Imperfetto futuro

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Collana LaRossa Serie BIG‐C Grandi Caratteri La serie Big‐C, Grandi Caratteri, grazie all’alta leggibilità del carattere utilizzato in stampa e alle sue dimensioni (generalmente 13 o 14), propone testi di agile lettura rivolti in particolare a lettori con problemi visivi (ipovedenti). Assieme a questo libro e fino a esaurimento scorte, viene dato in omaggio un audiolibro su CD che permette in particolare a persone non vedenti o con problemi di dislessia, di ascoltare il racconto anziché leggerlo. Precisiamo che per i lettori con problemi di dislessia sono in commercio pubblicazioni a stampa realizzate con caratteri e accorgimenti particolari, che i libri della nostra serie non utilizzano. Tuttavia, il carattere utilizzato nella serie Big‐C (Candara) si presta comunque molto bene allo scopo. La presente opera è stata realizzata SENZA alcun finanziamento o contributo statale, pubblico o privato, ma esclusivamente con il capitale della Casa Editrice. Gli audiolibri forniti, offerti in omaggio a scopo promozionale e realizzati in collaborazione con l’Associazione Servizi Culturali, sono narrati da non professionisti dalla voce chiara e gradevole. Grazie a una particolare e rivoluzionaria iniziativa, JukeBook, i CD allegati ai libri possono essere scambiati con altri CD. All’interno del CD sono presenti tutti gli approfondimenti sull’argomento.


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CRISTINA BERGOMI

IMPERFETTO FUTURO

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IMPERFETTO FUTURO Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2012 Cristina Bergomi ISBN: 978-88-6307-416-1 In copertina: Immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Febbraio 2012 da Logo srl Borgoricco - Padova


A Mattia, Elisa e Francesco. Voi avete reso possibile ogni cosa.



RINGRAZIAMENTI Ringrazio la mia famiglia: mio marito, la mia roccia, il mio punto fermo e i miei figli che ogni giorno rendono la mia vita una giostra impazzita da cui, però, non vorrei più scendere. Un grazie ai miei genitori che mi hanno insegnato a mettere l’anima in ciò che faccio e a portare avanti i miei progetti, anche quelli più azzardati. Ringrazio le mie amiche: quelle che ci sono da tanto tempo e quelle che si sono aggiunte strada facendo. Tutte hanno arricchito la mia vita, spero di aver fatto altrettanto per loro. Ringrazio le ragazze del forum “Quelle che…” senza le quali, forse, questo libro sarebbe rimasto nel cassetto. Un grazie particolare a Roberta e Cristiana che hanno avuto la pazienza di leggere infinite bozze e continue revisioni e ad Anna, una fonte inesauribile di creatività.



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Giulia guarda Paolo che dorme accanto a lei, sente il suo respiro regolare, il suo corpo che emana un calore buono, rassicurante. Riesce a dormire in qualunque situazione, ed è una cosa che gli ha sempre invidiato moltissimo. Lei trascorre le sue notti a fissare le macchie d’umidità sul soffitto e a pensare alle cose da fare il giorno dopo, alla sua vita, ai suoi sogni. Anche stanotte non fa differenza. Ripensa a quando, dopo la laurea con lode in giurisprudenza, si sentiva il mondo in tasca, ai primi curriculum e alla voglia di dimostrare quanto valesse, a Paolo, al loro primo incontro nello studio dove lei faceva praticantato, lui avvocato già affermato e lei giovane e ingenua ragazzina al primo round con la vita vera. Non ci è voluto molto, nel giro di qualche mese era già perdutamente innamorata di lui e lui di lei, passavano ogni minuto libero insieme ed erano davvero felici.


10 Dopo nemmeno un anno è rimasta incinta di Anna e a distanza di diciotto mesi è arrivata anche Camilla. Le sembrava di toccare il cielo con un dito e, poco prima della nascita di Anna, aveva deciso di lasciare il lavoro per occuparsi a tempo pieno delle bambine; loro erano la sua vita e la carriera era un sacrificio di poco conto rispetto all’opportunità di vederle crescere. Vedeva le altre donne avvocato con famiglia, la fatica che facevano per conciliare tutto, per poter essere a casa prima che i loro bimbi andassero a letto, il senso di colpa dipinto sul loro volto e la baby sitter di turno che veniva chiamata “mamma” dai piccoli. Non voleva che la sua vita fosse così, non voleva che le bimbe crescessero con un’estranea e non voleva accontentarsi di briciole di tempo sbocconcellate tra un impegno e un altro. La laurea è finita in un cassetto dell’armadio e Giulia si è dedicata tempo, cuore e anima alla famiglia. Otto anni sono volati in un soffio e hanno portato via anche la spensieratezza, la passione, la gioia di stare insieme. Spesso guarda Paolo e cerca di vederlo con gli occhi di un’altra donna; a quarantacinque anni è ancora un bell’uomo, alto, le spalle larghe e il fisico asciutto di chi ha fatto tanto sport in gioventù, le piccole rughe che iniziano a disegnare il suo viso conferendogli un’aria saggia, vissuta. In


11 quei momenti sente il cuore perdere un battito come a ricordarle che quell’uomo lo ama ancora, immensamente. Giulia di anni ne ha solo trentanove, ma quando si guarda allo specchio non trova più la ragazza ambiziosa e piena di sogni. Al suo posto c’è una donna con gli occhi stanchi, disillusi e il fisico un po’ appesantito dalle due gravidanze e dalla cioccolata mangiata sul divano da sola alla sera. Non è brutta ma la sua è una bellezza fatta di acqua; la vedi scorrere ma non lascia il segno. Anche Paolo sembra vederla così. La guarda come fosse di cristallo e i suoi occhi la attraversano senza sfiorarla realmente. Eppure il dolore non è acqua, il dolore è ben inciso nella carne e ogni carezza mancata, ogni parola non detta è una punta affilata che scava le viscere. Quante volte si è ripetuta che dovevano resistere, che avevano superato cose peggiori e ne erano usciti sempre insieme, ancora più uniti. Era solo un periodo di stanchezza e poi sarebbe bastata una carezza per ritrovarsi, come era sempre stato. Giulia sente i pensieri che scivolano morbidi e il sonno che, finalmente, ingoia le sue inquietudini.


12 I consigli di classe la sfiniscono. Eppure, quando si è candidata come rappresentante, pensava di trovare un buon modo per occupare parte del tempo. Ormai di tempo ne ha parecchio da quando le bambine hanno iniziato la scuola. Spesso gira per la città senza una meta fissa, guarda i palazzi, si ferma nei giardini e osserva la gente che le passa accanto di fretta. Le piace immaginare le vite degli altri, dove vanno, se sono sposati, se hanno figli, che lavoro fanno. Le sembra di vivere un po’ delle loro vite, di riflesso. Oggi però c’era la riunione: mamme agguerrite che chiedono perché i loro figli hanno preso una nota o un brutto voto, le maestre costrette a difendersi da queste Erinni, nuove sacerdotesse della pedagogia. Giulia non è combattiva, non lo è mai stata. Fin da piccola sua madre la elogiava per la sua obbedienza, per il suo carattere docile e accomodante. Crescendo le cose non sono cambiate: ha sempre avuto timore a far valere la sua opinione e anche con Paolo è piuttosto remissiva. Non avevano quasi mai litigato, non le piacevano le urla, detestava discutere ed era diventata abilissima a spegnere ogni possibile scintilla o tensione. Dopotutto non ci si poteva arrabbiare con qualcuno che si addossava ogni colpa pur di chiudere la faccenda.


13 Quando era piccola, sua nonna le ripeteva che non bisognava mai andare a letto arrabbiati e lei l’aveva preso come motto di vita. Guarda in continuazione l’orologio e non vede l’ora che le altre due rappresentanti finiscano di discutere. «Giulia, sei d’accordo anche tu, vero?» «Scusa Marina, mi sono persa un attimo. Su cosa dovrei essere d’accordo?» «Sul fatto che i bambini hanno sempre troppi compiti per il lunedì e che sono stanchissimi.» «Mmmh, a dire il vero non mi sembra che siano così tanti.» «Come non ti sembra? Trovi giusto che i nostri piccoli siano costretti a passare ore e ore sui libri in terza elementare?» «No, certo che no, ma due pagine da studiare per il fine settimana non sono “ore e ore sui libri”.» «Ah certo, perché tu sei a casa e puoi aiutare tua figlia a fare i compiti.» «Non è vero! Anna si arrangia benissimo, io li controllo solo quando ha finito.» Marina sventola la mano facendole segno di lasciar perdere, prosegue la sua battaglia contro le maestre e Giulia può nuovamente sprofondare nei suoi pensieri.


14 Casa. Apre la porta e viene investita dall’odore forte del soffritto che sua madre sta preparando in cucina. Le bimbe le corrono incontro saltellando ed è una girandola di “Mamma, guarda cos’ho fatto a scuola!”, “Mamma, domani ho la gita con la classe”, “Mamma, mamma, mamma!”. Sua madre sorride di nascosto e Giulia si accuccia per permettere alle piccole di saltarle in braccio e subissarla con le loro richieste di attenzione. Camilla e Anna corrono in camera a finire il gioco che la mamma, con il suo arrivo, ha indebitamente interrotto e Giulia raggiunge sua madre in cucina. «Grazie mamma per la cena, non dovevi disturbarti.» «Figurati, le bambine erano di là a giocare e non avevo altro da fare. Non mi costa nulla.» «Paolo ha chiamato?» «No, ma non dovrebbe essere già qui?» «Sì, in effetti sì. Probabilmente ha avuto un contrattempo al lavoro.» «Io vado se non ti dispiace. Sono le otto passate e tuo padre sarà già preoccupatissimo.» «Vai mamma, non ti preoccupare. Grazie ancora, ci vediamo lunedì.» «Ciao tesoro! Ciao bambine!» «Ciao nonnaaa!»


15 La voce di Camilla arriva ovattata attraverso la porta chiusa della camera. Appena sua madre esce Giulia chiama Paolo sul cellulare ma non risulta raggiungibile. Non le va di far cenare le bambine troppo tardi. «A tavola! Lavatevi le mani!» Mentre cenano Anna fa il resoconto di chi non è più sua amica oggi e chi invece è diventata honoris causa la sua nuova migliore amica. Di solito il bollettino ha scadenza giornaliera; solo in rare occasioni si è arrivati a una settimana di assetto stabile. Sono le ventuno quando Paolo arriva: Giulia sente il tonfo familiare della valigetta portadocumenti sul pavimento, il cappotto che viene sfilato e i passi stanchi che si avvicinano. «Ciao! Problemi in ufficio?» «Mmh. Giornata decisamente impegnativa. Come al solito.» Le posa una mano sulla spalla e le sfiora la guancia con un bacio distratto. «Eccole le mie principessine!» «Papà! Papà! La maestra mi ha dato un libro nuovo. Ce lo leggi stasera?» Anna guarda suo padre con gli occhi sgranati facendo leva sulla sua capacità di piegarlo al suo volere. «Certo tesoro, vado a farmi una doccia veloce e sono da voi.»


16 «Però domani leggiamo uno dei miei libri! Non è giusto che sia sempre Anna a scegliere!» Camilla reclama la sua parte di attenzione con un finto broncio. «Va bene, va bene. Domani la storia la scegli tu.» «Ho dato da mangiare alle bambine, ma io ti ho aspettato. Ti va un po’ di pasta?» «Va bene qualsiasi cosa, non ho molta fame. Sono stanchissimo!» Giulia non fa in tempo a replicare che è già svanito e dopo poco si avverte il rumore dell’acqua che scroscia nella doccia. «Forza bambine, di corsa a lavare i denti e poi a letto. Papà viene tra poco a leggervi la storia.» Appioppa un bacio sulle testoline profumate e ascolta divertita lo scalpiccio di piedini e risatine che si dirige verso la camera da letto. Mentre apparecchia la tavola sente in lontananza la voce di Paolo che legge la storia facendo le voci buffe che ad Anna piacciono tanto. Da quanto è che non ridono insieme? Un tempo lui la faceva divertire usando le stesse voci buffe che ora riserva solo alle bambine. Dopo mezz’ora la raggiunge, cenano scambiandosi informazioni sulla giornata trascorsa, sulle cose da fare il giorno dopo, su chi deve accompagnare e riprendere Camilla a danza. In sottofondo c’è la televisione che, terzo ospite a tavola, copre i sempre più frequenti silenzi.


17 Giulia sparecchia veloce e quando sente Paolo alzarsi spera, per un secondo, che lui la abbracci da dietro, come faceva anni prima, quando non riusciva a stare lontano da lei. Le passa accanto senza toccarla e va a stendersi sul divano con il telecomando stretto in quelle mani un tempo avide di lei. Lo raggiunge dopo poco e si accoccola vicino a lui. Sente il suo tepore attraverso la felpa della tuta e la mano scivola leggera sul suo petto e poi più giù. «Tesoro scusa, ma stasera sono davvero stanchissimo.» La risposta secca non dà adito a replica. La mano risale immediatamente e si ferma sul cuore. Giulia non riesce a nascondere un po’ di delusione. Sa che lui lavora tantissimo e che cerca di non far mancare nulla e lei e alle bambine, ma in questo periodo è molto stressato e quando torna a casa non ha più la forza di fare nulla. Le immagini alla televisione scorrono veloci ma nessuno le guarda. Paolo si è addormentato sul divano, Giulia prova inutilmente a svegliarlo con delicatezza; sta dormendo profondamente. Lo copre con un plaid e spegne la televisione. Paolo resta immobile al buio, gli occhi chiusi finché non sente Giulia allontanarsi. Sono parecchie sere che finge di


18 addormentarsi sul divano per non dover rispondere alle domande inespresse di lei. Cosa dovrebbe dirle? “Non so se ti amo ancora?” oppure “Non riesco più a trovare in te la donna di cui mi sono innamorato?”. La distruggerebbe. Le vuole bene, un affetto immenso ma nello stesso tempo la odia per avergli dato la responsabilità della sua vita. “L’ho fatto per te, ho rinunciato a tutto per te.” Ogni volta che litigavano lei si rifugiava dietro a quella frase che pesava come un macigno sulla bilancia del loro rapporto. La rinuncia a una brillante carriera, la totale dedizione a lui e alla famiglia, l’amore smisurato che lei gli ha sempre dimostrato sono diventate catene di sensi di colpa che lui non riesce più a gestire. Una volta parlavano di tutto. Ore e ore a discutere di politica, di legge, di filosofia. Le brillavano gli occhi e lui era affascinato da quella donna così entusiasta della vita. Ora i loro argomenti di conversazione ruotano intorno alle bambine, alle cose da fare per la casa, alle vacanze da programmare. A poco a poco si è sentito soffocare. Spesso si chiudeva in bagno, apriva la finestra e si fumava una sigaretta. Aveva smesso di fumare dieci anni prima, ma quel momento di trasgressione privata lo faceva sentire di nuovo vivo. Piccole bugie, ritardi lavorativi che coprivano aperitivi in centro. Nel giro di qualche mese si era costruito un universo


19 parallelo in cui non c’erano Anna e Camilla e in cui poteva pensare di essere ancora libero di innamorarsi di una donna dagli occhi vivi. Prima di andare a letto, Giulia socchiude la porta della stanza delle bambine e scorge, nel buio, i loro visini addormentati. Sorride e pensa che nonostante tutto è fortunata, che dopo tanti anni insieme è normale che si attraversino momenti di stanchezza e che questa è sempre la famiglia che sognava fin da bambina. Quando suona la sveglia Paolo è già uscito; un post‐it sul frigo la informa che stasera farà tardi perché ha una cena con dei clienti. Giulia prepara una tazza di caffè e si siede al tavolo sfogliando distrattamente una rivista prima che le bambine si sveglino. Adora la calma del sabato mattina perché riesce a ritagliarsi un minuto solo per lei, prima che il caos della giornata la inghiotta come al solito. «Mammaaa, non trovo più le calze, dove sono?» Pace finita. «Camilla, sai perfettamente dove sono le calze. Sono nello stesso posto di sempre, nel secondo cassetto del tuo comodino.»


20 «Mamma, che facciamo oggi?» «Che ne dite di andare in centro a fare una passeggiata?» «Uffa, ma in centro non ci sono gli scivoli.» «Hai ragione. Facciamo così: prima andiamo in centro e poi, nel tornare a casa, ci fermiamo mezz’ora al parco così potete giocare un po’. Che ne dite?» «Sì!» È una splendida giornata e l’aria di maggio è frizzante e tiepida allo stesso tempo. Giulia si sofferma davanti alle vetrine del centro, anche se ormai non compra quasi più niente per se stessa. Le piace essere comoda, non dover camminare su tacchi vertiginosi o fasciata in abiti che salgono sulla coscia a ogni passo. Più volte ha chiesto a Paolo se questo suo modo di vestire lo disturbava ma lui le ha sempre risposto che l’amava per come era, anche in jeans o in tuta. Solo perché era lei. Al pensiero di quelle parole innamorate sorride a se stessa, nel riflesso della vetrina. «Mamma, ti sta suonando la borsa!» «Ah sì, grazie Anna, non mi ero accorta. Pronto?» «Ciao Giulia. Se sei fuori casa, avrei bisogno di una cortesia.» «Certo mamma, dimmi.» «Tuo padre non sta bene. Sai le sue aritmie. Non è che andresti a prendermi le sue medicine nella farmacia di Piazza Vittoria? Il farmacista è un caro amico e non dovrebbe fare


21 storie, anche senza ricetta, basta che gli dici che gliela porto io lunedì.» «Va bene, non ti preoccupare. È solo un po’ fuori mano. Comunque cambio i programmi e te le porto entro mezzogiorno.» «Grazie tesoro, se volete poi potete fermarvi qui a pranzo. C’è anche Paolo?» «No, Paolo non c’è, oggi lavora tutto il giorno e stasera ha una cena con dei clienti. Per il pranzo volentieri, così saluto anche papà.» «Bambine, cambio di programma. Si va a pranzo dai nonni.» «E il parco?» Camilla ha la faccia di chi sta per scoppiare in lacrime. «Al parco ci possiamo andare nel pomeriggio. E ci prendiamo anche un bel gelato. Che ne dici?» «È una promessa?» «Assolutamente sì.» La farmacia è affollata e le bimbe giocano fuori sul marciapiede. Fa caldo e Giulia non sopporta quei corpi sconosciuti così vicini a sé. Finalmente è il suo turno. Prende le medicine e scappa fuori, al sicuro da quella calca invadente. Si sente meglio, il respiro torna regolare, si guarda intorno alla ricerca della fermata dell’autobus ed è un attimo.


22 Sente il respiro mozzarsi. Fa caldo, ma il caldo è nella sua testa, nelle sue gambe, nel suo cuore. Paolo attraversa la strada laterale abbracciato a una donna. Ridono. Lui le scosta i capelli e la guarda ammirato. Quello sguardo Giulia lo conosce bene: è lo stesso che lui riservava a lei all’inizio della loro storia. Lei si girava e lo sorprendeva a guardarla, incantato, completamente perso in lei. Ora quello sguardo non è posato su di lei ma su un’altra donna. Non riesce a muoversi, boccheggia. È come un film dell’orrore, vorrebbe chiudere gli occhi, ma non può, deve vedere, deve farsi male. Lei. Chi è lei? La vede di profilo, i capelli ricci e biondi che si muovono leggeri, il vestito colorato che le accarezza il corpo, le gambe toniche e abbronzate e i sandali con il tacco alto. È bella, di una bellezza consapevole. Giulia sente un dolore sordo alla bocca dello stomaco. Le viene da vomitare. «Mamma andiamo?» Si appoggia al muro della farmacia. Le bambine la guardano stupite. «Mamma che hai? Stai male?» «Ho caldo tesoro. Un attimo e poi andiamo.»


23 Prende il cellulare e compone il numero di Paolo. Squilla. A vuoto. Vorrebbe urlare, correre dall’altro lato della piazza e riempirlo di pugni, vorrebbe fargli una scenata da pazza isterica ma il suo corpo è paralizzato. «Andiamo bambine.» Le prende per mano e si incammina nella direzione opposta. Paolo passeggia accanto a Susanna, sente la consistenza dei suoi fianchi sotto la stoffa leggera, chiude gli occhi e assapora l’eccitazione: quel brulicare di budella che ti fa sentire un adolescente in piena crisi ormonale. Susanna è bella, ma non è questo il solo motivo per cui lui le ha chiesto di uscire. Con lei lui si sente uomo, non solo padre. Lei lo ascolta interessata quando gli parla di lavoro o delle sue preoccupazioni, lo consiglia, lo supporta e poi insieme ridono. Ridono tantissimo. Paolo non si ricorda nemmeno più quando ha riso così l’ultima volta con Giulia. Guarda i soffici capelli di Susanna che ondeggiano a ogni passo e pensa che ha voglia di affondare la faccia in quella chioma bionda, inspirarne il profumo, sentire il peso della testa di lei abbandonato sul suo petto.


24 La prima volta che hanno fatto l’amore è stata un’esplosione di emozioni. Non era previsto. Susanna stava uscendo dall’ufficio e lui, di getto, le ha proposto di andare a prendere un aperitivo insieme. Lei ha accettato e si sono trovati stretti l’uno all’altra sotto lo stesso ombrello, in mezzo al diluvio. Le gambe nude di Susanna bagnate dalla pioggia, il suo viso così vicino al suo, Paolo ha sentito l’eccitazione prendere il sopravvento. Le ha preso il viso tra le mani e l’ha baciata, con vigore. Susanna ha ricambiato il bacio, i corpi stretti fino a fondersi in uno solo, bagnati fradici, l’ombrello abbandonato ai loro piedi. Sono andati a casa di lei e hanno fatto l’amore con passione rabbiosa. Paolo non ha pensato a nulla in quel momento; in testa c’era solo l’odore della sua pelle, la sua bocca incapace di staccarsi dalla sua. Poi sono rimasti distesi lì, inermi, sfiniti e appagati. Mentre era sdraiato accanto al corpo di lei, Paolo cercava dentro di sé il senso di colpa. Perché non c’era? Perché non provava nulla a parte l’ebbra soddisfazione per il momento appena trascorso? Le domande gli rimbalzavano veloci nella testa ma la mano calda di Susanna sul suo ventre non lasciava spazio ad alcuna risposta. Sono passate un paio di settimane da allora, un paio di settimane di bugie a Giulia, di fantomatici impegni di lavoro


25 solo per poter riassaporare quell’estasi, per annusare la pelle di lei e fare scorta di emozioni, di profumi, come un tossico in crisi d’astinenza. Giulia non si è fermata a pranzo dai suoi. Ha lasciato le medicine per suo padre ed è corsa via. Dentro di lei un magma bollente e furioso avvolge tutto divorando ogni pensiero. Le bambine sono in camera a giocare, Giulia prende il telefono con rabbia e compone il numero di Paolo. Libero. «Pronto!» «Paolo!» È così sorpresa che abbia risposto al primo squillo che non sa bene cosa dirgli. «Giulia, dimmi.» «Volevo salutarti e sapere per che ora sarai a casa.» Sbuffa. «Non so. È una giornata molto incasinata. Ti ho lasciato un biglietto stamattina. Credo che farò tardi, ho una cena con dei clienti importanti. Ma tu va pure a dormire, ci vediamo domani e se è una bella giornata ce ne andiamo tutti al parco.» «Chi sono questi clienti?» Silenzio.


26 «Sono gli amministratori delegati di due aziende importanti con cui lavoriamo. Che c’è, fai la gelosa?» Giulia ignora la provocazione. Davanti agli occhi ha l’immagine di lei, del suo vestito primaverile, del suo sorriso sicuro. «Sei riuscito a pranzare oggi?» «Ho mangiato un panino qui in ufficio, ho troppe cose da fare e non posso permettermi il lusso di perdere nemmeno mezz’ora. È da quando sono arrivato stamattina che non riesco ad alzare la testa dalla scrivania.» «Capisco. Mi spiace. Ora devo andare, le bimbe mi chiamano.» «Per favore, baciale da parte mia e domani, tutti al parco!» «Va bene. Ciao.» Giulia resta immobile, il telefono stretto nella mano e le nocche bianche dalla tensione. La rabbia le sale e diventa un grumo nero e vischioso che le blocca la gola. Per la prima volta sente il bisogno di affrontare Paolo, urlargli la sua delusione, picchiarlo perfino. Chiude gli occhi e respira. Deve ragionare su cosa è meglio fare e come farlo. Non può lasciarsi prendere dall’emotività, non adesso. «Pronto mamma?» «Ciao Giulia, è successo qualcosa?»


27 «No, non ti preoccupare. Avrei bisogno di un favore. Mi potresti guardare le bambine stasera? Devo andare a una riunione a scuola di Camilla. Me ne ero completamente dimenticata.» «Non so Giulia, con papà malato non mi sento di uscire.» «Potrei portarle da te e poi venirle a riprendere quando ho finito. Non ci vorrà molto, giusto un paio d’ore.» «Se si tratta solo di un paio d’ore…» «Sì, non ti preoccupare. Te le porto verso le venti e alle ventidue al massimo le vengo a riprendere.» «Va bene allora.» «Grazie mamma. Davvero.» «Di niente tesoro.» Non ha un piano preciso ma sente che deve andare fino in fondo. Scavare dove la carne è sottile ed esposta, trovarsi faccia a faccia con il dolore per poi poterlo affrontare. Vuole vedere. Venti e quindici. Seduta in macchina sotto l’ufficio di Paolo, aspetta. Non sa se lui uscirà davvero dall’ufficio, a dire il vero non sa nemmeno se lui oggi ci sia mai entrato. Non ha alternative, può solo attendere. Venti e trenta. La porta a vetri del palazzo si apre ed esce lei, la donna di stamattina. Subito dopo compare anche Paolo. Si


28 dirigono alla macchina di lui. Lui le apre la portiera sorridendo, lei sale e gli rivolge uno sguardo amorevole per ringraziarlo. Giulia li vede partire. Ormai la razionalità ha lasciato il campo libero all’istinto, quell’istinto che le fa ingranare la marcia e che le impone di seguirli. Dopo mezz’ora di strada si fermano davanti a un piccolo ristorante, scendono ridendo ed entrano abbracciati come una coppia qualunque in un normale sabato sera. Vorrebbe entrare e gridare davanti a tutti, vorrebbe prenderli a schiaffi entrambi e invece resta lì, immobile a cercare di respirare. Ora non ha più senso rimanere. Ha visto quello che doveva vedere. Pensa alle bambine che la stanno aspettando, pensa alla promessa di Paolo di andare tutti insieme al parco l’indomani. Spalanca la portiera e lascia che la rabbia e la delusione si mescolino al fiotto di vomito caldo che risale bruciandole l’esofago. Le pastiglie hanno fatto effetto. È riuscita a dormire. Lui è lì accanto a lei, ma non lo vuole vedere. Quel corpo che lei ha amato e desiderato, ora le sembra sporco, intriso di lei, dei suoi capelli biondi leggeri, delle sue gambe abbronzate.


29 Si alza di scatto e va in cucina a prepararsi una tazza di caffè. Sono solo le sei e la casa è immersa in una quieta penombra. Porta il caffè caldo alle labbra e gli occhi le si riempiono di lacrime. Lei lo ama ancora, più di quanto sia disposta ad ammettere persino con se stessa. Cerca di razionalizzare, di mettere ordine al caos emotivo che le aggroviglia le viscere. Poi ripensa a se stessa, alle bambine e capisce che non può affrontare l’argomento adesso. È disoccupata, la casa è della famiglia di Paolo, lei non ha niente. Niente di niente. Deve trovare un lavoro, il resto verrà di conseguenza. Sente una mano che le si posa sulla spalla e sobbalza dalla sedia. «Scusa, non volevo spaventarti.» «Non fa nulla, pensavo dormissi ancora.» «Mi sono svegliato ma tu non eri a letto e così…» Giulia si alza per sottrarsi a quella mano che, in questo momento, ha il peso di un’ incudine di ferro che la schiaccia sulla sedia. «Vuoi un caffè?» «Sì grazie, ne ho davvero bisogno, ieri la cena è andata per le lunghe e poi ho dovuto riaccompagnare i clienti in hotel. Una vera tortura.» «Immagino.»


30 Giulia stringe il manico della tazza fin quasi a romperlo e cerca di mostrarsi indifferente. «Allora, è una bella giornata! Ce ne andiamo al parco? Ho voglia di passare del tempo tutti insieme, sono stato così impegnato con il lavoro in quest’ultimo periodo.» «Vediamo quando si svegliano le bambine e poi decidiamo. Senti Paolo…» «Che c’è? Qualche problema?» «Io voglio tornare a lavorare.» L’ha detto tutto d’un fiato per paura che le mancasse la voce a metà frase. Alza gli occhi verso di lui e coglie il suo viso sorpreso. «Ah sì? Come mai questa voglia improvvisa?» «Le bambine ormai sono grandi e vanno entrambe a scuola. Mi annoio a non aver nulla da fare.» «Per me non ci sono problemi, basta che tu riesca a conciliare il lavoro con gli orari delle bambine.» «Domani farò un giro degli studi legali della città e lascerò il mio curriculum. Poi si vedrà.» «Papà!» Camilla e Anna corrono in cucina e si gettano nelle braccia di Paolo. «Ciao piccoline! Mi siete mancate così tanto ieri! Vi va di andare al parco tutti insieme?» «Sì! Possiamo anche mangiare la pizza fuori?»


31 «Certo che sì! Vero mamma?» Paolo la guarda in attesa di una sua retorica risposta. «Sì, possiamo mangiare anche la pizza.» Giulia accenna un sorriso. Sarà una giornata lunga e faticosa. Non è andata poi così male. Quando sono insieme riescono ancora a stare bene, a sembrare una famiglia unita, felice. Lei è riuscita a non far trapelare alcuna emozione nonostante i numerosi flashback che la sua mente crudele le propinava a ripetizione. Le bambine hanno giocato felici e agli occhi di uno spettatore esterno avrebbero potuto suscitare persino invidia. Che paradosso. Spesso le persone sono convinte di capire gli altri al primo sguardo per poi doversi ricredere successivamente. “Davvero Carlo e Maria si sono separati? Non l’avrei mai detto, sembravano così affiatati!”. In realtà non si conosce bene nemmeno se stessi e il proprio partner, eppure ci si arroga il diritto di poter giudicare le vite altrui. Appena rientrati dal parco Paolo si è chiuso in camera a fare delle telefonate di lavoro e Giulia, intenta a tagliare le verdure per la cena, lo immagina al telefono con lei: il tono


32 basso e carezzevole, qualche risata soffocata, il rituale del corteggiamento. Vorrebbe entrare di sorpresa in camera, con una scusa, ma sa che non servirebbe a nulla. Sa già tutto quello che deve sapere, ora è tempo di agire. Paolo ha passato tutto il sabato con Susanna. Ormai trascorrono insieme ogni secondo libero. È consapevole del tempo che toglie alla sua famiglia ma non riesce nemmeno a pensare di poter rinunciare a lei. Giulia stamattina era strana, pensierosa. Per un attimo ha avuto paura che avesse scoperto tutto, invece gli ha detto che vuole tornare al lavoro. Al momento è rimasto quasi deluso, come se, dentro di sé, sperasse di essere stato beccato e che lei prendesse le decisioni anche per lui. Si sente un vigliacco perché non ha il coraggio di lasciarla. Si nasconde dietro al debole alibi dell’affetto per non dover prendere alcuna decisione. Oggi le ha proposto di andare al parco. Voleva trascorrere un po’ di tempo con Anna e Camilla e scaricarsi la coscienza. È stata una giornata piacevole ma appena rientrato a casa ha sentito l’impellente bisogno di Susanna, della sua voce, della sua risata.


33 Chiuso in camera a sussurrare al telefono sente il rumore della sua vita che pulsa da dietro alla porta chiusa. Due e venti. Giulia spalanca gli occhi, il respiro accelera. I sogni confusi del primo sonno si mescolano alle immagini nitide della giornata appena trascorsa. Le fa male il petto; la consapevolezza della rivelazione arriva come una stilettata. Lo ama ancora. Non lascerà che lei vinca. Paolo è suo marito, il padre delle sue figlie, il suo uomo. Suo. Quell’aggettivo, così breve e incisivo è un balsamo morbido sulle ferite. Ora sa in che direzione andare. Sente il suo corpo tendersi come se si preparasse a una battaglia, la mente è lucida e la rabbia si è trasformata in volontà. È pronta. Il lunedì mattina presto è già operativa. Ha scritto su un foglio tutti i nomi degli studi legali presenti in città e ha iniziato la sua personale via crucis per presentarsi e lasciare il proprio curriculum. Alla fine della giornata non è riuscita nemmeno a ottenere un colloquio in quanto addestrate segretarie, pagate per intercettare e filtrare le seccature, le intimavano gentilmente


34 di lasciare a loro il curriculum che avrebbero senz’altro provveduto a farlo avere all’avvocato. Pensava fosse più facile. La sua laurea con il massimo dei voti e le ottime referenze dello studio in cui ha fatto praticantato non sono servite a nulla. Mentre torna a casa osserva la gente che le passa accanto: persone che lavorano, che hanno trascorso la loro giornata in uffici o in aziende e che ora non vedono l’ora di rilassarsi con un aperitivo o con la partita alla televisione. A lei invece fanno male i piedi e brucia la gola, forse sono le lacrime, forse è solo il sapore della frustrazione. La forza dell’altra notte sta iniziando a svanire. Otto anni sono troppi per poter riprendere come se niente fosse. Le hanno detto che sono cambiate tante cose, che dovrebbe seguire corsi di aggiornamento, che in questo momento la maggior parte degli studi preferisce investire su giovani da plasmare. Aveva tutto il futuro davanti agli occhi e ha preferito lasciarselo alle spalle ma ora il futuro è diventato passato e l’unica cosa che è rimasta a testimoniarlo è la sua laurea abbandonata nel cassetto, sotto le buste delle bollette e le garanzie degli elettrodomestici. Lo squillo del telefono la strappa ai suoi pensieri. «Pronto?»


35 «Buongiorno, è lo studio legale dell’Avvocato Serti. La signora Giulia Milani?» «Sì, sono io. Mi dica.» «Ho appena mostrato all’avvocato il curriculum che ha lasciato stamattina e mi ha detto di contattarla per fissare un appuntamento.» «Ah! Benissimo! Mi dica quando.» Giulia riesce a malapena a contenere l’eccitazione. «Per lei andrebbe bene lunedì mattina, verso le dieci? «Non ci sono problemi.» «D’accordo. A lunedì allora. Buonasera.» «Buonasera.» Si sente come se avesse appena ricevuto il biglietto vincente della lotteria. Il tragitto verso casa le sembra leggero, forse le cose iniziano a girare per il verso giusto. Al rientro a casa trova tutte le luci spente. Paolo avrebbe dovuto essere lì con le bambine. Sul tavolo della cucina un laconico post‐it le comunica che sono usciti a prendere le pizze per la cena. Mentre apparecchia la tavola sente il vociare delle bambine sul pianerottolo. «Ciao mamma! Siamo tornati!» «Ciao pulcino! Allora queste pizze? Sto morendo di fame!»


36 «Papà sta cercando un parcheggio perché sotto casa non c’era posto. Le pizze le ha lui. Scusa per il ritardo ma ci siamo fermati a prendere un succo al bar.» Anna corre ad abbracciarla e Giulia le toglie dei pezzi di patatina dall’angolo della bocca. «Vedo che avete anche fatto una scorpacciata di patatine, eh?» «Accidenti. Era un segreto. Papà ci ha detto di non dirtelo altrimenti ti saresti arrabbiata perché abbiamo mangiato prima di cena.» «Infatti sapete che non voglio. Ora vi sarete rovinate l’appetito. «No mamma! Abbiamo mangiato solo due patatine a testa e poi Susanna ci ha offerto un succo di frutta.» «Susanna?» «Sì, è una collega di papà! L’abbiamo incontrata al bar. È simpatica! Ci ha anche regalato questi.» Anna le mostra orgogliosa un sottile braccialetto di perline. «Ce l’ho anch’io!» Camilla corre a mostrarle anche il suo. «Ma che belli! È proprio gentile questa Susanna!» «Già! Ha detto che la prossima volta ci porta a mangiare un gelato gigante, con la panna montata!» «Che meraviglia! Su bambine, adesso andate a lavarvi le mani, che da un momento all’altro papà sarà qui con le pizze.» FINE ANTEPRIMA. CONTINUA...


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