La mistica della natura tra Antoni Gaudì e i poeti modernisti catalani

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A.D. MDLXII

U N I VE RS I T À F ACOLTÀ

DI

D E G LI S TU DI D I S AS S A RI L INGUE E L ETTERATURE S TRANIERE ___________________________

CORSO DI LAUREA IN M EDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE PER IL TURISMO

LA MISTICA DELLA NATURA TRA ANTONI GAUDÍ E I POETI MODERNISTI CATALANI

Relatrice: PROF.SSA MARIA CATERINA VIRDIS

Correlatrice: PROF.SSA LAURA LUCHE

Correlatore: PROF. IBAN LEON LLOP

Tesi di Laurea di: ANNALISA MELE

ANNO ACCADEMICO 2011/2012



INTRODUZIONE ........................................................................................................................ 3 CULTURA SIMBOLISTA BARCELLONA: NATURA E SPIRITUALISMO ............................................ 5 BARCELLONA E LA RINASCITA DEL XIX SECOLO ................................................................................. 5 UNO SGUARDO AL MODERNISMO EUROPEO. .................................................................................. 7 MODERNISMO CATALANO ........................................................................................................ 10 ASPETTI DELLO SPIRITUALISMO NELLA CULTURA BARCELLONESE DEL PRIMO NOVECENTO ......................... 13 IL GIAPPONISMO NEL MODERNISMO........................................................................................... 14 LO SVILUPPO DEGLI EX LIBRIS MODERNISTI. ................................................................................... 18 ANTONI GAUDÍ I CORNET ....................................................................................................... 21 LA VITA. ............................................................................................................................... 21 L’ARTISTA. ............................................................................................................................ 24 L’EVOLUZIONE INNOVATRICE. .................................................................................................... 29 GAUDÍ TRA NATURA E MERAVIGLIA. ...................................................................................... 32 LA GEOMETRIA GAUDINIANA ..................................................................................................... 35 GEOMETRIA DELLA LINEA, GEOMETRIA DEL SENTIMENTO .................................................................. 37 UN DIALOGO TRA CULTURA E IMMAGINAZIONE .............................................................................. 41 LA MISTICA DELLA NATURA NELLE OPERE DI GAUDÍ ......................................................................... 44 Casa Vicens ................................................................................................................... 45 Casa Calvet. ................................................................................................................... 46 Casa Batllò. ................................................................................................................... 47 Tempio Espiatorio Della Sagrada Familia. ..................................................................... 49 Scuole della Sagrada Familia. ........................................................................................ 52 Park Güell ...................................................................................................................... 53 Casa Milà (La Pedrera) .................................................................................................. 56 I POETI MODERNISTI CATALANI E JOAN MARAGALL ............................................................... 59 IL MODERNISMO NELLA LETTERATURA. ........................................................................................ 59 LA MISTICA DELLA NATURA NEL MONDO IBERICO. UNAMUNO E RUSKIN .............................................. 61 LETTERATURA MODERNISTA CATALANA....................................................................................... 63 I POETI IBERICI........................................................................................................................ 65 Ramón De Valle-Inclán. ................................................................................................. 65 Juan Ramón Jiménez. .................................................................................................... 66 I POETI CATALANI. ................................................................................................................... 68 Santiago Rusiñol. .......................................................................................................... 68 Jacinto Verdaguer. ........................................................................................................ 70 JOAN MARAGALL. .................................................................................................................. 71

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CONCLUSIONE ........................................................................................................................ 78 Bibliografia……………………………………………………………………………………...82

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Introduzione Da sempre centro multiculturale, la Catalogna è stata tradizionalmente aperta a ogni novità e tendenza. Dalla sottomissione alla capitale spagnola, Madrid, e dalla dittatura di Franco è uscita ribellandosi fino a raggiungere i suoi obiettivi identitari: uno tra i tanti il riconoscimento di una lingua ufficiale diversa da quella del resto della Spagna. Questa lingua è il catalano. Tutto questo in parte è dovuto alle grandi figure che hanno reso possibile questa ribellione, dalla borghesia, ai letterati, ai politici fino ad arrivare agli artisti che vivevano e vivono a Barcellona. All’interno del processo che ha reso possibile la realizzazione di un’autonomia culturale propriamente catalana il movimento che ha avuto a Barcellona un’importanza capitale è stato il Modernismo. Com’è noto, il Modernismo ha avuto grande successo nelle arti figurative, un po’meno, a dispetto della battaglia per la conservazione e l’affermazione della lingua, nelle lettere. Dunque nella rivoluzione della cultura identitaria e nel tentativo di ridare a Barcellona il suo prestigio, assume particolare risalto l’esordio di una nuova architettura di cui fanno parte Domenech i Montaner, Puig i Cadalfach, e Gaudí. Gaudí è da tempo considerato un rivoluzionario, che ha saputo plasmare i più vari materiali secondo tecniche costruttive innovatrici e sulla base di una personalissima concezione della geometria e dello spazio, prevalentemente basata sull’osservazione e l’evocazione della natura. L’originalità delle sue soluzioni non fu sempre compresa e apprezzata dai suoi contemporanei e fu talvolta messa in discussione dai suoi stessi amici e collaboratori, che lo consideravano artista e uomo di temperamento piuttosto bizzarro. Fu così che la borghesia barcellonese e la stampa contemporanea non mancarono di criticare la bizzarria di certe costruzioni di Gaudí eseguite su richiesta di alcuni illuminati committenti, attaccandole proprio nella loro ispirazione naturalistica. Ma di fatto l’adesione mistica ai principi della natura, come si tenterà di dimostrare, apparteneva alla cultura europea di poco precedente ed era elemento integrante della letteratura e del pensiero degli intellettuali aderenti al Modernismo catalano, fra i quali si annoverano figure emblematiche come quella del poeta Joan Maragall e poliedrici operatori artistici e letterari, nonché organizzatori culturali come Santiago Rusiñol..

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.L’obiettivo di questa tesi sarà quello di viaggiare attraverso la cultura barcellonese del XIX secolo, capire com’è nato il modernismo catalano, illustrarne le premesse e gli inizi, per poi passare attraverso la vita del maggiore architetto catalano e le sue opere fino ad arrivare agli effetti che la letteratura del suo tempo poté avere sulle sue scelte di campo, tema che costituisce il centro del nostro discorso.

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Cultura Simbolista Barcellona: Natura e spiritualismo Barcellona e la rinascita del XIX secolo É inevitabile pensare che Barcellona sia stato uno dei centri europei di cultura visiva alla fine del XIX secolo. Il modernismo nacque tra Parigi e Bruxelles, ponendosi come modello di eccellenza per le capitali europee e più tardi per New York. Sebbene la città spagnola abbia dato i natali a molti artisti di qualità ancora nel 1960 al di fuori della penisola iberica la loro grandezza veniva riconosciuta solo in parte e il prestigio che avevano portato alla città, autori come Picasso, Mirò, Dalì, che contribuirono alla crescita culturale di Barcellona1 veniva sottovalutato. Insieme agli autori appena citati, occorre parlare degli altri artisti che hanno reso celebre la città catalana, quali Lluis Domènech i Montaner e Josep Puig i Cadalfach, che hanno costituito le premesse del gusto e dell’architettura di Gaudí, massimo esponente del modernismo, che aveva un legame intimo con la storia e i destini della Catalogna, anche se sembra che non si occupasse attivamente di politica. Dunque, la corretta valutazione del Modernismo è operazione critica moderna: prima della fine della dittatura di Franco, che aveva soffocato ogni regionalismo, la cultura specificatamente catalana scorreva come un fiume sotterraneo. Non se ne parlava ufficialmente a Barcellona – se pure molti intellettuali continuavano a coltivarla, tra l’altro parlando fra loro in catalano – e poche erano le informazioni non generiche che filtravano fuori dal paese. Fu dopo la caduta del franchismo che gli studi coltivati in disparte ripresero vigore e vennero diffusi pubblicamente: da allora si affermò una generazione di Catalani talentuosi - scrittori, artisti, architetti, politici ed economisti che tentarono di cambiare la percezione della loro città. Volevano far capire al resto d’Europa, e della Spagna, che Barcellona era diversa. Volevano mostrare la città, come uno dei fulcri della cultura mediterranea, com’era stato nel Medio Evo, e prima della

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William H. Robinson, Jordi Falgas, Carmen Belen Lord. Barcelona and Modernity: Picasso Gaudí Dali Miro; Yale University Press, New Haven, 2006 pp. XIV – XVII.

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Rivoluzione Industriale e com’era ritornata ad essere alla fine del XIX secolo2, per poi essere combattuta, come ogni cultura alternativa, dal centralismo dittatoriale, durante il quale persino l’uso di una lingua di grandissima tradizione letteraria come il catalano, fu esclusa dall’ufficialità e francamente avversata. Ma Barcellona trovò le risorse per mantenerle vive, se pure in maniera non emergente, le sue tradizioni e la sua cultura3, sicché dopo la morte del dittatore, la città rinacque ed ebbe un’ulteriore importante trasformazione, divenendo la città più industrializzata di tutta la Spagna. 4 L’emergere

della

lingua

catalana5

nel

IX

secolo

aveva

contribuito

indubbiamente più alla nascita di una nuova identità nazionale che alla creazione di una bandiera nazionale, dato che le sorti del territorio di Barcellona si intrecciarono a quelle della corona d’Aragona. Questa identità nazionale fece sì che, durante “l’età d’oro”, nel periodo in cui la città si trovò a brillare nel centro economico del vasto impero del Mediterraneo, rivale di Genova e Venezia, fiorirono a Barcellona la cultura, la letteratura, l’architettura e la pittura. Con l’avvento de los Reyes Catolicos la città e la regione furono in qualche modo assorbiti dalla corona di Spagna e si trovarono a confrontarsi con le varie regioni che la componevano, perdendo totalmente il peso politico che avevano avuto nel passato. Nonostante le difficoltà, l’economia della Catalogna riprese nel XVIII secolo. In questo periodo infatti esplose a Barcellona l’industria tessile, che permise scambi commerciali con le Americhe, con Cuba e le Filippine. Nel 1860, dopo la costruzione della linea ferroviaria tra Barcellona e Matarò, essa divenne rapidamente la più popolosa città europea, grazie anche alla migrazione dalle aree rurali di forze in cerca di lavoro.6 In quell’anno Madrid approvò il piano di Ildefons Cerdà per un’espansione urbana oltre le mura medievali, un progetto che collegò la città con la comunità circostante attraverso una zona proposta per la nuova crescita, denominata Eixample; dove la maggior parte degli architetti (Puig i Cadalfach, Lluis Domenech i Montaner e Gaudí) costruiranno le loro opere. Fu dunque all’interno di questo momento di crescita economica e di sviluppo che, nel tentativo di riscattare pienamente l’identità e la preminenza perduta, i politici, gli scrittori e gli architetti del 2

Ibid., pp. XIV-XVII Diventando la città più popolosa, industrializzata, e culturalmente attiva della Spagna. 3 Franco decise la conservazione e il restauro solo degli edifici di rilevanza storica dell’età medievale, e abbandonando al loro destino di degrado quelli della Renaixença. 4 Ibid., p. XVII. 5 Ibid., p.5: Il potere della cultura vinse sulla creazione di una bandiera che simboleggiava i catalani. Infatti è noto che il Catalano non è un dialetto del Castigliano, ma discendente del latino, influenzata dal Provenzale e dalle lingue parlate al sud della Francia. 6 Ibid., p.6.

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XIX secolo invocarono la memoria dei loro anni d’oro per ricostruire un forte nucleo di cultura nazionale catalana. Fu così che diedero inizio al Modernismo. 7 La rinascita del catalanismo va associato alla Reinaxença, un movimento nato nel XIX secolo, inizialmente politico e letterario ma capace in breve tempo di investire in tutti gli aspetti della cultura catalana, inclusa la filosofia, il teatro, le arti visive e l’architettura. L’esposizione universale del 1888 premiò le aspirazioni di Barcellona a divenire una città progressista e autonoma, capace di realizzare concretamente opere di rilevante importanza in un lungo periodo di prosperità artistica e letteraria, e flussi turistici. L’esposizione offrì ai catalani un’opportunità storica di collocare la loro regione nel contesto della cultura, della tecnologia, e dell’industria europea.8 Fin dall’inizio, il modernismo catalano si è sempre indirizzato verso l’Europa, meno verso la capitale spagnola Madrid. Infatti, l’entusiasmo modernista per le arti, l’architettura e la libertà artistica delle altre capitali Europee – in particolare Parigi – è in contrasto col pensiero della capitale spagnola ancora legata alle tradizioni artistiche di Roma. Durante l’esposizione, gli architetti più influenti in quel periodo fecero conoscere le loro opere e da quel momento in poi iniziarono ad abbandonare i vecchi materiali, per usare quelli della nuova produzione industriale catalana, come mattoni, ferro, ceramica e vetrate. I leader di questa nuova tendenza – Domenech, Gaudí and Josep Jujol- guardavano certamente all’Art Nouveau, il movimento del modernismo europeo ben radicato a Parigi e a Bruxelles. Questa declinazione dell’architettura catalana inoltre può derivare da una predilezione condivisa con il movimento francese per la creazione di forme ispirate alla natura.9

Uno sguardo al Modernismo europeo. Il modernismo catalano subì molte influenze europee. La città di Barcellona era un centro multiculturale, aperto per tradizione verso il resto del mondo. Il risveglio economico permise viaggi e scambi di artisti e intellettuali che indussero l’affermarsi di 7

Ibid., p. 7: Dopo l’ondata di benessere di cui beneficiava Barcellona, iniziarono i problemi. L’economia della città catalana, già in declino, soffrì un brutto colpo con l’unione del regno di Aragona – Catalogna con il regno di Isabella di Castiglia, che premiò Siviglia e Cadiz per il monopolio del commercio con le Americhe. 8 Ibid., p.8. 9 Ibid., p.9.

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una notevole integrazione, per cui possiamo affermare che nella città confluivano almeno gli echi dei nuovi movimenti che si creavano in Europa e in America. A cavallo tra il 1880 e il 1900 arrivano in tutta la penisola iberica le prime avvisaglie di una nuova moda, una nuova arte, un nuovo movimento. Era quello di Arts and Crafts,10 di solito ricondotto a William Morris e successivamente a John Ruskin. Entrambi questi artisti e teorici furono importanti per la crescita e lo sviluppo di questo movimento estetico riformista, che ebbe grande influenza nell’architettura, nelle arti decorative, compresa l’arte del giardino. Nella prima generazione, guidati da Morris, gli artisti di Arts and Crafts rivendicarono la supremazia dell’essere umano sopra le macchine, con l’intento di utilizzare la tecnologia a favore dell’uomo. Morris sosteneva che bisognava restituire al lavoro operaio quella spiritualità e quel sentimento che erano stati messi in disparte dall’avvento delle macchine e della produzione in grande serie. Il piacere creativo dell’artigiano avrebbe dovuto conciliarsi con il lavoro industriale: l’operaio, nel realizzare oggetti utili, doveva renderli anche belli, aiutato in ciò dagli artisti e diventando egli stesso tale, cioè «creatore di opere d’arte». Quando nel 1888 Morris fondò la «Arts and Crafts Exhibition Society», lo fece per contrastare il carattere elitario della produzione di una ditta, la Morris, Marshall, Faulckner e Co, creata nel 1861 da lui stesso ed altri intellettuali, quali Dante Gabriel Rossetti, Burne-Jones e Ford Madox Brown, tutti appartenenti alla corrente preraffaellita, che aveva il difetto di creare prodotti di alta qualità acquisibili solo da una ristretta cerchia di persone, escludendo le masse operaie. Con la nuova ditta fondata nel 1888 Morris, che nel frattempo era entrato a far parte della Social Democratic Federation e nel 1884 aveva fondato la Socialist League, si prefiggeva non solo di conciliare la produzione industriale con l’arte, ma anche, con un progetto filantropico generale, di far sì che ogni oggetto, se pur di serie o di basso costo, dunque acquistabile anche da parte delle classi meno agiate, avesse un bel disegno e avesse un certo pregio artistico. Scopo di William Morris era quindi di diffondere la bellezza anche ai meno abbienti. Morris e sua figlia Mary furono tra i primi socialisti inglesi e lavorarono con Karl Marx e Friedrich Engels.11 Tutte le illustrazioni dell’Arts and Crafts, avevano in comune un decorativismo che si manifesta con la linea sinuosa, col ripetersi dei motivi, con l’arricciarsi di tralci di 10

Barter, Judith A. [Hrsg.] Apostles of beauty : arts and crafts from Britain to Chicago ; [published in conjunction with an exhibition of the same title organized by and presented at the Art Institute of Chicago from November 7, 2009 to January 31, 2010],Chicago, Art Institute of Chicago, 2009. 11 Eleonora Sasso, William Morris tra utopia e medievalismo, Roma, Aracne, 2007.

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foglie e fiori resi in modo stilizzato, così come avveniva anche nell’arte medioevale, in particolare la celtica.12 Tali caratteri formali e ispirativi pongono il movimento di William Morris e dei suoi seguaci quale presupposto immediato dell’Art Nouveau che è la risposta artistica formulata dalla cultura europea al dominio dello storicismo eclettico e al disagio di certe logore formule espressive del proprio tempo. Il termine significa proprio arte nuova e non è un’arte d’evasione. In breve, con diverse formulazioni nei diversi centri europei, questo gusto pervade l’intero continente, trascinando con sé svariati postulati di carattere sociale e politico e soprattutto accompagnando la maturazione di quella crisi profonda che avrebbe portato alla tragica apertura del “secolo breve” con la prima guerra mondiale. In ogni paese d’Europa l’Art Nouveau si sviluppa in modo diverso e prende definizioni diverse, al fine di meglio interpretare quel desiderio di novità che è insito nel suo stesso nome. Così abbiamo il Modern Style in Inghilterra, lo Stile floreale o Liberty in Italia, lo Jugendstil e lo stile Secession in Austria, lo Stile Horta in Belgio e il Modernismo in Spagna. La presenza di tanti nomi per identificare questo movimento fa capire la dimensione e la diffusione del fenomeno. Inoltre, il suo gusto penetra in ogni dove, dalle più alte espressioni artistiche agli oggetti quotidiani. Si scoprono nuovi usi dei tessuti, della ceramica e del vetro, che assumono declinazioni diverse nei vari paesi in cui si affermano e tuttavia presentano una cifra sempre molto riconoscibile. L’influsso di Arts and Crafts fa sì che le arti applicate siano quelle che primeggiano in questa vera e propria rivoluzione del gusto.13 L’architettura assunse forme e soluzioni costruttive diverse in ogni parte d’Europa. Dietro i nuovi edifici si indovina talvolta la struttura tradizionale che ha dato origine alla costruzione moderna: così in Belgio è il verticalismo della vecchia casa gotica che si legge dietro le esuberanti invenzioni di Horta. Tuttavia, al di là delle differenze vanno valutate le costanti, che stanno nell’uso nuovo e funzionale del ferro, delle ghise, del vetro. Per la prima volta la decorazione è un concetto non separato da quello della struttura e della funzione. La sovrapposizione di linee e volumetrie che fanno riferimento a modelli naturali, animali e vegetali si carica del vitalismo proprio delle strutture stesse. Natura e architettura ne risultano spiritualizzate. 12 13

Giovanni Fanelli, Enzo Godoli, L’ornamentazione Art Nouveau Bari, Laterza 1989 pp. 94-95 e 170. Giorgio Cricco, Francesco Paolo di Teodoro, Itinerario nell’arte: Volume B Dal seicento a oggi.

Zanichelli, Milano 2005 pp. 750-751.

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Con l’Art Nouveau si chiude una serie di totali affermazioni del gusto che aveva interessato i secoli del passato: manierismo, barocco, rococò e neoclassicismo avevano pervaso l’Europa e l’America civilizzata sia in senso orizzontale, con enorme diffusione territoriale, che in senso verticale, dalle più alte manifestazioni artistiche al più umile oggetto d’uso. Con l’avvento delle avanguardie nessun movimento (escluso il Déco, che peraltro interessa solo le arti applicate) sarà mai più pervasivo alla stessa maniera e si assumerà il ruolo di guida del gusto. 14

Modernismo Catalano L’architettura catalana di questo periodo è stata associata sia dai critici che dal consenso pubblico al generale movimento di rinnovamento europeo chiamato “modernismo”15, che però a Barcellona tra il 1880 a il 1890 assunse valori caratteristici locali. Esso viene descritto, un po’ come tutti i movimenti di rinnovamento in Europa, come “una boccata d’aria fresca”16 che caccia le tradizioni, ma la sua caratteristica principale, condivisa solo da poche alte varianti europee (ad esempio dallo Jugendstil di Praga, che rivendica il nazionalismo boemo) è la spinta identitaria. Non per caso, il termine modernismo associato agli architetti Domenech, Puig, e Gaudí,17 ha un significato del tutto particolare. Il motivo sta nel fatto, che questi tre architetti, facevano parte della nuova arte catalana e non si sono mai allontanati definitivamente dalle loro ambizioni nazionalistiche. Il modernismo originariamente implicava una denuncia della borghesia catalana, e l’allontanamento dal revivalismo storicistico della Reinaxença. il movimento fino ad allora in auge, del quale rifiutava i caratteri romantici. A dispetto del nazionalismo catalano, già presente nella Renaixença, aprendosi alle nuove influenze straniere e alle loro idee radicali, i modernisti furono attratti da temi irrazionalistici, specialmente dalla filosofia di Friedrich Nietzsche18, e dal musicista Richard Wagner.

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Il movimento

Ibid., pp. 752- 753 754. William H. Robinson, Op.cit., p.9. 16 Ibid., p.9. 17 Ibid., p.10. 18 Friederich Nietzsche, Così Parlò Zarathustra, BUR, Milano 2012 pp.138-140, (ed.orig.1885) Soprattutto il concetto di Superuomo. Il superuomo è colui che possiede le capacità di accettare e oltrepassare le verità del passato. Si dovrebbe chiamare oltre uomo perché è capace di andare oltre. Egli invita la fedeltà alla terra e al corpo poiché siamo solo corpo. L’oltre uomo attraversa tre metamorfosi: Da 15

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trasformò tutte le arti in Barcellona, compresa la grafica, l’arte decorativa, all’insegna di questa sensibilità. E seguendo questi indirizzi divenne la spinta decisiva per la rivitalizzazione della musica e della letteratura. La nascita di questo movimento coincide come si è detto con l’Esposizione Universale che, anche se non fu proprio di portata internazionale, permise tuttavia ai catalani di confrontarsi con le esperienze di tutta Europa, alle quali la maggior parte degli intellettuali guardava da tempo. La ricchezza intellettuale di Barcellona, che si irradiò anche in centri minori, da Reus a Girona, qualifica il fenomeno come propriamente catalano e non confrontabile, per compattezza, estensione e soprattutto portata teorica, con le sporadiche occorrenze della penisola.19 Essere Modernista, significava infatti non solo essere un separatista dal punto di vista politico e culturale, ma anche essere un radicale, che si opponeva alle regole stabilite dalla società, e tentava di trasformare la Catalogna in un laboratorio di cultura progressista. 20 I diversi caratteri del modernismo emersero nelle Festes Modernistes celebrate a Sitges, tra il 1892 e il 1899. La scelta ricadde su questa cittadina perché da sempre aveva attirato gli artisti, e aveva fornito spunti per le loro creazioni. La prima festa ospitò le opere di più di cento pittori, in cui si notavano le influenze di Rusiñol e Casas, due artisti barcellonesi fortemente influenzati dai francesi di fin de siècle

e

specialmente da Toulouse Lautrec21. Nell’articolo uscito successivamente nella “Vanguardia”, Casellas disse che tutti gli artisti erano stati attratti dalla natura e dalle luci di Sitges. 22

cammello (l’uomo che porta i pesi della vita e s’inchina davanti a Dio e alla Morale) a Leone (l’uomo si libera dei pesi ma la sua libertà è negativa poiché ancora “ignorante”) a Fanciullo (l’oltre uomo innocente accetta la sua vita sia nel bene che nel male). È questo il risvolto reazionario della teoria. Infatti destinati alla liberazione e al superuomo sono solo pochi uomini che hanno addirittura necessità di servitù. È un modo di essere di pochi. 19 William H.Robinson, Op.cit., p.34. 20 Ibid., p.35 . 21 Gabriella di Cagno, Toulouse-Lautrec, Giunti Editore, Firenze 1998. Fu un pittore francese, tra le figure più significative del tardo Ottocento. Era un’importante artista post – impressionista, e durante la metà degli anni Novanta pubblicò delle illustrazioni per la rivista Le Rire. Era un conte, e la sua famiglia apparteneva alla tipica aristocrazia di provincia, proprietaria terriera, e conducevano una vita agiata. Durante l’infanzia conobbe René Princetau, un pittore sordomuto amico del padre, fu il primo maestro di Tolouse LaUtrec. Successivamente entrò a far parte della scuola di Léon Bonnat, e quando quest’ultimo divenne professore alla scuola delle Belle arti, Toulouse – Lautrec entrò nello studio di Montmartre, dove iniziò a formarsi il suo interesse per la figura, il paesaggio, la natura morta. 22 William H.Robinson, Op.cit, p.37.

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La seconda festa modernista fu organizzata nel 1893 dai redattori dell’Avenç, la seconda rivista più importante nell’ambito catalano del modernismo dopo la Reinaxensa. Non sfugga come in entrambi i casi il titolo alluda al rinnovamento. Fu un’autentica consacrazione del Modernismo. Grazie alla traduzione in catalano dell’opera L’intruse (1890), di Maeterlinck,

eseguita da Pompeu Fabra,

avvenne anche la consacrazione della lingua catalana e prese forma il desiderio di rinascita del teatro, che da quel momento in poi vide una fioritura di opere famose tradotte in catalano.23 La celebrazione dell’opera di Maeterlinck non ebbe solo questo valore funzionale, ma assunse forte significato emblematico. Si trattava infatti di mettere in luce il carattere fortemente esterofilo del movimento modernista, che conviveva senza sforzo con le spinte identitarie quando i temi e gli stili in causa (vedi il caso di Nietzsche e di Wagner) erano quelli del simbolismo e dell’irrazionalismo, reazione, come abbiamo più volte accennato, al conformismo della Reinaxença. Maeterlink, in particolare, fu autore de La vie des abeilles, 1901, un testo che racconta la vita di questi “insetti sociali” sotto la lente mistica della natura, nella quale si fondono le conoscenze scientifiche e la cultura simbolista dell’autore. Questo libro, tradotto in molte lingue, andò ad influire per un largo raggio sull’ambiente simbolista e decadente europeo e sta forse dietro alcune elaborazioni di Gaudí. Nel febbraio del 1900 Pablo Picasso, allora diciottenne, entrò a far parte del gruppo detto Els Quatre Gats. Fondato nel 1897 da Rusiñol, Casas, Utrillo e Pere Romeu, era un circolo dove i giovani artisti dipingevano seguendo le forme del modernismo più esagerato. Il nome, ancora un simbolo di esterofilia, fu scelto per rendere omaggio a Le chat noir di Parigi; il locale scelto da questi artisti per riunirsi era un edificio neo-gotico creato da Josep Puig i Cadalfach, Casa Martì, tuttora esistente e ben conservato. Rispetto a Le chat Noir, Els Quatre Gats, pretendeva che la loro taverna fungesse da punto di riferimento per tutti i modernisti che passavano nella città, giacché Barcellona era l’unica a possedere un centro simile. L’intento di questi artisti era anche quello di aiutare i giovani pittori a creare un’esposizione delle loro opere, in modo da farle conoscere alla borghesia barcellonese, o comunque a persone influenti nel campo dell’arte. Questo fu quello che successe a Picasso nel 1900; prima della sua, nel 1899, c’era stata l’esibizione di Casas che segnò positivamente molti giovani artisti della città.24 23 24

Ibid., p.38. Ibid., p.80.

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Aspetti dello spiritualismo nella cultura barcellonese del primo Novecento Parlando di Maeterlinck abbiamo sfiorato un tema molto interessante della composita cultura del modernismo catalano. Alcune caratteristiche di essa sono infatti riconducibili a un aspetto specifico del rinnovamento europeo che privilegiava lo spiritualismo e il misticismo della natura. L’influsso di John Ruskin in questo senso fu determinante. Molti autori spagnoli, tra i quali Unamuno e Maragall, scrissero articoli che riferivano delle posizioni teoriche di Ruskin, in particolare sulla polemica, già presente in Morris, nei confronti della moderna civiltà industriale. Il sentimento antiindustriale risvegliò in tutta Europa, alla fine del secolo, un nuovo interesse e una nuova sensibilità per la natura. A mano a mano che la crescente industrializzazione riduceva le zone agricole e i territori non coltivati, modificando l’orografia e distruggendo la vegetazione, inquinando i fiumi, umiliando la natura vergine, molti intellettuali maturarono un nostalgico sentimento di natura innocente, primigenia e non modificata dall’uomo. 25 Ruskin, in particolare, considerò la nascita dell’industria una vera e propria catastrofe non solo per l’Inghilterra, suo paese natale, ma per tutta l’Europa. Fino a quel momento si era preoccupato di studiare la natura rappresentata, dedicando in Modern Painters molte pagine alla statura del pittore William Turner e al suo modo sublime. Ma capì che era necessario volgersi alla teoria dell’architettura e del disegno decorativo per meglio affrontare il problema del bello. Fu così che scrisse il famoso testo Le sette lampade dell’architettura, pubblicato nel 1849. In questo trattato Ruskin, ha parole molto dure per l’industrializzazione e ne parla come di un ideale di falsa libertà che invece tende ad oscurare non solo l’innocenza del lavoro individuale, ma anche la bellezza che nasce per manualità. Per questo Ruskin disprezza anche l’ornamentazione fatta a macchina e le decorazioni fuse dell’età industriale, che considera indebite scorciatoie per la rappresentazione della bellezza della natura. Di conseguenza condanna la manifattura moderna in serie che si vale di metalli stampati, finti legni e bronzi, pietra artificiale, materiali che occultando la vera bellezza e la bellezza del vero, 25

Lily Litwak, España 1900: Anarquismo, Modernismo, y Fin de siglo, Anthropos Editorial del Hombre, Barcelona 1990 cap.3, p.62.

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rendono chi vi si accosta solo più ignorante e più arido, oltre che più fragile spiritualmente.26 In Spagna, come protesta contro l’industria, si crearono molti gruppi escursionistici che esaltavano la vita all’aria aperta, e nel contempo le descrizioni della natura presero più importanza nella narrativa di quegli anni. Non si trattava solo della natura com’era stata vista dagli scrittori precedenti: Fernán Caballero, Pardo Bazan, e altri avevano trattato tematiche naturalistiche però sempre subordinandole alla preminenza dell’uomo. Alla fine del secolo una sensibilità nuova propone un’adesione completa a una natura capace di comunicare pensieri e sentimenti, in qualche modo spiritualizzata. Questa attenzione penetrò anche nelle arti. I pittori di paesaggio si distinsero per il sentimento poetico che plasmarono nei loro quadri. Gli elementi della natura formarono anche parte integrale della scultura e dell’architettura dell’epoca. L’esempio più strepitoso sono le opere di Gaudí e sopratutto la Sagrada Familia, dove l’autore dà libero sfogo alla sua mistica della natura coronando i pinnacoli di 50 metri con splendidi motivi vegetali e animali, collocando i suoi magi e pastori in nicchie riempite di fiori e piante e decorando le porte con una grande varietà di piante e animali.27

Il Giapponismo nel Modernismo. Una delle suggestioni che penetrano nel modernismo è sicuramente il giapponismo, che fu fonte d’ispirazione per molti pittori, a partire dagli impressionisti, e passando poi ai post – impressionisti, arrivando quindi appunto fino al modernismo alla fine del XIX secolo.28 La moda giapponista, rappresenta uno di molti esotismi con il quale si giocava alla fine del XIX secolo. Il paese era un posto remoto e strano, punto di riferimento perfetto per una società così chiusa, attenta al moralismo e le convenzioni borghesi come fu la Spagna alla fine del secolo. Il Giappone divenne un ideale lontano, utile nel processo di affrancamento dai valori borghesi, e capace di proporre un nuovo orizzonte letterario, artistico, etnico, sessuale, sociale e tecnico. 26

Ernst Hans Gombrich, Il senso dell’ordine. Studio sulla psicologia dell’arte decorativa. Phaidon Press Limited, Oxford 2010 (ed. or. 1979) pp.58-59. 27 Lily Litwak. Op.cit., cap. 3, p.63. 28 Ibid., p.39.

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L’interesse artistico per il Giappone si può datare nelle esposizioni internazionali di Londra, nel 1862, Parigi nel 1876 e 1878, e Barcellona nel 1888, che offrirono al vasto pubblico l’occasione di vedere oggetti artistici di quel paese lontano. In questo periodo, molti facoltosi spagnoli, iniziarono a ridecorare le proprie abitazioni con elementi giapponesi, donati loro da amici, o recuperati duranti i viaggi che si iniziarono a fare in quel lontano paese.29 La nuova moda giapponese, si può vedere nella Spagna del XVIII secolo, in opere come il Palacio Real, il Salon Gasparini (1764)30, che presenta volte di stucchi, con temi dell’estremo oriente, ma possiamo dire che la moda giapponese iniziò ad essere portatrice di idee nuove e temi nuovi solo alla fine del XIX secolo. Come esisteva l’interesse per l’architettura giapponese così anche gli scrittori e altri artisti iniziarono ad esserne influenzati. La letteratura giapponese veniva guardata con grande interesse. Venivano tradotti racconti, e novelle, preceduti da introduzioni nelle quali si spiegava agli scrittori spagnoli la predilezione per questi nuovi libri, molto diversi da quelli europei. Una casa editrice catalana, iniziò a pubblicare racconti per bambini, col nome di Quentos del Vell Japon. Erano narrazioni per bambini, magnificamente illustrate, che lasciarono il segno nell’immaginazione della successiva generazione nelle sue squisite sculture. 31 Oltre l’influenza diretta dell’arte giapponese, bisogna considerare pure quei pittori europei che orientarono l’élite artistica spagnola al percorso giapponese, come: Degas, Toulouse Lautrec, Gauguin, e l’americano Whistler, ben conosciuti per le loro opere, commentate spesso nelle riviste spagnole, dove apparivano riproduzioni dei loro lavori nei quali si riconosceva la il gusto giapponese. 32 Va anche ricordato che, nel modernismo, il più importante mezzo di diffusione delle forme grafiche fu la rivista tedesca Jugend, che era una delle più impregnate di giapponismo. Molti pittori e disegnatori spagnoli ricercavano la loro fonte d’ispirazione nelle pagine di questa rivista. Tutto questo fece sì che le forme dell’arte giapponese si infiltrarono nella sensibilità artistica spagnola, alla fine del secolo, a volte anche inconsapevolmente. Il giapponismo liberò l’arte europea dall’illusionismo naturalista di gusto positivista. La pittura veniva usata dunque come una composizione di alto valore 29

Ibid., p.42. Madrid. 31 Ibid., p.41. 32 Ibid., p.43. 30

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decorativo, improntata alla pluralità ed eseguita con colori brillanti. Invece di usare una prospettiva basata su un solo punto di vista, la profondità si rappresentava tramite la frammentazione, come viste parziali, o suggerita da angoli poco comuni. Si recuperò il riconoscimento del valore artistico dell’effimero, si abbandonarono i toni scuri in favore di quelli chiari, si rinunciò all’ombra, e infine, si decise di abbandonare l’imitativo e fotografico in favore del decorativo. Il risultato di tutte queste innovazioni fu la scoperta della libertà della linea e del colore, concezione che più tardi giungerà all’astrazione delle avanguardie.33 Il giapponismo inoltre fu particolarmente interessante per l’arte del modernismo perché rispettava i motivi della natura. Gli europei incorporarono nel loro repertorio artistico, una grande quantità di piante e animali che era appartenuta all’immaginario medievale ma non si era usata o che era caduta in disuso dopo il Rinascimento. La stilizzazione permetteva di usare tutti i tipi di animali e di piante, dai più umili e disprezzati, e convertirli in ornamenti: rane, libellule, gatti, corvi, lucertole, serpenti, semplici fiori di campo. Va anche rilevato che la scelta cadeva spesso su animali e piante che per il loro esotismo e le forme complicate si adattavano bene al gusto per la stilizzazione in genere e soprattutto per l’arabesco che è la base dell’arte modernista. Gigli, peonie, orchidee, crisantemi, cigni, gru, rimasero incorporati al modernismo in modo che, si perse l’idea della loro provenienza e si convertirono quasi in emblemi dell’epoca. 34 Gli impressionisti avevano scoperto nella natura un mondo di vibrazioni luminose, e per catturare l’istante, avevano disintegrato il mondo che li circondava. Le mete del modernismo erano totalmente differenti: sintetizzare, catturare la natura nelle sue linee di forza, ottenere immagini da trasformare in composizioni decorative. L’impressionismo intercettava la variabilità del tempo e della luce in macchie di ombre colorate, il modernismo riduceva la visione ad aree di colore uniforme, racchiuse da linee e da netti contorni. Per questo, il fiore stilizzato è un motivo di predilezione, e allo stesso modo viene trattato l’albero con i suoi rami, le piante con le sue foglie, tutto viene appiattito, modificato, piegato alle esigenze dell’ornamentazione. Tra i principali fiori provenienti dal giapponismo, abbiamo il giglio, la volubilis, l’anemone, il papavero, l’ortensia, il crisantemo. Tutti questi fiori dalle grandi curve e dalle forme eleganti o sinuose sono percettibili per la stilizzazione. Il giglio, è 33 34

Ibid., p.46. Ibid., p.46.

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l’emblema del modernismo, è il fiore ideale per la sua bellezza che provoca tensione in ogni composizione ornamentale. Tutto in questa pianta, dai petali sinuosi, i lunghi steli e le sue foglie come spade, si presta alla stilizzazione, e il disegno pronunciato dei suoi contorni. Un altro fiore tipico nel modernismo è sicuramente il crisantemo, era uno dei fiori più in voga in quegli anni. «Sòn les flors d’encìs de les terres exòtiques, de les terres ignotes de llegenda, de les terres dels princeps coberts de sederies que parlen una llengua inconeguda. Sòn les flors dels grans somnis misteriosos, plàcids, sense esperances, sense desirs ni febres»35. Altro esempio floreale di questo periodo era l’ortensia. Il tratto principale di questo fiore era il ritmo decorativo lineare, con l’ingrossamento della linea nelle curve. Nelle riviste moderniste questo fiore stilizzato compare nei disegni e nelle vignette, ma anche organicamente impigliato negli spazi bianchi in un lato del testo, secondo la moda giapponese, apparentemente casuale, separato da linee oblique, semicircoli o rette, mentre il testo è talora collocato all’interno degli ornamenti, spesso con tagli asimmetrici e intimamente unito con la decorazione.36 Oltre i fiori, grazie al Giappone, e al giapponismo, entrarono nell’arte spagnola anche gli insetti, tra questi le farfalle e le libellule che divennero temi popolari alla fine del secolo. Anche le api divennero simbolo del modernismo, come motivi ornamentali con il loro collo ondulato e le loro ali appuntite, capricciosamente aperte. Il modernismo inoltre, usò abbondantemente temi con rami d’alberi, come fondo dello spazio, formando reti o tralicci come composizioni ritmiche di pizzo, in grassetto arabesco decorativo. Un altro elemento del giapponismo, è l’onda, tema che influenzò in maniera decisiva le arti grafiche e la pittura europea. L’onda stilizzata si convertì in un motivo decorativo molto popolare alla fine del secolo. Uno dei lavori più conosciuti su questo tema fu La grande onda di Kanagawa di Hokusai. Anche le rocce che si intravedono nel mare erano un motivo preso dall’arte nipponica, anche se, già i pittori europei del romanticismo, le avevano dipinte al principio del XIX secolo, e pure negli anni successivi. Fu però solo alla fine del secolo che le rocce divennero simbolo decorativo apparendo come spuntoni dentati che sporgono dall’acqua, scogliere taglienti e affioramenti rocciosi, circondati da spuma.37 35

Cfr. Victor Català, Les crisantemes, 1901, pp.786-787 in Lily Litwak. p.49. Ibid., p.51. 37 Ibid., p.54. 36

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Questi sono solo alcuni dei temi portati dal giapponismo nel modernismo catalano. Con questa corrente di influsso giapponese iniziò un nuovo modo di focalizzare i dettagli, per mezzo di composizioni in diagonale e in contra diagonale che dirigevano lo sguardo verso la distanza, improvvisi tagli di rami, alberi o fiori che stimolavano l’immaginazione per proiettarla nella distanza, viste dal basso, da un lato, dall’alto, in angoli pronunciati, per dare l’impressione del momentaneo e diretto. Ci furono anche formati nuovi, come il makimono (il formato verticale) che suggeriva nuove maniere di organizzare i piani pittorici eliminando l’illusione impressionista della profondità e ampliando la composizione in una serie di livelli e strati. Soprattutto il contributo del giapponismo, consistette nella distribuzione del colore come superfici piane e la valorizzazione delle linee dei contorni come arabeschi decorativi.38

Lo sviluppo degli Ex libris modernisti. I colori delle copertine dei libri riflettevano lo stato d’animo degli autori, e degli scritti stessi. La rinascita delle arti decorative, orientò l’immaginazione degli artisti alla ricerca di innovazioni per i libri; nuovi formati, colori appropriati al testo e sofisticati caratteri tipografici. I ruoli dei saltimbanchi seguirono il gusto modernista e le finiture spagnole, ispirate alle opere dei laboratori inglesi e francesi, e si convertirono in vere opere d’arte con pregiate copertine, spesso arricchite con bassorilievi e intarsiati con pietre, madreperle o cristalli.39 Dunque non si rinnovò solo l’arte della finitura, ma anche tutto quello che era relazionato con i libri. La rinascita dell’arte degli ex libris forma parte di un nuovo interesse. Questi piccoli marchi di identificazione del possessore dei libri erano caduti in disuso per tanti anni e ebbero una grande rinascita a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo. Da qui in poi, e soprattutto durante il modernismo, quest’arte si rinnovò e arrivò ad avere una qualità che non aveva mai avuto. Il desiderio di indicare, per mezzo di allegorie o emblemi, il pensiero, o le aspirazioni, atti o tendenze degli uomini in forma descrittiva e condensata, è molto antico. Infatti già i cavalieri adornavano i loro scudi con rappresentazioni delle teste di animali. I romani ostentavano nelle loro armi gli attributi della legione alla quale 38 39

Ibid., p.55. Ibid., p.75.

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appartenevano. Le prime stampanti, adottarono disegni distintivi per le opere uscite dai laboratori, esistevano quelle di Barcellona, Valencia, Venezia, Amsterdam, e tutti avevano il loro simbolo riconoscibile. Anche gli Ex Libris esistevano da tanto tempo come marchi di possesso o identificazione. Però se si comparano gli antichi con i moderni del principio del secolo, si avverte un’ enorme differenza. I primi si riducevano a opere quasi inconsapevoli dei bibliofili per testimoniare il possesso, molte di queste marche erano solo la firma autografata del proprietario o semplici targhette da visita. Anche se i temi araldici si riducevano a creste di disegni più o meno corretti, senza pretese artistiche. Questi marchi furono sostituiti al principio del secolo da piccole opere d’arte raggiunte grazie alla correzione e la qualità del disegno, sia per la fantasia creativa dell’artista, sia per la modernità. 40 È difficile localizzare il paese d’Europa dove nacque la moderna evoluzione dell’ex libris, che ebbe uno sviluppo quasi simultaneo in Francia, Inghilterra, Germania e Spagna. Alcuni autori attribuiscono il nuovo interesse che si dimostra in Spagna, alla moda che certi scrittori, principalmente catalani, adottarono. Questi autori utilizzarono emblemi, divise o marchi, per caratterizzare la portata delle loro opere o alla fine di queste. L’ex libris modernista combina in diversi modi il nome del possessore, scritto o espresso per mezzo di simboli, la parola ex libris e qualche pensiero, allegoria o tema centrale. Molte volte si completano con iscrizioni che descrivono il tema trattato. Hanno abbondanti elementi decorativi. Il disegnatore utilizzava motivi floreali e faunistici. Steli con foglie e fiori capricciosi, contorti in curve graziose, che incorniciano l’immagine o che servono come motivo centrale. Ci sono pure animali rari e fantastici. Si applica abbastanza l’immagine come fonte di interlacciamento geometrico, combinazioni di rette o rette e curve, attraverso le quali si divide o si isolano determinati motivi o scene. Le allegorie o gli emblemi, occupano generalmente il centro e trasmettono il peculiare carattere personale d’accordo con il tema; era distintiva anche la scrittura, il tipo di lettere, l’etichettatura e le iscrizioni.41 In Spagna, fu soprattutto in Catalogna, dove si vide la maggiore fioritura di quest’arte. I principali esponenti furono Alejandro Riquer e Jose Triado. Hanno tutti e due caratteristiche simili: la sobrietà delle composizioni, ridotta alla sua minima 40 41

Ibid., p.76. Ibid., p.77.

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espressione; una figura, una testa, a volte solo un dettaglio e la leggenda. Un'altra nota comune è l’eleganza del tratto; virile in Triado; un po’ femminile in Riquer. Gli Ex libris di questi due artisti sono, completamente differenti.42 La rinascita di quest’arte, si deve attribuire al modernismo e all’impulso che alla fine del secolo ebbero le arti decorative nella Penisola Spagnola. Si può aggiungere che lo studio di queste piccole opere d’arti non solo può rivelare la personalità dei bibliofili ai quali sono destinati, ma anche l’arte dei disegnatori e, cosa importante, il gusto, la moda e i postulati estetici dei primi anni di questo secolo. Per tutto questo possiamo dire che, gli ex libris mostrando chiaramente le tendenze artistiche dell’epoca, formano un documento valido per aiutarci a capire il modernismo letterario, le sue linee guida e le influenze che lo orientarono.43

42 43

Ibid., p.78. Ibid., p.99.

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Antoni Gaudí i Cornet La vita. Gaudí nacque nel 1852 nella provincia di Tarragona, nella Catalogna Meridionale. Il luogo di nascita si disputa tra la cittadina di Reus e la cittadina di Riudoms. I genitori erano calderai44 e Gaudí attribuisce alla sua famiglia, la sua inventiva, la sua fantasia e le sue capacità. Frequentò il collegio dei Padri Scolopi a Reus, e solo più tardi studiò architettura a Barcellona, interessandosi soprattutto agli insegnamenti pratici. Gaudí stesso, anni dopo, raccontò che, tra le varie materie, era annoiato soprattutto dalla geometria analitica, disciplina che secondo il suo parere, riduce le forme geometriche in formule algebriche, a discapito dell’architettura.45 Dal 1868, anno in cui il ventiduenne Gaudì iniziò a studiare a Barcellona, la città stava crescendo e cambiando tumultuosamente e vi si coglievano i primi segnali dell’apparizione di nuovi movimenti culturali identitari, come la Reinaxença e il Modernismo. Si diplomò nel 1878 alla Scuola Superiore di Architettura, che gli fornì una preparazione tecnica e storica, basata sull’analisi dei monumenti antichi, ma contemporaneamente frequentava corsi di estetica e filosofia, e si interessava di teatro, musica, biologia e medicina. Tra i suoi primi lavori sono rimaste alcune esercitazioni studentesche che rivelano come assimilasse le lezioni accademiche. Si può infatti notare nelle sue opere la composizione simmetrica e la distinzione tra elementi portanti e portati: oltre a rivelare un’ottima tecnica di base, però, Gaudí inizia a sperimentare e studiare le forme romaniche e rinascimentali, gli ornamenti moreschi e i temi dell’architettura navale.46 La sua formazione fu ampia. Studiò i testi di John Ruskin e Viollet –le-Duc, ma anche la tecnica dei nuovi materiali da costruzione come il cemento. Nel 1878, a Parigi durante l’Esposizione Universale, avvenne l’incontro fondamentale, quello con

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Artigiani che fabbricando pentole e altri utensili, riuscivano a vedere un oggetto tridimensionale da una lastra di metallo. 45 Juan-Eduardo Cirlot, Pere Vivas, Ricard Pla, Gaudí; Introduzione alla sua Architettura, Triangle Postals, Barcelona 2001, pp. 280-286. 46 Ibid., pp. 25-28.

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l’industriale Eusebi Güell i Bacigalupi47, un famoso imprenditore e politico spagnolo, che divenne il suo principale mecenate commissionandogli alcune delle sue opere più famose. Dopo aver collaborato con Joan Martorell48, nel 1883, a soli 31 anni, venne nominato architetto capo della costruzione in città del tempio Espiatorio della Sagrada Familia, cominciando a costruire la cripta e poi l’abside. Si tratta di una costruzione monumentale e complessa, tuttora in fase di costruzione, che assorbì le sue energie fino alla morte. Nello stesso 1883, Gaudí, cominciò a costruire la Casa Vicens, che pur partendo da un’impostazione geometrica della tradizione del Nord Europa, come dimostra l’uso del mattone, la interpreta con elementi mudejar e con l’azulejo. Nel 1887 il conte Güell gli affida la costruzione della sua residenza di città, il Palazzo Güell, in cui Gaudí usa per la prima volta gli archi parabolici che saranno un elemento costante del suo linguaggio architettonico. Negli anni 1898 – 1900 fu costruita la Casa Calvet, un edificio in pietra che ottenne il premio assegnato dal comune di Barcellona per il miglior edificio realizzato in città, confermando il successo professionale di Gaudí. A partire dal 1900, nascono i maggiori capolavori, quasi tutti a Barcellona: il parco Güell in cui natura, scultura e architettura si confondono in una grande maestria artigianale nell’uso dei materiali; la Casa Batllò (1904-1907) con la facciata rivestita da un mosaico di paste vitree colorate. La Casa Milà (1906-1912) dalla movimentata e plastica facciata in pietra, l’ultima opera civile dell’architetto, che dal 1914 si dedicò esclusivamente ai lavori della Sagrada Familia, accentuando la tendenza alla solitudine, tanto da vivere per lungo tempo in una stanzetta nel cantiere. Gaudí, è conosciuto soprattutto per questa che è considerata la sua opera maestra. In realtà, esistono altre sue opere meno famose49 che hanno caratterizzato un movimento artistico durato 50 anni, il Modernismo Catalano. 50 47

“Eusebi Güell i Bacigalupi”, in Juan Bergos I Massó, Gaudí. L’Uomo e L’Opera, Jaka Book, Milano, 1999, p. 63 Il padre del conte Güell, aveva ammassato fortuna a Cuba e grazie pure alle molte attività che intraprese e promosse al suo ritorno a Barcellona; la madre era figlia di mercanti genovesi che si erano trasferiti a Barcellona alla fine del XVIII secolo. Come il padre, si dedicò agli affari creando nuove attività nei settori più promettenti ma intervenì persino nella politica diventando Senatore del Regno. Era un uomo di ampia cultura, scrisse libri inerenti a diverse discipline e fu anche un attivo propulsore della cultura catalana. Grazie all’amicizia con Gaudì il suo nome è conosciuto in tutto il mondo. 48 “Joan Martorell”, in Juan Bergos I Massó, Op.cit. p.35 Maestro di Gaudì, gli affidò la costruzione della Sagrada Familia. 49 Come La Cappella della chiesa del Monastero di Montserrat (1875-1877), le Opere del Parco della Cittadella (1877-1882), I Lampioni di Plaza Real e della Barceloneta (1878), Il Padiglione di caccia della Finca Güell (1882), Villa Quijano (1883-1885), Padiglioni e cancellate della Proprietà Güell (1884), Padiglioni arabi (1887-1888), Palazzo Güell (1886-1889). 50 Juan-Eduardo Cirlot, Op.cit. p.21-22.

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Gaudí aveva una forte personalità che gli permetteva di creare opere fortemente originali. Era un uomo di fede e proprio la fede lo trasformò in un uomo sereno, equilibrato, esemplare, che solo eccezionalmente aveva delle esplosioni di cattivo umore.51 Aveva un’immaginazione prodigiosa, che gli permetteva di filtrare nello spazio le forme naturali o geometriche che aveva memorizzato isolando gli elementi essenziali. Diceva di aver ereditato questa dote dal padre e dai suoi antenati calderai, un mestiere che li obbligava a realizzare le forme direttamente nello spazio, partendo da una lastra di metallo. Questa eccezionale qualità, di cui affermava di ringraziare Dio ogni giorno, si accompagnava al senso della misura, che gli impediva di sprofondare nella follia e di governare la sua fantasia. Nella sua cultura confluivano due componenti forti e in qualche modo opposte che lo portavano a studiare i problemi di portanza e di statica e di concepire una visione mediterranea in cui emerge la passionale immaginazione delle sue origini. Fu tale connubio a rendere unica l’esperienza artistica di Gaudí.52 Egli riteneva che il progettatore si dovesse occupare di ogni particolare di un’ opera, in quanto « L’indolenza è più intellettuale che materiale e non bisogna ma i contare sul fatto che gli operai si sforzino troppo di pensare».53 Andava alle radici dei problemi con estrema velocità, ammirava la rapidità mentale «Sono in grado di pensare tutto quello che pensò san Tommaso, solo che io avrei bisogno di secoli interi». Grazie al suo acume Gaudí, possedeva una conoscenza intuitiva della natura e i monumenti storici dei quali scopriva utilità e finalità dimenticate, che poi venivano confermate dagli studi archeologici e dagli archivi. Caratteristica di Gaudí, di qualsiasi cosa si occupasse era il miglioramento: «L’uomo non può fare a meno dei gradini, alti o bassi che siano: deve sempre salire gradino dopo gradino, in intelligenza, in virtù, in forza..»; « L’uomo deve sempre migliorare». Non amava i complimenti, diceva che: «Non ci si deve fidare di chi adula, perché dietro le lusinghe c’è l’inganno»; « L’eccesso di cortesia è cattiva educazione».54 Interprete sottile dell’inquietudine profonda del suo tempo, che è un momento di crescita e di cambiamento, negli anni della giovinezza, era solito condividere le sue 51

J.Bergos I Massó, Op.cit. p. 29. Ibid., p.29. 53 Ibid., p.30. 54 Ibid., p.30. 52

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impressioni con i poeti Verdaguer e Maragall, con gli ecclesiastici Torras y Bages e Jaume Collell, con gli scrittori Ruyra e Carner, con l’architetto Joan Martorell, e con altri grandi uomini della Reinaxença catalana ai quali fu legato da profonda amicizia. Nonostante nel suo lavoro fosse decisamente un solitario e un isolato, Gaudí prestava molta attenzione agli eventi che coinvolgevano la società e seguiva assiduamente la politica locale e nazionale. Si sentiva molto legato alla Lega Regionalista, che difendeva gli ideali regionalisti e caldeggiava la grande Spagna concepita da Cambò55. Quest’ultimo gli propose di presentarsi alle elezioni come consigliere, ma egli rifiutò. Riteneva che la mancanza di senso politico impedisse alla Catalogna di prosperare e pertanto che stare all’opposizione fosse la soluzione alle difficoltà della civiltà spagnola « Per procedere con sicurezza, c’è bisogno di entrambe le gambe, e non si deve sollevarne una se l’altra non poggia saldamente a terra; in caso contrario, invece di camminare con passo fermo faremmo dei salti tortuosi fino a cadere. Per questo in politica è indispensabile l’opposizione». E vedeva la realizzazione personale attraverso l’arte, la cultura, e un buon livello economico che avrebbe risolto la questione sociale. 56

L’artista. Gaudí ha una nozione dell’arte che gli deriva per buona parte dalla conoscenza dei testi di John Ruskin: c’è senz’altro qualcosa de “Le sette lampade dell’architettura”57 nella sua affermazione: « La bellezza è lo splendore della Verità; senza verità non c’è arte. Per trovare la Verità bisogna conoscere bene gli esseri del 55

“Francesc Cambó i Batlle”, in Juan Bergos I Massó, Op.cit. p. 32, (Verges 2 settembre 1876 – Buenos Aires, 30 aprile 1947) è stato un politico spagnolo. Di orientamento conservatore, è stato fondatore e leader della “Liga Regionalista”, oltre che ministro di diversi governi spagnoli. Nel 1901 fondó la “Liga Regionalista della Catalogna” un partito conservatore, e venne eletto consigliere del comune di Barcellona. Venne eletto deputato per Barcellona nel 1907, poi venne sconfitto nel 1910. Cambó propose lo statuto dell’autonomia per risolvere il “problema catalano” ma dovette accettare la “Mancomunidad” come soluzione di compromesso. 56 Ibid., p.32. 57 “…John Ruskin non è poeta, storico dell’arte, naturalista, architetto, ecologo, filosofo, sociologo, economista, scrittore; o forse, egli è tutte queste cose insieme, laddove esse si incontrano nella loro radice comune che da significato reale al principio della unità ed universalità della cultura.(..)” Estratto da Le sette lampade dell’architettura, Jaka Book, Milano 1982.

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Creato». È per questa ragione che Gaudí trova nella natura l’elemento del rinnovamento artistico; uscito dal modernismo Europeo e da Ruskin in particolare, non cade nella semplificazione del modern style e lo supera con un naturalismo tanto profondo quanto lirico. Il suo ritorno alle origini, dunque, non significa volgere lo sguardo al primitivismo e nemmeno all’arcaismo, ma come per altri artisti del suo tempo proietta le propria attenzione sulla natura, per utilizzarne le forme e le regole nelle sue opere. Compie in qualche modo un percorso a ritroso per ritrovare le origini delle forme architettoniche; ed è così che il menhir si è trasformato in obelisco, il tronco dell’albero diventa colonna dorica e il folto del bosco cupola.58 Gaudí situava la latitudine al centro del suo interesse e collegava luce, clima e mentalità mediterranee, opponendole a quelle nordiche che pure tanto avevano contato nel rinnovamento: «La virtù sta nel mezzo; “Mediterraneo” significa nel mezzo della terra. Sono sulle sponde, dove la luce mediana e a 45 gradi – quella che definisce meglio i corpi e ne mostra la forma-, son fiorite le grandi culture artistiche proprio grazie a questo equilibrio di luce: né troppa né troppo poca, poiché sia l’una sia l’altra accecano e i ciechi non vedono. Nel Mediterraneo si impone la visione concreta delle cose, sede della vera arte…».59 A dispetto della sua formazione scolastica Gaudí può essere considerato un autodidatta e comunque non diede origine a una scuola. Anche se non ha potuto avere allievi i principi vivificatori dell’architettura che egli introduce nelle sue opere indicheranno per forza di cose un modello glorioso e di storica fertilità.60 Può darsi peraltro, che parte dell’eredità di Gaudí si ritrovi splendidamente in Santiago Calatrava, ad esempio nella Città delle Arti di Valencia. Fu un artista fecondo e attivo senza interruzione fino alla vecchiaia. Sembrava non sentire il tempo che passava e come nel caso di molti altri artisti, ad esempio Tiziano, le sue opere più intense sono quelle più tarde. Il tempo, del resto, sembra interessarlo meno dello spazio. Spiegava la parentela che esiste fra le diverse arti spaziali nei seguenti termini: «La luce è la madre delle arti plastiche. L’architettura è la misura e l’ordinamento della luce; la scultura è un gioco di luce; la pittura è la riproduzione della luce mediante i

58

J.Bergos I Massó, Op.cit. p.34. Ibid., p. 35. 60 Ibid., p.35. 59

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colori, i quali sono la scomposizione della luce stessa».61 Ma anche nell’architettura prevale l’aspetto strutturale: «La pittura attraverso il colore e la scultura mediante la forma rappresentano gli organismi esistenti: figure, alberi, frutti…esprimendone l’interiorità attraverso l’esteriorità. L’architettura crea l’organismo e perciò deve avere una legge in armonia con quelle della natura; gli architetti che non si attengono a questo principio realizzano un pasticcio invece di un’opera d’arte».62 E ancora: «L’architettura è la prima: archi- ossia primo. Tutte le altre opere ne hanno bisogno: musei, sale da concerto e per spettacoli…»63, rafforzava il concetto dicendo che l’architettura è l’arte più premiata dal punto di vista sociale, definendo l’architetto come l’uomo della sintesi, che vede con chiarezza l’insieme prima ancora di realizzarlo, che situa e compone gli elementi nel loro rapporto plastico e alla giusta distanza;

ed affermava che tale

intuizione che precede la realizzazione include la qualità statica e il senso della policromia. Le dichiarazioni di principio e di metodo alle quali abbiamo fin qui accennato corrispondono alla pratica applicativa della sua architettura. Al primo posto va citata la grande continuità degli elementi portanti, che lo porterà a creare negli edifici una corrispondenza stretta fra esterno e interno, tra struttura e ornamento. Nello stesso spirito, Gaudí ampliava consapevolmente i programmi utilitaristici proposti dalle comuni utenze, però quasi sempre finiva per scontrarsi con i limiti materiali e con lo scarso contenuto spirituale degli edifici civili. Per questo motivo, come vedremo meglio, nella Casa Milà egli intese realizzare un immenso edificio con un cortile centrale e una duplice rampa, affinché gli inquilini potessero salire ai vari piani direttamente con le loro vetture, ma in seguito dovette rinunciare e costruì invece due grandi case di spaziosi appartamenti in affitto. Non meno interessante è l’utilizzazione di tutte le risorse della scienza meccanica, dell’industria e dei materiali da costruzione. Questa confidenza con la tecnologia gli permise di divenire un formidabile innovatore tecnico degli elementi architettonici. Di conseguenza, benché sembri un paradosso, è l’architetto che più ha influenzato i suoi contemporanei. Innovazioni di grande rilievo contemplano il rifiuto dei tetti a terrazza come sola copertura e la costruzione delle coperture, con gli elementi in ferro isolato, Gaudí è il primo fra i costruttori e gli architetti che nel suo paese, 61

Sic. Ibid., p. 36. Sic. Ibid., p.36. 63 Sic. Ibid., p.36. 62

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realizza le travi in cemento armato e inoltre costruisce archi e volte equilibrati, dall’asse rigorosamente meccanico. È il primo a reintrodurre le hall a cupola, poi così diffuse; fa uso delle colonne inclinate; è il promotore delle porte gemelle; colui che per la prima volta a Barcellona usa il pozzo Mouras, e che risolve con grazia ed efficacia la ventilazione e l’illuminazione graduale dei piani delle case; colui che trova un sistema di campane tubolari, un’opportuna illuminazione elettrica per la Sagrada Familia e un procedimento di costruzione di superfici vetrate impiegato nella Cattedrale di Maiorca, che costituiscono le soluzioni tecniche più notevoli applicate ai più complessi problemi di acustica e di ottica in campo architettonico.64 La complessità costruttiva dei suoi edifici tiene conto della funzionalità in modo assai accurato e sempre mette al centro il destinatario che è l’uomo: la distribuzione degli elementi, i punti di accesso, i collegamenti fra i locali e il modo in cui sono ripartiti i servizi sono perfetti; gli scalini, le rampe, i corrimano, i parapetti, i sedili e gli arredi sono di una straordinaria comodità; la collocazione e la forma delle maniglie, manovelle, persiane, e via di seguito, sono le più adatte per il loro uso; le dimensioni, l’illuminazione, la ventilazione e il riscaldamento dei locali delle sue costruzioni civili sono dei veri e propri modelli di umanizzazione dell’architettura.65 Le innovazioni e l’accuratezza delle tecniche dell’esecuzione non dipendono solo dal progetto. Gaudí, era uno straordinario esecutore e un espertissimo direttore dei lavori. Sceglieva gli operai più esperti per ogni tipo di lavoro, completandone la preparazione per tutto quanto andava oltre le abituali tecnologie richieste dall’incarico. Il principio di unitarietà dell’edificio, al quale abbiamo accennato, fa sì che nelle opere di Gaudí la decorazione non sia mai un’aggiunta posticcia, realizzata a posteriori, ma una concezione, naturale estensione della struttura interna che emerge dal fondo dell’opera e ne esalta la bellezza. È così che la sua composizione plastica si completa mettendo in risalto gli elementi costruttivi, evidenziandone le funzioni meccaniche e persino il senso utilitaristico. 66 La concezione scultorea di Gaudí è profondamente strutturale e si basa sullo scheletro vivo; questo non soltanto determina la postura, ma costituisce la base del carattere della figura, perché è la parte che non varia.67 Per questo Gaudí non esita a servirsi del calco diretto dei modelli, cosa che, malgrado le difficoltà e gli inconvenienti 64

Ibid., p.37. Ibid., p.38. 66 Ibid., p.38. 67 Ibid., p.39. 65

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del procedimento, permette più rapidamente di altre soluzioni di ottenere soddisfacenti elementi scultorei di base.68 La sua attenzione per la natura lo porta a metodologie esecutive singolari. In particolare analizza la fauna in movimento, «perché un altro modo di cogliere lo scheletro consiste nell’osservare e nel prendere appunti sul modello in movimento». Quando non gli era possibile disporre gli animali vivi, faceva scorrere in quelli morti un fil di ferro lungo la colonna vertebrale, parte fondamentale dello scheletro, per collocare il modello nella posizione prescelta. L’asinella del gruppo scultoreo della fuga in Egitto, nel Tempio della Sagrada Familia, venne realizzata con un calco. Si dice che Gaudí avesse acquistato la vecchia asinella da una venditrice ambulante che passava spesso a Barcellona, e vedendo che l’animale si opponeva alle operazioni necessarie per il caldo, la fece imbragare intorno al ventre, sentendosi sospesa, l’asinella rimase quieta e gli operai riuscirono a fare il calco con facilità.69 Una volta realizzato il calco, seguiva il difficile compito di correggerlo, e contestualmente modificare la figura a seconda del carattere del personaggio progettato. Poi bisognava realizzare l’indumento con le stoffe più adatte e si dava loro consistenza spruzzandole con il lattice di gesso. La figura completata in questo modo veniva riprodotta per punti. Si otteneva un modello pari a un quarto dell’altezza definitiva. Si deformava il modello allo scopo di annullare l’effetto ottico. Alla fine si ingrandiva il modello fino a raggiungere le dimensioni definitive e lo si collocava al suo posto apportando le necessarie correzioni in base alla luce e all’influenza degli elementi architettonici e ornamentali più vicini.70 Già nelle prime opere, Gaudí per quanto attiene all’uso dei materiali, dimostra la sua attenzione per i contrasti fra il rosso dei mattoni e il giallo pallido della muratura, fra i verdi e bianchi rilucenti della ceramica; di frequente, evidenzia il tono scuro del ferro accostandolo alle pietre chiare. Per ottenere dei contrasti usa la gamma dei gialli e dei verdi per differenziare gli elementi in primo piano rispetto a quelli di sfondo. L’invenzione più sorprendente è l’uso del trencadis, un mosaico di cocci di ceramica e talora di vetro, che crea effetti di grande varietà cromatica e grafica. Con questo riveste le sue opere più importanti; ad esempio: la ricchissima gradazione cromatica di tutta la facciata di Casa Batllò e il tetto di Casa Milà. In quest’ultima 68

Ibid., p.39. Ibid., p.39. 70 Ibid., p.39. 69

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avrebbe voluto usare il trencadis per accompagnare il gruppo scultoreo della Vergine del Rosario, che doveva essere realizzato in pietra e mosaico veneziano, con complementi in metallo e cristallo dorato, sopra alla mansarda di marmo bianco. Infine, anche nella sua opera principale, il Tempio della Sagrada Familia, progetta di dipingere gli archivolti dei portici, ma conferisce una colorazione policroma a uno dei modellini e impiega il mosaico veneziano per le parti finali dei frontespizi e dei campanili all’esterno, come per ricoprire volte e parapetti all’interno, in armonia con quanto si vede nelle più ricche basiliche romane e bizantine.71 Ma l’effetto più scenografico, perché applicato su ampia superficie, è come si vedrà più avanti l’uso del trencadis nel Park Güell, dove l’effetto misterioso dei rivestimenti già presente in Casa Batllò evoca rettili risplendenti.

L’evoluzione innovatrice. Quando Gaudí iniziò a esercitare la professione, tutti gli artisti del suo tempo guardavano al passato, al romanticismo, talora corretto dagli orientamenti ruskiniani. Anch’egli si volse al passato, però considerandoli partenza per ampliare l’eredità lasciata dalle generazioni precedenti. La sua prima riflessione fu sul concetto di plasticismo e sull’importanza di questo per l’estetica degli stili architettonici. Dell’analisi degli stili del passato isolò il tipo di modulazione che ciascuno operava e comprese che doveva intervenire su questo. Recuperò pertanto elementi di vari stili, come il dorico, il gotico, e il barocco, ma li inserì in un sistema innovativo calibrato sulla modulazione della natura o sul modulo minimo. Il gotico e il barocco, l’uno per le forme strutturali, l’altro per la potenza vitalistica, sono gli stili che ritornano con insistenza nelle complesse elaborazioni del maestro. Ma la novità consiste nell’accostarli ad elementi di modernismo nordico, come il ferro, e mudejar come gli azulejos.72 Non risulta semplice classificare le opere di Gaudí in un insieme uniforme, poiché molte delle sue opere vennero iniziate quando se ne stavano creando o terminando altre. Per cui si è soliti raggruppare in varie epoche le opere dell’artista. In questa sede ci occuperemo di quelle che più dimostrano il suo gusto naturalistico e

71 72

Ibid., p.40. Ibid., p.50.

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l’influsso del mudejar. Si farà comunque un accenno agli altri periodi e stili dell’architetto catalano. Nel primo periodo troviamo le opere che Gaudí realizzò quando lavorava come assistente di altri architetti, e altre piccole committenze eseguite negli ultimi anni di studio o poco dopo, come la Cappella della chiesa del Monastero di Montserrat (1875 1877), le Opere del Parco della Cittadella ( 1877-1882), i Lampioni di Plaça Real e della Barceloneta (1878).73 Passando poi a parlare del mudejar – moresco, troviamo alcune opere realizzate al di fuori del centro urbano, caratterizzate dalla presenza di fasce orizzontali ai primi piani e, all’ultimo, da un’euritmia di lesene la cui parte superiore è chiusa ad archi a forma di mitri; esse presentano, inoltre, l’uso di mensole ottenute con l’aggetto successivo delle linee di mattoni. La decorazione è essenzialmente policroma; ricavata dal contrasto fra il mattone e la muratura, e si completa con un abbondante rivestimento di ceramica e, sulle sommità con tempietti e cupolette dal sapore moresco, anch’essi rivestiti di vetri colorati. Il modulo architettonico di queste costruzioni è costituito dalle dimensioni del mattone. Sono curiosissimi i sistemi adottati per evitare di rompere i singoli mattoni che vengono alternati di piatto e sul lato minore, realizzando dei motivi a spina di pesce alla base sia della larghezza, sia dell’altezza dei singoli elementi.74 È straordinaria la somiglianza di alcuni elementi di mattoni con quelli impiegati dall’architetto Martorell75 nel convento delle Madri Selesiane, opera in cui Martorell si avvalse dell’aiuto di Gaudì, e che costituisce la realizzazione di maggiore interesse fra quello dello stesso Martorell; questi due architetti si influenzarono reciprocamente e da tale collaborazione ed influsso vicendevole derivò la grande stima di Martorell per il suo assistente.76 Al termine di questo periodo, il maggior rilievo e la posizione di grande rilievo delle opere inducono Gaudí a impiegare la pietra lavorata; egli modifica opportunamente il tipo di composizione mediante l’adozione di sistemi di origine gotica che costituiscono una transizione verso il periodo seguente. Fanno parte di questo periodo La Casa Vicens (1883-1885), Padiglione di caccia della Finca Güell (1882),

73

Ibid,. p. 51. Ibid., pp.52-53. 75 Martorell è l’architetto che diede a Gaudì il lavoro del Tempio Espiatorio della Sagrada Familia. 76 Ibid., p. 52. 74

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Villa Quijano (1883-1885), Padiglioni e cancellate della Proprietà Güell (1884), Padiglioni arabi (1887-1888), Palazzo Güell (1886-1889).77 Un periodo interessante nell’opera dell’architetto catalano, è quello del Naturalismo Espressionista.78 È caratterizzato dal modernismo vitalista, che trae origine dal barocco, che non si ferma alla superficialità esteriore ma sembra vivere iniziando dalla struttura e terminando nella cura dei minimi particolari. Questo periodo coincide con la decorazione della facciata della Sagrada Familia e con Casa Calvet. Quando nella Facciata della Natività risulta necessario raccontare e ambientare la narrazione evangelica, si lancia in una complessa composizione iconografica realizzata su un ricco sfondo decorativo di fiori, piante, animali. Osservando la natura Gaudí fece in modo che nelle immagini si vedesse la vita che da dentro procede verso l’esterno. Nella natura, trova le soluzioni architettoniche: «La colonna è il fusto, il tronco; la copertura è la montagna, con i pendii e la cima; la volta è la grotta, la cui sezione è parabolica; i piani più resistenti delle cave formano degli architravi e delle mensole sulle erosioni degli strati più deboli…».79 Qui ritroviamo concetti simili alle opere di Ruskin, ed è proprio alla fine di questo periodo che le sue opere iniziano ad avere un carattere geologico; la sua architettura acquista un senso di organismo vivente.80Arriviamo quindi al superamento del naturalismo, ossia giungiamo all’integrazione architettonica della plasticità strutturale degli esseri naturali (sostituzione della colonna tronco con la colonna albero).

Arriviamo alla ripresa del concetto di Ruskin, secondo cui la

coincidenza tra una bell’architettura e la costruzione degli alberi non possono non richiamare l’attenzione. È questa la più alta lezione di Gaudí.81

77

Ibid., p.53. Ibid., p.60. 79 Sic. Ibid., p. 60. 80 Ibid., p.61. 81 Ibid., p.68. 78

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Gaudí tra natura e meraviglia. Quando si prova a classificare l’architettura di Gaudí in uno stile ben preciso ci si trova in difficoltà. Nel lavoro dell’architetto catalano si possono trovare vari stili utilizzati tutti per sperimentare lavori che poi avrebbe utilizzato nella sua opera maggiore, la Sagrada Familia. Innanzitutto si può dire che rispetto a tutti i suoi contemporanei, qualcosa di particolare e di nuovo l’ha portato. Gaudí non seguiva le regole dell’architettura, egli “vedeva” già quello che doveva realizzare e solo in una fase successiva studiava la forma geometrica che aveva immaginato. Gaudí sperimentava ogni cosa per vedere se era fattibile.82 Tradizionalmente, gli architetti lavoravano seguendo le rigide regole dell’architettura, dove esistevano solo le forme geometriche e si disegnava solo utilizzando squadra e compasso. Gaudí durante la sua infanzia aveva avuto modo, anche a causa della sua salute precaria, e quindi di lunghe giornate trascorse in solitudine, di osservare la natura, gli insetti, le piante, e tutto quello che aveva attorno, arrivando alla conclusione che nella Natura c’è qualcosa di misterioso e grande capace di creare le forme che poi lui stesso riprese e riutilizzò nelle sue opere. È questa una delle importanti differenze rispetto agli architetti del suo tempo: lui sperimentò sempre, e si basò sulla natura, che considerava come sua maestra. 83 «Con las macetas de flores, rodeando de viñas y olivos, animado por el cloqueo del aveio, el pior de los pajaros y el zumbido de los insectos, y con las montañas de Padres al fondo, captè las mas puras y placenteras imagenes de la Naturaleza, esa naturaleza que siempre es mi Maestra».84

Anche l’avvicinamento a Dio e la scoperta del valore della fede si rafforzano grazie allo studio della Natura, che viene da lui ricondotta a un Creatore col quale non può rivaleggiare, ma del quale può studiare il metodo. 85 Grazie alla natura scoprì l’uso di strutture come l’arco parabolico o catenaria.86 Infatti nella natura si trova spesso questa forma architettonica, che fino ai suoi tempi 82

Juan Bassegoda Nonell, Aproximación a Gaudì, Doce Calles, Madrid 1992 p.283. Ibid., p.290. 84 Cfr. Juan Antonio Ramirez; The Beehive Metaphor. From Gaudí to Le Corbusier, Reaktion Books Ltd., New York 2000 p.24. 85 Juan Bassegoda Nonell, Op.cit., p.290. 83

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veniva usata solo raramente dagli architetti.87 Gaudí fu il primo che iniziò a usarla con grande frequenza nei sui lavori, prima come sperimentazione, poi come strumento definitivo. Si dice che nell’uso della catenaria venne influenzato dall’osservazione delle api.88 E ancora grazie alla sua curiosità per la natura, i suoi colori ricordano spesso quelli della flora e della fauna sottomarina, meglio del colore degli elementi naturali che poteva avere normalmente sott’occhio.89 «L’ornamentazione è stata, è e sarà colorata; la Natura non ci presenta nessun oggetto in maniera monocromatica, del tutto uniforme per ciò che riguarda il colore, né nella vegetazione, né nella geologia, né nella topografia, né nel regno animale. Sempre, il contrasto del colore più o meno vivo e da ciò deriva il fatto che, obbligatoriamente, dobbiamo colorare in parte o per intero un elemento architettonico, colorazione che forse scomparirà affinché la mano del tempo si incarichi di dargliene una più propria e opportuna per una cosa ormai vecchia».90

Gaudí percepiva l’architettura dentro la natura; inoltre il suo intuito gli faceva capire esattamente se una cosa doveva essere più alta o più bassa, più piana o incurvata. E ringraziava Dio per avergli dato questa dote.91 Utilizzava poco il disegno, il suo uso si limitava a riprodurre quello che già aveva creato e visto nella sua mente. Preferiva lavorare con la geometria tridimensionale, presente in tutti i suoi edifici, e che lo appassionò fin dai primi anni di gioventù. Infine, l’artista, studiando la natura aveva scoperto che le forme naturali sono composte da fibre rettilinee. Quando iniziò a studiare la Geometria nella scuola di architettura, si rese conto che queste forme erano composte da linee rette, e creavano i corpi della geometria rigata: queste forme, come vedremo meglio fra poco, prendevano il nome di paraboloide, iperboloide, elicoide, conoidi. Si avvicinò alle superfici rigate

86

Juan-Eduardo Cirlot, Op.cit., p.26 ; Si definisce catenaria una particolare curva piana iperbolica (dall’aspetto smile alla parabola), il cui andamento è quello di una fune omogenea, flessibile e non estensibile, i cui due estremi siano vincolati e che sia lasciata prendere, soggetta soltanto al proprio peso. 87 Juan Bassegoda Nonell, Op.cit.,pp. 290-291. 88 Juan Antonio Ramirez; Op.cit., pp.23-24. 89 Ibid., p.25. 90 Juan-Eduardo Cirlot, Op.cit.,p31. 91 Ibid., p.31.

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attraverso due strade: l’analisi delle forme naturali e il controllo della geometria dello spazio, ragionando nelle tre dimensioni. 92 Il mondo di Gaudí era pieno di errori, tentativi e correzioni, che gli permettevano di avvicinarsi gradualmente alla soluzione dei problemi. Una sorta di metodo galileiano, contrassegnato dal motto” Provando e riprovando”. Il suo modo di concepire scienza e tecnica, si avvicinava però a quello di Leonardo, che passava ogni tentativo al setaccio della sperimentazione. L’artista catalano fu ancora più devoto alla geometria, he doveva facilitare i processi costruttivi, trovava efficaci soluzioni, e assicurava la stabilità degli edifici. È una geometria che nasce da scoperte personali, a seguito di una ricerca continua. Prima di realizzare il progetto in scala, tuttavia, Gaudí scartava mille soluzioni parziali, seguendo una riflessione metodica e sistematica, estranea alla fretta, e a qualunque compromesso di tempo e denaro. Doveva lavorare con tutta la calma e con tutto il tempo che gli serviva, in modo che se trovava errori, riusciva a sistemarli prima della costruzione vera e propria. Inoltre, progettava l’opera nei minimi dettagli e si occupava anche dell’acustica, dell’illuminazione, e la cura dell’arredo. 93 Una fondamentale differenza con gli architetti del suo tempo era che il maestro, non aveva un ufficio come gli altri architetti, il suo era piuttosto un laboratorio dove egli poteva lavorare con i mezzi e i materiali più disparati: il disegno, la fotografia, i modelli in piccola e grande scala, le fonti luminose, gli specchi, gli stampi, la ceramica, il vetro e i metalli.94 Inoltre, al contrario di molti suoi contemporanei, si occupò sempre e solo di architettura, senza lasciarsi influenzare da altre occupazioni, come avevano fatto Domenech e Puig i Cadalfach, che furono pure scrittori e politici. Le sue teorie architettoniche, non vennero mai pubblicate, divulgate o scritte, e si conoscono solo grazie all’osservazione dei suoi edifici, e per le poche frasi che restano del maestro raccolte dagli ammiratori.95 Per Gaudí l’architettura non è una cosa che si impara, è una cosa che si sente, che si intuisce, ovviamente questo non esclude che l’architetto debba studiare tutte le forme e gli stili, utili per un esercizio mentale 92

Juan Bassegoda Nonell, Op.cit., p.292. Daniel Giralt-Miracle, Gaudì. La ricerca della forma. Spazio, geometria, struttura e costruzione; Jaca Book , Milano 2003 p.21. 94 Ibid., p.21. 95 Juan Bassegoda Nonell, Op.cit., p.294. 93

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La geometria gaudiniana L’originalità dell’interpretazione delle forme nello spazio è sicuramente uno dei maggiori contributi di Gaudí all’architettura moderna. Va rilevato che molte delle sue opere contengono importanti anticipazioni dei principi del moderno design concettuale: valore architettonico delle superfici curve, messa in opera di strutture funicolari, replica delle forme organiche. Egli fu il primo a rendersi conto del valore architettonico delle superfici dette rigate (matematicamente definite da un'equazione polinomiale di secondo grado) nello spazio tridimensionale, delle quali fino ad allora si conosceva solo il ruolo geometrico.

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Cominciando dalla più semplice, che è il cilindro osserviamo che esso è

una quadrica, cioè una superficie rigata generata da una retta verticale che ruota, conservandosi parallela a se stessa, attorno a un asse. In generale, partendo da qualunque curva piana, le rette che si conservano perpendicolari ai punti della curva generano una superficie cilindrica; quando la curva è una circonferenza, si parla di cilindro a base circolare. Sebbene le forme cilindriche fossero state usate fin dal Medio Evo, fu Gaudí che incominciò ad usarle con la consapevolezza del loro valore geometrico di proiezione di una retta nello spazio fin dalle sue prime opere, nelle torrette di casa Vicens e nel Park Güell. La stessa attenzione la dedicò ad altre evoluzioni della retta. Un elicoide è una superficie generata da una retta parallela a un piano e appoggiata a una retta perpendicolare a quest’ultimo, che si muove secondo un’elica associata a un cilindro, perpendicolare al piano e avente come asse centrale la retta fissata. L’elicoide nasce a seguito di un movimento elicoidale di rotazione attorno a un asse associato a una traslazione in direzione parallela ad esso. Si tratta della tipica forma di una scala a chiocciola. Un esempio se ne ha nella Sagrada Familia. La rampa elicoidale, altra forma usata da Gaudí, è la superficie che, a partire da un cilindro e un’elica fissata alla sua superficie, viene generata da tutte le rette tangenti dell’elica. Tale rampa si appoggia sulle rette dell’elicoide interno al cilindro e prolungate verso l’esterno.

96

Daniel Giralt-Miracle, Op.cit., p.36.

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Quanto ai coni, tutte le rette che, passando per un punto, si appoggiano su una curva nello spazio che non contiene tale punto, danno luogo a una superficie conoidale. Quando tale curva è una circonferenza o un’ellisse si generano coni circolari o ellittici. Un esempio sono i camini di Casa Batllò, che terminano in forma di cono sovrastato da una sfera, richiamando in tal modo la forma di oggetti comuni come gli spegni candela in metallo. Nel Park Güell, un cono in pietra forma una pensilina a fianco degli edifici della portineria, come un ombrello sotto il quale possono trovare riparo i visitatori. Per le superfici conoidali rette bisogna partire da una retta, da un piano perpendicolare e da una curva nello spazio; esse vengono generate da tutte le rette che si appoggiano sia alla retta data che a tutti i punti della curva assegnata, e che siano contemporaneamente parallele al piano dato. Le iperboloidi a una falda sono formate da rette che si appoggiano a due ellissi uguali e parallele e collegano un insieme ben definito di punti corrispondenti fra le due ellissi. Vi sono due famiglie di rette generatrici, le une in una direzione e le seconde in quella opposta, in tali superfici, che rappresentano un caso a metà fra i coni ellittici e i cilindri ellittici. Normalmente questa figura può essere generata dalla rivoluzione di un’iperbole attorno a un asse di simmetria, esterno alla curva. Essa può anche essere descritta come insieme di rette che si appoggiano contemporaneamente a una terna di rette intersecantisi a due a due, se nessuna coppia si trova sullo stesso piano e se le rette non sono tutte parallele a uno stesso piano. Gaudí utilizzò l’iperboloide a una falda nella sua architettura dopo aver capito che esso era un’ottima forma per le campane. Se ne servì per alcune colonne all’ingresso del Parco Güell, e nei finestroni della Sagrada Familia, collegandola sempre all’esigenza di luce nel tempio. Il paraboloide iperbolico è una delle forme più importanti usate da Gaudí con originalità È una superficie rigata formata da rette che si appoggiano ad altre due rette intersecantisi nello spazio in maniera preordinata, cioè stabilendo una doppia corrispondenza tra i punti di appoggio corrispondenti. Nella Sagrada Familia, l’utilizzo dei paraboloidi iperbolici giunse al culmine. Si possono trovare, infatti, nei finestroni laterali, dove si accoppiano alle complesse forme di iperboloidi a una falda presenti intorno al centro ellittico.97 Il grande interesse per queste forme geometriche dipende dal valore simbolico assegnato loro da Gaudí: il paraboloide iperbolico doveva essere lo spazio, l’elicoide il movimento e l’iperboloide la luce. 97 98

Ibid., pp. 38-39-40. Juan Bassegoda Nonell, Op.cit., p.44.

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Il maestro usò l’iperboloide,


nel Park Güell, come base per la copertura dello spazio in cui svoltano le carrozze, e a profusione nel progetto del tempio della Sagrada Familia, dove l’iperboloide diventa l’elemento fondamentale delle coperture delle navate. In queste ultime, mezzo iperboloide pieno forma il capitello delle colonne che reggono il soffitto del tempio, mentre l’iperboloide vuoto che mostra la sua superficie interna è lo strumento base per formare il soffitto della navata. Questa può essere considerata come un insieme di lucernari, retti dalle colonne, attraverso i quali passa sia la luce naturale che arriva dalla copertura, che quella artificiale, installata per produrre un effetto simile a quella naturale. Con i modelli di gesso, creò intersezioni di iperboloidi a una falda, difficili da realizzare concretamente.99 Era chiaro per l’architetto che l’iperboloide a una falda è la superficie che esalta la luce. Lo spazio, infatti, fluisce attraverso il collo circolare del parabolide iperbolico e fugge verso l’esterno; allo stesso tempo dall’esterno invade l’interno scivolando sulla superficie, che l’artista tratta spesso con diverse trame al fine di ottenere una serie di vibrazioni cromatiche che arricchiscono, quando possibile, la qualità del soffitto delle navate.100 Non meno interessante è l’uso delle strutture funicolari o catenarie, che Gaudí derivò dagli studi che il matematico veneto Giovanni Poleni (1685-1761) fece sulla cupola di San Pietro a Roma. Per indirizzare le spinte delle sue volte sulle strutture portanti l’artista barcellonese utilizzò un modello tradizionale nel quale però invece di fili flessibili, usava fili con gravi appesi, che pertanto rimanevano tesi sotto l’azione del peso stesso. L’uso frequente degli archi catenari sin dalle prime opere, uno dei punti di forza della sua architettura, si spiega con la convinzione di Gaudí che la natura quando costruisce archi lo fa in forma di catenaria. 101

Geometria della linea, geometria del sentimento La natura è infatti un punto di riferimento fondamentale per l’ architettura di Gaudí, che non solo deve essere in armonia con l’ambiente circostante, ma deve identificarsi completamente con i processi produttivi naturali, dei quali deve ricercare le funzioni e la plastica. È noto il suo grande rispetto per gli elementi del paesaggio, che lo portò persino a modificare la forma di una scala, sostenendo: “io posso fare una scala in 99

Daniel Giralt –Miracle, Op.cit., pp113-114. Ibid., pp.113-114. 101 Ibid., pp.97-98-99. 100

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tre settimane, ma ci vorranno vent’anni per far crescere un pino”.102 Inoltre la sua adesione agli insiemi ambientali, agli animali e alle piante gli permetteva di innescare significati simbolici nelle forme da lui create e di far considerare le sue costruzioni raffinate metafore dei processi produttivi della natura. 103 Il suo ricorso alla natura si articola in maniere differenti. Ci sono le forme che richiamano esplicitamente, come chiunque può verificare, figure naturali come la salamandra del Park Güell, l’albero della facciata della Natività, i frutti, le palme, le tartarughe, e così via: elementi scultorei, apparentemente eseguiti con attenzione al realismo e di fatto pervasi di un inquietante vitalismo e spesso modificati nella “pelle” che rivela componenti fantastiche. Esistono poi forme naturali che funzionano come attributi o hanno il compito di richiamare esplicitamente significati che si possono comprendere solo se li si conosce già. Ad esempio l’identificazione del luogo, in Casa Vicens, che fu costruita in una zona dove crescevano le palme, si ottiene sulla base della profusione dell’antica decorazione “a palmetta greca” della tradizione greca e micenea, che Gaudí rivisita in senso moderno. Il simbolismo segue peraltro anche altre strade. Nella casa Calvet le colonne accanto all'ingresso ricordano le bobine per il filato per evocare le attività del committente, che era un industriale del tessile. E gli elementi greco-romani all’ingresso del Park Güell, invece, richiamano la cultura di Eusebi Güell e la sua passione per il mondo classico. La capacità metaforica di Gaudí fu causa di molteplici interpretazioni o letture e proprio in ciò consiste uno degli aspetti più notevoli del fascino che ancora oggi la sua opera esercita.104 Abbiamo poi forme che evocano il pensiero intimo dell’architetto. Come nella casa Milà, il portale in ferro con le forme tondeggianti, o il riflesso dell’acqua del mare o l’effetto di bolle di sapone, le mattonelle del Paseo de Gracia, che somigliano al fondale marino, e i soffitti della Pedrera che rappresentano l’acqua del mare. Queste sue più intime inclinazioni dipendevano dalla convinzione che la sua architettura, ispirata dall’osservazione della natura, dovesse avere le caratteristiche della vita. Le sue elaborazioni geometriche vengono ricondotte all’ambito naturale in una sintesi fra struttura e forma che è reviviscenza costruttiva della continuità delle forme così ben

102

Sic. Juan -Eduardo Cirliot; Op.cit., p.240. Daniel Giralt- Miracle, Op.cit. p.42. 104 Ibid., p.43. 103

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presente nelle figure arborescenti e nel corpo umano, dove, in pratica, le ossa sono cilindri che diventano iperboloidi nelle articolazioni.105 Per realizzare questo programma non di imitazione ma di identificazione con la natura stessa gli erano indispensabili i colori e il movimento. Da secoli si usava il colore nell’architettura e Gaudí se ne servì largamente fin dalle prime opere. Il movimento, invece, era qualcosa di più difficile da ottenere. Per fare un esempio del metodo dell’architetto seguiamo il percorso creativo delle sue singolari colonne. Fra le strutture portanti usate nella storia dell’architettura, solo la colonna tortile aveva mostrato una tendenza in questo senso. Gaudí sperimentò un gran numero di colonne diverse tra loro, ma si era convinto che il femore è una magnifica colonna, che permette di camminare: se Dio avesse voluto fare questa colonna in una forma dorica, ionica o corinzia, l’avrebbe fatta, invece l’ha fatta nella forma di un iperboloide. Questa è dunque la forma che funziona meglio. Alla fine Gaudí crea una colonna nella quale da un poligono stellato come base, costituito da due quadrati sovrapposti, due forme si elevano e girano elicoidalmente in direzioni opposte, una verso destra e l’altra verso sinistra; quando si incrociano generano spigoli, che si moltiplicano sino a formare una struttura complessa. Anche la frequente inclinazione delle sue colonne ha una giustificazione, perché, quando ci appoggiamo ad un bastone per riposare non lo teniamo verticale, ma leggermente obliquo. 106 Dunque, nel suo periodo più creativo, quello dopo i primi anni del Novecento, Gaudí riconduce la sua geometria dei solidi e la sua architettura alle leggi statiche e dinamiche della natura. Ad esempio, riflettendo sul fatto che in natura non esiste la linea retta, né il piano ma, invece, sono presenti un’immensa varietà di forme curve, giustifica come impulso naturalistico il suo modo di operare e piuttosto che proiettare gli elementi della sua immaginazione sul piano del foglio per controllarne la forma, si rivolge all’esperienza sensibile come fonte d’ispirazione, verificando le forme direttamente nella terza dimensione mediante la costruzione di ogni tipo di modello, realizzato in legno, gesso, argilla, di tessuto metallico, cartone bagnato e anche filo di ferro.107 Quindi l’osservazione è la fonte che rende l’architetto attento alle soluzioni che la

105

Ibid., pp.44-45. Ibid., p.105. 107 Raffaele Catuogno; Luce forma e struttura: la geometria come processo conoscitivo dell’opera di Gaudì, Università degli Studi di Napoli Federico II, Dottorato di Ricerca in Tecnologia e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente (XIX ciclo), Napoli, Febbraio 2009 p.17. 106

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natura offre ai vari problemi strutturali.108 La sua concezione della natura lo induce a investigarne le modalità creative, che poi con geniali accorgimenti divengono soluzione dei suoi problemi di genesi delle forme. In questo modo la struttura nasce di pari passo con la concezione formale dell’opera: l’architetto ha un modo di procedere basato sulla capacità di integrare la modellazione fisica con il calcolo strutturale. Egli opera una continua interpretazione della natura partendo dall’osservazione, non rappresentandola solo nel suo apparato decorativo e riproducendone unicamente le forme, ma impegnandosi ad imitarne la struttura, conferendo alle forme una vita che da dentro procede verso l’esterno. Nella natura egli riscontra le ragioni profonde degli elementi architettonici: «La colonna è il fusto, il tronco; la copertura è la montagna, con i pendii e la cima; la volta è la grotta, la cui sezione è parabolica; i piani più resistenti delle cave formano degli architravi e delle mensole sulle erosioni degli strati più deboli…».109 In tutta la sua opera la natura viene imitata, interpretata, enfatizzata. L’architettura è essa stessa parte della natura e in quanto tale è organismo vivente che si trasforma nel corso del tempo. Il disegno della struttura aderisce, pur nella trascrizione geometrica, ai modelli offerti dalla natura mediante esseri viventi, piante, conchiglie cogliendone implicitamente le valenze statiche.110 Le case Batllò, 1904-1906, e Milà (1906-1912), come vedremo meglio più avanti, sono il punto culminante della sua architettura naturalistica. La prima, rivestita con decorazioni di forme organiche di ceramica vitrea di vari colori e la seconda con suo aspetto di scogliera, sembrano quasi simboli della terra e del mare. Ma ancora più importante è il Park Güell, che è l’opera in cui la sua geometria sorprendente, passaggi sinuosi, volte profonde e colonne inclinate, corrisponde tuttavia strettamente alla conformazione del terreno, adottandosi all’orografia e progettando viadotti per non modificare l’assetto originale.111 Per lui, la natura non ha finalità estetiche, bensì funzionali, perché il suo obiettivo finale non è quello di realizzare opere d’arte, bensì organismi utili alla crescita e alla riproduzione della specie. Se si segue la natura, dunque, cercando la funzione si arriva alla bellezza e cercando la bellezza si arriva alla filosofia, all’estetica, alla teoria dell’arte. 112

108

Raffaele Catuogno; Op.cit. p.60. Sic. Ibid., p.60. 110 Ibid., p.60. 111 Ibid., pp.31-32. 112 Ibid., p.31. 109

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Un dialogo tra cultura e immaginazione La ricca produzione di Gaudí può essere articolata in relazione alle caratteristiche più evidenti che si riscontrano nei suoi vari periodi di produzione e in particolare:1) lo stile mudejar e l’influenza araba, 2) la rivisitazione del gotico, 3) la natura come fonte di ispirazione, 4) l’espressione simbolica della forma.113 Una parte della sua produzione seppe guardare, modificandole, a esperienze del passato. Domenech i Montaner, disse su Gaudí, a proposito di Casa Calvet “…la sua arte è puramente individuale e si definirà senza lasciar seguaci; né crediamo che egli si sia proposto di fornire un prototipo, malgrado che ciò sembrasse promettere una delle sue opere (appunto casa Calvet); …. Ogni suo progetto risponde a un ideale artistico, e alla soluzione di essa la sua anima si dedica interamente, senza concessioni alla critica metodica e riflessiva, né soggezione alcuna agli ostacoli pratici ed economici. Non appare strano, perciò, che i progetti da lui concepiti siano tanto suoi, anche quando contengono reminescenze degli stili storici….”.114 Gaudí aveva iniziato la sua carriera come collaboratore di Lluis Domenech i Montaner, grande architetto di Barcellona, autore del Palau de la Musica Catalana, considerato il promotore di un linguaggio che fa ricorso alla cultura decorativa mudejar, che in Catalogna, però, non trova riscontro se non nelle prime opere di Gaudí. Lo stile mudejar è tipicamente locale e si propone come una fusione della tradizione artistica di radice cristiana (romanica, gotica, rinascimentale) con quella musulmana e più in generale araba. Presente nei regni cristiani della penisola iberica fin dall’XI secolo, è un fenomeno tipicamente iberico dovuto alla compresenza di due culture artisticamente importanti nello stesso territorio. Soppiantato dallo stile rinascimentale e dal barocco, risorse come neomudejar alla fine dell’Ottocento, assieme agli altri numerosi revival architettonici del secolo. Del resto anche il nome mudejar nacque nell’Ottocento in seno all’Accademia San Fernando di Madrid.115 Il nostro architetto si accosta a questa matrice esotica in particolare nelle sue prime opere, derivandone l’interesse anche dalle 113

Ibid., p.17. Ibid., p.33. 115 Nel 1859 Amador de los Rios per primo tenne un discorso accademico dal titolo El estilo mudéjar, en arquitectura, Centre de recherches de l'Institut d'études hispaniques , Paris, 1965 cfr. Gonzalo M. Borrás Gualis, Federico Mayor, Manuel Pizarro Moreno, El arte mudejar, Ediciones Unesco, Madrid, 1996, pp. 16, 23. 114

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letture di John Ruskin e Walter Pater, e avvicinandosi dunque anche all’architettura di India, Persia e Giappone. 116 Per cercare l’origine dell’interesse di Gaudí nei confronti del gotico dobbiamo invece rammentare il momento in cui dove il giovane architetto collabora con Joan Martorell i Montells, architetto barcellonese, ispirato dall'influenza di Viollet-le-Duc, divenuto autore di numerose costruzioni religiose e direttore, tra l’altro del restauro del monastero di Pedralbes.117 Nelle opere appartenenti al periodo neogotico Gaudí riflette sulle strutture nervose e sulle vibrazioni luministiche delle chiese medioevali, in specie di quelle, a partire dalla cattedrale, presenti nella sua città. È così che capisce il potere generativo dello spazio dall’interno dell’edificio e la funzione decisiva dei pilastri e delle volte nella creazione di effetti di continuità, esperienza che, sostituendo l’arco acuto con la parabola e i vari paraboloidi, continuerà a replicare in tutta la sua carriera. La volontà di trasferire valori di plasticità interna alla configurazione esterna si manifesta solo in una fase successiva, quando, come abbiamo detto, la natura diviene principale fonte di ispirazione. Gaudí considera allora l’architettura stessa come evento naturale, come organismo vivente, che crescendo dall’interno intende manifestarsi anche all’esterno: i primi accenni di tale rinnovato atteggiamento sono leggibili nelle opere in cui al rigore compositivo derivato dal gotico e reso indispensabile dall’inserimento dell’intervento in un lotto urbano, corrisponde un irrefrenabile desiderio di far muovere le superfici visibili all’esterno dell’edificio. Ciò è evidente in forma embrionale in casa Calvet, dove la curvatura dei due elementi terminali della facciata e gli stessi balconi tondi registrano l’avvio di una nuova fase creativa nella produzione dell’architetto, che troverà poi una conferma nelle sperimentazioni che seguono. Ne è prova il disegno della facciata di casa Batllò, che oltre ad evocare nelle sue iridescenze materiche il dorso di un drago riporta come maschere o musi di animali spaventosi aperture di forme diverse, curvate e articolate tridimensionalmente. Anche nella soffitta di casa Milà, disegnata a partire da una struttura scheletrica di archi parabolici, lo spazio preme per manifestarsi all’esterno, tensione del resto comune a tutto l’edifico, deformato e plasmato secondo forme che non hanno più nulla di rettilineo. 118

116

Raffaele Catuogno, Op.cit, pp.17-18. Ibid., p.25. 118 Ibid., pp.55-56. 117

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Un elemento importante nel lavoro di Gaudí è sicuramente la luce, vista come materiale architettonico, che sostanzia l’opera e ne disegna lo spazio. La luce che viene raccolta, convogliata, filtrata, enfatizzata dalla presenza di vetri e ceramiche è un elemento fondamentale in tutte le sue opere dell’artista119 Le architetture appaiono emanate dall’immaginazione e si concretizzano in uno spazio ricco di luce. I cortili delle sue case di abitazione sono previsti per illuminare gli ambienti dell’impianto planimetrico più interni al lotto e sono rivestiti con ceramiche di gradazioni diverse di blu, per consentire una distribuzione uniforme di luce ai vari piani. Lo sfruttamento della luce diventa dunque prioritario rispetto a qualsiasi altro dato, tanto da modificare la forma in funzione dell’ottimizzazione dell’illuminazione interna. La luce è anche favorita dalla scelta dei materiali, come i rivestimenti esterni, che creano contrasti cromatici dovuti alla diversa configurazione. Il disegno dell’architettura diventa disegno della luce anche nelle aperture delle finestre, che hanno dimensioni e forme diverse, così come nelle grandi vetrate che catturano e modulano l’illuminazione nello spazio interno, diventando disegno dell’ombra nei contrasti che suggeriscono tridimensionalità e la profondità dei piani.120 Gaudí fa spesso uso di simboli con significati diversi e utili nelle proprie opere. Per capire il significato del segno, o del simbolo, bisogna prima dire che ci sono tre dati che interagiscono tra loro e danno il significato. Il simbolo (ossia il segno), l’idea (il concetto) e il referente (la realtà rappresentata dal segno).121 In lui l’uso del simbolo è legato al proposito di attribuire all’architettura un ulteriore valore che va al di là della sua immediata apparenza, rinviando a un significato occulto della realtà che non può essere immediatamente designato, ma che deve essere raggiunto indirettamente. I numerosi simboli presenti nelle sue opere potrebbero fare riferimento a due letture molto diverse della sua personalità: da un lato un uomo profondamente religioso, devoto alla fede cattolica e alla religione cristiana, dall'altro un personaggio oscuro, seguace di dottrine esoteriche e che, attraverso numerosi simboli, lascia trapelare quella che ritiene sia la verità del significato nascosto delle cose.122

119

Ibid., pp..57-58. Ibid., pp.57-58 . 121 Ibid., p.58. 122 Ibid,. p.59 + Llorarch sostiene con convinzione, nel suo saggio Gaudì, una biografia magica, che il ricordo di quelle esperienze con i funghi allucinogeni avrebbe ispirato l’architetto nella costruzione di alcuni camini, in particolare quelli presenti all’interno di Park Güell e non solo, la forma fungiforme appare in molte altre strutture, specie nelle torri e nei campanili. 120

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Attraverso l’uso di simboli diversi, Gaudí rafforza e disegna il significato dello spazio, lo connota attraverso rimandi e allusioni a tematiche diverse, testimoniando in tal modo il suo desiderio di ricerca e di sperimentazione, la sua tensione ad andare “oltre” la realtà sensibile, attraverso l’uso e la varietà di colori e materiali, attraverso il modo univoco di rappresentare la natura senza discriminazioni, conferendo uguale importanza ad animali e piante, ponendo sullo stesso piano insetti, foglie di piante comuni ed esseri mitologici, creando un’armonica mescolanza tra mondo reale e mondo fantastico. Il repertorio dei simboli è assai vasto, ma al suo interno ricorrono alcuni di questi con maggiore frequenza come ad esempio la salamandra della fontana di Park Güell, i funghi, l’acqua, le fontane, la stella a cinque punte, la chiocciola, lo scarabeo, il pellicano, il drago.123

La mistica della Natura nelle opere di Gaudí Prima di iniziare a parlare delle opere principali di Gaudí, e di quelle più legate alle sue riflessioni sulla natura, presenti nella produzione del suo ultimo periodo, bisogna fare un piccolo richiamo alla partecipazione di Gaudí alla Cooperativa Obrera Mataronense. Dal punto di vista artistico questo non risulta molto importante, ma è qui che Gaudì inizia a sperimentare le sue prime idee, e i suoi primi lavori. Fu forse una maestra di questa scuola, Pepita Moreu, della quale sembra che Gaudí fosse allora innamorato, a introdurlo nella cooperativa tessile che faceva capo all’amico di Gaudí Salvador Pagés. E fu certo quest’ultimo che lo incaricò di alcuni progetti: due case operaie, un capannone industriale, i servizi sanitari e l’insegna della compagnia.. Ai nostri giorni è conservata solo una parte della mirabile costruzione del capannone in mattoni, con bellissimi e funzionali archi parabolici, mentre la scala elicoidale di uno dei progetti non realizzati può essere ammirata in uno dei fogli conservati. Nei muri Gaudí pensò di inserire numerose scritte inneggianti alla collaborazione e alla fratellanza. Nello stesso spirito disegnò i due stemmi della cooperativa. Entrambi hanno delle api. Nel primo che è un manifesto della Cooperativa, i lavoratori sono stati sostituiti da api, nel secondo vediamo un’ape che Il significato

123

Ibid., p.59.

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simbolico di questo insetto, assai noto, è di laboriosità, e cooperazione. Gaudí eseguì il disegno con tanta cura e precisione che la ricamatrice incaricata di eseguirlo gli chiese di fornirgliene uno meno dettagliato.124 Come sappiamo, Gaudí, raggiunse l’apice della sua produzione artistica con la Sagrada Familia. In questa sede però ci occuperemo anche di altre scelte naturalistiche e ugualmente intrise di simbolismo. Partiremo dalla Casa Vicens, passeremo a Casa Calvet, successivamente Casa Batllò, e poi ci soffermeremo sulla Sagrada Familia, sul Park Guell, e su Casa Milà.

Casa Vicens Nell’aprile del 1883, Gaudí ricevette l’incarico di costruire nel paesino di Gracia una casa per l’industriale Manuel Vicens i Montaner (che si occupava di ceramica), infatti, la maggior parte delle ceramiche usate in questo edificio, sono state “date” a Gaudí dallo stesso Vicens.125 L’importanza di questo edificio sta nell’utilizzo degli azulejos nelle facciate. Quando Gaudí accettò l’incarico si trovava nel suo primo periodo artistico, dove ancora non aveva idee molto stravaganti, e rimaneva quindi su una linea di costruzione semplice. La residenza infatti ha una struttura molto semplice con pareti in mattoni e travi in legno; è costituita da un seminterrato, da un piano terreno e da due piani superiori; originariamente aveva una facciata in continuità con quella di un altro edificio; tre lati davano sul giardino privato. L’applicazione delle ceramiche da parte di Gaudí la convertì in qualcosa di molto originale. Stilisticamente corrisponde alla tappa di influenze orientali, dove le forme strutturali e ornamentali corrispondono al gusto per l’arte orientale, come il moresco, il persiano e bizantino. Ai livelli più bassi, il paramento, in pietra irregolare, è composto da fasce orizzontali di piastrelle decorate con garofani gialli, combinate con altre che compongono un motivo a scacchi bianchi e verdi. Ci sono altre ceramiche che rappresentano altri fiori, un esempio è quello dove troviamo un cerchio di fiori stilizzati che all’interno hanno il frutto del melograno, tutto in rilievo. Anche all’interno dell’edificio (attualmente non visitabile), incontriamo delle

124 125

Juan Ramon Jimenez; Op.cit., pp.31-32. Juan Bassegoda Nonell, Op.cit pp-156-157.

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ceramiche dai toni azzurri e dorati, anche questi in rilievo. Tornando all’esterno, ci sono altri tipi di ceramiche che rappresentano un girasole in altorilievo. 126 Alcuni degli elementi che sporgono verso calle de Carolines non sono originari del progetto di Gaudí; infatti, quando la strada venne allargata, vennero apportate modifiche: il giardino venne ridotto di dimensioni, e la fontana al suo interno sparì. La porta principale diventò una finestra, e una finestra l’ingresso principale. Nel giardino l’architetto aveva progettato un edifico per una cascata d’acqua sul quale aveva disegnato un arco parabolico, uno dei primi esperimenti con funzione sia formale che costruttiva. Molto interessante risulta la cancellata, progettata da Gaudí, ma realizzata con la collaborazione del suo amico scultore Llorenç Matamala, dove si può riconoscere una palma inscritta in un rettangolo e ripetuta modularmente. Questa cancellata era stata progettata per le mura interne del giardino, che dopo gli ampliamenti avvenuti tra il 1925 e il 1926, venne smantellato, ad oggi ne rimane solo un pezzo. Il resto della cancellata si trova nell’ingresso del Park Güell. 127

Casa Calvet. Questo edificio, di derivazione stilistica barocca, segna il momento di passaggio fra le due fasi dell’operato di Gaudí: la prima era ancora basata sull’interpretazione personale degli stili neo gotici e del modernismo gotico; la seconda sarà totalmente libera dal loro influsso.128 Gaudí venne incaricato di costruire questo edificio nel marzo del 1898 dai figli dell’industriale tessile Pedro Martir Calvet, con la richiesta di prevedere un deposito, dei magazzini, un appartamento padronale e sei appartamenti da affittare. I lavori iniziarono solo nel gennaio del 1899.129 La facciata è rivestita in pietra Montjuic, presenta la decorazione scultorea di tipo barocco che riscuoterà grande successo nell’architettura modernista degli anni successivi alla sua costruzione. Ritroviamo in questo edificio alcuni elementi ricorrenti in molte costruzioni dell’Eixample, come la lavorazione rustica e i profili ondulati che la coronano. Nel fronte della casa troviamo i balconcini in ghisa per le carrucole, alcune palme, e i busti dei santi patroni di Vilasar, luogo dal quale proveniva la famiglia. Al centro della facciata troviamo una tribuna in pietra lavorata, e con applicazioni in ferro: alla base 126

Ibid., p.156. Daniel Giralt-Miracle, Op.cit. p.130. 128 Ibid., p.144. 129 Raffaele Catuogno ,Op.cit. p.32. 127

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troviamo un cipresso, simbolo di ospitalità, lo stemma della Catalogna; l’iniziale della famiglia Calvet e diverse rappresentazioni di funghi (passione del cliente).130 In quest’opera l’artista, si allontana dal gotico, per tenersi più vicino al barocco, e disegna all’interno spazi caratterizzati da una forte plasticità. La scala, dove ritrovaimo le colonne tortili a sostegno degli archi, comunica con i cortili annessi mediante triplici aperture arcuate. 131 La casa è ricca di dettagli e di oggetti disegnati da Gaudí stesso per i Calvet. Come già aveva fatto nel Palazzo Güell, progettò tutti i mobili dell’ufficio per il pubblico e quelli dell’appartamento dei proprietari, realizzati dalla ditta Casas i Bardés. Tutti i mobili sono stati realizzati con legno di rovere, difficili da maneggiare e da plasmare, ma è un lavoro che Gaudí è riuscito a fare magistralmente, come nella panca con la spalliera a forma di cuore e la seduta circolare danno a questo oggetto una forma straordinaria. La maggior parte dei mobili dell’appartamento principale si trovano nella Casa-Museo Gaudí presso il Park Güell. Nel 1900 Casa Calvet ottenne il primo premio come miglior edificio dell’anno, in occasione di un concorso dal Comune di Barcellona teso a promuovere le opere artistiche della città.132 Recentemente Casa Calvet, è diventata un noto ristorante della città di Barcellona, modificando gli uffici contabili, la gestione e le sale riunioni, in sale da pranzo.

Casa Batllò. Nel 1904, quando l’architetto catalano era già impegnato nei lavori del Park Güell e della Cattedrale di Maiorca, ricevette l’incarico di ristrutturare un edificio di modeste dimensioni, lungo il Paseo de Gracia, da José Batllò i Casanovas, un’importante industriale tessile, e uomo d’affari a Barcellona, dove possedeva la maggior parte delle fabbriche. La moglie era parente dei fondatori della “Vanguardia”. Avevano tutti e due un carattere forte e aperto alle nuove innovazioni in campo edilizio e lasciarono ristrutturare a Gaudí senza mettere nessun freno alla sua fantasia.133 L’edificio come abbiamo detto si trova al numero 43 del Paseo de Gracia, che a quell’epoca era l’arteria più importante di Barcellona. In questi anni diventerà il 130

Daniel Giralt-Miracle, Op.cit. p.144. Raffaele Catuogno; Op.cit. p.33. 132 Daniel Giralt-Miracle, Op.cit. p.144. 133 Raffaele Catuogno, Op.cit. p.35. 131

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simbolo del Modernismo Catalano, anche grazie alle opere di maggior successo dei tre architetti, Gaudì, Puig I Cadalfach, e Domenech i Montaner. Il proprietario voleva abbattere e ricostruire l’intero edificio, ma su consiglio di Gaudí decise di farlo ristrutturare. L’architetto riuscì a modificare e riutilizzare tutti gli spazi della struttura grazie ad interventi radicali.

Ridisegnò infatti le due strette

facciate, quella sulla strada e quella sul retro. Modificò integralmente il piano terra ed il piano rialzato, aggiunge le cantine e unifica i due cortili interni, aumentando la quantità di luce. La particolarità della Casa Batllò è proprio la forma che prende dopo la ristrutturazione attuata da Gaudí. Infatti, dalla facciata che da sulla strada viene rivestita con la pietra di Montjuic; al secondo piano abbiamo aperture ondulate e colonne di forma ossea. Qui l’architetto raggiunge il massimo livello d’utilizzo delle ceramiche. Con i colori riesce a ricreare le squame di un drago che sembra si stia muovendo su tutta la facciata fino alla terrazza. Aggiunge un quinto piano e due sottotetti, e la copertura del tetto con piastrelle di ceramica multicolore. Costruisce una torre cilindrica, coronata da un bulbo concluso da una croce a quattro bracci e con i monogrammi di Gesù, Maria e Giuseppe. Sul terrazzo, i camini costituiscono elementi scultorei decorati a trencadis. La facciata posteriore risulta con una struttura più semplice, anche se la ceramica è presente pure qui in forma di mosaico, ma sempre meno rispetto alla facciata anteriore.134 All’interno il maestro progettò il nuovo atrio e modificò il patio da cui arrivava la luce; il nuovo atrio conduce al piano principale e ad un’anticamera dove sulla destra c’é un cammino fiabesco che crea un luogo a sé stante, da qui si arriva al salone che comunica con le sale laterali mediante porte a fisarmonica e illuminate da una vetrata continua. L’architetto, come in tutti i suoi edifici ha progettato pure qui i mobili, che si avvicinano al mondo organico, e adattati ergonomicamente all’utente, per esempio nelle sedie con la spallina bassa e seduta modellata quasi fosse materia mobile, nonostante si tratti di legno. L’edificio in cui si trovava a lavorare era ubicato in mezzo ad altri due edifici, tra cui Casa Amattller di Puig I Cadalfach. Proprio per evitare di entrare in contrasto con questo edificio, ridisegnò la facciata, e fece in modo di collegare i due edifici aggiungendo due modanature di collegamento, ossia seguendo il profilo dei due edifici

134

Daniel Giralt-Miracle, Op.cit. p.152.

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adiacenti alla casa. Tutto questo venne però vanificato dall’improvvisa aggiunta di due piani da parte dell’edificio sulla destra.135 Il maestro presto molta attenzione ai dettagli, come in ogni altro edificio che progettò. Per cui nella scala di Casa Batllò sembrerà di trovarsi in mezzo al mare, qui infatti Gaudí giocò con le ceramiche che vanno dal bianco, al celeste chiaro al blu intenso, man mano che si va verso l’alto fino a culminare in un esplosione di colori. Anche qui abbiamo l’utilizzo degli archi parabolici nella copertura, con aperture che somigliano a branchie di pesce che permettono alla luce e all’aria di circolare all’interno della lavanderia posta sulla terrazza e che in virtù delle soluzioni adottate si trasforma in un ambiente quasi mistico. In facciata è presente una torretta con copertura in ceramica invetriata, sormontata da una croce a quattro braccia, visibile anche dalla terrazza. La facciata di Casa Batllò viene riconosciuta come la massima espressione del talento del maestro, dove luce, colori, materiali, e il rapporto tra interno ed esterno dell’edificio rappresentano un unicum vibrante al continuo cambiamento della luce del giorno.136

Tempio Espiatorio Della Sagrada Familia. Gaudí ebbe l’incarico di costruire la Sagrada Familia, da Joan Martorell già dal 1883, a seguito di dissidi con Francisco Paula del Villar, al quale originariamente la costruzione della

chiesa era stata affidata. Inizialmente era l’Asociacion Josefina

fondata da Josep Maria Bocabella nel 1860, che stava progettando la costruzione di questa cattedrale. 137 Gaudí dovette partire da un’architettura già iniziata in stile gotico: un tempio a tre navate, con transetto e abside, al centro di un grande spiazzo che occupava un intero isolato della nuova urbanizzazione dell’Eixample. 138 La sua posizione venne vista come qualcosa di apotropaico139, che potesse proteggere le persone povere e quindi più 135

Ibid., p.144. Rafafele Catuogno, Op.cit. p.37. 137 Daniel Giralt-Miracle, Op.cit. p.132. 138 Ibid., p.132. 139 JN Adams, The Latin Sexual Vocabulary, The John Hopkins University Press, Baltimore 1990 ( Apotropaic and Ritual oscenity) Un oggetto apotropaico è qualcosa atto a proteggere le persone che vi vengono a contatto. Si usa come portafortuna, o come rito per allontanare il male, nelle carrozzine dei 136

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vulnerabili dalle forze della guerra “Satanica”, ossia dalle forze dell’anarchismo e del sindacalismo. 140 All’epoca Gaudí è ancora poco attratto dalla religione, e per certi aspetti è addirittura scettico. La costruzione della chiesa si accompagna alla crescita spirituale dell’architetto catalano e l’opera acquista una sua connotazione sempre più mistica di pari passo con la sua vita.141 Gaudí a cavallo tra il 1880-1890, decise di cambiare il progetto iniziale della cattedrale che la vedeva formarsi orizzontalmente e decise che la chiesa si sarebbe dovuta creare verticalmente, come in un gigantesco cartello pubblicitario, ossia costruire facciata per facciata, iniziando dalla Natività, e così creando non un recinto sacro, ma più una sorta di messaggio simbolico, in grado di dare un punto di riferimento per chi in quel momento avesse perso la fede e si trovasse davanti alla cattedrale.142 Sapendo che non sarebbe riuscito a vedere la sua opera completa, ebbe l’idea di lasciare qualcosa che potesse dimostrare la sua visione immaginaria alle generazioni future che sarebbero state chiamate per finire i lavori. Infatti, l’unica parte costruita sotto la direzione di Gaudí fu quella dell’abside e della facciata della Natività, ricca di sculture relative ai primi anni della vita di Gesù, raccolti negli episodi dei misteri del rosario. Vi compaiono anche, attorno alla scultura del Presepe, i segni dello zodiaco la raffigurazione di animali e piante della Terra Santa e di altri temi. 143 Gaudí aggiunse anche altre sculture, come il giovane Gesù che lavora nella falegnameria del padre. Analogamente, per rappresentare la Tentazione dell’uomo all’interno del portale del Rosario, modellò un uomo delle classi lavoratrici mentre si allontana da una presenza mostruosa che gli porge una bomba, arma scelta in quegli anni per il terrorismo anarchico a Barcellona.144 Nella facciata sono inoltre modellati in pietra nuvole e pezzi di ghiaccio. Il portale doveva essere interamente dipinto. Svettano in alto le quattro torri campanarie a base circolare; il loro coronamento ha forme geometriche rivestite con ceramica. L’architetto poté vederne completata solo una.145

nascituri. Vi è un suo utilizzo pure nel mondo filosofico, Nietzsche diceva che il pudore esiste ovunque vi sia un mistero, e in questo caso la funzione apotropaica del pudore, sia appunto allontanare la paura dall’oggetto misterioso. 140 William H. Robinson, Op.cit. p.211. 141 Raffaele Catuogno, Op.cit. p.44. 142 William H. Robinson, Op.cit. p.212. 143 Daniel Giralt-Miracle, Op.cit. p.132. 144 William H. Robinson, Op.cit. p.214. 145 Daniel Giralt- Miracle, Op.cit. p.132.

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Gaudí predispose per l’intero organismo tre progetti strutturali diversi, di crescente complessità. Nella soluzione definitiva emerge la volontà di sintesi delle membrature architettoniche (coperture e sostegni) in un’unità organica. Come esempio (e considerando che l’intera opera sarebbe stata completata da più generazioni, così com’era accaduto per le cattedrali gotiche), realizzò alcune parti, come una colonna inclinata della navata principale, un segmento del chiostro e la cappella del Rosario.146 Nel progetto definitivo le cinque navate sono dominate dalle colonne arborescenti e l’insieme ha l’immagine di un bosco. L’intera opera è strutturata secondo un complesso simbolismo religioso: Gaudí previde dodici torri per gli Apostoli, quattro per gli Evangelisti, una dedicata alla Vergine, la più alta (170 metri) a Gesù Cristo, ogni finestra, ogni colonna, ogni membratura è riferita a santi, istituzioni, misteri della fede cattolica. L’architetto progettò anche una parte dell’arredo liturgico del tempio, come ad esempio la saettìa e il leggio di ferro (1890), nonché alcune porte, alcuni confessionali, una panca per gli officianti e dei bellissimi armadi per la sagrestia, andati persi nel 1936. Il progetto era ambizioso, ma era finanziato esclusivamente tramite proventi derivanti dalle offerte. Per questo fu costruito a tratti; il che permise a Gaudí di perfezionarlo. È possibile distinguervi diverse fasi unitarie più o meno autonome, progettate in dettaglio, con graduale evoluzione: è il caso della cripta neogotica; della parte bassa della facciata, fortemente naturalistica, del coronamento dei campanili in forme geometriche, della struttura arborescente delle colonne delle navate, che riflettono i suoi interessi degli ultimi anni.147 Più che la scultura figurativa, per la quale Gaudí spesso prese come modelli gli abitanti del quartiere, c’è l’esuberante fioritura della pietra in questa “poesia architettonica”, cosi come l’ha definita un amico dell’architetto, il poeta Joan Maragall. Infatti, il fiorire della pietra, evocando fogliame, gelo e neve, rosari, costellazioni, uccelli in volo, la geologia delle grotte e delle rocce, e gli emblemi religiosi. Nel 1900 Joan Maragall, parlò del fascino della formazione a tempo indeterminato di un tempio che è cresciuto “senza far parlare di sé, senza conoscere il segreto della sua altezza né le sue proporzioni”, fino a cinque anni più tardi.148

146

Ibid., p.132. Ibid., p.132. 148 William H. Robinson, Op.cit. p.214. 147

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Nel 1906 venne pubblicata per la prima volta una sintesi generale di tutto il progetto; da quel momento in poi il tempio, iniziato da un gruppo tradizionalista distaccato dai problemi sociali più generali, entrò definitivamente nella mitologia catalana. Fino al 1914 Gaudí aveva lavorato contemporaneamente a diversi progetti, il suo lavoro

in altri cantieri serviva appunto per testare le nuove idee che poi avrebbe

utilizzato nella cattedrale. A partire da quell’anno si concentrò invece solo sul tempio; negli ultimi mesi di vita viveva addirittura quasi recluso nel cantiere. Adiacente alla Sagrada Familia, dove aveva costruito anche il padiglione delle Scuole Provvisorie, Gaudí aveva il laboratorio nel quale progettò la maggior parte dei suoi edifici. Ripreso dal 1952, il completamento della cattedrale tuttora in corso si è basato sui pochi disegni e modelli che si salvarono dalla distruzione causata dalla guerra civile degli anni 1936-1939. Ad essi si sono aggiunti modelli, sculture moderne e ulteriori contributi.149 Nel 2010 è stato avviato il processo di beatificazione della cattedrale.

Scuole della Sagrada Familia. La costruzione del Tempio Espiatorio comporta la costruzione di varie altre appendici che espletano funzioni che saranno poi, nell’intento di Gaudí, correlate all’edificio principale. Tra queste, le Scuole Provvisorie della Sagrada Familia, che, più della stessa chiesa, sono espressione della maturità raggiunta da Gaudí nell’integrare la geometria con le forme della natura, connotando il tutto con una struttura di sorprendente semplicità costruttiva. Le Scuole, nella volontà di perseguire un continuum formale-strutturale, rendono inscindibile l’idea dal processo costruttivo, dove la linea retta che sembra assente è invece il principio generatore: la copertura a conoide e le pareti che sembrano nascere per seguirne la geometria, sono il completamento di un concetto esplicato già magistralmente nel movimento che pervade casa Batllò e che si estremizza nella facciata di casa Milà.150 Nonostante fossero una costruzione non importante dal punto di vista artistico, quanto più funzionale, sono comunque state molto apprezzate. Qui il maestro mette prova alle coperture ondulate. Lo ampliò in maniera organica, secondo le proprie 149 150

Daniel Giralt Miracle , Op.cit. p.132. Raffaele Catuogno, Op.cit. p.46.

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necessità di lavoro. Si tratta più di un laboratorio che non una scuola, infatti qui Gaudí pensò quasi tutti i suoi progetti, e qui conservava i suoi documenti personali, andati persi nell’incendio del 1936. In origine era situato tra calle de Sardenya e calle Provença, poi col progredire del tempio della Sagrada Familia, venne riposizionato tra calle Sardenya e calle Mallorca; attualmente è possibile visitarlo.151

Park Güell Il Park Güell venne commissionato a Gaudí dal suo mecenate Don Eusebi Güell i Bacigalupi, che durante uno dei suoi viaggi in Inghilterra assistette a un dibattito sulle città-giardino e sui suoi principi fondativi di integrazione tra città e campagna. Rientrato in patria volle realizzarne un prototipo per la borghesia catalana, costruendo alla periferia di Barcellona una città-giardino. Nel 1900 chiese a Gaudí un progetto generale per una città-giardino su un’area di quindici ettari, sul fianco della Muntanya Pelada, chiamata così perché si trattava di un terreno sassoso e inospitale, quasi privo della vegetazione mediterranea.152 Il progetto era ispirato al Garden City Movement, un metodo di pianificazione avviato nel 1898 in Inghilterra da Sir Ebezener Howard e destinato ad offrire all’edilizia programmata cinture verdi e una calcolata distanza da zone agricole e industriali: per questo il luogo suburbano di Barcellona è denominato Park all’inglese. All’interno dell’area si trovava allora solo una casa di campagna, nella quale dal 1906 andò a vivere Eusebi Güell, ma nelle vicinanze si ergeva un insieme di case alto-borghesi denominato La Salut, che, come l’ottocentesca fascia suburbana di Londra che Dickens chiamava Stucconia per la sua pretenziosità, offriva riparo dall’aria malsana inquinata dai vapori delle fabbriche. L’architetto catalano suddivise la parte centrale dell’appezzamento in sessanta lotti triangolari edificabili per un terzo della superficie e tutti esposti al sole. Gran parte dell’area venne destinata a un parco dotato di attrezzature pubbliche: un mercato, una cisterna per l’acqua, una chiesa e una piazza, ma l’ipotesi di una città-giardino non raccolse consensi e interesse da parte dei catalani per cui vennero venduti solo due lotti e due delle sessanta case previste furono costruite. In una di queste, costruita nel 1904 da Francesc Berenguer, visse Gaudí tra il 1906 e il 1926153. Il terreno peraltro rimase 151

Daniel Giralt-Miracle, Op.cit. p.156. Raffaele Catuogno; Op.cit. pp.33-34. 153 Dal 1936 è divenuta Casa-Museu Gaudì e accoglie esempi di arredi realizzati dall’artista e ricordi personali. 152

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proprietà private della famiglia Güell fino al 1920, quando essa stessa la cedette alla municipalità come parco pubblico. Fallito il progetto della città- giardino, Gaudí organizzò gli spazi comuni per spettacoli ed incontri all’aperto.154 Howard aveva esposto le sue idee sul vivere moderno nel libro del 1898 dal titolo To-morrow: a Peaceful Path to Real Reform, ristampato nel 1902 come Città giardino di domani. La sua città giardino ideale avrebbe dovuto ospitare 32.000 persone su un sito di 6.000 ettari e questo in parte corrisponde alle idee di Güell, ma rivolgendosi a Gaudí il mecenate

sapeva che l’idea originale di Howard, consistente in un modello rigido,

contrassegnato da una struttura concentrica di costruzioni spaziate regolarmente e raccordate da viali radiali, sarebbe stata stravolta. Infatti l’accurata progettazione razionalistica del nobiluomo inglese, primo passo di un sistema che prevedeva città satelliti collegate da strade e ferrovie, e per di più basata sulla geometria euclidea, non poteva essere accolta dall’architetto catalano, avverso alle soluzioni puramente razionalistiche e capace di una sola geometria, quella della meraviglia e del sentimento. Fu per questo che, grazie alla sua grande passione per l’architettura paesaggistica e le sue competenze nella botanica, Gaudí potenziò la vegetazione preesistente sulla collina impiantando irregolarmente, al di fuori di un piano paesaggistico razionale, pini, carrubi, palme e querce. Poté così adattare la sua architettura non solo al luogo, ma anche alle piante che aveva inserito. Costruì pertanto strade sinuose che seguivano non un progetto geometrico studiato a tavolino, ma le pendenze del terreno. Di conseguenza le vie che percorrono il territorio presero forma di viadotti, sorretti da colonne inclinate che sembrano scavate nella montagna 155 ma che allo stesso tempo richiamano i tronchi delle piante e potrebbero essere nate spontaneamente dal terreno, tant’è che ne pendono misteriose concrezioni. Questa invenzione, oltre che fornire percorsi e scorci di notevole impatto visivo, mette in campo il concetto di materia animata, rivelando la concezione di mistica della natura propria dell’autore. Un notevole dislivello presente nel terreno, viene superato, nella zona dell’entrata, costruendo un’imponente scalinata rivestita in ceramica con la tecnica del trencadis. La scala è interrotta in tre tratti, e fra le due rampe si collocano tre fontane tra cui quella famosissima che accoglie una minacciosa salamandra, che assomiglia molto al drago rappresentato nel cancello della Finca Güell, eseguito per gli stessi committenti. La pelle variegata di questo grande rettile è in qualche modo la pelle stessa 154 155

Ibid., p.34. Ibid., p.34.

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di tutto il complesso, come vedremo fittamente rivestito di trencadis, sicché l’intera progettazione del parco sembra risentire di questo ambiguo vitalismo.

Va appena

aggiunto che questa salamandra è pure lo sbocco dell’acqua in una cisterna posta sotto la sala ipostila, ove cadono, dall’interno delle colonne le acque piovane che si depositano sulla piazza superiore. Il movimento dell’acqua, con la sua ciclicità, aumenta la suggestione di una circolarità animata presente in tutto il parco. La piazza sovrastante l’ingresso è in terra battuta, ma lungo il perimetro che la delimita, è presente una lunghissima panca sinuosa, un vero, enorme serpente rivestito di pezzettini di ceramica e raccordato per tecnica e intento decorativo anche al fregio della sala ipostila sottostante.

156

Questa fu costruita tra il 1903 e il 1910 e aveva come

sua destinazione quella di mercato per i quartieri vicini. Le ottantasei colonne di ordine dorico, pur personalizzate nella disposizione e nell’inclinazione legate richiamano la fonte classica di ispirazione che le collega al ruolo di teatro greco della piazza superiore. Il solenne percorso e la presenza della salamandra-drago hanno stimolato qualche critico a interpretare l’insieme come una rivisitazione cristianizzata del santuario di Apollo a Delfi.157 Il Parco è recintato da un muro alto 3.80 metri, costruito con varie pezzature di pietra e rifinito da una calotta arcuata, rivestita da un mosaico di ceramica bianca e marrone. Anche in questo caso l’effetto è di una serpentina continua esanimata. Un rettile pauroso a guardia della pace del parco. Infatti questa soluzione, oltre ad esaltare visivamente la plasticità della linea sinuosa di confine, ha il fine pratico di proteggere il muro dagli elementi atmosferici e di scoraggiare, con le sue superfici lisce e scivolose, i visitatori indesiderati. Sette sono i punti di accesso che permettono l’entrata al parco, di cui l’ingresso principale ha ai due lati due costruzioni fiabesche che hanno una funzione puramente estetica.158 Nel 1969 il Parco fu dichiarato monumento storico di interesse artistico nazionale; nel 1984 il Park Güell è stato incluso dall’Unesco nel Patrimonio dell’Umanità.159

156

Ibid., p.35. Daniel Giralt Miracle, Op.cit. p.150. 158 Raffaele Catuogno, Op.cit. p.35. 159 Daniel Giralt Miracle, Op.cit. p.150. 157

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Casa Milà (La Pedrera) Casa Milà, detta anche la Pedrera, poco distante da Casa Batllò, si estende per tutto il lato angolare di un isolato del Paseo de Gracia e per un buon tratto di Calle de Provenza. Dopo il successo del progetto di casa Batllò, Gaudí nel 1906 ricevette da Pere e Roser Milà l’incarico di questo edificio, destinato a sorprendere la comunità barcellonese come una costruzione che non ha eguali nella storia dell’architettura.160 Pere Milà i Camps (Barcellona, 1874 1940), esponente di una potente famiglia barcellonese, era avvocato, industriale e politico della destra catalana, prima monarchico indipendente, poi sostenitore di Josè Primo de Rivera. Sua moglie, Roser Segimon i Artells aveva ereditato dal suo primo marito una cospicua fortuna, parte della quale fu utilizzata nella costruzione della Pedrera, commissionata prima del matrimonio161. Dato che Roser era in pratica la finanziatrice del progetto, si permise di interloquire vivacemente con l’architetto, esprimendo criteri ben diversi da quelli ideati dall’artista. Ad esempio, non permise che la facciata terminasse con una monumentale Madonna del Rosario fiancheggiata dagli arcangeli Gabriele e Michele, che avrebbe dovuto essere scolpita da Carles Mani. Ma di questa intenzione di Gaudì resta solo la scritta Ave gratia M plena Dominus tecum nella parte superiore della facciata. Inoltre, dopo la morte dell’architetto la padrona di casa si disfò di buona parte dei mobili disegnati da Gaudì e fece tamponare varie decorazioni interne che furono ripristinate solo recentemente, quando l’edificio venne acquistato dalla Caixa de Catalunya che ancora lo possiede162. Gli interventi di Roser Sigismon ci rendono nota la difficoltà dei contemporanei di capire il vivo senso di unitarietà e il misticismo naturalistico-religioso di Gaudì. In questo edificio l’autore dimostra una grande capacità di controllo delle risorse tecniche ed espressive, sempre facendo riferimento al significato panteistico della natura. Se nel Park Güell integra la sua opera accostando alla natura una seconda natura, di pietra, ma vitalissima, nel progetto di Casa Milà, pur partendo ancora una volta dalla natura, ne trasferisce gli aspetti in formule geometriche cariche di inquietante vitalismo

160

Raffaele Catuogno, Op.cit. p.38. Permanyer, Lluís,. El Gaudí de Barcelona, Ed.Polígrafa, Barcelona 1996, p.164. 162 Piaggio, Juan Martín , Brufau, Robert,“Il Modernismo riammodernato: Casa Milà”, in Costruire in laterizio, n. 93, pp. 46-49. 161

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e di valori simbolici. Dunque, la facciata di casa Milà, costruita in pietra lasciata nuda, evoca la superficie di un mare mosso o una scogliera modellata dai flutti e dal vento, che avrebbe dovuto essere dominata dalla forza sovrannaturale della gigantesca Vergine del Rosario.163 Solo involontariamente suggerisce una cava, come la interpretarono i barcellonesi,164 di qui il nome la Pedrera che la contraddistingue. Allo stesso tempo, però è un insieme di linee fluttuanti dalla geometria solo apparentemente incerta, dato che praticamente le pietre si sorreggono da sé, mentre una struttura di colonne, in ferro e pietra sostiene le travi in ferro su cui poggiano i diversi piani dalle planimetrie interamente libere, che sopportano qualsiasi ripartizione interna. Il sottotetto è composto da una serie di archi parabolici in mattoni, di altezze irregolari, che determinano il pavimento ondulato sul sovrastante piano del tettoterrazza. L’insieme degli archi che sono una sperimentazione costruttiva rilevante, evoca le cavità di uno scheletro organico. Altre varianti innovative rispetto ai sistemi tradizionali sono rilevabili nei cortili di pianta circolare piuttosto irregolare che sostituiscono le piante quadrangolari della norma costruttiva, sicché la base del patio del primo piano appoggia su un’intelaiatura a raggiera irregolare in ferro a forma di ombrello, visibile dal piano terra.165 La fluidità sembra la regola geometrica dell’insieme e domina interni ed esterni, esaltando la continuità con numerosissime finestre variamente orientate. Ed è importante riflettere sul fatto che tutto ciò è eseguito in pietra e non nel ben più elastico cemento come avverrà usualmente intorno e dopo di lui. Alla sinuosa mobilità della facciata, infatti corrispondono le piante sfuggenti degli interni nei quali non si trovano linee rette e tutto sembra generato dall’evoluzione di una linea in movimento, che accentua plasticamente convessità e inarcature chiaroscurate. Inoltre, la continuità dell’ambientazione marina della facciata, sottolineata dall’intrico di alghe dei balconi, si esprime all’interno con colori e forme inequivocabili: per i pavimenti disegna delle belle mattonelle esagonali verde chiaro, con lumache di mare leggermente in rilievo; sui soffitti riporta disegni di polipi e di elementi di flora marina, su superfici ondulate di acqua increspata dal vento o ancora disegnando mulinelli e riccioli di schiuma sulla spiaggia.166

163

Daniel Giralt-Miracle, Op.cit. p.154. Raffaele Catuogno, Op.cit. p.38. 165 Daniel Giralt Miracle; Op.cit p.154. 166 Raffaele Catuogno, Op.cit. p.39. 164

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Sul terrazzo Gaudí esalta fino al parossismo la volontà di fare dell’edificio uno spazio unico. I camini, le torri di aerazione, i sottotetti, gli elementi terminali delle scale sono rinforzi della continuità verticale della costruzione. L’architetto li ha animati in forme generalmente tondeggianti e volutamente antropomorfe, rivestite prevalentemente in trencadis bianco, di marmo e di ceramica, o di colori scuri, ad eccezione di un cappuccio rivestito con frammenti di vetro color verde bottiglia. Un ambiente magico e inquietante che sembra far risalire verso la luce lo spirito della casa. La luce del resto per Gaudí è un fattore fondamentale, come si è detto, ma in casa Milà tutta la casa è illuminata e la luce naturale entra da ogni dove, arrivando fino al piano terra grazie alla presenza di due grandi cortili che garantiscono anche l’aerazione delle abitazioni che coprono superfici estese. A seguito della Guerra civile e dei rovesci della carriera politica di Milà il suo appartamento alla Pedrera venne occupato dal governo della Generalitat de Catalunya. Nel 1984, la Pedrera fu inclusa dall’UNESCO nel Patrimonio dell’Umanità. 167

167

Daniel Giralt -Miracle; Op.cit. p.154.

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I poeti modernisti catalani e Joan Maragall Il Modernismo nella letteratura.168

Il modernismo non è un movimento letterario né una scuola, ma un’epoca. Come il Rinascimento. Si appartiene al modernismo come si appartiene al Rinascimento: lo si voglia o no..169 Il modernismo, in quanto movimento artistico, è un’evoluzione e, in un certo senso, una rinascita. Non è esattamente una reazione contro il naturalismo, ma contro lo spirito utilitario dell’epoca, contro la brutale indifferenza della volgarità. Uscire da un mondo nel quale tutto è assorbito dal culto del ventre, cercare l’emozione artistica che ravvivi i nostri spiriti affaticati nella violenta lotta per la vita, restituire al sentimento quello che gli viene rubato dalla genìa di egoisti che domina dappertutto… questo rappresenta lo spirito del Modernismo.170

Anche nella letteratura, come abbiamo già visto, il modernismo significa una rottura col passato. Soprattutto si tenta di liberarsi dai vecchi sistemi, dalle vecchie morali, dai vecchi pregiudizi. Tutto converge nell’intenzione di ricostruire ciò che è “vecchio”, di “rinnovarlo”.171 Dunque, il passaggio dal vecchio al nuovo deve nascere da una rottura poiché nel modernismo si assiste ad un dibattito che convoca una pluralità di registri ideologici, emotivi, culturali ed estetici. Il desiderio di rinnovamento nasce da una crisi e si cerca di capire il motivo di questa crisi, cui origini si ritrovano nell’Ottocento, nella filosofia positivista e nel realismo, che non hanno tenuto fede ai loro postulati di base, perché non hanno saputo assicurare né la pace e il benessere 168

Cfr. Cesco Vian, Storia della letteratura Spagnola, dal settecento ai giorni nostri. Cisalpino, Milano 1980 p.256. Cfr. Maria Grazia Profeti, L’età contemporanea della letteratura spagnola. Il novecento. La nuova Italia, Firenze 2011 p.27. 169 Ibid., p.27. 170 Ibid., p.28. 171 Ibid., p29.

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generale, come prometteva il positivismo, né sono riusciti a rappresentare il mondo di fronte alla perdita di sicurezze nel campo scientifico circa la natura della realtà. La realtà, infatti, non appare più solida e conoscibile, né si presta più, come un tempo, alla rappresentazione diretta, che era alla base del realismo artistico .172 Gli scrittori, in particolare i narratori modernisti, quindi iniziano ad avvicinarsi ad alcune idee che iniziavano a maturare in quegli anni, soprattutto per quanto riguarda il tempo. Infatti, da una parte si trovano le idee di Henri Bergson sul concetto di tempo come flusso e come durata e con la visione dell’unicità dell’istante; dall’altra William James con l’idea di un presente illusorio. La diffusione delle teorie della psicanalisi e di altre scuole psicologiche introduce nuove prospettive nella visione della coscienza umana, costringendo i narratori più aggiornati a mutare le descrizioni del comportamento dei personaggi e a riflettere sui limiti dell’io attraverso forme autobiografiche e memorialiste.173

Il modernismo va associato quindi all’ampio movimento spirituale e sociale formatosi nella transizione tra due secoli, sulla base della perdita di certezze e sul conseguente bisogno di una nuova consapevolezza umana; da questo bisogno si origina la struttura critica e in crisi della coscienza moderna. Gli intellettuali spagnolriescono a reagire alla crisi dell’immagine occidentale dell’uomo e della società con una sensibilità di linguaggio eccezionale. Infatti nei loro testi ricorrono spesso a linguaggi e forme espressive

diverse,

quali

quelle

proprie

del

romanticismo,

decadentismo,

impressionismo, parnassianesimo, simbolismo, preraffaellismo, estetismo, esotismo, esoterismo, erotismo, onirismo, mitologia, ecc., linguaggi che sono a disposizione dello scrittore

come i colori sulla tavolozza di un pittore. Il modernismo è, dunque,

caratterizzato da una moltitudine di correnti e idee, dall’intreccio di movimenti letterari e tendenze spesso di breve durata. Il pluralismo stilistico che forma quindi il modernismo ci aiuta a capire come sia difficile per gli studiosi individuare un unico stile d’epoca, non esistono nemmeno “scuole”, se non nell’imitazione degli schemi superficiali.174 Il simbolismo è un elemento chiave nella storia del modernismo. Riguardo il simbolismo Lily Litvak parla di scrittori, artisti, e musicisti che nelle loro opere tentavano di ritrovare la natura e l’erotismo attraverso i fiori, che sarebbero poi successivamente diventati

172

Ibid., p.30. Ibid., p.31. 174 Ibid., p.32. 173

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simboli anche del modernismo. L’autrice parla di vari tipi di fiori e del loro significato, alcuni bianchi per indicare la purezza, la verginità, altri rossi per raffigurare l’amore erotico.175 Ma non saranno solo i fiori a comparire nelle opere di questi scrittori, tutto il mondo, naturale ne farà parte. La natura infatti sarà nel modernismo sempre un punto forte, sia come presa di distanza dalle nuove tecnologie che arrivano dagli altri paesi europei, che come investimento sentimentale

La mistica della natura nel mondo iberico. Unamuno e Ruskin Una strada per la penetrazione della mistica di Ruskin nel modernismo catalano fu senz’altro costituita dall’attenzione che Miguel de Unamuno dedicò all’intellettuale inglese, da lui ritenuto il più grande interprete del culto della natura, e dall’influenza che ne derivò, in specie nelle sue descrizioni del paesaggio. Fin dal principio, Unamuno, come Ruskin, si concentra sull’opposizione fondamentale tra la natura e la civiltà industriale. Nella natura trova quella pace e quell’armonia che gli paiono assenti dal mondo moderno: una sensibilità e un’innocenza minacciate dal progresso tecnologico. Unamuno parla con ammirazione dei campi gotici palentini, dove la bellezza naturale non è ancora stata danneggiata da fili e pali telegrafici, o dall’impianto idroelettrico del Duero. Secondo lui, i luoghi più a contatto con la vita moderna e con il progresso occultano all’uomo la vera bellezza del panorama naturale. Per questa ragione detesta i segni e i simboli del progresso: le automobili che costringono i vecchi carri tirati dai muli a farsi di lato, i pali telegrafici e le dighe idroelettriche che modificano la percezione della distanza e, come anche Ruskin, i treni, il cui terrificante fischio diviene per lui simbolo della temibile civiltà industriale.176 Non possiamo non pensare, per contrasto, allo spirito progressista rappresentato dalla vaporiera ansimante che compare in Davanti a san Guido (1874) di Giosuè Carducci. Nella descrizione del paesaggio di Unamuno riconosciamo tre punti chiave del pensiero di Ruskin: vastità, varietà e unità.177 Gli orizzonti di Unamuno sono infiniti, le sue descrizioni, si stagliano contro un vasto orizzonte, i versi abbondano di parole e espressioni che trasmettono un significato di espansione illimitata. Non meno interessante è l’aspetto della complessità della natura. La vasta prospettiva delle descrizioni paesaggistiche di Paz en la guerra (1897) si combina con l’infinita diversità, 175

Lily Litwak, Op.cit. p.22. Ibid., pp. 63, 64. 177 Ibid., p.65. 176

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dove la natura si mostra in tutte le sue manifestazioni. Ad esempio, Unamuno si sofferma sui continui cambiamenti di colore delle vedute. Nessun artista, per lui, è capace di eguagliarla, tutta la gamma di colori e sfumature che conosce, sarà sempre minima rispetto alla natura. Per l’artista un albero rimarrà sempre lo stesso albero, perché non renderà conto dei vari momenti del giorno, dove invece grazie ai colori si avranno sfumature diverse di quello stesso albero. Viene in mente che Unamuno non tenne conto delle esperienze dell’impressionismo, ignote a Ruskin, come quella delle Cattedrali di Monet, descritte fin dal 1892 nelle varie ore del giorno178. L’infinito della natura, unito alla sua complessità e varietà, ci porta a riflettere su un terzo tema ruskiniano presente nelle descrizioni di Unamuno, l’unità. Le vaste estensioni e la grande varietà di elementi si coniugano producendo nello scrittore una sensazione di unità artistica e di coerenza mistica. Dalla fusione di piani e prospettive si ottiene un immenso orizzonte, dove le montagne della terra si uniscono al cielo: Los montes son entonces parte del cielo en que se dibujan repujados, y el aire aromatico y fresco parecele venir a la vez de la tierra verde, de los montes violaceos y del cielo marmoreo, trayendo la frescura de sus tintas y la sutileza de sus lineas, consustancial con ellos.179 Questo stesso fenomeno si realizza quando Unamuno contempla il mare e il cielo ed entrambi formano una solenne unità di mutua vivificazione. Le onde si succedono una all’altra e le nubi s’inseguono silenziosamente; ogni onda e ogni nuvola eternamente differente dalla prima. Tutto questo si trasforma in un immenso piano cangiante, i cui movimenti rispondono a un’energia che è l’energia della vita stessa. Lo scrittore sente per un istante l’eternità del momento che passa. Con la contemplazione il paesaggio si converte in un’esperienza mistica. Unamuno molte volte utilizza parole che implicano un sentimento religioso, quasi mistico. In Paz en la guerra l’autore descrive Pachico, in cima ad una montagna, come se stesse riposando su un gigantesco altare sotto l’azzurro infinito del cielo. Le tre caratteristiche presenti in questa esperienza sono l’infinita estensione dell’illimitato cielo azzurro; l’infinita varietà degli elementi naturali, dalle enormi montagne fino alle più umili piante, e l’unità del tutto. Le montagne azzurre e violette sembrano a Pachico i pilastri della volta celeste.180 La suggestione di queste immagini fa pensare a un pittore eccentrico e visionario come l’americano Thomas Cole, autore

178

Roberto Tassi, “Tempo e natura. Sull’epistolario di Claude Monet”, in Paragone (Arte), anno 42simo, novembre 1991, pp.87-92. 179 Miguel de Unamuno, Paz en la Guerra, Madrid, 1964, citato in Lily Litwak, España 1900, op.cit., p.67. 180 Lily Litwak, Ibid., p.67.

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di The Titans Goblet (1833), nel quale un’enorme coppa per giganti si staglia in un paesaggio montuoso, producendo un effetto di romantico straniamento.181

Letteratura Modernista Catalana. Quando si parla di Modernismo nella penisola iberica bisogna tener conto soprattutto della città di Barcellona: “Barcelona tiene iniciativas, energias, entusiasmo, virilidad, y de allí nos vendrà la vida nueva, ya que en Madrid no se piensa sino en hacer politica, hablar de la mar y acudir a los toros. Barcelona es la ciudad moderna por excelencia en Espana. Es un pueblo de trabajadores altos y bajos, y por eso es prospera, rica, seria, y el porvenir es ya suyo.”182 La letteratura catalana da sempre è stata coinvolta nelle maggiori correnti europee, a cominciare dalle mode letterarie del Medio Evo, ma un esempio molto evidente è la diffusione del Decadentismo italiano, che fece conoscere D’Annunzio nella penisola iberica e suscitò una corrente di consenso. Sono numerose le riviste locali in cui compare la citazione dell’autore italiano e dove appaiono le sue opere, dalle poesie alla prosa, tradotte in catalano, e commentate dagli autori che le traducono. Con D’Annunzio i poeti e gli scrittori catalani scoprirono un lato importante del decadentismo, basato sul concetto della “volontà di potenza” direttamente derivato da Nietzsche. Fu così che accanto ai primi segni di una svolta politica identitaria e di un rinnovamento della lingua comparve un nuovo modello di intellettuale, basato sul super uomo di Nietzsche. 183 Un altro modo per conoscere la letteratura catalana e la sua diffusione sono sicuramente le numerose riviste che oltre a L’Avenç hanno fatto sì che vari poeti, scrittori, e artisti, si facessero conoscere nella Catalogna pubblicando i loro articoli, le loro critiche, e le loro poesie. Le riviste sono state un punto di riferimento per tutti gli artisti che volevano iniziare a farsi conoscere. Malgrado la dittatura di Franco, che imponeva l’uso del castigliano ogni dove, nelle riviste molti autori potevano esprimersi in catalano e senza aver paura di poter essere banditi dalla loro città.184 Molti autori come Ramón de Valle-Inclán, Juan Ramón Jiménez, Antonio Machado, Santiago Rusiñol Joan Maragall, hanno pubblicato le loro poesie in riviste come Vida Nueva, Germinal, Luz, Catalunya, L’Avenç, e da lì hanno raggiunto un modesto successo e una modesta notorietà che ha continuato a svilupparsi poi con le loro pubblicazioni di poesie, poemi, 181

Caterina Limentani Virdis, “Paesaggio e racconto in Edgar Allan Poe”, in Artibus et Historiae, IV (2) 1981, pp.85-97. 182 Guillermo Diaz-Plaja, Modernismo frente a Noventa y ocho, Espasa Calpe, Madrid, 1951 p.337. 183 Assunta Camps, El decadentismo italiano el la literatura catalana, Peter Lang, Bern 2010 pp.53-54. 184 Guillermo Diaz-Plaja, Op.cit. pp.20-21.

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racconti. Altri invece hanno proprio iniziato la loro carriera di scrittori e poeti, dopo un lungo periodo di apprendistato in queste riviste. Molte di queste riviste risultano particolarmente importanti per trovare tracce della letteratura catalana. Infatti, nella rivista Vida Nueva, considerata molto importante per lo sviluppo di questa letteratura, poiché viene commentata l’erezione della statua del Greco a Sitges, durante la terza festa modernista, e inoltre viene pubblicato un articolo su Rusiñol, firmato da Miquel y Badía.185 Tracce di questa letteratura si trovano pure nella rivista La Vida Literaria, infatti questa rivista viene illustrata da diversi artisti tra i quali spiccano Ramon Casas, Torres García, e giungono pure disegni di Rusiñol che invia un poster quando la rivista decide di pubblicare Interior di Maeterlink.186 Arriviamo infine ad Helios che, assieme a Renacimiento, è considerata una delle prime riviste moderniste. È una rivista estetica, ove viene abbandonata la filosofia di Nietzsche. In questa rivista vengono pubblicate La noche del sabado di Benavente, Hojas de vida di Rusiñol.187 Abbiamo già detto che insieme ad Helios, la rivista più importante per il modernismo è Renacimiento. Nelle sue pagine possiamo trovare poemi e racconti dei poeti più famosi del modernismo spagnolo come Rueda, Villaespesa, Juan Ramón Jiménez, Rusiñol. Per quanto riguarda la letteratura catalana attraverso le riviste, possiamo riferirci a quelle che svolsero il loro lavoro subito dopo l’Avenç, come Juventut e Catalunya, che, sono piene di parnassianismo e di simbolismo francese. Un’altra rivista forse più importante è sicuramente Luz, dove Rusiñol pubblicò Oraciones. Altre notizie ci arrivano dalla stampa di Barcellona, con la rivista La Publicidad che all’inizio veniva pubblicata in castigliano e successivamente in catalano. Arriviamo poi a La Vanguardia che trovò nelle sue pagine le opere di Rusiñol, Casellas, Opisso. Soprattutto la presenza di Rusiñol diede grande fama a questa rivista. 188 Si può notare la differenza di pensiero con Madrid anche dagli scritti che diversi autori hanno lasciato su quello che pensavano della città catalana. Ruben Darío disse che i catalani erano riusciti a farsi conoscere nel processo artistico modernista. Nella letteratura, con Rusiñol, Maragall, Utrillo, e nelle arti con lo stesso Rusiñol, Casas. Maetzu dice che “en Cataluña la gente moza piensa como la época en que vive – cosa que en Madrid no ocurre -, en parte, porque se educa en las lecturas nuevas, pero, principalmente, porque vive la vida de nuestro tiempo.”189 185

Ibid., pp.24-25. Ibid., pp.30-31-33. 187 Ibid., pp.42-43. 188 Ibid., pp.320-321-322. 189 Ibid., pp.339-340. 186

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I poeti iberici.

Tra i poeti iberici che hanno creato in qualche modo la letteratura iberica e che hanno influenzato i poeti modernisti catalani, spiccano sicuramente Ramón de Valle-Inclán e Juan Ramón Jiménez.

Ramón De Valle-Inclán. “La condicion característica de todo el arte moderno, y muy particularmente de la literatura,

es

una

tendencia

a

refinar

las

sensaciones y acrecentarlas en el numero y en la intensidad. Hay poetas que sueñan con dar a sus estrofas el ritmo de la danza, la melodia de la música y la majestad de la estatua.”190

Valle-Inclán nasce in Galizia nel 1866, ma si trasferisce subito in Messico dove inizia a scrivere su alcuni giornali. Tornato in Spagna, a Madrid, nel 1895 inizia a collaborare con gli artisti della Generazione del ‘98. Nel 1897 inizia a collaborare nella rivista Germinal, scrivendo attraverso lo pseudonimo di Bladamin, e pubblica Cuento de Sangre: El rey de la Mascara. Nel 1899 l’autore entra a far parte di Revista Nueva, e qui pubblica per la prima volta Adega che successivamente si trasformerà in Flor de Santidad. 191 È difficile specificare a quale generazione questo poeta possa appartenere, di sicuro non alla Generazione del ‘98, infatti egli se ne allontana quasi subito, anche se vi partecipa. Infatti questo poeta non si ritrovò mai d’accordo con gli ideali di questa generazione, non sviluppò mai i suoi temi e non condivise mai le preoccupazioni per le difficoltà politiche, sociali e culturali del paese.

190 191

Cfr. Guillermo Diaz Plaja, Op.cit., p.76. Ibid., Espasa Calpe, Madrid, 1951pp.25-26.

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La sua produzione riunisce tre generi letterari, quelli più importanti (Modernismo, Espressionismo e Decadentismo). Per quanto riguarda l’opera narrativa ci sono le quattro Sonatas (1902-1905), la novella Tirano Banderas(1926), le novelle storiche Ruedo Iberico (1927-1933) e le novelle teatrali Comedias Barbaras (19071908), Divinas palabras (1920) e Luces de Bohemias (1924); anche se la sua produzione artistica per il teatro trovò difficoltà nell’essere messa in scena perché mancava di quel realismo che tanto interessava al pubblico. Nella poesia ebbe uno stile modernista, mentre nella prosa e nel teatro decise di abbandonare l’eccesso delle forme decorative, l’attenzione esclusiva alla bellezza e alla musicalità dell’orazione, per diventare interprete della satira mordace, fredda, acuta, il cui unico strumento sarà la deformazione espressionistica e grottesca. Ci troviamo quindi di fronte ad un poeta che passa dal Modernismo (con le descrizioni nostalgiche di ambienti raffinati e suggestivi), al Espressionismo dell’esperpento, (denuncia di una realtà scura e cruda).192 Nelle sue opere mette spesso alla berlina gli aristocratici, e ironizza sulla realtà nazionale della Spagna. In modo ironico, con lo stile elegante e originale. L’elemento che unisce tutta la sua opera è sicuramente la complessità del suo linguaggio. La sua lingua risulta personale con metafore e anafore.193

Juan Ramón Jiménez. Nasce a Moguer nel 1881. Nel 1890 inizia i suoi studi nel collegio dei Gesuiti di Puerto de Santa Maria, successivamente studia giurisprudenza all’università di Siviglia e nel contempo dipinge, ma legge anche i grandi poeti romantici come Hugo, Goethe. Tra i poeti spagnoli ha una predilezione per Rosalia de Castro e Bécquer. Le sue prime poesie, scritte a quattordici anni, vengono pubblicate in alcune riviste andaluse. Nel 1900 si trasferisce a Madrid dove Francisco Villaespesa lo introduce nel gruppo di letterati che fanno circolo attorno a Ruben Darío e gli fa pubblicare i primi libri: Ninfeas e Almas de violeta, con i titoli suggeriti dallo stesso Darío e da Valle-Inclán, da cui verrà influenzato nelle sue poesie. In questo periodo il poeta si considera un modernista. Nel 1899 inizia a collaborare con la rivista Vida Nueva, dove pubblica alcuni dei suoi primi versi: 192

Dal “Diccionario de la Real Academia Española”, ‘Esperpento’, parola inventata dallo stesso autore con l’intenzione di definire la degradazione e la distorsione dei corpi che si riducono a animali o oggetti, la bruttezza delle smorfie, espressioni e linguaggi tragicamente burleschi. 193 Guillermo Diaz-Plaja,Op.cit. p.77.

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“Semejaba el salón un diamante En faceta de mágicos colores. Bullicioso conjunto, luz radiante, Perfumes de mujeres y de flores...”194

Ho scelto questi versi perché esprimono in pieno il modernismo, con la natura, i fiori, e i colori. Basti leggere la prima frase dove un salone all’improvviso si trasforma in un diamante che con tutte le sue facce illumina la sala con “magici colori” e dove si può sentire il profumo dei fiori e delle donne. Nel 1903 invia una lettera al suo maestro Ruben Darío, nel quale gli racconta che lui, assieme ad altri cinque amici, hanno intenzione di creare una rivista letteraria seria, simile al Mercure de France: “un tomo mensual de 150 paginas, muy bien editado. Nosotros mismos costeamos la revista; asì puedo decir a usted que vivirà mucho tiempo; es cosa madura y muy bien calculada. Nada de lucro: vamos a hacer una revista que sea alimento espiritual; revista de ensueño; trabajaremos por el gran placer de trabajar. En fin, basta esta afirmacion: es una cosa seria. Yo agredecería a usted infinitamente, que nos enviara algo...”.195 In questa rivista l’autore pubblica le Arias Tristes, dove fonde il modello bequeriano con gli esempi di Verlaine e della poesia popolare andalusa.196 Nel 1904 proseguendo la sua partecipazione nella rivista Helios, alla quale avevano collaborato molti artisti, tra i quali i fratelli Machado, Unamuno, Azorín, Darío e Benavente, pubblica Jardines Lejanos, dove si scopre una vena “erotica e spirituale”. L’opera è divisa in tre parti. Nella prima parte, Jardines galantes, l’autore rivela la sua attrazione erotica e la sua nostalgia per la purezza. In Jardines místicos, esprime l’intenzione di eliminare dall’amore l’elemento erotico e carnale, infine in Jardines dolientes, l’autore sperimenta una riconciliazione, senza esito, con gli estremi. 197 Dal 1905 al 1912, il poeta risiede a Moguer e scrive intensamente infatti pubblica Elejías (1908-1910), Las hojas verdes (1910), Baladas de primavera (1910), La soledad sonora (1911), Pastorales e Poemas mágicos y dolientes (1911). Dopo questa intensa pubblicazione parte, attraversa l’Atlantico e arriva fino a New York per sposare la donna conosciuta a Madrid tre anni prima. Dal 1912 al 1916 pubblica 194 195

p.42..

196 197

Ibid., Espasa Calpe, Madrid, 1951p.24. El archivo de Ruben Dario, Buenos Aires, 1943, pp. 14-15 in Guillermo Diaz-Plaja, op. cit Maria Grazia Profeti, op. cit., p.44. Lily Litwak, op. cit., p.26.

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Melancolía (1912), Laberinto (1913), Platero y Yo (1914). Pubblica nel 1917 Diario de un poeta recién casado che diventerà poi Diario de poeta y mar. durante la guerra civile parte per gli Stati Uniti, dove rimarrà fino alla sua morte nel 1958.198

I poeti catalani.

Tra i poeti catalani più importanti spiccano, oltre Joan Maragall, pure Santiago Rusiñol (che pur essendo un artista, si dilettava a scrivere critiche ai poeti della generazione del 98, o pubblicare vere e proprie opere come Oraciones), e Jacinto Verdaguer, che pur essendo un poeta della prima generazione della letteratura catalana, è stato quello che ha dato inizio alla prosperità di questa letteratura anche grazie alla sua partecipazione ai famosi Giochi Floreali (Juegos Floreales) che diedero la possibilità a tanti poeti e scrittori, scrivendo nella loro lingua madre.

Santiago Rusiñol. La figura di Santiago Rusiñol, è stata studiata poco persino in Catalogna, però è di un straordinario interesse umano, artistico e letterario. Nato nel 1861 a Barcellona, fu un artista prolifico, infatti Rusiñol, oltre ad aver svolto l’attività di poeta, fu un grande pittore, e fu colui che iniziò gli artisti catalani alla nuova arte modernista. Ebbe una lunga “relazione” con la Vanguardia, dove pubblicò e vennero pubblicati i suoi articoli e le sue Oraciones (1896). Amante dell’arte, organizzò per cinque anni le famose Festes Modernistes nella città di Sitges, centro culturale che l’artista scelse come luogo per le sue feste poiché lui stesso ne venne influenzato dalle luci che si ritrovavano in questo paesino. In queste feste, come ho già detto nei capitoli precedenti, numerosi artisti mettevano in mostra le loro opere al fine di farsi conoscere dalla borghesia spagnola. Tutti gli artisti erano catalani. In una di queste feste si riconosce il sentimento vero che l’artista esprime verso il modernismo catalano visto nelle feste di Sitges, attraverso il commento alla traduzione in catalano dell’opera L’Intruse, dove Rusiñol dice che con questo nuovo movimento vengono descritti i calvari della vita, si studia il tragico attraverso i cammini 198

Maria Grazia Profeti, op. cit., pp.44-45.

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del mistero; si adora quello che fino a poco prima era stato ignorato, vengono predetti dal destino i cataclismi dell’anima e nelle cadute del mondo l’espressione eccitata del terrore. “Tal es la forma estetica de este arte, espléndido y nebuloso, prosaico y grande, místico y sensualista, refinado y bárbaro, modernista y medieval a un tiempo; de este arte que os ofrezco como flor virginal de cemeterio.”199 La terza festa modernista è sicuramente quella più interessante dal punto di vista storico e letterario, poiché in questa occasione Rusiñol pronunciò uno dei suoi discorsi più importanti. Affermò che a Sitges si erano riuniti tutti quelli che odiavano la vita come economia, egoismo, materia. L’arte spirituale, “fresc com el riure d’un infant i misterios com el pensament d’un vell”,200 viene dimenticata tra le braccia del positivismo e dell’arte commerciale; si combatte la religione dell’arte, e della poesia. Dice che questi non sono né potranno mai essere modernisti; il loro regno è quello della prosa materiale e stupida. Però un aurora si avvicina, alimentata dai sogni dei giovani che sono riuniti nel Cau di Sitges; bisogna dar fuoco alla speranza perché un giorno nuovo sta aspettando. Il regno dell’egoismo deve essere abbattuto, non si vive solo alimentando il corpo, la religione dell’arte è necessaria al povero come al ricco, il popolo che non vuole i suoi poeti deve vivere senza canti né colori, cieco di spirito e di vista; chi vive nella terra senza riconoscere la bellezza non è degno né ha diritto a ricevere la luce del sole, a sentire i baci della primavera, a godere dell’insonnia dell’amore, “a ensuciar con su baba de bestia innoble las hermosuras esplendidas de la gran naturalezza”.201 Viene delineandosi quindi l’estetica modernista di Rusiñol: odio per il materialismo borghese, e una sorta di neoromanticismo che sventola di nuovo la bandiera dell’arte per l’arte, soffocata per decenni nel naturalismo e nella preoccupazione sociologica.202 Abbiamo già menzionato le Oraciones di Rusiñol, questo testo è considerato il primo libro di poemi in prosa della letteratura peninsulare; è il libro che inizia un nuovo genere che dona alla prosa la dignità estetica del verso, la sua attenzione e il suo rigore. In questo libro ciò che è veramente importante è il tema, ciò di cui si parla. Infatti l’autore catalano ci dà la manifestazione di un’esaltazione panteistica e mistica della Natura; l’elogio alle arti meno valorizzate: i primitivi, il canto pieno, i giardini 199

Guillermo Diaz Plaja, op. cit., p.323. Ibid., p.324. 201 Ibid., p.324. 202 Ibid., p.325. 200

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abbandonati, le cattedrali gotiche…, tutte tematiche che nel Modernismo avremo sotto gli occhi, grazie alla prosa lirica di Santiago Rusiñol.203 Non possiamo non citare il legame di questo artista catalano con un altro famoso gruppo artistico – letterario quale Els Quatre Gats. Infatti Rusiñol è assieme a Casas il fondatore di questo gruppo, e della rivista che prende lo stesso nome, che accoglieva vari artisti e contribuiva alla loro fama. Uno degli artisti più famosi del gruppo di Els Quatre Gats è Picasso.

Jacinto Verdaguer.

Nacque a Folgaroles nella provincia di Vich. Viene considerato come il primo poeta catalano contemporaneo, e spesso la sua opera viene divisa in tre fasi: una epigrafica, una patriottica, e una mistica. Nella prima possiamo trovare le sue prime due opere importanti l’Atlantida e Canicó. Grazie a lui si può dividere in due la fase dei Giochi Floreali, nel 1887, infatti, la sua opera Atlantide consacrò il poeta come massimo esponente della letteratura catalana. Prima di Verdaguer la poesia catalana veniva tradotta dal castigliano, poiché i poeti pre-verdagueriani non avevano un’indipendenza intellettuale tale da arrischiarsi a scrivere direttamente in catalano, e non riuscivano ad essere sinceri a causa di un’epoca di convenzionalismo. 204 Con Verdaguer il catalano riacquista solidità, struttura, e quella musicalità un po’ aspra che lo caratterizza. Come poeta insegnò ad amare la natura, ad animarla di mirabili fantasie, a porre sentimento dove si trovava la materia, e trasformò la retorica in poesia. 205 Verdaguer riuscì con la sua poetica a piegare quella lingua ribelle che era il catalano, la rese duttile, la fece snella e robusta. Con l’Atlantida la lingua catalana raggiunge il grado di vera lingua letteraria.206 Verdaguer riesce a dar forma e struttura alla lingua catalana, che nei Giochi Floreali aveva vissuto una nuova infanzia, e le impone il suo sigillo di gran signore della poesia per chiudere quel periodo del Rinascimento che potrebbe essere chiamato di preparazione e di elaborazione.207

203

Ibid., p. 326. C.Giardini, Antologia della Poesia Catalana (1845-1935),Milano, Garzanti, 1950, p. XIX. 205 Ibid p.XX. 206 Ibid., p.XX. 207 Ibid., p.XXX. 204

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Joan Maragall.

“Nessun poeta catalano prima di Maragall seppe guardare

e

amare

così

profondamente

la

natura”.208

Nato e morto a Barcellona (1860-1911), studiò giurisprudenza e lavorò come avvocato e giornalista. Catalanista convinto, fu attivo nella politica culturale e ricoperse cariche importanti nell'Ateneu Barcellonés. La sua scelta identitaria si riversa nella sua produzione. Conoscitore di tutti gli eventi politici della Catalogna, pur non avendo mai partecipato direttamente alla vita politica, è autore di molti articoli scritti durante la Semana Tragica a Barcellona, che raccontavano i drammatici avvenimenti accaduti dal 26 luglio al 2 agosto del 1909.209 Tre, in particolare, sono gli articoli che pesarono sull’opinione pubblica della Catalogna: Ah! Barcelona…, La ciutat del perdò, La iglesia cremada. Tutti e tre vennero pubblicati ne La Veu de Catalunya.

In questi testi

Maragall esprime tutto il suo disappunto per le vicende che avevano colpito la città catalana nei mesi estivi, dicendo «Cataluña, Barcelona, has de sufrir mucho, si quiere salvarte. Has de aceptar las bombas, y el luto, y los robos, y el incendio: la guerra, la pobreza, la humiliación, y las lagrimas, muchas lagrimas».210 Molto importante, come vedremo subito, sono le numerose corrispondenze che Maragall ebbe con i maggiori poeti e scrittori iberici e catalani.

208

Cfr. C. Giardini, Ibid., p.XXXI. In queste date si sviluppò una serie di violente contestazioni contro l'esercito da parte delle associazioni operaiste in tutta la Catalogna. Anarchici, comunisti, antimilitaristi e anticlericali organizzarono scioperi generali e atti di vandalismo, ai quali il governo rispose con l’invio di truppe provenienti anche da altre città. La rivolta fu sedata a prezzo di molte vite umane. 210 Dall’articolo Ah! Barcelona… di Joan Maragall, pubblicato nella Veu de Catalunya il 1 ottobre 1909, “Catalogna, Barcellona soffrirà tanto, se vuole salvarsi. Deve accettare le bombe, il lutto, e le rapine, e l’incendio: la guerra, la povertà, l’umiliazione, e le lacrime, molte lacrime.” 209

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Come si può notare dai titoli appena citati, Maragall scrive sia in castigliano che in catalano, ma proprio quest’ultima lingua, esclusiva nella corrispondenza, è anche quella caratteristica della sua produzione poetica211. Le sue opere letterarie risentono del generale impulso di rinnovamento del suo tempo e si accostano, come quelle di altri modernisti, alle istanze della così detta Generazione del ‘98212, che accolse i nomi più prestigiosi della cultura iberica del momento, da letterati come Unamuno, Machado e Valle Inclán, a studiosi come Menendez Pidal e musicisti come Albeñiz. Gli intellettuali che aderirono al modernismo facevano capo alla Cau Ferrat di Sitges, casa e studio del pittore e scrittore modernista Santiago Rusiñol i Prats: Maragall, che era amico di Rusiñol, era fra i frequentatori della casa, ubicata in un piccolo centro, che corrispondeva in pieno alle pretese di rimpianto della semplicità primitiva della campagna che era comune a tutti gli aderenti al movimento. Alla Cau Ferrat, su impulso di Rusiñol ,si svolgevano anche le Feste Moderniste. Rusiñol (1861-1931), dopo un periodo di studio a Parigi aveva incominciato a dipingere quadri dal soggetto naturalistico, come la serie dei Jardins d'Espanya, luoghi solitari e abbandonati, commentati anche da un testo letterario dello stesso titolo (1903). In questi dipinti la forte componente simbolista nutrita di tardo-romanticismo, tipica del modernismo, conteneva anche elementi di realismo. La sua pittura è fresca e luminosa nel tratto, ma non nasconde una certa vena mistico-irrazionale. La produzione letteraria, e in specie quella teatrale, invece, è gioiosa e leggera, talvolta umoristica e satirica (L'alegría que pasa (1901), El pati blau (1903); e El mistic (1904); L'auca del senyor Esteve . Al contrario, Maragall, che aderisce consapevolmente al decadentismo, viene influenzato dal concetto di vitalismo panteistico di Nietzsche, che coniuga al suo cocente cattolicesimo. Fervido evocatore della natura, la sente con commosso misticismo, cercando Dio nella bellezza offerta dalle forme viventi. Su tutto domina Dio, creatore d’ogni cosa, e in tutto egli appare, nel granello di sabbia come nella montagna.

211

Fra queste ricordiamo: Poesies, 1895; Visions i Cants, 1900; Les Disperses, 1904; Enllà, 1906; Seqüències, 1911. 212 Il nome deriva dall’anno emblematico 1898, durante il quale la Spagna perse definitivamente il suo impero coloniale. Il rapporto tra Modernisti e Noventayochistas è studiato da già da Guillermo DíazPlaja, Modernismo frente a Noventa y ocho, Espasa- Calpe 1951 e, più di recente, da Hornero Castillo [ed.], Estudios críticos sobre el modernismo, Madrid, Gredos, 1987; Donald Shaw, La generación del 98, Madrid, Cátedra, 1997.

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Anche la poesia è da lui vitalizzata e la sua genesi dovrà essere immediata, completa e definitiva, come un organismo vivente. Essa sarà frutto di immediatezza e di intuizione, riflesso di pienezza spirituale del suo autore. Non occorre correggere, limare, sistemare. Il potere della parola vince persino contro la disciplina della metrica. L’ideale della poesia è quello di “suggerire tutto un mondo con una sola parola” e il compito del poeta non è dire cose nuove ma scoprire la meraviglia delle cose note, perché il momento della creazione poetica è un momento di grazia. Essa è puro sentimento, evocazione del mistero della natura e degli affetti.213 Nonostante queste teorie strampalate fu un poeta di rilievo, secondo Unamuno uno dei più grandi del XX secolo.214 Di sicuro egli diede una svolta rinnovatrice alla poesia catalana ed ebbe molti seguaci. Si chiamarono maragalliani pirenaici, ruralisti tutti quei poeti che cantavano la natura: l’acqua e la terra, l’alternarsi delle stagioni, la bellezza dei paesaggi, la dolcezza dei cieli stellati, senza problemi cerebrali, con amore francescano e con umile semplicità, abbandonandosi alla meraviglia sempre nuova del creato .215 Per reazione vi furono anche gli anti-maragalliani, mediterranei e poeti dell’Urbanesimo. Per questi ultimi è importante nella poesia l’eleganza della forma, che è segno del dominio esercitato dai poeti sulla materia. Come abbiamo anticipato, sono molto interessanti i suoi scambi epistolari con gli intellettuali del tempo. Ci soffermeremo su uno in particolare, quello con l’architetto e poeta José Pijoán, con il quale mantenne una fitta corrispondenza dal 1902 al 1910. Durante la lunga corrispondenza i due poeti si scambiarono frequenti lettere con opinioni, diversi stati d’animo, e informazioni su quanto succedeva fuori dalla Spagna e nel resto d’Europa. José Pijoán infatti all’inizio della corrispondenza si trovava in Italia per degli studi filosofici e mentre chiedeva informazioni sulla sua patria, lasciava un bel ricordo della penisola italiana descrivendone le città. Joan Maragall dal canto suo raccontava a Pijoán delle sue inquietudini rispetto agli avvenimenti della Semana Tragica, e a quello che succedeva nella Catalogna. Si scambiarono spesso poesie, come questa che Joan Maragall scrisse a José Pijoán: “Aquel silvestre brot que s’enfilaba Florint tan bojament, Al pes de la florida es decantaba, Prenia mal cayent. 213

C.Giardini, op. cit., p.XXXII. Ibid.,pp.31-32-33. 215 Ibid., p.XXXIII. 214

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Cuant yo l’en veig en sa torta figura tan asemblat a mi, Comprenench que aquella santa curvatura No podré corretgir! Doblo ab pietat la crosa amorosa Semblant an el meu cor; La faig pel meu descans d’aquesta vida La torta de l’amor! Me’l miro embaladit: és l’obra meva, Tot jo m’hi sóch posat; M’arrenca el plor aquella imatge seva D’amor y libertad! Sento deliri immens de nova empresa: Tremolan ja las mans, Aquestas tendres mans qu’en jovenesa S’aixequen ja triomfants!”216 “Ese silvestre brotado que se enfilaba Floreciendo tan locamente, Al paso de la florida se diferenciaba, Se estropeava cayendo. Cuando yo la vedo en su torcida figura tan parecida a mì, Comprendo que aquella santa curvatura No la podré corregir! Doblo con piedad la muleta amorosa Parecida a mi corazòn; Lo hago por mi descanso de ésta vida La torcida de l’amor! Me la miro embobado: es mi obra, Todo yo puesto; Me arranca la llorera aquella imagen suya De amor y libertad! Siento delirio inmenso de nueva empresa: Temblando ya las manos, Estas tiernas manos que rejuvenecen Se levantan ya triunfantes!”217

Ho scelto di citare questa poesia perché è emblematica della sensibilità dell’autore. Maragall identifica la sua personalità e la sua vita con un germoglio attorcigliato, del quale, anche volendo fortemente, non si potrà mai modificare la curvatura. Questo accade per la natura divinizzata di quel germoglio, la cui curvatura è “santa” perché così Dio ha deciso che fosse e così deve rimanere. Ma allo stesso tempo questa immagine si fonde con i tormenti d’amore e con quelli creativi, di qui, con cadenza del tutto decadentista compaiono il delirio, il tremore, il rinnovamento che conducono al trionfo. Molte liriche di questo autore catalano mostrano un simile profondo legame con la natura e con la fede, e forse è proprio questa attrazione che lo accosta particolarmente 216

Sic. Anna Maria Blasco, Joan Maragall i Josè Pijoan, Estudi i epistolari, Volume 117 di Biblioteca “Abat Oliba”, Ediciones Publicacions de L’Abadia de Montserrat, Valencia/Barcelona 1992 p. 148. 217 Trad.it Anna Maria Blasco, Joan Maragall i Jose Pijoan., Estudi i epistolari.

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alla figura di Antoni Gaudí. Forse era proprio questa voglia di ritrovare la bellezza della natura in ogni dove che li accomuna. Anche se spesso discutevano e non si ritrovavano d’accordo su molti temi e ciascuno di loro aveva la propria opinione sul lavoro, sulla politica, sulla vita. I loro rapporti si indovinano da una lettera che Maragall scrive a Pijoán e racconta che su invito di Gaudí si era recato al Park Güell:

“Un d’aquest dies, en Gaudì me va convidar a anar ab ell a visitar el Park Güell. Ês ben interessant com aquest home posa ánima en tot lo que fa. Vàrem parlar molt i logrà fer-me entrar en la seva idea de decoració meridional. Però després, enfondint, enfondit, arrivàrem a un punt en què da cap manera poguérem entendre’ns. Ell, en el travall, en la lluyta ab la matèria per fer-la idea, hi veu la lley del càastich, y s’hi delita. No vaig poder dissimular la meva repugnància per un tal sentir negatiu de la vida, y discutirem un xich, molt poch, perquè desseguida vair veure que no podiam entendre’ns. Jo que’m pensava ésser tant fondament catòlich! Vaig compendre que la tradició catòlica dogmàtica la representava ell; que, ortodoxament, ell estava en lo fort; que jo al seu davant era un aficionat tot travessat d’heterodòxias. Y després, que? Si al travall, al dolor a la lluyta humana, li volen dir castich, axò és una cuestió de paraula. Però no és veritat que’l sentit d’aqueixa paraula sembla enterbolir la vida humana en sa font mateixa? A mi’m sembla qu’a mesura que se sent mes fort el regne de Dèu en la terra (adveniat regnum tuum sicut in coelo et in terra), un mira menys endarrera y no li cal saber si tot ve d’un castic, perquè está fascinat per la gloria que te al davant y l’amor que sent a dins. An en Gaudì li vaig parler de voste y’l va recordar desseguida ab interes, peró’s veu que no sab res, ni sospita, de lo que voste te a dins. Prou per avuy. Vinga, escrigui. Espressions a tots. La Clara el saluda afectuosament, els petits l’anyoren y jo tambè.”218 “Uno de esos días, Gaudí me invitó a ir con él a visitar el Parque Güell. Es interessante como éste hombre pone su alma en todo lo que hace. Hablamos mucho y logró hacerme entrar en su idea de decoración meridional. Pero después, profundizando, profundizando, llegamos a un punto en que de ninguna manera pudiéramos enterndernos. Él, en el trabajo, en la lucha con la materia por hacerla idea, ve la ley del castigo, y se deleita. No pude disimular mi repugnancia por un sentido tan negativo de la vida, y discutimos un rato, muy poco, porqué en seguida vi que no podíamos enterndernos. Yo que pensaba ser tan profundamente católico! Comprendí que la tradición católica dogmática la representaba él; que, ortodoxamente, él estaba en lo fuerte; que yo delante de él era un aficionado atraversando heteroxodias. Y después qué? Si el trabajo, el dolor, o la lucha humana, si lo queremos llamar castigo, eso es una cuestión de palabra. Pero no es verdad que el sentido de esa palabra parece nublar la vida humana en sí misma? A mí me parece que a medida que se siente más fuerte el reino de Dios en la Tierra (adveniat regnum tuum sicut in coelo et in terra), uno mira menos atrés y no le hace falta saber si todo viene de un castigo, porque estás fascinado por la gloria que tiene delante y el amor que siente dentro. A Gaudì le hablé de usted y lo recordó con interés, pero se ve que no sabe nada, ni sospecha, de lo que usted tiene dentro. Basta por hoy. Venga, escriba. Expresiones a todos. La Clara le saluda afectuosamente, los pequeños la añoran y yo también.”219

218 219

Sic. Anna Maria Blasco, Op. cit. (pp.131-132). Trad.it Anna Maria Blasco, Joan Maragall i Jose Pijoan Estudi i epistolari.

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Si noti in questa lettera come Maragall non si capaciti del senso negativo in cui vive Gaudí, quest’uomo che come dice il poeta “mette l’anima in tutto quello che fa”; ma che evidentemente vede in tutto quello che è stato creato da Dio una sorta di castigo, al quale non si può sfuggire, il lavoro, il dolore, la lotta umana, tutto è un castigo secondo l’architetto catalano. Ma Maragall risponde che anche se le persone sentono forte il castigo di Dio, è proprio perché sanno che lui esiste che non si curano del fatto che soffrono, perché di fronte alla bellezza e alla grandiosità del creato rimangono affascinati e sentono più forte l’amore che hanno dentro e non si curano se vivono lottando, o con sofferenze. Maragall era una persona molto credente e fedele, e ricercava in ogni dove una traccia del Creatore. Veniva spesso influenzato dalla sua fede, e dalla natura nello scrivere le sue poesie. Come in questa dove i mandorli si trasformano in “bandiere bianche”: Mandorli I Sopra il monte, a mezza costa, vedo un mandorlo infiorato. Salve a te, bandiera bianca! Quanto tempo t’ho aspettato! Sei la pace che, tra sole Nubi e vento, Iddio c’invia. Non se’ ancor la primavera, ma ne hai tutta l’allegria. II Oggi è caduta neve sopra i fiori E sulle cose della primavera: mattino di candor che il sole ha fuso. I vermigli boccioli a mezzogiorno Fuor della neve hanno cacciato il capo, e risplendeano in mezzo al gran candore: e i mandorli hanno reso grazie a Dio agitando il vestito bianco-rosa.220

E ancora il mare e le barche che viaggiano e fanno ritorno nei porti e nelle spiagge: Marina Una poi l’altra, vergini alla danza, scivolando le barche entran nel mare; 220

C.Giardini, Op.cit., pp. 33-34.

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s’apre la vela come un’ala al sole e pei cammini che solo esse scorgono s’allontanano verso l’alto mare. Oh cielo azzurro! Oh azzurro mar! deserta Spiaggia accesa di sol, vicino a te Sonoro canta il mar mentre tu attendi Il ritorno magnifico A sol calante, della prima barca Che dal mare uscirà tutta odorosa.221

221

Ibid., p.34.

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Conclusione L’obiettivo di questa tesi era quello di ragionare sulla mistica della natura come punto di incontro e di contatto fra l’architettura di Gaudí e la produzione letteraria del suo tempo. Il ricorso alla natura e le cadenze mistiche non sono tratto esclusivo del momento culturale barcellonese –il Modernismo- al quale fanno capo i fatti dell’arte di cui ci siamo occupati. Già nel tardo preraffaellismo, in pittura come in letteratura, la forte accentuazione simbolista di temi e motivi ornamentali si caricava di una pretesa di sincerità e ingenuità capace di interpretare l’essenza del mondo e della vita. Il Modernismo in genere, fin dalle esperienze dell’avanguardia americana, si manifesta come un nuovo rinascimento che guarda contemporaneamente alla sensorialità e alla spiritualità, nel quale “mientras la tendencia a volver a la naturaleza va réfinandose, a cumplirse en la perfection de la forma,... la tendencia mistica va, depurandose, a un misticismo lleno de gracia y de fineza…”222. In Spagna e soprattutto in Catalogna, dove peraltro le istanze di rinnovamento modernista si coniugano a un potente risveglio identitario, il topos del “libro divino della natura” appare dominante sia nella letteratura che nell’arte. Los Jardines de España di Santiago Rusiñol (1899), incantata evocazione della natura locale mediante dipinti poi commentati da versi dell’autore, possono essere un esempio molto calzante di questa tendenza. Ma è soprattutto in una lettera che Joan Maragall ha spedito a José Pijoán, nella quale si parla proprio di Gaudí e del Park Güell, che possiamo renderci conto del valore mistico della contemplazione della natura che circolava in quell’ambito culturale. Nel testo, infatti, viene ribadita appassionatamente l’assoluta coincidenza fra la volontà divina e le forme del creato, nel loro splendore come nei loro repentini cambiamenti, nella gioia e nella sofferenza. All’interno di questa logica si comprende bene come qualsiasi evocazione di forme naturali assuma un valore mistico e come i dettagli, non meno che le strutture, ricoprano un ruolo simbolico straordinariamente denso. Per Gaudí la natura –sua sola maestra- diviene un enorme serbatoio di forme funzionali ed estetiche, al quale attinge anche per riconiugare in senso modernista e in senso mistico i suggerimenti provenienti dalla cultura del passato lontano e recente. E’ così che scopre una certa volontà espressiva implicita e non contrastabile nelle forme 222

Manuel Díaz Rodriguez,Camino de perfectión, Editorial Cecilia Acosta, Caracas 1942, p.

354.

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dei suoi elementi di sostegno, spesso zoomorfe e vegetali, e nella geometria sorprendente dei suoi archi e delle sue superfici, sempre evocanti aspetti della natura. È la stessa forza inesauribile che si scopre nel silvestre brot di Maragall, metafora dello stesso poeta, contrassegnato da un destino ineluttabile voluto da Dio che, anche a costo di sofferenza, lo condurrà alla realizzazione di sé: “…Sento deliri immens de

nova

empresa:/

Tremolan

ja

las

mans,/Aquestas

jovenesa/S’aixequen ja triomfants”.

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tendres

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Particolare Facciata della NativitĂ , Sagrada

Colonne Sagrada Familia

Familia

Park GĂźell, ingresso

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Camino e coda del drago, Casa Batll贸 Facciata Casa Batll贸

Arco Parabolico o Catenaria, Casa Mil谩 Facciata Casa Mil谩

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Palmette greche in Casa Vicens

Camino Casa MilĂĄ

Colonna Park GĂźell

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Particolare chiocciola Casa Batll贸

Particolare Park G眉ell Salamadra

86


Sagrada Familia, Facciata della NativitĂ

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