediamento che amplia o riduce l’area di occupazione, e i muri sono ampliati, ricostruiti o rinforzati. In alcuni casi l’occupazione si programma già dal primo momento con strutture difensive, mentre in altri casi, le fortificazioni si costruiscono dopo una 69


prima occupazione aperta è il caso di Villanova San Pedro, Cabezos de los Vientos, o Los Castillejos de Montefrio. Il sito di Los Millares è senza dubbio il più vistoso, si accetta che il suo inizio tra la fine del V millennio a.C. inizi IV millennio a.C., stabilito dalla datazione più antica ottenuta nella tomba 19, mentre la datazione più recente, coincide con il periodo del suo abbandono, data intorno all’ultimo quarto del III millennio a.C., quando si documenta l’apparizione di ceramica campaniforme incisa come produzione più tardiva. Fu costruito nella confluenza del ruscello Huéchar e il fiume Andarax, la presenza di cultura materiale e di alcune fosse sotto la muraglia testimonia che il sito fu occupato, forse in forma sporadica, in una fase anteriore alla sua fortificazione. La muraglia interiore possiede tra 1,30 e 4,30 metri di spessore, con rivestimento di pietra e fango, con intervalli tra 11 e 13 metri le torri, di pianta circolare o ovale, sono vuote all’interno. La porta d’entrata è fiancheggiata da bastioni. La presenza di una linea esterna di avamposti, 15 documentati, situati nella collina sud e all’est dell’insediamento, hanno visibilità sul villaggio e tra loro. Le necropoli sono circa un centinaio, la maggior parte tholoi. Nel sud-est si conoscono altri villaggi fortificati, dello stesso orizzonte culturale, Almizaraque, Campos, El Trajal (Almeria), il Cerro de la Virgen, il Malagón, il Cerro de las Canteras (Granada) o il Cbezo del Plomo (Murcia). Non esiste nessuno scavo completo estensivo, per cui l’organizzazione interna dei villaggi è quasi del tutto sconosciuta, nel Los Millares, alcune torri della muraglia si utilizzarono come unità di produzione, immagazzinamento dei cereali, e laboratori di produzione di silice o metallurgici. In Portogallo troviamo Villanova San Pedro e Zambujal 70


rispondono allo stesso interesse difensivo, che durante la vita del villaggio moltiplicano le linee difensive e rinforzano la muraglia con bastioni, torri e barbacane. Nel sud-ovest i villaggi sono stati studiati a partire dagli anni ottanta in riferimento agli studi effettuati sui sepolcri tholoi, i lavori hanno documentato numerosi villaggi fortificati di piccole dimensioni come il Castelo de Santa Justa e Monte da Tumba, e senza fortificazioni: Castelo de Corte Jo찾o Marques. Altri villaggi si trovano dispersi su enormi superfici circa 50 ettari in Ferreira (Alemtejo), la Pijotilla (Badojz) 90 ettari, e i pi첫 di 300 ettari di Valencina de la Concepci처n. (1998, M. A. del Rincon)

71


72


Il sito preistorico di Valencina de la Concepción

1.

Ipotesi sull’introduzione dei Tholoi nel sud-ovest della

Spagna

Esempio di costruzione tholos (Tholos Dos Tasos, Portogallo)

Tramontata già da tempo l’ipotesi con cui si faceva coincidere l’introduzione

del

megalitismo

con

l’arrivo

di

coloni

dall’Oriente, verso una visione più occidentalista, la questione sull’origine rimane comunque aperta. Il sud-ovest della Spagna, si trova al centro di questo dibattito. È ormai accertato che

73


l’introduzione dei primi dolmen a galleria, derivi dal Portogallo, a difesa di questa tesi le prime datazioni assolute che confermano l’anteriorità dei sepolcri megalitici risalenti al IV millennio a.C. o addirittura al V millennio a.C.,e la continuità geografica tra Portogallo e Spagna. La diffusione verso il settore andaluso si produsse quindi in un secondo momento del suo iniziale sviluppo. Maggiori problemi riguarda l’introduzione delle costruzioni Tholoi. Secondo una visione autoctona, difesa da molti autori, dopo un primo contatto megalitico, dei dolmen a camera semplice, è stato individuato un secondo fulcro, nella zona del sud-est, da Almeria si sono poi diffuse le Tholoi. A difesa della tesi che vede uno sviluppo autoctono dei dolmen J. Ferrara Palma, (1983, J. Ferrara Palma) riconosce un origine arcaica portoghese che si sarebbe diretta poi verso ovest, cui prove sarebbero i dolmen della zona di Granada, che risalgono al Neolitico Finale, area già occupata da popolazioni Neolitiche itineranti. L’arrivo di nuove concezioni funerarie fu accettato da queste genti che già avvertivano una serie di trasformazioni, incentivate da uno sviluppo economico, dove l’agricoltura gioca un ruolo fondamentale, come testimoniato dai materiali archeologici rinvenuti nei contesti e legati allo sfruttamento agricolo. Lo sviluppo economico sarà un incentivo alla ricerca di nuove aree da occupare, in grotte e successivamente all’aria aperta con la formazione dei primi villaggi. I villaggi stabili del Rame Antico, saranno coloro che danno un ulteriore l’impulso allo sviluppo del Megalitismo. Georg e Vera Leisner nella loro monografia del 1952 stabiliscono una netta divisione architettonica tra le costruzioni ortostatiche

di

tradizione

Neolitica

e

le

costruzioni

mediterranee di tipo Tholos, espressione gruppi stranieri 74


stabiliti in aree ricche. Nel corso dell’argomentazione stabiliscono la presenza di tre differenti facies, le prime due espressione delle comunità indigene e la terza mediterranea. La prima Neolitica, microliti, asce, scalpelli cilindrici, asce grezze, strumenti che corrispondono a un modo di vita nomade. Il rito funerario testimoniato da piccoli dolmen e dolmen a galleria. La seconda fase sarebbe rappresentata da un arricchimento della precedente. Il bagaglio di strumenti è vario, si aggiungono forme ceramiche globulari, sferiche, idoli placca, punte di freccia elaborate, collane. La zona del sud ovest della Spagna manifesta similitudini col Portogallo, regione dell’Alentejo, soprattutto gli idoli e le costruzioni a galleria trapezoidale. La

terza

facies

contempla

l’apparizione

del

Tholos,

accompagnati da una tipologia di materiale più finemente lavorato (asce pulimentate, punte di frecce con alette e peduncolo, lame di coltelli e la componente ceramica dell’età del Bronzo) questa cultura materiale sarebbe esente da un condizionamento locale. Purtroppo allo stato attuale delle ricerche è impossibile considerare in modo univoco una interpretazione, quest’ultima teoria enunciata infatti è stata più volte messa in discussione per l’assenza di prove nei contesti funerari. Non si può scartare, dunque, a priori un influenza coloniale mediterranea, data dal dinamismo già in corso nelle società preistoriche, ma al tempo stesso non si deve dimenticare la componente autoctona basilare allo sviluppo di qualsiasi novità culturale in un territorio. L’assenza di sepolture di tipo tholos nel settore sudorientale della Spagna, in un epoca arcaica, è un argomento a favore della sua origine sud-occidentale.

75


2. L’insediamento preistorico e il suo contesto spaziale

Valencina de la Concepción, è situata a 8 chilometri ad ovest dalla capitale andalusa, nel suo estremo nord si trova un altopiano che raggiunge altitudini massime di 160 metri sopra il livello del mare, il cosiddetto Aljarafe. Il patrimonio culturale della località è collegato alla presenza di un importante giacimento archeologico nell’elevazione del Aljarafe, che copre in parte maggiore i territori del municipio di Valencina de la Concepción e verso est si estende fino a raggiungere i territori del municipio confinante di Castilleja de Guzmán. Si tratta di un enclave di grande rilevanza storica, non solo dentro il territorio circostante, ma anche per l’insieme del Basso Guadalquivir, considerato un vero nucleo capitale della sua epoca. La letteratura scientifica sta restituendo al giacimento quella importanza dovuta al fatto che è uno dei giacimenti più estesi della provincia, con

magnifiche costruzioni preservate,

l’insieme delle strutture dolmeniche: La Pastora, Montelirio, Matarrubilla, Ontiveros tra le più monumentali, e tutte le costruzioni minori relazionate al abitato (capanne, trincee, silos etc..) che occupano nel suo insieme uno spazio superiore ai 400 ettari. Nell’area

di

Valencina

le

unità

paesaggistiche

sono

fondamentalmente due: terreni pianeggianti influenzati dalla presenza del fiume Guadalquivir e la corona superiore dell’altopiano dell’Aljarafe. 76


Planimetria del sito preistorico, in verde l’area funeraria, in rosso l’are dell’abitato.1. Dolmen La Pastora, 2 Dolmen Matarrubilla, 4. Ontiveros, 5.Los Cabezuelos, 6.Cerro de la Cabeza, 7. Sitio Valencina, 8.Los Veinte, 9.La Pastora, 10. El Roquetito, 11.12.Nostra Señora de los Reyes, 13.deposito (Castilleja de Guzmán), 14. La Escalera, 15. Algarobillo, 16. Mataherrera, 17.Urbanzzazione Señorio de Guzmán, 18.Montelirio, 20. Cerro Marmol

L’evoluzione di questo ambiente naturale si caratterizza da un 77


processo di modifiche gran parte frutto dell’azione umana, che offre nell’attualità una visione del territorio lontana da quella preistorica. Le trasformazioni storiche si fanno più evidenti nei territori più bassi, dove si situa la pianura alluvionale del Guadalquivir, una valle tra i 6 – 7 chilometri di larghezza a est di Valencina, la quale si vede solcata dal canale del fiume e dai suoi affluenti. La primitiva configurazione dell’ambiente era condizionata dall’avanzata delle acque marine post glaciali che spostarono la linea del litorale in territori oggi interni alla penisola. La foce del fiume Guadalquivir si trovava verso l’interno, secondo le ricostruzioni proposte in prossimità della località chiamata Coria del Rio. I territori del cosiddetto Marisma del Guadalquivir, fungevano come un vero e proprio ingresso al mare e avevano il limite nord proprio nell’altopiano del Aljarafe, mentre verso est delimitato dalle falesie di Lebrija e Trebujena. Nell’antichità si conosceva con il nome di sinus tartessii, che nella sua progressiva colmata, dovuta all’accumulo di sedimenti, si evolverà fino a formare una laguna litorale il Lacus Ligustinus dei romani. In epoca preistorica la situazione ai piedi di Valencina era segnata dalla vicinanza a quell’importante golfo marino e la presenza nelle aree più inferiori di una grande arteria fluviale che data la vicinanza alla sua foce doveva marcare un territorio di forte presenza idrologica generando un ambiente poco salutare. Tutto ciò spiegherebbe l’assenza di giacimenti preistorici in questo settore, al tempo stesso conferma l’ottima ubicazione dell’abitato di Valencina. Le altre evidenze archeologiche si situano nel limite della pianura alluvionale (Antica Universidad Laboral, Cortijo Miraflores) salve da 78


eventuali piene impetuose del fiume. La lenta bonifica del primitivo golfo marino e l’avanzata verso sud della foce del Guadalquivir sono fenomeni accompagnati da un progressivo prosciugamento e stabilizzazione del medio ambiente, alternato da inondazioni. In questo modo si giustifica la posizione strategica del sito che occupa le massime altitudini dell’Aljarafe, sufficientemente separato dalle insalubri e instabili condizioni dei terreni bassi ma che al tempo stesso fornivano protezione e risorse idriche. D’altra parte, nell’altopiano le condizioni dovevano essere diverse, in gran parte occupato da formazioni di bosco mediterraneo più o meno dense composte da: querce (quercus ilex ), (Quercus suber), (Olea europea), lentischio (Pistacea lentiscus), cisto (Cistus ladaniferus), rosmarino (Rosmarinus officinalis), (Genista anglica). È suggerito anche dall’etimologia del nome stesso del paese Valencina parola composta da valle de la encina (valle della quercia), oggi praticamente scomparsa (Vargas, 2004). A partire dall’analisi dei resti ossei provenienti dagli scavi archeologici, si è potuto attestare la presenza di differenti specie animali che denotano la configurazione di un ambiente aperto con la presenza di aree boscose nelle quali si muovevano specie selvatiche ( cervi, cinghiali, cavalli selvatici, uri). Secondo i reperti più antichi rinvenuti nell’insediamento i primi colonizzatori arrivarono circa nel 2800-2600, nel sito non sono state ancora rinvenute tracce ascrivibili ad un epoca anteriore al Calcolitico, mentre rispetto a questa epoca invece troviamo nelle vicinanze il sito di Anzalcollar Chillar ( Vilamanrique de la Condesa), Cerro de San Juan (Coria del Rio) e altri siti non ancora investigati Benacazón e Sanlúcar la Mayor (Fernandez e Oliva, 1985) 79


Conforme alla ceramica rinvenuta nei contesti archeologici si è recentemente

avanzata

la

proposta

di

periodizzare

l’insediamento fissando uno schema: -

Fase Calcolitico iniziale: ceramiche di tipo precampanifomi datate 2600-2200 a.C. ( cazuela carenata, ollas);

-

Fase Calcolitico medio segnata dall’apparizione di nuove forme ceramiche verso il 2000 a. C. ( fuentes, platos con borde engrosado);

-

fase della apparizione del vaso campaniforme del 14001500 (Fernández y Oliva, 1985);

Durante la fase campaniforme l’occupazione del sito era più ristretta ubbidendo ai cicli di rigenerazione dei suoli. La fase finale del sito è attestata al Bronzo antico, come dimostrano i colori delle paste ceramiche a superficie fine.

3. Strutture dell’abitato preistorico

Sotto l’attuale località di Valencina si situa l’abitato Calcolitico riferibile ai monumenti funerari sotto descritti, l’intero giacimento ha una superficie totale di 468,8 ettari superando di gran lunga i giacimenti circostanti, rendendo plausibile le ipotesi che lo considerano un grande centro di potere, capitale o matrice di un territorio che ingloba tutto il Basso Guadalquivir. Gli

insediamenti

che

lo

circondano

presentano

valori

significativamente inferiori e vengono intesi come centri periferici che mantengono con lui vincoli materiali e possibilmente legami ideologici (Nocete, 2001). Le strutture che generalmente si documentano negli scavi archeologici dell’abitato sono fondi di capanne, tincee, silos, 80


pozzi. Recentemente si è riscontrata la presenza di un vero quartiere metallurgico situato nel sud est del villaggio, nel quale si è potuto documentare tutti gli aspetti tecnici del processo di elaborazione degli utensili in rame. Le costruzioni abitative chiamate generalmente capanne o fondi di capanne presentano la morfologia e dimensioni variabili, la loro identificazione in una campagna di scavo è resa difficoltosa dal fatto che presentano lo stesso processo di occultamento del ripieno comune a tutte le strutture negative. Presentano piante che vanno da forme semplici circolari o tendenti

ad

esserlo

a

forme

irregolari

e

eterogenee.

Generalmente sono semi sotterranee, le pareti sono realizzate mediante elementi vegetali rivestite dalla terra compattata e seccata al sole, esistono dei casi in cui conservano un piccolo zoccolo in pietra. Questa varietà tipologica potrebbe rispondere a cambiamenti temporali che purtroppo mancano di datazioni calibrate (2007, Vargas Jimenez). All’interno si sono conservate tracce di fuochi, alcuni recipienti ceramici in situ, utensili di macinazione. Nella strada provinciale che collega Valencina al comune di Santiponce (Cerro de la Cabeza) si localizzò una capanna composta da un corpo centrale, un abside e un ambiente a pianta quadrata interpretato come ingresso. Nel suolo si ritrovarono le tracce dei

pali di legno che sostenevano la

struttura, due nei pressi dell’ingresso e un altro verso il centro. La zona posteriore pare venisse utilizzata come magazzino, almeno come certifica la presenza in situ di un recipiente ceramico dalle dimensioni notevoli (1978, Fernandez GomezRuiz Mata). Le strutture più complesse presentano diversi livelli e ambienti presso un ambiente principale, in alcuni casi si è scartata a 81


priori l’ipotesi che possano essere stati costruiti in tempi diversi in quanto presentano omogeneità stratigrafica, ovviamente è necessario valutare ogni caso concreto. I silos, sono strutture di immagazzinamento dei cereali, la profondità varia da 1 metro a 1,50 metri in alcuni casi arrivano fino a due metri. Nelle campagne di scavo si registra un numero di silos di gran lunga maggiore a quello delle strutture abitative, questa situazione è stata interpretata come un fattore di indole economica deriva da uno sfruttamento maggiore dei suoli per produrre

eccedenze,

che

superano

l’ambito

puramente

domestico entrando nel campo delle relazioni economiche e sociali stabilite tra i componenti della comunità. Nel corso delle campagne di scavo vengono individuate trincee preistoriche, scavate nel substrato raggiungono profondità massima di 2,50 metri e larghezza variabile che oscillano dai 1 a 4 metri (Gomez e Oliva, 1986). Insieme all’interpretazione di carattere difensivo portata avanti da vari autori (Escacena Carrasco, 2002), esistono anche altre ipotesi che segnalano una funzionalità di tipo idraulica ( Gomez, 1984), in vari contesti si trovano infatti relazionati alla presenza di silos, queste trincee risponderebbero alla necessità di drenaggio dell’acqua assicurando condizioni perfette alla conservazione dei cibi, impedendo la germinazione dei cereali. Tuttavia, tenendo in conto che si dovrebbe valutare ogni caso concreto, si potrebbe supporre una combinazione del fattore difensivo con la funzionalità idrica, queste trincee da una parte garantivano la protezione da animali selvaggi e dall’altra raccoglievano acqua piovana, mantenendo i silos asciutti. Nel 1975 furono portate alla luce in uno scavo nella località urbana de La Perrera diverse strutture, questo è considerato la 82


scavo la cui sequenza stratigrafica è meglio documentata, ed è servita come riferimento alla cronologia del sito. Della descrizione si deduce la seguente sequenza stratigrafica: -

Iniziale, corrisponde alla realizzazione di un fosso con 7 metri di profondità e del suo funzionamento;

-

Perdita della funzionalità del fosso, ripieno con materiale eterogeneo, compreso resti umani;

-

Livelli con indizi di occupazione (resti di fuoco) a –3 metri;

-

Ripieni posteriori continuano a colmare il fosso, vengono rinvenute ceramiche precampaniformi, piatti dal bordo ingrossato;

-

Livello di occupazione constante e pavimentazione con ciottoli a –2 metri;

-

Presenza di materiale campaniforme persistono le forme anteriori;

-

Livelli superficiali;

Per una datazione assoluta del sito si confrontarono le ceramiche recuperate durante gli scavi con le tipologie ceramiche di Papa Uvas, Huelva (Martin de la Cruz, 1986), confermando che il tipo di ceramica (cazuela, ollas globulares, platos y fuente del borde engrosado) precampaniforme apparve intorno al 2600 a. C., mentre la ceramica campaniforme intorno al 2200 a. C. (Fernández Gómez e Oliva Alonso, 1985). La ceramica è stata utile come elemento per distinguere gli orizzonti culturali antichi. Appaiono nel sito ceramiche tipiche di una occupazione calcolitica. Le forme ceramiche di

questo periodo seguono

grosso modo, ampliandolo, il repertorio formale Neolitico, perdendo però la decorazione caratteristica. Nel Calcolitico le forme ceramiche sono soprattutto aperte, inizialmente piatti carenati e successivamente i caratteristici piatti coi bordi “mandorlati” cui Valencina restituisce diversi 83


esemplari dal diametro notevole (fino a 0,50 cm) e con decorazione geometrica a lustro. Accanto a queste forme appaiono le ciotole semisferiche, globulari, dal profilo inclinato, la pasta ceramica è piuttosto grezza. La natura dei minerali che compone la pasta ceramica è composta da argille locali , estratte dal settore Nord-occidentale.

Cerro de la Cabeza, fondo di capanna con ceramica

84


Trincea preistorica esempio

85


Esempio fosso a “V”

4. I dolmen del territorio di Valencina de la Concepción

Nel sito archeologico di epoca preistorica la questione funeraria fu dal XIX secolo il germe della preoccupazione scientifica, tuttavia da allora quando si scoprirono i primi dolmen e fino all’attualità nuovi elementi sono entrati nel dibattito, mostrando un fenomeno ben più articolato e complesso, nel quale entrano in gioco diversi fattori quali diversità morfologica, spaziale e cronologica delle strutture e nelle quali è possibile estrapolare informazioni di tipo socio – economiche. Dalla scoperta del dolmen della Pastora alla fine del XIX secolo già si segnalava l’uso di questa costruzione come luogo di sepoltura. Si conoscono una ventina di costruzioni o insiemi di 86


costruzioni situate non solo nel settore orientale (La Pastora, Matarubilla, Ontiveros, Divina Pastora, Montelirios), ma ne fissano il paesaggio al nord (La Escalera, Cerro de la Cabeza, Cerro MĂĄrmol) e al sud ( Algarobillo, Sitio de Valencina) dei territori municipali. Maggiormente rispondono al tipo denominato Tholoi, con camere circolari tra 2 e 3 metri di diametro e corridoi dalla lunghezza variabile che oscillano da un massimo di 46 metri de La Pastora a un minimo di due metri. I grandi monumenti sono accompagnati da strutture funerarie di dimensioni minori. Le sepolture del territorio denominato El Roquetito, dove a causa di lavori per la costruzione di una strada si portarono alla luce un insieme di strutture funerarie delle quali se ne scavarono un totale di cinque, tra di queste risalta la sepoltura n. I che mostra una camera circolare di 2.20 metri di diametro, un corridoio rivestito da lastre di ardesia

di 0.70 metri di

lunghezza e 0.42 metri di larghezza, un vestibolo che si separa dal corridoio mediante una lastra trasversale. Tra la camera e il corridoio si localizzarono i resti inumati di due adulti di sesso femminile in posizione fetale e nella camera si individuarono 31 individui. Tra il materiale recuperato risaltano piccoli recipienti ceramici chiusi (cuencos) uno di essi geminato, con assenza di decorazioni. Si localizzo anche una serie di utensili metallici tra cui due asce, un pugnale. Nel 1974 durante i lavori per la costruzione di un autostrada, che collega Siviglia al paese di Camas, nel terreno denominato Cerro de la Cabeza, si ritrovarono delle lastre di ardesia appartenenti ad un’altra costruzione di tipo tholos, rinvenuta in grave stato di degrado a causa dei lavori, solo si documentarono le lastre disposte in forma circolare, la copertura e il corridoio 87


purtroppo non vennero ritrovati. La copertura, data la presenza nel sito di piccole pietre doveva essere a falsa cupola. La camera aveva 2 metri di diametro, nel suo ripieno furono rinvenuti i resti di un individuo giovane, con corredo dei piatti, punte di freccia in silice con peduncolo. Fuori contesto archeologico, nelle terre rimosse dalla ruspa si ritrovò un idolo placca (1980, Fernandez Gomez-Ruiz Mata). Nei territori di Castilleja de Guzmán, confinanti con il Municipio di Valencina de la Concepción, nel confine orientale del sito preistorico, nel 1996 durante una prospezione geofisica, si rilevò la presenza di strutture sotterranee, e si procedette quindi al loro scavo d’urgenza dovuto alla costruzione di un urbanizzazione. Nel terreno preso in esame chiamato Divina Pastora, si rilevò la presenza di strutture tardo Imperiali romane e altre tombe protostoriche di epoca tartessica, relazionate alla vicinanza dal luogo di ritrovamento del Tesoro del Carambolo, inoltre si ravvisò la presenza di alcune strutture preistoriche, collegate all’insediamento preistorico. Si tratta di circa 20 tholoi, delle quali si scavarono le più significative. Il ritrovamento di sepolture tartessiche nel luogo introduce dei dubbi relativi ad altre strutture della stessa tipologia (anello di contenimento tumulare), interpretate come dell’epoca del Rame, però probabilmente già tartessiche (podere di Nostra Señora de los Reyes e terreno Los Cabezuelos), quindi dell’Età del Ferro. La tomba n. 2, si presentava in stato altamente degradato, era un tholos, con camera a pianta circolare di 2 metri di diametro e corridoio a pianta rettangolare lungo 4 metri e largo 1,10 metri. La lettura stratigrafica del suo contenuto segnala 2 momenti d’uso dell’architettura, il primo relativo alla prima costruzione, e un secondo di epoca tartessica, con il ritrovamento di un vaso 88


di epoca del Ferro. Tholos n. 2, composta da una camera di 2 metri di diametro e un corridoio di 2 metri di longitudine. Questa tomba di differenzia dalle altre per la presenza di un ricco corredo funerario composto da frammenti di ceramica campaniforme e alcuni frammenti di lamina d’oro, distaccando socialmente la posizione dei defunti sepolti. Tholos n. 5, con camera circolare di 3 metri di diametro e corridoio rettangolare di 4 metri di longitudine, registra la presenza al suo interno, nell’unico livello d’uso, di ceramica campaniforme di stile marittimo e di stile continentale, il quale rende più marcata l’impossibile distinzione cronologica dei due stili. Nel 1998 nei territori del municipio di Castilleja de Gzman su di un monticciolo situato in un terreno chiamato Montelirio, si realizzò una prospezione che identificò la presenza di varie strutture funerarie. Risalta la struttura n. 2 che come le restanti non furono oggetto di scavi interni e quindi dovrebbero mantenersi intatte, smontando il tumulo che la ricopriva si apprezzarono i 36 metri di longitudine. L’accesso è situato a oriente e stava chiuso da lastre di ardesia verticali. Il corridoio presenta una larghezza media, misurata nella copertura, di 1,80 metri. Il corridoio è diviso in due trami ; quello occidentale di maggior longitudine (30 metri), mostra grandi ortostati orizzontali di arenite, granito e ardesia con uno spessore medio di 20 centimetri, e il tramo orientale che si caratterizza per l’impiego esclusivo di lastre di ardesia con solo 7-8 centimetri di spessore e non presenta copertura. Mediante la rottura di una delle lastre si è potuto osservare che l’interno del dolmen presenta un rivestimento di ocre rosso con disegni. 89


Intorno a questa struttura se ne localizzano circa 18 di dimensioni minori. L’espansionismo urbano minaccia le vestigia preistoriche, molti altri tholoi si trovano altamente distrutti, dai lavori dei campi e dalle nuove edificazioni, di alcuni di essi solo è stato possibile rilevarne la presenza tramite le lastre di ardesia sparse sul terreno, come per esempio nel terreno La Escalera, nella settore Nord-Est del sito e Cerro Marmol. Due strutture inserite in un unico tumulo vennero riportate alla luce nei territori di Castilleja de Guzmán. nel tholos meglio conservato, si riportò alla luce un ricco corredo composto da più di 200 parti di collane, frammenti di avorio e ceramica dispersi in una macchia di ocre rossa, non si rilevarono frammenti ossei. È stata rinvenuta anche un tipo di sepoltura a grotta artificiale, nel settore orientale, unica nel giacimento archeologico, situata vicino ad altre strutture tholoi (El Algarobillo). Si registra la presenza di inumazioni anche contenute nel ripieno di fossi, silos, pozzi e fondi di capanna distribuiti nell’abitato, solitamente non mostrano corredi, e ugualmente sono scarse le evidenze rituali, il che è un indicatore sociale molto importante se comparati con le costruzioni monumentali. Rivela uno schema di gerarchia e disuguaglianza sociale che lentamente si avverte nelle comunità, la presenza/assenza nelle sepolture di determinati oggetti di prestigio, constatano la complessità delle relazioni sociali stabilite sia all’interno della comunità che riguardo le comunità confinanti (Nocete et al, 2005). Il numero totale degli individui recuperati in tutto il sito preistorico è di 146, sebbene presentano diversi gradi di conservazione anatomica con quantitative perdite ossee che in 90


alcuni casi suppongono situazioni di conservazione scheletrica molto scarsa o praticamente nulla. Tra i contesti di ritrovamento predominano quelli rinvenuti in costruzioni funerarie medie (esclusivamente Tholoi) con una percentuale del 65%, seguono quelli rinvenuti in ripieni di fossa e silos (29 %), infine con un numero esiguo quelli recuperati nelle tombe monumentali (6%). La quantificazione percentuale di questi elementi è significativa dalla quale si potrebbero estrapolare contenuti di indole sociale. La parte orientale della località è stata segnalata come settore principale delle sepolture, è anche il luogo che conserva le strutture più imponenti e colossali (La Pastora, Matarrubilla, Ontiveros, Montelirio) sono strutture che accoglievano diversi defunti, disposti sia nella camera che nel corridoio. Lo sforzo costruttivo necessario per edificarle accentua una distinzione sicuramente non esente da connotazioni di carattere simbolico.

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El Roquetito inumazioni collettive

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El Roquetito

La Perrera fosso con resti umani.

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Tholos n.5 Divina Pastora

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Cerro Marmol, lastre di ardesia probabilmente appartenenti a dolmen

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5. Dolmen La Pastora

Il dolmen de la Pastora è una struttura funeraria scoperta nel 1860 durante l’impianto di vigneto. Fu scavata nel 1886 dal professor Francisco Maria Tubino. Si tratta di un tholos con lungo corridoio d’accesso e camera circolare, presenta una longitudine massima di 45,65 metri, una larghezza media del corridoio di un metro, che nella zona di entrata raggiunge 1,30 metri. La camera circolare mostra un diametro massimo di 2,60 metri con pareti realizzate da lastre di ardesia disposte a formare circa 40 file, gli interstizi sono riempiti da piccole pietre. Sul tramo superiore della camera e mediante la tecnica aggettante si dispongono varie lastre di rocce calcaree, le quali vengono chiuse da un enorme masso granitico, di fronte al corridoio e sulla falsacupola

si dispone una nicchia di difficile

interpretazione. Il corridoio trapezoidale si divide in tre trami separati da porte, formate da due stipiti sporgenti che sorreggono l’architrave. La copertura del corridoio è formata da lastre di arenite e granito. Anche il suolo è realizzato da grandi lastre di pietra che discendono Tecnicamente

dall’entrata

fino

alla

camera

sepolcrale.

la costruzione iniziò con l’apertura di una

grande trincea, che nella parte inferiore si stringeva per l’incastro delle lastre di pietra al suolo. A partire da questo livello occultando in parte la pavimentazione si elevarono i muri laterali, che nel tramo iniziale possiedono una larghezza tale che le lastre di copertura appoggino direttamente su di essi e non sul suolo naturale, tra la prima porta e l’ingresso del 96


corridoio si dispone un piccolo spazio di 0,75 metri interpretato come vestibolo, appare significativo il fatto che non fu mai pavimentato. Nel tumulo, continua alla linea della facciata, è stato rinvenuto un muretto, possibile anello perimetrale di trattenimento delle terre del tumulo. Cronologicamente lo studio dei manufatti ivi ritrovati lo data al 1800 – 1600 a.C., a partire da i corrispondenti orientali delle 26 lance in rame ritrovate al suo interno (Almagro Bash, 1962). Più recentemente, un attualizzazione dello studio di quelle punte di lancia, in base ad analisi chimiche effettuate e comparazioni con altri corrispondenti vicini, segnalava come non esistono indizi per pensare che si fabbricavano in un luogo lontano dalla sua apparizione, considerando poco consistente l’ipotesi di relazioni commerciali col Vicino Oriente (Montero y Teneishvili, 1996). La localizzazione di queste punte di lancia di bronzo al di sotto una grande lastra di pietra , dentro un urna ceramica ha fatto dubitare un collegamento diretto con la costruzione o un suo inserimento posteriore. Ma il ritrovamento nella parte occidentale meno conservata del monumento, coperta da una lastra probabilmente rimossa dalla copertura conferma l’ipotesi del professor Almagro, deposito funerario ascritto alla struttura funeraria, è significativo come il resto delle necropoli non hanno offerto nessun tipo di questo tipo di manufatti (Almagro Bash, 1962). Oltre le 26 punte di lancia in bronzo, al suo interno sono state rinvenute undici punte di freccia in silice a base concava con alette, di varie forme e dimensioni, due lamine d’oro molto sottili, sono piegate ai bordi come se ricoprissero la superficie di un oggetto del quale non si hanno notizie, alcune collane in 97


malachite, di diverse forme ovali e sferiche, con perforazione centrale. L’orientazione verso ponente è piuttosto singolare nei monumenti megalitici andalusi che di solito sono rivolti a levante. In questo caso la sua orientazione coinciderà con la costellazione del Sirio nel 2300 e 2200 a. C. , cosa che darà argomentazioni alle ipotesi che sostengono una relazione con gli astri (Cruz Auñón et Al, 2001).

La Pastora ingresso.

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La Pastora, ingresso.

La pastora, tumulo e struttura prottetiva.

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La Pastora pianta e sezione.

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La Pastora, corridoio

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La Pastora, tramo iniziale del corridoio dalla camera.

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La Pastora, particolare copertura corridoio.

La Pastora, particolare nicchia

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Punte di lancia, La Pastora

6. Dolmen di Matarrubilla

Il dolmen di Matarrubilla si scoprì nel 1917 a partire da una lastra granitica frammentata che era la copertura della camera sepolcrale, la quale era stata violata con dinamite per poter accedere all’interno. Nel giugno del 1918 Obermaier scavò il corridoio arrivando a una longitudine di 9,80 metri.Si tratta di una struttura di tipo Tholoi, con un corridoio di 30 metri di longitudine visibile e una camera sepolcrale circolare con diametro massimo di 2,80 metri. La presenza di due lastre di ardesia fu interpretata all’epoca come porta d’ingresso, sebbene

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mostrava una pendenza dovuta al tumulo che conteneva la struttura, furono interrotti gli scavi. Il tumulo di copertura doveva avere una superficie totale vicina ai 1800 metri quadrati. Il corridoio a sezione trapezoidale presenta una larghezza maggiore alla base, il suolo è formato da argille compattate, la copertura è formata da lastre di granito e arenite, l’altezza è di 2 metri massimo. Il muro della camera è formato da una fila di pietre e uno di argille compatte (in alcuni casi si apprezzano le impronte digitali frutto del lavoro manuale dei suoi costruttori). Sul tramo superiore del muro, mediante la tecnica aggettante, si dispongono le pietre di arenite chiuse da una grande lastra di granito. Nel suo interno risalta la presenza di un monolito di forma quadrangolare con i bordi rialzati intagliati, le cui dimensioni massime sono: 1.72 x 1.25 x 0.50. Dall’analisi costruttivo si deduce che il monumento fu costruito fila per fila senza interrompere tra camera e corridoio. Secondo Collantes (che terminò gli scavi della struttura) inizialmente si effettuava un’apertura nel terreno come una trincea di 1-1,50 metri di profondità e una larghezza di 2,75 metri; al centro di questa trincea se ne apriva una più stretta (corridoio) e si allargava circolarmente alla fine (camera). Successivamente si collocavano le lastre di copertura e si rivestivano le pareti, infine si ricostruiva la collina artificiale (Collantes de Terán, 1969). Obermaier riconobbe a 1-1,50 metri dal suolo frammenti di ceramiche a bande, altri frammenti tra le file di argilla compatta, un frammento di braccialetto d’avorio, e diversi resti umani che pare appartenessero a due individui adulti. Fu anche possibile documentare uno spessore medio del tumulo di 1,50 metri, anche se ribassato rispetto alle condizioni originarie 105


(Obermaier, 1919). Nel 1955 si identificò un conglomerato di ghiaia e piccole pietre calcaree che con uno spessore di 40 centimetri si depositavano sopra il suolo a coprire i defunti. Si riconobbero vestigia di epoca romana interpretati come visite di saccheggio. Nella galleria si ravvisarono tre perforazioni circolari per la ubicazione di pali di legno centrali che sostenevano la copertura. Considerando l’unico resto umano che ha conservato attinenza anatomica si può affermare che i cadaveri si disponevano allineati lungo le pareti del corridoio guardando verso la camera sepolcrale, in posizione raccolta sul costato. Nonostante il saccheggio del monumento ha conservato elementi come: lamine d’oro sminuzzate e decorate con motivi che ricordano le decorazioni campaniformi, una lamina in avorio interpretata come un brandello di calzatura. La cronologia suggerita da Collantes è 1800 a.C. (Collantes, 1968).

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Matarrubilla, corridoio

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Matarrubilla, corridoio restaurato.

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Matarrubilla, particolare monolite

7.Dolmen di Ontiveros

I lavori di costruzione di un giardino permisero la scoperta del dolmen di Ontiveros scavato da Mata Carriazo nel 1948-1949. Solo si potettero scavare i primi 10 metri del corridoio si stima che la parte restante della struttura è situata sotto una casa. Il corridoio presenta un rivestimento di lastre di ardesia nelle pareti in alcuni casi doppie e triple, la copertura piana di pietre di arenite. Mostra una larghezza media di 0.80 metri e una altezza di 1,30 metri, sul pavimento si dispose un livello 109


inferiore di circa 30 centimetri nel quale si ritrovarono 2 gruppi ossei lungo le pareti, corrispondenti a due individui i quali erano coperti da piccole pietre di ardesia sminuzzata, che avrebbe forse dovuto fornirgli una protezione, anche se in realtà fomentò la loro distruzione, insieme al peso delle terre accumulate da secoli. I monoliti che formavano le pareti del dolmen avevano la funzione architettonica di contenimento delle terre, non sostengono la copertura del corridoio, la quale riposa sul terreno naturale. Tra il corredo funerario si distacca un insieme di 16 punte di freccia intagliate nel quarzo ialino con base concava e alette, piccoli ritocchi denotano la grande destrezza tecnica. Lo spazio che precede il corridoio, che ha una tendenza circolare, fungeva da vestibolo le sue dimensioni sono: 1,50 x 1,80 metri, con rivestimento di lastre di ardesia imboccava all’entrata della quale si conserva la porta sempre fatta di lastre d’ardesia. Tanto le parti verticali quanto le parti orizzontali che costituivano la struttura della porta erano dipinte di rosso. Il tumulo che ricopriva il corridoio si elevava a un metro, mentre il tumulo che ricopriva la camera poteva arrivare a 3 metri. Tra gli oggetti ritrovati a parte le già citate punte di freccia furono rinvenute ulteriori punte di freccia in silice e pietra calcarea, una lastra di arenite che presentava una linea intagliata e alcuni resti ceramici tra cui frammenti di mattoni romani, ceramica romana testimonia che il dolmen fu oggetto di visite già dall’antichità. Della ceramica preistorica si conservano solo dieci frammenti, tra cui alcuni lavorati a tornio corrispondenti a forme ceramiche aperte dal bordo ingrossato e ceramiche dalla forma chiusa. I materiali ossei si riducono in pochi frammenti tra cui risalta una placca di avorio decorata in stile 110


campaniforme forse facente parte di un pettine. Cronologicamente si può dedurre una datazione che risale al II millennio a. C.

Operai durante lo scavo del dolmen di Ontiveros, 1949

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Punte di freccia in quarzo caolino, Ontiveros

Ontiveros corridoio

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8. Alcuni aspetti della cultura materiale: gli Idoli

Gli idoli sono delle manifestazioni artistiche mobili della Preistoria, legate alla sfera ideologica e religiosa. Purtroppo la ricerca preistorica si è occupata solo marginalmente delle manifestazioni

simboliche,

limitandosi

a

inventariare

e

descrivere i nuovi ritrovamenti nei contesti archeologici, senza cercare di capire che ruolo ricoprissero all’interno delle prime società produttrici. Nel 1973 J. Almagro Gorbea pubblica un catalogo che è stato usato come referenza da molti autori per classificare gli elementi simili. Venivano considerati idoli gli artefatti mobili con funzionalità sconosciuta. Gli idoli placca sono comunemente associati ai contesti funerari dolmenici del sud est iberico, in particolare nell’Algarve e nell’Alentejo, verso est il loro numero è più ridotto, V. Gonçalez ha stimato che in Portogallo il loro numero arriva alle 4000 unità, la maggior parte di essi è concentrata nella regione dell’Alentejo,

il 50% proviene dall’area di Evora, queste

altissime percentuali concentrate in un punto preciso ha fatto considerare l’Alentejo come fuoco d’origine dei manufatti. Il manufatto consiste in una piastrina rettangolare o trapezoidale in pietra, la cui lunghezza è variabile 15 cm in media e larghezza 6-10 cm, con decorazione incisa a motivi geometrici, raramente contiene elementi anatomici stilizzati come occhi. Nel lato più corto sono presenti due perforazioni. Quanto alla tecnica di realizzazione si può dire che inizialmente la placca di ardesia veniva pulimentata, ottenendo una superficie liscia e dagli angoli arrotondati, si provvedeva alla sua decorazione dividendo la superficie del manufatto in bande, 113


nelle quali si incidevano dei triangoli, nella parte superiore a forma solare venivano raffigurati gli occhi. La decorazione incisa ricoperta di pasta bianca che risaltava sul fondo grigio o nero della pietra. Secondo un interpretazione interessante proposta da K. Lillios, adeguandosi alle formulazioni proposte anteriormente da I. G. Lisboa y P. Bueno (Lisboa 1985; Bueno 1992), gli idoli avrebbero una funzione araldica, i differenti motivi geometrici che appaiono nella parte inferiore ( zig zag, triangoli, Chevron) proporzionano informazioni sul lignaggio e che le bande orizzontali rappresentano il numero di generazioni dall’antenato fondatore di un gruppo a cui appartiene un individuo. La loro dispersione nel territorio deriva dalla dispersione degli individui nel territorio, motivata da matrimoni o fissione di popolazione. Questo spiega perché si ritrovano maggiormente nelle tombe e il loro numero nelle sepolture molto spesso coincide con il numero degli individui sepolti. Questo non per forza entra in contrasto con il fatto che si tratti di manifestazioni idolatre, posizione che K. Lillios rifiuta a priori. Inoltre secondo K. Lillios, la loro apparizione della fine del IV millennio inizi III, nel auge dell’Alentejo, la necessità di alcuni gruppi di assicurarsi l’accesso legittimo ad un territorio, questo non giustifica però la loro scomparsa graduale nel corso del III millennio, quando la divisione territoriale è più netta (V. Hurtado). A Valencina sono stati ritrovati due idoli di questo tipo, uno nel 1975, durante lo scavo d’urgenza di un dolmen (Cerro de la Cabeza, 1975), purtroppo il contesto archeologico si presentava agli occhi degli studiosi altamente degradato dai lavori di rimozione delle terre per la costruzione di una strada e l’idolo apparve nelle terre rimosse dalla ruspa (1980, F. Fernández 114


Gómez - D. Oliva Alonso). Mentre un secondo nello scavo de La Gallega, nel 1990, nel settore abitativo dell‘occupazione preistorica (1990, M. Martin Espinosa, M. T. Ruiz Moreno). L’idolo “oculato” si ritrova nel sud-est, è costituito da un corpo cilindrico di vari materiali (osso, marmo, pietra calcarea, avorio etc.), cui si incidono gli occhi e le due linee facciali, sul retro raramente vengono incise linee a zig zag. Ultimamente sono stati ritrovati anche in zone centro orientali (Granada, Almeria). Accanto a queste forme standard esistono varianti a seconda del territorio in cui vengono rinvenuti, e a differenza degli idoli placca, questi non si trovano nel Portogallo, ma sono particolarmente concentrati nella valle del Guadalquivir. L’analisi stilistica in base alla distribuzione geografica nel territorio ha portato V. Hurtado a ipotizzare che si tratti di mutazioni stilistiche ricercate per marcare una identità culturale. A Valencina si ritrovarono diversi idoli di questa tipologia, e durante gli scavi del 1975 presso la zona Cerro de la Cabeza, e un altro in osso più piccolo nello scavo La Gallega, nel 1990. Idoli antropomorfi sono invece raffigurazioni più complete del corpo umano, nei quali si distinguono perfettamente gli arti, il busto, il capo e spesso gli organi sessuali. Il numero di questi è ridotto e non è omogeneo nella penisola, non si possono quindi fare considerazioni sul modello stilistico di

ogni

regione,

anche

se

gli

esemplari

provenienti

dall’Estremadura portoghesa appaiono maggiormente rifiniti. I primi risalgono al III millennio a. C., periodo in cui appaiono i primi villaggi fortificati e le prime elite, primi segni di gerarchia sociale, nei contesti si ritrovano in numero minore, e i siti che gli hanno restituiti sono i centri di maggior estensione nel III millennio a. C.

come già osservato sono le

rappresentazioni che appaiono in numero più ridotto, forse a 115


causa della maggior cura che richiede la loro elaborazione, o forse perché denotano la pozione preminente de alcuni individui nella collettività, legittimare e sacralizzare il loro status, come intermedio tra società e credenze mistiche (A. Hernando, 2002) .

Fig. 12 Idoli placca provenienti da tre diverse località del sud ovest della Spagna rispettivamente: da sinistra Valverde del Camino (Huelva), dell’Alentejo (Portogallo), Valencina de la Concepción

Idolo placca Cerro de la Cabeza Valencina de la Concepción.

116


Idolo oculato in marmo, Valencina de la Concepciòn

117


Idolo antropomorfo in osso, Valencina de la Concepción

9. Aspetti socio – economici delle sepolture

Le ipotesi riguardo il modello di occupazione del territorio sono numerose tra le più recenti: -

Si distinguono tre aree principali: il nucleo dell’abitato nel settore nord ovest come centro di controllo economicosociale e politico, una zona intermedia depositaria delle eccedenze agricole e zootecniche accumulate dal centro di 118


potere, l’area delle necropoli e distinta l’area delle necropoli espressione della segregazione sociale (Artega e Cruz Auñón, 1999). -

Si identifica un area nucleare con due ambiti: produttivo e abitativo e un area esclusiva delle necropoli (Vargas, 2004).

L’insediamento arrivò a dimensioni spettacolari nel corso del III millennio a.C., con la capacità di centralizzare la circolazione dei prodotti primari indipendentemente dalla lontananza dell’area di provenienza, fino alla sua distruzione come centro primario verso il 2200 a. C. (Nocete, 2001). L’area esclusiva delle necropoli è situata intorno all’altopiano del Aljarafe, tutte le strutture funerarie rispondono al tipo Tholoi, sebbene con marcate variabili costruttive, esistono inoltre dei casi di resti umani inumati in silos, trincee, pozzi etc... quindi ascritti all’area abitativa, e nel settore nord Cierro de La Cabeza l’unica eccezione. Le tombe si costruivano di forma preventiva in determinati casi non si terminarono o non si arrivò a utilizzarle. Prima di costruirle le veniva assegnata un ubicazione spaziale selettiva secondo le categorie architettoniche, si è comprovato come difatti

le costruzioni più precarie (come nel Roquetito)

formano un insieme, quelle con tecnica a muratura (la Divina Pastora) si aggruppano formando gruppi separati ma non si alternano, questa presa di posizione si regge d’accordo con la categoria sociale di chi in futuro occuperà le tombe. Tutte le strutture funerarie conosciute e ben conservate presentano lo stesso tracciato in pianta, camera circolare preceduta da corridoio, mentre le differenze più notevoli riguardano l’architettura, in funzione della maggior/minor inversione di forza produttiva nella sua costruzione. Le più spettacolari con lungo corridoio, pareti in muratura, copertura 119


con grandi lastre e basso tumulo (Matarubilla, La Pastora), seguite da quelle sempre con tecnica in muratura però con corridoio più breve (Divina Pastora) , quelle con pareti rivestite da lastre con breve corridoio e senza tumulo localizzato (Divina Pastora tra altre), quelle più precarie che sono semplicemente rivestite da lastre di pietra ( El Roquetito) infine quelle non si arrivarono a utilizzare (Los Cabezuelos). Accanto a queste forme appaiono variabili architettoniche in casi isolati, per esempio la presenza di un vestibolo e l’esclusiva presenza di nicchia (La Pastora) e di un monolite (Matarubilla). In quanto a camera sepolcrale il diametro varia da 1 a 4 metri, le tombe considerate più spettacolari non sono precisamente quelle che possiedono camere più ampie, mentre il diametro maggiore fino ad ora registrato è situato in una struttura minore addossata al monumentale Tholoi di Montelirio. Tecnicamente venivano costruite partendo da un fossato di profondità variabile, le cui pareti venivano ricoperte da lastre di pietra o da pareti in muratura, sulle pareti venivano posizionati dei blocchi di pietra verticali che costituivano la copertura del corridoio, mentre le camere sepolcrali erano coperte da lastre di pietra aggettanti. Altro elemento significativo delle costruzioni sono i tumuli, gli studiosi del passato, spesso, non hanno dato l’importanza dovuta a queste strutture che integrano il monumento. Generalmente poco conservati, mostrano medie variabili logicamente le dimensioni dipendono da quelle della struttura che ricoprono. Alcuni casi si è rilevata la presenza di più strutture aggiunte ad uno stesso tumulo, che dimostrano le relazioni connesse tra il proprietario delle tombe di maggior grandezza con quelli di minor grandezza che va in un senso di 120


disuguaglianza classista, si comparte lo stesso tumulo però non la stessa tomba. Gli individui inumati all’interno variano di numero: monumenti che contengono chiaramente sepolture collettive (31 individui il Roquetito) e quelli che ne contengono un numero ridotto (3-4) probabilmente famigliari, e sepolture individuali. Con gli elementi a nostra disposizione si può organizzare una classificazione che tiene conto di tutti i ritrovamenti differenziati in tre categorie basiche: -

Individui inumati in strutture non funerarie nell’area abitativa (fondi di capanne, pozzi, silos che hanno compiuto la loro funzione) privi di corredo.

-

Nell’altro estremo si situano i grandi monumenti funerari, che caratterizzano l’ambiente con la presenza dei tumuli situati all’estremità di colline preesistenti, collocazione non priva di significati simbolici. Lo sforzo necessario per l’edificazione, la ricchezza dei suoi contenuti elevano la distinzione dei destinatari.

-

In una situazione intermedia troviamo individui inumati

in costruzioni funerarie non monumentali, di dimensioni medie, impiantati in aree propriamente funerarie, che costituiscono la maggioranza assoluta. Non esiste nessuna omogeneità tra il numero degli individui seppelliti, esistono casi di sepolture individuali, collettive (31 casi El Roquetito), casi di sepolture famigliari con 3-4 individui (Arteaga y Cruz-Auñón, 2001).

121


APPENDICE

122


123


124


125


126


127


CONCLUSIONI

I dolmen non sono solo le più antiche costruzioni in pietra, sono vere

e

proprie

architetture

realizzate

3000

anni

prima

dell’introduzione della scrittura in queste aree d’Europa. L’abilità che si riflette in questi monumenti contrasta con la povertà della cultura materiale dei loro costruttori, società contadine che non conoscevano l’uso dei metalli. Dell’architettura domestica, di quei tempi, realizzata con materiali deperibili, non si è conservato quasi nulla. L’analisi della distribuzione delle primitive costruzioni e degli oggetti associati, conforme ad una metodologia archeologica specifica, permettono la lenta definizione degli aspetti economici, sociali e religiosi delle comunità. Tuttavia non pochi ostacoli sono stati

superati

per

la

corretta

ubicazione

degli

interventi

archeologici, tenendo conto anche dell’ambiente, all’epoca ancora rurale, e che oggi vede avanzare rapidamente sempre di più la superficie urbana, conseguente a una domanda di abitazioni sempre crescente e che la vicinanza del sito alla capitale, genera. È nostra priorità salvaguardare le vestigia del passato, raccogliere e diffondere le informazioni affinché quelle che sono labili tracce che ancora possiamo interpretare e capire non diventino testimonianze di un mondo sparito per sempre, che però siamo ancora in grado di studiare. Concludo questo lavoro esprimendo la soddisfazione per il lavoro 128


svolto, parte nella ricerca sul campo, la visione diretta dei monumenti, e parte attraverso la letteratura scientifica, che mi ha fornito le basi per uno studio completo. Grazie all’unificazione dell’Europa, si offrono agli studenti gli strumenti per correlare gli studi e la opportunitĂ di investigare e studiare direttamente aree distanti, sebbene ancora nei limiti economici e politici che ancora comporta. Purtroppo la visione del fenomeno megalitico è ancora al giorno d’oggi inconclusa e le domande ancora irrisolte sono molte.

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